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Storia ed Estetica del Cinema- IULM, Appunti di Storia Del Cinema

appunti completi per conseguire l'esame di storia del cinema scritto.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 08/01/2020

giuliacall
giuliacall 🇮🇹

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Scarica Storia ed Estetica del Cinema- IULM e più Appunti in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! martedì 13 marzo 2018 Manuale di storia del cinema Capitolo 1. Archeologia del cinema. PREISTORIA DEL CINEMATOGRAFO. Il cinematografo fece la sua prima comparsa in pubblico il 28 dicembre 1895 quando Louis Lumiere diede inizio a regolari rappresentazioni presso il Grand Cafè sul Boulevard des Capucines a Parigi. La nuova invenzione, a cui avevano partecipato e collaborato indirettamente decine di sperimentatori da Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti, si impose come una delle attrazioni più singolari e affascinanti del secolo. La nascita del cinema è il punto di arrivo di un lungo processo che coinvolge diverse forme di spettacoli e rappresentazioni. La sua preistoria può essere divisa in tre ambiti fondamentali: La proiezione di immagini su schermo, la ricerca dell’illusione del movimento e la fotografia. IMMAGINI SU SCHERMO. Caratterizzate dal loro carattere meccanico e dalla loro bidimensionali. Alcuni esempi possono essere le ombre cinesi, la lanterna magica e le fantasmagorie create da Robertson sul finire del Settecento. La tecnica del teatro d’ombre nacque e si diffuse alcuni millenni prima della nostra era. Consisteva nella proiezione su una parete bianca di ombre ottenute con i più vari e complessi giochi delle dita e successivamente di figure bidimensionali su una grande tela bianca. Questi spettacoli non differivano molto da quelli che saranno poi gli spettacoli di marionette, ma riuscivano a creare un’atmosfera di attesa e un alto grado di partecipazione emotiva che in parte ritroveremo molti secoli dopo nelle sale dei nostri cinematografi. Questo tipo di teatro ebbe una larga diffusione in europa nel corso del Settecento e Ottocento. La lanterna magica e le sue immagini anticiparono per alcune caratteristiche il cinematografo, sebbene questo tipo di spettacolo fosse basato sulla staticità delle singole figure e sulla loro successione in stacco senza continuità. (Proiezione di figurine colorate su vetro) Contemporaneamente o quasi alla lanterna magica di padre Kircher e alle sue prime applicazioni abbiamo lanterne assai simili, ma di base ciò che le accomunava erano narrazioni elementari, costruite su storie popolari con fondamento religioso oppure su fatti contemporanei, tra cronaca e politica. Verso la metà del 700 si arricchisce di una nuova tecnica che permette di ottenere il movimento dell’immagine per mezzo della sovrapposizione di due pezzi di vetro. La situazione a questo punto rimaneva abbastanza statica, fino alla fine del 700 quando venne introdotto il FANTASCOPIO. Brevettato da Robertson, era una 1 martedì 13 marzo 2018 lanterna magica fornica di otturatori speciali. Le fantasmagorie, ovvero gli spettacoli di Robertson, eran caratterizzate da varie lanterne con leve e carrucole che consentivano l’avvicinamento o allontanamento delle stesse dallo schermo, nonché di vari dispositivi per ottenere suoni o rumori. Tuttavia tutti questi dispositivi producevano spettacoli ancora prevalentemente statici e non basati su supporti inalterabili che potevano riprodurre il medesimo spettacolo un numero pressoché infinito di volte. Comunque non va dimenticato il “mondo nuovo” che era una specie di cassa con funzionamento simile alla lanterna magica e che proiettava una serie di immagini spiegate poi da un imbonitore-narratore che stabiliva tra loro i rapporti narrativi. IMMAGINI IN MOVIMENTO. Nate come giochi di società e divertimento per l’infanzia, tutta una serie di piccole invenzioni tecnico-scientifiche dei primi decenni dell’Ottocento introdussero a poco a poco la rappresentazione del movimento disegnato.
 Il primo di questi fu il THAUMATROPIO, un discetti cartone rotante attorno al suo asse che consentiva di sovrapporre figure disegnate su ambedue le facce del disco per formare una sola immagine. Questo strumento tuttavia non consentiva ancora la rappresentazione del movimento perché ancora non si era consci che per l’occhio umano il movimento viene percepito con la successione di immagini statiche che rappresentano ognuna con minime variazioni un momento distinto di un’azione. Il primo strumento a rappresentarlo fu il FENACHISTOSCOPIO.
 Questo strumento era un semplice disco rotante su cui erano rappresentate figure nelle varie fasi del loro movimento. 
 Infine un altro strumento che prendeva spunto dal Fenachistoscopio fu il DAEDALUM e la sua variante lo ZOOTROPIO, ovvero un cilindro con fessure esterne. 2 martedì 13 marzo 2018 rischiavano di esaurire l’interesse del pubblico.
 Principalmente il repertorio del kinetoscopio comprendeva artisti di teatro, circo e varietà.
 E bisogna ricordare che Dickinson ed Edison furono i primi ad ingaggiare per i loro piccoli spettacoli, artisti noti e di fama, anticipando ciò che faranno anni dopo i produttori cinematografici. VERSO IL CINEMATOGRAFO: ESPERIMENTI IN EUROPA Alla fine dell’Ottocento comunque numerosi furono gli esperimenti in Francia, in Germania e in Inghilterra dove vennero messi a punto apparecchi pressoché simili al cinematografo dei Lumiere, ma solo questo, anche a partire dalla maneggevolezza dell’apparecchio stesso, riuscì a imporsi sugli altri come quello che meglio riusciva a risolvere problemi connessi con la proiezione di immagini dinamiche su schermo, l’utilizzo della pellicola di celluloide e l’avanzamento intermittente fotogramma per fotogramma. Capitolo 2. Il cinema delle origini. IL CINEMA DI LOUIS E AUGUSTE LUMIERE. La prima proiezione pubblica dei film realizzati da Louis Lumiere e da suo fratello Auguste alla fine del 1895 fu preceduta da una lunga serie di esperimenti. 
 Ma i fratelli Lumiere, che insieme al padre Antoine avevano un’industria fotografica a Lione, disponevano di conoscenze tecniche e attrezzature necessarie per approfondire gli studi sull’argomento.
 Nel 1895 Louis giunse a escogitare un apparecchio che servisse contemporaneamente alla ripresa e alla proiezione di immagini fotografiche animate. 
 Il ciclo delle sperimentazioni poteva dirsi concluso: era nato ufficialmente il cinema. Quello che Lumiere definì “un dispositivo per ottenere la visione di spettacoli cinematografici” e che chiamò cinematografo, era semplice e leggero da trasportare in confronto agli altri, e veniva azionato da una manovella che consentiva lo scorrimento e il riavvolgimento della pellicola. Con questo dispositivo, la realtà fenomenica poteva essere rappresentata con estrema precisione e si poteva giungere ad una 
 rappresentazione molteplice della realtà. Queste possibilità espressive si rivelarono ben presto dotate di fascino, e i Lumiere tentarono una commercializzazione. Così, verso la fine del 1895, presero contatti con il proprietario del Gran Cafè per organizzare proiezioni pubbliche. Il primo spettacolo come sappiamo si svolse il 28 dicembre e vennero invitati numerosi direttori di teatri d’arte e del Museo Grevin perché potevano essere interessati ad acquistare e diffondere i film. 
 Il successo di pubblico fu comunque superiore alle previsioni e fin dai primi giorni la 5 martedì 13 marzo 2018 folla si accalcava fuori dal locale per vedere ciò che sarà poi definito “la meraviglia del secolo”. Il programma era composto da brevi film di poco più di un minuto ciascuno che realizzavano circa mezz’ora di spettacolo. Si andava dalle scene di attualità, a quelle d’informazione documentaria, alle scenette familiari e infine ai micro spettacoli comici. L’interesse del pubblico era suscitato soprattutto dalla curiosità di vedere riprodotta la realtà fenomenica con straordinaria esattezza nella rappresentazione delle forme e nei loro movimenti. I primi spettacoli sono tutti basati su questi effetti di realismo. Sono composti da una sola inquadratura con cinecamera fissa che riprende la realtà frontalmente. L’azione si svolge quasi sempre al centro del campo di ripresa e le vedute dei Lumiere esibivano una evidente profondità di campo con figure a fuoco sia in primo che in secondo piano. Il successo del cinematografico stava comunque essenzialmente in una duplice attrattiva: era sia realtà che rappresentazione. “Arrivèe d’un train a La Ciotat” non è una copia della realtà, ma una rappresentazione di essa che ne accentua alcune caratteristiche, come l’arrivo minaccioso del treno che sfiora la cinecamera. 
 Nella “Sortie de l’usine a Lyon” il campo dell’azione è la strada antistante il portone da cui escono gli operai. In "Partie d’écarté" il taglio dell’inquadratura e la composizione figurativa sono a triangolo, per riprendere i tre giocatori. Infine, “L’arroseur arrose” che fu considerato da alcuni storici il primo film narrativo, rappresenta una scenetta comica: un giardiniere annaffia un prato, arriva un giovanotto e calpesta il tubo, il giardiniere gira la bocca del tubo verso di se per capire il motivo per cui non riesce ad annaffiare, il ragazzo toglie il piede e il giardiniere viene annaffiato. VEDUTE DOCUMENTARIE E ATTUALITA’ Se si passano in rassegna i titoli pubblicati sui cataloghi della produzione Lumiere, si può constatare che la maggior parte di quel film riguardano fatti e luoghi che oggi sarebbero definite documentaristiche o cinegiornali d’attualità. Ad esempio vi sono numerosi film che illustrano vedute e panorami di luoghi di Francia e stranieri. E in un secondo tempo abbiamo anche avvenimenti contemporanei, per lo più visite reali o di presidenti, inaugurazioni, viaggi diplomatici. Il valore di documentazione non può essere trascurato, anche se ovviamente bisogna considerare che i Lumiere rappresentavano solo un pezzetto di società, e gusti, preferenze, scelte ideologiche, concetti morali non potevano che trasferirsi nell’opera. Inizialmente l’enciclopedia cinematografica dei Lumiere era ricchissima di voci geografiche e turistiche ma scarsa di voci di storia contemporanea e di vita sociale 6 martedì 13 marzo 2018 e del lavoro. 
 I Lumiere non si preoccuparono tanto di vendere i propri apparecchi o i film, ma decisero di dare a noleggio i singoli spettacoli da essi preparati. 
 Di qui la necessità di disporre di un catalogo di film sempre ricco e vario, ma anche e soprattutto di operatori cinematografici qualificati che seguissero le proiezioni e girassero in giro per il mondo (es. Promio, Mesguich, Doublier..). Pare addirittura che la carrellata ed altri effetti fossero stati inventati da Promio a Venezia, che per riprendere le facciate dei palazzi sul Canal Grande, collocò il treppiede su una gondola. In un secondo tempo comunque, dal film di viaggi si passa al cinegiornale di attualità. Sia i Lumiere che i loro imitatori inviarono operatori a riprendere i fatti salienti della cronaca mondana e politica. L’incoronazione di un re, la visita ufficiale di un presidente.. Per il pubblico dell’epoca non si trattava tanto di vero o falso, ma di credibilità e verosimiglianza.
 Sia le attualità dei Lumiere che le ricostruzioni di Melies, nella misura in cui coglievano il desiderio di curiosità del pubblico e lo soddisfacevano senza mistificazioni, assolvevano alla precipua funzione di informare. Quando, verso il 1908, si cominciò a produrre con regolarità cinegiornali, la distinzione tra finzione e realtà, tra spettacolo e documentario era ormai codificata. IL CINEMA DI GEORGES MELIES La storia ci ha tramandato l’episodio del rifiuto di Antoine Lumiere di vendere a Melies un apparecchio cinematografico quando dopo avere assistito alla prima riproduzione pubblica di una decina di brevissimi film, Melies aveva compreso immediatamente le possibilità tecnico-espressive e avrebbe voluto impiegarlo per ottenere quel effetti di illusione che andava realizzando sul palcoscenico del Teatro Robert-houdin. A Melies non interessavano più di tanto i film che aveva visto, ma era attratto dalla possibilità di creare illusione di realtà. Inizialmente Melies acquista nel 1898 il Teatro Robert-Houdin di cui diventa direttore e continua il filone illusionistico del suo fondatore. Non potendosi procurare un apparecchio cinematografico, Melies nel 1896 costruisce un proprio apparecchio (il kinetografo) col quale diede degli spettacoli di fotografie animate (come ad esempio la trasformazione di una donna in uno scheletro). Nel 1897 costruisce un vero e proprio studio cinematografico e a questo punto affronta direttamente i problemi derivanti dall’illusionismo, anche se frammezzo ai film fantastici e d’avventure troviamo anche spezzoni comici che sottolineano l’interesse di Melies per lo spettacolo in generale e per la finzione scenica. Bisogna anche ricordare uno dei più importanti primi documentari di Melies, “L’affaire Dreyfus”, in cui Melies sviluppa tutta la storia del processo Dreyfus, dell’arresto e della condanna. 
 
 Ma la fama di Melies è soprattutto legata ai suoi trucchi e alle sue attrazioni. 7 martedì 13 marzo 2018 I micro spettacoli che Edison e Dickinson offrirono al pubblicano americano furono una base di partenza per la conquista di un sempre più vasto mercato. Occorreva far tesoro dell’esperienza acquisita e, una volta sviluppata la tecnica e perfezionate le apparecchiature cinematografiche, impostare un’attività produttiva tale da consentire la creazione di un’industria dello spettacolo. La lezione di Edison fu appresa da altri. Infatti, i primi dieci anni del cinema americano sono caratterizzati da quella che fu definita la “guerra dei brevetti”, che durò ininterrottamente fino al 1908, quando un accordo generale pose fine all’azione intrapresa da Edison per proteggere i propri brevetti contro le altre case americane. L’accanita lotta mise in difficoltà case di produzione minori, che dovettero soccombere o essere assorbite da quelle più grandi. L’accanita lotta per la conquista del mercato cinematografico determinò una produzione affrettata e semplicistica, e un ricalco dei prodotti europei. Solo a partire dal Novecento, una regolamentazione più precisa fece sì che l’industria cinematografica americana fosse meno soggetta alle leggi della libertà incondizionata e dell’arbitrio assoluto. Solo dal 1905 in poi in America si delinea una vera e propria rete di sale cinematografiche, i nickelodeons, chiamati così perché il biglietto veniva solo un nickel; pertanto è solo da questo momento in poi che si sviluppa una produzione di film sempre più articolata. Nie primi anni le produzioni comunque assomigliavano molto a quelle europee, generi come quello comico, storico, fantastico, avventuroso, opere brevissime che unite formavano spettacoli di circa mezz’ora. Anche sul piano della tecnica, nessuna grande innovazione: struttura elementare, riprese con campo medio o lungo, rari movimenti di macchina. Il primo esempio di cinema narrativo si ha con il regista Edwin Porter, che nel 1902 realizza “The Life of an American Fireman”, la storia di un pompiere che oltre ad avere intenti propagandistici e a far vedere i luoghi dei pompieri e le loro mansioni, inserisce anche una caratteristica di drammaticità (l’ansia e la tensione di una mamma e un bambino che devono essere salvati dalle fiamme). Nasceva il film americano per eccellenza, tendenzialmente realistico, definito anche da una commozione che doveva scaturire una sorta di identificazione dello spettatore con l’eroe della vicenda. Ma fu soprattutto il film che Porter realizzò nel 1903, The Great Train Robbery, a impostare le nuove regole del romanzo cinematografico.
 Un racconto tutto basato sulla drammaticità dell’evento, ovvero una grossa rapina da parte di banditi che assaltano un treno. La rapina comunque non è tanto la parte narrativa, bensì un pretesto per organizzare uno spettacolo che si basa su colpi di scena. Porter per questo film riesce ad adottare delle interessanti soluzioni visive tipo l’effetto quadro nel quadro (con il mascherino), oppure il primo piano del bandito che guarda in camera e spara verso gli spettatori. Di certo il valore artistico di queste opere è ancora limitato, ma offrono una testimonianza non trascurabile del cinema come spettacolo. 10 martedì 13 marzo 2018 Una caratteristica fissa di questo tipo di cinema è lo sdegno per le situazioni disumane ingiuste e la catarsi finale scaturita dalla happy end. Oltre ad Edison, altre due case importanti erano la Vitagraph di Blackton e la Biograph di Dickinson. La Vitagraph di Blackton si specializzò dal punto di vista sperimentale per il cinema di animazione e il film “The Haunted Hotel” ottenne un successo strepitoso. Le produzioni abituali della Vitagraph invece erano “life portrayals” e “classics”: i primi erano dei racconti divertenti, drammatici, narrati in maniera piana; i secondi si rifacevano alla letteratura e al teatro universali. Dal canto suo, la Biograph di Dickinson riuscì, dopo un periodo di piattezza e somiglianza con altre produzioni, a sfornare grandi produzioni a cui collaborarono grandi registi e attori (es. Griffith). Si stavano ponendo le basi della famosa Hollywood: le case cinematografiche cominciarono a girare esterni di film e si accorsero che la costa californiana aveva un clima notevolmente più accogliente, e in più così potevano sfuggire dalla guerra dei brevetti e dalla lotta violenta e aspra ingaggiata da Edison. IL CINEMA IN EUROPA: IL CASO INGLESE E QUELLO ITALIANO (1896-1906) Il cinema si diffuse già alfine dell’Ottocento nei principali Paesi europei, soprattutto in Gran Bretagna, dove si sviluppò una produzione di notevole importanza. Il cinema inglese fu uno dei più interessanti dal punto di vista della sperimentazione delle possibilità linguistiche del cinema. Un film come “The big swallow”, mostra un uomo infastidito dal fatto di essere ripreso dalla telecamera, che si avvicina progressivamente all’operatore passando dalla figura intera al primissimo piano, e lo divora. Un film come “The kiss in the tunnel” mostra l’attenzione degli inglesi all’uso del montaggio. E’ articolato in tre inquadrature: la prima e la terza mostrano l’entrata e l’uscita del treno dalla galleria e ricordano un genere assai in voga all’epoca, ovvero il phantom ride, mentre quella centrale mostra un uomo e una donna che si scambiano delle effusioni. Ancor più evidente il ruolo del montaggio nel film “The Grandma’s Reading Glass”, composto da diverse inquadrature dove si vede un bambino che con una lente d’ingrandimento osserva diversi oggetti intorno a se. Questo film libera tre importanti possibilità del linguaggio cinematografico: 1) l’uso dell’inquadratura soggettiva 2) utilizzo dei piani ravvicinati 3) montaggio all’interno di una stessa scena. Sebbene qui la struttura sia ancora molto meccanica, il criterio è sistematicamente quello di alternare lo stesso piano d’insieme ad un particolare diverso. Se poi teniamo conto anche dei Chase films, ovvero dei film di inseguimento, il contributo del cinema inglese allo sviluppo del montaggio narrativo fu notevole. 
 Per quanto riguarda l’Italia, nonostante nel 1895 Filoteo Alberini avesse brevettato un kinetografo simile a quello dei Lumiere, le principali produzioni di quegli anni erano di produzione francese. Fino al 1900 si parla di cinema ambulante, non vi erano ancora delle vere e proprie sale cinematografiche. 11 martedì 13 marzo 2018 Tuttavia già dal 1896, qualche documentario e farsa sono di produzione italiana. Ma a finire del secolo vi saranno due importanti figure: Pacchioni e Fregoli, che verranno considerati i due primi autori italiani del cinema muto. Alcuni anni dopo, ai primi del Novecento, si sviluppano sale di spettacolo per proiezioni continuate e si pongono le basi per un’industria cinematografica. Nel 1905 Alberini realizza “La presa di Roma”, ritenuto il primo film a soggetto italiano, che inaugura la serie dei film storici, genere di cui gli italiani divennero ben presto specialisti. Capitolo 3. Griffith e il cinema americano degli anni Dieci IL CINEMA AMERICANO DEGLI ANNI DIECI. La fine della guerra dei brevetti e la nascita della Motion Picture Patents Company (MPPC), l’1 gennaio 1909, poneva la giovane industria cinematografica al di sotto del dominio di due grandi case di produzione: la Edison e la Biograph. Le altre società che facevano parte di questo conglomerato potevano produrre film pagando alle due compagnie maggiori le dovute tasse. Lo stesso dovevano fare gli esercenti per noleggiare le pellicole della MPPC. Chi stava fuori da questo sistema, rischiava di essere trascinato in tribunale per violazione della legge sui brevetti. Furono però in molti a correre questo rischio: diverse società indipendenti si formarono e la più importante fu la Indipendent Motion Picture Corporation (poi diventata Universal). Gli indipendenti ebbero il merito di favorire lo spostamento dell’industria cinematografica ad Hollywood, che offriva, oltre ai paesaggi, altri due vantaggi: una distanza di sicurezza dai principali centri di potere e una notevole vicinanza col Messico che poteva fornire un rifugio sicuro. Gli indipendenti giocarono un ruolo importante nella nascita del lungometraggio (la MPPC rimaneva fedele ai 15 min invece), che divenne la misura standard del cinema.
 L’avvento di film più lunghi e articolati, dalla struttura narrativa più complessa e con personaggi psicologicamente sviluppati, era anche legato alla conquista di un pubblico borghese, più colto ed esigente. Il tentativo di attrarre un pubblico più altolocato fece sì che progressivamente molti nickelodeon fossero ristrutturati e nuove sale fossero aperte ad un nuovo pubblico. La nascita della Paramount nel 1914 rappresenta uno dei momenti fondamentali dell’avviarsi del cosiddetto “studio System”, un sistema che pensava al cinema come ad una merce, a un prodotto industriale. Insieme a quella dei primi divi, incomincia a imporsi anche la figura del PRODUCER, cui spetta il compito di presiedere all’intera lavorazione di un film, che relega in secondo piano la figura del DIRECTOR. Il cinema degli anni Dieci è caratterizzato anche da una evoluzione del linguaggio cinematografico: -si diffondono le didascalie con funzioni sempre più precise come quelle di indicare un salto temporale, di definire la psicologia di un personaggio; -la macchina da presa si avvicina maggiormente alle figure umane; 12 martedì 13 marzo 2018 Il comico, che spesso nasce dal violento e immediato contrasto di due diversi personaggi, di due situazioni differenti, di fatti contrapposti, poteva trovare nel cinema una forma privilegiata, dai modi espliciti, semplici e popolari. Sennett lo comprese e fece propria la lezione di Griffith nel senso che ne utilizzò le indicazioni generali e i suggerimenti particolari. Il mondo dei suoi film è popolato da personaggi unidimensionali che si rincorrono freneticamente, combinano ogni sorta di guai. Ma è anche un mondo che lascia trasparire una visione satirica e beffarda della società. Sennett fu il grande artefice e divulgatore delle cosiddette slapstick comedies cioè delle comiche violente in cui sberle e calci, inseguimenti e cadute, torte in faccia e varie acrobazie costituivano i motivi ricorrenti di una comicità volgare. A lui si deve anche la creazione dei famosi “keystone cops” e delle “bathing Beauties” dove la stupidità dei primi e la decorativi delle seconde la diceva lunga su certe tendenze già allora dominanti la società di massa. La dinamica dei filmi Sennett rinnovava con nuovi mezzi tecnico-espressivi la dinamica della commedia dell’arte, mantenendone inalterata la carica dissacrante. Proprio in un momento in cui le grandi produzioni americane avevano portato il cinema al livello del teatro, cioè l’avevano nobilitato, Sennett propone uno spettacolo plebeo e esprimeva a gran voce che il cinema era nato e doveva rimanere uno spettacolo popolare e volgare. I SERIALS Se Griffith aveva dato allo spettacolo una nuova veste formale e Sennett aveva divulgato le regole fondamentali del cinema di consumo, i registi, gli sceneggiatori e gli attori dei cosiddetti serials, cioè i film a episodi settimanali, riuscirono a trasformare il materiale narrativo dei feuilletons ottocenteschi in uno spettacolo autenticamente nuovo. Le avventure cinematografiche di ladri e gentiluomini, belle fanciulle e banditi sadici, giovani ereditiere e assassini, acquistavano sullo schermo — per effetto di quel continuo scambio fra realtà e fantasia — una dimensione onirica di vasta portata. La nascita dei serials negli Stati Uniti è strettamente legata alla diffusione dei giornali a grande tiratura, che pubblicavano romanzi a pntate, attirando un sempre maggiore numero di lettori. Il passaggio dalla pagina allo schermo ebbe, a partire dal 1913, una continuità e uno sviluppo addirittura eccezionali. 
 Il primo romanzo episodico cinematografico fu “The Adventures of Kathlyn", un romanzo la cui eroina era al centro di una serie di avventure drammatiche con colpi di scena, inseguimenti, catture e liberazioni: si interrompeva poi ad ogni puntata, nel momento di maggiore tensione drammatica. Il serial settimanale che fece maggior successo fu comunque “The Perils of Pauline", che lanciò una nuova diva: Pearl White. Il fascino di questo serial in 29 episodi stava soprattutto nel tipo di personaggio che la White intepretava. 
 Dopo il 1920 i seriali non trovarono più un pubblico adatto: il cinema stava indirizzandosi su altre strade. IL CINEMA AMERICANO PER ECCELLENZA: IL CASO DEL WESTERN Il western fu definito cinema americano per eccellenza. Esso infatti bene sintetizzò quei caratteri di aggressività, di coraggio, d’avventura, d’individualismo, di lealtà, che costituiscono il mito della società americana. 15 martedì 13 marzo 2018 Il genere si andò sviluppando e ampliando attorno agli anni Dieci, soprattutto per merito di Thomas Harper Ince, che divenne in breve tempo il rappresentante più qualificato d’un tipo di cinema che si basava essenzialmente sull’azione dei personaggi. Costruito su pochi elementi ricorrenti, legato tematicamente alla storia recente degli Stati Uniti e alla guerra contro i pellerossa, il western si impose come un cinema tout court, che metteva in evidenza lo straordinario dinamismo e l’apertura verso spazi infiniti. Il western rappresentò più degli altri generi l’esempio più valido e cospicuo del prodotto di serie.
 Ma era un prodotto, a differenza di altri, che affondava le sue radici in un tessuto storico-culturale preciso. Il mito del West si identificava col mito dell’America, cioè di un Paese giovane, dinamico, aperto al futuro, in contrapposizione alla vecchia Europa, alla cultura del passato. 
 Thomas Harper Ince fu il primo grande interprete di questa mitologia del West. Si dedicò alla realizzazione o alla produzione di alcune centinaia di film, molti dei quali ambientati nell’Ovest selvaggio. Un attore che creerà un personaggio di forte carattere, coraggioso e generoso, ma duro quando occorre, sarà William Hart. 
 Comunque Ince divenne il terzo “grande” del cinema americano, accanto a Griffith e a Sennett. Capitolo 4. Le scuole europee nel cinema degli anni Dieci VERSO UN CINEMA NAZIONALE Il cinema di Griffith, di Senneth e di Ince, cioè il cinema di genere che si andava rafforzando negli Stati Uniti e che si poneva obiettivi sempre più vasti, aveva costituito il primo stadio di un tipo di cinematografia nazionale. I tentativi europei di utilizzare il cinema come nuovo mezzo tecnico-espressivo erano di volta in volta il frutto di intenti documentaristici o fantastici, di propaganda o di puro divertimento, seguivano le leggi della produzione industriale o dell’attività artigianale e si mostravano quindi non riducibili a comune denominatore. Di qui l’originalità di opere e autori, ma anche la parziale difficoltà di individuare una sorta di carattere nazionale della produzione cinematografica. Tuttavia, anche se il primo cinema europeo non forniva quei caratteri nazionali che troveremo in seguito, non è difficile rintracciare alcuni elementi ricorrenti che sottolineano una sorta di stile sufficientemente unitario, per forme o contenuti, da essere facilmente individuabile. In Francia, dopo Lumiere e Melies, si andò affermando un cinema di qualità che si esplicò in tre diverse direzioni, anche se tra loro parallele, cioè il comico, il fantastico e il naturalistico. 
 In Italia fianco delle produzioni di minor significato, dai documentari ai film comici, il cinema seguì ben presto la strada dei grandi spettacoli storico-letterari; i grandi soggetti storici erano quindi elementi che trovavano espressione in un cinema che aveva saputo cogliere il carattere prettamente popolare del nuovo mezzo. In Danimarca e Svezia il cinema spaziò in una dimensione paesaggistica che nulla aveva a che fare con il documentarismo alla Lumiere. 16 martedì 13 marzo 2018 FRANCIA: COMICITÀ, FANTASIA E NATURALISMO La produzione cinematografica francese era saldamente in mano a due compagnie: la Pathè e la Gaumont, e in seguito anche l’Eclair.
 Il comico Il comico cinematografico non era certo una novità in Europa, basti pensare a L’arroseur arrosè dei Lumiere, il primo film comico della storia. 
 I francesi Andrè Deed e Max Linder porranno le basi di quella comicità prettamente cinematografica alla quale si ispirarono e attinsero gli americani stessi. Si è accennato al cinema di qualità di Charles Pathè, allo sviluppo dell’industria cinematografica francese sulla base di una produzione ben curata nei particolari. In questa dimensione industriale si muove anche il cinema comico, che ha in Andrè Deed e Max Linder i suoi attori-creatori più noti e prolifici. Deed elabora una comicità alquanto meccanica, prototipo del Cretinetti; Linder invece costruisce un personaggio sfaccettato a tutto tondo, e in tal senso anticipa la comicità profonda che troveremo in Chaplin. È a partire dal 1909 che Linder può dedicarsi all’attività di attore-regista. Poiché Deed aveva abbandonato la Pathè, Linder era diventato la vedette comica della casa. 
 Max Linder ha composto una galleria di ritratti, la cui caratteristica comune era, insieme ad un certo imbarazzo in società, alla frustrazione sentimentale e alla tristezza di fondo, l’eleganza del tratto, la compostezza dei modi. 
 Centro dell’azione scenica, il personaggio si evidenzia nel rapporto che costituisce con la realtà. Il meccanismo della comicità si mette in moto quando l’azione si inceppa e Max si trova in situazioni impreviste e il personaggio non fa altro che adattarvisi. 
 Il personaggio da lui creato si pone come emblema di un’umanità ferita, come il risvolto grottesco di una felicità non mai raggiunta. Il fantastico Emile Cohl è considerato l’inventore del disegno animato. Cohl entrò presso la Gaumont come scenarista e gagman nel 1905 e realizzò a partire dal 1908, l’anno di Fantasmagorie, una lunga serie di film d’animazione che lo imposero all’attenzione del pubblico e della critica e segnarono l’inizio di una regolare e articolata produzione di disegni animati. 
 Con l’opera di Cohl e con quella di altri grandi artisti dell’animazione entra nel cinema quella dimensione fantastica e poetica che si richiama alla tradizione figurativa della pittura, della grafica e del fumetto. 
 Con Emile Cohl il disegno animato acquista la sua vera autonomia per trovare una sua ragione. Il disegno elementare di Cohl consente di centrare tutta l’attenzione dello spettatore sul movimento, sulle trasformazioni, che vengono a costituire l’asse estetico della costruzione drammatica. E se è vero che l’aver scelto per la maggior parte dei suoi disegni animati la semplice linea era una necessità perché Cohl faceva tutto da solo, è altrettanto vero che in questa semplicità e nelle sue possibili mutazioni continue risiedono il valore artistico e la suggestione spettacolare dei suoi disegni animati. 
 Fantasmagorie, di meno di due minuti di durata, è un breve saggio di disegno animato trasformazionale cioè tutto basato sulle mutazioni delle figure dall’una all’altra. Più corposi saranno i film seguenti in cui si vede una vera e propria rappresentazione con vari personaggi e una storia. 17 martedì 13 marzo 2018 caratterizzava per un approccio naturalistico oltre che per l’eccezionalità immaginaria delle avventure. 
 In particolare Francesca Bertini andò sempre più affinando il suo tratto al di fuori dei canoni stereotipati della recitazione divistica alla moda.
 Ella riuscì a conferire ad essi uno spessore umano, una consistenza drammatica che sovente contrastava con l’esilità della storia o la pochezza del discorso drammatico di fondo. Il naturalismo di Francesca Bertini fu il corrispettivo cinematografico di quella tendenza veristica apparsa nei primi del Novecento. I film naturalistici sono film dialettali, come dialettale era la drammaturgia alla quale si ispiravano. Ma oltre alla questione linguistica, bisogna sottolineare la rappresentazione non falsa o enfatica della società, bensì una rappresentazione del disagio e della povertà in maniera realistica, come nel film “Sperduti nel buio” del 1914, ambientato a Napoli. DANIMARCA E SVEZIA: UN CINEMA DI PAESAGGIO Il cinema nordico aveva fatto i primi passi in Danimarca e SVezia all’inizio del secolo, per poi affermarsi intorno agli anni Dieci come una delle più importanti cinematografie mondiali. 
 Due aspetti hanno più caratterizzato questo cinema: una recitazione secca, antiretorica, e un uso del paesaggio non soltanto in funzione descrittiva, ma narrativa e drammatica. 
 Se il primo aspetto caratteristico soprattutto della cinematografia danese, il secondo definì quella svedese. Non vi era ovviamente nessun tipo di dimensione nazionale, ma è proprio grazie allo stile asciutto e non melodrammatico che il cinema danese e quello svedese ebbero una loro influenza non trascurabile e si imposero per la loro autenticità. Il cinema danese ebbe come autori più significativi Christensen e Dreyer e come attrice particolarmente importante Asta Nelsen, un’attrice che impostò su nuove basi la recitazione cinematografica, liberandosi dei condizionamenti del palcoscenico e dalla mimica del primo cinema muto; divenne il simbolo di una nuova sessualità aggressiva, il prototipo delle vamp che costituiranno le costanti del divismo. In seguito si trasferì in Germania e andò ad utilizzare quella drammaturgia meno banale con temi di più profonda risonanza sociale e umana che fecero sì che quelli fossero gli anni più brillanti della sua carriera. 
 Quanto a Christensen, egli fu uno dei registi più capaci di usare sia la luce artificiale che la luce naturale, le ombre e il controluce. 
 In Svezia invece fu Magnusson a dare il via con i suoi primi film e la sua organizzazione a una regolare produzione di film.
 Gli autori più importanti del periodo furono Sjöström e Stiller. 
 Stiller sembrava più interessato a questioni di linguaggio mentre Sjöström cercava di utilizzare il cinema per giungere a una introspezione psicologica del personaggio. 
 I primi importanti film di Sjöström furono Ingeborg Holm, C’era un uomo e I proscritti, dove si nota l’importanza della presenza costante del rapporto tra natura e uomo. Questo culto della natura non era comunque del solo Sjöström ma era un aspetto basilare della cultura scandinava. 
 Uno dei suoi film più importanti fu comunque Il carretto fantasma, storia di un 20 martedì 13 marzo 2018 alcolizzato che si redime, e può essere considerato anche il canto del cigno di questo regista. Trasferitosi a Hollywood riprese la sua poetica ricorrente del rapporto uomo-natura. 
 Per quanto riguarda Stiller, anche nella sua opera il paesaggio è importante, ma rientra in una visione panica della vita dove l’uomo è un elemento del tutto, quindi Stiller fu soprattutto epico e lirico. I suoi due film dove questa poetica è più manifesta sono sicuramente Il tesoro di Arne e La saga di Gösta Berling. Capitolo 5. 
 La grande stagione del cinema muto americano (1918-29) HOLLYWOOD NEGLI ANNI VENTI Gli anni della Prima guerra mondiale, che videro gli Stati Uniti soprattutto come spettatori del conflitto bellico, furono gli anni che segnarono il consolidamento di Hollywood come capitale mondiale del cinema. Da un lato l’isolazionismo americano, dall’altro la creazione di una industria cinematografica che ormai aveva solidissime basi finanziare, una organizzazione tecnica pregevole, vasti canali di distribuzione commerciale e una numerosa schiera di artisti, contribuirono a creare un tipo di cinema prettamente americano, che si andò sempre più identificando con Hollywood, assunta ormai come simbolo cinematografico universale. Da Hollywood giunsero infatti quei prodotti sempre più levigati che invaderanno gli schermi di tutto il mondo. Negli anni Venti, il cinema Hollywoodiano, forte anche del contributo di non pochi registi e attori europei, si sviluppò in varie direzioni, ben riflettendo la complessità e le contraddizioni del periodo. 
 La forza del cinema americano aveva alle spalle quella potenza economica che gli Stati Uniti erano riusciti a diventare grazie alla Prima guerra mondiale. 
 Una potenza che consentiva al cinema una grande disponibilità di capitali e investimenti finanziari. 
 Un aspetto fondamentale della solidità dell’industria cinematografica americana fu il suo carattere verticale, che faceva sì che le principali compagnie controllassero l’intero ciclo produttivo fino al possesso delle sale di proiezione 
 Quando le case di produzione davano i loro film a sale non appartenenti al loro circuito, imponevano il sistema del Block booking, che costringeva gli esercenti a noleggiare un tot di altri film dalle prospettive commerciali decisamente inferiori. Il cinema comunque stava cercando di guadagnare una sorta di nobilitazione e rispettabilità maggiore, come è evidente per la formazione della Motion Picture Producers and Distributors Association (MPPDA), un’organizzazione atta a regolamentare il contenuto morale dei film. Un’altra tendenza di questo decennio fu la “politica d’acquisto” di alcuni dei maggiori talenti del cinema europeo, gatto che oltre a dare il via a una sorta di migrazione dall’Europa, attesta il ruolo dominante del cinema americano sul piano internazionale. Alcuni non riuscirono ad integrarsi, altri invece ci riuscirono e 21 martedì 13 marzo 2018 realizzarono alcune delle opere più importanti. (Lubitsch, Murnau, Greta Garbo, Sjöström, Stiller..) Gli anni Venti vedono anche continuare il discorso di affinamento del linguaggio cinematografico già intrapreso negli anni precedenti, soprattutto verso quella trasparenza della rappresentazione e cancellazione degli effetti di montaggio. Si trattava di attenuare gli effetti di discontinuità della scrittura cinematografica, di rendere più fluida possibile la rappresentazione filmica. 
 Anche su un piano più strettamente tecnico il decennio vide diversi passi in avanti o cambiamenti. Si sviluppò sempre di più l’uso della luce artificiale e si elaborò il sistema a tre luci (la principale, quella di riempimento e il controluce). Si diffonde anche la prassi di tenere a fuoco l’avan-piano dell’immagine e di sfocare lo sfondo (effetto flou), il che riduce l’importanza della profondità di campo. 
 
 Si sviluppò un cinema di generi che si impose nella sua struttura artistica e produttiva, garantita dal marchio di fabbrica hollywoodiano delle principali case cinematografiche, ovvero le Tre Grandi (Paramount, MGM, First National) e le Cinque Piccole (tra cui la Universal, la Fox e la WArner Bros). Hollywood significò anche il mondo irraggiungibile dei nuovi dei della mitologia cinematografica. Attori, registi e divi che guadagnavano somme di denaro altissime e conducevano una vita diversa da quella degli altri uomini, si potevano permettere lusso e sfarzo ma anche libertà di costumi e atteggiamenti che la tradizione e la moralità non accettavano. 
 Personaggi che sicuramente bisogna ricordare sono Mary Pickford e Douglas Fairbanks. 
 Lei, poteva essere ancora ancorata alle tradizioni dell’America puritana, e successivamente diventò anche una sorta di propagandista dell’american way of life. 
 Fairbanks invece fu il modello del nuovo americano uscita dal conflitto bellico per affrontare coraggiosamente la realtà quotidiana. 
 Al polo opposto di questo divismo educativo ed edificante, c’era quello conturbante e languido di Theda Bara e di Rodolfo Valentino, i due maggiori rappresentanti dell’America hollywoodiana degli anni folli. Theda Bara ebbe il suo grande momento di successo gli anni della prima guerra mondiale, ma il suo personaggio di femme fatale, aggressiva, fu il simbolo della femminilità opposta a quella casalinga e ingenua della Pickford. 
 Rodolfo Valentino fu il simbolo invece dell’amante latino, appassionato e bello, dai tratti romantici ma senza le smancerie dei belli dell’anteguerra. 
 Parlando invece di REGISTI, in quegli anni sicuramente bisogna ricordare come “mito” De Mille, che costruì la sua fama di regista su un grande senso dello spettacolo. 
 Sperimentò numerosi film, da I prevaricatori a I dieci comandamenti, spaziarono per diversi generi, ma in ogni caso realizzava grandi spettacoli. CHARLES SPENCER CHAPLIN A guardare le prime comiche di Chaplin si fa fatica a distinguerle da quelle di Mark Sennett, infatti i primi film non uscivano dagli scemi senettiani che impedivano l’approfondimento psicologico dei personaggi o quelle variazioni tematiche che 22 martedì 13 marzo 2018 serie di lungometraggi. 
 Il periodo aureo di Keaton, Lloyd e Langdon ha termine con l’avvento del sonoro, e l’unico che riuscì affrontò le problematiche del parlato fu Chaplin. 
 Il volto immutabile e pietrificato di Buster Keaton sembrò insufficiente a interpretare la complessa realtà umana, veniva definito “l’uomo che non ride mai”; tutto ciò però non escludeva il successo del pubblico: i film di Keaton facevano ridere, erano pieni di gags. 
 I film di Keaton appaino ancora oggi d’una sorprendente attualità. 
 La sua recitazione controllatissima e quasi innaturale, gli sviluppi delle avventure, si pongono su un piano espressivo alquanto differente da quello degli altri comici suoi contemporanei. 
 Più che all’apparenza delle cose Keaton era interessato alla loro essenza. 
 Lontano da un’adesione sentimentale ai fatti della vita, in una posizione di atarassia di fronte alle vicende umane, egli appare nella sua solitaria fiera di osservatore del mondo e della società, come nel film “Come vinsi la guerra” del 1926. 
 L’universo keatoniano è uno specchio deformante della realtà fenomenica. 
 Il discorso di Keaton si allarga a comprendere un’analisi del fenomeno cinematografico e delle possibilità della cinecamera di rappresentare la realtà, e verrà rappresentato in “Il cameraman”. La sua recitazione e quella degli altri autori, sotto la sua direzione, furono tenute su un piano di uniformità, quasi di astrattezza, al di fuori dei canoni dello psicologismo e del naturalismo. 
 Per quanto riguarda gli altri attori comici, come Lloyd e Langdon, il primo costruì una comicità basata sul personaggio di un giovanotto americano impacciato e timido, pronto ad affondare i rischi più vari per amore della sua ragazza; il secondo invece elaborò una comicità in cui l’elemento patetico e malinconico aveva una funzione non trascurabile. Verso la crisi del comico legato al muto, il divismo comico ebbe comunque una leggera ripresa per un decennio e gli artefici furono il registra Roach, e gli attori Laurel e Hardy.
 Questa comicità sottolineava la staticità della situazione comica, ed era basata sulle reazioni psicologiche dei personaggi a una data situazione abnorme e prendeva l’avvio da un banale incidente. Ovviamente la dimensione ideale di questo tipo di comicità era il cortometraggio. VERSO UN CINEMA SOCIALE Il sistema filmico americano costituiva un complesso unitario di prodotti, nonostante le differenze tra autore e autore. 
 La macchina cinematografica hollywoodiana aveva raggiunto un grado di perfezione tecnica e organizzativa. 25 martedì 13 marzo 2018 Tuttavia questa prevalenza degli interessi industriali e commerciali, non precluse la possibilità ad artisti ed intellettuali di sviluppare un discorso critico sulla realtà contemporanea, sui problemi umani e sociali di quegli anni. Il più significativo e noto di questi registi è King Vidor, il cui discorso umanitario era affidato soprattutto ai sentimenti come la commozione. 
 Film da ricordare sono “La grande parata” del 1925, un film pacifista, oppure “La folla” del 1928, in cui venivano raccontate le miserie della vita quotidiana e si pone uno sguardo amaro e ironico sul sogno americano e il mito del self made man. Gli stessi elementi li ritroviamo anche in un altro regista, che fin dai primi anni Venti godette del favore del pubblico e della stima della critica: Henry King. Questo regista basò la sua produzione cinematografica sui buoni sentimenti, sui contrasti drammatici elementari, sul moralismo; il suo film più importante è sicuramente “L’uomo e la bestia”, soprattutto per il realismo con cui riuscì a descrivere la provincia americana. 
 
 Per quanto riguarda il western, si sviluppò su linee di maggior respiro epico, in cui l’azione lasciava posto alla descrizione ambientale.
 Due rappresentanti di questo tipo di western sono stati James Cruze e John Ford. ROBERT FLAHERTY E LA NASCITA DEL DOCUMENTARIO L’alternativa al cinema spettacolare ci venne presentata da Robert Flaherty. Nasceva con lui un nuovo modo di rappresentare la realtà, non soltanto perché i suoi personaggi erano tratti da una storia e da una realtà non manipolata, ma anche perché la cinecamera non si sovrapponeva mai alla verità dell’immagine. Flaherty affermava che il cinema era compartecipe della vita dell’uomo, di cui poteva mettere in luce e diffondere l’autenticità, una volta che le singole immagini fossero il risultato di un attento studio della situazione ambientale. 
 Nasceva insomma un cinema documentaristico che poneva le basi di quello che sarebbe stato molto più tardi il cosiddetto cinema-verità. E per raggiungere un alto grado di verità, in fase di montaggio e di selezione del materiale occorreva non soltanto che i protagonisti della storia fossero pienamente coscienti della presenza della cinecamera e agissero di conseguenza, ma anche che le singole riprese fossero sufficientemente lunghe da consentire che una data azione si compisse senza fastidiose interruzioni. Questo modo di far cinema si basava sulla coscienza che l’intervento della macchina da presa sulla realtà la modifica, ed è proprio testa rialza modificata dall’osservatore a fornire gli elementi più validi per mettere in luce la sua autenticità. Nel 1920 Flaherty intraprende un nuovo viaggio cinematografico nelle desolate regioni artiche canadesi e dopo due anni nel 1922 riporta “Nanuk l’esquimese”, dove la telecamera si limita a seguire Nanuk nelle sue faccende domestiche e nei suoi lavori abituali. Ma non siamo sul piano del documentario passivo e freddo perché i personaggi del film partecipano direttamente a quanto sta succedendo attorno a loro. 
 Nanuk non fece successo ma il suo successo mondiale fece sì che la Paramount decidesse di finanziare la lavorazione di “Moana”, del 1925, che descrive la vita, i costumi, le usanze di un popolo che vive allo stato di natura, e ancora una volta la cinecamera segue i personaggi, si sofferma su luoghi e paesaggi. Moana fu per Flaherty il primo episodio di una trilogia sui Mari del Sud che egli andò componendo negli anni seguenti: il secondo episodio è “Ombre bianche” del 1928, 26 martedì 13 marzo 2018 il terzo è “Tabù” , ma c’è da sottolineare che questi due episodi seguenti furono notevolmente manipolati da altri autori e persero la poetica di Flaherty. Trasferitosi in Gran Bretagna, Flaherty girò quello che da molti viene considerato il suo capolavoro, ovvero “L’uomo di Aran”, in cui le diverse componenti della sua arte trovarono una sintesi formalmente rigorosa. Narra la vita di un pescatore delle isole Aran al largo dell’Irlanda; Flaherty osserva con occhio non passivo, ma attentissimo ai casi altrui e alle loro motivazioni ambientali e psicologiche, uomini che vivono a contatto con una natura arida, nemica, e che riescono, nonostante tutte le avversità, a costruirsi una loro vita. Il film “The Land", del 1942 non fu presentato che molti anni più tardi, a causa della crudezza della rappresentazione. Questo film si inseriva in una situazione storica che aveva visto l’affermarsi di un documentassimo impegnato socialmente e politicamente. 
 Il suo ultimo film, “Louisiana Story” del 1946-48 riconferma l’interesse di Flaherty per i rapporti che si determinano tra l’uomo e l’ambiente in un particolare condizione, in questo caso l’abbandono forzato di terre malsane da parte di pochi cajun al sopraggiungere dell’industrializzazione della zona. Capitolo 6. L’avanguardia cinematografica. DALLA TEORIA ALLA PRATICA Le prime formulazioni teoriche del cinema come arte risalgono ai primi anni Dieci, quando attraverso scritti occasionali saggi e libri di maggior mole i problemi dell’autonomia espressiva del nuovo mezzo sono messi a fuoco con sufficiente chiarezza. È soprattutto dopo la Prima guerra mondiale che lo studio del cinema da un punto di vista estetico è impostato su basi rigorose e porta a risultati di grande interesse e valore. 
 Ma tutti questi scritti teorici si richiamano anche ai manifesti degli artisti, alle dichiarazioni di poetica, a quegli articoli pubblicati su riviste d’avanguardia che avevano dedicato un’attenzione non superficiale ai problemi del cinema. Questi teorici che tentano di comprendere e definire la natura del nuovo mezzo espressivo osservano anche la produzione irregolare, i film sperimentali realizzati da artisti indipendenti. Nei film d’avanguardia, che in tutta la loro artigianalità rifiutano il cinema ufficiale e le sue leggi, la sperimentazione tenta di realizzare le possibilità del cinema come una forma di espressione davvero autonoma. Va subito fatto cenno al “Manifesto della cinematografia futurista” del 1916; al di là dei limiti obiettivi dell’esperienza futurista, è proprio nel suo ambito che il cinema è analizzato come mezzo autonomo di espressione, che può godere del vantaggio di essere privo di passato e libero da tradizioni. Il cinema è pensato come un mezzo che deve creare una nuova realtà sensibile, e non limitarsi a riprodurre la realtà fenomenica secondo schemi letterali o teatrali o anche semplicemente fotografici. 
 Questo complesso di dichiarazioni programmatiche, di considerazioni teoriche e di sperimentazioni pratiche costituisce il terreno su cui si comincia a costruire un cinema antispettacolare. 27 martedì 13 marzo 2018 In queste opere importante da sottolineare è il disprezzo della tecnica e la preminenza del contenuto sulla bella forma. La trascuratezza formale con cui essere sono realizzate è l’unica via d’accesso all’autenticità di quell’azione e di quel pensiero.
 Ovviamente la violenza espressiva era intollerabile per quegli anni, tanto che alcuni film furono vietati. DISCORSO SULLA TECNICA Al di là delle avanguardie che ebbero un totale disprezzo per la tecnica, vi furono invece degli artisti che vollero indagare attentamente tutte le possibilità espressive che il linguaggio cinematografico consentiva. Tra i più interessati ricercatori e sperimentatori che tentarono, sul piano teorico e su quello pratico, di analizzare compiutamente i caratteri espressivi del cinema per una nuova visualità, vi fu Moholy-Nagy. Egli sviluppò una nuova arte della luce, poiché vedeva il cinema come ampliamento delle facoltà visive soprattutto, e acustiche, dell’uomo. Ricordiamo due film: “Gioco di luci nero, bianco, grigio” del 1930 sperimentato la luce esterna sulle riprese ma anche il cinema stesso come strumento che produce particolari effetti luminosi e cinetici; “Tönendes ABC” che apporta una serie di sperimentazioni nel campo del suono sintetico, cioè la creazione del suono da parte della cellula fotoelettrica, con un nuovo alfabeto musicale. Capitolo 7. Il cinema nell’Unione Sovietica. VERSO UN CINEMA RIVOLUZIONARIO Il cinema russo si era sviluppato su basi artistiche e industriali non molto dissimili da quelle degli altri Paesi europei e degli Stati Uniti, affermandosi negli anni della Prima guerra mondiale per una sua non disprezzabile qualità formale e per un buon livello tecnico. La violenta cesura della Rivoluzione nella storia della Russia, che modificò radicalmente le strutture della società e i rapporti di produzione, non poteva non riflettersi sull’arte e sulla letteratura, e sullo spettacolo come luogo d’incontro delle diverse classi sociali. In questo mutato clima, il cinema subì un arresto. Col trionfo della Rivoluzione d’ottobre e la riorganizzazione dello Stato, anche il cinema subì una serie di modificazioni strutturali che lo porteranno su un piano totalmente diverso da quello in cui si era sviluppato. Fra il 1917 e il 1918 le più importanti società di produzione russe chiusero i battenti e le responsabilità del settore cinematografico furono assunte dal Commissariato popolare per l’istruzione. Quando nell’agosto 1919 si procedette a nazionalizzare l’industria cinematografica, la situazione era alquanto critica: mancavano le attrezzature, scarseggiava il personale e la pellicola, la rete delle sale cinematografiche andava ristrutturata. Il cinema doveva innanzitutto istruire e documentare, costituire un mezzo primario di educazione del popolo, sia per le sue intrinseche proprietà didattiche, sia perché ci si doveva rivolgere a un pubblico in larga misura analfabeta. Questo intento, che troverà la sua più rigorosa applicazione nei film documentari e di attualità, costituirà il punto di partenza per soggetti e sceneggiature dei film 30 martedì 13 marzo 2018 spettacolari, la cui realizzazione si intensificherà a partire dal 1920 e giungerà la sua più alta espressione nel periodo della Nep. Questo nuovo interesse dei dirigenti sovietici per il cinema facilitò la ripresa della produzione cinematografica e consentì quella riorganizzazione dell’industria su nuove basi che fornirà le strutture portanti di un cinema autenticamente nuovo. Nel 1922 nacque la prima Scuola statale di cinematografia. Lo stesso anno fu fondata anche la Goskino, a cui va il merito di aver prodotto, nel 1925, La corazzata Potëmkin. Si aggiunse poi la Sovkino, strettamente legata alla politica governativa. Si deve sempre avere presente nell’esame di na produzione come quella sovietica che il cinema seguì abbastanza rigidamente l’evoluzione politica dello Stato, sicché il lavoro di registi e sceneggiatori fu il più delle volte condizionato da programmi elaborati in sede politica, e ciò si manifestò soprattutto negli anni Trenta con il cosiddetto “realismo socialista”. Nel periodo precedente, il cinema comunque godette di una maggiore autonomia e questi registi innovatori riuscirono a sviluppare il loro discorso con una relativa libertà, anche se la loro continua sperimentazione fu alquanto breve. Nel 1930 fu fondata la Sojuzkino, incaricata di presiedere a tutte le produzioni delle repubbliche socialiste sovietiche, nonché a distribuzione ed esercizio. Se il rapporto con la politica condizionò il cinema sovietico degli anni Venti, un altro aspetto che determinò fortemente i caratteri fu il fatto che esso si venne a trovare al centro del dibattito estetico che si andava sviluppando nei circoli dell’avanguardia artistica e letteraria. Numerosi interventi e teorie vennero pubblicati su riviste come Lef o Kinofot; si deve però tener presente che il lavoro di questi artisti si svolse nel vivo di una lotta politica e di una trasformazione sociale che gli altri paesi europei non vissero, e quindi i singoli problemi formali o i dibattiti teorici erano continuamente rapportati alla situazione storica. Dei diversi movimenti che determinarono il cinema rivoluzionario sovietico, il ruolo preminente lo ebbe il Costruttivismo, che sosteneva la funzione sociale dell’arte e concepiva il creatore non tanto come un artista ispirato, quanto come un artigiano. IL CINE-OCCHIO DI DZIGA VERTOV Nel dibattito culturale dei circoli d’avanguardia sovietici un posto di primo piano spetta certamente all’opera teorica e pratica di Dziga Vertov. I suoi manifesti programmatici, i suoi film di maggiore respiro, sono tra i più ampi risultati di un cinema nuovo e vero. Dziga Vertov si accostò al cinema negli anni della guerra civile collaborando al cinegiornale Kinonedelja, dedicandosi alla selezione del materiale cinematografico e al montaggio. 
 Fu questo lavoro a spingerlo indagare la natura del mezzo e a creare un gruppo di cineoperatori che egli chiamò kinoki, che costituì poi una precisa tendenza teorica oltre che pratica. 
 Il cinema vertoviano intendeva operare un superamento radicale del cinema spettacolare, a soggetto. La negazione dell’attore e dell’eleborazione drammatica e narrativa della realtà, è strettamente legata all’affermazione di un cinema che vuole cogliere la vita alla sprovvista, e sappia fondarsi sulle immagini-fatto. Queste immagini fatto però devono poi essere manipolate e produrre immagini nuove che diano della realtà fenomenica la corretta interpretazione critica e siano in grado di 31 martedì 13 marzo 2018 esprimere il punto di vista del proletariato. Da qui nasce la necessità dei trucchi (sovrimpressioni, schermi divisi, accelerati, rallentati), e soprattutto del montaggio, che Vertov intende non solo per ciò che concerne il rapporto tra le inquadrature, ma come metodo che presiede alle diverse fasi della realizzazione del film. È in questa luce che devono essere considerati gli anni più intensi dell’attività cinematografica di Vertov che vanno dalla realizzazione di Kinoglaz a quella di Sinfonija Donbassa. Più compiuti risultano i film successivi in cui l’impiego dei vari procedimenti tecnico- espressivi già sperimentati nel film precedente subiscono una sorta di revisione teorica. 
 Il film che però può essere considerato il capolavoro di Vertov è “L’uomo con la macchina da presa” del 1929, in cui la pratica cinematografica e la teoria estetica paiono fondersi in un’opera che ha tutti i caratteri, inconsueti, di trattato teorico e tecnico sul cinema. Il film infatti, ha sì come soggetto la vita di una grande città, ma parla di se stesso in quanto film: è cioè un saggio di metacinema, di un cinema che si interroga sul proprio linguaggio. Esso è il frutto di un paziente e approfondito lavoro di ricerca teorica e pratica nel vivo confronto con la nuova realtà dell’Unione Sovietica. Il film segnò il punto pilato della sperimentazione di Vertov, ma segnò anche la fine di un periodo tra i più significativi della storia del cinema. L’opera seguente di Vertov infatti, si svolgerà sui binari tranquilli del realismo socialista. Il continuo richiamo a Lenin in “Tre canti su Lenin” si colora sì dei toni dell’esaltazione celebrativa ma può essere una sorta di difesa dalle invadenze della burocrazia. DA LEV KULEŠOV A VSEVOLOD PUDOVKIN Nei medesimi anni in cui Vertov si occupava di cinegiornali d’attualità, anche Lev Kulešov girava film documentari dal fronte, seguendo la situazione politica e militare dell’Unione Sovietica all’indomani della Rivoluzione. Il nome di Kulešov è in particolare legato ai suoi esperimenti sul montaggio, che diedero vita al cosiddetto “effetto Kulešov”. In un’occasione il regista montò a tre identiche inquadrature del volto di un attore altrettante diverse immagini suscitando nello spettatore l’impressione che ogni volta il viso dell’attore, nella realtà sempre uguale, esprimesse diverse sensazioni o emozioni. In questo modo Kulešov voleva dimostrare come il senso non fosse generato tanto dalle singole immagini quanto dall’associazione che fra esse il montaggio creava. A differenza di Vertov che rifiutava totalmente ogni sorta di affabulazione, negando al film la finzione, Kulešov riteneva invece che lo spettacolo, come tale, potesse costituire esso stesso una nuova realtà purché il materiale cinematografico fosse impiegato in maniera corretta, cioè fuori degli schemi del cinema teatrale o del dramma borghese. Pertanto, non soltanto attori e scenografie dovevano costituire gli elementi essenziali della costruzione del film, ma non si poteva fare a meno di un soggetto, di una sceneggiatura. 
 L’importante era che tutti questi elementi fossero controllati dal regista attraverso il montaggio, fase finale del lavoro creativo ma anche base dell’intera struttura drammatica e narrativa. Kulešov prese a modello il cinema americano, in cui il montaggio aveva una funzione determinante. Il film spettacolare poteva servire ottimamente alla 32 martedì 13 marzo 2018 Dopo la realizzazione di “Ottobre”, Ejzenštejn fece un viaggio nell’Europa occidentale dove fu accolto trionfalmente; quindi andò ad Hollywood e poi si trasferì in Messico e girò per la realizzazione di un grande film epico sulla storia del Messico “!Que viva Mexico!”.
 Il fallimento dell’esperienza messicana però determinò una profonda crisi nel regista che, tornato in Unione Sovietica, non parve trovare il clima più adatto alla ripresa di una attività creativa originale. Ejzenštein fu poi incaricato di dirigere Aleksandr Nevskij, un film biografico- apologetico che rientrava nei nuovi piani culturali intesi all’esaltazione della storia passata, ma il modo in cui il regista lo strutturò denunciò l’interesse del regista per problemi di ordine estetico. L’ultimo film realizzato da Ejenštejn fu “Ivan Groznyj”, che solo marginalmente ed esteriormente può essere incluso in quel filone di film storico-biografici. 
 I due episodi su tre realizzati e completati dal regista, prima che la morte lo cogliesse, nel 1944 e nel 1946-48, sono sufficienti a indicare la vastità dei temi affrontati dal regista e la profondità di visione critica della trattazione drammatica. Il dramma di Ivan viene rappresentato anche dando particolare importanza ai dubbi e alle incertezze, perché il film volesse anche dimostrare una rappresentazione prospettica e problematica del mito del potere. Sono anche questi gli anni in cui Ejzenštejn sviluppa la sua attività teorica intorno ai concetti di organicità e pathos. L’opera d'arte secondo lui era organica quando gli elementi che costituiscono l’insieme partecipano anche di ogni suo singolo componente. 
 L’organicità dell’opera insorge quando la costruzione di essa corrisponde alle leggi di strutturazione dei fenomeni della natura.
 Tra gli elementi che possono contribuire all’organicità dell’opera c’è il pathos, ovvero ciò che costringe lo spettatore a balzare in piedi dalla sedia, a uscire da se stesso, che provoca uno stato di estasi, in quell’ek-stasis, che significa letteralmente “essere fuori di se”. LIRISMO, ECCENTRISMO E FORMALISMO Lirismo Il pittore Dovčenko è considerato dagli storici e dai critici il rappresentate più significativo del cinema epico-lirico. Certamente nei suoi film sono riscontrabili elementi autobiografia ed è avvertibile un discorso sulla natura e sull’integrazione dell’uomo nel flusso naturale, ma non si può trascurare l’intento didattico e documentaristico e il forte impegno sociale e politico. I temi della Rivoluzione, della costruzione del socialismo, sono sempre inquadrati da Dovčenko in una più ampia rappresentazione dell’uomo e della società. I primi tre film di Dovčenko (La montagna incantata, L’arsenale, La terra) sono ambientate in Ucraina, di cui il regista canta con accenti di genuina partecipazione sentimentale la bellezza. Anche egli negli anni Trenta dovette fare i conti con il realismo, ma riuscì a continuare la sua attività con maggiore coerenza, senza avere neanche grandi scompensi sul piano stilistico e formale, perché il suo fondo naturalistico non contrastava con certi presupposti del realismo socialista. 
 Il film in cui vi è la maggiore rappresentazione del lirismo e del naturalismo di Dovčenko è “Mičurin”, considerato il suo capolavoro. 35 martedì 13 marzo 2018 Eccentrismo Un posto di primo piano, nell’ambito dei movimenti che segnarono il cinema sovietico di quel perido, spetta al gruppo della FEKS (Fabbrica dell’attore eccentrico). Questi artisti elaborarono un loro programma in cui propugnavano, a fianco della rivoluzione politica e sociale, anche una rivoluzione artistica. L’eccentrismo fu propagandato con una serie di manifesti in cui si propugnava un teatro di trucco, con inseguimenti, fughe e testi improvvisati. Al cinema si dedicarono Koninčev e Trauberg, che realizzarono in questo senso un film nel 1924, “Le avventure di Ottobrina”. Nel periodo successivo i due artisti attenuarono l’eccentrismo nei loro film, pur volendo una ristrutturazione formale della realtà.
 L’opera che viene considerata la più valida fu “La trilogia di Massimo”, riducibile al genere della biografia romanzata dei grandi artefici della rivoluzione. I tre film furono comunque, pur rispettando i limiti dello schema di fondo imposto dalle circostanze politiche, un esempio originale e intelligente di superamento critico della teoria del realismo socialista. Formalismo I principali autori formalisti si ebbero a Leningrado e contribuirono a modificare anche lo stile ultimo degli autori eccentrici. Gli elementi che il formalismo si poneva di aggiungere ai film erano tratti da più ampi contesti artistici e culturali, con influenze anche letterarie e pittoriche. Capitolo 8. La grande stagione del cinema muto europeo. La fine della Prima guerra mondiale, con il crollo degli Imperi Centrali e la ristrutturazione dell’assetto europeo su basi nuove, la nascita di Stati indipendenti, la rivoluzione sovietica e le profonde trasformazioni economiche e sociali, modificò radicalmente la situazione precedente e sovvertì l’equilibrio politico. 
 In questa nuova situazione, il cinema si venne a trovare in una posizione abbastanza critica, da un lato dovendo reimpostare o potenziare il suo apparato industriale e commerciale dopo la pausa bellica, dall’altro tenendo conto di quelle esigenze nuove che affioravano qua e là in seguito alla crisi dei valori e alle trasformazioni politiche e sociali che segnarono quegli anni. In Europa occidentale il cinema attraversò così un periodo di grande incertezza, e se in alcuni Paesi come Germania e Francia, la situazione contingente, i contrasti sociali e politici, l’alto livello culturale favorirono una ripresa eccezionale, in altri si assistette ad un rapido declino. IL CINEMA TEDESCO: ESPRESSIONISMO, FILM DA CAMERA E NUOVA OGGETTIVITÀ La Germania era uscita a pezzi dalla sconfitta della Prima guerra mondiale, schiacciata dai debiti verso la Francia e la Gran Bretagna, e vittima di una inflazione senza precedenti. Tale situazione non incise però negativamente sull’industria cinematografica che riusciva a vendere i suoi film negli altri paesi europei a prezzi estremamente competitivi. 36 cinema tedesco anni 20 martedì 13 marzo 2018 Due fatti che favorirono lo sviluppo del cinema dagli anni Venti furono la scelta del governo di bloccare durante gli anni della guerra l’importazione di film, e la nascita nel 1917 della UFA, una casa di produzione che giocherà un ruolo di primo piano nel mondo del cinema tedesco. Sebbene i generi che nel dopoguerra ottennero un maggiore successo di pubblico fossero i film storici in costume e le commedie, le tendenze estetiche più importanti del cinema tedesco degli anni Venti sono l’Espressionismo, il Teatro da camera e la Nuova Oggettività. ESPRESSIONISMO Si afferma in ambito pittorico verso la fine del primo decennio del Novecento con la formazione del gruppo Die Brücke nel 1906 e del gruppo Die Blaue Reiter nel 1911. Ciò che caratterizza il movimento espressionista è il ricorso a un segno distorto, come sforzo esasperato di esternazione di sentimenti interiori, nel più totale discredito di ogni logica di verosimiglianza naturalistica. A lungo il cinema degli anni Venti fu identificato con l’espressionismo, ma questa non fu che una delle tendenze. “Il Gabinetto del dottor Caligari” del 1920 fu considerato il prototipo del cinema espressionista, sebbene vi siano presenti anche componenti legate al romanticismo. Il film narra la storia del dottor Caligari il quale si serve di un sonnambulo per compiere i suoi delitti e una volta scoperto e arrestato, fugge e si nasconde in un ospedale psichiatrico diventandone il direttore. 
 Va visto come il caso più radicale di quella tendenza del cinema espressionista tedesco definita appunto Caligarismo. L’espressionismo cinematografico si caratterizza soprattutto per il suo lavoro di messinscena che si concentra sul contenuto dell’inquadratura e sulla costruzione di uno spazio dove gli elementi puramente grafici hanno la meglio sulla simulazione del reale. Le scenografie assumono un carattere decisamente alterato, frutto di una deformazione che procede per linee sghembe, oblique, a zigzag che falsano la prospettiva. Il dolore, l’angoscia, le paure, le ossessioni dei protagonisti sono così impressi nello spazio rappresentato, che si impregna della loro anima. La recitazione è altrettanto sopra le righe, spinta al parossismo, e caratterizzata da un uso accentuato del movimento. La luce gioca su evidenti contrasti, sul rapporto chiari scuri, su spazi bui in cui solo qualcosa è illuminato, sulla presenza di ombre minacciose. Il montaggio è assai parco, il ritmo è lento, gli stacchi sono ridotti al minimo. 
 Sul piano narrativo i film espressionisti hanno per protagonisti degli emarginati: esseri ossessionati, frustrati e angosciati. Si ritrova quindi in queste opere un senso di angoscia esistenziale, l’irrazionalità della condizione umana che riflette forse inconsciamente quella della Germania sconfitta del dopoguerra. 
 Alcuni film sono “Lo studente di Praga”, “Il Golem”, “Il gabinetto delle figure di cera”. TEATRO DA CAMERA Una figura chiave del cinema tedesco degli anni Venti fu lo sceneggiatore Carl Mayer. Rispettando le origini teatrali, anche i film del “Teatro da camera” si fondavano sulla regola delle tre unità, su pochi interpreti, sulla funzione evocativa dei dettagli e sul 37 martedì 13 marzo 2018 Nei primi film è riscontrabile un certo mito romantico, come ne “I Nibelunghi” 1923-24, sviluppato in due episodi in tono epico, e “Metropolis”1926 in cui la dinamica dello spettacolo fine a se stesso cede il posto a considerazioni umane e sociali più profonde. Questa consapevolezza delle relazioni che legano il singolo alla collettività si fa più chiara anche nei film ambientati nel presente, come “Il dottor Mabuse” e il suo seguito “Il testamento del dottor Mabuse” 1921-22. I film di Lang comunque ci danno un ritratto prospettico e autenticamente drammatico della realtà sociale della Germania post bellica fino all’avvento di Hitler nel 1933. Quando si trasferì negli Stati Uniti perché si rifiutò di collaborare col nazismo, elaborò due film, “Furia” e “Sono innocente”, che fornivano un attento studio della società americana degli anni Trenta. È da sottolineare comunque che Lang di film in film abbandoni sempre più le regole della drammaturgia classica per concentrare l’attenzione sulla meccanica del racconto. Al centro dei suoi film c’è il più delle volte il colpevole-innocente, un personaggio ambiguo in una situazione anch’essa ambigua, di cui non è facile definire le esatte componenti. ERNST LUBITSCH E L’ARTE DELLA COMMEDIA Fu Hollywood a consentire a Lubitsch di esplicare compiutamente la sua poetica di uomo di spettacolo, bisognoso di grandi mezzi, di scenografie sontuose, di attori noti, che le strutture del cinema tedesco degli anni Venti solo in parte possedevano. A una prima analisi, il miglior cinema di Lubitsch è proprio quello in cui personaggi e ambienti totalmente affabulati servono da elementi per una sorta di balletto condotto sul filo di una intelligenza sottile e di una visione ironica dell’esistenza. Dietro lo scherzo elegante, l’ammiccamento intelligente però, c’è un discorso sulla solitudine dell’uomo, e sono i suoi sforzi per apparire allegro, brillante, mondano, a denunciare un certo disagio esistenziale. Comunque saranno i film storici e drammatici realizzati tra il 1918 e il 1922 a imporre il nome di Lubitsch all’attenzione del pubblico e della critica. 
 Contemporaneamente ai film di grande spettacolo, Lubitsch riprendeva quell’umorismo che aveva ampiamente trattato nei suoi iniziali cortometraggi comici. Il successo dei drammi storici e delle commedie di costume aprirono a Lubitsch le porte di Hollywood, e il regista riuscirà a inserirsi perfettamente nel nuovo ambiente cinematografico. Lubitsch realizzerà la sua poetica in uno stile fatto di allusioni, di discrezione, di ammiccamenti e doppi sensi che sarà sintetizzato nella formula “The Lubitsch Touch”. È soprattutto con l’avvento del sonoro, che la leggerezza della sua regia, anziché appesantirsi col dialogo, si fece più evidente per il geniale accostamento di parole, suoni e rumori. Il contributo più originale di Lubitsch al cinema hollywoodiano rimane sempre quello della commedia sofisticata. Ormai completamente americanizzato, Lubitsch seppe introdurre nelle sue opere un carattere personale che le riconduceva a quel clima di vecchia Europa in cui si era formato, inserendo osservazioni sulla fragilità della condizione umana e sulla relatività delle convenzioni morali e sociali. 40 martedì 13 marzo 2018 I PROBLEMI SOCIALI E IL CINEMA DI PABST Nel cinema muto, rispetto alle altre correnti e tenenze, fa riscontro un intento sociale, di documentazione critica di alcune situazioni umane, che si andava affermano di anno in anno, mano a mano che il cinema si accostava ai problemi quotidiani, alla realtà di ogni giorno. Questo interesse per i problemi quotidiani, visti da un’angolazione fortemente critica, seppure venata da un pessimismo, lo troviamo in Georg Wilhelm Pabst; infatti quest’ultimo influenzerà non pochi registi tedeschi degli anni Venti e il suo stile oggettivò sarà imitato perchè integra il dramma del singolo nel più vasto dramma collettivo. Pabst creò uno stile personale e affrontò temi e argomenti che o erano trattati in termini generici e melodrammatici, o erano in larga misura vietati. Egli tentò la strada del cinema sociale, realistico, anche se venato da un certo romanticismo, e sperimentando con acume le varie possibilità espressive del mezzo cinematografico ma sempre in rapporto alla materia affrontata. La dimensione sociale del cinema di Pabst è attestata dal dramma di strada “La via senza gioia” del 1925 che narra la storia di due donne di umili origini (Greta Garbo e Asta Nielsen) che vedono minacciata la loro integrità morale dalla miseria e dalla corruzione. Oltre al suo realismo sociale, il film presenta anche il realismo di tipo psicologico, particolarmente legato ai personaggi femminili. Pabst approfondisce poi il discorso in tre film che comunemente sono uniti sotto la definizione di “trilogia sessuale” e che affrontano i temi della condizione della donna nella società borghese contemporanea e i problemi relativi una correlata educazione sessuale (“Crisi” 1928, “Lulù” 1928 e “Il diario di una donna perduta” 1929). Dopo questa trilogia, in cui la donna era al centro del dramma e costituiva una sorta di veicolo simbolico per un’ampia indagine dei conflitti psicologici, Pabst tornò ai problemi sociali e politici risolti però in chiave individualistica e umanitaria. Basta osservare i tre film della cosiddetta “trilogia sociale” che sono “Westfront” 1930, “L’opera da tre soldi” 1931 e “La tragedia in miniera” 1931. Nel primo il pacifismo e l’antimilitarismo derivano dalla semplice descrizione degli orrori della guerra; nel secondo la satira antiborghese e la descrizione dei vizi della società si stemperano in un semplice spettacolo; nel terzo, il dramma di minatori francesi rimasti bloccati e salvati da soccorritori tedeschi, si risolve in un generico appello alla fratellanza universale. L’involuzione artistica di Pabst e di uno stile che divenne sempre più maniera si fece evidente nelle sue opere successive. Con l’avvento del sonoro, l’esodo di alcuni dei più prestigiosi registi e attori, la crisi economica, il cinema tedesco si stava avvicinando alla fine. AI MARGINI DELL’AVANGUARDIA: L’IMPRESSIONISMO FRANCESE Il cinema francese uscì dalla prima guerra mondiale in una situazione alquanto difficile, subendo la concorrenza del cinema americano ma anche quella dell’industria cinematografica tedesca. Se le principali case cinematografiche (Pathè e Gaumont) si erano limitate a distribuzione ed esercizio, lasciando la produzione a case minori, nel frattempo si era sviluppato un ampio dibattito teorico riguardo al mezzo cinematografico. 41 martedì 13 marzo 2018 In questo contesto emerse una nuova generazione di cineasti che diede vita quello che fu definito l’impressionismo francese, una tendenza che cioè voleva accentuare i caratteri formali, descrittivi, visivi, del linguaggio cinematografico, dando rilievo all’immagine, al ritmo, alla figurazione, spesso funzionali all’indagine psicologica. Ispirato al naturalismo zoliano o alla pittura impressionista, questo movimento sviluppò una produzione di qualità che voleva creare uno stile francese di grande prestigio culturale. Dal punto di vista teorico, il cinema era per questi cineasti un’arte che si legava alle altre arti, ma allo stesso tempo un’arte del tutto nuova; perciò tentano di creare un linguaggio visivo, universale. Un concetto che godette di particolare fortuna nella riflessione degli impressionisti fu quello di FOTOGENIA, con cui si può intendere il valore aggiunto che l’immagine cinematografica attribuisce a un volto o a un oggetto. Cinema di pura visibilità piegato alla volontà di esprimere i sentimenti dei personaggi, le loro impressioni su se stessi e il mondo che li circonda, il cinema impressionista è un cinema fortemente soggettivo, a volte un vero e proprio percorso della psiche. Se nel complesso le storie narrate dai film impressionisti risultano abbastanza convenzionali, presentavano tuttavia la soggettività testimoniata dal frequento uso di ricordi, fantasticherie e sogni. L’avvento del sonoro finì per segnare la fine del movimento. Ruoli importanti nel cinema impressionista li ebbero: LOUIS DELLUC: Sviluppò un discorso sul cinema come forma originale d’espressione artistica sia nei suoi scritti che nei suoi film. ABEL GANCE: Di questo autore si ricordano principalmente due film, ovvero “La Rosa sulle rotaie” 1922, un dramma d’amore e di morte, e “Napoleone” 1925-27, il cui soggetto non esce dai canoni del cinema storico-romanzato, narrando la vita di Napoleone, ma lo stile si fa debordante e di grande spettacolarità. MARCEL L’HERBIER: Egli sviluppò invece uno stile di cinema che fosse il più possibile lontano dalla letteratura e dal teatro, stando attento ai valori prettamente figurativi e dinamici della storia. 
 Si ricordano di questo autori film come “Eldorado” 1921, “Futurismo”1921 o “Il fu Mattia Pascal”, e in tutti si riscontra una particolare attenzione alle scenografie, il bisogno di curare nei minimi dettagli l’inquadratura come se fosse un quadro. 
 Il film dove è più evidente questo suo tecnicismo è “L’argent” 1929, in cui si notano numerosi movimenti di macchina quasi virtuosistici. GERMAINE DULAC: A questa autrice è attribuito il compito di aver promosso la realizzazione della cosiddetta cinematografia integrale, ovvero libera da ogni condizionamento con la letteratura e il teatro. Più che con i film, è con gli scritti che approfondì il discorso sulla cosiddetta musica visiva. JEAN EPSTEIN: Si affermò fra i propugnatori di un cinema lirico e poetico, ma concepito anche come strumento di conoscenza. 42 martedì 13 marzo 2018 Con l’avvento del sonoro inoltre venne meno anche l’hic et nunc che poteva ancora sussistere nel muto. Un lato positivo del sonoro fu sicuramente il fatto che permetteva di rendere più coese le inquadrature di un film, il suono procede in modo fluido e continuo. Oltre a dare comunque maggiore impulso il lavoro degli sceneggiatori, che dovevano ora scrivere per intero i dialoghi di un film, si istituzionalizzò anche la figura dell’autore delle musiche. Gli anni Trenta videro anche importanti innovazioni come l’uso del Dolly e delle gru, che permisero più elaborati e spettacolari movimenti di macchina, e anche il perfezionamento del Technicolor, che consentì la realizzazione di pochi ma spettacolari film come “Il mago di Oz” 1939. Per quanto riguarda il dibattito riguardo il sonoro, si vide una netta divisione tra chi a favore e chi contro (tra cui Chaplin), ma alla fine anche i più ostili dovettero cedere all’innovazione. LO STUDIO SYSTEM In questo nuovo contesto, la figura del produttore acquista un peso e una funzione determinanti per la riuscita dell’operazione spettacolare, in maniera ben più massiccia e vasta che nel periodo muto. È lui a scegliere i soggetti, il regista, gli attori, a fornire le attrezzature necessarie, i tecnici, i collaboratori, per la buona esecuzione del prodotto. Col produttore, l’industria dello spettacolo a Hollywood andava meccanizzando sui principi della divisione del lavoro. Il regista era, in molte occasioni, poco più di un corretto esecutore, direttore di un reparto. In questo periodo comunque si sviluppa anche il discorso sul cinema di genere, che va sempre più consolidandosi, ma che è caratterizzato dalla serialità del prodotto, con però l’introduzione del cosiddetto scarto, ovvero di una novità, che permetteva di tenere alto l’interesse del pubblico. È soprattutto in questo periodo che si afferma il concetto di STUDIO SYSTEM, cioè di un sistema chiuso e monolitico di produzione, distribuzione ed esercizio. In questo panorama di modifica anche il sistema complessivo delle compagnie cinematografiche hollywoodiane (le major diventano 5 e le piccole 3) e bisogna ricordare che la forza di queste diverse case era tale da incidere fortemente anche sullo stile dei diversi film. Quindi lo stile diventa così meno fattore individuale e più una sorta di paradigma collettivo che accomuna fra loro la quasi totalità delle opere prodotte a Hollywood. In questo periodo bisogna anche ricordare un’altra novità importante, ovvero una ulteriore restrizione della moralità da parte della MPPDA che intervenne più rigidamente riguardo a temi concernenti il sesso, il crimine e la violenza. JOHN FORD E IL CINEMA WESTERN Abbiamo già avuto l’occasione di ricordare che il cinema americano per eccellenza fu identificato con il western, nella misura in cui tanto sul piano dei contenuti quanto su quello delle forme esso rappresenta l’essenza dell’arte cinematografica intesa come rappresentazione spettacolare della realtà fenomenica, e una sorta di concentrato delle virtù americane. 45 martedì 13 marzo 2018 John Ford fu uno dei più interessanti e sintomatici registi di tutta la storia del cinema americano. Il cinema di Ford può essere in una certa misura identificato con l’americanismo di una cinematografia come quella hollywoodiana che ha sempre mantenuto un carattere prettamente nazionale, se non addirittura nazionalistico. L’american way of life ebbe nell’opera di registi come Ford eccellenti propagandisti. Nel caso di Ford il discorso sull’America e sui suoi miti di umanità e di socialità fu esplicito ed efficace: la grande epopea della conquista di spazi vitali, contro la natura selvaggia, gli indiani e i banditi, sottende tutta l’opera di Ford. Tuttavia, all’interno di un cinema di maniera che si regge su luoghi comuni e accetta le regole dello spettacolo hollywoodiano, lo sguardo critico di Ford su fatti e persone rivelandone la complessa natura per mezzo dell’umorismo e dell’ironia, o, altre volte, di una sottile malinconia, che scavano in profondità. Le storie che racconta costituiscono sì il filo conduttore della rappresentazione di una società in cui la giustizia quasi sempre trionfa e il coraggio e la lealtà sono premiati, ma Ford sa introdurvi un elemento dissonante, una visione del tutto personale. Ciò è visibile in “Ombre rosse” 1939 e in altri film della medesima importanza o minori; Ford tenta un discorso sull’uomo e sulla società che non si limita alla contrapposizione rigida di due modi o di due ideologie, ma vuole fornire materiale originale per un’analisi critica del reale, che non si risolve nella dicotomia Bene- Male. Sul Bene, ovvero sulla nazione e la società americana, Ford avanza delle perplessità e dei dubbi; allo stesso modo il Male non appare così assoluto, anzi gli indiani possono essere anche nobili e amici, o perlomeno meno pericolosi di molti bianchi: essi rappresentano un popolo sconfitto di cui bisogna riconoscere la nobiltà e il valore dei costumi e della tradizione. Comunque questo, prevalentemente nei film della maturità; nei primi film, si analizzano il coraggio dei pionieri e le guerre contro i pellerossa, che ancora sono considerati barbari. Ford dirigerà anche film di argomento diverso, ma rimarrà comunque fedele al western in quasi tutte le fasi della sua vita artistica. Soprattutto dal secondo dopoguerra in poi, Ford si occuperà quasi esclusivamente di western, e soprattutto si concentrerà sulle storie dell’americano medio che riesce col suo coraggio a salvare il paese, come “Sfida infernale” 1946 o la “Trilogia della Cavalleria”. I film che però vengono considerati più esemplari perché più originali nella lettura dello stesso western sono “Sentieri selvaggi” 1956 e “L’uomo che uccise Liberty Wallace” 1961; il primo, con John Wayne, l’eroe del genere, il cavaliere solitario, è dipinto come un uomo tormentato e contraddittorio, mentre il secondo nel narrare la storia di un senatore ritenuto eroe per aver ucciso un bandito, che in realtà è stato ammazzato da un altro, fa del western un’arte sta tutta dentro il mito e la leggenda. JOSEPH VON STERNBERG TRA REALISMO E DECADENTISMO È possibile rinvenire nell’opera di Von Sternberg un aspetto della società americana, estremamente differente da quello dominante ma in qualche modo ad esso complementare: il Decadentismo di marca europea, la visione prospettica e 46 martedì 13 marzo 2018 ambigua della realtà, che si sono sempre contrapposti al semplicismo dei pionieri e alla rappresentazione unidimensionale del reale cara a una società che si volle sicura nei suoi principi morali e ideali. L’apparizione di Von Sternberg significò il risvolto inconfessato della medaglia, quel modello morale di un tempo ormai concluso. Aveva esordito nel cinema americano dopo la Prima guerra mondiale, per imporsi all’attenzione del pubblico e soprattutto della critica col suo primo film, “Salvation Hunters” 1925, una sorta di tragedia moderna. Dalla rappresentazione realistica dei fatti e degli ambienti, trasparì un simbolismo che creava un’atmosfera ambigua, dei contrasti tra realtà e sogno. La sua poetica fu caratterizzata soprattutto dal lirismo esasperato, che nasceva dalla tradizione simbolista e decadente dell’arte europea degli anni della sua infanzia. L’immagine che si è tramandata è di uno stile barocco, al servizio della esaltazione della donna, come creatura del male, ma allo stesso tempo simbolo della purezza amorale. Il tema della donna è uno dei temi più centrali dell’arte di Von Sternberg, ma il suo discorso era più ampio e profondo, e poteva essere interpretato come un discorso pessimista sulla debolezza dell’individuo, sul fallimento dei suoi sforzi per uscire dalla mediocrità. Basti pensare a film come “Le notti di Chicago” 1927, “I dannati dell’oceano” 1928 o “L’angelo azzurro” 1930. Il demonismo che era possibile intravedere dietro alcuni personaggi dei suoi film precedenti, balzerà in primo piano nelle opere realizzate nei primi anni Trenta, attraverso il personaggio, a volta a volta diverso ma sempre uguale nella sostanza, della donna ammaliatrice (a cui l’attrice Marlene Dietrich darà una fisionomia inconfondibile). La coppia Sternberg-Dietrich verrà considerata simbolo di un cinema peccaminoso, conturbante, di un divismo che punterà sullo scaricamento di certe convenzioni dello spettacolo hollywoodiano di allora. Basti ricordare un film come “Marocco” 1930. HOWARD HAWKS L'altra faccia dell’americanismo è riscontrabile nell’opera multiforme, eclettica e copiosa di Howard Hawks, il quale bene rappresenta il regista hollywoodiano per eccelenza, e tuttavia non semplice esecutore del volere dei produttori, ma esso stesso producer. Un cinema quello di Hawks considerato lo specchio, un poco corrosivo, ma anche bonario e compiaciuto, della società americana, non difforme da quello di John Ford. A differenza di Ford però Hawks risulta meno moralista, più interessato agli aspetti inconsueti e ai risvolti umoristici della realtà quotidiana che non ai suoi contenuti ideali. Il suo concetto dell’amicizia e della lealtà è meno venato di patetismo o di sfumature nazionalistiche, e può essere considerato il supporto della rappresentazione sfaccettata e provocatoria che egli ci dà della vita. Così il coraggio, l’eroismo, non sono mai prototipi dell’uomo ideale ma nascono da determinate situazioni ambientali. Sicché l’American way of life che l’opera di Hawks prospetta in termini positivi, è più il risultato di una serie di situazioni. 47 martedì 13 marzo 2018 Ciò si vide nell’opera di Walt Disney che dominò il mercato del disegno animato negli anni Trenta, soprattutto se la si confronta con l’opera dei fratelli Fleischer che mantennero invece per alcuni anni i caratteri di quella comicità acre e non raffinata, alquanto volgare. Meglio articolati sul piano narrativo e spettacolare, i nuovi disegni animati si imposero al pubblico e alla critica. Sul piano estetico, il facile gusto dell’illustrazione dai toni delicati del racconto fu scambiato dalla critica per autentica poesia. Ciò valse per Walt Disney, il nuovo delicato cantore di favole moderne. Il caso Disney comunque non è il solo dell’industria dell’intrattenimento, ma assume un significato particolare perché i suoi personaggi furono considerati i simboli di una particolare visione del mondo, che si identificava con l’American way of life, come ad esempio Mickey Mouse. Fu nel 1928 che Disney fondò la sua casa di produzione e cominciò una carriera che lo porterà al successo internazionale. La sua produzione mano a mano andò sempre più sviluppandosi e ingrandendosi, con la creazione di personaggi del bestiario disneyano come Donald Duck, Pluto o Goofy (Pippo). Successivamente la produzione Disney si sposterà verso i lungometraggi, a partire da “Biancaneve e i sette nani” 1937. Nel giro di pochi anni si succedettero “Pinocchio”, “Dumbo”, “Bambi”, “Cenerentola”, “Alice nel paese delle meraviglie”, “Lilly e il vagabondo”, “La bella addormentata nel bosco”, “La carica dei 101”, “La spada nella roccia” e il “Libro della Giungla”. Questi film, soprattutto agli anni 90 furono poi apprezzati da un pubblico infantile e familiare, ma soprattutto da critica, e la produzione Disney continuò con “La bella e la bestia”, “Aladdin” e “Re Leone”. Per quanto riguarda invece i fratelli Fleischer, il loro stile fu caratterizzato da un capovolgimento satirico e grottesco del cinema disneyano. Tra i loro personaggi più conosciuti vi è “Popeye the sailor” (Braccio di Ferro) e "Betty Boop”. Il loro spettacolo fu volutamente rozzo, volgare, violento e antiestetico, e il grottesco era a servizio di una rappresentazione ironica e cattiva della società dell’uomo. DIVISMO E ALTRI GENERI La storia del divismo cinematografico americano degli anni Trenta è costellata di nomi di attori e titoli di film, che compongono un panorama vario dei gusti, delle tendenze, delle mode di allora. Tra gli attori più importanti maschi: Fred Astaire, Ginger Rogers, John Barrymore, Humphrey Bogart, Gary Cooper, Cary Grant, James Stewart, John Wayne. 
 Tra le attrici: Marlene Dietrich, Greta Garbo, Katharine Hepburn, Shirley Temple. Il divo rappresentava la concretizzazione di un mito, che si ripete, con poche varianti, di film in film, e non va confuso con l’attore-interprete. Un caso esemplare di questa duplicità o di questa ambiguità del divo-attore è quello di Greta Garbo, che divenne la diva cinematografica per eccellenza per il suo personaggio di una donna sentimentale e ardente, ma altre volte fredda e calcolatrice, affascinante ma anche dura, elegante. 50 martedì 13 marzo 2018 Per quanto riguarda gli altri generi, uno di quelli che ebbe uno spiccato successo dagli anni Venti fu il genere horror. Basti ricordare “Il gobbo di Notre Dame” o “Il fantasma dell’opera”, “Dracula” o “Frankestein”, gli ultimi due caratterizzati dalle interpretazioni dei loro attori principali. Un altro genere fu il gangster, che però subì determinate censure, soprattutto per la violenza delle immagini; così gli studios decisero di dare una svolta al genere, relegando i personaggi di criminali a ruoli minori, e affidando il ruolo di protagonista a dei poliziotti. Capitolo 10. Il cinema francese degli anni Trenta e il realismo socialista. DALL’AVANGUARDIA AL REALISMO POPULISTA Nel corso degli anni Trenta, l’industria cinematografica francese conosce non poche difficoltà, che solo in parte l’avvento del sonoro riuscirono a superare, sia sul piano della produzione sia su quello dell’affluenza nelle sale. La crisi delle due maggiori compagnie, la Gaumont e la Pathè, si inasprisce e la produzione continua ad essere dispersa in molte piccole società dal carattere artigianale. Ciò permise al cinema francese e al cosiddetto realismo poetico di diventare l’esperienza esteticamente più ricca della produzione europea del periodo. Abbiamo già avuto occasione di ricordare che l’avanguardia cinematografica si è andata esaurendo in Europa nel corso degli anni Venti per una serie di ragioni che concernevano al tempo stesso l’arte e l’estetica, l’ideologia e la politica. Da un lato quasi totalmente assorbita dall’industria cinematografica, dall’altro tacque perché quei letterati e pittori che pure avevano contribuito a crearla e a svilupparla ritornarono ai loro interessi precipui. Un discorso a parte merita Jean Cocteau, il cui film “Il sangue di un poeta” 1930 può essere indicato come un punto di arrivo dell’avanguardia cinematografica. Il cinema di Cocteau si pone come modello di un cinema di poesia, antinarrativo, in cui sogno e fantasia, cercano un corrispettivo sul piano dell’espressione filmica. Nel cinema Cocteau vide lo strumento privilegiato per rappresentare il sogno. Le immagini diventano la visualizzazione dell’inconscio, e i loro rapporti si compongono come un ininterrotto flusso di sensazioni, ricordi, desideri e fantasie. L’espressione più compiuta del cinema di Cocteau però si considera nel film "Il testamento di Orfeo" 1960 (seguito di “Orfeo” del 1950). In questo film, che può essere considerato una sorta di summa cinematografica e poetica dell’opera di Cocteau, egli afferma che il cinema mostra la morte al lavoro, riprendendo il passare del tempo che per l’uomo significa l’avvicinarsi alla propria fine. JEAN VIGO: TRA POESIA E NARRAZIONE Fra coloro che si formarono nell’ambito dell’avanguardia cinematografica non solo francese, ma che si mossero su un terreno artistico e culturale che già chiaramente superava i limiti dell’avanguardia, un posto di rilievo occupa Jean Vigo. 51 martedì 13 marzo 2018 Il suo primo film “A propos de Nice” 1929, un ampio documentario su Nizza realizzato secondo un principio estetico-ideologico che egli definirà come punto di vista documentato. Vi si sente l’influenza del cine-occhio di Vertov e del documentarismo di Moholy- Nagy, ma vi si sente ancora più la presenza di una originale personalità di regista. Tutta l’arte di Vigo comunque sarà continuamente in bilico tra satira corrosiva e lirismo, tra documentazione attenta della realtà umana e la sua trasfigurazione estetica. L’aspetto più propriamente documentaristico predomina sulla narrazione nelle prime opere, mentre nelle opere successive, che sono a soggetto, meglio si esplica il carattere più autentico della poetica di Vigo, che ha bisogno di personaggi per esprimersi compiutamente. I due film, o cine-poemi, “Zeno in condotta” 1933 e “L’Atalante" 1934, rappresentano direttamente il film narrativo affrontato da Vigo, che amplia la sua prospettiva critica ed elabora uno stile maturo, in cui la nota stonata costituisce il contorcano obbligatorio della rappresentazione realistica. Non si dimentichi che comunque alla base della concezione del mondo e del cinema di Vigo c’è una visione anarchica dei rapporti sociali, una profonda amarezza esistenziale di fronte alla crudeltà di una società classista. “Zeno in condotta” contiene già tutti gli elementi caratteristici della poetica dell’autore: il forte spirito satirico, il gusto dello scherzo, ma anche la lirica visione della realtà, l’idealizzazione dell’infanzia come stagione migliore della vita. Il film descrive la vita in collegio di un gruppo di ragazzi, i loro giochi, i loro scherzi, la loro amicizia, sullo sfondo dello squallido ambiente della scuola e dei mediocri insegnanti e sorveglianti. IL mondo dei ragazzi e quello degli adulti, osservati, il primo, con occhi commossi e realistici, il secondo con modi critici e sarcastici, deformanti. 
 “L’Atalante” presenta invece una storia abbastanza banale, due giovani sposi, lui barcaiolo lei contadina, e un vecchio marinaio strambo, che vivono tutti e tre su una chiatta; la storia è intessuta degli screzi fra marito e moglie, della sua fuga da Parigi. È una sorta di testamento spirituale del regista, ma ciò che colpisce è la grande esaltazione dell’amore per presentare una visione profondamente umana dei rapporti interpersonali. IL NUOVO REALISMO DI JEAN RENOIR Influenzato in parte anch’egli dal clima delle avanguardie, Jean Renoir, recupera la lezione della cultura dell’arte francesi dell’Ottocento (Zola e l’impressionismo), e realizza una serie di film profondamente legati al clima politico e sociale della Francia del Fronte popolare. Il suo cinema si faceva propugnatore di un nuovo realismo, critico e distaccato, attento non solo alle cose per come sono, ma anche alla finzione che le perle. Nel campo del cinema francese, l’avvento del sonoro, che pure conduce alcuni artisti a sperimentare nuove soluzioni espressive, si risole per lo più in un maggiore realismo. Anche Renoir, che era parso interessato soprattutto a questioni formali, si volge nei suoi primi film sonori verso una più drammatica e intensa visualizzazione del reale. Nei suoi film si notano il gusto per l’improvvisazione e per una narrazione aperta, con gli elementi fuorvianti, le sue pause e digressioni. 52 martedì 13 marzo 2018 Due anni prima di Ciapaiev, nel 1932, uscì “Contropiano”, che trattava un problema di interesse pedagogico: la trasformazione dell’uomo attraverso l’esperienza di lavoro socialista. Anche nei film successivi, si vide la costruzione del cosiddetto eroe positivo, e la continua battaglia contro il formalismo degli anni Trenta, sino alla definitiva vittoria del realismo socialista come cultura di Stato. Un altro ambito del realismo socialista fu rappresentato dai film su Lenin, quelli su altri personaggi della storia sovietica e della storia russa, che furono oggetto di non poche opere. Certo è che nella politica staliniana, la funzione della biografia romanzata, era tutt’altro che trascurabile e poteva contribuire efficacemente alla creazione di quella galleria di ritratti storici che avrebbero portato al cosiddetto culto della personalità. Riassumento, il realismo socialista si è configurato come un movimento artistico fortemente voluto dal partito comunista e in prima persona da Stalin. Compito dell’artista è quello di offrire un modello da seguire, sia quello dell’uomo comune o del grande personaggi storico. SATIRA, COMMEDIA E IRONIA: UN CINEMA NON ALLINEATO La cultura di Stalin mal tollerò la critica aperta: ma anche quella più discreta, mediata attraverso l’ironia, la metafora, non ebbe vita facile. (Grazie ar cazzo, era un dittatore!) L’umorismo che un tempo rivolto soprattutto all’interno della società sovietica, per rivelarne i mali, sopravvisse quasi soltanto come critica del capitalismo e del costume borghese. Rimase la commedia di costume, d’ambiente contemporanea, in cui le difficoltà della vita e i conflitti sociali erano visti in chiave blandamente ironica. Bisogna comunque tener presente che nel panorama complessivo della produzione cinematografica sovietica degli anni Trenta, i film comici o satirici furono numericamente esigui. Un regista che fece dell’ironia l’elemento ispiratore fu Boris Barnet. I suoi film di maggior rilievo sono “Sobborghi” 1933, “Sulla riva del mare azzurro” 1935 (che testimoniano l’interesse del regista per una quotidianità fatta di piccoli eventi e sentimenti comuni). Un altro cineasta che propose un’alternativa satirica ai modelli ufficiali fu Aleksandr Medvedkin (un mio parente lontano xd), che in contrapposizione ai dogmi del realismo socialista puntò al recupero di elementi dell’immaginario popolare. I suoi due film più importanti furono “La felicità” 1934, uno spaccato ironico e surreale della società contadina, e “La nuova Mosca” 1938 con una analisi spregiudicata dalla campagna alla città. Capitolo 11. L’Europa verso la guerra L’ ITALIA FASCISTA Abbiamo già accennato alla profonda crisi in cui versò il cinema italiano negli anni Venti, un decennio in cui si tentò vanamente di rilanciare i fasti dei film in costume del decennio precedente. Schiacciata dalla concorrenza del cinema americano ed europeo, l’industria italiana toccò in quel periodo uno dei momenti più difficili della sua storia. 55 martedì 13 marzo 2018 Il fascismo, rivolto alla costruzione di uno Stato corporativo, parve disinteressarsi di una industria deficitaria e fallimentare come quella cinematografica, né si preoccupò di tutelarla con opportune leggi protezionistiche. Ma non si disinteressò del cinema come strumento di propaganda, conscio della forza di persuasione delle immagini semoventi. Già nel 1924 con l’istituzione dell’Unione Cinematografica Educativa (LUCE) e con la sempre più severa repressione censoria, si operò su due fronti congiunti in direzione di un uso politico del cinema. Da un lato furono prodotti documentari “Cinegiornali Luce” di chiaro intento propagandistico, dall’altro furono censurati o non immessi nel mercato cinematografico nazionale quei film stranieri che potevano trasmettere idee e concetti contrari all’ideologia dominante. Nel 1932 nasce la Mostra del Cinema di Venezia, nel 1934 viene creata la Direzione Generale per la Cinematografia, nel 1935 nasce l’Ente Nazionale Industrie Cinematografiche, e nel 1936 si inaugurano gli studi di Cinecittà. Verso la fine degli anni Venti, indipendentemente dalle posizioni del regime fascista, una serie di iniziate in campo intellettuale, produttivo, industriale, propongono un cinema nuovo italiano, che avrebbe dovuto affermarsi in contrapposizione a quello straniero che dominava gli schermi italiani. La figura più significativa del cinema italiano degli anni Trenta, per il valore nazionale dei suoi film, rimane quella di Alessandro Blasetti. Blasetti esordì con “Sole” 1929, sul tema della bonifica delle paludi pontine, con l’interessante tentativo di utilizzare i procedimenti del cinema epico, per descrivere aspetti e problemi della vita quotidiana. Questo stile monumentale sarà caratteristico del regista che può essere considerato il più notevole rappresentante del cinema di regime. Questa tendenza al grandioso, alle scene di massa, è presente nelle opere più prestigiose di Blasetti, da “1860” del 1934 in poi. Ma accanto al Blasetti eroico, c’è quello più discreto, per certi aspetti neorealistico, di cui si ha traccia in “La tavola dei poveri” 1932 in cui la Napoli popolare e stracciona è vista e rappresentata con acume documentaristico. Questo aspetto neorealistico dell’opera di Blasetti lo ritroviamo in Mario Camerini. Il quale, nel suo stile dimesso, attento alle piccole cose, è, nel periodo fascista, il narratore più genuino della piccola e media borghesia, con una serie di film in cui la vita quotidiana era rappresentata in modi e forme antiebraici, un poco spensierati, ma non superficiali e anzi acuti e rivelatori del vero costume di un’epoca. I suoi lavori rappresentano gli esiti migliori dei cosiddetti “film dei telefoni bianchi”, come furono identificate quelle numerose commedie dell’epoca ambientate nel mondo della borghesia. I suoi film rimangono quelle commedie di costume degli anni Trenta che furono caratterizzate da un risvolto realistico e da punte satiriche, come “Darò un milione” 1935 o “Grandi magazzini” 1939 interpretati da un personaggio importante degli anni, Vittorio De Sica. Alla retorica del fascismo contribuirono altri film di registi come Genina, Gallone, Alessandrini. Augusto Genina si impose nell’Italia fascista come il regista di maggior prestigio. I suoi film furono buoni esempi di propaganda, in cui la retorica ideologia e politica era sorretta da uno stile di notevole forza drammatica. 56 martedì 13 marzo 2018 Goffredo Alessandrini divenne alla fine degli anni Trenta uno dei più prestigiosi registi ufficiali del regime. Le sue opere trattarono ampiamente soggetti di chiara propaganda politica, come esaltazione di quell’italianità come sinonimo di vera civiltà. Di Carmine Gallone un solo film va ricordato in questa sede, ovvero “Scipione l’Africano” 1937. Voluto dallo stesso Mussolini, che ne desiderava fare una sorta di monumento cinematografico alla sua gloria di dittatore, si rilevò una brutta copia dei film storici muti degli anni Dieci. Questo film comunque significò che il fascismo voleva perseguire una politica espansionistica, mostrarsi nella sua potenza nazionale, rispolverando per l’occasione le vecchie glorie del cinema muto. A fianco del cinema magniloquente e di quello delle commedie, si sviluppò un cinema che faccia appello al decoro formale o all’osservazione attenta della realtà. Di questo cinema si fecero portavoce un gruppo di nuovi registi. E furono proprio queste nuove leve che posero le basi per quella rinascita del cinema italiano che si esplicò nella stagione del neorealismo postbellico. (Antonioni, Rossellini, Visconti..) Ma già alcuni anni prima, furono prodotti film che possono essere ricordati per il realismo, come “Acciaio” 1933, di ambiente operaio e con formalismo documentaristico, “Fari nella nebbia” 1942 storia di un camionista affrontata con ispirazione al realismo francese, e “Ossessione” 1943 di Luchino Visconti e “I bambini ci guardano” 1943 di Vittorio De Sica. Questo tipo di cinema può essere considerato una sorta di opposizione passiva al regime. LA GERMANIA HITLERIANA La grande stagione del cinema tedesco si andò spegnendo a poco a poco agli inizi del sonoro, con l’esodo di alcuni registi di primo piano e la crisi economica che toccò anche l’industria cinematografica. Ma il vero crollo di quella produzione artistica si ebbe a partire dal 1933, dopo l’avvento di Hitler al potere e la progressiva trasformazione della cinematografia tedesca opera di Joseph Goebbels. Nel giro di pochi anni, essa si svuotò si ogni elemento autenticamente critico, rivolgendosi da un lato verso i film d’evasione (commedie, drammi storici, avventure), dall’altro verso quelli chiaramente propagandistici. Dal 1933, nel clima della situazione repressiva e autoritaria, anche il cinema subì un processo di degenerazione, valgano per tutti il tentativo di espellere dall’industria cinematografica tutti gli ebrei, e l’incoraggiamento dello stesso Goebbels alla produzione di film antisemiti. Le tre grandi case di produzione, la Tobis, l’UFA e la Bavaria, furono progressivamente assorbite dal potere politico. Il partito nazionalsocialista, ad opera di Goebbels, intensificò una produzione chiaramente ideologica e politica, sia sul terreno del documentario di informazione e del cinegiornale, sia su quello del film narrativo. Le tendenze che dominarono la produzione tedesca negli anni del nazismo non furono molto diverse da quelle di altri regimi dittatoriali: film che glorificavano gli eroi del nazismo, pellicole che volevano accendere l’entusiasmo per lo sforzo bellico e glorificare il fanatismo. Dei due registi che più furono compromessi col nazismo, Leni Riefenstahl e Veit Harlan. 57 martedì 13 marzo 2018 A un linguaggio che tendeva a identificarsi con la pura e semplice riproduzione filmica della realtà quotidiana, si affiancava un’autentica partecipazione degli autori alla realtà contemporanea. Dietro le più significative esperienze del cinema neorealistico c’erano anche tutta una cultura democratica e progressista e una militanza politica e ideologica che erano andate assumendo una importanza e un significato determinanti. In questa prospettiva, il cinema assunse un significato particolare, proprio per la sua forza di persuasione, il potere di suggestione, la grande popolarità. E attorno al cinema di venne sviluppando un dibattito che si accentrò essenzialmente sul concetto il realismo (importante ricordare la rivista “Cinema”). Il Neorealismo, almeno nei suoi autori più significativi, si pose nei confronti della realtà da rappresentare in termini non tanto critici quanto disponibili, nel senso che volle darne una figurazione genuina senza manipolazioni. Si volle considerare il cinema soprattutto come una finestra aperta sul mondo, e pertanto servirsene come eccezionale strumento di documentazione, in cui l’inevitabile finzione scenica era superata dall’immediatezza della rappresentazione, dalla genuinità di quanto veniva mostrato sullo schermo. Di qui la teoria del “pedinamento” o del “buco della serratura”. Il Neorealismo può così essere considerato un’etica dell’estetica, nel senso che le sue scelte formali rivelavano sempre un impulso morale che vedeva nel cinema un mezzo per descrivere, conoscere e comprendere la realtà. In sintesi gli elementi del Neorealismo possono essere così riassunti: un comune senso antifascista dei registi, il ricorso ad ambienti reali, il privilegiare personaggi comuni, il ricorso a un parlato naturale a volte dialettale, una certa preferenza per sceneggiature non troppo strutturate, una particolare attenzione alla contemporaneità. Il Neorealismo in seguito poi travasò molte delle sue caratteristiche nel cinema di consumo che assunse così caratteristiche diverse da quelle che dominavano il cinema degli anni del fascismo. ROBERTO ROSSELLINI: REALTÀ, ETICA E TRASCENDENZA Roberto Rossellini è colui che indubbiamente ha svolto un intenso lavoro di chiarificazione etica ed estetica attraverso una ricca serie di film che si pongono tra i risultati più significativi e illuminanti di quegli anni, tanto da farne un padre spirituale di tutto il cinema della modernità egli anni Sessanta. Dopo esser passato dal cineamatorismo al professionismo, fu con alcuni lungometraggi parzialmente documentaristici che riuscì ad acquisire uno stile spoglio e dimesso, con l’osservazione attenta e minuta del reale quotidiano. In questo suo stile l’intervento dell’artista è ridotto al minimo, quasi che la macchina da presa si debba limitare a uno strumento di pura registrazione del reale. Rossellini è interessato in primo luogo al comportamento dell’uomo in determinate condizioni storiche e sociali e pertanto usa il cinema come eccellente mezzo di rivelazione, di documentazione. Sembra che si limiti a registrare le reazioni del personaggio per coglierne l’autenticità, per seguirne le azioni senza quasi intervenire. Già in “Roma, città aperta” 1945 questa disponibilità verso il reale trova i giusti toni, pur essendo il film ancora in parte legato a strutture formali tradizionali. Vi si narra la storia di una donna del popolo, madre di un bambino, prossima alle nozze con un tipografo antifascista, la quale viene uccisa in modo improvviso nel 60 martedì 13 marzo 2018 corso di un rastrellamento; ma questo spunto narrativo si intreccia con altre storie parallele. In questo film pare che la realtà nasca quasi sullo schermo e si manifesti cinematograficamente nel suo farsi, dinanzi agli occhi dello spettatore. Da un lato abbiamo una selezione dei fatti che si manifesta nella scelta di certi episodi, dall’altro una disponibilità a lasciar parlare la realtà senza intervenire dall’esterno, senza tagliare le scene. Il Neorealismo rosselliniano era in primo luogo un metodo d’indagine, un nuovo modo di guardare attorno a sé; e questo atteggiamento di base lo ritroviamo nel successivo “Paisà” 1946, un film che ripercorre l’avanzata delle truppe alleate dalla Sicilia al Po. L’attesa secondo Rossellini era la condizione privilegiata per indagare il reale nel suo autentico manifestarsi, e ogni episodio non è altro che la lunga attesa di un evento che si manifesterà alla fine. Altro film da ricordare di Rossellini “Germania anno zero” 1947, con la distruzione della Germania, che è il simbolo di una condizione più generale, l’anno zero non solo dei tedeschi ma degli uomini tutti. Tra i successivi film di Rossellini uno da ricordare è sicuramente “Viaggio in Italia” 1953, tutto giocato sull’attenzione inusuale alle piccole cose, ai fatti insignificanti, all’improvviso offrirsi della realtà; in più in questo film l’isolamento dell’uomo nella società, i vari aspetti dell’incomunicabilità e dell’incomprensione, sono le tematiche sostanziali. Successivamente l’autore si dedicherà alla televisione, poiché la tecnica più sciolta della televisione, senza quelle preoccupazioni commerciali che potevano costringerlo entro confini lontani dalle sue attuali preoccupazioni di conoscenza e informazione, permettevano di realizzare cinema televisivo documentario- spettacolare. LA TEORIA DEL PEDINAMENTO: IL CINEMA DI CESARE ZAVATTINI E VITTORIO DE SICA Il primo film di Zavattini e De Sica fu “I bambini ci guardano” 1943. Con i numerosi film scritti da Zavattini per De Sica nei primi anni del dopoguerra, l’osservazione attenta e spesso provocatoria dei fatti e delle situazioni acquista una dimensione meno causale e superficiale. Individuando nel “pedinamento” del personaggio, o l’estetica del buco della serratura, la possibilità di cogliere con la cinecamera la vera realtà quotidiana, Zavattini portò alle estreme conseguenze formali un modello di cinema trasparente. I personaggi, considerati nella loro funzione di tipi d’una più generale condizione sociale, gli ambienti, dovevano costituire essi stessi il materiale drammatico attorno al quale si veniva costruendo la denuncia sociale e politica. Vittorio De Sica, a differenza di Rossellini, ebbe uno stile di regia e messa in scena piano e discreto, relativamente più vicino ai modelli classici del cinema americano degli anni Trenta. I film di De Sica e Zavattini sono sul piano espressivo più convenzionali, più attenti alle esigenze di un racconto costruito su momenti drammaticamente efficaci, ma anch’essi segnati da quella dimensione di imprevisto che è la conseguenza dell’immersione nella realtà. 61 martedì 13 marzo 2018 La poetica dei due autori inizia a vedersi con “Sciuscià” 1946, dove l’osservazione della realtà si fa problematica, accusatrice, con la storia tragica di due ragazzi napoletani coinvolti in una rapina e rinchiusi in un riformatorio. Ma con “Ladri di biciclette” 1948 e con “Umberto D” 1952 questa poetica raggiunge un alto livello espressivo. Nel primo film l’esile trama del furto di una bicicletta e della sua affannosa ricerca è un pretesto per analizzare una città come Roma in un giorno di festa, ma anche il grave problema del lavoro e della disoccupazione, dal momento che la bicicletta è per il protagonista il mezzo indispensabile per ottenere un posto di attacchino. I personaggi e le loro visite in determinati luoghi, oltre a mettere in luce il contrasto tra la condizione umana e tragica del protagonista e l’indifferenza degli altri, allargano il significato del film dal ristretto ambito del fatto di cronaca al vasto problema generale. Il secondo film invece, ritratto della solitudine di un vecchio, è caratterizzato da un certo pessimismo che grava su tutta l’opera, che è il metodo utilizzato dagli autori per denunciare chiaramente una condizione ingiusta. Il carattere di denuncia del film rispetto a una certa realtà dell’Italia dell’epoca rese De Sica ostile a molta Italia benpensante e suscitò la reazione del sottosegretario democristiano Giulio Andreotti che invitò gli autori a “lavare i panni sporchi in famiglia”. IL CINEMA ANTROPOMORFICO E DECADENTE DI LUCHINO VISCONTI Nel 1943 quando “Ossessione” comparve sugli schermi, Luchino Visconti ebbe a scrivere sulla rivista “Cinema” un articolo dal titolo “Cinema antropomorfico” in cui sintetizzava la sua posizione estetica e morale. Il film affondava lo sguardo nella rappresentazione obiettiva del reale, ma appariva anche e soprattutto come la rivolta di un artista e intellettuale sensibile al conformismo, come la proposta di un cinema di idee. Quando la guerra finisce, Visconti si dedica all’attività teatrale e solo nel 1948 uscirà il suo secondo film “La terra trema”, che è dentro il Neorealismo, ma pare anche dare peso alla autorevole discendenza letteraria. C’è in altre parole una componente colta, classicistica, letteraria, nel lavoro di Visconti, e il suo bisogno di osservare con occhi nuovi è mutuato da una critica rilettura dei classici. I suoi film non sono la registrazione di uno spettacolo che si svolte nella realtà profilmica, lo spettacolo si forma unicamente sullo schermo come risultato di una serie di operazioni stilistiche, frutto di un attento impiego dei mezzi cinematografici. Il frutto più maturo di questa rilettura critica della tradizione è “La terra trema”, che doveva essere la prima parte di una trilogia sulla Sicilia, e che riprende certi temi e motivi narrati nei Malavoglia di Verga. La storia di questa famiglia di pescatori, sullo sfondo di una società ancora primitiva, soggetta ai soprusi dei più forti, incapace di uscire dal fatalismo, diventa la storia di un riscatto sociale e politico. Da un soggetto di Zavattini è tratto “Bellissima” 1953, meno riuscito degli altri lavori di Visconti del periodo, il film è un tentativo di mediare la realtà documentaristica cn la drammaturgia classica del personaggio a tutto tondo. Diverso è il caso di “Senso” 1954, di “Rocco e i suoi fratelli” 1960 e del “Gattopardo”1963 , nei quali Visconti ha saputo sviluppare un discorso corale, fortemente caratterizzato sul piano dei contenuti storici. 62 martedì 13 marzo 2018 Parallelamente a questi fenomeni, il cinema americano degli anni Cinquanta vide affermarsi una tendenza più segnata dall’esperienza del realismo. Negli Stati Uniti questo maggior impegno si manifestò in termini alquanto espliciti con giovani registi che contribuirono a introdurre elementi di rottura nel conformismo culturale. Fra quelli che bisogna ricordare ci fu il produttore e regista Stanley Kramer, e Fred Zinnemann, che va ricordato per“Mezzogiorno di fuoco” 1952, un western da aspetti inconsueti. Ma i registi che meglio rappresentarono il nuovo clima del cinema americano postbellico sono John Houston e Elia Kazan. Se il primo ci diede con i suoi primi film una rappresentazione articolata e conturbante di un’America democratica e progressista ma venata di pessimismo, il secondo si andò affermando tra gli autori più significativi nell’analisi dell’ambiguità, del complesso di contraddizioni morali e politiche. Kazan fu uno di quei registi indagati nel periodo del maccartismo e denunciò alcuni suoi compagni, e questo fatto costituì uno stimolo all’analisi approfondita di un disagio morale e intellettuale Da ricordare “Un tram che si chiamava desiderio” 1951 con Marion Brando. Fra i grandi protagonisti della commedia e del cinema americani del secondo dopoguerra ci fu Billy Wilder. 
 Da ricordare “Viale del tramonto” 1950, storia di una diva del muto che non riesce a separarsi dal suo passato. A fianco di questo stile drammatico però, vi sono le corrosive commedie, come “Quando la moglie è in vacanza” 1955 oppure “A qualcuno piace caldo” 1959. Per quanto riguarda invece il musical, esso venne rinnovato per il ricorso a storie e personaggi più complessi e per una maggiore consapevolezza della propria dimensione di spettacolo. Basti ricordare di Donen e Kelly “Cantando sotto la pioggia” 1952. Da questi film e da questi autori, nacque che quella progressiva dissoluzione del mito di Hollywood che porterà alla chiusura di diverse case cinematografiche, alla loro trasformazione, a un nuovo orientamento produttivo. Questo mutamento lo si avverte anche nel nuovo divismo nato e sviluppatosi in quel periodo, un divismo che chiuse un capitolo fondamentale della storia del cinema. Ricordiamo in quanto al divismo maschile Marion Brando e James Dean. Riguardo invece al divismo femminile, la vamp e diva per eccellenza del periodo fu Marilyn Monroe, una donna indipendente, solo apparentemente arrendevole, in realtà volitiva e autoritaria, ma contemporaneamente dolce e desiderabile con la società maschile. IL CINEMA BAROCCO DI ORSON WELLES Orson Welles può essere definito barocco per quel tanto di stravagante e abnorme, di fantasioso e di contorto, di deformato e di sbalorditivo che si riscontra nei suoi film pieni di immagini che aggrediscono letteralmente lo spettatore. Se si vuole dare una definizione del suo cinema, si potrebbe usare il termine di “cinema della metafora”. 65 martedì 13 marzo 2018 Ogni film di Welles è un tentativo di metaforizzare la realtà, per superare l’immediatezza della visione e prospettare dei problemi di fondo che coinvolgono la natura stessa dell’uomo. Cinema drammatico quant’altro mai, a volte persino melodrammatico, quello di Welles è un cinema che rompe con l’illusione di realtà e si pone contro il Neorealismo. La popolarità raggiunta da Welles raggiungerà l’apice il 31 ottobre 1938 quando alla radio Welles leggerà un estratto de "La guerra dei mondi”. Decise di costruire il radiodramma come una serie di Breaking news che annunciava una vera invasione aliena. Centinaia e migliaia di ascoltatori scambiarono la finzione per realtà e furono gettati nel panico. Welles porta sugli schermi, nel 1941, “Quarto potere”. Welles cerca in questo film di dilatare il più possibile i termini storici e cronologici di una vicenda personale e di un protagonista della vita sociale, in modo da coinvolgere nel giudizio su un uomo il giudizio su una società. La storia del potente Charles Foster Kane che con la sua catena di giornali e il suo diretto ingresso in politica influenzò non poco le sorti del paese, inizia con la morte dell’uomo e procede in modo frammentario, come un puzzle, attraverso il racconto della sua vita che fanno prima un cinegiornale e poi cinque personaggi a lui vicini. Ne emerge quindi un quadro contraddittorio di Kane dalle molteplici personalità, in cui si scontrano il gigantismo del suo potere pubblico e la fragilità della sua esistenza privata. A questa complessa struttura labirintica, si aggiungono soluzioni visive e tecniche come gli obiettivi grandangolari, la profondità di campo, i piani sequenza, i movimenti vertiginosi di macchina. Il secondo film di Welles “L’orgoglio degli Amberson” 1942 descrive l’ascesa e la caduta di una famiglia facoltosa agli inizi del secolo. Il film però fu tagliato e modificato dalla RKO, e ciò determinò i rapporti tra il regista e la casa cinematografica. Un altro suo film di particolare successo fu “La signora di Shanghai” 1947. La svolta della carriera di Orson Welles si ebbe con il suo incontro con Shakespeare, che egli aveva già rappresentato a teatro prima della guerra, con Macbeth, Otello e altri classici. Coi film successivi al “Macbeth” i film di Welles sono caratterizzati da un discorso sempre più chiaro: viene rappresentato il male hic et nunc (qui e ora in latino). ALFRED HITCHCOCK: IL FASCINO DELLA SUSPENSE, LE AVVENTURE DELLO SGUARDO Anche se Alfred Hitchcock inizia a fare cinema nell’Inghilterra degli anni Venti, è negli Stati Uniti, dove si trasferì nel 1939, che egli riuscì a portare a compiuta maturazione i motivi ricorrenti della sua poetica. Hitchcock riuscì a inserirsi perfettamente in quel sistema introducendovi una sua personale visione del mondo, venata di cattolicesimo, di una forte dose di scetticismo, che si esprime in una poetica che ruota attorno al concetto di suspense. È bene dire che questa suspense è in larga misura sinonimo di attesa con i risvolti della paura, del sospetto, dell’attenzione spasmodica. 66 martedì 13 marzo 2018 (aneddotto della bomba sotto il tavolo e differenza tra sorpresa e suspense raccontato da Canova). I protagonisti dei film di Hitchcock sono raramente dei professionisti di crimine, poliziotti in servizio o malviventi, bensì uomini e donne comuni, coi quali lo spettatore può facilmente identificarsi. Per un errore commesso o per i capricci del caso, questi personaggi si trovano coinvolti in una terribile e vertiginosa avventura. Di qui il ricorrente universo tematico del regista, che lavora sulla sottile linea di confine che separa colpa e innocenza, sull’ambiguità morale, sulle ossessioni mentali del dubbio. Bisogna anche ricordare l’uso della inquadratura in soggettiva, che spinge lo spettatore al massimo dell’identificazione possibile. Già nei film che realizzò in Inghilterra, il motivo della suspense è alla base di racconti che attingendo alla tradizione di certa narrativa gialla, vi introducono un sottile umorismo e una ricerca formale elaborata. Nascono così i suoi migliori successi del periodo inglese come “Il pensionante” 1927, “Il club dei 39” 1935 e “Sabotaggio” 1936. Trasferitosi a Hollywood, ottiene subito un notevole successo con “Rebecca la prima moglie”<3 1940, che lo porterà all’unico Oscar in carriera. Altri film del primo periodo sono “Il sospetto” 1941, caratterizzato anche questo da atmosfera gotica come Rebecca, “L'ombra del dubbio” 1943, “Io ti salverò” 1945. Fra i grandi successi dei primi anni ricordiamo anche “Notorius - l’amante perduta” che mischia love story e spy story, e “Nodo alla gola” 1948. <3 Altrettanto intensi sono gli anni Cinquanta, in cui il regista firma alcuni film considerati in assoluto capolavori dell’intera storia del cinema, come “La finestra sul cortile” 1954 (oddio adoro raga impazzisco, James Stewart e Grace Kelly), un vero e proprio trattato sull’uso della soggettiva, e “La donna che visse due volte” 1958 (James Stewart e Kim Novak adoroooooo). Sono di questi anni anche “Il delitto perfetto” 1954, “L’uomo che sapeva troppo” 1956 e “Intrigo internazionale” 1959, infine “La congiura degli innocenti” 1955. Con gli anni Sessanta, Hitchcock rallenta la sua produzione. Il decennio si are con il suo maggior successo di pubblico “Psyco” 1960, che si fa portatore del messaggio della paura dell’uomo contemporaneo, e “Gli uccelli” 1963, che assume il significato metaforico del disagio esistenziale. (E marnie dov’è????? insomma c’è Sean Connery da giovane!! Brutti idioti del libro!!) LA FRANCIA DELLA QUARTA REPUBBLICA Come in altri paesi europei, anche in Francia la ripresa delle attività industriali e commerciali dopo la liberazione fu lenta e difficile. In questa situazione, l’industria cinematografica, che dovette anche subire la massiccia concorrenza americana, si andò ricomponendo sulla base di quei principi estetici e produttivi che avevano consentito il grande sviluppo artistico degli anni Trenta. A differenza di quel che accadeva in Italia e per certi versi anche negli Stati Uniti, in Francia la tradizione ebbe il sopravvento, fecero un cinema non molto diverso da quello prebellico, secondo i moduli estetici di uno spettacolo mediato di continuo dallo stile registico del cinema di qualità. I due maggiori registi del periodo furono Robert Bresson e Jacques Tati. 67 martedì 13 marzo 2018 gatto” 1998, ma anche i lungometraggi francesi o i film del giapponese Miyazaki “La città incantata” 2001. A questa nuova sensibilità e a questo artigianato si contrapporrà la computer graphics americana con film della Pixar, prima, e poi di Pixar e Disney insieme, dopo, come: “Toy Story 1-2-3”1996-98-2010, “Monster&Co” 2001 , “Alla ricerca di Nemo” 2003 adoroooo, “Cars” 2006. Capitolo 14. Il cinema in Oriente e in America Latina. LA SCOPERTA DEL CINEMA GIAPPONESE Fu nel 1951, alla Posta internazionale d’arte cinematografica di Venezia, che il pubblico e la critica occidentali scoprirono il cinema giapponese. Il Leone d’oro attribuito al film “Rashomon” 1950 di Akira Kurosawa segnò l’inizio di quella diffusione in Europa e negli Stati Uniti di una cinematografia che per determinati motivi era stata esclusa dal mercato cinematografico internazionale. Il cinema nacque in Giappone nel 1898 anche se, a parte i documentari d’attualità e d’informazione alla maniera dei Lumiere, solo più tardi si diede inizio a una regolare produzione di film spettacolari, in gran parte perduti. Nel 1912 nasce la Nikkatsu, che diventerà ben presto la maggiore casa di produzione nipponica. A partire dai primi anni Venti, il cinema giapponese si organizzò industrialmente e commercialmente attorno a poche case di produzione che avevano propri teatri di posa e una propria rete di distribuzione dei film. Nonostante le influenze occidentali, il cinema giapponese rimase sostanzialmente fedele a un’arte e una cultura nazionali che si erano espresse attraverso ben precisi modelli. Sin dalle sue origini, la produzione giapponese fu rigidamente divisa, anche nell’ambito della organizzazione produttiva, in “jidaigeki” ovvero i film in costume ambientati nel passato, e “gendaigeki” ovvero ambientati nella contemporaneità. Dei primi un genere da ricordare è lo “chanbara”, cioè film che ponevano in primo piano le scene d’azione e di scontri all’arma bianca; dei secondi si ricordano i generi degli “shomingeki”, ovvero i film sulla gente comune, i “gakuseimono”, centrati sugli studenti, e gli “haha-momo”, melodrammi femminili. I MAESTRI DEL CINEMA GIAPPONESE: MIZOGUCHI, OZU, KUROSAWA E ŌSHIMA Di Mizoguchi il pubblico e la critica occidentali conobbero, dopo il 1951, due opere di straordinaria bellezza che lo posero nei giudizi critici a un livello superiore rispetto a quello di Kurosawa, ovvero “La vita di O-Haru, donna galante” 1952, e “I racconti della luna pallida d’agosto” 1953, ambedue premiati con il Leone d’argento alla Mostra internazionale di Venezia. Le peculiarità stilistiche dell’autore sono piani sequenza, long take, immagini distanziate, elaborati movimenti di macchina, inquadrature in profondità di campo. Queste soluzioni costituiscono un’alternativa alle forme consolidate del decoupage classico e privilegiano i modi del montaggio interno, invitano lo spettatore ad una lettura più attenta e ad uno sguardo più critico. Ormai definito è anche l’universo poetico del regista, che si concentra soprattutto sulla condizione femminile. Denuncia apertamente la realtà di sfruttamento ed emarginazione di cui la donna è stata soggetto, ma egli è anche affascinato da una 70 martedì 13 marzo 2018 concezione trascendentale della donna, che finisce col mitizzarla e trasformarla in oggetto, per quanto meritevole di culto e ammirazione esso sia. Più eclettica e variegata pur nell’ambito di una forte coerenza autoriale sia sul piano dello stile che su quello della poetica, l’opera di Ozu è segnata da una notevole uniformità, come testimoniano la sua fedeltà ad un’unica casa di produzione e ad un solo genere, il gendaigeki, in particolare nella forma dello shomingeki, ovvero dell’attenzione alle piccole cose della gente comune. Progressivamente il suo cinema si è concentrato sulla famiglia, sui rapporti tra uomo e donna e soprattutto tra genitore e figlio. Il suo cinema verte sul mono no aware, ovvero quella consapevolezza dell’incessabile mutare di ogni cosa, in particolare dei sentimenti e dei rapporti umani. È nel corso degli anni Trenta e Quaranta che lo stile di Ozu approda alla sua originale maturità, a partire da una progressiva riduzione del lessico filmico a poche ore e figure che escludono i movimenti di macchina e i primissimi piani. L’universo poetico del regista lo si trova ancora tutto nei suoi film degli anni cinquanta, soprattutto in “Viaggio a Tokyo” 1953, dove un’anziana coppia si reca per far visita ai figli e alle rispettive famiglie. Per quanto riguarda invece Kurosawa, è un autore che si caratterizza per uno stile dinamico, per certi aspetti influenzato anche dal cinema americano e per personaggio natura fortemente drammatica. Non si tratta di figure unidimensionali, bensì di uomini spesso in lotta contro i mali della società ma complessi e a volte contraddittori, segnati anche da risvolti oscuri. La profondità di questi personaggi è espressa da un linguaggio che punta più volte a una rappresentazione spettacolare della realtà. Il regista riprende da una parte un certo dinamismo tipico del cinema americano, ma dall'altra vi introduce scarti, differenze e anomalie che rendono i suoi film contraddistinti da uno stile particolare. Il barocchismo di questo autore fu subito avvertito e apprezzato in Rashomon, premiato proprio per la sua forma inconsueta e la suggestiva tensione drammatica. Kurosawa girò entrambi i tipi di film giapponesi, ma la sua fama internazionale è dovuta agli jidaigeki, con film come “I sette samurai” 1954 oppure “Il trono di sangue” 1957, una traduzione giapponese del Macbeth shakespeariano. All’inizio degli anni Sessanta il cinema giapponese conosce una nuova generazione di cineasti, che si affermerà in aperta polemica con quelle precedenti. La figura più importante di questa nuova ondata è Ōshima. Uno dei suoi film più importanti è sicuramente “Notte e nebbia del Giappone”, dove l’autore sconvolge i modelli dominanti, narrando la storia dei rapporti tra movimento studentesco e partito comunista giapponese negli anni Cinquanta. Questo film farà rompere i rapporti con la casa di produzione e Ōshima se ne creerà una sua. Tra gli anni Sessanta e Settanta realizza una serie di lungometraggi dove si consolidano gli aspetti essenziali della sua poetica, come l’attenzione al crimine e alla sessualità, e la frammentazione identitaria come conseguenza di un legame alienante con la società. 71 martedì 13 marzo 2018 IL CINEMA IN INDIA Anche il cinema indiano, più timidamente e con minore entusiasmo, si presentava in campo internazionale con alcune opere che aprivano uno spiraglio su una produzione tanto abbondante quanto conosciuta fuori dei confini dell'India. Tra gli autori da ricordare c’è sicuramente Bimal Roy, che si fece conoscere per il film documentaristico “Due ettari di terra” 1953. Di più alta levatura è l’arte di Ray, certamente l’autore più notevole e significativo di un cinema autenticamente indiano. Il suo film più importante, facente parte di una trilogia, è “Il lamento sul sentiero” 1955. In lui grande è l’influenza del Neorealismo italiano, che ne costituisce parte integrante. Ma comunque ben più che per questo cinema d’autore, il cinema indiano ha costruito il suo successo nel mercato interno grazie ad un cinema commerciale, che in stretto accordo con l’industria discografica, si avvale di un ampio numero di sequenze cantate e danzate. Questo cinema è internazionalmente indicato con il termine Bollywood, con riferimento agli studi di Bombay, e si fonda su un culto popolare del divismo ben più esasperato di quello conosciuto in altri paesi. LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE Anche in Cina il cinema fa la sua apparizione alla fine del secolo scorso sotto forma di documentari sia francesi e che americani. Ma è molto più tardi negli anni Venti che si ha un produzione abbastanza regolare e copiosa, quando nascono numerose case cinematografiche e si realizzano parecchi film commerciali. Con l’avvento del sonoro, la produzione si sviluppa soprattutto negli studi di Shanghai, ed è allora che nasce un cinema di intenti politici e sociali, radicati nella realtà contemporanea, coi suoi problemi e drammi quotidiani. Dopo il 1937, durante la guerra contro il Giappone e successivamente nel corso della rivoluzione comunista, le sorti della cinematografia cinese subirono le alterne vicende politiche e militari. Con la nazionalizzazione dell’industria cinematografica e le nuove direttive del governo popolare, il cinema cinese dal 1950 si avviò sulla strada del realismo socialista. I primi film della nuova cinematografica si affermarono per una loro freschezza, e una certa ingenuità, che bene riflettevano lo spirito della rivoluzione e i fermenti della gioventù comunista. È solo a partire dagli anni Ottanta, in sintonia con la progressiva trasformazione del paese da una economia socialista a una maggiormente capitalista, che il cinema cinese acquista una dimensione internazionale. GLI ALTRI PAESI ASIATICI Non sono mancati altri Paesi in cui il cinema si è sviluppato, raggiungendo livelli di rilevo sia sul piano strettamente cinematografico che su quello per la conoscenza di culture autoctone, di usi e costumi. A Hong Kong si è sviluppato un cinema relativo maggiormente alle arti marziali, inizialmente legati soprattutto alla cultura del paese, successivamente più dinamici e violenti essendo influenzati dal western americano. 72 martedì 13 marzo 2018 Il nuovo realismo è una conseguenza delle scelte estetiche dei registi, e amplia l’andamento narrativo avvicinandolo molto alla realtà. La dimensione metacinematografica fa sì che le immagini non si sostituiscano alla realtà, ma ci parlino di essa, rivelando la propria natura di immagini cinematografiche. I REGISTI AUTORI DEL NUOVO CINEMA FRANCESE: TRA MEMORIA E ATTUALITÀ Si trattava in certa misura di un cinema autobiografico, nel senso che l’autore era direttamente coinvolto nella realtà rappresentata. Ne deriva un cinema che segue la strada della memoria e la strada dell’attualità. Resnais: Alain Resnais si colloca nell’ambito del nuovo cinema francese in una posizione autonoma per il suo isolamento rispetto ai gruppi di cinefili: sia per la sua ricerca linguistica, sia per il frutto di una attenta riconsiderazione dei mezzi espressivi del cinema. Di suoi film si ricordano “Notte e nebbia” 1956, meditazione sull’olocausto, sul nazismo e gli orrori della guerra, che chiarì l’ideologia del regista: nel film il passato e il presente si mescolano in un unico flusso di immagini e di suoni. Nel 1959 “Hiroshima, mon amour ” fece scandalo. Narra la storia dell’amore tra un’attrice francese e un attore giapponese, che richiama con un’integrazione tra passato e presente, la storia d’amore della stessa attrice con un tedesco. Il film scandalizzò per la chiara denuncia della guerra, dell’imperialismo americano. Il film da ricordare è “L’anno scorso a Marienbad” 1961, uno dei più noti esempi della narrativa obiettiva, quasi descrizione fenomenologica della realtà. Il film è giocato sull’incontro tra un uomo e una donna, lui sostiene di averla già conosciuta e amata, lei nega tutto. Malle: Louis Malle si fece conoscere per due film che contenevano elementi di novità riferiti alla Nouvelle Vague, ovvero “Ascensore per il patibolo” e “Les amants”. Successivamente il cinema di Malle si caratterizza per un evidente eclettismo estetico, e il film da ricordare è "Nome e cognome: Lacombe Lucien” 1974. Varda: Agnes Varda ha impiegato il linguaggio cinematografico in maniera più diretta, quasi documentaristica. La Varda si affermò internazionalmente con “Cleo delle 5 alle 7” 1962, in cui certi problemi della condizione femminile trovano una trattazione nella rappresentazione in tempo reale di un frammento di vita quotidiana di una ragazza parigina. Nel 1985 coglie un altro successo internazionale, Leone d’oro, con “Senza tetto né legge”, un ritratto femminile di una giovane del sud della Francia. Chabrol: Il suo primo film “Le beau Serge” 1958 ha contribuito ad aprire la strada ad altri registi della Nouvelle Vague. Un dramma psicologico sull’amicizia di due giovani uno opposto all’altro, in cui uno tenta di salvare l’altro dalla perdizione. Il film dimostrò la possibilità di produrre film di valore a basso costo. Truffaut: Realizzò nel 1959 “I 400 colpi”, film premiato al festival di Cannes. 75 martedì 13 marzo 2018 Narra la storia di un tredicenne Antoine, dei suoi difficili rapporti con la madre, il patrigno e la scuola, della passione per il cinema, dei turbamenti sessuali dell’adolescenza, della fuga da casa, del furto di una macchina da scrivere fino all’internamento in un carcere minorile da cui riuscirà a fuggire correndo verso il mare, nella ricerca di libertà. Il film esibisce la dimensione autobiografica ed intima, personale e sincera del cinema del regista, i cui disarmati protagonisti sono quasi sempre suoi alter ego. Il regista continua a seguire la vita del personaggio in un vero e proprio romanzo di formazione che lo accompagna sino all’età adulta. Affiorano in questi film i temi cari al regista: amore, donna, infanzia, letteratura e cinema. L’amore come passione e sofferenza fisica è presente in film come “Jules e Jim” 1964, uno dei manifesti della Nouvelle Vague, che si concentra sul triangolo sentimentale. Da ricordare infine “Effetto notte” 1973, che ha per soggetto la travagliata lavorazione di un film. Rohmer: Eric Rohmer viene ricordato per le “serie di film”. La prima è la serie dei “Sei racconti morali”, realizzati tra il 1962 e il 1974. In questi film la dimensione sentimentale fa da padrone, guardando con tenerezza alle ingenuità, alle velleità e alle debolezze dei suoi anti-eroi, conferendo alle sue opere un tono decisamente ironico. Nel suo cinema è importante il non-detto, il non-fatto. Il secondo ciclo è quello de “Commedie e proverbi” in cui il tono si fa più leggero. Infine, una terza serie è quella de “Racconti delle quattro stagioni”. Rivette: La sua idea di cinema era un’idea sull’appartenenza del cinema a un contesto culturale e artistico più ampio, dove un ruolo centrale è affidato al rapporto tra arte e vita, finzione e realtà, mistero e quotidiano. Da ricordare film come “Parigi ci appartiene” 1958, affresco sull’assurdità contemporanea dove un gruppo di teatranti è alle prese con una difficile messa in scena e un complotto, oppure “Suzanne Simonin, la religiosa” 1966 dove il discorso sulla realtà fenomenica si fa più chiaro. Storia di una donna costretta a farsi monaca, ritenuta posseduta dal demonio, vittima delle eccessive attenzioni di una badessa, costretta al suicidio. Da un lato, si nota la fedeltà e la cura nell’ambientazione storica, estremamente precisa; dall’altro, la modernità e la lucida individuazione dei conflitti morali ed ideologici. Infine “L’amour fou” 1969, che narra le vicissitudini di due coniugi. Qui notiamo l’omaggio al surrealismo nel titolo. L’improvvisazione, la libertà di scena, sono i cardini sui quali viene costruita l’opera che rifugge da ogni classificazione. LA CONSAPEVOLEZZA DEL CINEMA: JEAN-LUC GODARD È il regista che più ha rappresentato gli elementi di rottura e novità e la complessità del cinema della Nouvelle Vague. Godard ha esordito con “Fino all’ultimo respiro” 1960, storia di un giovane criminale che si atteggia e che dopo aver ucciso un poliziotto tenta di convincere una ragazza americana ad andare con lui in Italia. 76 martedì 13 marzo 2018 Il film rappresenta una notevole indifferenza agli standard del linguaggio e del racconto, introducendo divagazioni, tempi morti e facendo ricorso a un montaggio sincopato soprattutto per l’uso dei jump cut. È il primo di una serie di film in cui la sperimentazione diventa l’unico modo per affrontare i problemi della società contemporanea in maniera nuova e spregiudicata, fuori degli schemi contenutistici e formali del vecchio cinema. Godard gira un gran numero di film, che sconvolgono l’idea del cinema sino ad allora, offrendo uno spaccato della società francese di quegli anni ma anche un attento lavoro di ricerca sulle possibilità espressive del cinema. Dà corpo ad una narrazione attenta a ciò che sta tra le azioni, attese, silenzi, sguardi: ricorre al collage, mescola il popolare a digressioni estetiche, ricorre ad un linguaggio anticlassico. Ricordiamo altri film quali: “Questa è la mia vita” 1962, ritratto sfaccettato e dolente di una ragazza dei nostri giorni, una giovane prostituta agli inizi della carriera. Il film si presenta come un saggio sociologico, cercando sempre più di approfondire l’analisi di un ambiente e di una realtà, quella femminile. Negli anni Sessanta Godard è anche interessato agli echi della guerra d’Algeria, come accade nel film “Le petit soldat” 1960. “La cinese” 1967 può essere visto come il film che apre la stagione più esplicitamente politica, ideologica e militante del cinema di Godard. Il film verte su un gruppo di militanti marxisti deciso ad aprirsi al maoismo, muovendosi tra teatro di strada e attentati terroristici. 
 Il discorso del cinema nel cinema si fa evidente con l’inclusione di ciak, così come è esplicito il tentativo di inserire il cinema nelle diverse forme della cultura contemporanea, con immagini di fotografie, fumetti e copertine da libri. Successivamente Godard si aprirà alle nuove tecnologie in un periodo di riflessione e nasceranno film video e lunghi programmi televisivi, meno direttamente politici, con riflessioni sulla famiglia e sul lavoro. IL CINÉMA VÉRITÉ E IL NUOVO DOCUMENTARIO È una tendenza del cinema che si è andata divulgando negli anni Sessanta in Francia e in altri Paesi. È il tentativo di utilizzare il cinema come rivelatore della realtà nel suo farsi. Il termine riprende tutto il concetto informatore di tutta la scuola documentaristica mondiale. Può essere utile per il discorso sul cinéma vérité la frase “la verità non è lo scopo, ma la strada”. Se si intende questo cinema come una strada da seguire, meglio ancora come una predisposizione all’indagine, all’analisi della realtà, se la verità non è uno scopo, ma può essere la strada per raggiungere una nuova visione e un nuovo rapporto con la realtà, questo cinema diventa una ideologia. Tra i vari modi di praticarlo, vi è anche quello di usare la cinepresa come agente provocatore, stimolatore di reazioni e comportamenti. Per questo tipo di cinema bisogna ricordare Rouch, che adopera la cinepresa come strumento terapeutico. Egli provoca i protagonisti dei suoi film, li crea come personaggi nel momento stesso in cui dà loro la possibilità di realizzarsi come uomini fuori dagli impedimenti psicologici e morali della loro vita sociale. Realizza alcuni cortometraggi africani, dove la verità scaturisce direttamente dalla finzione nella misura in cui l’autenticità della storia improvvisata e la sincerità dei personaggi sono lo specchio di un modo d’essere. 77 martedì 13 marzo 2018 Dario Argento: c’ha la figlia pompinara È autore di numerosi film gialli, thriller e horror. Con “Profondo rosso” 1975 si afferma e si apre ad una componente fantastica che dominerà la fase successiva della sua carriera. Il film è tutto giocato sul succedersi di emozioni visive, colpi di scena, un montaggio ad effetto ed una ipnotica colonna sonora. MICHELANGELO ANTONIONI E IL CINEMA DELL’ALIENAZIONE Segna l’inizio di un cinema antispettacolare. Raggiunge successo con il film “L’avventura” 1960, che fu la base di partenza di un processo di nuova significazione filmica. Può considerarsi il primo episodio di una tetralogia (gli altri 3 erano “La notte”, “L’eclisse” e “Deserto rosso”), sul tema dell’alienazione nella società contemporanea, in particolare della donna e della coppia, dove alienazione va intesa come estraneità e indifferenza al mondo, assenza di desideri ed emozioni. Antonioni frantuma il racconto in lunghe pause contemplative, punta l’attenzione sui momenti statici, privi di forte rilievo drammatico, addirittura banali nella loro quotidianità. Personaggi e ambienti assumono una dimensione metaforica. Film difficili, essi formano un unico blocco drammatico, variamente articolato per temi e soggetti. Antonioni qui elabora un discorso sullo sguardo, sulle sue possibilità e sui suoi limiti. Altri film da ricordare “Blow up” 1967, storia di un fotografo che ingrandendo una fotografia, scopre una realtà sconosciuta, e “Zabriskie Point” 1970, storia di un giovane in figura dalla polizia perché accusato di aver ucciso un poliziotto, ed è segnato da un evidente simbolismo. FEDERICO FELLINI: LA FANTASIA AL POTERE Federico Fellini, anch’egli proveniente dal Neorealismo ed affermatosi in Italia nei primi anni Cinquanta, è il simbolo di un cinema barocco, esplicitamente affabulato, perfettamente cosciente della finzione dello spettacolo, che sa coinvolgere a livello emozionale più che razionale lo spettatore immerso in una sorta di fantasmagoria visiva e sonora. Federico Fellini si forma nell’ambito del neorealismo radicale che vide in Roberto Rossellini il rappresentante più qualificato; è il suo maestro, sia di cinema ma anche di morale. Sia il film di esordio “Luci del varietà”1951, sia i successivi “Lo sceicco bianco” 1952 e “I vitelloni” 1953, iniziano quel discorso autobiografico, in continuo scavare nei ricordi del proprio passato, che Fellini svilupperà ampiamente in seguito. Il mondo dell’avanspettacolo nel primo, quello dei fotoromanzi nel secondo e quello provinciale della sua giovinezza nel terzo, attraverso le disavventure quotidiane di cinque giovani di provincia fannulloni ed indolenti, sono i tre momenti narrativi attorno ai quali si svolge una rappresentazione sfaccettata. Questa sorta di trilogia sulla provincia, il cui ultimo film I vitelloni fu premiato a Venezia, e grazie all’enorme successo consacrò Fellini insieme al nascente divo del cinema italiano, Alberto Sordi, circoscrive il primo periodo dell’attività di regista di Fellini. 80 martedì 13 marzo 2018 A questa trilogia ne segue una seconda, formata da “La strada” 1954, “Il bidone” 1955 e “Le notti di Cabiria” 1957, in cui Fellini approfondisce il tema del fallimento morale e del suo possibile risotto sul piano di una umanità autentica. Lo stile si fa sempre più personale, introduce elementi poetici espliciti, abbandona il Neorealismo, il simbolo è introdotto per accentuare l’intento morale, la partecipazione sentimentale dello spettatore, e si accompagna ad altre costanti dell’opera del regista, come i ricorrenti tipi di personaggi. La poetica simbolistica e decadente appare successivamente trasformarsi in una visione della realtà più distaccata, anche se filtrata da un atteggiamento personalissimo, di fronte ai singoli problemi dell’esistenza. L’urgenza di certi problemi ideologici e morali spinge l’autore ad iniziare un nuovo dialogo con lo spettatore, al di fuori delle regole tradizionali dello spettacolo cinematografico, affidandosi alla fantasia, all’estro, all’improvvisazione. Il primo risultato di questo nuovo atteggiamento nei confronti della realtà è “La dolce vita” 1960, Palma d’oro a Cannes, un film ampio, che segnò una tappa fondamentale del cinema del dopoguerra. Frutto di un lungo travaglio ideologico e poetico, esso narra una situazione esistenziale, chiaramente autobiografica ma sufficientemente emblematica. Le peregrinazioni del protagonista, un giornalista-scrittore in crisi, attraverso una Roma corrotta e corruttrice, è un viaggio verso l’essenza della vita. Dopo questo film, Fellini realizza “Otto e mezzo” 1963, da alcuni considerata l’opera più matura e valida e attenta riflessione sul ruolo dell’artista. Fellini si identifica con il protagonista (ancora Marcello Mastroianni, destinato al ruolo di alter ego del regista), un regista che non riesce a terminare i film cui sta lavorando, dibattendosi tra contraddizioni, illusioni, ricordi e aspirazioni: e questa visione ci dà dell’artista e dell’uomo un ritratto sfaccettato e problematico. L’incapacità di uscire da una situazione esistenziale critica è anche il tema di “Giulietta degli spiriti” 1965, dove l’analisi della realtà è affidata ad un personaggio femminile, una piccolo-borghese, moglie di un uomo che la tradisce e non la comprende. Con l’inizio degli anni Settanta Fellini, da un lato ritorna ai motivi autobiografici, dall’altro dilata la rappresentazione della realtà oltre i confini abituali dei suoi film. Da ricordare “Amarcord” 1973, ritorno al mondo dei Vitelloni, alla Rimini della prima giovinezza descritta con valore fantasioso e poetico. Ciò che conta del film è la somma dei diversi episodi, il sovrapporsi di parecchie avventure individuali e collettive. PIER PAOLO PASOLINI, L’ARTE E LO SCANDALO Pasolini si colloca come una figura isolata, ed è stato autore di film che spesso hanno suscitato scandalo per la violenza degli assunti, per la sacralizzazione di un mondo sottoproletario rozzo e volgare, per l’eterogeneità dei materiali usati (che mescolano il sacro e il profano, il religioso e il peccaminoso). Inizialmente si dedica ad un cinema vicino al Neorealismo, concentrandosi sul sottoproletariato, il ragazzi di vita, la periferia romana, una condizione subumana di esistenza, che diventano i contenuti privilegiati di un cinema che successivamente tende a trasporre i dati immediati dell’esperienza. Infatti in seguito ci sarà un superamento del Neorealismo, lo stile si fa colto, più esplicitamente mediato dalla cultura e dall’arte. 81 martedì 13 marzo 2018 La dilatazione semantica del realismo si presenta in “Mamma Roma” 1962, costruito intorno al personaggio di Anna Magnani, interprete di una prostituta che cerca vanamente di rifarsi una vita. La religiosità dell’ateo Pasolini si trova nell’episodio “La ricotta” 1963 e ne “Il vangelo secondo Matteo” 1964. Il primo narra di un figurante sottoproletario che deve interpretare uno dei due ladroni sul set di un film dedicato alla passione, il quale si ingozza di cibo sino a morirne sulla croce. Il secondo propone l’immagine di un Cristo predicatore, combattivo, impaziente. Ne nasce un film brutale e realistico, Pasolini recupero mito e storia, poesia e critica, in un impasto espressivo che proprio in quegli anni andava elaborando in una serie di contenuti teorici. Forse il film più libero di Pasolini è “Uccellacci e uccellini” 1966, che segue il viaggio di un padre, di un figlio e di un corvo che parla come un intellettuale marxista, fino al momento in cui i due uomini, esausti, se lo mangiano. In seguito il discorso critico si fa più ampio e Pasolini decide di dedicarsi alla riscoperta del mito per una interpretazione originale della realtà contemporanea. Con gli anni Settanta gli obiettivi del regista paiono nuovamente mutati, ed il sesso pare una tematica importante come costante dell’esperienza umana. Questo tema viene affrontato in film come “Decameron” 1971 di Boccaccio, “I racconti di Canterbury” 1972 di Chaucer, o “Il fiore delle Mille e una notte” 1974. Ma mentre in questi film, e soprattutto nel terzo, il sesso è qualcosa di positivo e di fortemente liberatorio per l’uomo nella sua condizione esistenziale, uno dei suoi ultimi film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” 1975 presenta invece una visione di estrema violenza sessuale, che causò un grandissimo scandalo. Capitolo 17. Il cinema europeo degli anni Sessanta e Settanta. MODERNITÀ E CINEMA D’AUTORE IN EUROPA La nascita e l’affermarsi del Nuovo cinema degli anni Sessanta, contagia tutta l’Europa, i paesi socialisti prima e la Germania poi. Negli anni Sessanta esplode il fenomeno del cinema d’autore, dove i protagonisti sono investiti di un prestigio culturale e di un’aura artistica e di un’attenzione dei media fino ad allora poco conosciuti. Il lavoro dell’autore tende ad estendersi a tutte le fasi di lavorazione del film, che egli controlla in prima persona. I film d’autore tendono a liberarsi di scorie di tipo commerciale e presentano contenuti spesso complessi, espressi attraverso una forma originale. La complessità di forma e contenuti prevedono un nuovo tipo di spettatore, invitato a vivere l’esperienza filmica non solo come ricreativa ma anche come occasione di accrescimento culturale. INGMAR BERGMAN, O DEL SILENZIO DI DIO Il film più importante dei suoi primi anni da regista è probabilmente “Prigione” 1948, da lui stesso scritto e sceneggiato, che narrando la cupa storia di un cineasta alle prese con il soggetto di un suo film, anticipa diversi aspetti dell’opera a venire del regista: l’uso dei primi piani, le lunghe e intense riprese, l’attenzione al rapporto fra realtà e rappresentazione, il recupero delle forme del muto, l’espressionistico intrecciarsi del reale con il mondo dei sogni e degli incubi. 82 lo spettatore non è più soggetto passivo, ma partecipa attivamente. protagonisti del cinema d'autore sono: martedì 13 marzo 2018 gli uomini che le si avvicinano, “Cul de Sac” 1966 , dove il soggetto è ancora circoscritto in un tempo e uno spazio limitati. In seguito Polanski parve per alcuni anni condizionato dalla tragedia che sconvolse la sua vita privata, la barbara uccisione della moglie, l’attrice Sharon Tate, ad opera della setta di Charles Mason. Lontano dal mondo dello spettacolo, soltanto nel 1971 cominciò un nuovo film, ovvero il “Macbeth”, tutto tenuto sui toni della violenza e del sangue. Dei film più vicini ricordiamo “Il pianista” 2002, Palma d’oro a Cannes e Oscar per la migliore regia, che narra le vicissitudini di un giovane pianista ebreo che sopravvive tra le rovine del ghetto di Varsavia. In Cecoslovacchia, il “disgelo” giunse più lentamente ma arrivò con un gruppo di registi che si accomunava alla Nouvelle Vague francese. Tra i registi cecoslovacchi ricordiamo Miloš Norman, il cui film di maggior successo fu “Qualcuno volò sul nido del cuculo” 1975, vincitore di cinque oscar, storia di un criminale che per sfuggire alla legge si fa rinchiudere in un manicomio ma a quel punto diventa il paladino dei diritti degli internati. IL NUOVO CINEMA IN GERMANIA Il 28 febbraio 1962, ventisei giovani cineasti tedeschi redigono e firmano il Manifesto di Oberhausen, sede di un importante festival di cortometraggi, e diedero così origine allo Junger Deutscher Film. Di là da un evidente interesse sociale e politico verso la società tedesca, al suo passato come al suo presente, da un rigore espressivo che talvolta assume esplicite dimensioni sperimentali, da un’iniziale politica fatta di autoproduzioni e budget contenuti, il Nuovo Cinema Tedesco si disperde in una miriade di soluzioni poetiche e stilistiche. Tra gli autori sono importanti da ricordare Straub, Kluge, Herzog, Fassbinder. WIM WENDERS: FRA EUROPA E AMERICA Tra i registi tedeschi formatisi nell’ambito dello Junger Deutscher Film, il più importante fu sicuramente Wim Wenders. È con la cosiddetta “trilogia della strada” che egli si impone all’attenzione mondiale come uno dei più interessanti registi della sua generazione: “Alice nelle citta” 1973, “Falso movimento” 1974, e il più importante “Nel corso del tempo” 1975, che è la storia dell’incontro e dell’amicizia che nasce tra un riparatore di proiettori cinematografici e un uomo che ha appena tentato il suicidio. In queste opere Wenders porta alle estreme conseguenze contenutistiche e formali la sua idea di un cinema e di un racconto aperto, che segua a passo a passo l’evoluzione dei personaggi attraverso gli impercettibili mutamenti interiori che scaturiscono dal fatto stesso di muoversi. Il suo film di maggiore successo è comunque “Il cielo sopra Berlino” 1987, premiato a Cannes, ritratto incantato e fiabesco della capitale tedesca e dell’incapacità di comunicare dei suoi abitanti. Trasferitosi negli Stati Uniti, Wenders tenterà la via della produzione indipendente e realizzerà film del calibro di “The Million Dollar Hotel” 2000, ritratto di una comunità di sbandati di un albergo di Los Angeles che vive il suo momento di celebrità mediatica in seguito al suicidio di un miliardario sotto mentite spoglie. 85 martedì 13 marzo 2018 Capitolo 18. Crisi e rinascita del cinema americano. HOLLYWOOD NEGLI ANNI SESSANTA: LA CRISI Nel corso degli anni Cinquanta il sistema hollywoodiano si dovette confrontare con due fenomeni strettamente connessi tra loro: l’avvento della televisione e il drastico calo di affluenza nelle sale cinematografiche. Gli studi reagirono a questa situazione cercando di fare del cinema il più grande spettacolo del mondo, soprattutto attraverso l’introduzione del colore e del CinemaScope, che accentuavano le potenzialità immaginarie del grande schermo. Il cinema americano incominciò a rendersi conto dell’affermarsi di un nuovo pubblico, quello giovanile, cui iniziò a rivolgersi con film in buona parte pensati per le nuove generazioni, cui parlava con nuovi divi come James Dean, Marlon Brando ed Elvis Presley. Parallelamente le produzioni indipendenti incominciavano a farsi più attive con la realizzazione di B-movie dai soggetti forti e oltraggiosi, particolarmente adatti ad un pubblico giovanile, se non adolescenziale. 
 Processo favorito dall’abbandono del Productional Code, che fu sostituito un più blando sistema di valutazione che suddivideva i film in diverse categorie: da quelli per tutte le età a quelli ristretti ad un pubblico maggiorenne. Negli anni Sessanta questi fenomeni perdurano, accrescendo le difficoltà delle majors, più lente, rispetto agli indipendenti, nel tener conto di quella frantumazione del pubblico e dei suoi nuovi gusti. Una data importante per la crisi di Hollywood fu il 1963 con “Cleopatra” che pensato come un blockbuster, si rivelò un clamoroso fallimento. Nel corso di questa situazione di crisi, ma anche di fermento, gli anni Sessanta del cinema hollywoodiano vedono ancora all’opera diversi autori e registi di primo piano (Ford, Hawks, Hitchcock), e a questi si possono aggiungere nuovi nomi come Siegel, Edwards, Lewis e Corman. Siegel ha diretto numerosi film d’azione, il più delle volte dominati da un grande senso del montaggio, e spesso incentrati sul tema della lotta solitaria di un individuo che sa di poter contare solo su se stesso. I suoi film di maggiore successo furono “L’invasione degli ultracorpi” 1956, “Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è mio” 1971, con Clint Eastwood, e sempre con lui “Fuga da Alcatraz” 1979. Edwards è il regista della commedia sofisticata, come il celebrato “Colazione da Tiffany” 1961 con Audrey Hepburn. Lewis si concentrò maggiormente sul genere comico, con effetti di comicità pura e gags esplicitamente surreali, come nel film “Il ragazzo tuttofare” 1960. Corman invece è stato il regista fondamentale di B-movie indipendenti e si è dedicato a diversi generi: dall’horror alla fantascienza, dal western al gangster film, dal teenager movies al softcore. NASCITA DELLA NEW HOLLYWOOD Nel corso degli anni Sessanta, la società americana vive grandi trasformazioni legate sia alle speranze connesse al riformismo della presidenza Kennedy, sia alle ansie della guerra in Vietnam. Si sviluppa così nel paese un ampio movimento di contestazione e di opinione che assume diverse forme: dall’opposizione al conflitto nel Sud Est asiatico al rifiuto di 86 costrette a distribuire i loro film e ad aprirsi alle produ. indipend. ----------------------------------------------------------------------------------------------------- ---------------------------------------------- * * martedì 13 marzo 2018 presentarsi alla visita di leva, dal ripudio dei modelli di vita proposti dal capitalismo e dal consumismo, dalle lotte per l’emancipazione dei neri guidate da Martin Luther King e più radicalmente da Malcolm X, al più generale fenomeno della contro cultura, che va dalla letteratura dei piedi e romanzieri della Beat generation, alla nuova musica country e rock. A questa serie di movimenti non poteva essere estraneo il cinema. Ciò avvenne soprattutto in due ambiti nettamente distinti, quello più radicale e sperimentale e d’avanguardia (New American Cinema) e quello della cosiddetta New Hollywood. I caratteri della New Hollywood sono stati in bona parte definiti da alcuno film che si affacciarono sugli schermi americani, Il laureato 1967, Gangster Story 1967, Easy Rider 1969. "Il laureato”, una produzione oscar indipendente il cui successo di pubblico la portò al premio Oscar, mette in scena il conflitto generazionale e la critica al perbenismo borghese, attraverso la storia di un giovane (interpretato da Dustin Hoffman) che, appena laureatosi e piuttosto incerto sul che fare della sua vita, è sedotto da una ricca signora borghese, per innamorarsi poi della figlia di questa e strapparla sull’altare al suo promesso sposo. Dello stesso anno è “Gangster story”, un film centrato su una coppia di fuorilegge, un uomo e una donna, i cui crimini passano sullo schermo in secondo piano rispetto al loro apparire come giovani ribelli in lotta contro l’oppressione della società. Il film colpì per la sua rappresentazione fisica ed esplicita della violenza. Ma l’opera che più di altre può essere assunta a vero e proprio manifesto del nuovo cinema americano, è “Easy Rider: libertà e paura”. Il film narra di due giovani hippie che, dopo aver venduto una partita di droga, acquistano due motociclette e intraprendono un viaggio attraverso l’America finendo barbaramente uccisi nel razzista Sud del paese. Innanzitutto la sua natura on the road determina il fatto che esso sia girato al di fuori degli studi e un andamento narrativo episodico. In sintesi la New Hollywood può essere anche vista come una sorta di compromesso tra le istanze del tradizionale cinema hollywoodiano e quelle delle nouvelle vague e del cinema d’autore europeo. Un’altra influenza del cinema europeo su quello americano è la rivalutazione della figura dell’autore, sostanzialmente estraneo alla logica dello studio system, e per qualche anno anche a Hollywood si parlò di cinema d’autore. Un altro aspetto importante di questa nuova consapevolezza autoriale è la nascita di un nuovo polo produttivo, New York, sede di lavoro di molti dei cineasti del New American Cinema. Le scelte narrative erano principalmente: il rifiuto dei principi di vita proposti dal capitalismo e dal consumismo, la raffigurazione di realtà emarginate, la scelta di esperienze di vita alternative, una certa attenzione al malessere, una più franca rappresentazione della violenza e del sesso. 
 Un ultimo elemento che caratterizza il nuovo cinema americano è il rapporto con i generi. Molti dei film della New Hollywood sono a loro modo dei film di genere, ma si tratta di film che rivisitano i generi, ne usano gli stereotipi per demolirne i tradizionali miti. Principali autori: 87 per esempio 'western' di Peckinpah martedì 13 marzo 2018 Il suo film più importante e ricordato è “Il padrino” 1972, storia di Mike Corleone (Al Pacino) che, in seguito all’assassinio del padre Don Vito (Marlon Brando), decide di dirigere l’attività criminale e mafiosa della famiglia. Travalica gli ambiti del gangster film per farsi una tragedia di iniziazione al crimine e spietata lotta per il potere. Un altro film particolarmente importante è “Apocalipse Now” 1979, un’epica rappresentazione della guerra del Vietnam, vagamente ispirata a Cuore di tenebra di Conrad. Steven Spielberg: Ha maturato una passione per il cinema, ma è stato meno autore, abbracciando presto un'idea di cinema di grande spettacolo. A Spielberg è riuscito il miracolo di far rinascere un cinema per tutta la famiglia. Ciò non significa che tutti i suoi lavori siano d’evasione. Spielberg è il protagonista primo della rinascita del grande immaginario hollywoodiano. I suoi grandi successi sono stati “Lo squalo” 1975, “Incontri ravvicinati del terzo tipo” 1977, “I predatori dell’arca perduta” 1981, “E.T. L’extraterrestre” 1982, “Jurassic Park” 1993, “Minority Report” 2002, “La guerra dei mondi" 2005. Ma oltre all’immaginario del cinema fantastico e di fantascienza, c’è anche quello più realista e impegnato, con “Schindler’s List” 1993 e “Salvate il soldato Ryan” 1998. George Lucas: conosciuto fondamentalmente per Guerre stellari. Il film fa successo anche grazie ad un’attenta campagna promozionale e si rivolge prettamente a un pubblico adolescenziale, mescola fantascienza e fantasy, avventura e commedia, celebra il potere della misteriosa Forza contro quello della tecnologia, ricorre a diverse citazioni della storia del cinema. Woody Allen: (il mio cane si chiama così grazie a lui <3) ha assunto il ruolo di commentatore ironico della società americana, cogliendone i segni di un disagio morale e sociale osservato con gli occhi distaccati del fustigatore di costumi, del moralista aggressivo e divertito. I personaggi dei suoi film, in particolare quelli da lui stesso interpretati, rifacendosi alla tradizione dello “shlemiel” (figura tipica della cultura ebraica, cui Allen appartiene e cui ha spesso assegnato un ruolo di primo piano nella sua opera anche ironicamente), hanno dato corpo alle ansie e alle frustrazioni dell’uomo contemporaneo. Regista newyorchese per eccellenza, è un intellettuale colto, legato alla tradizione americana ma anche a evidente suggestioni europee. I suoi film più importanti: “Io & Annie” 1977, vincitore di quattro premi Oscar, storia delle vicissitudini sentimentali di una coppia, segnate da quel rapporto nevrotico con se stessi e gli altri che sarà una costante delle commedie del regista. “Manhattan” 1979, il personaggio appena lasciato dalla sua seconda moglie è diviso tra una affascinante studentessa e una problematica intellettuale. “Zelig” racconta di un uomo degli anni Venti che non può fare a meno che identificarsi con i propri interlocutori. “La Rosa purpurea del Cairo” 1985 ambientato nella grande depressione, il personaggio, accortosi che una spettatrice torna in sala a vederlo, esce dallo schermo ed entra nella realtà deciso a fare la sua conoscenza. 90 ES: American Graffiti, 1973 martedì 13 marzo 2018 “Hanna e le sue sorelle” 1986 ritratto di tre donne che hanno fatto scelte di vita diverse. “Misterioso omicidio a Manhattan” 1993, una donna è convinta che la sua vicina sia stata assassinata. “Match Point” 2005, un uomo sposa per soldi una ricca ereditiera ma si innamora di un’altra. “Basta che funzioni” 2009, un vecchio in pensione trova per un breve periodo consolazione con una ragazza all’insegna di un edonistico “basta che funzioni”. OSSESSIONE E NICHILISMO NEL CINEMA DI MARTIN SCORSESE Martin Scorsese è tra i grandi protagonisti del cinema americano degli anni Settanta. I suoi film riprendono la lezione neorealista, offrendo uno spaccato quasi antropologico di un un mondo marginale e violento. Tra i suoi film più importanti, “Taxi Driver” 1976, in cui un tassista reduce dal Vietnam (De Niro), diviso tra due donne complementari tra loro, e ossessionato dal decadimento morale del mondo che lo circonda, decide di ripulire a suo modo la città. Dopo aver attraversato altri tipi di generi, Scorsese tornerà più volte al genere criminale, con “Quei bravi ragazzi” 1990 e “The Departed - Il bene e il male” 2006, dove il tema del doppio e della perdita di identità è svolto attraverso due personaggi speculari, un agente di polizia infiltrato in una banda di gangster, e un criminale arruolato nelle forze dell’ordine; e con “Shutter Island” 2009. STANLEY KUBRICK: L’ORDINE E IL CAOS Quasi tutti i film di Kubrick sono stati prodotti dalle grandi majors. Su ognuno di questi film, Kubrick ha potuto esercitare un assoluto potere di controllo, dedicandogli tempi di progettazione e lavorazione assai lunghi. Kubrick ha instaurato uno stretto rapporto coi generi classici, anche se con l’evidente fine di rovesciare molti degli assunti che li fondavano. La sua opera si fonda attorno al nucleo di temi ben precisi, che sono quelli del rapporto tra cultura e natura, della violenza connaturata nell’uomo, del doppio che vuole che tutto abbia il suo rovescio, della perdita della ragione. I suoi film sono spesso giocati sulla presenza di meccanismi perfetti che d’improvviso s’inceppano e generano il caos. Inizia con “Orizzonti di gloria” 1957, grande affresco della Prima guerra mondiale sul fronte francese. Successivamente realizza il kolossal “Spartacus” 1960 e “Lolita” 1961. Di maggiore successo è “Il dottor Stranamore” 1963, costruito su un paradossale attacco atomico scatenato da un generale anticomunista contro l’Unione Sovietica e che nessuno è più in grado di fermare. “2001: Odissea nello spazio” 1968 è uno dei film indelebili nella storia del cinema. Storia di un viaggio verso Giove, operato da due astronauti e da un computer di bordo che si sottrae ai suoi compiti, è la somma di una concezione del cinema come veicolo di pensiero, che affronta alcuni temi fondamentali, come l’origine dell’umanità, il rapporto con scienza e tecnologia, il futuro. 91 martedì 13 marzo 2018 “Arancia meccanica” 1972, storia di un giovane delinquente il quale, sottoposto ad una particolare cura, finisce con l’odiare la violenza, divenendo così la vittima del furore vendicativo di quelle che erano state le sue vittime. (Ribaltamento!!) Da un romanzo dell’orrore di Stephen King è “Shining” 1980, storia di un aspirante e frustrato scrittore (Nicholson) che trascorre insieme a moglie e figlio (bimbo inquietante) un lungo inverno come custode di un hotel durante la sua chiusura stagionale. L’uomo finirà con l’essere posseduto da una forza maligna che lo spingerà a tentare di uccidere la famiglia, perpetuando una maledizione che gravava sull’hotel. Un ritorno al genere bellico con “Full Metal Jacket” 1987, diviso in due parti, la prima addestramento soldati Marines destinati al Vietnam per farne delle vere macchine da guerra, la seconda, gesta dei sopravvissuti al Vietnam. Infine, “Eyes Wide Shut” 1999, vicenda di un uomo turbato dalla rivelazione dei sogni erotici della moglie che intraprenderà una sorta di viaggio agli inferi, fatto di strani e inquietanti incontri. Capitolo 20. 
 I nuovi orizzonti del cinema contemporaneo. TRA DIGITALE E POST MODERNITÀ L’aspetto più rilevante di questo periodo cruciale della storia del cinema è stato l’avvento di quella che qualcuno ha chiamato la rivoluzione del digitale. Per cent’anni di vita del cinema, i film sono sempre stati girati grazie a una striscia di pellicola trascinata attraverso un otturatore, che la esponeva così alla luce per una frazione di secondo, consentendole di impressionare ciò che si trovava davanti all’obiettivo della macchina da presa. Si trattava di un sistema analogico. Progressivamente dagli anni Ottanta, attraverso una fase di transizione costituita dall’introduzione del video elettronico, a questo sistema analogico si è prima affiancato e poi sostituito quello digitale, per cui le immagini, anziché essere impressionate sulla tradizionale pellicola, sono memorizzate nell’hard disk di un computer. La differenza tra i due sistemi è che nel primo caso, quello dell’analogico, l’immagine è un calco della realtà, mentre nel secondo, quello del digitale, è prodotta da una serie di impulsi binari e, attraverso un processo algoritmico effettuato da un computer, trasformata in un insieme di dati numerici. Queste nuove immagini digitali, che non hanno più un rapporto diretto col reale, aprono inevitabilmente nuovi orizzonti al cinema, mettendo in discussione la sua natura ontologica, di riproduzione della realtà. Anche se gli effetti speciali sono sempre esistiti, mai come oggi le immagini che scorreranno sullo schermo si prestano ad ogni possibile alterazione. Inoltre queste immagini possono assumere le caratteristiche di veri e propri simulacri, immagini virtuali che più niente hanno a che vedere con la riproduzione della realtà. Se per un periodo relativamente lungo il digitale ha affiancato l’analogico, per cui in un film tradizionalmente girato con una pellicola erano integrate immagini generate a computer (come ad esempio con Jurassic Park, Forrest Gump, Titanic o Il gladiatore), oggi, nel secondo decennio del Duemila, la pellicola è sostanzialmente uscita di scena, e nella loro maggioranza i film non sono girati, ma anche distribuiti e proiettati in digitale. 92 martedì 13 marzo 2018 produzioni indipendenti entrando a far parte di vere e proprie multinazionali operanti in diversi settori e creando un sistema complessivo dell’industria dell’intrattenimento, in cui il cinema è sempre più strettamente legato alla televisione, all’home video, alla musica, all’editoria, al merchandising fino ai parchi tematici tipo Disney. Ancor più che in passato, le major tornano a puntare le carte sulle megaproduzioni, affidate a registi di prestigio, con la presenza di attori famosi e un gran numero di effetti speciali. Di fronte a un pubblico che oscilla tra i 15 e i 30 anni, la gran parte dei blockbuster tendono a dimenticare la realtà e a scegliere la favola, per esaltare la parte infantile dello spettatore, puntando sulla politica dei sequel (valgano per tutte “Starwars”, “Harry Potter” e “Il signore degli anelli”). Il cinema fantastico torna quindi a farla da padrone soprattutto nell’ambito del fantasy, della fantascienza, del cinema d’azione e dell’horror. Sebbene il ricavo di una super produzione sia maggiore a quello di film di medio budget, questi ultimi sono ancora una necessità per Hollywood. Dagli anni Ottanta a oggi, il panorama del cinema indipendente si è fatto molto articolato e va dalla produzione di film che di fatto sono indistinguibili da quelli commerciali della major, a quelli che sono interni al rigore e alla logica del film d’autore. Il cinema indipendente più originale, trasgressivo e d’autore si è avvalso del circuito dei festival internazionali, in particolare del Sundance Film Festival, creato fra gli altri da Robert Redford. Di fronte al mondo del cinema indipendente, che di fatto ha prodotto i più interessanti registi del cinema americano contemporaneo, le majors hanno reagito in un modo collaborativo, distribuendo i film di queste compagnie e promuovendo gli autori. SPETTACOLARITÀ Clint Eastwood: È riuscito a trasformare la sua dominante immagine fattoriale di eroe duro, solitario e reazionario, in quella di autore di film che, pur muovendosi nell’ambito dei tradizionali generi, si sono spesso costruiti su personaggi problematici, complessi e a volta addirittura ambigui. Esordisce negli anni Settanta con degli western, ma il contributo più importante al genere del western, l’ha offerto con “Il cavaliere pallido” 1985, la storia di un pistolero che si erge a difensore di una comunità di pacifici cercatori d’oro, e “Gli spietati” 1992, che narra di un ex killer, di un uomo di colore e di un ragazzino che si ergono a difensori di un gruppo di prostitute. Nonostante il passare degli anni, Eastwood raggiunge l’apice della sua carriera negli anni Duemila, con film come “Mystic River” (BELLISSIMO) 2003, che è forse il film più ambiguo e amaro del regista, hollywoodiano nelle forme, che narra del rapporto tra tre uomini segnato, nell’infanzia, dallo stupore subito da uno di loro, e nell’età adulta, del sospetto che questi sia diventato un assassino. “Million Dollar Baby” 2004 premio Oscar, affronta il tema dell’eutanasia e delle responsabilità dei padri, attraverso il rapporto tra un vecchio allenatore e una giovane pugile professionista, paralizzata da un colpo ricevuto in un combattimento. “Gran Torino” 2008 (SPLENDIDO RAGA), che narra del rapporto che si viene a creare tra un vecchio operaio in pensione, in rotta con i figli, e una famiglia immigrata di origine asiatica, sua vicina di casa. Dopo le difficoltà iniziali, l’uomo 95 martedì 13 marzo 2018 assumerà un ruolo paterno nei confronti dei due giovani asiatici della famiglia, per i quali arriverà a sacrificare la propria vita, in cambio della quale avrà imparato il rispetto per l’altro. Micheal Mann: Cineasta che riecheggia le tradizionali atmosfere del noir, autore di personaggi con una certa etica approfondita ma mai troppo eroici. Uno dei suoi maggiori film “Manhunter - frammenti di un omicidio” 1986, dal primo dei romanzi con Hannibal Lecter, successivamente “L’ultimo dei Mohicani” 1992, incursione nel western, “Heat - la sfida” 1995, confronto-scontro a due, un tenente di polizia (Al Pacino) e un ladro professionista (De Niro), in una Los Angeles notturna. Del 2009 è “Nemico Pubblico”, sfida a distanza tra un agente e un criminale. Ridley Scott: Autore che si contraddistingue per l’uso della luce e della scenografia. “Alien” 1979, un gruppo di astronauti tenta di difendersi da un’enorme e orripilante creatura aliena. “Blade Runner” 1982 fantascienza mescolata a noir, storia di un cacciatore di taglie alla ricerca di un gruppo di androidi ribelli che nessuno sarebbe in grado di distinguere da normali esseri umani. Robert Zemeckis: Logiche di blockbuster che lasciano trasparire un intelligente sguardo d’autore. “Ritorno al futuro” 1985, successo di pubblico prodotto da Spielberg, in cui il protagonista viene proiettato da una macchina del tempo nel 1951, conosce i suoi genitori prima che si sposino e riesce a cambiare in meglio il corso della loro vita. “Forrest Gump” 1994, ( tra i miei preferiti in assoluto) premio oscar, di ricostruiscono con tocco leggero ed effetti digitali, trent’anni di storia americana, attraverso la vicenda dell’arguto idiota. “Cast away” 2000, personale rilettura del mito di Robinson Crusoe (raga quanti pianti con sto film madonna). “A Christmas Carol” 2009 film d’animazione, adattamento del Canto di Natale di Dickens. James Cameron: Autore di alcune tra le più fortunate superproduzioni del cinema hollywoodiano. Raggiunge il successo con “Terminator” 1984 e con il sequel, dove un cyborg viaggia dal 2029 sino al presente per uccidere la futura madre di colui che diventerà il capo della resistenza umana. Dopo aver fondato la Digital Domain, società per realizzazione effetti speciali, realizza “Titanic” 1997, vincitore di unici premi Oscar. (La storia la sapete dai) Infine, altrettanto ambizioso è “Avatar” 2008. (Anche qui sapete la storia dai) Kahtryn Bigelow: Da ricordare soprattutto per “Point Break - punto di rottura” 1991 dove con uno stile di spettacolari movimenti di macchina e montaggio veloce si narra di una banda di rapinatori surfisti in cui si è infiltrato un agente. 96 martedì 13 marzo 2018 Fratelli Wachowsky: "The Matrix” 1999 e i sequel, che narra di un mondo futuro in cui gli uomini vivono in una realtà virtuale che fa creder loro di essere liberi individui. (Il primo TOP). DENUNCIA POLITICA Olivier Stone: Scrive sceneggiature come “Fuga di mezzanotte” 1978 che gli valse un premio oscar. Si ricorda per la trilogia sui presidenti ovvero “JFK -Un caso ancora aperto” 1991, “Gli intrighi del potere - Nixon” 1995 e “W.” 2008. E anche “Wall Street” 1987 e il suo seguito “Wall Street - Il denaro non dorme mai” 2010, aspre denunce del mondo finanziario americano. Jim Jarmush: Da ricordare soprattutto per “Dead Man” 1995 e “Ghost Dog. Il codice del samurai.” 1999. (Guarda trame) Abel Ferrara: Opera aggressiva e provocatoria. Esordisce con “L’angelo della vendetta” 1981, e “China Girl” 1987, noir grezzi e duri. Negli anni Novanta soprattutto “King of New York” 1990 e “Blackout” 1997. (Guarda trame) Gus Van Sant: Il suo cinema ha posto in primo piano figure che vivono ai margini della società, in particolare adolescenti sbandati e smarriti, belli e dannati. Da ricordare infatti il suo film “Belli e dannati” 1991. Ma più importanti e di maggiore successo sono “Will Hunting - Genio Ribelle” 1997 e “Scoprendo Forrester” 2000. (FILM BELLISSIMI) che costituiscono una sorta di dittico costruito su due giovani dal talento straordinario, per la matematica il primo, per la scrittura il secondo, e sulle loro difficoltà nell’abbandonare il loro emarginato ambiente d’origine. Fratelli Coen: Rappresentazione di un modo caotico e disadattato, in una dimensione tragica ma attraversata da un certo umorismo. Da ricordare particolarmente “Fargo” 1996 e “Il grande Lebowski” 1997. (Guarda trame). Infine da ricordare negli anni Duemila “Non è un paese per vecchi” 2007, vincitore di un premio Oscar, una storia violenta di un killer senza scrupoli. Tim Burton: 97
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