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Storia Greca, dall'origine delle civiltà greche ad Alessandro Magno, Sintesi del corso di Storia Antica

Questo documento è un riassunto e un mix dei testi "Manuale di Storia Greca" e "Mirabilia". I temi trattati sono: L'origine delle civiltà greche (micenei e minoici); Atene e Sparta; la Guerra del Peloponneso; Guerre Persiane; La Macedonia e Alessandro Magno (fino alla nascita dei regni ellenistici).

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Storia Greca, dall'origine delle civiltà greche ad Alessandro Magno e più Sintesi del corso in PDF di Storia Antica solo su Docsity! MANUALE DI STORIA GRECA, CINZIA BEARZOT I. LA FORMAZIONE DELLA CIVILTÀ GRECA Durante il Paleolitico (40.000 a.C.) tracce di occupazione umana di riscontrano in Grecia, a partire dalle zone Settentrionali, e gli abitanti sono cacciatori e raccoglitori e conducono vita seminomade. Con il VII millennio inizia il processo di sedentarizzazione e si formano comunità stabili, riunite in villaggi, la cui popolazione è dedita all’agricoltura, compare la ceramica e gli strumenti sono in pietra levigata. La transizione dal Neolitico all’Età del Bronzo (II metà del IV millennio), corrisponde a un notevole ampliamento dei circuiti di scambio, verso l’Egeo orientale e l’Europa centrale. Nel corso di questa età si assiste a un’ulteriore crescita delle relazioni e degli scambi e un ruolo importante nella loro promozione spetta alla diffusione della metallurgia. Verso il 2000 a.C. l’equilibrio caratteristico del Bronzo antico si rompe, dando luogo a profondi cambiamenti; l’Egeo si scinde in due aree: - Creta e le Cicladi caratterizzate dall’espansione delle città, adozione del sistema palaziale e dal mantenimento di un intenso livello di scambi; - Peloponneso e Grecia centrale e settentrionale si registra una significativa regressione culturale. LA CIVILTÀ MINOICA: prende il nome dal mitico re cnosso Minosse, ricordato da Tucidide come il più antico possessore di una flotta e dominatore del mare in area egea. L’sola di Creta svolge per tutta la prima metà del II un ruolo di primo piano. I periodo dei Palazzi (2000-1700): edificati in forme relativamente semplici a Festo e Cnosso; II periodo dei Palazzi (1700-1450): apogeo della civiltà minoica  durante questa fase, i palazzi già esistenti, dopo una grave distruzione dovuta a cause naturali o conseguenze di lotte interne, vengono ricostruiti in forme più complesse, e tale fase è caratterizzata dall’egemonia di Cnosso, che impone sull’isola una significativa unità culturale. Il sistema palaziale, già presente nel Vicino Oriente, è un sistema di organizzazione politico-sociale fortemente centralizzato, basato sul palazzo e sulle sue diverse funzioni: sede del potere politico, funzioni economiche, religiosi e culturali. L’adozione del sistema palaziale a Creta è stata collegata a un’evoluzione interna legata a fattori diversi, come l’introduzione delle colture della cosiddetta “triade mediterranea”, che avrebbe creato la necessità di organizzare la produzione, la raccolta delle eccedenze e la loro ridistribuzione, e lo sviluppo di un artigianato altamente specializzato. Dal punto di vista architettonico, il palazzo ha una struttura complessa, che è alla base della tradizione cretese sul Labirinto: intorno a un grande cortile centrale si raggruppano stanze di servizio, di abitazione e di ricevimento, sale di culto e “teatri”, magazzini, uffici, laboratori; un ampio cortile lastricato introduce alla facciata monumentale, collocata sul lato occidentale, e molti ambienti presentano una ricca decorazione ad affreschi policromi; inoltre, la mancanza di fortificazioni sembra indicare una certa sicurezza rispetto alle aggressioni esterne. -Scrittura: sistema autonomo di geroglifici, poi la cosiddetta “Lineare A”, presente non solo a Creta, ma anche nelle Cicladi e Samotracia. Si tratta in entrambi i casi di scritture sillabiche, che esprimono una lingua non greca che non è stata ancora tradotta. Nel 1450 fa la sua comparsa la “Lineare B”, elaborata dagli abitanti della Grecia continentale e la cui presenza a Creta è ritenuta testimonianza della conquista dell’isola da parte dei Micenei intorno alla metà del XV secolo. -Religione: teocrazia guidata dal re-sacerdote – diversi oggetti hanno una specifica destinazione culturale e tra essi la labrys, l’ascia bipenne destinata al sacrificio. La religione sembra avere una forte impronta naturalistica; le figurine interpretabili come divinità sono femminili e rappresentano una “Signora” affiancata da animali. -Produzione artistica: ceramiche dello “stile di Kamares” decorata con motivi naturalistici. In Grecia il passaggio dal Bronzo antico al Bronzo medio, intorno al 200, reca tracce di profondi sconvolgimenti: molti villaggi sono distrutti, mentre altri vengono abbandonati. Questi cambiamenti sono stati attribuiti all’arrivo di popolazioni parlanti lingue indoeuropee; tuttavia, rivolgimenti interni ed evoluzione locale possono spiegare altrettanto bene alcuni cambiamenti, tanto più che è difficile collegare elementi della cultura materiale con un preciso gruppo linguistico ed etnico. I significati mutamenti, dunque, vengono collegati soprattutto a processi evolutivi di lunga durata piuttosto che a un’invasione violenta e massiccia. Anche la Grecia del Bronzo Medio non sembra regredire a forme di completo isolamento: sono attestate relazioni con Creta, con l’Anatolia e addirittura con alcune aree dell’Europa continentale e queste relazioni non furono prive di influenza sulle trasformazioni che, nella seconda metà del XVIII secolo, si verificarono in Gracia portando alla nascita della civiltà micenea. LA CIVILTÀ MICENEA: A partire dalla prima metà del XVII secolo, Micene assume un’eccezionale importanza, come risulta dai ricchi corredi delle tombe cosiddette “a pozzo”, proprie di un’élite aristocratica di guerrieri che sembra volersi distinguere dal resto della popolazione, cui sono riservate tombe più povere. Particolarmente importanti sono, a Micene, le tombe a pozzo dei cosiddetti circoli A e B: il primo comprendente sei grandi tombe databili tra il 1570 e 1500 (maschera di Agamennone); il secondo, invece, comprende 24 tombe a fossa (1650-1550). I ritrovamenti sono di varia provenienza: materie preziose come oro, argento, elettro, ambra vengono importate dall’Egitto, dall’Asia minore, Inghilterra sud-occidentale; l’influenza cretese risulta preponderante nei manufatti di oreficeria. L’eccezionale importanza dei reperti di Micene giustifica l’uso del nome di “micenea”. L’improvvisa ascesa dei primi Micenei, con la loro grande ricchezza, si colloca in un periodo che corrisponde alla seconda fase palaziale cretese. Per spiegare le origini di tale ascesa sono state formulate diverse ipotesi: - le ricche sepolture del Circolo A di Micene sarebbero l’esito di incursioni a Creta, da dove sarebbero stati portati materie prime e artigiani, oppure dalla massiccia invasione di genti indoeuropee; - sviluppo interno, come nel resto della civiltà minoica; - eventuali rapporti esterni potrebbero essere legati al ruolo di intermediazione della Grecia continentale tra il commercio marittimo gestito dai palazzi cretesi e il commercio terrestre verso l’Europa continentale. Si è discusso se si trattasse di comunità a conduzione monarchica oppure oligarchica, come sembra far pensare l’alto numero di tombe monumentali. Il ritrovamento di sigilli suggerisce, anche in assenza di tavolette, lo sviluppo di procedure amministrative di tipo palaziale. In questo periodo, l’influenza minoica appare notevole soprattutto in ambito religioso, tanto che, prima della decifrazione della Lineare B, si tendeva a parlare di una religione minoica-micenea. In realtà, molte divinità del futuro Olimpo greco sono già note presso i Micenei, e fra esse un ruolo particolare hanno le divinità femminili e Posidone. Nel corso del XV secolo inizia l’espansione micenea dell’Egeo. A Rodi e a Creta l’arrivo dei Micenei è testimoniato dall’archivio di tavolette scritte in Lineare B di Cnosso e dalla ricostruzione del palazzetto di Haghia Triada secondo modelli continentali. In Occidente, ceramica micenea è stata ritrovata nel Basso Tirreno e nel Mar Ionio, dove probabilmente i Micenei cercano risorse metallifere. Con la conquista di Creta (1380), i Micenei subentrano nella gestione delle rotte commerciali del Mediterraneo orientale, ed è questo il momento della massima espansione della ceramica micenea in Oriente, che prelude alla sua diffusione anche nel Mediterraneo occidentale. I palazzi micenei, come quelli minoici, costituiscono il centro del potere della vita religiosa, dell’amministrazione, dell’economia e delle forze militari. Le tavolette di Pilo e di Cnosso, offrono una documentazione limitata, perché sono state conservate solo una piccola parte degli archivi e riguardano una documentazione mensile o al massimo annuale. Si tratta di registrazioni amministrative, relative a persone legate al palazzo, a razione di grano o di olio, ad affitti di terre, tributi, ecc. La scrittura proviene da Creta. Rispetto ai modelli minoici, si nota la tendenza a collocare gli insediamenti in luoghi ben difendibili e fortificarli. comunità, un modo per definire la propria area spaziale e affermare la proprietà ancestrale della terra. L’individuazione dello “spazio sacro” rappresenta così uno dei fenomeni più rilevanti del passaggio dall’età oscura all’arcaismo. La più antica testimonianza relativa a un tempio vero e proprio, nella sua forma monumentale, è costituita da un modellino di terracotta dell’inizio dell’VIII secolo, trovato nel tempio di Era a Peracora in Laconia; le divinità più coinvolte nello sviluppo dell’architettura santuariale sono Atena, Era, Apollo e Artemide. Alla localizzazione dei santuari corrispondono diverse tappe dello sviluppo della città: - nella città arcaica, la posizione centrale del santuario poliade è rara, i santuari principali hanno spesso una collocazione suburbana o addirittura extraurbana; - i templi posti all’estremità della pianura, sul confine tra zona agricola e eschatià, costituiscono un’indicazione simbolica di frontiera tra zona qualificata dall’insediamento e dalle attività umane e zona indeterminata; - alcuni santuari si trovano in piena eschatià, lo spazio che segna il passaggio al mondo esterno, e manifestano l’integrazione di quelle divinità che presiedono ai riti di passaggio di ragazzi e fanciulle all’età adulta; - la posizione del santuario a notevole distanza dal centro della città, in zone rurali, è anche funzionale alla delimitazione dei confini o alla segnalazione simbolica del controllo del territorio. Ai diversi fattori evolutivi che caratterizzano l’uscita della Grecia dall’età oscura va accostata l’acquisizione della scrittura alfabetica, la quale nasce dall’adattamento al greco dell’alfabeto fenicio. La conoscenza della scrittura era andata perduta nell’età oscura, che non aveva bisogno, in un contesto di generale regressione, di far ricorso a quei procedimenti di notazione che erano stati così importanti per la vita dei palazzi. La scrittura alfabetica, molto raffinata, non fu usata solo per scopi commerciali, ma trovò applicazione anche nell’uso privato, nella redazione scritta di testi poetici e in ambito pubblico e culturale. Nel corso dell’VIII secolo il mondo greco è interessato dai processi di trasformazione caratteristici della fase di transizione e di assestamento che coincide con la nascita della POLIS: un fenomeno che dà alla Grecia classica il suo assetto caratteristico (spiccata unità culturale e forte funzionamento politico, determinato dalla presenza di più di mille stati indipendenti diversi tra loro). Il processo di formazione della Polis si estende per un lungo arco cronologico (seconda metà del VII secolo) che risale a un’scrizione cretese proveniente da Drero e che ci offre la prima attestazione sicura della città intesa come comunità politica. Tale processo presuppone fattori che segnalano il superamento delle condizioni caratteristiche dell’età oscura: stabilità delle comunità sul territorio, sviluppo dell’economia agricola, crescita demografica, miglioramento del livello di vita; il fenomeno interessa l’intera Grecia e ha un carattere non soltanto urbanistico, ma anche e soprattutto sociale. La natura complessa della polis emerge già dalle diverse valenze semantiche del termine “cittadella fortificata”, “acropoli”, “centro urbano”, “entità statale”, dotata di un centro politico, e soprattutto “comunità civica”. La polis è una società politica strutturata intorno alla nozione di cittadinanza, nella cui formazione, più dell’assetto topografico e delle strutture urbanistiche, svolgono un ruolo primario elementi ideali come il culto poliade e l’ideologia comunitaria. L’ideologia della polis comporta che territorio e popolazione: - siano sentiti come una cosa comune; - che la popolazione debba partecipare alla sua gestione, come in una “società per azioni”; - che il potere debba essere esercitato per periodi definiti e a rotazione; - che il suo esercizio debba essere conforme alle regole fissate dalla legge. Il fenomeno della formazione della polis non può prescindere dallo sviluppo di strutture che richiedono un’adeguata organizzazione dello spazio. Sinecismo: la realtà cittadina si organizza intorno a un centro, attraverso l’aggregazione di diverse unità minori, i villaggi. Tale aggregazione può avere carattere fisico o puramente istituzionale e lasciare sostanzialmente invariate le più antiche strutture di insediamento, come accadde nel caso di Atene. Nel centro urbano hanno sede le principali strutture funzionali e culturali; significativamente, è lo spazio religioso a dotarsi per primo di strutture architettoniche (esperienza religiosa come fattore unificante della comunità). Il centro urbano mantiene un rapporto di stretta dipendenza con la sua chora (zona fuori dalle mura cittadine), metà popolazione, infatti, risiedeva nelle campagne. Sul piano economico, la città greca non prescinde mai dall’attività agricola, anche in presenza di vasti interessi commerciali; la proprietà della terra è ima delle modalità della partecipazione del cittadino alla comunità, e la piccola proprietà è in genere ampiamente diffusa. La terra costituisce un’adeguata fonte di sussistenza per il cittadino proprietario. Allo stesso modo, la polis può trarre rendite dalla terra mediante l’affitto delle terre demaniali, assicurando alla città un introito in denaro e in natura. Per la maggior parte delle città greche la chora provvede ad assicurare il sostentamento dei cittadini e le risorse per far fronte alle esigenze della comunità. La presenza di un adeguato sviluppo urbanistico e architettonica sembra non aver mai avuto un ruolo significativo né nella definizione della polis in quanto tale, né nella distinzione fra poleis “grandi” e “piccole”. Tale indifferenza per l’aspetto urbanistico e monumentale si comprende bene se si riflette sul valore sociale del concetto di polis: “sono gli uomini a fare la polis, non mura o navi vuote di uomini”. La stessa varietà che si riscontro nell’assetto esteriore delle poleis si ha anche nella definizione della costituzione (politeia), basata sulla nozione di appartenenza/condivisione (essere cittadini = partecipare alla politeia). La composizione del corpo cittadino può essere definita sulla base di diversi criteri, come nascita, proprietà terriera, contributo militare, professione, svolgimento di un adeguato percorso formativo. La polis è un modello tendenzialmente inclusivo, che tende al progressivo inserimento degli uomini liberi nell’ambito di un contesto politico paritario. Isonomia dovuta soprattutto alla riforma oplitica (difficile da collocare cronologicamente, quindi si presume sia un processo di lunga durata): riforma militare per cui il nucleo dell’esercito venne a essere costituito non più dalla cavalleria, ma dai fanti armati pesantemente. Il servizio nella falange oplitica era fornito dai membri della classe media, costituita da contadini liberi: combattendo insieme per la difesa della patria essi rafforzarono i loro reciproci vincoli di solidarietà e l’integrazione nella comunità e richiesero, di conseguenza, un trattamento paritario e una maggiore partecipazione politica. Anche l’evoluzione del modo di combattere contribuì a far emergere nella polis una tendenza isonomica, tanto che “uguaglianza” diventerà una parola d’ordine sia per i cittadini della democratica Atene che per quelli dell’oligarchica Sparta. Il pensiero politico greco classifica le costituzioni sulla base di una tripartizione in monarchia, oligarchia e democrazia, la cui prima attestazione articolata si trova nel cosiddetto “Discorso Tripolitico” di Erodoto. Il criterio utilizzato è quello dell’estensione della sovranità; nel dibattito che si immagina tenuto in Persia tra Otane, Megabizo e Dario, Otane difensore della democrazia, caratterizza il regime monarchico con i tratti tipici della tirannide, mentre “il governo del popolo porta il nome della parità dei diritti”. Megabizo critica la democrazia, accusando il popolo di essere una “massa inutile” e di essere prepotente come un tiranno, ma senza averne l’intelligenza politica per governare (pro oligarchia). Dario, infine, dopo aver criticato l’oligarchia in quanto caratterizzata dallo sviluppo di gravi rivalità personali legate alla sete di potere e la democrazia per la malvagità innata del popolo e l’emergere delle ispirazioni dei singoli capi, sostiene la monarchia in quanto un solo uomo eccellente può governare nel modo migliore e garantire al sistema la massima efficienza. Otane: dalla sovranità del popolo si esprime nella partecipazione  la democrazia appare come la migliore realizzazione delle tendenze isonomiche insite nel concetto di polis. La Grecia, però, non era fatta solo di poleis: fin dall’arcaismo è presente lo STATO FEDERALE. Questo tipo di stato era denominato ricorrendo a termini generici di tribù o comunità, dalle associazioni religiose a quelle professionali. Lo stato federale era caratterizzato dalla coesistenza di una cittadinanza federale con una cittadinanza locale. Nella formazione di questi stati, così come delle poleis, appare fondamentale il ruolo del culto comune in cui i vari gruppi locali si riconoscono. Lo stato federale fu, fin dall’età arcaica, l’organizzazione politica caratteristica di quella Grecia “periferica”, di area prevalentemente centro-settentrionale. Queste zone erano caratterizzate da territori montuosi e isolati, dalla difficoltà delle comunicazioni e degli scambi, da un’economia di carattere prevalentemente pastorale, dall’assenza di un adeguato sviluppo cittadino; la popolazione viveva dispera in villaggi, a loro volta riuniti in distretti. In un certo senso, laddove sembrano conservarsi alcune delle condizioni dell’età oscura la formazione dello stato federale appare un esito più frequente rispetto alla formazione della polis. Nel corso del IV secolo, a fronte dell’indebolimento delle poleis, gli stati federali acquisteranno un ruolo progressivamente maggiore, dovuto a una maggiore apertura rispetto al mondo cittadino: l’abitudine allo scambio di diritti fra le realtà locali, la disponibilità a rinunciare parzialmente all’autonomia delle singole comunità in cambio di vantaggi comuni, il minor grado di parecipazione diretta del cittadino al governo in favore del principio di rappresentanza rendono gli stati federali più capaci di integrazione e assimilazione rispetto alle poleis. I valori principali della Grecia della poleis sono stati identificati nei concetti di autonomia e libertà, che esprimono la possibilità di governarsi con proprie leggi liberamente accettate, senza farsi condizionare da poteri più forti, e di svolgere una politica estera indipendente. Questi valori si affermano soprattutto con le guerre persiane, poiché esse contribuiscono alla presa di coscienza, da parte greca, della propria diversità rispetto ai barbari e a tutti gli altri uomini (tendenza progressiva alla chiusura delle comunità cittadine verso l’esterno e verso lo straniero). Solo il tramonto della polis riproporrà le condizioni di una maggiore disponibilità all’apertura e all’incontro con realtà eterogenee. Nel corso dell’VIII secolo vanno scomparendo le tracce delle antiche monarchie di basileis, di ambito dorico e ionico, e si conservano, invece, le monarchie nazionali dell’Epiro e della Macedonia, dalla forte caratterizzazione omerica, in cui il re è un capo capace di condizionare capi minori. I privilegi dell’aristocrazia si basano prima di tutto sulla nascita (genealogie risalenti all’età degli eroi), dei quali gli aristocratici si sentivano gli eredi. Da questa discendenza l’aristocratico traeva quella virtù negata agli uomini di origine più umile ed espressa anche nella bellezza e nella ricchezza, che era basata prevalentemente sul possesso di terre, lavorate da personale dipendente, libero o schiavo, sul possesso di beni come case, bestiame, servi, e su clientele costituite da parenti e da compagni. Oltre che alla terra, gli aristocratici traevano la loro ricchezza anche dalla guerra e dalla pirateria; era praticato anche lo scambio, gestito dagli aristocratici direttamente, su nave propria o attraverso la mediazione di mercanti di professione. La vita degli aristocratici è legata all’oikos (casa, che comprende anche la famiglia e la proprietà), che è un insieme di persone e di beni, che include, oltre al capofamiglia, la moglie, i figli legittimi e illegittimi, i servi, l’abitazione, il tesoro familiare, le terre e il bestiame. Garantire la sopravvivenza alla casata e delle sostanze richiede una gestione complessa, la cosiddetta oikonomia: un’economia di carattere domestico, incentrata sull’agricoltura e disinteressata alla produzione e allo scambio, e che solo in seguito acquista anche il significato di finanza, con riferimento alla sfera statale. L’oikos è poi anche una comunità con valore giuridico e religioso. Talora contrastanti in origine, diritto dell’oikos e diritto della polis finiscono per convivere e integrarsi, in ambito civile e religioso, sulla base del principio della pluralità di ordinamenti. Lo stile di vita aristocratico Le attività principali sono: - la guerra e la politica (ha tempo per occuparsene perché non lavora); - la caccia; - il simposio (uomini che si riuniscono per bere insieme secondo una serie di regole di comportamento, ma nel corso di esso si svolgono attività di carattere culturale, come musica, canto, recitazione, elogi degli uomini valorosi e critica ai tiranni). Esso appare come il luogo della discussione fra pari, in cui si creano legami di reciproca fiducia  eterie: società segrete che si impegnano a sostenere i propri membri in ambito politico e giudiziario e vengono talora a costruire una realtà istituzionale parallela). Le relazioni tra le casate aristocratiche vanno al di là della comunità di origine e, attraverso i rapporti di ospitalità (xenia), assumono carattere internazionalità. Xenia: rapporto di ospitalità fondata sulla reciprocità, che prevedeva la mutua assistenza e veniva sancita con lo scambio di piccoli oggetti spesso spezzati in due parti, che servivano come strumento di riconoscimento e come prova dei legami, i presupposti di queste relazioni vanno cercati nella necessità di evitare lo straniero. La xenia costituì uno degli strumenti fondamentali mediante il quale le grandi famiglie aristocratiche giunsero a intessere una fitta rete di rapporti al di fuori della comunità di appartenenza, e fu la base per lo sviluppo di successive e più complesse forme di tutela giuridica dello straniero. Un ulteriore strumento delle relazioni internazionali fra aristocratici furono i legami matrimoniali, che unirono casate appartenenti a città e popoli diversi. Gli aristocratici, per dare prova della propria areté, si confrontavano con i propri pari negli agoni atletici previsti nei Giochi Olimpi. La vittoria era fonte di grande prestigio per il singolo individuo e per la sua In genere i tiranni agirano sulla situazione politica e sociale operando nel senso di un’integrazione degli esclusi attraverso la ridistribuzione della ricchezza, ottenuta attraverso una politica di opere pubbliche, di incentivazione dei traffici e di promozione della potenza politica e militare della città. Policrate di Samo (538-522): rampollo di un’aristocrazia di proprietari terrieri che praticava il commercio e la pirateria, egli, nell’intento di promuovere gli interessi del popolo contro gli aristocratici, fece di Samo una grande potenza marittima, stabilendo relazioni con l’Egitto e la Persia. Politica religiosa dei tiranni: incline alla valorizzazione di culti panellenici e rurali. Anche se non furono veri e propri riformatori sociali, i tiranni contribuirono all’evoluzione della società verso forme più egalitarie, accelerando la crisi dei regimi aristocratici. Per questo motivo la tradizione aristocratica li ricorda negativamente, oscurando gli aspetti positivi del fenomeno. La tirannide assunse caratteristiche diverse nelle varie zone della Grecia. Nella madrepatria greca, le tirannidi più importanti sorsero nelle città dell’Istmo di Corinto, caratterizzate da maggiore ricchezza e dinamicità. - Corinto: tirannide dei Cipselidi che sottrassero il potere all’aristocrazia dei Bacchiadi, una famiglia di circa 200 membri che conservava il potere attraverso l’endogamia. Cipselo procedette a confische di terre nelle zone coloniali, senza mai ridistribuirle. Ad egli succedette il figlio Periandro, il cui governo ebbe una forte impronta antiaristocratica, con leggi mirate a reprimere il lusso e una politica di opere pubbliche; - Sicione: dinastia degli Ortagoridi. Clistene fu autore di una riforma delle tribù consistente nel ribattezzare le tre tribù doriche tradizionali con nomi di animali e nel crearne una quarta, in cui furono inseriti gli Ortagoridi stessi. Attività politica estera inserendosi, con la prima guerra sacra, nella grande politica internazionale, a difesa delle rotte del golfo di Corinto. - Teagene di Megara: un aristocratico divenuto capo del popolo e poi tiranno, che appoggiò il genero Cilone che tentava di farsi tiranno di Atene (fallì e si venne a creare un’oligarchia). L’estrema frammentazione del mondo politico greco rese fin dall’inizio necessarie FORME DI COLLABORAZIONE TRA I DIVERSI STATI. - Leghe sacre di popoli vicini: si riconoscevano nel culto comune. All’origine di queste esperienze vi fu il fatto che popoli e città vicini, bisognosi del reciproco aiuto, presero a celebrare insieme feste e incontri, dai quali si sviluppò un legame di amicizia.  Alleanza Delfico-pilaica: lega sacra di 12 popoli che costituì l’unico organismo pellenico capace di operare stabilmente e di fornire strumenti per un’azione comune: primo fra tutti la guerra sacra, che poteva essere dichiarata dalle leghe contro i violatori delle loro norme. Le leghe furono soventi dilaniate dal tentativo di singole forze greche di egemonizzare la lega sacra e di mantenere sotto il proprio diretto controllo il santuario delfico, sia per le ricchezze che vi erano depositate, sia per la possibilità di utilizzare propagandisticamente l’oracolo (Atene, Sparta o Tebe). - Leghe militari, di natura originariamente difensiva , nelle quali un gruppo di poleis riconosceva la guida (egemonia) di un’altra polis o un singolo individuo: a essa venivano delegati il comando in guerra e la responsabilità di organizzare l’attività militare comune, in caso di attacco a uno degli stati membri.  Lega di Corinto & Lega del Peloponneso. In sé il concetto di egemonia, che originariamente implica solo il comando in guerra, ha carattere strettamente tecnico ed è perfettamente compatibile con il principio dell’autonomia delle poleis: il fatto di detenere l’egemonia, infatti, non implica una condizione di superiorità. Il rapporto tra egemone e alleati era impostato su un’attenta mediazione tra interesse del singolo stato e interesse della lega. Tuttavia, il ruolo dell’egemone nell’ambito delle leghe può cambiare, mutando la sostanza della relazione egemone-alleati e, con essa, anche la natura dell’alleanza: da alleanza di tipo difensivo essa può mutarsi in alleanza offensiva e difensiva, sbilanciata in favore dell’egemone in cui gli stati membri sono costretti a condividere integralmente la politica estera dell’egemone, rinunciando ad averne una propria. La tendenza delle poleis egemoni a utilizzare a proprio vantaggio le leghe militari si fece sentire costantemente, riducendo il valore di queste strutture per la realizzazione di un efficace coordinamento dei Greci fra loro. Spesso le leghe militari, pur nate su un piano paritario, degenerarono in strutture egemoniche di carattere tirannico, in cui all’originaria impostazione difensiva si sostituì la costrizione a seguire l’egemone in guerra in ogni caso. Per entrambi i tipi di lega, il tentativo di superare la frammentazione politica del mondo greco continuò a scontrarsi con la volontà delle singole poleis di affermare se stesse e le proprie autonomia a detrimento delle altre, nonostante l’evidente danno che ne derivava per la stabilità pellenica. Il sentimento di unità fu percepito a livello di lingua, cultura, religione e stile di vita fin dal V secolo, tuttavia, tale sentimento non seppe mai declinarsi efficacemente a livello politico, neppure quando, con la fine del V secolo, si sviluppò un’acuta sensibilità al problema del panellenismo e alle forme della sua possibile realizzazione storica. II. LA GRECIA TARDO-ARCAICA Sulle coste e sulle isole dell’Asia Minore fiorivano nel VI secolo numerose e prospere città, che avevano avuto un ruolo di grande rilievo nella colonizzazione e avevano visto lo sviluppo della poesia epica e lirica e, a Mileto in particolare, di saperi nuovi come la filosofia. L’area geografica era divisa, su base prevalentemente linguistica, in tre zone, a partire da nord: 1. L’Eolide 2. La Ionia 3. La Doride Cadute le antiche monarchie, in molte città greche d’Asia Minore si affermarono, in seguito a gravi lotte civili, governi tirannici. Dopo la conquista della Lidia da parte del re persiano Ciro il Grande, della dinastia degli Achemenidi, che occupò Sardi nel 546, le città greche dell’Asia Minore passarono sotto il controllo dei Persiani. I legami esistenti tra alcune città non bastarono a contrastare efficacemente la potenza persiana, anche perché autorevoli centri di culto apollineo si schierarono a favore dei Persiani. Le città microasiatiche svolgevano un importante ruolo di mediazione commerciale tra madrepatria e le colonie e la conquista persiana, sottoponendo a controllo politico e militare queste zone, le privò delle loro fonti di ricchezza = scontento che sfociò, nel 499, nella rivolta ionica. Analoga sorte subirono, in tempi diversi, le isole più vicine alla costa asiatica. Alcuni Greci dell’Asia Minore, di fronte all’occupazione persiana, cercarono condizioni di vita migliore altrove. LA GRECIA CENTRO-SETTENTRIONALE La Tessaglia era una grande pianura formata dal fiume Peneo e dai suoi affluenti, circondata da montagne; adatta alla coltivazione dei cereali e all’allevamento, era una delle zone della Grecia più ricche di risorse. Nel VI secolo essa costituiva uno stato federale, nel cui territorio si trovavano diverse città e le rivalità tra le dinastie al potere nelle varie città costituiva un fattore di debolezza della federazione. Una parte della tradizione attribuisce ai Tessali un ruolo preponderante nella cosiddetta “prima guerra sacra”, che fu il primo atto storico dell’Anfizionia, che durò, secondo la tradizione, dieci anni. A nord della Tessaglia, la Macedonia costituiva uno stato federale poco coeso, articolati in diversi cantoni, guidati da re guerrieri col loro seguito di eteri (compagni). Tra le diverse tribù che abitavano queste zone, a partire dalla metà del VII secolo si affermò, unificando il paese, quella dei Macedoni, che aveva una monarchia di tipo arcaico. L’Acarnania aveva un territorio complesso e frazionato, comprendente la fascia costiera, una catena di montagne e una zona pianeggiante, tuttavia, per l’influenza delle colonie corinzie, ebbe un discreto sviluppo cittadino. L’Etolia aveva una federazione organizzata in tre tribù, riunite intorno al santuario di Apollo a Termo; la scarsa urbanizzazione e lo stesso isolamento territoriale consentirono loro di mantenere la solidità del koinon e di difende la propria indipendenza. Queste zone, abitate da genti di lingua greca, erano tuttavia culturalmente arretrate. Nella Grecia centrale, scarsa importanza avevano la Doride storica e le due Locridi. La Focide, in cui si trovava Delfi, era una federazione di genti doriche, caratterizzata da un discreto sviluppo urbanistico. La Beozia era una ricca regione agricola, caratterizzata, sul piano istituzionale, da antiche e solide tradizioni federali. Sulla costa settentrionale dell’Egeo, si unirono nel V secolo in uno stato federale, la Lega calcidica, guidata dalla città di Olinto. La zona degli Stretti e del mar Nero, area di produzione granaria, era di vitale importanza per i Greci, come mostra l’intensa attività coloniale svoltavi da diverse città. ATENE, popolata da stirpi di etnia ionica, sorge nella regione peninsulare dell’Attica, in una zona prevalentemente montuosa che si affaccia su una fertile pianura costiera bagnata dai fiumi Cefiso e Ilisso, in prossimità del mar Egeo. La particolare posizione geografica consentì la coltivazione di prodotti pregiati, tra cui la vite e soprattutto l’ulivo che, secondo il mito, era stato donato alla città dalla dea Atene, sua protettrice. Il territorio circostante era ricco di marmo che fu impiegato nella costruzione di monumenti, e di argilla che permise la fabbricazione dei rinomati vasi che Atene, grazie alla sua vicinanza col mare, esportò in tutto il Mediterraneo, e che dunque contribuirono notevolmente alla ricchezza di parte della sua popolazione. I primi insediamenti nel territorio di Atene risalgono all’età micenea: al tempo essa era un piccolo centro, che constava soltanto dell’acropoli. Progressivamente la città assunse proporzioni decisamente più ampie grazie al sinecismo (aggregazione di più villaggi) che la tradizione attribuisce al mitico re Teseo. Come molte altre poleis, inizialmente anche Atene fu governata da re relegati in un passato leggendario, ma conclusasi l’epoca dei re, la monarchia sarebbe stata sostituita prima da “arconti” vitalizi, poi da arconti decennali; infine, con il 682, iniziava la lista degli arconti annuali, scelti in base a criteri della nascita e della ricchezza. Essi erano nove: l’eponimo (dava il nome all’anno); il re (conservava le competenze religiose del sovrano); polemarco (guida dell’esercito); 6 tesmoteti (custodi delle leggi divine). Il collegio arcontale entrava in carica il primo giorno del mese di luglio-agosto, che corrispondeva all’inizio dell’anno ufficiale. A un certo punto della storia di Atene a eleggere gli arconti erano tutti i cittadini riuniti in una particolare assemblea chiamata Ecclesia. Una volta usciti di carica, gli arconti entravano di diritto a far parte dell’Areopago, il consiglio più antico e sacro di Atene, che aveva il compito di vigilare sulle leggi e l’operato dei magistrati; col tempo esso divenne anche un importante tribunale, competente in materia di crimini gravi, primo tra tutti l’omicidio. Anche ad Atene, come nelle altre città greche, il potere dell’aristocrazia finì per vacillare. Da un lato, il popolo iniziò a manifestare insofferenza nei confronti dei nobili; esisteva, inoltre, un grande antagonismo tra le famiglie della stessa nobiltà, che lottavano tra loro per ottenere la supremazia: l’episodio più significativo di tale lotta si lega a un esponente di una delle famiglie più in vista, Cilone, che cercò di instaurare una tirannide, fallendo. Fu così che Atene decise di darsi delle leggi scritte e il compito di redigerle fu affidato a Draconte nel 621. Si raccontava che le sue leggi fossero scritte non con l’inchiostro, ma con il sangue, dal momento che erano particolarmente dure, ma le uniche norme draconiane di cui abbiamo notizia sono quelle relative all’omicidio: con esse il legislatore stabilì che l’omicida, in precedenza esposto alla vendetta dei parenti della vittima, fosse sottoposto a processo e giudicato da appositi giudici, ai quali spettava il compito di stabilire se egli avesse agito volontariamente o no. Nel primo caso, l’assassino sarebbe stato a sua volta ucciso, altrimenti punito con l’esilio. Le leggi di Draconte, però, non bastarono a quietare le tensioni interne: molti contadini erano stati costretti a soccombere al potere sempre maggiore delle famiglie nobili e a vendere le proprie terre; molti altri avevano contratto debiti e, non avendo alcun bene da fornire come garanzia, avevano garantito con il loro corpo, diventando così schiavi per debiti. Nel 594/3, a porre rimedio a questa situazione, fu Solone che, ergendosi a mediatore tra nobiltà e popolo, cancellò i debiti e la schiavitù legata a essi. Riformò la società stabilendo che ciascun cittadino partecipasse alla politica in proporzione al proprio censo: i privilegi nobiliari vennero aboliti, dunque, a vantaggio di un regime timocratico. Per fare questo, Solone suddivise la cittadinanza in quattro classi, sulla base della rendita della terra posseduta: - Pentacosiomedimni (coloro che raccoglievano circa 250 ettolitri di cereali o prodotti agricoli equivalenti); - Cavalieri; - Zeugiti (potevano coltivare le terre con dei buoi aggiogati); - Teti (poco più che proletari). Soltanto i primi due potevano essere eletti all’arcontato e a votarli erano tutti i cittadini riuniti nell’Ecclesia. Per potenziare la partecipazione del popolo alla vita pubblica, Solone istituì anche un tribunale popolare, l’Eliea, a cui accedevano, per sorteggio, gli appartenenti maschi di tutte le classi che avessero compiuto i 30 anni. Terminato il suo lavoro, Solone abbandonò Atene, ma la sua riforma costituzionale aveva lasciato insoddisfatti tutte le parti sociali: i nobili perché ritenevano che egli avesse concesso troppo al popolo, mentre il popolo la giudicava inadeguata perché, nel ripartire i cittadini nelle diverse classi, aveva preso in considerazione sono le ricchezze prodotte dalla terra, non quelle derivanti dal commercio o dall’artigianato, Un ulteriore tratto distintivo della società spartana era rappresentato dalla condizione femminile: le donne spartane potevano apparire liberamente in pubblico e per molti versi seguivano un percorso formativo simile a quello dei maschi; ad esempio, si dedicavano alle pratiche sportive, per essere fisicamente adatte a generare ottimi soldati. Al loro compito di riproduttrici era data un’importanza pari a quella del guerriero. Le spartane potevano ereditare dai loro padri ed essere titolari di un patrimonio, cosicché, con il tempo, nelle loro mani si concentrarono molte ricchezze. Proprio all’eccessiva libertà delle donne e alla loro disponibilità di denaro, Aristotele ascrisse le cause della decadenza spartana dopo il V secolo, ma simili giudizi negativi, pronunciati da scrittori non spartani, non vanno presi alla lettera: piuttosto, essi esprimono il pensiero di chi poco comprendeva lo stile di vita di una città molto diversa dalla propria. Lega del Peloponneso: Alleanza militare guidata da Sparta (“gli Spartani e i loro alleati”). Essa nasce dalla volontà di Sparta di assicurarsi il controllo del Peloponneso attraverso un sistema di alleanze che le permettesse, da un lato, di mantenere il controllo della Messenia, dall’altro di evitare la coalizione, a suo danno, degli stati più importanti della regione. III. IL QUINTO SECOLO Nel VII secolo, dopo la disgregazione dell’Impero ittita, l’Asia Minore si presentava divisa in vari Stati. Il più importante di questi era il regno di Lidia, che aveva come sua capitale la città di Sardi. La Lidia conobbe il suo periodo di massimo splendore sotto il re Creso, il quale, nel VI secolo, giunse a conquistare la zona costiera dell’Anatolia e a sottomettere le città greche lì presenti. L’annessione alla Lidia non fu traumatica per le poleis poiché esse continuarono a mantenere la loro organizzazione, la loro lingua e la loro cultura e, pur costrette a pagare al re un tributo, trassero per conto il vantaggio di poter facilmente accedere alle zone più interne del regno, il che incrementò notevolmente il volume dei loro traffici commerciali. I PERSIANI erano un popolo indoeuropeo stanziato nel territorio dell’attuale Iran; nella fase più remota della loro storia, tra il IX e il VII secolo, il loro regno fu soggetto dapprima all’impero assiro, poi, dopo la caduta di quest’ultimo, a quello dei Medi, contro i quali si ribellarono, guidati da Ciro II Il Grande, salito al trono di Persia. Nel 553 sconfisse l’esercito di Astiage, annettendo poi tutti i territori dei Medi e assumendo il titolo di Re dei re. Il dominio persiano finì per assumere dimensioni impressionanti, dal momento che si estendeva a est fino all’India e a ovest fino all’Asia Minore affacciata sul Mediterraneo. Tale politica espansionistica, volta di fatto alla realizzazione di un impero universale, fu proseguita dal successore di Ciro, Cambise, che riuscì ad annettere anche l’Egitto, e in seguito da Dario, che decise di muovere alla conquista della Grecia. Per potersi reggere, un impero tanto grande necessitava di un’organizzazione capillare. È merito di Ciro II aver provveduto alla sua suddivisione in distretti territoriali (satrapie), che vennero collegate tra loro e con la sede centrale tramite un’efficientissima rete di strade. Le satrapie erano governate dai satrapi, uomini appartenenti a famiglie nobili; essi avevano ampia libertà amministrativa, sovrintendevano all’esercizio della giustizia, alla riscossione dei tributi che ciascuna satrapia doveva inviare al sovrano e all’arruolamento di uomini da fornire all’esercito centrale, di notevoli dimensioni; alle dipendenze del re si aggiungeva un corpo militare speciale, composto da 10mila militari scelti che formavano la guardia del sovrano: gli Immortali. La principale fonte di informazione relativa agli usi, ai costumi e in generale alla società persiana del tempo proviene dallo storico greco Erodoto. Sono moltissimi gli elementi che segnano la distanza tra il popolo persiano e quello greco: ad esempio, Erodoto ricorda il fatto che i Persiani disprezzano e deridono l’agorà, simbolo della partecipazione del popolo alla vita politica; egli considera, inoltre, singolare il fatto che essi tollerino e pratichino la poligamia, che i Greci considerano un’usanza barbara. Vi sono alcuni passaggi nei quali Erodoto riconosce e apprezza i valori persiani che egli ritiene positivi e condivisibili, come il fatto che i bambini, a partire dai cinque anni, apprendano dai loro padri i tre principi fondamentali e imprescindibili del buon persiano, ossia cavalcare, tirare con l’arco e dire sempre la verità. Con il tempo, l’opinione che i Greci avevano dei Persiani si cristallizzò in senso negativo: per esempio, l’uso dei Persiani di vestire con abiti eleganti e ricchi d’oro e di decorazioni preziose fu ritenuto sinonimo di estrema e, effemminata e dunque degenere mollezza; inoltre, criticavano la loro abitudine di inchinarsi davanti al re. Nessun sovrano impose mai alle popolazioni soggette un culto ufficiale: ognuno era libero di venerare gli dei in cui credeva e praticare i suoi riti tradizionali. La religione più diffusa nell’impero, a partire dal VI secolo, era lo zoroastrismo o mazdeismo, basato sugli insegnamenti della figura leggendaria del profeta Zarathustra. Si tratta di un culto prevalentemente monoteista, che sottolinea la continua lotta tra bene e male e che non tollera la rappresentazione antropomorfa della divinità; i loro sacerdoti erano i Magi. Le città greche dell’Asia Minore, che avevano sostanzialmente tratto buoni vantaggi dalla dominazione lidia, videro notevolmente peggiorare le loro condizioni quando passarono sotto il dominio persiano; esse furono costrette al pagamento di un pesante tributo al Re dei re e si videro private della possibilità di commerciare liberamente nel Mediterraneo. Esse, inoltre, furono spesso soggette al dominio di tiranni compiacenti al sovrano di Persia, che soppiantarono le organizzazioni democratiche prima esistenti. Si profilavano dunque molti motivi di attrito, destinati a esplodere qualche anno più tardi, alle soglie del V secolo, e a sfociare successivamente nelle Guerre persiane. Il casus belli iniziò concretamente a profilarsi nel 500, quando re di Persia era Dario. Mileto, centro più importante della satrapia di Lidia, era governata dal tiranno Aristagora, il quale, per mettersi in mostra con il Re dei re, propose al satrapo di Sardi di occupare l’isola di Nasso. La spedizione non ebbe, però, esito felice e Dario riconobbe in Aristagora il responsabile del fallimento. Fu così che Aristagora, voltando le spalle al re, decise di farsi portavoce dei malcontenti che serpeggiavano tra le poleis dell’Asia Minore; deposta la tirannide, egli esortò tutte le città greche della zona a ribellarsi ai loro dominatori  rivolta ionica: Il suo fine non era quello di abbattere l’impero persiano, ma i ribelli miravano a ottenere l’indipendenza delle loro città dal giogo di Persia. Per raggiungere questo obiettivo, Aristagora sapeva che fosse opportuno cercare alleanze in Grecia. Egli mandò, dunque, ambasciatori in tutte le principali città, ma solo Atene ed Eretria risposero all’appello, inviando ai rivoltosi un piccolo contingente di navi e un piccolo esercito. Aristagora marciò su Sardi e riuscì a metterla a ferro e fuoco. La risposta di Dario non si fece attendere: a una a una, egli riuscì a riportare sotto il proprio controllo tutte le città ioniche, mentre il suo nemico, abbandonata Mileto, trovò la morte in Tracia. La rivolta venne definitivamente sedata nel 494 quando Dario entrò in Mileto per infliggere alla città una punizione esemplare, che servisse da ammonimento per troncare sul nascere ogni altro possibile tentativo di ribellione: dopo averla distrutta, egli fece trucidare o vendere come schiavi tutti i suoi abitanti. Dario comprendeva bene la gravità dell’accaduto, e temeva che la partecipazione di tutte le città greche a un’eventuale guerra contro la Persia potesse produrre conseguenze estremamente pericolose. Per questo Dario iniziò a concepire l’idea di una sottomissione al suo potere all’intera Grecia. La città che aveva più da temere era Atene, tanto per l’aiuto da lei prestato alle poleis ioniche, quanto perché il figlio di Pisistrato, Ippia, dall’esilio a cui era stato costretto, complottava con Dario per tornare a essere tiranno della sua città, che egli era ben disposto a consegnare nelle mani del re persiano. Dario tentò innanzitutto la strada diplomatica, inviando ambasciatori in diverse città greche a chiedere la loro sottomissione. Moltissime poleis accettarono la sua richiesta di consegnare “terra e acqua”, simboli della resa al Re dei re. Rifiutarono la proposta, invece, Sparta e Atene. Gli Ateniesi, in particolare, furono spinti a non arrendersi da due personaggi di spicco: da un lato Milziade, li spinse ad allearsi con Sparta in vista dello scontro con la Persia; dall’altra, Temistocle convinse i suoi cittadini a costruire il porto di Pireo, gettando in questo modo le basi del futuro dominio marittimo ateniese. LA PRIMA GUERRA PERSIANA Di fronte alla resistenza di Sparta e Atene, nel 490, Dario si preparò a sferrare l’attacco decisivo contro la Grecia, affidando il comando dell’esercito che venne imbarcato sulle navi a un valente generale, Dati. Per prima cosa, nella sua marcia per mare contro Atene, Dati si fermò a Eretria, colpevole di aver anch’essa sostenuta la rivolta ionica: venne completamente rasa al suolo e i suoi abitanti furono deportati in Persia. Quindi, l’esercito persiano mosse verso Atene e sbarcò nella baia di Maratona, a 42km da Atene. Giunta la notizia dello schieramento dei nemici, ad Atene una parte dei cittadini era decisa a difendere la città dall’interno, mentre Milziade si adoperava per portare l’esercito fuori dalle mura e schierarlo su una collina di fronte a Maratona, per impedire che la città fosse circondata. Fu il parere di quest’ultimo ad avere la meglio: così, mentre un messaggero (Filippide) correva a Sparta per ottenere dagli alleati delle truppe di rinforzo, la falange Ateniese, guidata da Milziade, si disponeva sull’altura prescelta, in una posizione favorevole per controllare da vicino l’esercito persiano. I due schieramenti rimasero per molti giorni immobili a osservarsi, incerti sul da farsi. Gli Ateniesi aspettavano rinforzi spartani, mentre i Persiani speravano di prendere i nemici per fame, impedendo loro qualsiasi rifornimento. Dopo essere venuto a sapere dai suoi informatori che i soldati spartani erano partiti alla rivolta di Maratona, Dati decise di schierare le truppe e sferrare l’attacco, ma i Persiani non ressero al contrattacco ateniese e, per evitare l’accerchiamento, tornarono sulle navi. Milziade fece ritorno in città e schierò nuovamente le truppe: a Dati, allora, non rimase altro da fare se non tornare in patria. I Greci esultarono, ma il nemico non era stato affatto sbaragliato, ma presto o tardi, si sarebbe preparato alla controffensiva. A ogni modo, i maratonomachi (coloro che avevano combattuto a Maratona) furono da esempio per molte generazioni future e assunsero a simbolo della vittoria contro i barbari. LA SECONDA GUERRA PERSIANA Nei dieci anni che intercorsero tra la prima e la seconda guerra contro i Persiani, Atene visse un breve periodo di instabilità politica. Dopo la morte di Milziade il suo principale sostenitore, Temistocle, si adoperò per far passare il suo progetto di costruzione di una flotta che assicurasse ad Atene una posizione pubblica e politica, per due principali ragioni: innanzitutto, le navi che intendeva costruire avrebbero dovuto impiegare come rematori i teti, i cittadini ateniesi più umili, che avrebbero visto così crescere notevolmente il loro peso politico; in secondo luogo, per la realizzazione del progetto Temistocle proponeva di impiegare i proventi delle miniere d’argento, di regola destinati al popolo di Atene, il che avrebbe potuto provocare una rivolta popolare contro la classe dirigente. Tali resistenze furono messe ben presto a tacere quando si liberò dei suoi oppositori e riuscì a far costruire la più potente flotta che una città greca avesse mai avuto. Al contempo, Temistocle fece in modo di concludere un’alleanza tra le città greche. Fu costituita con Sparta, la LEGA PELOPONNESIACA, la quale avrebbe dovuto occuparsi di decidere la strategia bellica e di stabilire i contributi che ciascuna città era tenuta a versare per fronteggiare i Persiani. Frattanto, in Persia, Dario era morto e gli era succeduto il figlio Serse. Intenzionato a vendicare la sconfitta di Maratona, Serse dichiarò guerra all’intera Grecia, adoperando un esercito molto più numero e forte di quello usato da suo padre. La seconda battaglia iniziò nella primavera del 480. Serse aveva pensato di far marciare l’esercito sulla terraferma, lungo l’Ellesponto, in prossimità della costa, in modo che le navi potessero rifornirlo di tutti gli approvvigionamenti di viveri necessari. Da una parte fece allestire nel punto più stretto dell’Ellesponto un ponte di barche per il passaggio delle truppe; dall’altra, per velocizzare il passaggio delle navi, costruì un canale facendo tagliare l’istmo in prossimità del promontorio del monte Athos. L’avvicinamento di Serse fece tremare le poleis, che rimasero a lungo incerte sul da farsi per difendere il territorio greco. La Lega peloponnesiaca decise che la prima mossa da fare era impedire all’esercito di Serse di varcare lo stretto passaggio, in Tessaglia, che gli avrebbe spalancato le porte per l’invasione della Grecia centrale: le Termopili. - Nell’agosto del 480, vennero inviati 4000 uomini (di cui 300 Spartani comandati dal re Leonida) a difesa delle Termopili. Sparta voleva evitare di mandare troppi soldati lontani dalla patria, e di rimanere dunque sguarnita di difensori; d’altro canto, gli Spartani non potevano rifiutarsi di soddisfare le richieste della Lega, e in particolare di Atene, perché senza di essa Sparta non avrebbe avuto l’appoggio che gli serviva dalla flotta ateniese. Benché avesse la possibilità di battere in ritirata, Leonida decise di rimanere con il suo esercito a difendere il passo, resistendo per due giorni; al terzo, i Persiani vennero a sapere dell’esistenza di una via che aggirava le Termopili e Leonida e i suoi uomini vennero accerchiati: nessuno di loro sopravvisse allo scontro. - La vittoria alle Termopili aprì la strada all’esercito di Serse, che puntò direttamente su Atene, incendiandola e saccheggiandola. Per ordine di Temistocle tutti gli abitanti erano stati trasferiti, però, sull’isola di Salamina, di fronte ad Atene; la potente flotta navale ateniese venne disposta nello stretto specchio d’acqua tra Salamina e le coste dell’Attica. La decisione di combattere in quel luogo venne presa dopo giorni estremamente concitati, nei quali i plenipotenziari (coloro che hanno il pieno potere) delle diverse città cercarono di contrastare la strategia di Temistocle, ritenendola troppo rischiosa. Temistocle diede prova di straordinaria abilità politica e militare: nel settembre del 480 le moderne e maneggevoli navi ateniesi attirarono l’ingombrante flotta persiana nello stretto braccio di mare vicino a Salamina, imbottigliandola e impedendo alle navi nemiche qualsiasi possibilità di manovra. LA GUERRA DEL PELOPONNESO (431-404) Nonostante la conclusione della pace del 445, l’armistizio tra Atene e Sparta non era destinato a durare a lungo. Nel 434, Atene si intromise nel conflitto tra Corinto (alleata di Sparta) e Corcira, stringendo con quest’ultima un’alleanza difensiva in funzione antispartana; proprio a causa del deterioramento dei suoi rapporti con Corinto, l’anno successivo Atene ordinò alla colonia corinzia di Potidea, membro della Lega delio-attica, di troncare ogni comunicazione con Corinto. Il casus belli si presentò nel 432, quando Atene votò la proposta di Pericle di estromettere dai mercati dell’Attica la città di Megara, colpevole di essersi schierata in passato con Corinto. In quell’occasione, gli Spartani si riunirono con i loro alleati e a fronte del ripetuto rifiuto ateniese di recedere dalle proprie posizioni, optarono per una dichiarazione di guerra. Pericle, del resto, era il primo a volere la guerra: egli era convinto che Atene avrebbe vinto nel giro di breve tempo, se solo fosse stata capace di sfruttare al meglio la propria superiorità marittima per attaccare le coste del Peloponneso. Nella primavera del 431 l’esercito peloponnesiaco, guidato dal re spartano Archidamo (fase archidamica), irrompeva nell’Attica, devastando le campagne, ma Pericle, prevedendo la mossa, aveva già convogliato l’intera popolazione entro le mura di Atene, mandando nel contempo la flotta a saccheggiare le coste del Peloponneso. Sostanzialmente le stesse operazioni ebbero luogo l’anno successivo, quando accadde un fatto imprevisto che fece svanire negli Ateniesi la speranza che la guerra potesse risolversi in fretta e a proprio vantaggio: in città divampò una terribile pestilenza che decimò la popolazione; mentre la peste aveva ucciso lo stesso Pericle, gli Ateniesi tentarono, senza successo, di concludere la pace con Sparta. Pericle non aveva lasciato eredi, dunque, alla sua morte, Atene rimase senza guida. Due personaggi, per qualche anno riuscirono a non far tracollare le sorti di Atene. Il primo fu Cleone, capo della fazione popolare, mercante di cuoio, proveniente, quindi, dagli strati più bassi della popolazione, egli è dipinto come demagogo arrogante e scaltro che aveva a cuore i propri interessi ben più di quelli della polis; La seconda guida fu Nicia, uno degli uomini più ricchi di Atene, sul quale si concentrarono le speranze dell’aristocrazia e del partito moderato; nel 421 egli riuscì a concludere con sparta la pace di Nicia, che pose fine alla prima fase del conflitto. In ognuno dei primi decenni di guerra le operazioni si erano svolte secondo il modello consueto, con l’incursione in Attica di Spartani e alleati e gli interventi di disturbo della flotta ateniese sulle coste del Peloponneso. C’erano stati alcuni episodi in cui ora Sparta ora Atene avevano ottenuto successi militari, buoni ma tutt’altro decisivi (es., nel 425, gli Ateniesi occupano l’isola di Sfacteria, mentre l’anno successivo gli Spartani vincono nella battaglia di Delio, in Beozia). Benché, nelle intenzioni dei contraenti, fosse destinata durare 50 anni, la pace di Nicia fu soltanto una breve parentesi, nel corso della quale le due avversarie si prepararono per tornare a combattere. Già dall’anno successivo alla pace1, l’atteggiamento moderato di Nicia venne aspramente contrastato da quella parte dell’opinione pubblica ateniese che sosteneva la necessità di riprendere la guerra. A dar voce a questa opposizione era Alcibiade, un aristocratico imparentato con Pericle, spregiudicato e pronto a tutto per mettersi in mostra. Proprio Alcibiade convinse gli Ateniesi a stringere un’alleanza con Argo, tradizionale nemica di Sparta: fu la scintilla che riaccese l’ostilità. Nel 418, a Mantinea, Ateniesi e Argivi affrontarono l’esercito spartano nella più grande battaglia campale combattuta tra i Greci fino ad allora, ricevendo una pesantissima sconfitta. Due anni più tardi, nel tentativo di distogliere l’attenzione popolare dalla disfatta, gli Ateniesi intrapresero una brutta campagna contro l’isola di Melo, colpevole di essersi mantenuta neutrale nel conflitto: l’isola fu invasa e messa a ferro e fuoco, gli uomini trucidati, donne e bambini venduti come schiavi. Il comportamento verso i Meli era un chiaro segnale che stagione dell’imperialismo ateniese non era conclusa. La città di Segesta, alleata di Atene, aveva chiesto aiuto a quest’ultima dopo essere stata attaccata da Selinunte, a sua volta alleata di Siracusa e di sparta. Alcibiade aveva convinto il popolo ateniese a pronunciarsi in favore della richiesta, inducendolo a credere che la vittoria, a loro dire scontata, avrebbe assicurato ad Atene il dominio sull’intera Sicilia e l’influsso di ingenti ricchezze, che avrebbero riparato le dissestate finanze cittadine. Fu allestita una spedizione grandiosa, che prevedeva l’invio di 6500 uomini comandati da Nicia, Alcibiade e Lamaco, un altro valente generale. Qualche giorno prima della partenza, tuttavia, Atene fu sconvolta da un fatto sacrilegio, giudicato di terribile malaugurio dal popolo: le statue in 1 II Fase della Guerra onore del dio Hermes che ornavano la città (le Erme) furono trovate mutilate; nelle inchieste che vennero immediatamente avviate, qualcuno denunciò come colpevole Alcibiade e il generale, che si era già imbarcato alla volta della Sicilia, venne richiamato in patria per essere sottoposto a processo. Egli preferì fuggire e, processato in contumacia, venne condannato a morte e alla confisca di tutti i suoi beni. Rimasi soli al comando, Nicia e Lamaco si prepararono per attaccare la più potente alleata siciliana di Sparta: Siracusa. La città fu circondata sia per terra sia per mare, ma ciò non portò a nulla di eclatante poiché dopo pochi giorni si venne a sapere che i soccorsi spartani erano riusciti a raggiungere Siracusa. Constatando che la propria superiorità terrestre e marittima stava vacillando, Nicia chiese rinforzi in patria. Nuove triremi e nuovi soldati sbarcarono in Sicilia ma non erano abbastanza, così gli Ateniesi dovettero ritirarsi. Nel disastro siciliano pesa notevolmente la leggerezza con cui l’impresa era stata affrontata, senza alcun piano strategico che tenesse conto di eventuali imprevisti e nella convinzione che la vittoria sarebbe giunta praticamente da sé, con estrema facilità. La vittoria siciliana aveva restituito grande forza a Sparta, che ora controllava da vicino ogni mossa della rivale. La sconfitta di Atene aveva provocato anche la ribellione di molte città della Lega delio-attica. Della debolezza ateniese approfittò anche il re persiano Dario II, desideroso di recuperare il controllo sulle città dell’Asia Minore perso con la pace di Callia, e perciò propenso a un’alleanza con Sparta in chiave antiateniese. Dal canto suo, Sparta accettò l’alleanza di buon grado, consapevole che in questo modo il suo esercito si sarebbe avvantaggiato delle molte ricchezze messe a disposizione dalla Persia. Atene era dilaniata anche all’interno dalle pressioni dei conservatori, che avevano gioco facile nell’addossare la responsabilità della disfatta di Sicilia alle manovre spregiudicate di politici che troppo facilmente si erano fatti trascinare dalle spinte del popolo. Fu così che, nel 411, un colpo di Stato cancellò la costituzione democratica: la bulè fu sciolta, venne abolita l’indennità periclea per i magistrati e il potere supremo fu affidato a quattrocento uomini appartenenti al partito oligarchico, propensi a concludere al più presto una pace con Sparta. Ma anche il governo dei Quattrocento ebbe vita breve: l’eventualità di una pace con Sparta non era affatto gradita ai più, così, nel giro di pochi mesi, l’oligarchia venne deposta, e ristabilita la democrazia. A fare in modo che ciò avvenisse era stato Alcibiade, il quale aveva giudicato che quello fosse il momento più opportuno per fare ritorno in patria: e infatti, una volta cancellate le condanne pronunciate un tempo contro di lui, nel 408, egli venne accolto come eroe dal popolo, che vedeva in lui l’unica possibile speranza di una vittoria contro Sparta. In vista dello scontro diretto con la nemica, egli cercò di riconquistare e riportare dalla parte di Atene le città che si erano staccate dalla Lega delio-attica; i risultati furono però ben inferiori alle aspettative. L’uscita di scena di Alcibiade fu segnata dall’ultimo grande successo militare di Atene: nel 406, al largo delle isole Arginuse, la flotta ateniese riuscì a infliggere una pesante sconfitta a quella spartana. La vittoria, ancora una volta, fu funestata da un imprevisto: una tempesta devastò molte navi e rese impossibili i soccorsi ai naufraghi. A seguito dell’episodio, i comandanti della flotta furono processati a morte con l’accusa di non aver prestato la dovuta assistenza agli equipaggi in difficoltà. Del tutto privi di guida, Atene non aveva ormai più speranze si successo. Nel 405, nei pressi del fiume Egospotami, la flotta spartana, finanziata dal re persiano, sconfisse rovinosamente gli Ateniesi. A questi ultimi non restava altro che chiedere la pace che nel 404 pose fine alla guerra del Peloponneso, e che Sparta impose con condizioni durissime: perché del potere marittimo ateniese non rimanesse traccia, ordinò di abbattere le muta che collegavano la città al Pireo e di consegnare la flotta; la Lega delio-attica venne sciolta; Atene dovette rinunciare alle sue alleanze e a tutti i suoi possedimenti al di fuori dell’Attica; venne deposta la democrazia e il potere fu affidato a trenta uomini fedeli a Sparta, passati alla storia con il nome di Trenta Tiranni. Nel 404, dunque, trenta esponenti dell’oligarchia di Atene presero il potere, con l’incarico di riscrivere la costituzione e privare la città delle sue istituzioni democratiche più radicali. Gli scrittori del tempo ricordano il governo dei Trenta come un periodo di terrore: il loro principale intento era sbarazzarsi di tutti gli oppositori, effettivi o potenziali. Molte persone furono esiliate o giustiziate senza processo, mentre i loro beni vennero confiscati. I dissensi interni ai Trenta erano tuttavia troppo marcati perché il loro governo potesse durare a lungo. Della situazione approfittò Trasibulo, un generale che aveva preso parte a diverse battaglie durante la guerra del Peloponneso e che, in quanto esponente del partito democratico, era stato costretto a fuggire in esilio quando i Trenta erano saliti al potere. Egli rientrò in città e, dopo soli otto mesi, depose i Trenta, restaurando la democrazia. Tutti coloro che avevano avuto una qualche parte o erano stati in qualche modo complici dell’efferatezza del regime vennero cacciati o condannati a morte. Tra questi c’era anche Socrate che, accusato di introdurre nella polis nuove divinità e di corrompere i giovani, qualche anno più tardi fu condannato a bere la cicuta. La sconfitta di Atene nella Guerra del Peloponneso aveva segnato la fine dell’Imperialismo ateniese e la dissoluzione della Lega delio-attica. Sparta, così, impose la propria egemonia. Quel che Atene aveva fatto in senso democratico fu riprodotto in modo identico da Sparta, ma con impronta oligarchica. Per assicurarsi la fedeltà e l’obbedienza delle poleis della lega, gli Spartani smantellarono le costituzioni vigenti, imposero governi di stampo oligarchico retti da una decarchia, ossia un collegio di dieci uomini, e inviarono dei presidi militari al comando di magistrati chiamati armosti. Gli atteggiamenti spesso brutali degli uomini che gestivano il potere resero ben presto odiosi i metodi di Sparta alle città alleate e contribuirono al rapido declino della sua leadership. L’egemonia spartana vacillò per la prima volta, senza soccombere, poco dopo la fine della Guerra del Peloponneso. La morte di Dario, re di Persia, nel 404, scatenò una violenta contesa per la successione al trono tra l’erede legittimo Artaserse II e il fratello minore Ciro, appoggiato dagli Spartani. Lo scontro, nella primavera del 401, tra l’esercito di Ciro e quello di Artaserse a Cunassa si risolse in favore di quest’ultimo: Ciro venne ucciso e i mercenari greci furono costretti a fare ritorno in patria. L’atteggiamento spartano aveva ovviamente indispettito Artaserse, il quale non esitò a intavolare trattative politiche con diverse altre città greche, in particolare Atene. Sparta decise allora di reagire e inviò in Persia una nuova spedizione guidata dal re Agesilao, ma egli subì una pesante sconfitta nella battaglia navale combattuta nel 394 al largo di Cnido per opera della flotta persiana al comando dell’ateniese Conone. A Sparta, molte delle città a cui erano stati imposti regimi oligarchici si ribellarono, cacciando i presidi spartani. L’egemonia spartana veniva minacciata dalla risorta Atene, la quale, grazie al denaro ricevuto dal re di Persia, iniziava la ricostruzione delle sue Lunghe mura e stringeva alleanze con varie poleis, tra cui, in particolare, Tebe, particolarmente insofferente al dominio spartano. Atene sembrava sul punto di riprendere forza e di ricostruire la Lega delio-attica, così i Persiani, per scongiurare questa eventualità, si affrettarono a concludere con Sparta un nuovo accordo, la pace di Antalcida (386). Si trattava, in realtà, di una pace imposta dal re persiano, che, d’accordo con Sparta, dettava alle città greche le sue condizioni: tutte le leghe di città erano sciolte, con la sola eccezione di quella del Peloponneso: tutte le poleis sulle coste dell’Asia Minore ritornavano sotto il dominio del re di Persia. Di fatto, i successi ottenuti nelle Guerre persiane di cento anni prima venivano del tutto vanificati. Atteggiamento garante delle condizioni della pace di Antalcida, Sparta riprese a smantellare i governi di varie città, imponendo regimi oligarchici retti da uomini di sua fiducia. Nel 379 guidati da Pelopida ed Epaminonda, alcuni dei Tebani espulsi dalla città al momento dell’occupazione ristabilirono la democrazia, cacciando le guarnigioni spartane e stringendo una lega con altre poleis della Beozia. Sparta, giudicando la Lega beotica una contravvenzione alle condizioni della pace di Antalcida, inviò in Beozia un esercito. Lo scontro avvenne a Leuttra, nel 371: prevalsero i Tebani, i quali, benché in netta inferiorità numerica, sfruttarono al meglio le potenzialità della nuova tattica militare della “falange obliqua”. La sconfitta di Sparta incoraggiò anche i Messeni, da secoli soggetti a Sparta, a proclamare la loro indipendenza. Abbandonata anche dagli iloti, la potenza di Sparta era stata definitivamente abbattuta. Dal canto suo, Tebe appoggiava i nuovi regimi, assurgendo a nuova polis leader della Grecia. Tuttavia, la sua egemonia si regeva su basi troppo deboli per poter durare a lungo; né Atene né Sparta erano disposte a tollerare la sua posizione di preminenza, dunque su allearono in funzione antitebana e si scontrarono, nel 362, a Mantinea, sconfiggendola. Il perenne stato di conflitto delle città greche contribuiva al loro indebolimento, di cui ne approfittò la Macedonia di Filippo II. LA MACEDONIA E ALESSANDRO MAGNO conquista dei territori al confine orientale del mondo em con essa, la creazione di un impero universale. Addentrarsi nell’India, Paese per lo più sconosciuto, rappresentava per Alessandro una sfida allettante: sottomesso a uno a uno i vari re locali, attraversato l’Indo ed entrato nell’odierna regione del Punjab, egli combatté l’unica battaglia significativa presso il fiume Idaspe, dove sconfisse il re indiano Poros (326). Dopo questa vittoria i suoi soldati si rifiutarono di avanzare oltre, come Alessandro desiderava. Nel 324 Alessandro rientrò a Susa, dove procedette a una necessaria organizzazione dell’immenso territorio conquistato. Ciò che gli parve più opportuno era innanzitutto pacificare i due popoli, il greco-macedone e il persiano, favorendo la loro commistione e creando una classe di dignitari che, partecipe di entrambe le culture, amministrasse nel modo migliore un regno tanto vario. Egli stesso aveva dato l’esempio, sposando le principesse persiane Roxane e Statira, e adottando così il costume tipicamente orientale della poligamia: aveva poi organizzato a Susa una cerimonia nuziale collettiva, nel corso della quale aveva dato mogli persiane e diecimila de suoi soldati. Inoltre, Alessandro aveva immesso nell’esercito moltissimi soldati persiani, che avevano ricevuto il tipico addestramento macedone. Questi provvedimenti non furono accolti con favore dai Macedoni, i quali, del resto, continuavano a non tollerare l’inarrestabile orientalizzazione del re. Mentre era intento a preparare ulteriori spedizioni, nell’estate 323 Alessandro morì d’improvviso a soli 32 anni, colto da malaria o, come alcuni sostengono, avvelenato da qualcuno del suo seguito. L’impero che Alessandro aveva creato nel giro di poco più di dieci anni era troppo fragile per poter sopravvivere alla sua morte. Alessandro, del resto, non aveva lasciato eredi, infatti poco prima di morire aveva consegnato a uno dei suoi generali, Perdica, l’anello con il proprio sigillo, simbolo di potere. Era plausibile che egli pensasse a una successione di tipo dinastico per il suo impero, ma il figlio che egli aveva concepito da Roxane non era ancora nato, né, per altro, sarebbe stato facile per i suoi uomini tollerare che il regno finisse nelle mani di un individuo che non apparteneva del tutto alla stirpe macedone. I generali che erano stati più vicini ad Alessandro e che più avevano contribuito al suo successo, animati da forte ambizione, vennero presto in aspro contrasto tra loro. I vent’anni che seguirono la morte di Alessandro furono segnati da violentissimi scontri tra i diretti successori di Alessandro, i cosiddetti diadochi (i cui eredi chiamati epigoni): questi contrasti si conclusero con la definitiva disgregazione dell’Impero. La notizia della morte di Alessandro rinfocolò i sentimenti antimacedoni che ancora animavano moltissimi cittadini greci: incoraggiata ancora una volta da Demostene, l’oratore che aveva sostenuto la necessità della guerra contro Filippo, Atene non perse occasione di ribellarsi e di convincere diverse altre poleis a unirsi a sé; la induceva a farlo, peraltro, la sua prosperità finanziaria, frutto tanto dell’oculata amministrazione cittadina degli ultimi anni, quanto del trafugamento di una parte dell’immenso tesoro di Alessandro, portata ad Atene da uno dei suoi infedeli tesorieri, Arpalo. La rivolta, tuttavia, fu presto soffocata dall’esercito di Antipatro, che già Alessandro aveva lasciato a presidio della Macedonia. Demostene fuggì nella vicina isola di Calauria e si suicidò poco dopo. Da quel momento, Atene sopravvisse solo come centro culturale. Frattanto, Roxane e il giovane figlio di Alessandro erano stati uccisi, perché considerati una potenziale minaccia alle velleità di supremazia dei diadochi. Tra questi, nei primi anni di guerra, prevalse Antigono Monoftalmo, uno dei generali di Alessandro che era stato designato come governatore della Frigia e che, per diversi anni, sembrò poter ereditare da solo l’intero immenso regno. Ben presto gli altri diadochi decisero di coalizzarsi contro di lui, ed egli, sconfitto a Ipso, nel 301, decise di suicidarsi. I vincitori si spartirono l’impero, dando vita a diversi stati comunemente designati come regni ellenistici: benché autonomi, essi avevano in comune il fatto di essere retti da un sovrano assoluto, che governava con l’auto di una ristretta corte di funzionari, dignitari e burocrati a lui fedeli e devoti. Il regno di Macedonia, che comprendeva anche diverse città greche, fu affidato ad Atigono, che fu fondatore della stirpe degli Antigonidi, destinata a governare per più di un secolo; tra tutti i regni ellenistici, quello di Macedonia fu quello che ebbe vita più breve e travagliata: povero di risorse, dovette far fronte ai perenni tentativi di rivolta delle città greche, alla pressione del piccolo ma pericoloso regno dell’Epiro, e infine allo scontro con l’Impero romano, a cui venne ammesso nel 168. Le città greche, a cui Roma in un primo momento concesse la libertà, vennero assoggettate nel 146. La più florida e duratura delle monarchie ellenistiche fu l’Egitto, di cui fu il re Tolomeo I, capostipite della dinastia che da lui fu detta tolemaica; esso cessò di esistere nel 30 a.C., quando Ottaviano lo inglobò nel territorio di Roma. Tolomeo fissò la capitale del regno ad Alessandria, destinata a diventare uno dei centri più belli e frequentati del Mediterraneo. Tolomeo vi fece ereggere il Faro, annoverato tra le 7 meraviglie del mondo antico. Qualche anno più tardi, Alessandria assurse a capitale culturale del Mediterraneo grazie alla costruzione del celebre museo, luogo di incontro di tutti gli intellettuali dell’epoca: esso ospitava un’immensa biblioteca, che conservava innumerevoli volumi della letteratura classica e contemporanea. A Seleuco fu affidata l’amministrazione del più vasto dei regni ellenistici: la Siria. Un territorio di tali dimensioni difficilmente controllabile, le diverse popolazioni che vi abitavano erano sempre pronte alla ribellione, e a ben poco servirono i tentativi dei suoi sovrani di favorire la grecizzazione. Intorno alla metà del III secolo, iniziò uno dei pi forti movimenti separatisti, da cui prese vita un regno autonomo, quello dei Parti, che si presentava come la continuazione dell’Impero persiano. Venuta a guerra con Roma, la Siria fu ammessa all’Impero Romano nel 64 a.C. Un’ulteriore ribellione interna alla Siria originò il regno di Pergamo, che prese il nome dalla sua città principale; essa divenne un grande centro economico e culturale, sede di una biblioteca che poteva competere con quella di Alessandria. Gli Attalidi, così chiamati da Attalo I, capostipite della dinastia, governarono fino al 133 a.C., quando Attalo III, privo di eredi, lasciò il regno a Roma. La costituzione delle MONARCHIE ELLENISTICHE comportò una vera rottura rispetto al passato, prodotta dall’incontro di due mondi, occidentale e orientale, profondamente diverse tra loro. Le poleis, nelle quali l’individuo era un cittadino, in posizione di parità rispetto agli altri cittadini e partecipe degli affari pubblici, cedettero il passo a regni di proporzione gigantesche, dove egli non era altro che un suddito, alle dipendenze di un sovrano autoritario che decideva per tutti e al quale, come ad Alessandro, erano tributati onori divini. Mentre le poleis erano entità chiuse, costituite da gruppi omogenei per etnia, lingua e religione, i nuovi regni erano realtà estremamente composite, che ospitavano individui di nazionalità e costumi diversi. Tale contesto consentì alla cultura greca di uscire dai confini della Grecia e di diffondersi in tutto il bacino del Mediterraneo e in gran parte del regno un tempo appartenuto ai Persiani. Tale diffusione fu alimentata soprattutto da due elementi: - gli uomini di corte e gli intellettuali assunsero il greco come lingua ufficiale, parlata e scritta; - mobilità dei Greci che abbandonarono la terra d’origine per trasferirsi nelle numerose colonie che i sovrani ellenistici fondarono all’interno dei loro territori. Infatti, per evitare di affidare agli indigeni l’amministrazione dei loro regni e dei loro eserciti, i re chiamavano a sé uomini di origine greca, dislocandoli in città di nuova fondazione, di regola poste in zone di forte rilevanza strategica. In queste nuove città Greci e popolazione autoctona si mescolarono, dando vita a un cosmopolitismo e a quella mescolanza di culture che sono fra i tratti più caratteristici dell’età ellenistica. Tali spostamenti ebbero un forte impatto sull’economia. Nelle vecchie città le terre finivano in mano a sempre più potenti e benestanti proprietari terrieri; d’altro canto, la fondazione di nuove città diedero impulso al commercio e consentì un’ampia circolazione di denaro e di beni. Questo incrementò il divario tra le classi più agiate e quelle di contadini e operai, ben più numerosi e la cui forza-lavoro subiva la concorrenza degli innumerevoli schiavi presenti sul mercato. Il divario fu evidente anche sul piano culturale: ciò che distingueva ulteriormente i ricchi dai poveri era l’alfabetizzazione e, di conseguenza, la possibilità di accedere a livelli di istruzione superiori. Nell’età classica la maggioranza della popolazione riceveva almeno una formazione di base, e il complesso dei cittadini era considerato il destinatario primo delle opere letterarie; queste opere, peraltro, erano trasmesse principalmente per via orale. Le cose, ora, erano cambiate radicalmente. Scrittori e poeti non si rivolgono più a una comunità di cittadini, ma il loro interlocutore privilegiato è l’élite di uomini benestanti e colti. Venuta meno l’oralità, la scrittura diviene il principale strumento di trasmissione della cultura. Gli scritti vengono raccolti nelle biblioteche, dove il sapere è ora accessibile a tutti quelli che siano in grado di fruirlo. L’incontro tra oriente e occidente diede vita a un sincretismo, ossia mescolanza tra culti di differente provenienza. Agli dei tradizionali del pantheon greco si affiancarono divinità nuove, il cui culto rispondeva alle esigenze di individui di origine diversa che si trovavano ora a convivere nelle varie città.
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