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Storia essenziale dell'Italia repubblicana Guido Formigoni RIASSUNTO COMPLETO, Dispense di Storia Contemporanea

Riassunto completo del manuale di storia della politica contemporanea italiana di Guido Formigoni

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 13/03/2023

Roberta.Af.
Roberta.Af. 🇮🇹

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Scarica Storia essenziale dell'Italia repubblicana Guido Formigoni RIASSUNTO COMPLETO e più Dispense in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Guido Formigoni, Storia essenziale dell’Italia repubblicana Capitolo Primo Qualche coordinata di lungo periodo: dal Risorgimento al Fascismo L’attuale Italia Unita è un paese europeo geograficamente collocato tra l’Europa centrale e il Mediterraneo, intermedio dal punto di vista demografico e dalla lunga storia caratterizzata da una forte frammentarietà culturale e territoriale; ancora oggi le differenze territoriali sono vive e formano quella complessità che caratterizza il nostro paese, la stessa che spesso è punto di partenza di numerosi stereotipi che comunque presentano un fondo di verità. La penisola è stata infatti centro di un impero dominante nell’antichità come quello romano; sul suo territorio si è stabilito il vertice di una religione monoteistica a diffusione globale quale il cristianesimo; il paese è stato a tratti unificato e poi a lungo diviso e frammentato politicamente, con un andamento particolaristico delle sue diverse regioni e città; in questo relativamente ristretto mondo locale si sono espressi i vertici della cultura civica comunale medievale, dell’umanesimo e dell’arte rinascimentale. Tutta questa ricchezza di eredità culturali di cui è composto l’attuale territorio italiano è confluita nell’unificazione statale avvenuta nel 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia, episodio avvenuto con un certo ritardo se confrontato con quanto era stato già fatto secoli prima da altre monarchie in Europa; nonostante il ritardo, il processo unitario italiano riprese comunque il filone di sviluppo di gran parte degli altri paesi europei. L’unificazione derivò da un risveglio sociale e culturale dell’élite aristocratica e borghese appoggiato dai moti popolari del risorgimento italiano; tale movimento, il quale si fondava in gran parte sull’elaborazione letteraria e culturale dell’identità italiana, andò di pari passo con una persistente difficoltà di unificazione politica. Questo fino a quando i Savoia del Regno di Sardegna, sotto la guida del Conte di Cavour, sfruttarono una fortuita fragilità del sistema internazionale europeo ereditato dal congresso di Vienna per inserirsi nel gioco tra le potenze europee e allargare i propri territori, alleandosi alla Francia «revisionista» di Napoleone III e approfittando della difficoltà della politica estera dell’impero asburgico. L’unificazione territoriale si concluse con la conquista del centro-sud attuata dai democratici garibaldini e mazziniani; alla fine però, forse per timore di una reazione europea, il controllo politico passò appunto alla monarchia sabauda con la conseguente estensione delle istituzioni sardo- piemontesi a tutta la penisola: un impianto centralizzato di origine francese con al suo interno una forma liberale costituzionale derivante dallo Statuto Albertino del 1848, a sua volta modellato sulla costituzione francese del 1830. Inoltre, il processo di unificazione vide una crisi e una spaccatura religiosa a causa dell’incompatibilità del progetto unitario con il potere temporale dei papi, cresciuto dopo il 1848 e irrigiditosi nel 1870, e ciò portò ad un allontanamento dalle istituzioni della popolazione cattolica più intransigente. Dopo l’Unità, la penisola presentava un equilibrio agricolo-commerciale di tipo tradizionale, basato a sua volta su una struttura produttiva divisa tra il moderno e capitalistico nord e il sud che continuava a presentare un sistema latifondiario tradizionale. Qui affondano le radici del dualismo nord-sud interpretato da molti intellettuali e politici come «questione meridionale», cioè come riflessione sulle cause e sui contenuti di tale divario nato per poterlo colmare. La lingua nazionale unificante era parlata solo da un’esigua minoranza della popolazione, mentre le lingue parlate comunemente erano i dialetti locali. Il tradizionale equilibrio agricolo-commerciale, grazie al liberalismo iniziale della destra storica che favorì l’inserimento italiano nell’orizzonte europeo, iniziò a mostrarsi funzionale alla lenta crescita economica. Non a caso, l’Italia tardo-ottocentesca fu un paese in cui convivevano crescita demografica e alta emigrazione: tale condizione al tempo stesso rappresentava il segnale di uno squilibrio permanente tra la crescita della popolazione e le scarse risorse interne, ma esprimeva anche una componente dinamica, capace di contribuire con le rimesse finanziarie all’equilibrio dei conti del paese con l’estero. L’Italia unita dei decenni finali dell’800 si presentava comunque in Europa come un paese che coltivava ambizioni da «sesta grande potenza europea». La nascita di una moderna «base industriale» nel territorio italiano, doveva rafforzarsi molto all’ombra della svolta protezionistica degli anni ’80: tale nuovo approccio di politica doganale diede l’opportunità di rafforzare una struttura manifatturiera interna adatta ai tempi della crescente competizione internazionale. Grazie al periodo espansivo dell’economia internazionale, tale processo si consolidò all’inizio del Novecento nel cosiddetto «triangolo industriale» Milano-Torino-Genova: nasceva così un’industria siderurgica nazionale, si consolidava il tessile e si sviluppava la meccanica. Parallelamente, negli anni dell’epoca giolittiana (1901-1914), si andò consolidando una nuova società con la nascita di un’opinione pubblica moderna, di una comunicazione pubblica articolata, di movimenti di lavoratori e partiti di opposizione radicati nel paese prima che in parlamento. 1 La prima guerra mondiale fu un trauma nel paese per i modi in cui ci si arrivò, in ritardo e con la rottura della Triplice Alleanza (con Germania e Austria-Ungheria), e per la contraddizione che essa aprì. Da una parte, la mobilitazione civile ed economica delle risorse interne e l’arruolamento militare di enormi quantità di fanti contadini mandati a combattere sul fronte austriaco provocarono l’avvento definitivo di una società di massa, con molteplici protagonismi difficili da controllare. Dall’altra, la rappresentazione politica del senso di una guerra combattuta «per completare l’unità nazionale», ma anche per allargare la propria influenza nell’Adriatico, aveva forme ancora troppo ristrette e autoritarie. Non a caso dopo la guerra si concluse il processo di democratizzazione, durante il «biennio rosso», con un parlamento che per la prima volta non era più nelle mani del classico «partito costituzionale» che teneva assieme i gruppi collegati ai vari leader liberali, infatti più della metà dei seggi erano divisi ormai tra i socialisti e i cattolici del nuovo Partito popolare. Il cambiamento decisamente radicale spaventò molti poteri costituiti e in questo clima si inserì abilmente l’ex socialista Benito Mussolini il quale fondò un piccolo partito-milizia con cui sfidare l’egemonia socialista. L’ascesa di Mussolini iniziò con la marcia su Roma del 1922 con la quale simulò una rivoluzione e ottenne dal re e dai maggiorenti liberali la guida del governo. L’avvento finale della dittatura fascista nel 1925 vide il Duce equilibrare in una logica liberista, monarchica, filoclericale e conservatrice la sua precedente storia di sovversivo radicale antisistema. Il nuovo governo mostrò sin da subito un pugno fermo con la chiusura di tutti i partiti politici, dei sindacati e dei giornali, stabilizzando il paese lavorando proprio sul rigido controllo delle masse. La tendenza totalitaria del regime si tradusse nell’obiettivo di guidare la nuova società di massa, tramite una trasformazione profonda delle mentalità e delle coscienze secondo l’ideologia del Duce, fino ad acquisire una modernizzazione che mettesse il paese in grado di reggere quella competizione imperiale di cui dopo la crisi del ’29 si vedevano ormai gli albori. Nel frattempo la vittoria di Hitler in Germania configurava una crescente prospettiva di scontro per gli equilibri europei. Ecco allora la svolta bellicista e imperialista decisa da Mussolini, con l’attacco all’Etiopia del 1935, nell’illusione di far approvare dalle potenze democratiche occidentali la conquista come una sorta di compenso sotterraneo per il contributo italiano a contenere il nuovo potenziale espansionismo tedesco. Fallita questa scommessa, la costruzione conseguente dell’Asse Roma-Berlino, cioè dell’intesa con la Germania nazista, fu l’unica strada per evitare l’isolamento. Mussolini, durante il secondo conflitto mondiale iniziato nel 1939, si mosse inizialmente con cautela, evitando l’ingresso in guerra all’Italia per i primi mesi. Con la sconfitta della Francia nel 1940, l’Italia entrò però nel conflitto con l’obiettivo di combattere una battaglia parallela a quella del Terzo Reich tedesco per costruire una sfera d’influenza italiana nel Mediterraneo e nei Balcani. L’illusione si rivelò tale già alla fine degli anni ’40, quando all’Italia non restò altro che vivere la guerra in totale dipendenza dalla Germania; il regime ventennale rivelò tutte le sue fragilità in questo episodio in quanto si era basato sulla promessa di riportare l’Italia agli antichi splendori imperiali, promessa che evidentemente non era riuscita a mantenere, e ciò comportò il suo rapido crollo. Capitolo Secondo La transizione post-fascista e la nascita della democrazia repubblicana (1943-47) La guerra fascista volgeva verso la sconfitta: la cacciata delle truppe italiane dall'Africa si concluse con lo sbarco degli angloamericani dalla Tunisia alla Sicilia e la sconfitta militare consumò la credibilità del regime, il quale crollò per una manovra interna: un manipolo di gerarchi fascisti dissidenti nei confronti del Duce; e la monarchia, dove il re Vittorio Emanuele III cercò di prendere le distanze dal fascismo. Mussolini dovette convocare una riunione del Gran consiglio del Fascismo la sera del 24 luglio: il presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni, Dino Grandi, vi presentò un ordine del giorno, chiedendo di ripristinare le condizioni costituzionali e riaffidare al re il comando delle forze armate. Il Consiglio lo approvò il 25 luglio; non era una sfiducia formale, ma rappresentava una sconfitta politica. Il re convocò Mussolini, comunicandogli che lo sostituiva come capo del governo con il generale Pietro Badoglio, mettendolo sotto custodia. Gran parte del paese festeggiò, identificandolo con la fine della guerra. Il primo obiettivo del governo militar-burocratico era l'uscita dalla guerra: illudendosi di poter negoziare un armistizio, si scontrò con la rigidità alleata (che avevano fissato il principio della "resa incondizionata"), mentre i tedeschi reagivano rapidamente. L'8 settembre, quando l'armistizio fu annunciato, scelsero di fuggire e di rifugiarsi a Brindisi; questa data rimane nella memoria di molti come tragedia nazionale (un famoso libro di Salvatore Satta parla di "morte della patria"). La sera stessa, a Roma, un Comitato delle 2 con al centro quelli capaci di costruire un consenso di massa. Il triennio di transizione dimostrò le debolezze e le difficoltà italiane nel ricollocare il paese sulla nuova scena mondiale, ma anche le risorse che si sprigionavano da un'intesa tra partiti antifascisti ancora deboli e la forza limitante dei nuovi fattori internazionali rispetto alla soluzione del confronto interno tra le varie componenti del compromesso post-fascista. Capitolo Terzo La stagione costituente e il centrismo degasperiano nella guerra fredda (1947-1953) L'Assemblea costituente italiana e la definizione del trattato di pace del 1947 erano le due ragioni principali che univano gli antifascisti, ma anche le tensioni interne alla coalizione diventavano sempre più evidenti. La Dc si sentiva penalizzata dal trattato di pace, mentre le sinistre cercavano di mantenere la stabilità della coalizione antifascista internazionale. L'Italia perse tutte le colonie e molti dei territori orientali (Zara, l’Istria, i territori fino all’Isonzo, salvo Gorizia, mentre la città di Trieste e il suo entroterra fino a Capodistria erano soggette alla costituzione di un Territorio libero). Ci furono restrizioni sulle forze armate e riparazioni economiche modeste. Questo fu l'ultimo accordo tra i vincitori della Seconda Guerra Mondiale, in quanto la coalizione si sfaldava mentre si delineava il sistema bipolare degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica con la dottrina Truman e il Piano Marshall, delineando quell’attrito che fu definito dal giornalista americano Walter Lippmann come “guerra fredda”. Il fronte antifascista italiano si divise principalmente per motivi interni, ma il clima di guerra fredda internazionale influenzò anche la scissione. La rottura tra i socialdemocratici di Saragat e il Psiup di Nenni indebolì il fronte delle sinistre. Nel gennaio 1947, De Gasperi ha visitato gli Stati Uniti e ha rafforzato la sua sintonia con l'amministrazione Truman, tornando poi a casa con un modesto prestito d’emergenza dell’Export-Import Bank. Nel maggio dello stesso anno, dopo un breve governo tripartito, ha rotto l'alleanza ciellenistica, cogliendo un'ondata di reazione anticomunista nel paese e cercando di rassicurare un'opinione moderata e cattolica che stava cercando alternative alla Dc. Inoltre, De Gasperi ha cercato di rassicurare i ceti abbienti e i risparmiatori incerti e spauriti che, in un discorso radiofonico, definì come il "quarto partito" del paese. Rassicurare questi mondi inquieti era quindi necessario. De Gasperi è riuscito a mandare le sinistre all’opposizione grazie all’appoggio dei liberali e delle destre monarchiche e qualunquiste. Nonostante ciò, il mondo conservatore è stato depotenziato in termini politici e sostanzialmente assorbito nella mediazione democristiana, che scongiurava la crescita di alternative alla propria destra, ma introiettava anche una parte del consenso conservatore diffuso nel paese, da tenere a bada, erede dell'operazione monarchica che aveva salvato la continuità del vecchio Stato e dei ceti burocratici e proprietari che avevano sostenuto il fascismo. Ciò ha creato un corposo e semisommerso "partito dell'immobilismo" che ha influenzato permanentemente le prospettive politiche della Dc. Queste forze erano convinte che la nuova condizione politica democratica dovesse toccare il meno possibile gli assetti sociali e culturali del paese per preservare la preziosa stabilità. Al contrario, un "partito dell'evoluzione" si è contrapposto a queste forze, raccolto tra la sinistra democristiana e le forze della democrazia laica e socialista all'esterno del maggior partito di governo. Questi ambienti intendevano realizzare politicamente una modificazione profonda della struttura socioeconomica ereditata dal passato, nella direzione di allargare la cittadinanza alle masse popolari. Nel IV governo De Gasperi, l'economista e governatore della Banca d'Italia Einaudi è stato nominato ministro del Bilancio e in veste di supervisore della finanza pubblica ha adottato una politica economica volta a prevenire l'inflazione attraverso una stretta creditizia e il controllo dei prezzi dei beni alimentari di base. Ciò è stato compensato da una svalutazione della lira sul dollaro, che ha aiutato l'industria esportatrice. Nonostante qualche iniziale contraccolpo, questa manovra ha stabilizzato l'economia e ripristinato la fiducia nel sistema; molto apprezzato, Einaudi venne poi eletto presidente della Repubblica nel 1948. Quattro mesi dopo la costruzione del governo senza sinistre, nell’autunno del 1947 De Gasperi realizzò un’alleanza quadripartita tra la Dc e i partiti minori di centrosinistra (socialdemocratici e repubblicani) e i liberali: nasceva il “centrismo”, alleanza contrapposta ai socialcomunisti e ai neofascisti, molto apprezzata dagli americani e duratura (governerà il paese per circa un quindicennio). La costituzione italiana, approvata alla fine del 1947, rappresentò un accordo tra cattolici, socialisti e comunisti, con il contributo delle minoranze liberali e democratiche. Questa costituzione era democratica, garantista e progressista, ispirata al nuovo modello europeo dello "Stato democratico e sociale". I giovani giuristi cattolico- democratici (come Giuseppe Dossetti e Giorgio La Pira) proposero un linguaggio comune per le sinistre e le destre, che era basato sul personalismo comunitario. Inoltre, furono definite questioni divisive come quella dei 5 rapporti Stato-Chiesa, con l'art. 7 che stabiliva l'indipendenza di Stato e Chiesa, citando i Patti lateranensi come forma di regolamentazione dei loro rapporti reciproci. Il modello istituzionale che emerse era basato su un governo parlamentare che necessitava della fiducia delle due camere, con una estesa diffusione del potere tra un presidente della Repubblica di garanzia, una Corte costituzionale e un regionalismo autonomista. La conferma del sistema elettorale proporzionalista per la Camera dei deputati rappresentava la necessità di rappresentare un'ampia gamma di forze politiche molto divaricate ideologicamente. Inoltre, la previsione di differenziare l'elezione del Senato con un modello uninominalistico e una base regionale fu risolta aumentando il quorum al 65%, portando le due camere a essere elette sostanzialmente in modo parallelo per quarantacinque anni. Il centrismo si adattava meglio alla Costituzione rispetto all'accordo del 1947 tra la Dc e la destra in Italia. L'intervento dello Stato nell'economia era diffuso in tutto l'Occidente come risposta alla grande crisi degli anni '30 e alla guerra. Il compromesso tra capitalismo e democrazia si espresse nella maturazione di un modello "fordista" basato sull'allargamento di massa della produzione e del mercato, con le classi lavoratrici, e non solo i capitalisti, che potevano fare da beneficiare degli accrescimenti di produttività. La proposta americana degli aiuti del piano Marshall (European Recovery Program, Erp) per la ricostruzione europea era intesa proprio in questa logica. In Italia, tale coincidenza rafforzò da subito il governo, dando respiro all'emergenza economica e permettendo di pensare a un rapido superamento del detestato trattato di pace. I beni americani donati dall'Erp (grants) erano venduti sul mercato e il corrispettivo andava a formare un fondo-lire che sarebbe stato usato per progetti di sviluppo. Gli aiuti avrebbero funzionato fino al 1952. In Italia ne arrivarono 1,2 miliardi di dollari, che diedero un certo impulso alla ripresa e velocizzarono i tempi della ricostruzione, accompagnando anche una prima modernizzazione. La campagna elettorale del 1948 per l’elezione del primo parlamento repubblicano divenne la verifica del consenso degasperiano ma anche del primo vero episodio della guerra fredda globale: gli Stati Uniti impostarono una political warfare anticomunista (con la Cia che si occupava di finanziamenti occulti ai partiti anticomunisti). La Dc venne affiancata da una mobilitazione ecclesiastica, con i Comitati civici di Luigi Gedda, l’Azione cattolica, voluti e finanziati da Papa Pio XII, che lanciarono una campagna contro l’ateismo comunista. Pci e Psiup scelsero di formare un Fronte popolare che si ispirò al simbolo risorgimentale e resistenziale di Garibaldi. Furono pianificati e preparati possibili scontri, anche violenti: ambedue gli schieramenti avevano forme di militarizzazione clandestina difensiva, da utilizzare solo nel caso l’avversario non accettasse il risultato delle urne, quindi alla fine non ci fu violenza. La vittoria della Dc (48,5%) del 18 aprile sanzionò il successo della politica di De Gasperi, mentre le destre si ridimensionano; il Fronte popolare si attestò al 31%. Si era presentato alle elezioni per la prima volta anche il Movimento sociale italiano (Msi), che raggruppava i nostalgici del regime; ebbe un modesto risultato. Il successo di un partito antifascista e anti(social)comunista illuse Washington sull’efficacia dei propri mezzi di intervento nella vita politica di altri paesi, ponendo quindi le basi ad una sorta di sintomo dell’onnipotenza; ma l’ambasciata americana si sarebbe resa conto presto del fatto che non bastava finanziare dei partiti stranieri per ottenere i risultati sperati. I comunisti si aspettavano un risultato migliore: alcuni proposero di abbandonare le prudenze togliattiane e di iniziare una “lotta più dura”, ma furono invitati da Stalin a non rischiare una guerra civile e l’intervento americano. Punto di rottura furono i disordini conseguenti all’attentato di un neofascista, Antonio Pallante, che sparò a Togliatti il 14 luglio del 1948: seguirono alcuni giorni di tensione e mobilitazione dell’apparato del Pci, che però si sciolsero presto perché la dirigenza comunista fermò la potenziale escalation rivoluzionaria. La scissione della Cgil maturò proprio a causa delle polemiche per questo sciopero semi–insurrezionale. Nacquero tra il 1950 e il 1952 un sindacato a maggioranza cattolica ma a orientamento “democratico” e occidentalista, la Cisl, e un sindacato socialdemocratico, la Uil; la competizione tra queste e la Cgil indebolì il mondo del lavoro. De Gasperi confermò il centrismo: in parte era una scelta obbligata perché la Dc aveva una risicata maggioranza alla Camera ma non al Senato, ma aveva anche l'idea di realizzare un bilanciamento tra cattolici e laici; restò presidente del Consiglio per tutta la prima legislatura (1948-1953), anche se con tre governi con assetti partitici diversi, a conferma di una situazione non stabile. L’alleanza aveva due problemi principali: 1. L'Italia si trovò di fronte al problema di come inserirsi nella struttura politico-militare del blocco occidentale. Nel 1949 scelse di aderire al Patto Atlantico, superando le minoranze terzaforziste o neutraliste interne alla Dc, al Psli e all'alleanza di governo. Questa scelta consolidò l'alleanza politica estera per il futuro e radicalizzò la spaccatura ideologica, sociale e politica all'interno del paese. Il periodo 1947-1949 è stato cruciale per la costituzione della nuova democrazia italiana. Durante questo periodo, si 6 è definita la legge fondamentale e l'Italia ha acquisito la collocazione definitiva nel nascente mondo occidentale, insieme ai fondatori dell'alleanza atlantica e delle forme di integrazione europea. Inoltre, le elezioni del 18 aprile hanno dato forma al sistema politico italiano che avrebbe perdurato per più di quarant'anni, con la Dc e i suoi alleati al centro del governo e il Pci come principale forza di opposizione; 2. Il secondo problema che l'alleanza dovette affrontare riguardò la gestione politico-economica della ricostruzione nel sistema integrato che l'Organizzazione europea per la cooperazione economica (Oece, nata per la gestione del Piano Marshall) stava avviando: Il primo ministro De Gasperi dovette conciliare le posizioni liberiste dei ceti imprenditoriali e moderati, che si opponevano alle pulsioni riformiste dell’Eca, della Dc e dei socialdemocratici, i quali invece puntavano a una società della piena occupazione. La grande stampa di opinione era strettamente legata ai vertici imprenditoriali, quindi la loro linea editoriale era piuttosto prudente. Alcune correnti della Dc, in particolare quelle progressiste, cercavano di orientare la ricostruzione in una chiave espansiva e modernizzante, cercando un riequilibrio economico e sociale guidato dallo Stato. Questo progetto trovava un interlocutore naturale nei socialdemocratici e nei repubblicani, e si rafforzava grazie al sostegno del riformismo statunitense. Il governo centrista conobbe un certo sussulto riformatore nel 1950-51:  Fu approvata una riforma agraria, la quale redistribuiva a piccoli proprietari appezzamenti di terre confiscate alla grande proprietà assenteista;  Un piano di case popolari, Ina-Casa, proposto dal ministro Fanfani e finanziato in parte dallo Stato e in parte dal risparmio dei lavoratori;  Una Cassa per il Mezzogiorno per coordinare interventi pubblici e privati per affrontare la questione meridionale, almeno migliorando le infrastrutture;  Una riforma fiscale studiata dal ministro delle finanze Ezio Vanoni;  L’ingresso nella Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca);  Il rilancio dell’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri) con un piano siderurgico nazionale e investimenti nei cantieri;  Il salvataggio dell’Agip da parte di Enrico Mattei per prospettare un ente energetico pubblico (l’Ente nazionale idrocarburi, Eni, fondato nel 1953) che avrebbe cercato il petrolio in Valle Padana, trovandone quasi niente, ma compensando con la scoperta di importanti giacimenti di gas naturale. A livello internazionale, si aprì un periodo teso e conflittuale con lo scoppio della guerra in Corea nel 1950, la quale portò il mondo a vivere la guerra fredda nei suoi caratteri più ansiogeni e drammatici. La terza guerra mondiale sembrava dietro l'angolo e la conflittualità internazionale condusse a una crescente militarizzazione delle società contrapposte. In Italia, i due mondi sociali e politici strutturatisi vissero per molti anni vicini allo scontro aperto, con conflitti di piazza tra polizia e scioperanti e un clima di reazione antioperaia e di discriminazioni politiche. La destra italiana, anche ecclesiastica, culturale e giornalistica, con addentellati nella burocrazia e nella diplomazia, disprezzava la presunta debolezza della Dc e del centrismo nell'azione anticomunista, mettendo in conto anche esiti estremi della conflittualità interna. De Gasperi parlò ripetutamente di "difesa della democrazia" e di "Stato forte", pianificando misure legislative contro la sovversione (come leggi restrittive sulla stampa e limitazioni al diritto di sciopero), ma moderando gli effetti più rischiosi. Riuscì quindi a fare da mediatore tra i partiti «dell’immobilismo» e «dell’evoluzione», ma anche a contenere le pressioni americane per la messa fuori legge del Pci, quelle ecclesiastiche che chiedevano la censura sulla stampa e l'alleanza di tutte le destre in chiave anticomunista. Alla fine, De Gasperi riuscì a scongiurare una manovra per evitare di consegnare elettoralmente la capitale della cristianità al comunismo alle amministrative di Roma del 1952. I partiti di sinistra esclusi dal governo in Italia, si sono concentrati sulla difesa dei loro diritti costituzionali e sul mantenimento del loro insediamento sociale (nella zona rossa tra Emilia, Romagna, Toscana e Umbria), attraverso la propaganda e la mobilitazione contro la presenza di armi americane e il sostegno alla pace. Nonostante la discriminazione da parte di imprenditori tradizionalisti, magistrati conservatori e polizia, i comunisti hanno cercato di cambiare le priorità della loro cultura politica, enfatizzando la protezione dei loro diritti costituzionali. Anche se avevano un apparato paramilitare clandestino, lo utilizzavano principalmente per la difesa piuttosto che per la preparazione di una rivoluzione; Rogliatti non escludeva l'ipotesi di uscire dalla legalità, ma la rimandava sempre a un futuro indistinto. 7 così in quanto si erano riuniti a decidere presso il convento romano delle suore di Santa Dorotea. Aldo Moro, un altro esponente di Iniziativa Democratica, prese il posto di Fanfani come segretario del partito e cercò di ricucire il conflitto. Tuttavia, Moro era anche interessato all'innovazione e cercò di allontanarsi dalle posizioni più conservative del partito. La Dc aveva difficoltà a costituire governi centristi stabili e il Movimento Sociale Italiano, guidato da Arturo Michelini, si propose come spalla parlamentare della Dc. I missini erano disposti a votare la fiducia a governi democristiani per prefigurare una svolta a destra più duratura, così sia il governo Zoli che il governo Segni del 1959 furono basati su una maggioranza di destra. Nel 1960 i liberali costrinsero Segni alle dimissioni e fu formato un nuovo governo monocolore democristiano, affidato a Tambroni, che fu vista come una forzatura da parte della presidenza della Repubblica per aprire a sinistra. Tuttavia, alla fine ottenne solo una risicata fiducia parlamentare grazie al voto del Movimento Sociale Italiano (Msi), determinante per la formazione del governo. Ciò portò a scontri di piazza violenti nel luglio di quell'anno, quando un congresso del MSI a Genova sfidò l'eredità della Resistenza, provocando parecchi morti e feriti. La prudente segreteria democristiana di Aldo Moro orientò la politica italiana verso il centrosinistra, sostenendo che era una necessità data l'impossibilità di una duratura svolta a destra. Venne formato un governo di convergenze democratiche tra i quattro storici partiti di centro, cui si affiancava l'astensione "parallela" di monarchici e socialisti. Questa mossa politica venne ironicamente chiamata dalla stampa "convergenze parallele". Inizialmente sembrava una semplice ricostituzione allargata del centrismo, ma pian piano le correnti ostili alla novità politica, anche all'interno della Dc, ridussero le opposizioni, negoziando contenuti rassicuranti per un'intesa che iniziava a sembrare l'unica soluzione possibile per stabilizzare il paese. La questione non era legata semplicemente all'aritmetica parlamentare, ma anche a ragioni sociali complesse. Il paese stava entrando in una fase di rapida ed estesa trasformazione economica: il cosiddetto "boom" o "miracolo italiano". L’Inchiesta parlamentare del 1952 sulla miseria aveva registrato un 11% di famiglie in condizioni misere e altrettante in stato di povertà, non a caso dopo il 1946 l’emigrazione all’estero era stata una scelta molto diffusa. Il primo provvedimento fu il cosiddetto “Schema Vanoni” del 1954 che ipotizzava investimenti in crescita del 7% all’anno per ottenere un aumento del Pil del 5%, il che avrebbe prodotto 4 milioni di nuovi occupati e attenuato gli squilibri tra nord e sud, migliorando i salari dei lavoratori. Fu dal 1957 che il Pil iniziò a decollare con tassi medi del 6-7% all’anno, rimasti tali fino al 1963. Il dato reale su cui si basò questa crescita improvvisa e inattesa fu un’impennata degli investimenti lordi (si arrivò al 21% del Pil), concentrati soprattutto nei settori industriali, che nella prima fase erano racchiusi nel cosiddetto triangolo industriale Milano- Torino-Genova. La svolta fu favorita da alcuni elementi:  Il ciclo espansivo dell’economia globale, che si era rafforzato e che quindi incrementava il commercio estero per prodotti italiani a buon prezzo. Fu decisiva la nascita della Comunità economica europea (Cee) con i Trattati di Roma del 1957, che rilanciava il processo europeista e allargava un Mercato unico (Mec) tra i sei paesi fondatori;  Il basso costo delle risorse energetiche internazionali (soprattutto il petrolio). La stabilità finanziaria e monetaria garantita dagli accordi di Bretton Woods;  L’aumento del mercato interno, frutto anche delle necessità di sanare le ferite della guerra; si pensi allo slancio dell’edilizia residenziale e di quella pubblica ma anche alla crescita demografica (dopo la guerra la popolazione italiana crebbe dai 46 ai 55 milioni di abitanti);  Infine, l’effetto di reinvestimento degli utili aziendali fu favorito da un costo del lavoro molto basso che era dovuto a varie ragioni: la debolezza sindacale legata alla spaccatura del 1948 tra Cisl e Cgil; l’enorme disoccupazione nel mondo agricolo, con molte persone disposte a impiegarsi a bassi salari in fabbrica, il che permetteva a imprenditori di reinvestire il surplus di profitti senza dover ricorrere al mercato dei capitali. La costituzione di Mediobanca a opera delle tre grandi banche nazionali divenute di proprietà pubblica in epoca fascista (Banca Commerciale italiane, Credito italiano, Banco di Roma) doveva rappresentare la nascita di una moderna banca di investimento ma non ebbe mai dimensioni sufficienti. Il risparmio privato veniva investito prevalentemente in una rete di casse di risparmio e banche popolari. Questo modello creditizio non favorì l’affermazione se non di pochi grandi attori industriali, ma contribuì a rafforzare il sistema in molte situazioni locali. Conseguenza di questa situazione furono le grandi migrazioni interne, da sud a nord, dalle campagne e dalle montagne verso i poli industriali e verso i capoluoghi; parecchi milioni di abitanti cambiarono residenza ma soprattutto contesto sociale e lavorativo. Nel 1971, per la prima volta il censimento registrò il primato numerico degli addetti nel settore industriale rispetto all’agricoltura; da paese agricolo tradizionale l’Italia divenne un paese 10 industriale moderno, avvicinandosi ai modelli dell’Europa centrosettentrionale. Non si può trascurare l’impatto civile e culturale di questa trasformazione, ma ancora non si può parlare di un ingresso nell’era dei consumi di massa, proprio perché i redditi da lavoro erano ancora bassi. La vera crescita dei consumi e poi l’ingresso in una società del benessere come quella americana, in un modello fordista, doveva aspettare la fine del decennio ’60, o meglio ancora il decennio successivo. Si esprimeva però un grande e rapido cambiamento di costumi e mentalità: si generalizzava il modello della famiglia nucleare, uscendo dalle tradizioni contadine della famiglia patriarcale; aumentò l’istruzione e ciò comportò la riduzione dell’analfabetismo e un maggior numero di studenti universitari; si enfatizzavano comportamenti nuovi con le nuove trasmissioni televisive e si arricchivano le forme comunicative con il cinema, la stampa popolare e i fotoromanzi, il consumo musicale e l’esplosione del mondo dei fumetti; di conseguenza, la società si articolava molto. Cambiavano i modelli di aggregazione, soprattutto per i giovani che per la prima volta erano relativamente liberi dalle costrizioni del lavoro minorile o della servitù; si è parlato della vera e propria nascita del mondo giovanile come ceto sociale. Attraverso radio, televisione, fumetti, giornali illustrati specializzati, si diffondevano mode e musiche straniere (il rock ebbe un enorme successo), che contribuirono al cambiamento della mentalità italiana. A fronte di questi fermenti, si era aperto un dibattito sul modo con cui lo Stato poteva tentare di orientare questa inedita crescita. Si proponeva una politica di intervento pubblico attiva, con maggiori investimenti sociali, per sostenere e orientare lo sviluppo in modo da favorire la piena occupazione e migliorare le condizioni delle classi più disagiate. Si parlò anche di una revisione della politica estera italiana, senza rinunciare all'alleanza atlantica ed europea, ma cercando di costruire un ruolo nazionale autonomo nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, distaccandosi dai residui del colonialismo europeo (neoatlantismo). Questa politica estera cercava di mantenere un saldo rapporto con gli Stati Uniti, che avevano un ruolo importante nella crisi di Suez del 1956. L'Italia partecipò anche a missioni militari dell'ONU, come quella in Congo, per stabilizzare il Terzo mondo emergente e dare un nuovo volto all'Occidente. Il ruolo dell'Eni di Mattei fu importante in questa direzione, prima della sua morte tragica nel 1962 (l’aereo su cui viaggiava cadde probabilmente per un attentato). Il «partito dell’immobilismo» riteneva questi cambiamenti troppo rischiosi e iniziò a chiudersi: ci fu un irrigidimento di una parte dei dorotei nella Dc, espresso soprattutto da Antonio Segni. Alla fine del 1960 il contesto internazionale e quello interno conversero a rendere meno controversa l’esperienza del governo: la nuova amministrazione Kennedy ridusse le resistenze statunitensi, nonostante qualche impuntatura dei diplomatici più conservatori di stanza all’ambasciata di Roma; riprendeva piede l'ipotesi di combattere il comunismo con la modernizzazione democratica, più che con le discriminazioni e le misure poliziesche. Il nuovo pontificato di Giovanni XXIII diede una sponda ecclesiale simile. Nasceva in quegli anni una Conferenza episcopale nazionale (Cei) anche in Italia, il cui presidente era il cardinale conservatore di Genova, Giuseppe Siri. La nuova crisi tra le superpotenze dell’estate del 1961 attorno a Berlino mise a dura prova il processo di distensione, ma non si giunse alla guerra: il muro suggellò il confine tra le due parti dell’ex capitale. Capitolo Quinto Il riformismo del centrosinistra e la distensione internazionale (1962-1968) Nel febbraio del 1962, il segretario democristiano Aldo Moro presentò al congresso del suo partito l'alleanza di centrosinistra con i socialisti come un esperimento prudente ma necessario. Questa mossa, secondo Moro, sarebbe stata coerente con la tradizione democristiana e senza alternative, poiché il suo partito non era autosufficiente e i socialisti erano diventati un interlocutore più credibile. Inoltre, isolando i comunisti ai margini del sistema, si sarebbe potuto promuovere un riequilibrio sociale possibile, rispetto alla velocità un po' inattesa degli effetti del boom nel portare l'Italia nella modernità. Nonostante le controversie precedenti, la proposta di Moro fu approvata con larga maggioranza dalla Dc, con l'eccezione di Scelba, Gonella, Tambroni e Andreotti. Questo risultato fu un successo insperato per Moro e la sua alleanza di centrosinistra. Si costituì un nuovo governo tripartito (Dc-Psdi-Pri) guidato da Amintore Fanfani (1962-63). I socialisti pensavano di poter usare l’alleanza per cambiare il paese, introducendo riforme che avrebbero portato al superamento del capitalismo e portato verso una società socialista. Ovviamente la visione socialista era diversa da quella progressista della Dc, dei repubblicani e dei socialdemocratici, ma nonostante questo pluralismo di approcci, che rendeva difficile l’intesa, si individuarono comunque obiettivi comuni: 11  La nazionalizzazione dell'industria dell’energia elettrica per combattere un oligopolio privato e per modernizzare e sviluppare il Paese, fornendo energia a prezzi contenuti e raggiungendo tutte le aree depresse del paese (dopo l’espropriazione fu costituito un ente pubblico, l’Enel);  L’istituzione della scuola media unica, con l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 14 anni, rinviando la scelta tra la via ginnasiale che preparava all’università e l’avviamento al lavoro, per allargare la base culturale delle masse popolari e provare a limitare l’analfabetismo;  Altri progetti dovevano essere la riforma urbanistica, per combattere la speculazione privata sui suoli; l’istituzione delle regioni a statuto ordinario previste in costituzione e fino ad allora rimandate; la creazione di una struttura di programmazione economica; ma su questi progetti Fanfani incontrò parecchie resistenze. Dopo l'arrivo al potere del centrosinistra, le fratture all'interno del sistema politico italiano non scomparvero. Gli oppositori della nuova coalizione accusarono il centrosinistra di favorire lo statalismo e la rovina economica del paese e di far scivolare il paese verso il comunismo. Nonostante ciò, la Dc non si divise e rimase flessibile, ma fu provata da tensioni molto forti. Moro dovette negoziare una serie di contrappesi alle novità politiche per mantenere l'unità del partito, tra cui la candidatura di Antonio Segni (il capo dei dorotei) alla presidenza della Repubblica, il quale fu eletto nel maggio 1962. Le elezioni politiche del 1963 videro una battuta d'arresto del voto democristiano, che perse il 4%, mentre si rafforzava inaspettatamente il Pci, ma anche i liberali. Fanfani ne uscì indebolito e ci vollero sei mesi di transizione per formare un nuovo governo democristiano guidato da Moro. Tale governo dovette gestire la tragedia della frana del monte Toc che fece esondare l’acqua del bacino della diga del Vajont, orgoglio del boom economico, causando la morte di 1.910 persone. Alla fine del 1963, Moro riuscì a realizzare un governo di centrosinistra definito «organico», comprendente anche ministri socialisti; in cambio cedette la segreteria del partito al doroteo Mariano Rumor. I restanti centristi di Mario Scelba decisero di non votare la fiducia, mentre papa Paolo VI, che esprimeva posizioni vicine alle componenti avanzate della Dc, si mostrò favorevole all’unità del partito, mettendo un freno alla protesta. Al contempo Fanfani cambiava linea, teorizzando che il centrosinistra avrebbe anche potuto essere “reversibile”, cosa che finì con il disseminare nuovi dubbi sull’esperimento politico. L'avvio del nuovo governo nel 1962 fu difficile a causa della congiuntura economica sfavorevole, caratterizzata da una forte crescita dei costi del lavoro rispetto alla produttività a seguito di importanti contratti delle categorie industriali, soprattutto dei metalmeccanici, vinti dagli operai. Gli imprenditori italiani si spaventarono di fronte a questa dinamica e ciò portò a una momentanea sospensione degli investimenti e all'impennata delle fughe di capitali all'estero. L'aumento delle importazioni, inoltre, squilibrò la bilancia dei pagamenti e provocò una fiammata di inflazione, che mise in crisi la stabilità della lira, salvata solo da un prestito del Tesoro americano. La Banca d'Italia di Guido Carli impose una stretta creditizia per affrontare la situazione, manifestando preoccupazioni sulle intenzioni "stataliste" dei socialisti e del centrosinistra e chiedendo di bloccare i salari, aumentare le tasse e le tariffe dei servizi pubblici. La Commissione europea rafforzò tali direttive, premendo sul governo italiano per una linea economica ortodossa molto rigorosa. Insomma, proprio quando erano maturate le condizioni politiche per l’aumento della spesa pubblica in chiave riformatrice, mancarono le opportunità pratiche ed economiche. Questo clima diede ovviamente slancio agli oppositori politici e il presidente Segni assunse il ruolo di perno del «partito dell’immobilismo». Una crisi di governo del 1964 portò alle dimissioni di Moro, con Segni che voleva sostituire il centrosinistra con un governo «del presidente» al di fuori dei partiti, con a capo il presidente del Senato Merzagora, ma temeva disordini di piazza. Fece elaborare quindi al comandante dei carabinieri, il generale Giovanni De Lorenzo, un piano di emergenza chiamato «piano Solo»: una sorta di contro-assicurazione militare per i rischi di disordini che si prospettavano a fronte di un tentativo presidenziale di forzare la sostituzione del centrosinistra. Il piano prevedeva la militarizzazione della democrazia, occupando i centri del potere e arrestando esponenti delle sinistre, ma non riuscì a trovare il sostegno della Democrazia Cristiana, che scelse di continuare l'alleanza politica appena varata. Anche gli Stati Uniti non sostennero il fronte conservatore, indebolendolo ulteriormente. Il traballante asse Moro-Nenni riuscì a confermare l'alleanza di centrosinistra, al costo di ridimensionarne la prospettiva politica. Dopo l’estate del 1964, i due leader sembrarono adattarsi a una visione più moderata. Sparì la controversa riforma urbanistica mentre si rinviava ancora l’attuazione delle regioni. Tra l’altro, l’uscita del Psi dell’ala sinistra vicina ai comunisti, che andò a costituire all’inizio del 1964 il Psiup, toglieva di mezzo le ultime ipoteche neutraliste del partito, ma indeboliva i socialisti. Il “partito dell’evoluzione” evitò faticosamente una 12 l'amministrazione Nixon e Henry Kissinger che cercarono di ridimensionare gli impegni statunitensi e di contare di più su alleati locali credibili, come dimostrato dall'invio in Italia dell'ambasciatore conservatore Graham Martin. L'obiettivo degli Stati Uniti era di circoscrivere l'avanzata dei comunisti in un paese simbolicamente importante come l'Italia, senza fidarsi troppo delle forze egemoni locali, come la D, che erano considerate logorate dal potere. In Europa, la distensione tra i blocchi apriva processi potenziali di mutamento al confine tra i "mondi". La nuova Ostpolitik tedesco-occidentale dialogava con i paesi dell'Est, ma il solo riconoscimento dello status quo del 1945 appariva un cedimento a molti ambienti occidentali. La preparazione della conferenza paneuropea di Helsinki nel 1973 avvicinava l'idea di un dialogo pacifico tra i blocchi. Tuttavia, l'Italia non fu in grado di sfruttare appieno tali margini di movimento, poiché la crescita della sua solidità come paese intermedio dell'Occidente sembrò interrompersi alla fine degli anni '60. La crisi internazionale evidenziò l'esito modesto del rafforzamento strutturale dell'economia italiana, nonostante il boom e la connessa "grande trasformazione" sociale. Il clima di incertezza economica in Italia negli anni '60 si acutizzò con le mobilitazioni sindacali e contestazioni sociali del 1968 (studentesche) e del 1969 (operaie). Il movimento studentesco ebbe un ruolo di primo piano nelle università, ma la lentezza delle riforme accademiche non ne favorì il rientro nei ranghi. Sul fronte operaio, il modello fordista in Italia non riuscì a consolidarsi e già nel 1969 si parlò di un "autunno caldo" caratterizzato da scioperi e conflittualità in fabbrica. Cgil, Cisl e Uil trovarono una nuova unità d’azione che rafforzò la loro direttiva conflittuale, già favorita dalla crescita dei tassi di sindacalizzazione e dalla riduzione delle sacche di disoccupazione. La categoria più dinamica dei lavoratori, quella dei metalmeccanici, vide la costituzione di una federazione sindacale unitaria (Flm) che guidò molte lotte. Il decennio che si apriva fu un periodo intenso, anche se spesso disordinato e incoerente: ci furono numerosi esperimenti sociali come il movimento di psichiatria democratica, che ripensò l’uso dell’internamento nei manicomi, la critica alle esperienze carcerarie e la costituzione di comitati di quartiere per discutere dei problemi delle città. Inoltre, prese piede un vivace movimento femminista che lavorò sui temi dell'emancipazione e della parità delle donne in famiglia e sul lavoro, aprendo anche la nuova tematica della "differenza" femminile. Il movimento studentesco e le esperienze di solidarietà di base connesse al mondo operaio e contadino fecero parte del processo di mobilitazione per il rinnovamento del paese e della sua cultura. Nonostante il prevalente spontaneismo e il clima ipercritico, queste esperienze contribuirono a mobilitare coscienze e impegni di rinnovamento del paese e della sua cultura. È interessante notare, come segno della contraddizione in cui viveva l’Italia, che gli anni ‘70 videro anche un notevole aggravamento di una pratica piuttosto primitiva di criminalità come sequestri di persona a scopo di estorsione: si raggiunsero quasi 600 casi, conclusi spesso con l’assassinio del sequestrato. Gestire questa situazione complessa fu difficile per la classe dirigente politica: i maggiori partiti erano lacerati. Creava ulteriori tensioni il fallimento dell’unificazione socialista con la scissione del 1969 tra socialisti e socialdemocratici, che lasciò Psi e Psdi su posizioni sempre più divaricate. Nella fase politica descritta, il governo della DC fu difficile a causa della scissione del partito, nonostante il buon risultato elettorale del 1968 e la conferma dell'alleanza con i socialisti. Il nuovo gruppo dirigente del partito era fragile e condizionato dalla pressione reazionaria, con posizioni critiche moderate che vedevano il centrosinistra come un pericoloso slittamento verso il Pci o comunque il disordine sociale. Movimenti spontanei come la cosiddetta "maggioranza silenziosa" si espressero in piazza per un ritorno all'ordine e all'autorità senza compromessi. Moro passò all'opposizione interna contro la nuova alleanza doroteo-fanfaniana, chiedendo di lavorare per ricondurre i nuovi movimenti sociali e culturali sul terreno democratico e suggerendo una nuova "attenzione" verso il Pci per favorirne l'evoluzione ideologica e il sostegno alla democrazia. Moro divenne il punto di riferimento della sinistra interna della Dc, ma non condusse una polemica completa contro il proprio partito per salvare la stabilità degli assetti democratici, che dipendeva, secondo lui, dall’unità della Dc. Rientrò al governo nel 1969 e iniziò a ipotizzare percorsi di superamento graduale delle rigide chiusure bipolari a livello internazionale, con potenziali risvolti anche interni. Questi primi anni di legislatura videro anche alcuni successi parlamentari di percorsi di riforma lungamente preparati:  Una legge sulle pensioni di impianto retributivo (parametrando cioè la pensione alle retribuzioni conclusive di fine carriera);  Legge sullo Statuto dei lavoratori del 1970 che allargò la protezione dei lavoratori in fabbrica;  Fu sbloccata l’istituzione delle regioni: i primi consigli regionali sarebbero stati eletti proprio nel corso del 1970;  Legge Fortuna-Baslini che legalizzava il divorzio in Italia, ma in questo caso non si trattò di un’iniziativa governativa, bensì parlamentare. 15 L'equilibrio politico italiano fu messo a dura prova da una ondata conservatrice e reazionaria in risposta alle perturbazioni sociali e culturali. Alcuni gruppi di destre tentarono di contrastare lo slittamento del paese a sinistra creando una condizione di "guerra civile strisciante" contro le proteste sociali e politiche, utilizzando il terrorismo indiscriminato messo in atto da una manovalanza estremistica neofascista. La cosiddetta "strategia della tensione" si proponeva di impaurire e destabilizzare l'opinione pubblica al fine di ottenere un contraccolpo conservatore o reazionario. Il primo episodio devastante fu la bomba alla Banca dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano nel 1969 che provocò 17 morti. Gli autori si aspettavano che il governo proclamasse lo stato d'emergenza e convocasse elezioni anticipate che fermassero lo slittamento del paese a sinistra. L'apparato di sicurezza cercò i responsabili tra gli anarchici, collegando l'ondata emotiva al clima di agitazione sociale. Giuseppe Pinelli, ferroviere, morì durante gli interrogatori cadendo dal quarto piano della questura di Milano, mentre Pietro Valpreda venne accusato di aver messo la bomba ma sarà scagionato solo anni dopo. Si ipotizza che i terroristi neri avessero contatti interni nei servizi segreti e nelle forze di polizia, nonché contatti internazionali in alcune componenti della struttura militare e di intelligence della Nato. Non si hanno ancora chiarezze riguardo ai possibili agganci politici interni dell'ipotesi politica reazionaria nei partiti di governo. Una parte dei militari italiani coltivò simpatie golpiste parallele a quelle degli spezzoni dell'estrema destra, anche se i tentativi di passare alla fase operativa furono tutti modesti. Alla fine le spinte reazionarie non ebbero successo e non ci furono elezioni anticipate. Pochi giorni dopo il funerale delle vittime, il governo riuscì a mediare la firma di un nuovo contratto dei metalmeccanici, abbassando la tensione in fabbrica: però l’effetto di queste trame fu quello di aggravare l’instabilità politica italiana. Nel 1970 una serie di ipotesi di colpo di Stato militare aleggiò nel paese, con un tentativo guidato dall’antico comandante fascista della X Mas, Junio Valerio Borghese, rapidamente rientrato. In questo clima teso, una maggioranza aperta a destra, nel 1971, elesse Giovanni Leone come nuovo presidente della Repubblica. Nel 1972 si tennero le prime elezioni politiche anticipate, durante le quali i neofascisti del Msi ottennero il massimo storico dei voti, raggiungendo l'8% grazie alla strategia abile del loro segretario Giorgio Almirante, che cercava di mantenere una doppia immagine pubblica. Anche altri movimenti conservatori si manifestavano pubblicamente con l'obiettivo di rappresentare la "maggioranza silenziosa". Nel frattempo, la dirigenza moderata democristiana cercava di tornare a coalizioni con i liberali, escludendo i socialisti, senza stringere alleanze politiche con i missini, utilizzandoli solo come carta di riserva parlamentare. La gestione della crisi economica da parte dei governi successivi fu subalterna, con un aumento fuori controllo della spesa pubblica e una crescente inflazione che metteva a rischio gli equilibri dello Stato. Nel 1971 era evidente un peggioramento del quadro economico: il governo e la Banca d'Italia risposero con una linea economica che, nel breve periodo, accompagnò l'inflazione crescente e la perdita di valore della lira, tentando di controllare i movimenti dei capitali in uscita. Si produsse un aumento della spesa pubblica accompagnato da un mancato adeguamento della fiscalità. Faticosamente, tra il 1971 e il 1974 fu varata l'infrastruttura di un sistema fiscale più moderno, che entrò in vigore lentamente. La spesa venne finanziata a debito, cosa sostenibile per il basso livello degli interessi e l'ipotesi di restituire i debiti in futuro in moneta inflazionata (la Banca d'Italia si era impegnata a comprare ogni titolo di Stato invenduto, finanziando il deficit annuale con la creazione di liquidità): il debito era ancora attestato attorno al 40% del Pil, ma la percentuale cominciò a crescere. Tutto ciò permise di contrastare la recessione e riprendere una certa crescita economica, ma a prezzo di una notevole vulnerabilità; un nuovo peggioramento delle condizioni economiche fu evidente con il 1973:  Nel mese di febbraio, l'Italia lasciò la fluttuazione congiunta delle monete europee, conosciuta come "serpente monetario", a causa di manovre speculative legate alla bilancia dei pagamenti in difficoltà e alle fughe di capitali. La Banca d'Italia utilizzò quasi il 75% delle sue riserve per contrastare questa pressione, senza successo. La scelta di una svalutazione differenziale della lira, orientandola a metà strada tra dollaro e marco, rifletteva l'incertezza riguardo all'adesione all'Europa o all'alleanza con gli Stati Uniti.;  In autunno, la crisi energetica e l'aumento del costo del petrolio imposto dall’Opec fecero divampare l’inflazione, mentre la risposta con la politica dell'austerità non fu efficace: non si riuscì ad andare al di là di alcuni risparmi nei consumi e alcuni scoraggiamenti della spesa, come le «domeniche senz’auto». La politica economica italiana del tempo rifletteva i limiti sistemici dell'economia del paese, che aveva perso il treno degli investimenti e stava passando dall'industria al terziario. Il capitalismo privato non era in grado di affrontare la conflittualità sociale e spesso rinunciava agli investimenti, mentre l'impresa pubblica aveva finito la sua fase migliore e il settore pubblico dell'economia era sempre meno trainante. La crisi economica italiana di quegli anni fu meno drammatica di quella di altri paesi, ma la crescita economica si ridusse e l'alternanza di cicli di alta inflazione e svalutazione della lira creò un clima sfavorevole allo sviluppo dell'economia. Nonostante ciò, 16 Confindustria passò sotto il controllo dei maggiori gruppi imprenditoriali, che erano più moderni e disponibili all'incontro con le rivendicazioni sociali. L'immagine internazionale dell'Italia durante la crisi era peggiore della sostanza, e si parlava spesso dell'Italia "malata d'Europa" e del rischio di scivolare fuori dalla legittimità occidentale e democratica. Nel 1973, con una nuova maggioranza interna di compromesso nella Dc, simboleggiata dall’accordo Moro- Fanfani di Palazzo Giustiniani, vinse le forze favorevoli a riprendere la politica del centrosinistra e a riassestarsi sul percorso dell’«evoluzione» del sistema, ottenendo l’assenso del Psi. Ci fu un distacco dall’estremismo di destra, a prezzo di nuove bombe fasciste, che reagirono in chiave ritorsiva: si ricordino la strage di piazza della Loggia a Brescia e quella del treno Italicus, avvenute tra la primavera e l’estate del ‘74. Nello stesso anno venne istituita la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), prima forma di regolazione e sorveglianza indipendente dei mercati azionari. I movimenti studenteschi e dei lavoratori in Italia non riuscirono a creare una rappresentanza politica originale. I primi tentativi di partecipare alle elezioni con partiti nati dai movimenti sociali fallirono. Ci furono gruppetti estremisti come Potere Operaio e Lotta Continua, che adottavano diversi approcci ideologici (operaista il primo, spontaneista il secondo). Alcuni di questi gruppi si orientarono verso la lotta armata contro il sistema, con l'obiettivo di rispondere all'attacco golpista alla democrazia. Nel 1970 nacquero le Brigate Rosse, formate da studenti, sindacalisti e ex comunisti critici dell'appiattimento riformista del partito. Inizialmente, le Br si limitarono a gesti di propaganda rivoluzionaria, ma dal 1974 il loro ruolo avrebbe subito un cambiamento. Il Pci, con la nuova leadership di Enrico Berlinguer, aveva raccolto consensi dagli ambienti sociali che si erano messi in movimento. Il segretario avviò un percorso di mutamento dell'immagine e della proposta comunista, per collocare meglio il partito nell'orizzonte della sinistra europea occidentale, sciogliendo la possibile doppiezza tattica togliattiana e sostenendo che il Pci cercava una via al socialismo compatibile con la democrazia pluralista. Nel 1973 fu proposto un «compromesso storico» con gli altri partiti popolari antifascisti, compresa la Dc, per tornare a governare assieme per poter affrontare la crisi. Per proporlo, il Pci prese occasione dal fallimento della democrazia cilena, con il golpe di Pinochet, per indicare come in Occidente non si potesse polarizzare troppo lo scontro tra democristiani e sinistre; si aprì una discussione, con un risvolto internazionale e uno interno:  Sul primo fronte, la presa di distanza simbolica da Mosca (già emersa nel ’68 con la critica ai carrarmati sovietici che repressero la “primavera di Praga”) veniva accelerata, anche se si ammorbidiva nella pratica ambigua dell’«unità nella diversità»;  Sul secondo fronte, il Pci usciva dal suo isolamento: i socialisti si orientarono criticamente rispetto al centrosinistra, rivendicando come necessario l’ingresso nel governo di questo comunismo maggiormente affidabile. Dopo il 1974, l’opzione reazionaria sembrò sconfitta ma il centrosinistra fece più fatica a convergere su politiche comuni e a gestire la crisi economica; fu palese un indebolimento della Dc, scossa da alcuni casi di corruzione, la quale subì una sconfitta al referendum sulla proposta di abrogazione della legge sul divorzio: un’iniziativa maturata in campo cattolico ma appoggiata dal partito. Fanfani, tornato segretario politico, consumò il suo tentativo di rilancio del partito; il risultato referendario fu la conferma della legge (con il 59% dei voti) e si cominciò a parlare di una «questione democristiana» come fulcro della crisi italiana. In questo contesto, il Pci crebbe e raggiunse il 30% dei voti in alcune elezioni amministrative e regionali, portando alla nascita di "giunte rosse" in diverse regioni, non solo in Emilia-Romagna e in Toscana. Berlinguer ripropose il "compromesso storico" e cercò di costruire una piattaforma "eurocomunista" che immaginasse un socialismo democratico. Il progetto internazionale del Pci era debole, ma puntava a proporre il partito come sponda indispensabile per governare l'emergenza nel paese e rispondere alle attese di cambiamento della società italiana. Tuttavia, la possibilità che le innovazioni italiane potessero influenzare i processi generali in corso in Occidente era sopravvalutata. Negli anni '70, Moro tornò a essere un leader importante nella Dc, guidando un governo che tentò di modernizzare l'economia e di controllare l'inflazione senza peggiorare la recessione. Il governo costituì per la prima volta il ministero per i Beni culturali e ambientali e approvò alcune riforme importanti:  La riforma della Rai, che spostava l’emittente pubblica al di fuori del controllo del solo governo, aprendo uno spazio anche alle opposizioni;  La riforma del diritto di famiglia che equiparava i coniugi tra di loro, uscendo dal paternalismo;  La riforma penitenziaria che fissava alcuni principi collegati al dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena (misure alternative, istruzione, lavoro ecc.);  Approvazione della c.d. legge Reale sull’ordine pubblico che rafforzava i poteri della polizia; 17  Una legge sull'equo canone che, controllando gli affitti doveva risolvere il problema della casa soprattutto nelle metropoli (in realtà non funzionò perché molti proprietari rifiutarono di mettere sul mercato le loro abitazioni);  La legge 180 del 1978 che, sull'onda del movimento di psichiatria democratica, aboliva i manicomi come istituzioni segreganti;  Fu strutturato il regionalismo;  Il parlamento approvò una legge sull'interruzione volontaria della gravidanza (legge 194), lasciando ancora una volta la Dc in minoranza;  Fu avviata una prima ristrutturazione industriale, con alcune innovazioni nelle grandi imprese e con la prima sperimentazione di una serie di «distretti industriali», in cui a livello locale una serie di piccole e medie imprese iniziarono una politica di competizione sul prezzo e di azioni congiunte, che permise di ritrovare una certa competitività. Nel breve periodo, però, crebbe la disoccupazione, fino a una nuova recessione, che doveva arrivare dopo la seconda ondata di aumento dei prezzi del petrolio del 1979, collegata alla rivoluzione iraniana. Il nuovo segretario del Psi, Craxi, ha assunto la guida di un partito deluso e sconfitto dopo le elezioni del 1976, cercando di ricondurre sotto il suo controllo le fazioni interne in lotta. Craxi ha cercato di rifuggire dalla subalternità al Pci e ha lanciato un'ipotesi di lavoro chiamata "lib-lab" per riconciliare liberalismo e socialismo. Ha anche lanciato l'ipotesi di una "grande riforma" istituzionale, progressivamente assunta come proposta presidenzialista. Nel 1978, le dimissioni di Giovanni Leone dal Quirinale sono state protestate perché il suo partito non l'aveva tutelato abbastanza da alcune insinuazioni scandalistiche, rivelatesi poi modeste. Craxi ha ottenuto l'elezione di un socialista al suo posto, ma ha dovuto accettare l'ex partigiano Sandro Pertini come presidente, che ha cercato di prolungare o rilanciare la solidarietà nazionale con abili mosse, ponendosi come il difensore di un'immagine popolare della sua carica. Alla fine del 1978, il governo Andreotti decise di aderire al Sistema monetario europeo, la nuova formula della politica monetaria inaugurata nel 1972 per impedire eccessive fluttuazioni tra le monete europee, aiutando la stabilità delle correnti commerciali intraeuropee. I comunisti giudicarono la mossa negativamente perché impegnava il paese a difendere il corso della lira, riducendo l'inflazione; essi temevano che questo avrebbe condotto a un'austerità giocata sul piano del contrasto alla crescita dei redditi dei lavoratori. Incombeva tra l'altro la questione degli euromissili, con la Nato che aveva deciso di rispondere al dispiegamento sovietico di una serie di missili europei di teatro più efficienti e moderni, gli Ss-20, con altrettanti missili statunitensi da schierare in Europa. Il Pci fu critico su questa ipotesi perché avrebbe, a loro parere, accelerato la crisi della distensione. Lo scontro su questi temi internazionali portò alla crisi del governo Andreotti e a nuove elezioni che nel 1979 videro il Pci subire una battuta d'arresto. L'assestamento politico chiese un altro anno di tempo; l'ipotesi di riprendere la collaborazione di centrosinistra senza il Pci era infatti molto lontana. Inizialmente fu costituito un debole governo Cossiga, sostenuto da Psdi e Pli, con la sola astensione socialista e repubblicana. Un secondo governo Cossiga testimoniò la ripresa di un precario accordo tra Dc e Psi, ma l'esecutivo doveva durare pochi mesi e il successivo, guidato da Forlani, espresse un'apparente ripresa della coalizione di centrosinistra. Nel frattempo, il paese viveva un'ulteriore stagione cupa: il terrorismo rosso continuava a impazzare, ferendo e uccidendo politici, magistrati, giornalisti, poliziotti fino al 1981. Ci furono altri delitti più oscuri, come l'uccisione del giornalista Mino Pecorelli, o la bomba che esplose alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980, provocando 85 morti, l’atto più grave del terrorismo in Italia. Ebbe forte impatto anche l'abbattimento nei cieli di Ustica, di un aereo civile ltavia con 81 persone a bordo. La seconda ondata della crisi petrolifera causò un’ulteriore impennata dell'inflazione; la lira fu svalutata nel 1979 e poi più severamente nel 1981 (6%). Uno scontro di potere sulla Banca d'Italia, con i vertici indagati per abuso di potere, e le conseguenti dimissioni del governatore Baffi diedero un senso ulteriore di un clima divisivo. Il 1980 è stato un anno importante per la politica italiana, in cui la solidarietà nazionale ha trovato la sua fine a causa di due vicende: il congresso democristiano che ha deciso di non riprendere il dialogo con il Partito Comunista Italiano e lo sciopero alla Fiat, in cui la Cgil ha perso contro l'azienda e un'ampia marcia di quadri intermedi, impiegati e dirigenti ha dimostrato che la piazza poteva essere mobilitata con un segno diverso da quello tradizionale della sinistra. Questi eventi hanno portato il segretario del Pci a considerare la Dc non più come un interlocutore credibile e a inaugurare una linea di netta contrapposizione, mettendo in luce la "questione morale" come fattore di divisione tra il Pci e gli altri partiti. La fine della solidarietà nazionale è stata influenzata anche dai primi segnali di una svolta profonda delle politiche ed economie del mondo occidentale, in risposta alla crisi della stagflazione. Tuttavia, non è stato ancora chiaro come la politica italiana avrebbe gestito tali 20 cambiamenti, perché la ripresa di una dialettica tra la maggioranza attorno alla DC e l'opposizione comunista non una nuova coalizione di governo. Capitolo Ottavo Governabilità limitata e risposta fragile all’avvio della globalizzazione (1980- 1989) Negli anni '80, all'inizio del nuovo decennio, si diffuse la sensazione di un marcato cambiamento del clima sociale in Italia. Un reportage del settimanale "Panorama" parlò di un "riflusso nel privato", evidenziando la fine della mobilitazione sociale e del primato della politica e dell'ideologia. Questo nuovo individualismo era un'evoluzione possibile del movimentismo giovanile degli anni precedenti e non necessariamente la sua negazione. Tuttavia, ci fu un'improvvisa sensazione di una caduta della temperatura politica del paese, anche per reazione alla stagione cupa della violenza. I partiti politici diventarono sempre più in difficoltà nel gestire il processo di unificazione sociale e di mediazione culturale. Nonostante ciò, c'era ancora interesse per le dimensioni sociali e collettive della partecipazione pubblica, come dimostrato dal rilancio dell'associazionismo civico, del volontariato tradizionale e nuovo (nacque il Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, Cnca), dell'impegno ecologista (Wwf, Lega ambiente) e dell'associazione Slow Food. La Chiesa italiana cercò di trovare una via d'uscita dalla crisi economica e sociale del paese, ripartendo dagli ultimi e cercando soluzioni comunitarie. Tuttavia, il nuovo pontificato di Giovanni Paolo II insisteva sulla coscienza identitaria di una Chiesa che doveva svolgere un ruolo guida nel paese, in risposta alle difficoltà nell'applicazione della linea di riforma conciliare. Nel 1981, un nuovo referendum abrogativo della legge sull'aborto fallì, nonostante il sostegno del mondo cattolico. Nel paese, la visione soggettivistica e libertaria del ruolo della donna prendeva piede, ma il contemporaneo referendum presentato dai radicali sull'abolizione dell'ergastolo fu bocciato. Il terrorismo continuava ad essere un problema, ma alcuni provvedimenti portarono ai primi successi nello smantellare le organizzazioni come le Brigate Rosse, nonostante i loro continui attacchi. La politica faceva sempre più fatica a governare la nuova complessità sociale. Nel 1981 scoppiò uno scandalo con la scoperta degli elenchi degli aderenti alla Loggia P2, durante una perquisizione nella residenza di Licio Gelli, che doveva portare a ritrovare il «piano di rinascita»; tra le personalità coinvolte ci furono politici di diversi partiti di governo, mettendo in crisi soprattutto la Dc, con le conseguenti dimissioni di Forlani dalla guida del governo. Prese il posto di presidente del Consiglio il leader dei repubblicani Giovanni Spadolini, primo presidente non democristiano dai tempi di Parri; egli guidava un esecutivo sostenuto da cinque partiti (definito “pentapartito”): i quattro partiti di centrosinistra con l'aggiunta dei liberali, partiti in precedenza incompatibili tra loro, che trovarono un accordo per garantire la «governabilità» del paese. Intanto, la Dc tentava di reagire alla crisi, eleggendo al congresso del 1982 come segretario uno dei capi della corrente di sinistra della Base, Ciriaco De Mita, che tentò di presentare un rinnovamento del partito ispirato a una serie di posizioni liberali e moderne. Il tentativo di presentarsi come colui che intendeva superare vecchie pratiche di potere, staccare il partito dal controllo degli enti pubblici, limitare il clientelismo, non fu evidentemente molto premiato dal consenso. Convocate nuove elezioni anticipate del 1983 la Dc scese al 32,9%, mentre il Pci si ridimensionava: il vantaggio andò ai partiti del «polo laico», che crebbero tutti a partire dal Pri trainato da Spadolini, ma anche parzialmente al Psi. Dopo le elezioni, fu possibile a Craxi di formare un governo; era riuscito a consolidare il suo controllo interno e ad affermare l'immagine del suo partito come moderno e fuori da ogni rigida ideologia. Egli identificò come primario l'obiettivo della riduzione dell'inflazione, iscrivendosi nel nuovo clima internazionale, con una battaglia che ebbe a simbolo la questione della cosiddetta «scala mobile»: si trattava del meccanismo automatico, presente fin dagli accordi del dopoguerra, che aumentava i salari dei lavoratori dipendenti di una quota corrispondente all'inflazione, per tutelarli dalla perdita di potere d'acquisto (il calcolo era espresso con i «punti di contingenza»). Negli ultimi anni era stato individuato come un meccanismo che promuoveva un circolo vizioso inflazionistico, per cui si era discusso di riformarlo. Una parte del sindacato sarebbe stata anche disponibile, ma la Cgil si oppose, con una rottura che indebolì il movimento. Il governo Craxi, con un decreto, abolì tre punti di contingenza su dodici, nel 1984. Si aprì un duro scontro con il Pci, che accusava il decreto di addossare il costo del risanamento sulle spalle dei lavoratori e promosse un referendum abrogativo, che però fu respinto dall'elettorato. Per il Pci rappresentò la conferma della propria presa su una parte dell'opinione pubblica, ma anche del proprio isolamento, confermato dalla successione dopo la morte di Berlinguer nel 1984, affidata a una continuità interna. In politica estera, Craxi alternò posizioni atlantiche (come la conferma della disponibilità di stanziare gli euromissili a Comiso, in Sicilia, se i sovietici non avessero ritirato gli Ss-20) ad altre ispirate alla logica della 21 libertà di manovra nazionale nel Mediterraneo. La retorica del “grande paese” e della tutela dell'interesse nazionale fu significativa soprattutto nell'episodio di Sigonella del 1985, quando i Carabinieri si opposero al tentativo della Delta Force statunitense di sequestrare e di portare negli Usa i palestinesi responsabili del dirottamento della nave italiana Achille Lauro, durante il quale era stato ucciso un cittadino statunitense; essi furono processati dalla giustizia italiana. Sul tema delle riforme istituzionali non furono fatti molti passi avanti, ma si diffuse un ampio convergere sulle sensazioni di crisi dell'assetto tradizionale, contrariamente a quanto si pensava fino a qualche tempo prima, quando le difficoltà erano addossate al malfunzionamento del sistema politico o ai limiti dei partiti. Emergeva una crisi di rappresentanza incipiente del sistema. Si stava intanto delineando un orizzonte internazionale nuovo, dovuto alla necessità di uscire dalla crisi del mondo occidentale; avanzò soprattutto nei paesi anglosassoni la scelta di superare il modello fordista nazionale con una ripresa basata sulla nuova centralità della finanza e su nuove interdipendenze economiche internazionali; la svolta non nasce da spontanee tendenze dell'economia o della tecnologia ma si coagulava una nuova direttiva politica a favorire tale evoluzione; la linea deflazionistica venne imposta dalla nuova ortodossia monetarista e antikeynesiana: per combattere l'inflazione, difendere il dollaro e attirare capitali esteri nel paese, la Federal Reserve statunitense alzò i tassi di interesse, rendendo più costoso il denaro ma più alta la remunerazione del capitale finanziario. La seconda scelta connessa fu quella di allentare i tradizionali vincoli ai movimenti transnazionali di denaro perché occorreva allargare la liberalizzazione commerciale postbellica anche ai flussi dei capitali. Gli Stati Uniti spostavano la centralità del proprio modello economico dall'industria alla finanza e al contempo si permetteva alle imprese industriali capitalistiche di delocalizzare la produzione dove ci fossero condizioni di mercato del lavoro più vantaggiose (alcuni paesi asiatici, soprattutto), disinnescando il conflitto sindacale a casa propria. La generale tendenza alla depoliticizzazione rispondeva a precisi interessi e fu portatrice dell’interesse generale, ovvero, la stabilità di un sistema provato da un decennio di tensioni inflazionistiche e di incertezze sullo sviluppo. Questo nuovo sistema economico fu denominato "globalizzazione" e portò alla competizione dei diversi sistemi-paese. L'uscita dalla crisi fu rivestita dall'ideologia del neoliberismo, termine diffusosi sull’esempio della politica di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan, che si concentrava sulla liberazione della spontaneità delle leggi di mercato a tutti i livelli. Queste evoluzioni furono legate tra aspetti sostanziali e ideologici. L'Italia doveva fare i conti con questo nuovo contesto, adattandovisi attraverso l’uscita dalla crisi economica: rallentò l'inflazione, soprattutto per l'adeguamento alla crescita dei tassi di interesse a livello internazionale, e per le scelte politiche; ma contò molto anche il decremento dei prezzi internazionali delle materie prime, a partire dalla «bolletta» delle importazioni petrolifere, che fece seguito alla crisi dell'Opec a partire dal 1985. La finanza pubblica restò un altro punto critico: passaggio importante fu il «divorzio» della Banca d'Italia dal Tesoro del 1981 che, togliendo l'impegno della prima ad acquistare i titoli di Stato eventualmente invenduti, vincolava l'emissione di nuovo debito alle condizioni dei mercati internazionali. La permanenza dei deficit annuali di bilancio si spiegava con gli effetti di aumento della spesa sul lungo termine provocati da alcune delle riforme del decennio precedente: si pensi alle pensioni e ai prepensionamenti con poco più di quindici anni di servizio per il pubblico impiego; ma anche all'esplosione anomala delle pensioni di invalidità, usate come ammortizzatore sociale in alcune zone depresse. Ma soprattutto restava drammatica la difficoltà ad affrontare la questione fiscale; il fisco continuò ad arrancare, nonostante venissero approvati in questi anni i primi provvedimenti per adeguare la tassazione del lavoro autonomo. Conseguenza di questi andamenti sfasati fu la crescita del debito pubblico, che già nel 1986 aveva raggiunto l'84% del Pil e avrebbe toccato il 95% alla fine del decennio. La quota annuale per pagare gli interessi cominciò a crescere esponenzialmente, peggiorando il deficit primario, già elevato. Intanto l'economia reale migliorava, con il Pil che tornò a crescere attorno al 3-4% annuo dal 1984 al 1988. In questi anni, alcune grandi imprese italiane provarono senza successo a compiere acquisizioni o fusioni internazionali, segnando l'avvio di una parabola di marginalizzazione. Iniziava una complessa riforma dell'lri, dove la nomina dell’economista industriale Romano Prodi alla presidenza nel 1982 sembrò iniettare una dose di efficienza: furono ridimensionati sia gli addetti totali che alcuni rami di impresa e il bilancio migliorò. Al di sotto di questo andamento incerto, ci fu il decollo della modernizzazione produttiva della Terza Italia, fuori dal triangolo industriale (il Triveneto, l’asse adriatico, alcune zone del sud), affidato soprattutto al fiorire di piccole e medie imprese, concentrate nei settori del made in Italy (alimentare, abbigliamento, arredamento, Design). Soprattutto a Milano e nelle città del nord, l'apertura internazionale si collegava alla crescita di settori del terziario, della comunicazione, della moda: era un'economia che trovava nuovi orizzonti fuori dalla tradizione manifatturiera, entrando in sintonia con il mondo della finanza internazionale. Anche l’agricoltura visse anni di svolta, dopo la grande riduzione quantitativa dei coltivati e degli addetti, con il passaggio dalla produzione di massa alla valorizzazione qualitativa dei territori e delle originalità 22 modernizzazione del mercato necessari per adeguarsi al completamento del mercato europeo avviato dall'Atto Unico del 1986, come l'istituzione di un'autorità antitrust (nel 1990) e la riforma delle banche pubbliche (legge Amato-Carli). Inoltre, venne introdotta una legge per gestire l'immigrazione di stranieri (legge Martelli), un tema fino ad allora poco regolamentato in Italia; l’adeguamento era necessario visto il largo numero di immigrati presenti in Italia, inoltre la cosa apparve evidente con il caso Jerry Masslo, un giovane sudafricano arrivato nel nostro paese con la speranza di ottenere protezione ma che invece si ritrovò a lavorare clandestinamente in un campo di Villa Literno, dove venne ucciso in un tentativo di rapina. Il crollo del muro di Berlino, nell’ottobre del 1989, e il conseguente collasso dei regimi comunisti dell'Europa orientale ebbe un effetto traumatico sul Partito Comunista Italiano (Pci). Il segretario del partito, Achille Occhetto, decise di proporre un cambio del nome del partito per abbandonare l'aggettivo comunista e far parte della sinistra europea occidentale, allontanandosi definitivamente dal socialismo sovietico. Questa proposta causò un acceso dibattito interno, ma alla fine il partito in un congresso del 1991 cambiò il suo nome in Partito Democratico della Sinistra (Pds). Tuttavia, una minoranza fondò il nuovo Partito della Rifondazione Comunista (Prc). La scissione portò a un netto indebolimento del partito, che aveva ancora il 30% dell'elettorato, ma rese possibile un futuro diverso dopo la fine della guerra fredda. Con la crisi del comunismo, l'elettorato italiano si sentiva più incerto e disilluso rispetto alle appartenenze politiche tradizionali, e si apriva a nuove opportunità. Ciò si rifletteva nelle elezioni europee del 1989 e nelle elezioni regionali del maggio 1990, dove le leghe locali ottennero risultati inaspettatamente alti, soprattutto al nord, in particolare in Lombardia, Veneto e un po’ meno in Piemonte e Liguria. Questi risultati portarono alla creazione della Lega Nord da parte di Umberto Bossi attraverso l’associazione delle leghe, avvenuta nel 1991. Il governo italiano non prestò attenzione ai segnali di allarme sulla crescente instabilità politica del paese, nonostante la crescita dei movimenti critici come le leghe. Durante gli eventi europei del 1989, il governo Andreotti mantenne una posizione tradizionale e non entusiasta della riunificazione tedesca. Tuttavia, il governo accettò il trattato di Maastricht sulla nascita dell'Unione europea (firmato nel 1992), che fissava l'obiettivo del completamento della politica monetaria con la moneta unica europea. La guerra del Golfo del 1991, mirata a respingere l’invasione irachena nel Kuwait, ridisegnò la preponderanza militare statunitense e l'Italia si trovò coinvolta nella coalizione con un mandato dell'Onu, suscitando controversie riguardo alla compatibilità dell'operazione con il principio costituzionale del "ripudio della guerra" nel mondo cattolico; lo stesso Papa Giovanni Paolo II fu critico. Nel frattempo, la crisi in Albania e quella in Jugoslavia dal 1991 gettavano ombre sulla regione adriatica, e il governo italiano si mostrò incerto nella gestione delle prime ondate di profughi albanesi, mentre venne scavalcata da Austria, Germania e Santa Sede nel riconoscimento delle indipendenze slovena e croata. Nei complessi equilibri interni, gli eventi internazionali misero in moto più profondi processi di disgregazione. Un elemento decisivo fu il nuovo ruolo assunto dal presidente della Repubblica Cossiga, il quale abbandonò il suo ruolo di garante delle istituzioni per assumere un atteggiamento invadente, polemico e partigiano. Egli si definì il "picconatore" delle istituzioni e propose una rottura politica che portasse a un nuovo sistema, più adeguato alla fine della guerra fredda. La sua contrapposizione con il suo stesso partito, la Dc, divenne durissima, in particolare con il presidente del Consiglio Andreotti, l’esponente più tradizionale di un approccio minimizzatore. Le tensioni interne della Dc si accentuarono e l'accordo del Caf cominciò a traballare. Il movimento delle riforme istituzionali riprese vigore dopo lo stallo della commissione Bozzi e si concentrò sui referendum per la legge elettorale, ritenuta fondamentale per il funzionamento della democrazia. L'obiettivo era superare il proporzionalismo e spingere i partiti a presentare scelte più nette per il rinnovamento del sistema politico. Il gruppo dei riformatori comprendeva anche alcune associazioni della società civile e intellettuali come Roberto Ruffilli e Gianfranco Pasquino (quindi a cavallo tra Dc e Pci), che cercavano di dare più forza al cittadino. Definito “arbitro” o “principe” nella democrazia "governante". Il referendum del 1991, che aboliva le preferenze plurime nelle elezioni dei deputati, divenne il simbolo di uno scontro tra innovatori e conservatori. Nonostante l'invito di Craxi ad andare al mare invece che votare, il referendum ottenne una larga partecipazione e fu approvato a larghissima maggioranza, segnalando un crescente appello antipartitocratico dell'elettorato. Nel 1992, alla fine della legislatura, si potevano già notare segnali di crisi e indebolimento dell'assetto politico italiano. Le elezioni di quell'anno mostrarono una crescente frammentazione del sistema politico, con l'esplosione della Lega Nord nelle regioni settentrionali. Anche la personalizzazione della politica cominciò a farsi strada, con la prima lista che conteneva il nome di un leader, la Lista Pannella dei Radicali. Nonostante il declino del Partito Comunista, la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista si illudevano di poter ancora controllare la maggioranza con i loro alleati minori. Ma l'attentato terroristico della mafia contro il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la loro scorta a Capaci, il 23 maggio, sconvolse il paese e smosse la situazione bloccata. La scelta di 25 Oscar Luigi Scalfaro, magistrato integerrimo e militante cattolico, come presidente della Repubblica mostrò una convergenza tra i partiti e un sussulto di resistenza contro la criminalità organizzata. Scalfaro era un democristiano atipico, stimato anche tra i radicali e a sinistra, con un forte senso delle istituzioni e una certa libertà da dinamiche di partito. Una volta eletto, egli accettò l'ipotesi, frutto di accordi tra i partiti, di incaricare di formare il governo un socialista, l’intellettuale Giuliano Amato. Il motivo era la crescita di una pressione che veniva in quelle settimane da una serie di inchieste dei giudici di Milano. L'inchiesta chiamata "mani pulite" portò alla luce estese reti corruttive tra politici e imprenditori, coinvolgendo anche il leader del Partito Socialista Italiano (Psi), Bettino Craxi. La campagna elettorale del 1992 vide l'arresto di un esponente del Psi (Mario Chiesa) per tangenti ricevute, e l'inchiesta si estese rapidamente grazie all'uso di un modello di pool investigativo mutuato dalle inchieste sulla mafia. L'incriminazione dei politici per violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti venne usata come carta per alzare il tiro dell'inchiesta, coinvolgendo esponenti politici nazionali. Tuttavia, i metodi dei giudici furono anche criticati, ad esempio per l'uso della carcerazione preventiva per ottenere confessioni e per l'appoggio eccessivo alla stampa per far circolare le notizie di avvisi di garanzia. Nonostante ciò, l'inchiesta portò a numerose condanne (circa 1.300 tra condanne e patteggiamenti) e mise radicalmente in discussione uno spezzone cospicuo della classe politica. Nella seconda metà del 1992 l'Italia fu colpita da una dura crisi finanziaria che mise in difficoltà il governo. La lira subì una speculazione al ribasso da parte di potenti operatori sui nuovi mercati liberalizzati dei capitali, a seguito delle decisioni sulla parità tra le monete europee prese a Maastricht. Il governo Amato dovette adottare misure straordinarie, come una finanziaria durissima sul fronte fiscale e sui tagli di spesa, per riequilibrare i conti pubblici e portare il paese a un avanzo primario. La pressione fiscale raggiunse il 41% del PIL e l'economia reale subì una severa contrazione nel 1993, che fu recuperata solo molto lentamente nei successivi dieci anni. Il governo avviò anche il processo di trasformazione delle pubbliche imprese in società per azioni, preparando il terreno alla loro privatizzazione. La crisi finanziaria tolse ulteriore consenso ai partiti di governo. Intanto la mafia continuava a colpire: in luglio a Palermo fu ucciso con un'autobomba il giudice Paolo Borsellino, che aveva preso il testimone da Falcone. La risposta delle istituzioni apparve decisa, sistemando il complesso di provvedimenti sulla dissociazione mafiosa e irrigidendo le misure rafforzate di detenzione dei boss per impedire loro di continuare a governare i loro affari dal carcere (il 41-bis). La mafia corleonese sembrò messa in un angolo con l’arresto, nel 1993, del boss Totò Riina. Le bombe mafiose nelle città di Roma, Milano e Firenze assunsero il senso di rilanciare una minaccia oscura e tragica e si è ipotizzata l’esistenza di una trattativa nascosta tra Stato e mafia in quei mesi, per disinnescare il livello dello scontro, che però non è stata mai giudiziariamente confermata. Il dato da ricordare è anche il consolidamento non solo di un movimento antimafia civile e politico, ma di una serie di associazioni, gruppi, realtà di cittadini che costituirono una rete per contrastare l'egemonia culturale ed economico-sociale della criminalità. La crisi politica diventò irreversibile a causa delle inchieste giudiziarie che colpirono tutti i maggiori partiti di governo, tra cui il Psi e i partiti socialdemocratici e repubblicani; a queste si aggiunse la crescita delle leghe, le quali ottennero grandi successi alle elezioni amministrative. La crisi del Psi coincise con il ruolo personale di Craxi, che venne raggiunto da un avviso di garanzia nel 1992 e scelse una linea di risposta politica dignitosa ma problematica: tenne un discorso in parlamento, in cui sostenne che le tangenti erano il frutto dei costi della politica e che tutti erano responsabili, non solo gli inquisiti. La sua immagine, a questo punto, divenne la più compromessa di fronte all’opinione pubblica. Dopo la mancata rielezione in parlamento, nel maggio del 1994 egli lasciò l'Italia per Hammamet, in Tunisia, per sottrarsi ai processi in corso, che gli costarono un paio di condanne definitive. Il partito si arenò nella forma di gruppi minori. Parzialmente diverso fu il caso della Democrazia cristiana, che nel 1991 iniziò a perdere spezzoni di militanti:  il sindaco di Palermo Leoluca Orlando fondò un Movimento per la Democrazia - La Rete insieme a politici e intellettuali di diverse culture;  Mario Segni e altri uscirono dal partito per costituire il Movimento dei Popolari per la riforma, privilegiando il metodo referendario e il progetto di democrazia governante. Nel corso del 1993, sia il segretario del Partito Democratico Cristiano, Forlani, che l'ex presidente del Consiglio, Andreotti, furono raggiunti da avvisi di garanzia per vari reati, in particolare per il secondo la collusione con la mafia (la sentenza fu l’applicazione della prescrizione ai reati antecedenti al 1980 e l’assoluzione per il periodo successivo) e la complicità nel delitto Pecorelli (assolto). Il partito si preparava a una rivincita della sinistra interna e il nuovo segretario, Martinazzoli, decise di sciogliere il partito e costituire un nuovo Partito popolare italiano, per rilanciare un legame con la Chiesa e il movimentismo, favorito da Papa Giovanni Paolo II. Tuttavia, 26 molti democristiani moderati non furono d'accordo così ci fu una nuova rottura che portò alla nascita del Centro cristiano democratico. Anche il Movimento sociale italiano si trasformò per diventare una moderna destra nazionale e nel 1994 nacque l'Alleanza nazionale con Gianfranco Fini come segretario. Queste trasformazioni politiche crearono nuovi bacini elettorali e politici. Nel frattempo, un nuovo referendum sulla legge elettorale venne proposto da un gruppo di riformatori. Il referendum mirava ad abrogare il sistema elettorale del Senato e adottare un sistema maggioritario simile a quello della Camera. Il referendum è stato approvato con l’82% dei voti favorevoli e il 77% di partecipazione. Tuttavia, la riforma doveva essere completata dal Parlamento. Nel frattempo, una commissione bicamerale per le riforme istituzionali, presieduta da Nilde Iotti, propose una risoluzione per modificare il sistema di governo verso il modello tedesco del cancellierato, ma la proposta fallì. L'unica riforma istituzionale approvata fu la modifica della struttura dei governi locali per garantire la stabilità dei sindaci e la loro diretta elezione da parte dei cittadini; secondo riforma, se un sindaco perde la maggioranza si scioglie anche il consiglio comunale e si ritorna ai voti. Giuliano Amato, di fronte al risultato referendario del 1993, si dimise e così si esauriva l'ultimo governo ancora vagamente ascrivibile alla stagione pentapartitica. Scalfaro si orientò verso un governo tecnico per gestire la risposta alla crisi finanziaria e la preparazione della riforma della legge elettorale, affidando l'incarico al governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, il primo presidente del Consiglio non parlamentare della storia repubblicana. Egli avrebbe avuto il compito di accompagnare la riforma elettorale e di sorvegliare il risanamento economico, grazie alla sua autorevolezza professionale e alla sua credibilità internazionale. La sua prima ipotesi fu di cercare ministri anche in aree diverse da quelle del pentapartito, anche se un voto della Camera contrario all'autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi portò alle rapide dimissioni dei ministri di area verde/Pds: i rispettivi partiti continuarono a garantire la fiducia all'interno di una maggioranza piuttosto ampia e trasversale. In termini economici, il governo continuò il processo di privatizzazione delle imprese pubbliche per risanare i conti dello Stato, senza chiedere grandi sacrifici al paese. Inoltre, istituì una forma di concertazione permanente con i partner sociali per costruire il consenso ai maggiori interventi relativi al sistema economico. Fu anche realizzata la riforma della legge elettorale, chiamata "Mattarellum" dal nome del relatore parlamentare, il deputato Ppi Sergio Mattarella: la nuova formula mista prevedeva che tre quarti dei seggi fossero assegnati in collegi uninominali a turno secco, mentre un quarto sarebbe stato destinato al recupero proporzionale su liste di partito, per rappresentare anche le minoranze che non intendessero allearsi, ma con una soglia di sbarramento fissata al 4% nazionale. Il periodo di transizione si concluse con le dimissioni del governo nel 1994 e l'inizio della campagna elettorale per delineare il nuovo orizzonte politico del paese. In quegli anni si diffuse la tesi che l'Italia stesse passando dalla "prima" alla "seconda" repubblica, espressione che derivava dall’abitudine francese di numerare i regimi politici. Espressione imprecisa poiché la svolta del sistema politico non implicò un cambiamento completo dell'impianto istituzionale complessivo, come è avvenuto in Francia nel 1946 e nel 1958. Capitolo Decimo L’emergere faticoso di un bipolarismo politico nell’orizzonte europeo (1994- 2001) Nel marzo del 1994 si tennero nuove elezioni anticipate in Italia, che segnarono un periodo di cambiamento e tentativi di riforma del sistema politico. L'obiettivo era quello di creare un bipolarismo di stampo anglosassone (o europeo), con un polo progressista e uno conservatore, ma questo si rivelò difficile da realizzare a causa della complessità della situazione ereditata dal passato e delle caratteristiche delle culture politiche in Italia. Solo alla fine del decennio e all'inizio del nuovo secolo, attraverso molte crisi e incertezze, si raggiunse l'obiettivo. La campagna elettorale del 1994 vide tre raggruppamenti maggiori che si contendevano i collegi elettorali disegnati dal Mattarellum: l'Alleanza dei progressisti, il Patto per l'Italia di segno centrista e il Polo delle Libertà/del Buon Governo sulla destra del sistema politico.  L'Alleanza dei progressisti fu costruita soprattutto per iniziativa del Partito democratico della sinistra di Occhetto, erede del Pci, ma ormai inserito in un orizzonte ideale riformista ed europeo. Il processo di cambiamento ideologico e culturale fu lento, ma Occhetto pensò di approfittare del clima di discredito verso i vecchi partiti di governo per ottenere consensi. In vista delle elezioni, il segretario ricucì un accordo con la Rifondazione comunista di Armando Cossutta e Fausto Bertinotti, che raccolse altri partiti minori come i Verdi, la Rete di Orlando, Alleanza democratica e i cristiano-sociali di Gorrieri e Carniti. Grazie alla diffusione di queste diverse istanze, la coalizione sperava di ottenere un buon risultato elettorale, anche grazie all'elezione di alcuni sindaci progressisti nelle grandi città alla fine del 1993; 27 Nel frattempo, nel 1996-1997, fu costituita una commissione bicamerale per le riforme, che cercava di trovare un accordo tra maggioranza e opposizione (espressi nelle figure di Berlusconi e Massimo D’Alema del Pds) sulla forma di governo e sulla legge elettorale. Tuttavia, l'accordo naufragò a causa dell'opposizione di Berlusconi, il quale riteneva che non fosse conveniente per il centrodestra. L’Ulivo restava un disegno politico incompiuto, secondo i sostenitori della democrazia governante, anche perché alcuni dei partiti maggiori della coalizione continuavano a ragionarne come se si trattasse di un'alleanza tra forze politiche distinte, capaci di coltivare separatamente i propri referenti sociali. In questa visione, il ruolo di Prodi sfiorava quello di un “tecnico” senza le basi di potere di un proprio partito. Il problema del nesso partiti-coalizioni-governo restò quindi uno dei punti critici della transizione verso il bipolarismo, data la difficoltà a ridurre il pluralismo politico e parlamentare nel paese. La caduta del governo Prodi avvenne nell'ottobre 1998 con una votazione parlamentare di sfiducia dopo il ritiro dell'appoggio esterno del Prc. Massimo D'Alema, primo ex comunista in questo ruolo, fu incaricato da Scalfaro di formare un nuovo governo, che aveva una base parlamentare parzialmente diversa. Prodi, deluso, fondò i Democratici per tenere viva la prospettiva dell'Ulivo come partito unico del centrosinistra e fu designato presidente della Commissione europea nel 1999, uscendo dalla politica italiana per alcuni anni. Il governo guidato da D'Alema durò circa un anno e mezzo, durante il quale furono affrontati diversi temi importanti. In particolare, il governo si trovò a dover affrontare la questione dell'intervento militare della Nato in Kosovo, voluto dal presidente Clinton e supportato dal governo italiano, anche se criticato dalla componente pacifista della maggioranza. In questo periodo venne anche varata la riforma del titolo V della Costituzione, che prevedeva un rafforzamento dei poteri delle regioni e la loro maggiore autonomia legislativa. Fu approvata anche la legge sulla "par condicio" per regolare l'accesso delle forze politiche ai mezzi di comunicazione durante le campagne elettorali, e la riforma dell'università Berlinguer (dal nome di Luigi Berlinguer, cugino dell’antico leader del Pci), che prevedeva l'istituzione del sistema "3+2", cioè l’articolazione di gran parte dei corsi di laurea in una laurea breve (triennale) e in una specialistica o magistrale (biennale) per incrementare il numero dei laureati nel Paese. Scaduto il settennato di Scalfaro, nel 1999, si trovò un accordo con l'opposizione per portare alla presidenza Carlo Azeglio Ciampi, che dovette gestire un'ulteriore crisi di governo. D'Alema infatti decise di dimettersi dopo la sconfitta subita dalle liste dell'Ulivo nelle elezioni regionali del 2000 e tornò al governo Giuliano Amato. Avvicinandosi le elezioni, la complessità della coalizione portò ad altri ripensamenti sulla figura di leader da presentare all'elettorato e alla fine emerse il nome di Francesco Rutelli, sindaco di Roma. Non dimentichiamoci che grazie alle modificazioni legislative si era creato un movimento dei sindaci, soprattutto di centro sinistra, portatore di una sorta di nuova spinta derivante dall’impegno civico locale. Nell'opposizione, ci fu una crescente radicalizzazione delle posizioni della Lega nord di Bossi, che nel 1996 proclamò simbolicamente l'indipendenza della Padania, con l’elezione di un parlamento che si radunò a Mantova. Nonostante l'idea che la ricca Mitteleuropa avrebbe facilmente assorbito la produttiva Italia settentrionale che si fosse staccata dal sud (visto come una palla al piede) non avesse molto successo, questa nuova posizione consolidò il nucleo leghista soprattutto nella fascia pedemontana lombardo-veneta. In questo periodo si rilanciarono le ragioni di una vecchia frattura nord-sud e si intensificò l'ostilità contro gli immigrati. La Chiesa cattolica e la presidenza della Repubblica, soprattutto con Carlo Azeglio Ciampi, difesero sempre l'unità nazionale come valore di convivenza civile. Berlusconi attraversò questa stagione di opposizione usando le armi propagandistiche dell'anticomunismo e mettendo la sordina al «nuovismo» antipolitico del 1994, mentre per non sbagliare quotava in Borsa le proprie televisioni, scorporate sotto l’etichetta Mediaset dalla finanziaria di famiglia. Nel frattempo rivedeva il suo progetto politico: da una parte doveva trovare un riferimento in alcuni ex politici socialisti e democristiani che gli diedero una mano a organizzare Forza Italia e strutturare meglio la sua proposta politica rispetto al rapporto con le istituzioni e la macchina burocratica. Dall'altra parte, insistette per la ricostituzione di un rapporto con Bossi e la Lega. La pressione lentamente ottenne i suoi risultati e Bossi mise nell'angolo i temi secessionisti, rilanciando l'intesa sulla polemica antifiscale, antimmigrazione, antistatalista. Si parlò di «forza-leghismo», per definire la convergenza progressiva nel paese di una mentalità personalistico plebiscitaria, attivistico-nordistica, insofferente alle regole e ai vincoli, sospettosa della burocrazia e delle tasse. In termini europei, Berlusconi riuscì anche a sfruttare la volontà di Kohl di ampliare i confini dell'eredità democristiana del Partito popolare europeo per farsi ammettere in quel partito e in quel gruppo parlamentare a Strasburgo. Inoltre, egli contemplò attivamente un'iniziativa politica e propagandistica per ottenere più consenso da parte della Chiesa cattolica: Forza Italia era stata sempre segnata da un laicismo modernizzatore ma il ripensamento della sconfitta del 1996 doveva indurlo a cercare un nuovo rapporto con la linea del cardinal Ruini, la quale era distante dai cattolici schieratisi con l'Ulivo e 30 considerata più vicina al centrodestra. L'immagine del berlusconismo in soli 5/6 anni dalla sua discesa in campo era già molto cambiata. Capitolo Undicesimo La stagione berlusconiana in una società divisa (2001-2011) La riscossa di Berlusconi si sviluppò nel 2001 con una campagna elettorale efficace dal punto di vista propagandistico. Nello studio televisivo di Porta a porta egli firmò un “contratto con gli italiani”, dove si impegnava a non ricandidarsi nel 2006 se non avesse ottenuto almeno quattro tra cinque obiettivi proclamati come prioritari: riduzione della pressione fiscale, riduzione dei reati con il poliziotto di quartiere, sblocco del 40% dei cantieri, dimezzamento della disoccupazione con un milione e mezzo di posti di lavoro e l’aumento delle pensioni minime a un milione di lire. L’idea ebbe un certo successo. Le elezioni del 2001 videro l'avanzamento del bipolarismo, con solo poche coalizioni in grado di ottenere seggi. La Casa delle Libertà di Berlusconi ottenne la maggioranza dei voti, raggiungendo 282 seggi alla Camera e 176 al Senato, mentre l'Ulivo raggiunse solo 191 seggi alla Camera e 130 al Senato. Berlusconi fu in grado di governare per tutta la legislatura, con Giulio Tremonti all'Economia, Fini come vicepresidente del Consiglio, Scajola agli Interni e Renato Ruggiero agli Esteri. Nonostante questo, Berlusconi non riuscì a dare una vera incisività al suo governo e sembrava a suo agio solo nella propaganda. L'avvio del governo fu segnato da eventi piuttosto forti:  Durante la riunione del G8 a Genova nel 2001, il neonato movimento "no-global" manifestò contro le forme della globalizzazione ormai dominante, attraverso un partecipato corteo nonviolento e tre giorni di disordini provocati da gruppetti estremisti di black bloc e anarchici. Durante questi eventi, un giovane manifestante, Carlo Giuliani, morì in piazza. Dopo i disordini, la polizia fece irruzione nelle scuole e negli ostelli dove pernottavano i manifestanti, mettendo in atto una violenta operazione di arresti e fermi, accompagnati da botte e umiliazioni nei confronti di molti giovani inermi. Questa sembrò la reazione di una parte degli apparati alle contestazioni, intesa a intimorire e stroncare le proteste sociali. Dopo lunghi processi, alcuni responsabili furono puniti, ma non i vertici della polizia;  Gli attacchi terroristici dell'11 settembre compiuti da Al Qaida alle Torri gemelle di New York portarono gli Stati Uniti e il mondo intero in un clima di terrore. La reazione degli Stati Uniti con la War on Terror e l'operazione Enduring Freedom coinvolse anche il governo italiano, che appoggiò con fervore la prima reazione in Afghanistan. La questione si complicò nel biennio successivo, quando l'Amministrazione Bush decise di attaccare anche l'Iraq di Saddam Hussein per continuare nell'opera di "democratizzazione" del Medio Oriente, provocando una spaccatura verticale in Europa. Berlusconi si schierò con Bush e il premier britannico Blair contro l'asse franco-tedesco, divaricando i classici punti di riferimento della politica estera italiana, quello atlantico e quello europeo. L'invio di truppe in Iraq dovette chiedere all'Italia un alto tributo di sangue, soprattutto con l'attentato di Nassiriya contro una base italiana, nel quale persero la vita 19 militari. Berlusconi gestì una politica estera autonoma e personale, anche a discapito della Farnesina e del Quirinale, gestendo alcuni rapporti internazionali nel nome dell'amicizia personale con leader come Vladimir Putin. Comprensibilmente, queste vicende fornirono motivi divaricatori tra le forze politiche. Il governo italiano degli anni 2000 è stato caratterizzato da una gestione incerta dell'economia. L'ingresso definitivo nell'euro, avvenuto nel 2002, fu gestito con poca attenzione, permettendo ad alcuni operatori economici di aumentare i prezzi in modo ingiustificato (tendendo a parificare spesso l’euro alle mille lire piuttosto che alle ufficiali 1936,27 lire). Nonostante si invocasse il liberismo, ci sono stati cospicui condoni fiscali che hanno scoraggiato la fedeltà dei contribuenti. Una dura battaglia simbolica è stata combattuta con il sindacato, in particolare con la Cgil, sulla proposta di abolire l'art.18 dello Statuto dei lavoratori, che prevedeva il reintegro sul posto di lavoro di chi non era stato licenziato per giusta causa (stabilito da un tribunale, ovviamente). Il già annunciato taglio delle tasse fu invece modesto e selettivo in senso contrario alla progressività: fu abolita la tassa di successione mentre vennero ridimensionate le alte aliquote sull’Irpef. Anche il rilancio degli investimenti e dei cantieri non è stato marcato, ad eccezione del completamento dell'alta velocità ferroviaria tra Milano e Salerno. Il debito pubblico è ricominciato a crescere, simboleggiato da alcuni clamorosi crack finanziari di imprese come Cirio, Parmalat e Alitalia. Più incisivo fu invece il governo attuando alcune misure a basso costo, capaci di consolidare il proprio consenso elettorale, tra cui la legge Bossi-Fini sugli immigrati che aggravò le procedure burocratiche per i lavoratori 31 regolari, abolendo alcune norme come quella del tutoraggio ma confermando l'impianto essenziale dei permessi per motivi di lavoro. Fu anche approvata una legge controversa sulla fecondazione medicalmente assistita, sottoposta a un referendum nel 2005 senza però ottenere il quorum di partecipazione. Il governo rafforzò anche il dialogo con la Conferenza Episcopale Italiana (Cei) di Ruini, con cui ha ottenuto l'approvazione della legge sulla fecondazione assistita. Il quinquennio di Berlusconi fu contraddistinto da un persistente scontro con i giudici milanesi che portavano avanti le inchieste sulla Fininvest. Questo conflitto spinse il parlamento ad approvare molte leggi definite ad personam, volte a proteggere il presidente del Consiglio. Berlusconi giustificò queste leggi come una necessità per proteggersi dalla presunta persecuzione politica della magistratura. Queste leggi includevano ostacoli alle rogatorie internazionali, la riduzione degli effetti della legge sul falso in bilancio, la legge Cirami permetteva di chiedere un cambio di tribunale di fronte al legittimo sospetto, il lodo Schifani avrebbe sospeso, se approvato, i processi delle alte cariche dello Stato fino alla fine del mandato, la legge "ex Cirielli" riduceva i tempi di prescrizione per gli incensurati e vietava il carcere per gli ultrasettantenni e la legge Pecorella aboliva l'appello in caso di assoluzione in primo grado o prescrizione. In sostanza, queste leggi permisero a Berlusconi di rinviare ogni appuntamento problematico con i suoi processi. Furono anche introdotte alcune leggi favorevoli ai suoi interessi privati come quelle sulle perdite delle squadre di calcio o la nuova legge sul sistema radiotelevisivo concepita, di fatto, per evitare alle tv Mediaset di incorrere in misure antitrust. Durante la legislatura del governo di Berlusconi, si verificarono divisioni interne alla maggioranza che influenzarono la gestione politica del paese. Il primo scontro avvenne tra Tremonti e Fini nel 2004, e Berlusconi dovette sacrificare il ministro dell'Economia accusato di eccessivo rigore finanziario e di irrigidimento sulla spesa sociale. Successivamente, i rapporti di Berlusconi con Fini peggiorarono, e Fini si orientò a costruire per An il profilo di una destra più moderna e meno influenzata dal potere clericale, mal sopportando la pressione del presidente del Consiglio per la fusione in un solo partito delle forze del centrodestra. La querelle si risolse con la nomina del capo di An come ministro degli Esteri, nel 2004. Berlusconi venne indebolito nella sua immagine vincente dalle sconfitte elettorali degli ultimi tempi della legislatura. Per trovare una soluzione, si cercò di riformare la legge elettorale: la legge Calderoli (definita Porcellum da Giovanni Sartori perché il relatore si era fatto sfuggire l’espressione “abbiamo fatto una porcata”) prevedeva il ritorno al voto su liste di partito, decise dall’alto senza preferenze, introducendo la correzione maggioritaria data da un premio di maggioranza per il partito più votato. Inoltre, Berlusconi concepì una riforma costituzionale che attribuiva al premier poteri nuovi lamentandosi del fatto che le regole già esistenti non gli avevano permesso di governare, ma fu bocciata da un referendum con il 61% dei voti contrari. Le elezioni del 2006 in Italia videro la coalizione di centro-sinistra, guidata da Romano Prodi, vincere per una differenza di soli 25.000 voti alla Camera, ottenendo la maggioranza dei seggi previsti dalla legge. Tuttavia, al Senato, la coalizione vincente ottenne solo una maggioranza minima, dipendente dal favore di alcuni senatori a vita. La coalizione di centro-destra, guidata da Silvio Berlusconi, allargò la coalizione includendo partiti di destra estrema neofascista. Il governo di Prodi ebbe un compito difficile e complesso, durò solo due anni nel quadro del decennio contrassegnato dall'egemonia dell'avversario politico. La coalizione vincente elesse Giorgio Napolitano al Quirinale come successore di Ciampi, senza intese con l'opposizione. Il leader di Rifondazione, Bertinotti, fu nominato presidente della Camera. Il governo fu formato con le vicepresidenze di D'Alema e Rutelli e fu affidato ad Amato l'Interno e a Padoa-Schioppa l'Economia. Tipiche di questa stagione furono le cosiddette «lenzuolate» di liberalizzazioni, promosse dal ministro dell'Industria Pierluigi Bersani per facilitare la dinamica economica. Ci fu poi un altro episodio di scontro con la gerarchia ecclesiastica: la coalizione aveva in maggioranza una posizione favorevole a riconoscere e quindi regolare le forme di convivenza familiare diverse dalla classica famiglia fondata sul matrimonio (coppie di fatto, persone omosessuali), per cui il governo, con le ministre Pollastrini e Bindi, varò un prudente progetto di legge delle cosiddette «dichiarazioni di convivenza» (Dico) fortemente criticato dal mondo cattolico, sollecitato dalla Cei di Ruini, che portò difficoltà nella maggioranza e alla fine il ritiro del provvedimento. Il governo italiano guidato da Romano Prodi nel 2007 ha affrontato difficoltà anche a causa di questioni politiche interne. In quell'anno, si completava la lenta costituzione di una sorta di “partito unico dell’Ulivo” con la costituzione del Partito Democratico, il quale ha raccolto diverse tradizioni politiche, tra cui quella post-comunista e cattolico-democratica, liberal-progressista e socialista. Il suo primo segretario, Veltroni, ha proclamato la vocazione maggioritaria del partito, criticando implicitamente l'ampia coalizione di governo e indebolendo Prodi. Nel frattempo, diverse manifestazioni in diverse città italiane hanno visto radunarsi molte persone, su iniziativa del comico Beppe Grillo, che ha convocato i cosiddetti "Vaffa-day" per protestare contro la "casta politica" e la presenza nelle liste elettorali di condannati per vari reati. Questo ha dato il via a un percorso che ha avuto un inatteso successo politico, grazie all'uso dei social media e della rete Internet come fonte di 32 distinse poi per promuovere e far approvare la legge Severino (dalla ministra della giustizia Paola Severino), con misure sulla prevenzione e la repressione della corruzione nella pubblica amministrazione. Oltre a far nascere una specifica Autorità anticorruzione (Anac), essa regolava in modo più stringente alcune incompatibilità anche di rilievo politico, limitando la candidabilità di condannati per reati non colposi. Fu anche definito un primo passo di semplificazione delle autonomie locali, togliendo la dimensione elettiva alle province, che sarebbero diventati enti di secondo livello, amministrate da assemblee di sindaci dei comuni che ne facevano parte. . Tuttavia, continuavano a emergere scandali di corruzione che coinvolgevano politici di partiti che si presentavano come moralizzatori, come la Lega Nord e la Margherita. Berlusconi subì una sconfitta quando il suo stretto collaboratore Marcello Dell'Utri fu condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Il governo di Monti fu sciolto alla fine del 2012 e furono indette nuove elezioni per il febbraio 2013.Era cresciuta nel paese l'insoddisfazione e un clima di rancore e di polemica contro la classe politica, criticata per non aver partecipato ai sacrifici chiesti agli italiani a causa della situazione drammatica: la polemica sugli stipendi e i vitalizi dei parlamentari divenne durissima. Sull'onda di queste proteste, prese slancio il Movimento cinque Stelle (M5s) di Beppe Grillo, fondato nel 2009 (dopo che il leader aveva richiesto l’adesione al Pd per candidarsi alle sue prime primarie per il segretario, che gli era stata rifiutata) sull’onda dello straordinario successo di partecipazione ai suoi comizi che oscillavano tra il comico e il politico. Le rivendicazioni del movimento andavano da una critica ai privilegi della casta politica alla pressione per lo sviluppo delle opportunità offerte dalla rete digitale, con la volontà di riportare la decisione politica direttamente ai cittadini, senza mediazioni di «esperti»; dalla necessità di introdurre tutele per il reddito dei cittadini privi di fonti di sostentamento, alla sollecitazione di attenzioni per l'ambiente e gli equilibri della sostenibilità (le cinque stelle in origine rappresentavano acqua pubblica, ambiente, mobilità sostenibile, sviluppo e connettività). Il movimento aveva iniziato a presentare liste elettorali alle amministrative, con i primi successi già nel 2011. Altra novità della campagna elettorale fu la decisione di Mario Monti di fondare un proprio nuovo partito, Scelta civica, che ottenne il consenso di alcuni esponenti cattolici, di esponenti del mondo della Confindustria, ma anche di spezzoni navigati del ceto politico come il partito di Fini Futuro e libertà e l’Udc di Casini. Le elezioni politiche italiane del 2013 hanno messo in discussione il bipolarismo, consolidatosi negli anni precedenti. Il Popolo delle Libertà, privo di Fini, si unì ancora alla Lega Nord, coinvolgendo anche i nuovi partiti di destra Fratelli d'Italia di Meloni e La Russa e La Destra di Storace, senza problemi dovuti alle politiche differenti adottate negli anni precedenti. Dall'altra parte del panorama politico, il Partito Democratico vide la vittoria di Pierluigi Bersani nelle primarie del 2009. Bersani condusse una campagna elettorale fiduciosa, ma la coalizione "Italia. Bene Comune" raccolse solo piccole sigle, ad eccezione di Sinistra Ecologia e Libertà. Ci fu anche una coalizione di sinistra più rigorosa chiamata "Rivoluzione Civile". Il risultato elettorale portò a tre blocchi di voti: la coalizione attorno al Pd (29,5%), quella di centrodestra (29,2%) e il M5s (25,5%). Il Senato rimase in una condizione di ingovernabilità, ma il Pd ottenne la comoda maggioranza alla Camera con 345 seggi. La coalizione di Monti ottenne il 10,5% dei voti, mentre Rivoluzione Civile si fermò intorno al 2%. Questo esito contraddittorio dava al Pd la responsabilità di fare la prima mossa, ma in un contesto avvelenato e durissimo. Il Pd provò ad aprire un dialogo con il M5s ma senza successo. Si avvicinava la scadenza del mandato presidenziale e Napolitano si dimise con leggero anticipo per permettere al parlamento di eleggere un nuovo presidente nella pienezza dei poteri. Il Pd, che aveva larga maggioranza nel collegio ma che aveva bisogno di qualche altro voto per arrivare al quorum, si avvitò in una spirale di contrapposizioni interne che indebolirono le due candidature avanzate, quelle di Franco Marini e Romano Prodi. Non si riuscì a maturare alcuna intesa, allora si uscì dall'impasse solo con una richiesta a Napolitano di rendersi disponibile a una rielezione a tempo. Questa vicenda portò alla formazione di un governo di larghe intese guidato da Enrico Letta, composto da membri del Pd e del Popolo della Libertà (Pdl) di centrodestra. Il governo durò meno di un anno e si concentrò sulla gestione del rigore finanziario e sull'implementazione di alcune infrastrutture e progetti culturali. Dopo il tragico naufragio di un'imbarcazione al largo di Lampedusa che causò la morte di 368 persone, il governo avviò l'operazione Mare nostrum per prestare soccorso ai migranti che cercavano di attraversare il Mediterraneo. Il numero di migranti in Italia raggiunse il picco nei successivi due anni, con molti che cercavano l'asilo politico a causa delle guerre e delle condizioni insicure nei loro paesi d'origine; per molti africani e asiatici, l’asilo politico è l’unica speranza per una vita migliore, vista la continua riduzione numerica dei flussi legali legati alla concessione di permessi di lavoro avvenuta negli ultimi 10 anni. Solo dopo il 2016, i flussi migratori in Italia si ridussero drasticamente a causa degli accordi raggiunti dal governo italiano con la Libia, e dall'Unione Europea con la Turchia, per bloccare le vie migratorie, con mezzi molto discutibili dal punto di vista umanitario. 35 Intanto, la decisione del papa Benedetto XVI (Joseph Ratzinger) di dimettersi e l'elezione del papa argentino Jorge Mario Bergoglio, con il nome di Francesco, rappresentarono uno shock per una Chiesa italiana piuttosto statica. Francesco introdusse una critica al contesto globale attraverso l'enciclica Laudato si’, ma ciò non mutò rapidamente il ruolo dei cattolici italiani, anche se rappresentò un importante segnale di cambiamento nel dibattito pubblico. Intanto, il panorama politico italiano stava cambiando continuamente: Berlusconi, dopo le sconfitte alle elezioni locali, decise di sciogliere il suo partito Pdl e di riprendere la formula di Forza Italia. La sua intenzione era quella di sganciarsi dalla maggioranza per poter criticare liberamente il governo. Inoltre, Berlusconi subì una condanna per frode fiscale nel processo Mediaset e, come da legge Severino, perse il suo seggio parlamentare, il che rafforzò il suo risentimento verso i suoi avversari politici. Nel novembre 2013, il partito di Berlusconi uscì dalla maggioranza, ma una componente centrista guidata da Angelino Alfano si staccò, fondando il Nuovo centrodestra (Ncd) che rimase nella maggioranza, salvando il governo. Poco dopo, l'evoluzione politica interna del Partito Democratico fermò il primo ministro Enrico Letta e portò alla vittoria del sindaco di Firenze Matteo Renzi alle primarie per la segreteria del partito. Renzi prometteva di svecchiare la politica italiana e di adottare un approccio liberale da "terza via", che andava oltre l'eredità socialdemocratica del Pd. Nel 2014, Matteo Renzi chiese le dimissioni del governo e ne formò uno nuovo con la medesima maggioranza per "sbloccare l'Italia". Furono avviati numerosi provvedimenti, tra cui il Jobs Act, che eliminava l'art. 18 e introduceva la flessibilità dei rapporti di lavoro. Altre riforme riguardarono la scuola, la pubblica amministrazione e la nuova tassazione locale sulla prima casa. Venne anche introdotto uno sconto fiscale generalizzato di 80 euro al mese per i contribuenti medio- bassi. Renzi avviò poi un dialogo con Berlusconi, all’opposizione del suo governo, per una riforma istituzionale concordata, il cosiddetto "patto del Nazareno" che portò alla legge elettorale Italicum: un sistema che prevedeva la formazione di coalizioni, con un secondo turno in cui l’elettorato avrebbe dovuto scegliete tra le due più votate a primo turno. La legge però venne dichiarata incostituzionale dalla Corte poiché, non ponendo limiti al consenso nel primo turno, avrebbe potuto distorcere la rappresentanza. Il dialogo sulle riforme fallì definitivamente nel 2015 quando, dopo le dimissioni di Napolitano, non si riuscì a raggiungere un accordo sul nuovo presidente. Venne eletto, dalla maggioranza, l’ex esponente del Ppi e del Pd Sergio Mattarella e Berlusconi, che intese questo evento come una provocazione, abbandonò l'intesa sulle riforme. Nel 2015, l'Expo di Milano sul tema "Nutrire il pianeta" è stata un successo che ha evidenziato la ripresa dell'industria esportatrice e del made in Italy dopo la crisi del 2007. Tuttavia, si è notato un aumento della differenziazione territoriale, con alcune aree come Milano-Bologna e Milano-Venezia che hanno consolidato l'impresa manifatturiera e altre zone con un'economia prevalentemente agricola che hanno sviluppato un turismo di qualità, come il settore enogastronomico. Al contrario, le zone di antica industrializzazione come l'asse Torino- Genova hanno perso terreno. Inoltre, la dorsale adriatica del centro Italia ha subito un declino dal decennio '80, mentre il divario medio tra il nord e il Mezzogiorno è aumentato. Spiccava la decisione di uno dei grandi attori del capitalismo italiano come la Fiat di acquisire la Chrysler e spostare la sede nei Paesi Bassi, rappresentando un successo internazionale per un'impresa italiana, ma rischiando di mettere in discussione le prospettive produttive e occupazionali degli stabilimenti italiani. Si evidenzia anche la staticità di altre componenti del capitalismo italiano, che non riescono a superare le crisi e conciliare produzione, occupazione e ambiente. Inoltre, si sottolinea la polarizzazione non solo dei territori, ma anche delle forme e categorie di imprese in Italia. Questo periodo storico è stato caratterizzato da una società italiana sempre più divisa e polarizzata, con individui dinamici e inseriti nei flussi internazionali che convivevano con un altro settore più deluso e incerto. Le diseguaglianze stavano crescendo e l'indice di Gini, che le misura, era salito. Nonostante le statistiche sulla violenza criminale e gli omicidi fossero in costante calo, restava rilevante la violenza sulle donne in ambito familiare. Inoltre, l'influenza delle agenzie sociali e degli istituti aggregativi era in declino, come l'istituto familiare che era sempre più lacerato tra forti aspettative sociali di tutela e difficoltà strutturali. In questo contesto, ci fu una certa accelerazione sui diritti individuali come il provvedimento che rendeva il divorzio più rapido e il cosiddetto “testamento biologico”, cioè la possibilità di registrare dichiarazioni anticipate sui trattamenti sanitari che si sarebbero voluti evitare in caso di perdita della capacità di comunicare. Venne anche approvato un disegno di legge sulle unioni civili, che comprendeva anche i nuclei formati da persone dello stesso sesso, regolandone diritti e doveri. Queste misure suscitano perplessità e critiche dal mondo cattolico tradizionalista, ma furono meno ostacolate dai vertici della nuova Cei. Il primo ministro Renzi decise di procedere con la riforma costituzionale, ridimensionando le prime ambiziose impostazioni dell'accordo con Berlusconi. Il testo prevedeva principalmente il ripensamento del bicameralismo e la riduzione del ruolo del Senato a organo di secondo livello non elettivo e la costruzione di un iter legislativo 36 privilegiato per le iniziative del governo, oltre ad una serie di misure minori come la riduzione del numero dei parlamentari. La riforma provocò notevoli opposizioni tra i costituzionalisti e diverse opposizioni si compattarono. Nel dicembre 2016, il voto popolare confermativo affondò la riforma (con una partecipazione del 65%, i voti contrari furono il 59,1%). Renzi si dimise di conseguenza da presidente del Consiglio, ma cercò di riconfermare la sua leadership nel Pd. L'ultimo anno della legislatura fu gestito da un governo guidato dall'ex ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Durante questo anno, il governo approvò una nuova legge elettorale che prevedeva un terzo di parlamentari eletto in collegi uninominali e due terzi con un modello proporzionale in liste bloccate. Nel 2018, con questa nuova legge elettorale, si svolsero le elezioni che videro la coalizione di centrodestra prevalere, con la Lega del nuovo segretario Matteo Salvini che diventò il partito trainante. Forza Italia e Fratelli d'Italia raggiunsero rispettivamente il 14% e il 4,3% dei voti. Il Movimento 5 Stelle, invece, raggiunse il 32% dei voti, diventando il primo partito del paese. Il centrosinistra si fermò al 22,8%, causando le dimissioni di Matteo Renzi dalla segreteria del Partito Democratico, che in seguito fondò Italia viva. In generale, non c'era una maggioranza chiara in Parlamento. Il M5s, assumendo l'iniziativa come primo partito in parlamento si acconciò ad aprire trattative con le altre forze politiche. Inizialmente, il M5s ha firmato un primo "contratto di governo" con la Lega di Salvini, in cui ciascuno portava le proprie priorità parallele. Questa intesa è stata tacciata di essere "populista" dai critici, ma l'espressione è ambigua perché si riferisce a due forme diverse di appello al popolo: il “noi” italiani, di stampo nazionalista, o il “noi” gente comune, lontana dai palazzi del potere. L'esecutivo guidato dal giurista e docente universitario Giuseppe Conte ha navigato per un anno, fino a quando Salvini ha fatto cadere il governo per lucrare elettoralmente sulle aspettative di allargare il proprio consenso. Nel 2019, nonostante gli allarmi, le elezioni europee non videro una grande crescita delle forze euroscettiche, né a livello continentale né nazionale. La crescita della Lega in Italia venne bilanciata dal M5s, che mostrò una correzione di linea e sostenne la formazione della nuova Commissione von der Leyen. Questa evoluzione portò alla formazione di una maggioranza parlamentare diversa, con l'intesa tra M5s, Pd e Leu, che confermò Conte alla presidenza del Consiglio. Tuttavia, l'impatto della crisi pandemica del 2020, con le sue morti e il rallentamento economico che ha causato, cambiò le cose. In Europa e in Italia, la posizione sulla austerità si indebolì e il governo italiano apparentemente si rafforzò, ma alla fine del 2020, la prospettiva di dover gestire nuovi flussi di aiuti europei portò alla crisi della maggioranza e alla nomina, da parte di Mattarella, di un governo di larghe intese guidato da Mario Draghi. Il compito del nuovo governo sarebbe stato quello di affrontare la fase decisiva della pandemia e prepararsi alla gestione del Piano di ricostruzione e resilienza, collegato ai nuovi fondi europei messi a disposizione dalla Commissione per i paesi più colpiti socialmente ed economicamente. Si delineava in questo modo l'ipotesi di un cambiamento del ruolo dell'Europa rispetto alla stagione dell'austerità, in linea con un rilancio economico ecologicamente e socialmente sostenibile. Questo nuovo orizzonte in movimento rappresenta un nuovo punto di riferimento per il dibattito interno italiano. 37
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