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Storia letteratura inglese dalle origini al XVIII secolo, Appunti di Letteratura Inglese

Riassunti dettagliati del Libro Sanders.

Tipologia: Appunti

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Scarica Storia letteratura inglese dalle origini al XVIII secolo e più Appunti in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! STORIA LETTERATURA INGLESE 2 CAPITOLO 1 Con il termine INGLESE ANTICO si vuole alludere ad una continuità culturale tra l’Inghilterra del 6 secolo e quello del 19 secolo, e indicano lo sviluppo della lingua in tre fasi: Antico, Medio e Moderno. Il termine ANGLOSASSONE tendeva a fare riferimento ad una cultura diversa rispetto a quella dell’Inghilterra moderna, e si riferisce agli improperi rilasciati dagli inglesi invasori, i SASSENACH. Le popolazioni germaniche note come Angli, Sassoni e Iuti che nei secoli 5 e 6 avevano invaso l’antica colonia romana della Britannia, portarono con sé la propria lingua, il loro Paganesimo e le loro tradizioni guerriere. E spinsero anche le popolazioni celtiche cristianizzate verso ovest, a ridosso dei confini del Galles e della Cornovaglia, ma anche verso nord, nelle Highlands della Scozia. Questi barbari enfatizzarono inoltre l’appartenenza di una nuova cultura, quella inglese. Il nuovo processo di cristianizzazione inizia negli ultimi anni del 6 secolo in nord della Scozia dai monaci celtici, mentre nel sud fu affidata a un gruppo di benedettini provenienti da Roma, guidati da Agostino, e questo avvenimento inserì la Britannia nell’orbita della civiltà latina rappresentata dalla Chiesa di Roma e quella delle nascenti culture nazionali dell’Europa occidentale. E nell’8 secolo si cercarono di convertire anche i pagani rimasti sul continente. Due persone si distinsero: Willibrord e Bonifacio. Molto importante era l’influsso sia della parola scritta in LATINO, quindi la Bibbia, sia del parlato, infatti all’alfabeto runico si sostituì l’alfabeto romano. Importante un testo di BEDA, il primo grande storico inglese il quale scrisse HISTORIA ECLESIASTICA GENTIS ANGLORUM, considerata una indispensabile fonte di informazioni sulla diffusione del cristianesimo in Inghilterra. Molto importanti scritti in latino furono i Sermoni, inoltre molti monasteri furono adibiti per lo studio del latino. Comunque poi si cercava di tradurli in inglese per una migliore comprensione da parte dei credenti. Ma questo sistema culturale sviluppato dai monasteri fu quasi distrutto a causa dell’incursione dei Vichinghi. Per fortuna la rinascita dei monasteri si realizzò nel 10 secolo grazie a DUSTAN (vescovo di Canterbury), AETHELWOLD (vescovo di Winchester) e OSWALD (vescovo di Worcester). A questo periodo risalgono i 4 volumi di poesia in inglese antico più significativi, il MANOSCRITTO JUNIUS, IL MANOSCRITTO DI BEOWULF, IL VERCELLI BOOK E L’EXETER BOOK, realizzati sicuramente all’interno dei monasteri. Si presume che alcuni testi inclusi di queste antologie risalgano a molto prima del 10 secolo, ma il materiale sopravvissuto potrebbe o essere stato distrutto, oppure potesse essere stato modificato dai monaci stessi. Il più antico poema datato che sia giunto fino a noi è attribuito da Beda a uno scritto chiamato CAEDMON, il quale ricevette in sogno il dono divino della poesia e al risveglio compose un inno al Dio Creatore. Fu così ammesso nella comunità monastica e scrisse testi poetici riguardanti le Sacre scritture, come l’Incarnazione, la Passione e la Resurrezione di Cristo, ma oggi sono perduti. Il linguaggio elaborato e convenzionale della Poesia in inglese antico derivava probabilmente da una tradizione bardica di origini germaniche, che a sua volta accoglieva il ruolo iniziatico del poeta di professione o scop (colui che era in grado di improvvisare un canto su temi eroici, in occasione di feste e cerimonie, inoltre la specifica competenza linguistica era denominata WORD-HOARD). Il legame di uno scop con il suo signore, si ritrovava anche nel poema elegiaco noto come DEOR. Questo si soffermava in alcuni momenti con una certa tristezza, sul tema della commemorazione dei poeti. Lo schema di versificazione derivava da un’arte orale. La poesia in inglese antico si sviluppa su un complesso sistema allitterativo, frasi e parole che si intrecciano in vario modo e periodi particolarmente elaborati vengono disposti in emistichi caratterizzati da due accenti e da un numero variabile di sillabe, gli emistichi sono poi collegati tra di loro per produrre un verso completo. Nel 771 circa il re Alfredo usa il termine ENGLISC per indicare la lingua che egli era solito usare per scrivere e parlare nel WESSEX (che si distingueva già dal sassone dei germani europei). A partire dal 13 secolo però questa parlata divenne mano a mano incomprensibile alla maggior parte dei discendenti degli antichi anglosassoni. Nel 1871 Henry SWEET uno dei primi anglisti e studiosi della fonetica di Oxford, precisava, in una delle sue traduzioni di Re Alfredo, che avrebbe usato il termine inglese antico per indicare la lingua inglese nella sua fase flessiva e incontaminata, comunemente associato all’anglosassone. BEOWULF, era un testo composto nell’epoca pre-cristiana, modificato forse dai monaci allo scopo di renderlo accettabile i un contesto cristiano, ma questa tesi non si sostiene più. La storia che viene raccontata è pagana, ma le azioni di eroismo possono essere comparate ai nuovi valori morali e religiosi. Rimanda ad un’era di battaglie cruenti che vedono eroi scandinavi contrapposti a terribili mostri, eventi interpretati come lotta tra bene e male. Per esempio Grendel il primo mostro è visto come NEMICO DI DIO e come discendente del Caino biblico, il primo assassino. Come suggeriscono altri poemi in inglese antico, l’opera di Cristo per la redenzione del mondo, le missioni e il martirio dei santi, venivano interpretati come concezioni eroiche che trascendevano le vicende bibliche. Questo testo è l’espressione di una cultura religiosa che vedeva nel mondo naturale infiniti misteri ed era convinto che la realtà fosse celata dietro a un velo. La natura era considerata come un insieme di segni confusi, di presagi e di significati. Combattendo le manifestazioni del male, i propositi di Dio potevano essere realizzati. Può essere considerato un poema EPICO perché narra in versi le gesta di un eroe. Il poema è diviso in 3 punti cardine, 3 incontri con creature ultraterrene, e a queste storie se ne intrecciano altre, allo scopo di ampliare i riferimenti alla vita sociale e alle tradizioni. La società appare saldamente unita ai legami di fedeltà: il signore (gold friend) protegge e in cambio ha il servizio dei suoi guerrieri. Il poema è ambientato all’interno della corte di re Hrothgar a Heorot, e le creature vogliono appunto distruggere questa corte. Grendel si aggira di notte e sarà Beowulf a sfidarlo e ad ucciderlo. Questa sconfitta è paragonata dallo scop di re Hrothgar alle imprese di Sigesmund, il grande sterminatore di draghi della leggenda teutonica. Quando Beowulf combatteva contro il drago, lo si vedeva più tormentato, come se sapesse del suo destino, che gli anglosassoni chiamavano Wyrd. Quando il protagonista muore, il regno si vede minacciato dai principi delle terre vicine. Il poema termina nel pianto e nelle ceneri dell’eroe sotterrate in un tumulo pagano, circondato da oggetti preziosi. Gli ultimi versi evocano uno scenario pre-cristiano e il messaggio riguardava l’eroica sottomissione alla volontà di un Dio benigno ma onnipotente. THE BATTLE OF MALDON e le ELEGIE Qui viene raccontato uno scontro dall’esito fatale tra il nobile Byrthnoth dell’Essex e un gruppo di incursori vichinghi. La battaglia ebbe luogo nel 991 e viene scritto in stile eroico forse da un monaco, per riprendere il comportamento dell’antico codice eroico. Ma il guerriero viene presentato come imprudente, infatti attraverserà il fiume che poteva essere una linea difensiva contro i vichinghi, e viene inoltre visto come una sorte di sacrificio compiuto in nome della civiltà cristiana. Tale sacrificio sembra anche suggerire lo spirito di lealtà e fratellanza degli uomini di Byrthnoth, che sembrano essere dimenticati da Dio. DEOR si basa invece sul contrasto del rapporto tra signore e il suo vassallo. Deor si consola meditando su 5 casi diversi di fortuna, tutti tratti dalla storia e dalle leggende germaniche. In ognuno di questi casi dice il protagonista che il dolore è passato e che quindi può sperare nella fine delle sue sofferenze. Ogni meditazione termina con un ritornello dalla visione pagana dell’ineluttabilità del fato e afferma la fede cristiana nella divina provvidenza. Viene narrato in prima persona. WIDSITH utilizza la forma del soliloquio, narra di un viaggiatore che vagabonda in terre lontane e finisce per descrivere i popoli e i princìpi che ha conosciuto. Elenca sia i popoli sia le ricompense che ha ricevuto dai mecenati illuminati. Il narratore del poema è noto come THE WANDERER, il quale sostiene di aver perduto il suo signore e mecenate e di dover ora affrontare una situazione desolata e di esilio. Il mare in questo caso, non è visto come un mezzo per colonizzare le isole, ma è un elemento che divide, la sua desolazione e impetuosità nei mesi invernali indicano il fallimento dei rapporti umani la solitudine, la separazione e l’esilio. L’errante si consola con la sapienza, non con il fato divino. In THE SEAFARER, l’esilio del narratore è volontario, e ne consegue che il Navigatore non riesce ad apprezzare la tranquillità della terra senza una dose di diffidenza rappresentata dal mare. Il cuculo annuncia a terra l’arrivo dell’estate, e viene vista dal protagonista solo come un passare inesorabile delle stagioni, leggende di re Artù e la Tavola Rotonda, ma è anche il testo che rese popolare quell’idea secondo cui gli abitanti di Britannia sarebbero discesi dal principe troiano Bruto, pronipote di Enea. Da Bruto quindi sarebbe derivata l’antica successione dei re britannici, che avrebbero affascinato gli autori Elisabettiani. Infatti ispirò tre autori: 1 WACE, che scrisse ROMAN DE ROU o GESTE DE NORMANDS (origini della Britannia e passa alle imprese recenti del Conquistatore Guglielmo). 2 GAIMAR, che scrisse ESTORIE DE ENGLES (celebrò le conquiste dei duchi di Normandia). 3 LAYAMON, che scrisse BRUT (1600 versi). La sua storia sopravvive in un manoscritto che include anche un poema molto diverso, l’anonimo THE OWL AND THE NIGHTINGALE (una disputa tra un usignolo e un gufo). Si dice che questo testo sia stato scritto per l’edificazione e il divertimento di una comunità di suore inglesi, la cui formazione letteraria non includeva necessariamente il latino. Così come i testi: KATHERINE GROUP (che tratta delle vite di sante vergini eroiche, Katherine, Margaret e Juliana); e ANCRENE RIWLE, scritta in inglese da un padre confessore per 3 sorelle che avevano scelto la vita “ecclesiastica”, e le consola/conforta con questo testo. È diviso in 8 libri, che forniscono consigli personali, dettagli pratici a chi ha deciso di vivere in solitudine e raccomanda meditazione e letture regolari, oltre che una disciplina spirituale e religiosa. Offre consigli anche da problemi causati da una eccessiva introspezione, e Cristo deve essere visto da queste donne come un re, e un cavaliere, inoltre Dio si offre colmo d’amore a chi lo desidera con cuore puro. La prima e l’ultima parte regolano la vita sociale, mentre la parte intermedia tratta delle gioie della vita interiore. In fine offre anche suggerimenti riguardanti l’alimentazione, l’abbigliamento, l’igiene e circa il modo di guarire dalle malattie. Alla fine l’autore si congeda con la speranza che il suo libro sia letto con profitto. CAVALLERIA E AMOR CORTESE Il CAVALIERE medievale era in origine un soldato abbastanza ricco da possedere un cavallo, armatura e armi. Era soggetto ad un rituale/codice di comportamento, ovvero doveva farsi addestrare da un anziano (Apprendistato), che finiva con una notte di veglia e la confessione sacramentale, e successivamente veniva vestito in genere dal re, della qualità di cavaliere appunto. Il cavaliere prestava un giuramento di fedeltà che lo vincolava al suo signore, e si impegnava a proteggere i deboli e riparare i torti e a difendere la fede cristiana (contro i musulmani infedeli). Questo sistema di legami aristocratici maschili, ispirò la creazione dei 3 grandi ordini militari europei di crociati: L’ORDINE DELL’OSPEDALE DI SAN GIOVANNI DI GERUSALEMME/OSPEDALIERI; L’ORDINE DEI POVERI CAVALIERI DI CRISTO E DEL TEMPIO DI SALOMONE/TEMPLARI; L’ORDINE DEI CAVALIERI TEUTONICI DELL’OSPEDALE DI SANTA MARIA DI GERUSALEMME. (furono costituiti per proteggere gli itinerari dei pellegrini i cui viaggi iniziarono all’indomani della brutale conquista della Città Santa da parte dei Saraceni nel 1099). Anche se l’ordine dei Templari fu soppresso, l’idea della cavalleria continuò a diffondersi sotto altri patrocini reali, come nel regno di Re Artù. Il re Edoardo fondò l’ORDINE DELLA GIARRETTIERA, e questo era riservato a 25 membri, compreso lo stesso monarca, e non erano più quindi di origini monastiche. (il re Edoardo era ossessionato alle mitiche vicende di Re Artù, per questo fonda il nuovo ordine). In generale questi cavalieri beneficiarono nella finzione letteraria, di una ritrovata preoccupazione per le relazioni d’amore, come fece ELEONORA D’AQUITANIA, la quale creò un nuovo tipo di poesia che associava a un alto concetto di amore sensuale, originariamente coltivato dai trovatori provenzali, i resoconti delle imprese dei cavalieri arturiani. Questo amor cortese (fin’amors) aveva un parallelismo anche tra il servigio feudale di un cavaliere al suo signore e il servigio di un amante a una donna adorata e onorata. Nel trattato latino DE AMORE di Andrea CAPPELLANO, la donna emerge come la figura dominante in una storia d’amore, e lo stesso amore sensuale come parte integrante della vita e delle attività di una corte animata da ideali cavallereschi. Inoltre, anche la reciproca passione degli amanti adulteri veniva considerata come nobilitante e quasi religiosa nella sua intensità, per quanto inappagante potesse essere. Furono due autori francesi a sfruttare letterariamente questo Amor Cortese: Marie de France (1160-1190 attiva) e CHRèTIEN DE TROYES (1170-1190 attiva). La prima scrive 12 brevi LAIS e il secondo 5 romances con ambientazione Camelot. Importanti sono anche gli argomenti militari come nel ROMAN DE LA ROSE, iniziato da GUILLAUME DE LORRIS e terminato da JEAN DE MEUN, dove vi è una descrizione filosofica ed allegorica dell’AMOR CORTESE. (venne poi in gran parte tradotto da Chaucer). I ROMANCES INGLESI Nella maggioranza di queste opere si intende rappresentare questi eroi come cavalieri che intraprendono una quest solitaria, e non si manca di ricordare l’importanza dei valori sociali del mondo cavalleresco. Il più importante e antico componimento in lingua inglese giunto fino a noi, ed inserito nella categoria dei romance è KING HORN datato 1225. TRAMA. Importante è anche THE LAY OF HAVELOK THE DANE (1300). TRAMA. Gli argomenti dei ROMANCES INGLESI, possono essere divisi in 3 categorie a seconda dell’ambito storico trattato: 1 MATERIA DI ROMA (leggende classiche) 2 MATERIA DI FRANCIA (storie di Carlo Magno e dei suoi cavalieri, o storie riguardanti la lotta contro i Saraceni invasori) FLORIS AND BLANCHEFLOUR + OTUEL AND ROLAND e THE SEGE OF MELAYNE. 3 MATERIA DI BRETAGNA (storie arturiane o riguardanti i cavalieri della Tavola Rotonda) SIR ORFEO, la storia di Morfeo ed Euridice. Molto importante è il poema SIR GAWAIN AND THE GREEN KNIGHT, l’autore è anonimo, ma la lingua utilizzata indica che chi lo scrisse proveniva dalle Midlands nord-occidentali inglesi e che la sua composizione ebbe luogo nella seconda metà del 14 secolo. L’autore è noto come il POETA DI GAWIN, e scrisse anche: PEARL, CLEANESS, PATIENCE e SIR GAWAIN AND THE GREEN KNIGHT. Svolgevano anche un ruolo importante nel REVIVAL DELL’ALLITTERAZIONE, che caratterizzò la letteratura dell’Inghilterra settentrionale e nord-occidentale a partire dal 1350. Chi li ha scritti aveva una certa familiarità con i romances francesi e inglesi. TRAMA. TRAMA ANCHE DI PEARL. Pearl è stato scritto in 101 strofe e indica la perfezione di Dio. Le strofe sono raggruppate in 20 sezioni, e in ciascuna sezione l’ultimo verso della strofa è non solo ripetuto, con variazioni minime come un ritornello, ma anche utilizzato per introdurre la sezione successiva. Il verso allitterativo di apertura è anche riecheggiato parzialmente dal verso di chiusura. I versi sono 1212, e la processione di 144000 vergini, sono tutti simboli della dimensione e della struttura della Gerusalemme celeste che il poema intende descrivere. LIRICHE INGLESI NEL MEDIOEVO Nelle più antiche liriche amorose vengono abbandonati i temi eroici tipicamente maschili, per trattare invece del tema del servigio dovuto ad una donna, non più al signore feudale. Un fattore importante per queste liriche è la primavera, stagione dello sbocciare dell’amore, come suggerisce un componimento contenuto nel MANOSCRITTO HARLEY 2253. Il rapporto tra donna e natura si ritrova anche in numerose liriche religiose, in particolare quelle risalenti al 14 secolo, dove la bella dama è la Vergine Maria, mentre il signore a cui si deve obbedienza è il Cristo. In AS I LAY UPON A MIGHT, un cristiano non riesce a prender sonno e gli sembra di sentire la Vergine che culla il suo bambino il giorno di Natale. La Vergine racconta ciò che se a proposito dell’Annunciazione di Gabriele, ma nulla di più. Durante il regno di Riccardo 2 (1377-1399), è caratterizzato da un proficuo successo letterario, infatti uno dei maggiori esponenti di quel periodo fu CHAUCER, insieme a GOWER, i quali conoscevano sia lo stile e le mode internazionali prevalenti a corte, sia le loro rispettive opere. La rinascita letteraria nel regno di Riccardo 2 è da collegarsi alla netta preferenza accordata dall’èlite dominante alla lingua inglese, quale strumento privilegiato di comunicazione, di governo e di intrattenimento, anche se Gower scrisse: MIROUR DE L’OMME in francese; VOX CLAMANTIS in latino e CONFESSIO AMANTIS in inglese. mentre Chaucer scrisse esclusivamente nella sua lingua madre. Anche il successore di Riccardo 2, ENRICO 4 (1399-1413) condusse tutti i suoi affari di governo in inglese. suo figlio, ENRICO 5 (1413-1422), oltre a rivendicare il suo diritto al trono di Francia, insistette anche affinchè l’inglese venisse preferito al francese tanto a corte quanto in tutte le transazioni ufficiali. Ci furono dei cambiamenti della società, che non fu più considerata ripartita in 3 stati (clero, aristocrazia e popolo), ma anzi il potere della Chiesa, grazie alla diffusione della capacità di leggere e scrivere in volgare che distingueva molte più persone rispetto agli anni precedenti, come si deduce dalle CANTERBURY TALES di Chaucer, dove si nota come molti mestieri come il Carpentiere, il Tessitore, il Tintore e il Tappezziere, venivano ora considerati validi esponenti della borghesia. Il cambiamento più drammatico fu a livello demografico perché a causa della peste bubbonica detta black death (1348-49), sono morte migliaia di persone a Londra, come si vede raccontare nel THE VISION OF PIERS PLOWMAN di LANGLAND, che scriveva come moltissimi chierici morirono a causa del loro lavoro sempre a contatto con i malati e i bisognosi. A quel tempo la peste sembrava la manifestazione di un Dio irato. Purtroppo, la peste finì con il far nascere gli antichi conflitti sociali tra chi aveva benefici della terra e chi la lavorava, di questo fatto fa riferimento il VOX CLAMANTIS di Gower, che scriveva di una violenta sollevazione popolare, come successe poi nel 1381, a causa di una nuova tassazione da parte delle classi più agiate, ma anche nel malgoverno e nello sfruttamento. Ma alla fine chi partecipò alla rivolta venne giustiziato, ma la tassazione non fu più reintrodotta ed infine ci fu una maggiore mobilità sociale, e i nobili non si considerarono più una casta chiusa e privilegiata. Anche la chiesa fu notevolmente colpita, infatti conobbe un declino numerico e qualitativo dei suoi membri, caratterizzato da un basso livello sia morale che intellettuale, per questo si misero in discussione l’autorità e la reputazione dei rappresentanti del clero stesso. Frequenti attacchi al clero sono stati fatti da parte di WYCLIF (1330-1384), e alla sua morte i suoi seguaci chiamati i “LOLLARDI”, continuarono comunque a diffondere la convinzione secondo cui le Sacre Scritture erano la sola autorità in materia religiosa. Wyclif venne anche ricordato perché esortò alla traduzione inglese delle Sacre Scritture, per diffonderlo anche ai laici e alle donne che sapevano leggere. La traduzione del testo considerato corrotto della Vulga latina, fu intrapresa negli anni 80 del 14 secolo da due discepoli di Wyclif; NICHOLAS OF HEREFORD e JOHN PURVEY, criticata perché era la traduzione della traduzione in latino delle Sacre Scritture fatta da Wyclif. Ma comunque riuscì ad offrire uno stimolo tra il 16 e il 17 secolo, per quanto riguarda la vera traduzione in inglese delle Sacre Scritture. LANGLAND (!330-1386) con THE VISION OF PIERS POWMAN, voleva che i suoi lettori leggessero questo componimento in lingua inglese attraverso ulteriori livelli di significato: analogico, morale, antropologico e allegorico. Questo componimento doveva essere interpretato come un testo che esplorava e dimostrava in vario modo l’attiva partecipazione di Dio nella creazione del mondo, rivelava anche il continuo reincarnarsi di un Dio fedele ai suoi patti e il suo incessante coinvolgimento nelle vicende umane. In alcuni momenti cruciali viene chiesto di vedere Cristo stesso nell’umana figura di Piers, un umile contadino. È il protagonista di una delle parabole agresti di Cristo, oltre che una reale incarnazione di Cristo e degli Apostoli. Ci sono 3 distinte versioni del poema che suggeriscono un approccio di volta in volta diverso a temi universali. Nel testo A, incompleto, risalente al 1360, è formato da 12 sezioni chiamate passus. Il testo b (1370 circa), offre una revisione completa del testo precedente, aggiungendo 8 ulteriori passus. Il testo C (dopo 1380), attua una Henryson invece scrive in volgare scozzese le vicende di Esopo in THE MORALL FABILLIS OF ESOPE THE PHRYGIAN (1475). Voleva anche far parlare le bestie più brute con naturalezza. The Morral sono 13 e finiscono appunto con una morale finale. Vengono descritte anche l’orgoglio, la vanità e le contraddizioni degli uomini, anche la loro follia. In THE BLUDY SERK reinterpreta la storia di un cavaliere, ucciso da un gigante mentre cerca di salvare una principessa tenuta prigioniera, nei termini della parabola della salvezza offerta da Cristo all’anima umana. Mentre ROBIN AND MAKYNE è un dialogo pastorale tra un pastore e una ragazza di campagna, in cui egli prima mostra disprezzo, poi cambia idea ma alla fine si accorge che lei ha perduto interesse per lui. Il componimento più commovente è THE TESTAMENT OF CRESSEID, che sembra essere una continuazione del Troilus and Criseyde di Chaucer. TRAMA. Dubnar si considerava un poeta di corte e appena poteva scriveva il componimento giusto per l’occasione pubblica adatta, possibilmente solenne, come THE THRISSILL AND THE ROSE, composto in onore del matrimonio di Giacomo 4 con Margaret Tudor nel 1503). Scrive anche un resoconto arguto di un incontro tra pettegole in THE TUA MARIIT WEMEN AND THE WEDO. Arriva persino a ridicolizzare la frode di un frate alchimista che diceva di saper volare, chiamando gli uccelli a testimoniare il contrario, in ANE BALLAT OF THE FENYEIT FRIER OF TUNGLAND. Medita anche sulla caducità umana, oltre che su temi religiosi, in LAMENT FOR THE MAKARIS. Il componimento vuole essere sia una celebrazione mascherata della propria arte, sia una preparazione alla morte vista una vanificazione delle pretese dei principi, prelati, sovrani, medici e poeti. Comunica anche la speranza più terrena che la poesia possa contribuire a svelare all’anima dell’uomo il suo immenso potenziale. IL TEATRO NEL TARDO MEDIOEVO Il ruolo della MORTE era molto apprezzato dai primi spettatori dei cicli inglesi di MYSTERIES PLAYS. Al termine del ciclo dei drammi (ultimi anni del 14 secolo), Dio annuncia il Giorno del Giudizio. I cicli sottolineano la bontà e la grazia di Dio, ma non dimenticano il suo terribile potere e la sua giustizia. Delineano tutti la storia della caduta di Lucifero, la creazione del mondo, la caduta di Adamo e la redenzione operata da Cristo. Le origini del teatro inglese coincidono con la diffusione della pratica di recitare il rituale liturgico della Chiesa, in latino (GUILDS: mettevano in scena dei passi della Bibbio, per esempio nel giorno di Pasqua, nei quali gli attori erano dei dilettanti, però gli effetti scenici e i costumi erano molto apprezzati e stupivano). L’attività di questi cicli era localizzata nelle città del nord d’Inghilterra e nelle Midlands, dove le Guilds potevano meglio far valere la loro indipendenza dalla giurisdizione ecclesiastica. Importanti sono 6 testi del cosiddetto CICLO DI TOWNELEY, e due delle quali si distinguevano per l’uso esteso di un peculiare dialetto dello Yorkshire e per i riferimenti alla geografia del luogo. Le due opere di Pastori, rivelano una conoscenza profonda delle dure condizioni di vita dei pastori del nord, i quali sostenevano con il loro lavoro il commercio della lana locale. TRAMA. Importante elemento si configura nell’Urgenza di un pentimento, unita alla necessità di confidare nella misericordia divina al sopraggiungere della morte, come è evidente in MORALITY PLAYS. (15-16 secolo). Queste sembrano concepite per compiacere le esigenze di gruppi di attori itineranti che si esibivano in spazi raccolti, come saloni o cortili di locande. EVERYMAN (1495), derivato da un originale fiammingo, mostra un rappresentante del genere umano visitato improvvisamente dalla Morte, soltanto BUONE AZIONI lo seguirà giustificandolo davanti all’Eterno. MANKIND si apre con un sermone di Misericordia e mostra Umanità tentando da vari vizi e da una grottesca figura di diavolo, Titivillus, il quale poi sconfiggerà queste figure e verrà portato davanti a Dio da Misericordia. Queste opere poi nel 1560 furono censurate dalle autorità civili ed ecclesiastiche, perché le consideravano offensive della dignità di Dio e dei santi. I cicli più famosi furono: IL CICLO DI YORK, IL CICLO DI CHESTER E IL CICLO DI COVENTRY. LA LETTERATURA RELIGIOSA DEL TARDO MEDIOEVO I più importanti autori della letteratura religiosa furono: ROLLE (1300-1349), HILTON (morto nel 1396) E JULIAN OF NORWICH (1342-1416), tutte e tre eremiti. Rolle scrisse le 3 brevi epistole in inglese: EGO DORMIO, THE COMMANDMENT e THE FORM OF LIVING (definisce l’amore come l’anelito di Dio, e Dio come luce e fuoco, infatti la luce di Dio illumina la nostra ragione). Scrive anche THE CLOUD OF UNKNOWING, e dice che la ragione non potrà mai conoscere Dio, ma solo la natura emotiva dell’anima lo può conoscere. Ma questo può accadere solo se si viene colpiti da un dardo, ovvero un raggio di luce spirituale. Hilton è noto per THE SCALE OF PERFECTION, un trattato scritto per una donna divenuta eremita, in cui si consigliano emendamento morale, umiltà e ascetismo per prepararsi ad una vita di preghiera contemplativa, così da far apparire l’immagine di Dio, dopo aver superato una notte scura in cui l’anima si separa dalle cose terrene. Julian scrisse invece REVELATIONS OF DIVINE LOVE, un resoconto accurato della sua esperienza mistica, dove dice di aver avuto delle visioni dopo essere stata colpita da una malattia considerata mortale. (Ne rimangono 2 resoconti di queste visioni). Il suo stile è sofisticato ma allo stesso tempo delicato, anche se lei si considera una donna debole e ignorante. Lei crede che l’amore divino possa fornire la risposta a tutti i problemi dell’esistenza umana. Le sue visioni sono assistite dalla presenza di un’altra donna, la Vergine Maria, le appaiono diverse immagini di Cristo, la dodicesima delle quali lo mostra al massimo della sua Gloria. A questo punto lei le chiede il ruolo del malo nel progetto di redenzione. Dette anche dei consigli ad un’altra donna, MARGERY KEMPE (1373-1433), la quale lasciò un resoconto dei propri disturbi mentale, delle proprie visioni e della propria religiosità quasi patologica in THE BOOK OF MARGERY KEMPE (1432). MAROLY e CAXTON. A causa dell’instabilità della vita politica e sociale dell’Inghilterra medievale e le frequenti intimidazioni che i deboli dovevano affrontare, il paese visse la GUERRA DELLE DUE ROSE. Questa guerra fu portata intanto dall’incapacità di governare sui territori francesi, e inoltre sull’incapacità di Enrico 5 di combattere e al suo disinteressamento verso la politica, in favore della preghiera. La sua impotenza politica, accentuata dalla sua follia, portò a una serie di lotte per il potere tra fazioni guidate da ricchi aristocratici. L’aspro conflitto verteva sulla legittimità delle pretese al trono di Enrico, e sulle pretese di Riccardo, duca di York. Il conflitto venne chiamato GUERRA DELLE DUE ROSE, dovuta ad una rosa rossa nell’emblema del Lancaster (a favore di Enrico), contrapposta alla rosa bianca degli York. La guerra in generale finì con la vittoria di Enrico, che rubò il trono a Edoardo 4. Ma poi venne assassinato e il trono andò a Riccardo 3, che portò l’Inghilterra ad un nuovo periodo di instabilità politica. Tale instabilità ebbe termine quando Enrico Tudor salì al trono nel 1485. (discendenza con Re Artù). In questo periodo erano importanti le figure di THOMAS MALORY (morto nel 1471) e WILLIAM CAXTON (1422-1491). Il primo scrisse LE MORTE DARTHUR, poi stampato da Caxton. L’Artù da lui descritto governa un regno che è nel contempo un mondo utopico e la concreta Inghilterra cristiana di Winchester, Salisbury, Canterbury e Carlisle, delle contee medievali, dei castelli e delle cappelle votive. Il suo tema è la vita di re Artù, dal concepimento alla morte, vengono inseriti anche lunghe parti dedicate a Ginevra e Lancillotto e alla ricerca del Santo Graal. Artù viene visto come un salvatore che arriverà in soccorso dell’Inghilterra e suscitò quindi un supporto politico a chi era prigioniero nei difficili giorni del regno di Edoardo 4. Il concetto sarebbe poi stato ripreso a scopo politico dai fantasiosi mitizzatori dei Tudor e degli Stuart. Questo testo fu di grande ispirazione per Spenser e successivamente Tennyson. L’opera di Malory si potrebbe interpretare come un’elegia in prosa per onorare il tramonto dell’aristocrazia cavalleresca, ma fu Caxton ad essere il precursore di una nuova era, perché per primo portò questa opera all’attenzione pubblica. CAPITOLO 3 I 5 re TUDOR non riconobbero la lingua Galles, ma insistettero sempre sull’importante delle loro origini Gallesi appunto. A fini propagandistici essi furono dipinti come principi di antica discendenza britannica, giunti a rivendicare il trono di re Artù e a restaurare il prestigio di Camelot. Durante gli anni della dinastia Tudor (1485-1603), si affermò sia il senso di una identità nazionale, sia l’uso della lingua inglese moderna. Inoltre, riuscirono a conquistare tutta la Britannia insulare. Il re Enrico 8 nel 1533 dichiarò ufficialmente la sua sovranità indipendentemente dall’ingerenza papale, diventata poi una Riforma inglese. (Quindi il re agiva il modo indipendente rispetto ai voleri del Papa di ROMA, successivamente si vedrà come questa riforma abbia impoverito la Chiesa Inglese, che non poteva più poggiarsi su importanti pilastri della Chiesa di Roma, isolandosi anche dalle principali correnti politiche, artistiche e religiose di altri continenti). Con questa legge: ACTS IN RESTRAIN OF APPEALS, il Parlamento escluse ogni futura possibilità di appello alla superiore autorità di Roma in materiale legale e dichiarò l’Inghilterra occupata da un unico capo supremo e re, immune da ogni interferenza di principi stranieri. In fine fu anche imposto l’uso della lingua inglese sia scritta che parlata così come la si usava a corte. Venne inglobato anche il Galles a formare l’Inghilterra, secondo la suddivisione in 12 contee come nelle altre regioni e l’introduzione della COMMON LOW inglese e l’assegnazione dei seggi in Parlamento. Questa riforma fu anche adottata nei confronti dell’Irlanda Gaelica. Volevano riunificare sia Irlanda che Scozia, ma non vi riuscirono, soprattutto perché la Scozia aveva rifiutato di far sposare Maria con Edoardo (figli del re). Sarà poi il figlio di Maria a riunire Inghilterra e Scozia nel 1603, e inaugurò così la nascita della Gran Bretagna. Gran Bretagna significava anche restaurazione dell’antico ordine perduto, originariamente imposto dai suoi mitici fondatori, i seguaci del principe troiano Bruto che aveva trovato rifugio sull’isola. Fu anche quindi chiamata Nuova Troia. L’unificazione rappresentava l’esistenza di un unico modo di esprimersi, di una unica patria, ma anche di un unico credo (religioso). La parte negativa di questa unione era che era stata imposta dal capo supremo, e i critici moderni vedono il regno di Enrico 8 e la sua ideologia, molto vicina a certe dittature del 20 secolo. Ovviamente anche la letteratura fu influenzata e riflesse le inclinazioni politiche e religiose dell’èlite dominante. Quindi gran parte della cultura propagandistica e ufficiale si può considerare espressione di un preciso progetto, volto a creare una illusione di unità nazionale e di consenso ordinato al fine di scoraggiare ogni forma di opposizione interna ed esterna allo Stato. Nel 1476 venne fondata a Westminster la prima stamperia di Caxton, che aveva contribuito alla diffusione della nuova cultura pan-europea e aveva anche stimolato l’interesse per i primi classici in volgare. Nel 1532 THYNNE pubblicò un’edizione completa delle opere di CHAUCER (maestro di eloquenza in una lingua che meritava un posto d’onore tra le altre lingue dell’Europa occidentale, più vicine al latino) che dedicò al sovrano, e sempre in questo anno, lo stampatore BERTHELET pubblicò una edizione della CONFESSIO AMANTIS di GOWER, anch’essa dedicata al re e in fine importante per il vocabolario poetico consolidato, deplorando quindi i poeti moderni che inventano neologismi e nuovi termini. Alcuni autori invece come SKELTON (1460-1529) e DAME MARGERY, autrice del poema PHYLLYPMSPARROWE (1505), si lamentavano del fatto che il loro linguaggio presentava svantaggi e non permettevano loro di scrivere in modo forbito. (Quindi consideravano il linguaggio di CHAUCER, GOWER E LYDGATE, DATATO). Margery scriverà il componimento THE GARLANDE OR CHAPELET OF LAURELL in un latino piano e facile; così faceva anche Skelton, il quale si firmava spesso come poeta laureato, abilissimo nella retorica classica. Era anche stato ex precettore del re Enrico, ed è per questo che cercava di esprimersi nella lingua della cultura e della comunicazione internazionale di alto livello, ma fece anche satire sugli usi e i costumi contemporanei. Comunque, spesso di esprimeva con termini scurrili e con il ritmo delle ballate e della poesia popolare, alienandosi così dalle simpatie dei critici. In AGANYST THE SCOTTES (1513) egli ingiuria gli scozzesi che hanno sfidato l’autorità di Enrico 8 per poi aver perso durante la battaglia di Flodden. Ma con SPEKE PARROTT, Skelton indossa la maschera di un pappagallo poliglotta, e attacca la grettezza della corte inglese. per quanto riguarda la metrica, lui crea l’effetto di una serie di sussulti e cinguettii. Inoltre, nella satira WHY COME YE NAT TO COURTE, l’autore riserva parole pungenti al ministro di Enrico 8, il neologismi derivati dal latino, infatti cerca di delineare in inglese i vantaggi e i possibili impieghi dell’educazione classica. Lo spunto per il libro emerse una sera durante una cena, per questo l’opera si sviluppa in forma discorsiva attraverso una serie di osservazioni, esempi e aneddoti. La prefazione del libro rievoca una serata in cui lo stesso Ascham aveva allietato la regina Elisabetta leggendo Demostene in greco. L’aneddoto più famoso vede protagonista Lady Jane Grey, colta a leggere i libri di Platone mentre la sua famiglia era impegnata in una battuta di caccia. Questo aneddoto rappresenta il piacere genuino dello studio. Dopo elogia la regina Elisabetta per la sua padronanza delle lingue antiche e moderne, e paragona la competenza della sovrana a quella dei suoi sudditi di sesso maschile più eruditi. Infine, secondo Ascham la conoscenza si identificava con la libertà. Enrico 8 nel 1532 nominò arcivescovo CRANMER (1489-1556), noto per essere simpatizzante della Riforma, ed è diventato strumento dell’eliminazione della supremazia papale in Inghilterra. Lui: -Annullò il matrimonio tra Enrico e la regina Caterina d’Aragona -Incoronò nuova regina Anna Bolena (1533) -Promulgò i “DIECI ARTICOLI” del 1536, una dichiarazione di fede rilasciata ufficialmente dalla Chiesa Inglese indipendente. -Responsabile della diffusione della Bibbia in inglese. -Creò 6 nuove diocesi con cattedrali e distrusse i monumenti funebri dedicati ai santi, divenuti nel tempo mete di pellegrinaggio. -Smantellò insieme al re i MONASTERI (1536-39), che comportò la distruzione delle biblioteche e il re ottenne i beni di questi. Comunque, un numero consistente di monaci e frati accettò di entrare nel clero secolare, alcuni ex-abati ricevettero una diocesi, altri furono messi a capo delle nuove cattedrali e altri ancora vissero agiatamente come signorotti di campagna. Dal punto di vista teologico e liturgico il re rimase un conservatore, infatti nell’ ATTO DEI 6 ARTICOLI, i WIPH WITH SIC STRINGS (1539), negare la TRANSUSTANZIAZIONE divenne punibile con il rogo, e i voti di celibato dei preti fu confermato (quindi i preti non potevano più sposarsi). Successivamente per volere del Consiglio della Corona, le immagini sacre furono rimose dalle chiese, i matrimoni di ecclesiastici furono riconosciuti e si procedette a una sostanziosa confisca dei beni della chiesa. L’ATTO DEI 6 ARTICOLI venne abrogato, mentre l’ATTO DI UNIFORMITà impose nel 1549, la liturgia inglese in tutte le parrocchie e cattedrali del paese, secondo quanto stabilito nel BOOK OF COMMON PRAYER. Il re Edoardo 6 poteva comunque essere educato da protestanti. Con la salita al trono di Maria, le confische dei beni considerati eretici della Chiesa non si fermò. Mentre Elisabetta cercò di conciliare politica e religione. Il secondo PREYER BOOK (1559) fu introdotto ma senza le sfumature protestanti. Nel 1562 furono approvati dal concilio ecclesiastico i “TRENTANOVE ARTICOLI”, un corpus di norme dottrinali, e ponevano enfasi sull’uso del volgare nelle pratiche di culto, e volevano una Bibbia tradotta in volgare (articolo 24). Ma esisteva comunque un gruppo di puritani che si ispiravano all’esempio di John Knox, i quali iniziarono a manifestare il loro credo a partire dagli anni 60, differente rispetto a quello che professava la Regina Elisabetta. Negli anni precedenti, nel 1540 la Bibbia fu tradotta in inglese direttamente dagli originali ebraici e greci, grazie a TYNDALE (1494-1536), il quale venne giustiziato come eretico e molte sue traduzioni volevano essere distrutte da parte di More, che le screditava dicendo che erano state contaminate dal Luteranesimo. In THE OBEDIENCE OF A CHRISTEN MAN del 1528 sostiene che l’inglese sia la lingua più adatta per la traduzione della Bibbia, perché è diretta e semplice. Infine, a lui si devono i termini Pasqua e Capro espiatorio, derivati dall’ebraico. La Bibbia venne così chiamata GREAT BIBLE. La prima Bibbia in inglese, in versione integrale, fu stampata nel 1535 da COVERDALE (1488-1568), che adottò le parti già tradotte delle Scritture di Tyndale, alle quali aggiunse la traduzione degli altri brani tratti dalla Bibbia tedesca di Lutero. Realizza una sua versione del Libro dei Salmi chiamata THE BOOK OF COMMON PRAYER (1549), a cui fu annesso il Salterio di Coverdale (1539), una autentica guida per preti e fedeli della Chiesa d’Inghilterra. Sostituivano in volgare una serie di riti latini precedenti alla Riforma e anche libri di preghiera (come le COLLECTS, brevi preghiere per la domenica + le prime due preghiere dell’Avvento), breviari, libri devozionali, e si distingue per il rifiuto di espressioni o immagini atte a suscitare emozioni. Nel 1552 fu corretto e il libro assunse un carattere più protestante. Rimaneggiato in occasione dell’ascesa al trono di Elisabetta, il libro si presentò ambiguo in merito ad alcune questioni teologiche, il che fece nascere quindi il dissenso e la nascita del gruppo dei puritani. L’emotività e la descrizione della sofferenza, dei martiri, furono scritti nel libro di FOXE (1516-1587), BOOK OF MARTYRS (1563), il quale conobbe 4 edizioni. i martiri descritti erano però quelli vissuti durante il regno della regina Maria, quindi un martirio non antico. Alla prima edizione, fu affiancato anche un polemico CALENDARIO PROTESTANTE, per commemorare le nuove generazioni della cristianità. Dà anche indicazione di come il testo deve essere letto con note scritte al margine del testo stesso. L’effetto principale della Riforma dei Tudor fu un mutamento di valori che viravano più verso il laico che il religioso, sostenendo che Dio andava servito nel mondo. In più l’enfasi posta sulla dimensione secolare è evidente nello sviluppo del teatro in volgare del 16 secolo, e l’ostilità protestane finì per eliminare gradualmente le tradizioni locali e il dramma religioso popolare. L’unico dramma di Skelton che sia giunto fino a noi, era MAGNYFYCENCE e fu scritto tra il 1515 e il 1523. L’opera offre indirettamente consiglio a un principe ammonendolo contro i rischi della superbia, della corruzione e della follia. La Magnificenza in questo caso è corrotta dalla superbia, e conduce a credere in falsi valori che provocano un allontanamento dalla grazia e dalla prosperità. Una figura importante fu BALE (1495-1563), autore di una ventina di opere, tra le quali KING JOHAN (1536), il quale viene spesso ritenuto il primo dramma inglese basato sulla storia nazionale, anche se la storia viene utilizzata a fini propagandistici e i personaggi storici vengono introdotti come personificazioni di vizi e vitù. Questo re cercò di allontanare l’Inghilterra dalla Chiesa di Roma, prima che lo facesse Enrico 8. Mentre THREE LAWES, GOD’S PROMISES, JOHN THE BAPTIST e THE TEMPTATION OF OUR LORD, trattano il tema della corruzione per mano dell’uomo dello schema divino di salvezza e il pentimento individuale viene visto come uno strumento per riportare la grazia al genere umano. Non ci fu quasi risposta da parte dei cattolici alla propaganda teatrale protestante, solo poche figure parteciparono a un contrattacco. Tra le figure più note spicca: -UDALL (1504-1556), che realizzò commedie come RAPLH ROISTE DOISTER (1552), diviso in atti e scene come nel modello classico, con l’aggiunta di un linguaggio altisonante, canzoni, e il verso rimato. L’influenza di Terenzio è evidente nella commedia a 5 atti GRAMMER GURTONS NEDLE (1560), il tema non è quello accademico, perché racconta di un ago mentre Gurton riparava dei pantaloni di pelle che fu ritrovato quando il proprietario di questi pantaloni ricevette un calcio sul posteriore. La tragedia inglese mostrò al suo nascere, l’influenza di Seneca e del teatro sanguinario e sensazionalistico. Tra il 1559 e il 1561, HEYWOOD (1535-1598), pubblicò le traduzioni inglesi delle TROADES, del TIESTE e dell’HERCULES FURENS di Seneca. Le opere di Seneca venivano viste come modelli capaci di mostrare l’operato della giustizia divina e gli effetti della vendetta umana ed esprimevano forti sentimenti morali in uno stile retorico. NORTON (1532-84) e SACKVILLE (1536-1608) scrissero GORBODUC, noto anche come THE TRAGIDIE OF FERREX AND PORREX, è considerato il testo teatrale più innovativo tra quelli ideati nei primi anni del regno di Elisabetta. Descrive le indagini sulle origini della decadenza politica. La storia narrata indica come causa della fine della dinastia, la follia dei vecchi unita alla gelosia dei giovani, e la soluzione sarebbe quella di convocare un parlamento che designasse degli eredi regali capaci. Il successo dell’opera è dovuto anche allo sviluppo drammatico dei temi affrontati, infine ogni atto è introdotto da una pantomima. Nel periodo Elisabettiano ci fu un aumento prospicuo di opere narrative in volgare, forse dovuto al sorgere di gusti borghesi, o come anticipazione del tema dell’impero, che avrebbe in seguito caratterizzato il romanzo inglese. PUTTENHAM (1529-91) e SIDNEY (1554-86) scorsero nella loro epoca i segni di una crisi delle lettere. In THE ARTE OF ENGLISH POESIE (1589) e THE DEFENCE OF POESIE (1595) è evidente lo sforzo di delineare una tradizione poetica che includa sia l’opera degli antichi, sia quella in volgare, e di indicare la via di un futuro sviluppo proponendo nuovi precetti normativi. Entrambi i testi hanno circolato in forma manoscritta prima di essere pubblicati. Secondo Puttenham, la figura dell’uomo colto di corte ha una particolare importanza e deve rivestire un ruolo centrale dal punto di vista culturale, come viene descritto nel suo trattato in 3 libri, insistendo sulla nobilitazione del moderno poeta gentiluomo, acquisiti grazie alla frequentazione della corte di un principe. Per questo autore la figura della regina Elisabetta è importante perché surclassa tutti i suoi vassalli nella scrittura, ed è il soggetto scelto per i suoi anagrammi e in 3 poesie pittogrammatiche. Cerca anche di definire un codice di buone maniere letterarie, e bisogna prendere in considerazione le figure di CHAUCER e GOWER, inoltre nel secondo e terzo libro del trattato, l’enfasi è posta sui tentativi di definire generi, forme, metri e immaginario poetico, e finisce con lo sfoggiare diagrammi illustrativi e citazioni greche. Il tono di THE DEFENCE OF POESIE di SIDNEY è leggero e colloquiale, e inizia l’opera con un aneddoto legato a una missione diplomatica in Germania, durante la quale aveva conosciuto uno degli uomini di corte italiani al servizio dell’imperatore. Si rivolge ai lettori ma non in senso di superiorità, infatti chiede loro di mettere in discussione l’autorità degli scrittori che hanno abbassato il livello di poesia, fino a renderla una filastrocca per bambini. Questo trattato risente del desiderio di voler rispondere a Platone e ai suoi compagni che odiano la poesia e cerca di esprimere le proprie osservazioni personali. Afferma inoltre che se la poesia, soprattutto quella lirica, genera piacere, può essere maestra di virtù, libera infatti la mente dalle cose terrene, elevando il pensiero. La vera poesia arriva ad offrire una immagine di libertà. Ha scritto anche l’ARCADIA, il suo lungo romance in prosa inframezzato da poesie ed elegie pastorali. Affronta qui i temi contrapposti di onore e inganno, serenità mentale e passione, nobiltà e seduzione e violenza. La prima versione finisce con il processo di un omicidio e culminerà con il risveglio del re creduto avvelenato. Nel testo riveduto, vengono inseriti nuovi personaggi e avvenute inedite in sostituzione con quelle già esistenti, allo scopo di incrementare il contrasto tra il comportamento esteriore e l’emotività. La forma narrativa sembra appesantita da riflessioni morali e ragionamenti tortuosi, mentre le singole frasi, sono piene di similitudini e metafore. Il secondo libro della Old Arcadia inizia con la descrizione dell’immane distruzione causata dal veleno d’amore. Scritto per sua moglie Mary (1561-1621), la quale radunò attorno a sé un numeroso gruppo di poeti, intellettuali e teologi di orientamento calvinista. Continuò la traduzione in versi di 107 Salmi, i quali versi erano precisi, eloquenti e privi di solennità; e approvò la pubblicazione postuma delle opere di Philip Sydney; THE LADY OF MAY, uno spettacolo di corte che tratta di una disputa tra un pastore e un guardaboschi per decidere chi sposerà la signora del titolo; e la sequenza di sonetti (108) + 11 canzoni in ASTROPHIL AND STELLA, racconta l’amore non ricambiato di un amante delle stelle e una stella lontana. L’impossibile conciliazione tra questi lo si può notare se si guarda il titolo, scritte in due diverse lingue classiche (greco e latino). Il protagonista termina il suo lungo corteggiamento consapevole del proprio fallimento, senza avere la sensazione di essere passato attraverso un’esperienza spirituale purificante (come Elisabetta, che era l’essenza della perfezione immutabile. La sua persona era anche paragonata alle dee Diana e Cinzia. Nel 1588 la Regina Elisabetta si presentò sul campo di battaglia contro l’armata spagnola indossando una armatura, e questo evento confluì nel personaggio della vergine guerriera Britomart di THE FARIE QUEENE (che sono ben 6 libri), tributo offerto da SPENSER (1551-1599) alla regina. Questa figura riprende anche delle caratteristiche della Bradamante dell’Orlando furioso di Ariosto e di un personaggio di un componimento di Virgilio. Era quindi una vera eroina inglese con le caratteristiche di Marte. Le qualità di Elisabetta sono riconosciute come ispiratrici della virtù morale, inoltre viene rappresentata allegoricamente come Santità, Moderazione e Castità (nei primi 3 libri). Negli altri tre libri invece trattano delle virtù di Amicizia, Giustizia e Cortesia, ma descrive anche la decadenza del proprio presente politico. Quindi nel testo ci sono delle contraddizioni, perché appunto l’autore dice che né la storia dell’uomo, né l’immagine del regno perfetto possono essere conservati in uno stato immutabile. Mentre il 7 libro incompleto avrebbe dovuto parlare di Costanza, in riferimento al motto personale della regina: SEMPER EADEM. Il mondo favoloso di questo poema è uno spazio imprecisato, ricco di bestie e giganti, inoltre gli edifici e i giardini sono ben descritti. Realizza anche un’opera di 12 libri dedicati alla descrizione di diverse avventure intraprese dai cavalieri e dalle dame in onore dei 12 giorni della festa di Gloriana. Tutto questo si trova in una lettera del 1589, indirizzata a Ralegh, poi pubblicata come prefazione dell’opera. Importanti furono le influenze sia da parte dell’Orlando furioso di Ariosto, sia dalla Gerusalemme liberata di Tasso, dai quali prese sintagmi verbali, immagini cavalleresche, personaggi, incontri e avvenimenti (che sono poi quelli del romance cavalleresco medioevale, italiano). Il linguaggio comunque risente dell’influsso delle tradizioni letterarie nazionali. I poemi di Spencer richiedono attenzione, perché riscontrano diversi livelli di significato e di interpretazione e vi sono sia metafore che similitudini estese. Per il linguaggio si rifà anche a Chaucer, come per esempio nella descrizione degli alberi nel Libro 1, ma c’è anche un esplicito riferimento all’opera PARLAMENT OF FOULES, sempre di Chaucer). Il linguaggio è anche ricco di solennità e artificiosità. Spencer descriveva nei suoi libri la decadenza del regno, forse a causa della questione irlandese, come scrive in VIEW OF THE PRESENT STATE OF IRELAND (1633), egli proclama la superiorità del governo, della società e dell’intraprendenza inglesi nei confronti degli antichi modelli irlandesi. Un’ Irlanda non sottomessa e ribelle, rappresentava forse una sfida al tentativo di diffondere l’ideale delle virtù morali di un immaginario passato cavalleresco. Ma è anche possibile che la causa del turbamento di Spenser sia anche dato dalla corte della ormai non più giovane regina. Scrive quindi PROSOPOPOIA, OR MOTHER HUBBERDS TALE (dopo il 1575), una satira in distici alla maniera di Chaucer, che esprime una ripugnanza nei confronti delle novità, delle ostentazioni e la incostante mutevolezza delle maniere di corte. Dopo una sua visita a Londra, scrive COLIN CLOUTS COME HOME AGAIN (1595), un componimento allegorico e pastorale che rievoca il soggiorno in quella città. Realizza anche le 12 egloghe che costituiscono THE SHEPHEARDES CALENDER, le quali si rivelano sperimentazioni poetiche di convenzioni pastorali virgiliane e hanno una varietà di metro, tematiche e personaggi. Scrisse ance 89 Amoretti e 1 inno matrimoniale: EPITHALAMION, che hanno una raffinatezza lirica evidente. I sonetti riadattano il modello petrarchesco, proponendo una donna che non è più una immagine irraggiungibile di perfezione, ma una creatura che riflette. Segnano il passaggio del tempo dalla primavera di un anno, alla Quaresima e alla Pasqua dell’anno successivo. Epithalamion esprime il cerimoniale e i festeggiamenti di uno sposalizio, in cui riferimenti pagani si sovrappongono alla celebrazione cristiana. Formato da 24 stanze di 18 versi, che seguono il percorso di una coppia nunziale dall’alba fino alla notte. La seconda ode nuziale, PROTHALAMION (1596), composta in onore del matrimonio delle due figlie del conte di Worcester, è di carattere più formale e pubblico. DANIEL (1563-1619), scrive DELIA, composta da 28 sonetti, nella quale viene ricercata la peculiare risonanza della lingua parlata. Inoltre, ama cimentarsi con metafore verbali e intellettuali. La sua opera successiva costituita da 8 libri: THE CIVIL WARS BETWEEN THE TWO HOUSES OF LANCASTER AND YORK (1595-1609), è sia un’analisi in strofe della crisi dell’Inghilterra nel periodo precedente all’avvento dei Tudor, sia uno studio alla maniera degli antichi storici romani. Proseguì la sua carriera come poeta di corte e come ideatore di RAPPRESENTAZIONI ALLEGORICHE O MASQUES, dedicate al re Giacomo 1. DRAYTON (1563-1631), invece ricorda gli sviluppi politici che segnarono il passaggio, dal secolo 16 al secolo 17 (quindi dal regno di Elisabetta fino alla nuova dinastia). Ne parla nel ventesimo componimento inserito nella raccolta dei sonetti IDEA (1619). Descrive quindi il cambiamento che caratterizza la politica interna inglese. analizza anche una relazione tra amanti, caratterizzata da continue rotture, assenze e lamenti. Propone anche una battaglia con Eros. Con il sonetto d’apertura di Idea, cerca di spiegare al lettore come dovrebbe interpretare l’opera. In MORTIMERIADOS (1596), l’autore si misura con argomenti derivati dalla storia nazionale, come per esempio si analizzano i disordini che caratterizzano il regno di Edoardo 2, argomento ampliato in THE BARONS WARRES (1603). La determinazione di questo autore nello sfruttare la storia inglese, sia medievale che moderna, è evidente anche in due ODI nazionalistiche del 1606: TO THE VIRGINIAN VOYAGE, in cui si celebra la nuova impresa coloniale; e TO THE CABRO BRITANS, AND THEIR HARPE, HIS BALLAD OF AGINCOURT. Le sue ambizioni patriottiche raggiunsero il culmine nei 30 000 versi di POLY-OLBION, pubblicato in due parti: 1612-1622. Il titolo può essere tradotto come: Albione che ha molte ricchezze. L’isola descritta nelle 30 canzoni in cui il poema è diviso, è narrata molto attentamente. Fu dedicata ad Enrico, principe di Galles. GREVILLE (1554-1628), descrisse in modo critico il regno di Elisabetta e la depravazione morale che caratterizza il regno di Giacomo. Le liriche CAELICA (1633). Sono 109 liriche dove l’amante concentra le proprie energie mentali ed emotive su situazioni e amanti diverse (Caelica, Myra e Cynthia). Quindi sia le relazioni che i personaggi sono mutevoli, l’unica cosa immutabile è il Dio severo, sentenzioso e mai sorridente. Ma tenta anche di analizzare le problematiche e le contraddizioni insite nel mito cristiano del peccato originale. DAVIES (1569-1626), in NOSCE TEIPSUM (1599), è una meditazione in quartine sulla natura dell’uomo e l’immortalità dell’anima. È anche ricordato per la sua analisi simbolica della danza in ORCHESTRA OR A POEME OF DAUNCING (1596), che si propone di rievocare le riflessioni di Antinoo, il corteggiatore di Penelope che vuole far ballare la regina. In questo poema la danza conferma la regolare armonia dell’ordine terrestre e del cosmo. Inoltre, la musica, la danza e la canzone hanno un ruolo cruciale nel determinare il livello culturale della classe dominante. CAMPION (1567-1620) scrisse 150 liriche accompagnate da musica strumentale di sua creazione. Scrisse anche masques per la corte e per influenti famiglie nobili. La sua passione per la musica la si può trovare in BOOKS OF AIRS, una raccolta di liriche, che ricreano in inglese l’effetto delle liriche latine di Catullo e Tibullo. Questo autore è molto abile nell’usare rime e tutte le forme poetiche, che danno vivacità a sentimenti amorosi. La sua delicatezza attesta il sopraggiungere dell’era dell’inglese moderno, adeguato mezzo di espressione del sentimento lirico. MARLOWE (1564-1593), scrisse una delle più importanti liriche elisabettiane: THE PASSIONATE SHEPHERD TO HIS LOVE. Tradusse anche le ELEGIE di Ovidio in distici inglesi, e di Lucano tradusse DE BELLO CIVILI, in pentametri inglesi sciolti. Importante è anche HERO AND LEANDER, un poema diviso in due parti, con l’aggiunta di 4 sestine (1598), che descrive la storia dell’incontro e della separazione di due amanti, Ero, vestita con gran decoro; e Leandro, dai lunghi capelli e caratterizzato da una bellezza effemminata, determina sia la tragicità che la complessiva struttura di riferimento del poema. SHAKEPSEARE (1564-1616), scrive VENUS AND ADONIS (1593), dedicato a HENRY WRIOTHESLEY, e si descrive il corteggiamento, da parte di una divinità adulata e depravata, nei confronti di un giovane, che scappa perché gli interessa solo la caccia. L’opera finisce con la morte di Adone e la disperazione di Venere che lo accoglie in un abbraccio mortale. Realizza anche LUCRECE (1594), dedicata al conte di Southampton opera più cupa e tragica. Qui invece la violenza è rivolta nei confronti di una donna virtuosa romana, da parte di Sesto Tarquinio. Questo fu utile per bandire i Tarquini e passare da monarchia a repubblica. Il poema finisce con Lucrezia che si toglie la vita dopo lo stupro. Mentre in A LOVER’S COMPLAINT, una ragazza di campagna arriva a conoscere l’inganno d’amore, e nello strazio dell’abbandono getta in un fiume i vecchi pegni d’amore dei suoi corteggiatori. I 154 sonetti di Shakespeare vengono generalmente suddivisi in 3 gruppi: -126, sono rivolti a un bel giovane -26, si riferiscono a un nuovo legame con una Dama bruna -2, offrono una nuova interpretazione del tema eroico, rappresentando in modo fantasioso le vicende di Cupido e la perdita del suo “dardo”. Vi sono dei sottogruppi: -1-17, incoraggiano il giovane al matrimonio -36-46, affrontano la minaccia rappresentata da un poeta rivale. In fine secondo Shakespeare, i difetti che generano e allo stesso tempo corrompono la spensieratezza umana, non si trovano nelle stelle, ma in noi stessi. Il teatro Molti testi teatrali in quell’epoca, erano spesso copie abusive di testi non autorizzati, inoltre non erano ben viste (le opere teatrali), perché potevano distogliere lo studioso da questioni più importanti, sottraendogli tempo. Molti teatri comunque nella Londra del tardo secolo 16, erano iniziati ad essere parte integrante della cultura metropolitana popolare. Molte compagnie teatrali viaggiavano per portare le loro opere in Europa, come faceva KYD con la sua opera THE SPANISH TRAGEDY. Importante fu la figura di BURBAGE che nel 1576, fondò un teatro permanente in legno, chiamato THEATRE e segnò la fine delle rozze rappresentazioni offerte dagli attori nei cortili delle locande (playhouse). Vennero poi fondate altre playhouse, come ROSE, SWAN, GLOBE e HOPE. Questi teatri erano costruiti in legno ed erano a piante poligonale o comunque circolare, erano decorati secondo le interpretazioni inglesi del gusto ornamentale Rinascimentale, e potevano contenere un vasto numero di persone. In fine venne creato sempre da Burbage, un nuovo teatro ma al coperto, realizzato nei vecchi edifici a Blackfrias, qui si trasferì la compagnia teatrale di Shakespeare, i KING’S MEN. Gli attori venivano vestiti con abiti sontuosi per distinguerli dal pubblico, perché essi lavoravano molto vicini agli spettatori. Le parti femminili venivano recitate solo da fanciulli, e le opere venivano rappresentate solo poche volte o dietro pubblica richiesta. La rapida evoluzione degli edifici si deve alla comparsa di un nuovo tipo di tragedia, il BLANK VERS (pentametro giambico sciolto), e le figure più importanti che scelsero questo nuovo tipo furono: KYD e MARLOWE. Kyd introduce un nuovo tipo di protagonista, un cospiratore ossessivo, pensieroso e sospettoso, capace di vendicarsi. Inaugura un e tirannia distorcono le relazioni umane e politiche, mentre gli ideali umanistici di autodisciplina e conoscenza di sé sono la risposta al malgoverno pubblico e privato. Nella sua ultima opera Henry 8, il prestigio del re sembra innalzarsi al cadere dei suoi alleati, amici e consiglieri di un tempo, e sembra soddisfatto delle profezie sul futuro vittorioso della figlioletta Elisabetta. Questa opera rimane importante perché mostra un sereno letto di morte all’interno di un genere letterario non religioso. La regina Katherine viene rifiutata dal re per ragioni di stato, ma l’avvicinarsi della morte le impone una riconciliazione con i nemici (presumo con il re che l’ha rifiutata) e la sistemazione degli affari terreni, come prescritto dall’etica cristiana. Quindi può preparare serenamente il proprio funerale, che proclamerà la sua piena dignità. Questa opera restituisce dignità ad una donna offesa e cosa più importante, rende umana la regina. JONSON (1572-1637), nella sua commedia londinese BARTHOLOMEW FAIR (1614), si rivolge all’attore che interpreta il ruolo del suo scrivano e rivolge delle critiche al pubblico contemporaneo e ai suoi gusti, inoltre definisce come antiquate le tragedie degli anni 90 e dice che le mode di un tempo dovrebbero essere dimenticate. In fine definisce che il dramma ibrido e tragicomico sia indecoroso e contro natura. FLETCHER (1579-1625) in THE FAITHFUL SHEPHERDENESS, insisteva sul fatto che la tragicommedia non era così chiamata perché mescolava allegria e omicidi, ma perché rifuggiva dalla morte. Lui sperimentò una gran varietà di generi teatrali, aveva sviluppato un particolare tipo di opera teatrale, che combinava intrigo e avventura, amore e pericolo, temi bucolici e lirici. Le sue tragicommedie hanno un lieto fine, infatti in PHILASTER, OR LOVE LIES A-BLEEDING (1609), scritto da Fletcher e BEAUMONT, mostra ingiustizie riparate, disastri evitati ed eredi rientrati nei loro diritti. E in A KING AND NO KING, la passione incestuosa di un re per la sorella viene meno quando egli scopre di non essere né un re e di non avere una sorella. In THE TWO NOBLE KINSMEN scritto da Fletcher e Shakespeare, racconta una storia di rivalità cavalleresca, relazioni difficili e mutamenti improvvisi. Secondo il protagonista le sorprese dell’opera sono attribuite all’agire del fato. BEAUMONT (1584-1616) scrive la commedia THE KNIGHT OF THE BURNING PESTLE (1607), ambientata nella Londra contemporanea, si apre come se fosse un prologo alla rappresentazione di una raffinata opera teatrale, interrotta da un rozzo cittadino e da sua moglie, i quali chiedono che gli attori recitino qualcosa di più vicino al loro gusto popolare. Vuole che i mercanti non siano più ridicolizzati e vuole che una parte dell’opera sia riservata al suo apprendista Rafe, vanitoso attore dilettante, e così succede. Così cavalleria e commercio si riuniscono sul palco. PEELE (1556-1596) con THE OLD WIVE’S TALE (1590) voleva combinare elementi plautini e di moderno folklore inglese. l’autore la intendeva come un commento satirico alla moda pastorale di evasione. DEKKER (1570-1632), insiste con le sue opere sull’onesta fatica del lavoro e del commercio quali indicatori dello stato di salute di una nazione moderna (in THE SHOEMAKER’S HOLIDAY). L’orgoglio professionale, l’arroganza dell’arrivista e il conflitto tra generazioni e classi sociali, compaiono anche in tre delle commedie londinesi di MIDDLETON: A MAD WORLD, MY MASTERS; A TRICK TO CATCH THE OLD ONE; A CHASTE MAID IN CHEAPSIDE. In ogni opera la generazione più vecchia e sempre sorpassata/fregata dalla classe più giovane, e la prontezza di spirito si dimostra essere la maggior difesa contro l’oppressione e l’arbitrio. MASSINGER (1583-1640) in A NEW WAY TO PAY OLD DEBTS, descrive il contrasto esistente tra nobili e borghesi. Per lui il lieto fine comico sembra richiedere un ritorno alla situazione originaria. JONSON scrive commedie più aggressive, e sovversive, si distinguono per la stravaganza dei personaggi e la linearità dell’intreccio. Per quanto riguarda gli spettacoli di corte, i masques, esprimono diffidenza nei confronti dell’aristocrazia. Mentre le prime opere raccontano di raggiri e potere. I protagonisti sono geniali, ma la loro ambizione ha un vizio d’origine. In THE ALCHEMIST in particolare, egocentrismo, egoismo, e frasi fatte precludono i dialoghi, e i personaggi sono totalmente separati gli uni dagli altri nelle loro voci. In EVERY MAN IN HIS HUMOUR, intende difendere i pregi delle proprie opere davanti al degradato gusto popolare. TRAME DI: EPICENE, THE ALCHEMIST E BARTHOLOMEW FAIR, THE MAID’S TRAGEDY. I suoi EPIGRAMMES, sono brevi composizioni rivolte alla propria musa, a re Giacomo, a nobili di spicco, ad amici letterati, a nemici, tutti in versi inglesi, rimati dalle compatte forme latine di Orazio. Importanti sono anche i temi che riguardano la virtù, il servizio dello stato, il tradimento e la cospirazione, nelle sue opere SEHANUS HIS FALL (1603) e CAITILINE (1611), i quali si basano sui precedenti drammi classici e storici, gli oratori e i poeti latini. TRAMA. Importanti sono anche CAESAR AND POMPEY di CHAPMAN e THE ROMAN ACTOR di MASSINGER. TRAME. Chapman (1559-1634) scrisse anche opere che riguardano gli oscuri intrighi della corte di Francia e ai personaggi storici dilaniati dalle loro enormi ambizioni, come in THE REVENGE OF BUSSY D’AMBOIS, THE CONSPIRACY AND TRAGEDY OF CHARLES, DUKE OF BYRON (trame). In quegli anni divennero importanti alcune opere che avevano come argomento l’infelicità domestica degli inglesi e le relazioni sempre più tese tra mariti e moglie della classe media, come in THE LAMENTABLE TRAGEDY OF THE PAGE OF PLYMOUTH di Jonson e Dekker. Ma anche THE TRAGEDY OF MR ARDEN OF FAVERSHAM, A WZRNING TO FAIR WOMAN, A YORKSHIRE TRAGEDY che sono 3 opere anonime. Erano tutte basate su eventi reali, omicidi di mariti da parte di mogli adultere o dei loro amanti (nelle prime due), mentre la terza parla del massacro della sua stessa famiglia da parte di un marito sconvolto. Sono anticipazioni della DOMESTIC DRAMA. HEYWOOD (1574-1641) scrive A WOMAN KILLED WITH KINDNESS (1603) e si apre con un matrimonio tra una presunta donna ideale e un uomo fiero della propria felicità e della propria posizione sociale. Successivamente i due filoni paralleli della trama degenerano nello spargimento di sangue, nell’inganno e nella distruzione. (rissa + assassinio). Il marito scopre la moglie a letto con l’amante e abbandona la sua casa. MARTSON (1576-1634), con la sua opera ANTONIO AND MELLIDA, scritta in due parti, dove nella prima analizza gli intrecci comici del vero amore nell’Italia delle classi alte, e nella seconda tratta di intrecci tragici, di intrighi, fantasmi, pazzia simulata e vendetta. In THE MALCONTENT espone il suo punto di vista criticando il malessere di uomini e donne di un’epoca malvagia e le sue parole finisco per essere un attacco al cielo. Mentre nell’opera di TOURNEUR (1575-1626): THE ATHEIST’S TRAGEDY, vengono esposti i pericoli dei vizi legati alla libertà di pensiero e le minacce del principio di vendetta. Viene ambientata in una corte italiana, che esprime un senso di sgradevolezza perché si tratta di una corte corrotta. Inoltre, i nomi sono versioni italianizzate degli stereotipi che si incontrano nella prima tradizione inglese di MORALITY PLAYS. Per esempio, il vendicatore si chiama Vindice, i malvagi di nobili origini sono chiamati LUSSURIOSO, Ambitioso e Supervacuo, mentre i loro seguaci sono chiamati Nencio e Sordido. Mentre nelle due tragedie di MIDDLETON: WOMEN BEWARE WOMEN e THE CHANGELING, si possono vedere donne prima corrotte e poi obbligate a vivere fino in fondo le conseguenze di questa corruzione, fino a morirne, sono infatti confinate in luoghi angusti e raggirate da uomini o altre donne. TRAME. WEBSTER (1578-1634) scrive THE WHITE DEVIL, una revenge tragedy. TRAMA. Scrive anche THE DUCHESS OF AMALFI. TRAMA. FORD scrive ‘TIS A PITY SHE’S A WHORE. TRAMA. Ma anche THE CHRONICLE HISTORY OF PERKIN WARBECK; A STRANGE TRUTH. TRAMA. Importanti di SHIRLEY sono THE TRIAITOR e THE CARDINAL. TRAMA. The Cardinal è l’ultima delle Revenge Plays, perché i teatri vennero chiusi nel 1642, forse per far tacere l’avversione puritana. Furono riaperti nel 1660 e fino a quel momento le opere teatrali furono solo lette e non rappresentate, e furono modificate secondo le nuove mode e i nuovi gusti. Il Rinascimento inglese finì con un’affermazione restrittiva e puritana dell’indipendenza nazionale dalle norme europee, estetiche e di governo. Capitolo 4 – RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE: la letteratura dal 1620 al 1690 Il giorno dell’Epifania del 1620, Ben Jonson presentava alla corte di re Giacomo I il masque “News from the New World Discovered in the Moon (Notizie dal nuovo mondo scoperto sulla luna). Lo spettacolo presentava al re una immagine fantastica e architettata della sua grandezza. Creature lunari dalle sembianze umane discendevano dal paradiso artico ricreato sul palco, si scrollavano di dosso cristalli di ghiaccio, cantavano la perfezione del re offrendo con le loro danze una rappresentazione simbolica del suo armonioso governo. Tra i danzatori primeggiava l’erede al trono, Carlo, principe di Galles. Non poteva esserci contrasto più forte di quello tra le stravaganze del masque di corte e la ferrea determinazione degli esuli puritani che avrebbero di lì a poco fondato la colonia di Plymouth. La compresenza di questi poli opposti caratterizza sia la politica sia la letteratura del Seicento. Il masque celebrava un sovrano ideale, suggerendo che le sue azioni potevano essere un “libro delle somme perfezioni”. Il puritanesimo dei Padri Pellegrini esigeva invece il rifiuto di uno dei capisaldi della concezione regale di Giacomo I, vale a dire la fusione dello Stato e della Chiesa inglesi nella persona stessa del sovrano e dei vescovi di sua nomina. Il figlio di Giacomo, che succedette al trono nel 1625 col nome di Carlo I, fu il primo monarca inglese nato sotto la Chiesa di Inghilterra e si dimostrò anche il suo più strenuo difensore. Il tentativo di Carlo di estendere l’ordine ecclesiastico e la liturgia della Chiesa riformata al regno di Scozia segnò l’inizio di una prolungata sfida alla sua autorità. Nel dicembre del 1641 Carlo aveva proclamato la Chiesa di Inghilterra la più pura e gradita alla sacra parola di Dio tra tutte le religioni professate nel mondo cristiano e si era dichiarato pronto al martirio e disposto a suggellare la sua professione di fede col suo stesso sangue. Sia Carlo I sia il principale strumento della sua politica ecclesiastica, l’arcivescovo Laud, erano destinati a morire sul patibolo in seguito al fallimento dei loro intensi sforzi di affermare il principio dell’uniformità all’interno della Chiesa. In nessun altro periodo della storia britannica la disparità tra l’ideale di un ordine politico e spirituale e la realtà del dissenso e del disordine ha prodotto sconvolgimenti così profondi nella vita civile e ha dato vita a una espressione letteraria tanto significativa. La grande passione di Giacomo I e di suo figlio per l’arte del masque testimonia il loro desiderio di servirsi dei simboli del teatro per consacrare il principio dell’investitura divina del monarca in terra. Per entrambi, l’unione della corona inglese e scozzese sotto l’egida degli Stuart implicava la restaurazione del regno primigenio del mitico eroe troiano Bruto, da cui il nome Britannia. Per entrambi, una politica di neutralità nelle questioni europee e la riconciliazione col nemico di sempre, la Spagna, sembravano inaugurare una nuova era di pace, prosperità e concordia. Feste magnifiche celebravano simbolicamente il favore della provvidenza e l’eccezionale gloria a cui era assunta la Gran Bretagna. Con il primo dei masques composti per Giacomo I, The Masque of Blacknesse, 1605, Ben Jonson aveva decretato il destino particolare di questa “blest isle”. Per lui e altri committenti, il masque equivaleva a una complessa ed elevata dichiarazione politica. Il masque attuava una fusione di poesia, scenografie dipinte, musica, canto, danza, scenotecnica ed elaborati costumi. La realizzazione degli spettacoli, allestimenti unici o replicati al massimo tre volte, era incredibilmente costosa. Per questi intrattenimenti la corte spendeva annualmente la cifra di 3000-4000 sterline. La caratteristica distintiva del masque rispetto al teatro pubblico risiedeva nell’utilizzo di attori sia professionisti che dilettanti, o meglio, nel fatto che vi prendessero parte membri della famiglia reale e dell’aristocrazia. La figura del sovrano assumeva una posizione centrale nel contesto dell’intrattenimento e il pubblico si componeva esclusivamente degli esponenti più in vista della corte. L’evento nel suo complesso veniva percepito come un solenne esercizio etico compiuto in forma drammatica. Jonson sottolineava che nel masque allo splendore della rappresentazione esteriore corrispondesse idealmente un’innata virtù interiore. Tolta la maschera, l’attore-cortigiano usciva dall’esperienza dello spettacolo arricchito nel proprio animo affari ecclesiastici e la stretta vicinanza al re furono le cause scatenanti dell’aperta opposizione politica alla corte, in parlamento come altrove. Nel 1641, Laud fu accusato di alto tradimento da un parlamento a maggioranza puritana e venne incarcerato nella Torre di Londra. Il processo, svoltosi sono nel 1644, si concluse con la condanna a morte. L’esecuzione capitale ebbe luogo a Tower Hill nel gennaio del 1645. L’incapacità dell’arminiano Laud di imporre un grado di uniformità accettabile e duraturo alle questioni religiose inglesi derivava dal suo atteggiamento intollerante nei confronti della varietà di riti e liturgie e dall’aver sottovalutato la forte adesione popolare agli estremismi del protestantesimo inglese nei primi quarant’anni del Seicento. Laud non era che l’esponente più attivo tra gli anglicani militanti. Il giorno prima di essere giustiziato, nel gennaio del 1649, Carlo I raccomandò caldamente a sua figlia Elisabetta i tre libri che egli stesso aveva letto nell’ultimo periodo di prigionia. Alla principessa spiegò che la difesa da parte di Laud del cattolicesimo anglicano contro le critiche di “Fisher il gesuita”, il Trattato sulle leggi della politica ecclesiastica di Richard Hooker e i Sermons (Sermoni) di Lancelot Andrewes l’avrebbero protetta dal papismo. Richard Hooker (1554-1600) era l’autore della più articolata apologia della Chiesa d’Inghilterra dal punto di vista filosofico e teologico. La sua opera offriva una giustificazione dell’episcopalismo e al tempo stesso elaborava una teoria della legge ecclesiastica e civile basata su una legge naturale che aveva per sede “il cuore di Dio” e per voce “l’armonia del mondo”. Hooker sosteneva inoltre che se era vero che la Chiesa rappresentava la continuazione ideale delle prime comunità apostoliche, essa non era tuttavia una istituzione statica, ma un organismo destinato a evolversi al mutare delle epoche e delle circostanze. Analogamente, le opere di Lancelot Andrewes (1555-1626) presentano una difesa erudita delle pretese della Chiesa d’Inghilterra di rappresentare il vero cattolicesimo, e sono permeate da una identica ostilità nei confronti della rigidità dei puritani, in particolare in merito all’autorità inconfutabile delle Sacre Scritture. I XCVI Sermons (XCVI Sermoni, 1629) di Andrewes evitano in genere di scendere in controversie specifiche. Si tratta di testi composti per essere letti a corte in occasione delle principali festività cristiane. I sermoni si rivolgono alla razionalità e non all’emotività dell’ascoltatore, e ad animi sereni piuttosto che travagliati. Andrewes porta avanti il suo discorso con impegno, precisione, freddezza e vigore, senza mai perdere la concentrazione, focalizzata sulle poche parole del testo biblico, di cui estrapola diligentemente il significato. Pochi scrittori inglesi hanno posto altrettanta enfasi sul Logos, un termine che per Andrews indica sia il Verbo divino, sia il perno attorno a cui ruota tutta la sua dottrina. Nel sermone del giorno di Pasqua del 1623 Andrewes analizza attentamente una serie di idee correlate, tratte dalla visione del profeta Isaia di un uomo dagli indumenti macchiati di rosso “come se avesse pigiato l’uva”. Dopo aver rievocato l’esitazione del profeta stesso circa l’interpretazione della visione, procede secondo uno schema di metafore intrecciate in cui Cristo è il pigiatore d’uva, la vittima e colui che offre la coppa sacramentale. A un primo e più immediato livello, il testo presenta il dialogo tra Isaia e Cristo, tra il profeta e l’oggetto della profezia. A un esame più approfondito, esso si pone alla ricerca di un nucleo di “significato spirituale che sia forte e vigoroso”, in cui si possano riconciliare vita e morte, sofferenza e celebrazione. Il sermone sancisce il mistero della festa stessa, muovendo dalla contemplazione rapita dell’immolazione di Cristo all’acclamazione trionfale della Resurrezione. Nel 1625, a una settimana di distanza dall’incoronazione di Carlo I, John Donne (1573-1631) pronunciò il suo primo sermone pubblico davanti al nuovo sovrano. La scelta dell’argomento fu profetica: partendo da un verso del Salmo XI ne ampliò i riferimenti sino a giungere a trattare il martirio cristiano, osservando come “la Chiesa adoperò questo salmo per l’ufficio funebre di un martire”. Sempre davanti a Carlo I, nel 1631, Donne proferì con grande efficacia drammatica quello che molti interpretarono come il suo stesso sermone funebre, essendosi l’autore alzato per l’occasione da quello che sarebbe stato, di lì a poco, il suo letto di morte. Eppure, fu sui sermoni di Andrews, e non su quelli di Donne, che Carlo I scelse di meditare in prossimità della fine. Donne divide i suoi sermoni in tre parti: una spiegazione preliminare del testo scelto, un’illustrazione e corroborazione del suo significato, e l’applicazione di tale significato al pubblico cui si rivolge. Ma mentre Andrewes si sofferma sulla spiegazione, Donne dà maggior peso all’illustrazione e all’applicazione. Andrewes richiede al suo pubblico una grande concentrazione, Donne si impone alla sua attenzione. Donne non mostrava alcuna simpatia per la predicazione estemporanea che i puritani prediligevano. Il suo primo biografo, Izaak Walton, descrive come il decano studiasse il tema prescelto consultando le opere dei Padri della Chiesa per poi memorizzare il sermone parola per parola. Sia nella preparazione dei singoli sermoni per la pubblicazione che nella revisione e stesura in bella copia degli ottanta sermoni lasciati alla sua morte, Donne sembra essersi preoccupato di non indulgere in espressioni puramente retoriche. Nel sermone pronunciato nella cattedrale di St. Paul nel gennaio 1626, Donne sviluppa in modo musicale e fantasioso l’immagine delle ali divine quali simbolo di protezione e tutela. La sezione conclusiva del sermone di St.Paul è costruita attorno a una metafora moderna, una straordinaria analogia tra una mappa della terra, divisa in due emisferi, e una mappa visionaria del paradiso divisa anch’essa in due emisferi: uno della gioia e uno della gloria. Ci è dato di conoscere le gioie del paradiso sulla terra, sostiene Donne, allo stesso modo in cui già prima della scoperta dell’America si conoscevano i confini del Vecchio Mondo; ma così come Dio ha riservato i tesori dell’America per scoperte a venire, così per estensione l’emisfero celeste della gloria sarà reso visibile allo sguardo umano dopo la morte e la resurrezione. Al pari di molti predicatori della sua epoca, Donne sembra essere toccato profondamente molto più dalla contemplazione del peccato, della morte e del giudizio divino che non dalla prospettiva di una vita terrena felice, che si in grado di anticipare le gioie del paradiso. La morte era non solo un evento ineluttabile e onnipresente, ma anche una presenza familiare in un mondo instabile, dove la mancanza di igiene e le malattie erano all’ordine del giorno. Per Donne, le campane che suonano a morto per un parrocchiano fungono sì da stimolo a pregare per un’anima travagliata, ma sono anche e soprattutto un personale memento mori. L’appassionato invito al pentimento contenuto nel suo ultimo sermone non nasce solo dalla consapevolezza dell’imminente decesso, ma anche da un senso incombente della natura mortale comune a tutti. Anche le Devozioni per occasioni d’emergenza, scritte da Donne durante una grave malattia nel 1623, si erano soffermate sul legame che accomuna i moribondi a coloro che meditano sulla morte. Nel 1621, sei anni dopo aver preso gli ordini, a Donne venne offerto il prestigioso diaconato di St. Paul. Tutte le strade verso la carriera civile gli erano state precluse da quando, nel 1601, era stato costretto a dimettersi dal servizio del suo patrono, Sir Thomas Egerton, dopo averne sposato in segreto la nipote. Non per questo, però, la vocazione ecclesiastica di Donne deve essere considerata come una scelta cinica. Gli anni precedenti la vocazione furono contrassegnati da una profonda aridità professionale, lenita solo dalla partecipazione attiva alle polemiche religiose e dalla composizione di gran parte delle sue poesie di ispirazione sacra. L’obbligo della discrezione, l’impulso all’introspezione e una pericolosa vocazione al martirio caratterizzano il retaggio cattolico e dissenziente di Donne, probabilmente acuito dalla morte in carcere, nel 1593, del fratello minore Henry, arrestato per avere offerto asilo illegale a un prete cattolico. È impossibile stabilire con precisione come, quando e perché Donne rinnegò la sua fedeltà a Roma. Sulla scelta religiosa di Donne hanno influito probabilmente anche le vaste letture, la forte attrazione per le controversie religiose e un profondo e sincero turbamento di fronte al pensiero della morte e del giudizio. Walton osserva che in questo periodo Donne si era votato a una religione che gli permettesse di non definirsi altro che cristiano. Nonostante i molti errori di gioventù per i quali si sarebbe fustigato negli anni della maturità, Donne, nel 1608, era pronto a dichiarare che la sua peggiore dissolutezza, quella che più lo distoglieva dalle pratiche devote, era la sua “Smodata pulsione idropica verso ogni umano sapere e linguaggio”. I suoi scritti dimostrano che la religione non fu per lui un rifugio, e nemmeno una fuga dalla conflittualità e dalla confusione del mondo, bensì la forza centripeta del suo interesse intellettuale e spirituale per il genere umano. In tutta la sua poesia, quella amorosa come quella sacra, immagini e riferimenti religiosi ortodossi si mescolano a metafore tratte da vari ambiti, antichi e moderni, del sapere secolare. Per Donne il conflitto intellettuale era un processo dinamico. Il poeta che si vedeva schiacciato dallo scontro di forze contrarie, aveva invece dichiarato la sua adesione intellettuale al paradosso come metodo d’indagine. Proprio dallo sforzo di trovare una soluzione per gli elementi paradossali nella teologia cristiana Donne traeva un profondo piacere intellettuale. Donne ricrea l’unità a partire da opposizioni, contraddizione apparenti, fantasiose condensazioni. L’”Hyme to God My God, in My Sicknesse” (Inno al Signore mio Dio durante la mia malattia), per esempio, è tutto giocato sul concetto per cui l’albero di Adamo e la croce di Cristo avrebbero potuto trovarsi nello stesso punto, e l’Est e l’Ovest su una mappa piatta sono di fatto la stessa cosa. Nel II sonetto sacro e in “A Hyme to God the Father”, Donne pone al servizio della teologia l’omofonia tra Sun e Son, mentre nell’”Hyme to God” e nelle Elegie XVIII e XIX paragona in vario modo il corpo umano a una mappa, a un paesaggio e a un continente. Donne è profondamente attratto dalla serenità del cerchio, un’immagine di eternità senza principio né fine, nella quale anzi il principio è la fine. Lo affascinano sia le conoscenze antiche ereditate dal passato, sia i nuovi progressi della scienza e della geografia. Le poesie erotiche sono percorse da una vena costante di scetticismo, spesso accentuata dalla presenza poetica, non di rado imperiosa, di Donne in qualità di voce narrante. Il tono speculativo, colloquiale ed esuberante delle prime Satire, pubblicate nel 1633, fa pensare a un narratore completamente immerso nella realtà pulsante delle strade londinesi, o nei segreti dei salotti privati. Alle 55 poesie eterogenee raccolte nei Songs and Sonets (Canzoni e Sonetti) non è stata ancora attribuita una datazione certa. Alcune erano circolate in forma manoscritta acquisendo grande risonanza. Molte di esse si pongono in atteggiamento di sfida nei confronti del lettore, esordendo con un brusco comando come “Goe and catche a falling starre” (Va’ ad afferrare una stella cadente); in altre il poeta adopera un tono casuale da conversazione o dà l’impressione di essersi interrotto nel mezzo di una qualche attività. Le poesie hanno spesso struttura drammatica e presentano sempre un parlante in relazione diretta con un ascoltatore anche se il discorso può anche essere inteso come un “dialogo ad una voce”. Sotto il profilo formale si va dalla pura dimostrazione comica dell’irragionevolezza di chi vorrebbe resistere alla seduzione, ai toni più pacati e seriosi con cui si difende l’importanza, in amore, di saper cogliere l’attimo. Distaccandosi dalla tradizione della poesia d’amore di stampo petrarchista di cui è erede, Donne non tenta mai di divinizzare o idealizzare gli oggetti della sua passione. In “The Sunne Rising” (Il sorgere del sole) la celebrazione dell’erotismo assume la forma di una irriverente apostrofe al Sole che ah osato svegliare gli amanti addormentati. La poesia ci presenta due mondi esteriori diversi, quello delle attività meschine del duro lavoro e quello dei ricchi e dei potenti, ma entrambi sono surclassati dall’amore. Nell’opera di Donne nel suo complesso, i veri trionfatori sono la Morte e la Resurrezione. Alcuni dei Songs and Sonets sembrano quasi prendersi gioco dell’idea della mortalità. Altri componimenti suggeriscono invece riflessioni molto più serie. In “The Extasie”, i potenziali osservatori degli amanti in estasi forse noteranno poco mutamento nei due una volta che saranno passati ai corpi. “A Valediction: Forbidding Mourning” si apre con un riferimento ai quieti letti di morte degli uomini “virtuosi”, per poi costruire un’immagine complessa a giustificazione del fatto che gli amori sublimi sono destinati a durare a lungo. Nelle due elegie funebri note come “Anniversaries”, Donne medita sulla sopravvivenza non più dell’amore ma della virtù, o meglio istituisce un contrasto tra un ideale di femminilità completamente spiritualizzato, quello della sua <<Immortal mayd>> (Immortale fanciulla) Elizabeth Drury, e l’anatomia di un mondo corrotto. È proprio la desolazione della condizione umana su questa terra il tema principale dei sonetti sacri più intensi di Donne, che in genere presentano una struttura drammatica bipartita: da un lato evocano un’immagine che può riguardare la fine del mondo, la morte stessa o l’angoscia di un peccatore davanti alla minaccia della dannazione, mentre, dall’altro, delineano la personalità di un interlocutore sensibile, sorta di vulnerabile rappresentante dell’umanità peccatrice. I versi sacri di Donne ripropongono continuamente una relazione emotiva: in questo caso, quella tra il peccatore e un Dio che ama ma allo stesso tempo non esita a punire. Il narratore si pone in un atteggiamento di sfida nei confronti della morte, ma vacilla di fronte alla prospettiva del giudizio. Nello straordinario sonetto XIV (“Batter my heart, three person’d God”) l’autore chiede di risvegliare in lui una violenta passione fisica e allo stesso tempo descrive l’evidente piacere intellettuale provato nell’esibizione di paradossi affrontati con modo da teologo. Un contrappunto simile, caratterizzato da un pari impeto a cercare possibili analogie, è evidente nelle due poesie di viaggio “Goodfriday 1613. Riding Westward” e “Inno a Cristo per la partenza dell’autore per la Germania” . La prima contrappone la cavalcata verso ovest con cui ci si allontana da Cristo, crocifisso in oriente, a una vivida rievocazione immaginaria del calvario, luogo dell’umiliazione della grandezza divina. La seconda conduce una meditazione sui pericoli della missione Per mezzo della ripetizione di parole e locuzioni, <<Aaron>> (Aronne) istituisce un contrasto equilibrato tra il sacerdote ebreo in parametri sacri e la spiritualità imperfetta della sua moderna controparte cristiana. La poesia si interroga sul significato dell’iscrizione “Holiness to the Lord” (Santo è il Signore) impressa sulla mitra cerimoniale di Aronne. Solo nel momento in cui si riconosce che la santificazione del sacerdote discende direttamente da Cristo il senso di indegnità viene superato e il ministro del culto più presentarsi degnamente davanti alla congregazione per accingersi a celebrare la Comunione. La teologia e il modo di celebrare l’eucarestia sono oggetto d’esame anche in “The Agonie” e nell’ultima poesia del volume, “Love III”. Argomento principale di The Agonie è l’interrogarsi dell’uomo sui peccati e sull’amore. Gli effetti del peccato vengono mostrati in un Cristo agonizzante. È proprio quest’iperbole a introdurre il concetto attorno a cui ruota l’intero componimento: il Peccato è un torchio che attraverso il dolore rivela dell’Amore; nella strofa conclusiva, il sangue che sgorga dal costato di Cristo crocefisso viene percepito come vino sacramentale. L’amarezza si transustanzia in dolcezza. “Love” assume la forma di un colloquio in cui il Signore, personificato in Amore, accoglie il peccatore al suo banchetto e ogni volta che questi professa la propria indegnità, impone insistendo con dolcezza, la sua grazia. In The temple i timori, i dubbi e i tentativi di ribellione si risolvono nella serena fedeltà ispirata dall’amore di un Dio generoso. È l’inquietudine, come la descrive abilmente Herbert in “The Pulley” (La puleggia), una parabola del libero arbitrio, a spingere l’anima alla ricerca del conforto divino. Secondo quanto riferisce Izaac Walton, in punto di morte Herbert affidò i manoscritti delle sue poesie al pio amico Nicholas Ferrar. Questi si era ritirato dal 1625 nella sua tenuta di Little Gidding, stabilendovi una comunità religiosa di uomini e donne che si dedicavano a servire Dio in maniera costante e metodica. Herbert informava Ferrar che in The Temple avrebbe trovato una raffigurazione dei conflitti trascorsi tra Dio e la sua anima e demandava a lui la decisione di pubblicare o bruciare i manoscritti. Ferrar riconosce subito il valore delle poesie e la loro importanza per la disciplina anglicana, ormai bersagliata su più fronti. Grazie alla sua amicizia con Ferrar, Richard Crashaw (1613-49) fu un assiduo frequentatore di Little Gidding e partecipò spesso agli incontri di preghiera che vi si tenevano. Crashaw era figlio di un Predicatore della Parla di Dio puritano, particolarmente zelante, si era segnalato per l’atteggiamento anti-papista. Tuttavia, il suo personale cammino religioso doveva condurlo in direzione opposta rispetto a quella paterna. Crashaw aderì con convinzione alla fazione laudiana estremista dell’università. Privato della sua fellowship dopo che, nel 1643, la cappella del college era stata sconsacrata da una Commissione parlamentare, Crashae si recò all’estero. Dapprima condusse un’esistenza precaria collocandosi ai margini della corte in esilio della regina Enrichetta Maria, poi si convertì al cattolicesimo e terminò la sua breve esistenza in Italia, a Loreto, dove gli venne concessa una modesta prebenda. La sua opera poetica in inglese, raccolta nei volumi Steps to the Temple (Scalini al tempio,1646) e Carmen Deo Nostro (pubblicato a Parigi nel 1652), non lascia molti dubbi circa le preferenze religiose di Crashaw. Egli proclama la sua fedeltà alla Chiesa anglicana attraverso il riferimento a Lancelot Andrewes e dichiara che le poesie erano state composte come “scalini da cui le anime felici potevano ascendere al cielo” sotto la “volta angelica” della chiesa di Little di St. Mary a Cambridge. Per quanto il titolo di Steps to the Temple contenga un esplicito richiamo a Herbert, e sebbene il volume renda un omaggio stucchevole al “tempio delle Rime Sacre, inviate a una gentildonna”, il debito di Crashaw nei confronti di quel modello sotto il profilo stilistico e strutturale non è particolarmente significativo. Tra i poeti del Seicento inglese, Crashaw è il più barocco, per la stravaganza dei contenuti come per le metafore utilizzate. Di fronte all’ingegnosità e al gusto del paradosso di Donne, o alle raffinate innovazioni, appena accennate, di Herbert, Crashaw tende sempre all’eccesso: le immagini della tradizione cristiana vengono portate al limite estremo con effetti pirotecnici, o gonfiate fino a esplodere per la troppa pressione. La sua poesia è caratterizzata da un’ossessione per il corpo umano e per i suoi fluidi: ovunque sgorgano lacrime dagli occhi, latte dai seni, sangue dalle ferite, a cui di tanto in tanto si inframmezza l’espressione di emozioni appassionate. Dalla serie dei “Divine Epigrams” si deduce la particolare predilezione di Crashaw per le trasformazioni miracolose o alchimistiche della materia: non solo l’acqua si tramuta in vino, o il vino in sangue, ma le lacrime diventano perle, e le gocce di sangue rubini; l’acqua con cui viene battezzato Gesù “nel lavarlo è lavata”; la nudità di Cristo in croce viene ricoperta “aprendo il purpureo guardaroba del costato”; e il sangue degli Innocenti si mescola al latte e ascende in cielo. L’interesse di Crashaw per la vita e per gli scritti della grande mistica spagnola Teresa D’Avila, canonizzata nel 1622, è ancora una volta riconducibile alla sua predilezione per l’emozione religiosa nelle sue forme più intense. Santa Teresa nella sua autobiografia spirituale aveva descritto il momento culminante della sua celeberrima visione dell’unione con Dio in questi termini: all’improvviso si era accorta della presenza di un angelo che reggeva una grande lancia dorata dalla punta infuocata, che veniva affondata ripetutamente dall’angelo nel suo cuore. Il linguaggio amoroso impiegato dalla santa per esprimere la sua percezione di un corteggiamento tra Dio e l’anima influenzò sicuramente Crashaw nella sua esuberante meditazione, oggi nota come “A Hymn to Saint Teresa”. La poesia torna di continuo sul concetto dell’amore divino come corteggiatore capace di risvegliare il desiderio nell’animo della fedele. La vocazione al martirio della santa già si manifesta all’età di sei anni, mentre la suora adulta si concede di sua volontà divenendo “Loves victim”, bersaglio non più soltanto del dardo di un serafino, ma di un’intera truppa di angela armati. La visione della lancia da parte di Teresa ricompare in una perorazione di Crashaw alla contessa di Denbigh “Incitandola a risolversi in fatto di religione” (in sostanza, un appello affinché si convertisse alla fede cattolica). È tuttavia con Hymn to the Name of Jesus che Crashaw ci offre l’espressione poetica più compiuta del proprio ideale laudiano originario: l’adorazione di Dio in nome della bellezza e dignità della sua santità. Con questo, Crashaw si riallaccia a una lunga tradizione, sia biblica che mistica, di devozione al Verbo incarnato. La poesia ribadisce la necessità di rinnovare quotidianamente la fede attraverso il risveglio dell’intelletto e dei sensi e sottolinea in particolare l’importanza della musica, come accompagnamento alle lodi. L’amore di Crashaw per la musica lo porta a riecheggiare direttamente il fraseggio musicale. Hymn to the Name of Jesus è basato sul riconoscimento di una interrelazione tra armonia naturale e armonia musicale, per cui il cuore umano dà il suo contributo vocale a uno sconfinato CANTO che tutto abbraccia, ma al tempo stesso deve aprirsi alle sollecitazioni dell’amore divino. Mentre Crashaw si sforza di rappresentare un misticismo interiore e passionale usando metafore sensoriali tratte dalla realtà esterna e dalla dimensione umana, Henry Vaughan (1621-95) torna invece a servirsi dell’universo più casto e intimista di George Herbert come mezzo per comunicare un senso di riposta meraviglia. Il sottotitolo del suo Silex Scintillans (Selce scintillante, 1650), “Rime Sacre e giaculatorie private), riecheggia puntualmente quello di The Temple e la Prefazione, datata 1654, contiene un esplicito riferimento a “quell’uomo benedetto, Mr. George Herbert, che grazie alla santità della sua vita e dei suoi versi convertì molte anime”. Vaughan si discosta molto da Herbert perché ricorre in modo assiduo e non estemporaneo a immagini tratte dal mondo della natura. La sua poesia si distingue per una insistente disamina del creato in quanto luogo in cui si manifesta il divino. Monarchico e anglicano fedele all’epoca del trionfo dell’esercito repubblicano e dell’imposizione di un ordine religioso contrario alle sue idee, Vaughan si ritirò a vita solitaria nelle campagne del Galles. Quest rifugio dovette essergli congeniale, come traspare dalle sue traduzioni dal latino delle meditazioni di Boezio sulla mutevolezza delle cose umane. Le migliori poesie sacre di Vaughan sembrano tuttavia proporre una visione alquanto personale di quel paradiso pastorale di cui si coglie ancora un barlume durante l’infanzia e che viene perduto con l’età adulta: lo si può riconquistare solo tramite la contemplazione e la rivelazione. Nonostante il tono generalmente pacato sembra animarsi di un atteggiamento sovversivo nei confronti del nuovo status quo politico e religioso imposto dal Parlamento. La poesia “Abel’s Boold” (Il sangue di Abele) è una condanna del sangue versato dal primo omicida e quindi anche di quello sparso con la crocifissione di Gesù; ma quando Vaughan chiede “Quali tuoni chiameranno in giudizio quegli uomini che delle loro vittime hanno perso il conto, immersi non in un basso rivo ma in un profondo, vasto mare di sangue” non è difficile interpretare tali versi come una frecciata contro l’esercito parlamentare, reo non solo di aver scatenato una guerra civile, ma anche dell’assassinio del re, sovrano della Chiesa in terra. Anche il fatto che molte delle poesie siano intitolate alle principali festività del calendario liturgico anglicano è indice della volontà dell’ortodosso Vaughan di riaffermare il valore delle feste comandate che il regime puritano aveva messo al bando. È come se l’incertezza, l’instabilità e i mutamenti politici avessero indotto il poeta a ripiegarsi su sé stesso dando voce a una forma di spiritualità alternativa. Più che ai templi costruiti dagli uomini, il pensiero di Vaughan sembra rivolgersi a spazi sacri all’aperto, quali i tabernacoli dei patriarchi d’Israele. La presenza di Dio si manifesta in un paesaggio magico fatto di boschi sacri in cui gli angeli discutono con gli uomini. La vera fede in Dio nasce da un senso di armonia con il mondo naturale contemplato dall’uomo. L’immaginazione di Vaughan sembra essere stata colpita in particolare dalla storia di Giacobbe, il patriarca biblico al quale era apparsa in sogno una scala angelica mentre a Bethel riposava col capo appoggiato su una pietra. Egli fu anche il protagonista della lotta contro un angelo a Peniel ed era proprietario del pozzo di Sichar dove Gesù parlò alla Samaritana dell’acqua della vita. Gli attributi di Giacobbe si ritrovano spesso nelle rime religiose di Vaughan, specie nello straordinario componimento “Regeneration”. La poesia crea un’interrelazione tra paesaggio naturale, biblico e interiore, per cui l’esplorazione dell’uno conduce inesorabilmente all’altro nel contesto di un pellegrinaggio spirituale volto a sondare il mistero della grazia divina. L’alito di Dio invocato negli ultimi versi di “Regeneration” assume un’ulteriore connotazione biblica. Silex Scintillans reca sul frontespizio l’emblema di una selce scintillante su cui si abbatte un fulmine scagliato dalla mano di Dio; la pietra ha la forma di un cuore piangente o sanguinante ed emana fiamme mentre viene colpita dalla saetta. All’emblema di Vaughan si possono dare diverse spiegazioni. Un componimento in latino posto a prefazione del volume si rifà alla profezia di Ezechiele per cui Dio “strapperà dalla loro carne il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne”, ma l’applicazione personale di quest’idea da parte del poeta ha due significati diversi: il commento “Alcuni raggi divini erompono dall’animo travagliato dalle avversità come le schegge infuocate dalla selce quando la si colpisce” sembra porsi a conferma dell’interpretazione più comune ma la scelta del termine “selce” ci riporta però a un gioco di parole in latino fra il termine Silex e il nome dell’antica tribù britannica da cui Vaughan sosteneva di discendere, i Silures. “The Silurist” vede la propria poesia come figlia delle avversità. La sua Chiesa e la sua fazione politica sono cadute in disgrazia e il poeta è turbato a causa della morte dei suoi amici. In questi versi elegiaci è spesso trattato il tema del tempo: le giornate si trascinano a fatica e il lento scorrere delle ore è oggetto di un doloroso calcolo, ma il tono di cordoglio è sempre contenuto. Le tematiche interne sono di tipo consolatorio e inoltre ciascuna di queste poesie non si pone in relazione soltanto con le altre otto senza titolo, ma anche con il più ampio gruppo dei componimenti che la precedono e seguono immediatamente. Le meditazioni sulla mortalità e sull’eternità da parte di Henry King non possiedono l’originalità spesso elettrizzante caratteristica di Vaughan. Nel 1642, King (1592-1669) aveva assistito alla distruzione della sua biblioteca e alla devastazione della sua chiesa per opera di un drappello di puritani in preda a furore iconoclastico. Sempre nel 1642 aveva ottenuto la nomina a vescovo di Chichester, carica da cui fu sollevato l’anno seguente. Le affiliazioni politiche e religiose di King furono sempre chiare. Per la maggior parte, la produzione poetica di King è di argomento profano e le sue immagini sono solo vagamente cristiane, sebbene una lieve malinconia e la consapevolezza della transitorietà umana permeino anche i suoi versi amorosi. Sia “Midnight Meditation” sia la stanza “Sic Vita” (Così è la vita), insistono sulla fragilità della vita e delle aspirazioni umane. Tra le sue molte elegie, quella scritta per la morte della moglie spicca sulle altre per qualità e profondità. Anche se l’elegia non è certo un commiato che vieta di dolersi, il suo gioco d’immagini di libri e biblioteche, di soli, stelle e stagioni, e infine di battaglia rivela un certo debito, da parte di King, nei confronti dei commiati di John Donne. LA POESIA SECOLARE: CORTIGIANI E CAVALIERS Nel suo omaggio poetico all’illustre amico George Sandys, Thomas Carew (1594-1640) contrapponeva la propria rossa Musa al tempio consacrato in cui si muoveva la Musa di Sandys. Sandys (1578-1644) rappresentava per Carew un modello rispetto al quale la sua poesia secolare risultava empia e irriverente. L’aspirazione di Carew a dedicarsi alle rime religiose risulta appena accennata nella sua opera: forse il suo spirito inquieto si stancherà di ricercare la bellezza mortale, e lo stesso forse si può applicare anche all’idea che la contemplazione della realtà terrena non avrebbe estinto la sete né placato la fame di spiritualità che agitavano l’animo del poeta. Carew giunge a postulare che a un certo momento forse anche lui potrà smettere di adorare Dio “sotto forma di creta” per cominciare invece a scrivere ciò che detterà il “suo beato spirito, e non il dolce amore”. Ma tali ambizioni erano destinate a non realizzarsi se non in minima parte. Poems (Poesie), la raccolta di versi di Carew apparsa a stampa nel 1640, contiene principalmente liriche amorose eleganti, brillanti e cortesi. Alcune di esse elaborano immagini confacenti a una meditazione sulla morte precoce; altre ancora celebrano l’ospitalità campagnola alla maniera di Ben Jonson; ma la vera sostanza del volume risiede nella varietà dei modi con cui viene corteggiata e ammirata un’immaginaria donna di nome Celia. Si tratta di poesie giocate sulla capacità del poeta di rendere famosa l’amata per la sua bellezza, ma anche di distruggere questa fama: spesso Carew sfrutta con abilità una metafora semplice, come quella della misticismo stupefatto di Vaughan. Nel suo “A Thanksgiving to God, for his House”, Herrick elenca con gratitudine i semplici piaceri e la modesta felicità di una vita ritirata, in campagna, ma non cerca mai, come avrebbe potuto fare Herbert, di elevarsi dalla dimensione quotidiana a quella teologica. In Hesperides, i veri nemici dei piaceri della carne, illustrati nei dettagli o solo per allusione, non sono tanto la morbosità o la censura morale, quanto il vento gelido del tempo e della morte. I giovani amanti, come i fiori effimeri, i boccioli di rosa, i tulipani e gli asfodeli delle sue litiche più note, devono sfruttare al meglio il tempo per cogliere un breve attimo di piacere. L’unica forma di immortalità concessa su questa terra è quella offerta dalla poesia, come Herrick non si stanca di ricordare alle varie Antee e Giulie alle quali si rivolgono le singole poesie. Nonostante il risentimento provato a causa del “lungo e tedioso esilio” nei “monotoni confini del languente Ovest”, Herrick prova particolare diletto nel descrivere cerimonie rurali come la Festa di Maggio e quella della mietitura, celebrazioni che presuppongono un nesso diretto tra fecondità, procreazione e appagamento nella sfera umana e in quella naturale. E ciò non solo perché l’autore riconosce le origini pagane di tali festività, o perché queste lo riportano alla poesia pastorale greca e latina, ma soprattutto perché per lui incarnano il più autentico significato della vita di campagna. Quando Herrick parla di sé come poeta, in alcuni casi si appigli disperatamente all’idea tradizionale della poesia che sopravvive al proprio autore, mentre in altri evoca l’immagine di un gruppo di uomini allegramente dissipati che si dedicano a svaghi conviviali. Quest’ultima situazione viene presentata come adatta a stimolare la creatività del poeta e come sfondo ideale per recitare i suoi componimenti. In “When he would have his verses read” (Quando desiderava che si leggessero i suoi versi), Herrick ribadisce che il momento appropriato per la fruizione della poesia è quello in cui “gli uomini hanno bevuto e mangiato a sazietà”. Qui l’autore si proietta con l’immaginazione nella cultura metropolitana della taverna. I baccanali letterari di Herrick toccano il culmine in una poesia dove l’autore brinda alla salute dei poeti classici ai quali si sente affine e alla cui compagnia letteraria egli aspira. Le allusioni alla letteratura classica servono a rafforzare il concetto raffigurato nell’incisione del frontespizio del volume, in cui il poeta è raffigurato in un busto barbuto, coperto solo da un disinvolto drappeggio alla maniera degli antichi e collocato in un ridente paesaggio pagano. ANATOMIE: BURTON, BROWNE E HOBBES Per le sue opere, Herrick si è servito spesso della nota opera di Robert Burton, The Anatomy of Melancholy (Anatomia della malinconia,1621). Per Herrick, l’enciclopedico trattato di psicologia di Burton si rivelò una miniera di dettagli, espressioni, immagini e aneddoti pronti per essere citati e rielaborati. Burton (1577-1640), pastore di Oxford, attinse a un vastissimo repertorio di fonti autorevoli antiche e moderne per produrre un’opera che si colloca a metà tra il trattato medico e un vasto compendio di luoghi comuni. A parte la Bibbia e altre fonti anonime, Burton cita circa 1250 nomi di autori e la sua trattazione è infarcita di riferimenti scientifici, filosofici, poetici, storici e religiosi. Nello spazio di una singola frase viene enunciata un’opinione che è circostanziata o approfondita con liste di termini complementari ed evocativi. Il principio organizzatore del volume, difficile da cogliere a una lettura superficiale, è messo in evidenza sia nel titolo completo dell’opera, sia nel complesso frontespizio iconografico, uno dei tanti esempi dell’eccellenza di tale forma d’arte nel Seicento. Se l’opera non sempre brilla per coerenza, Burton riesce in ogni caso a ottenere un certo grado di organicità grazie a un complesso processo inclusivo e al gran numero di dimostrazioni e definizioni proposte. Il frontespizio è diviso in dieci quadri sinottici, ognuno dei quali rappresenta per emblemi i sintomi o gli attributi della malinconia. All’immagine del filosofo greco Democrito posto sotto il segno di Saturno fanno da contrappunto le raffigurazioni dei diversi volti della gelosia da un lato, e quelli della solitudine dall’altro. Al di sotto si trovano le effigi di un giovane malinconico malato d’amore, di un più maturo ipocondriaco emaciato, di un monaco superstizioso e di un pazzo in catene vestito di stracci. Completano la pagina le immagini di “piante efficaci nel depurare gli umori malinconici e rallegrare il cuore” e un ritratto dello stesso autore nei panni di “Democritus Junior”. È quest’ultimo a comunicare al lettore alcune acute osservazioni autocritiche sul proprio temperamento e sulla sua psicologia. Tuttavia, proprio questa erudizione disorganica ha permesso a The Anatomy of Melancholy di mantenere intatto il proprio fascino attraverso i secoli. Burton riconosce come la condizione di confusione estrema in cui versa il genere umano tenda a predisporre la psiche agli squilibri della malinconia. Con la sua opera l’autore si sforza di distinguere e definire le diverse componenti di questa confusione, di questo malessere che affligge l’esistenza umana ma ci offre una dimostrazione persuasiva della difficoltà di imporre efficacemente l’ordine della logica scientifica su una realtà che è tutto fuorché ordinata. Per Browne (1605-82), il senso di meraviglia suscitato dalla scienza si tradusse in una riconferma della fede religiosa. Religio Medici era stata composta verso la metà degli anni Trenta ma venne pubblicata solo nel 1642, inizialmente senza l’autorizzazione di Browne; l’anno seguente ne uscì una nuova edizione riveduta e corretta dall’autore. L’opera ebbe una notevole diffusione negli anni Quaranta, ma il merito di Browne risiede nello stile. Il devoto dottore si presenta più come un moralista che come un diagnostico, più come un uomo di buon senso che come un anatomista di corpi o anime. Browne rivela un atteggiamento pragmatico nei confronti delle formule religiose e dimostra un’esemplare tolleranza nei confronti delle forme di dissenso e delle divergenze di credo interne al cristianesimo. La professione di tolleranza di Browne va letta nel contesto di un discorso che attinge a verità e credenze comuni e al tempo stesso sposa la posizione baconiana in merito alla necessitò di un continuo rinnovamento della conoscenza. L’opera più lunga e intellettualmente più audace di Browne, Pseudodoxia Epidemica, 1646, prende spunto direttamente dalla distinzione operata da Bacon tra le verità determinate tramite l’esercizio del raziocinio umano e gli errori e i vaneggiamenti delle scienze fasulle e della credulità ignorante. Il trattato procede con ritmo sostenuto ma senza mai risultare pesante, affrontando argomenti che vanno dalla storia umana a quella naturale, dalla teologia alla fisiologia, dalla logica distorta delle superstizioni al nitore delle credenze basate sulle “più certe fondamenta della ragione”. Le opere composte da Browne negli anni Cinquanta, Hydriotaphia, Urne Buriali, 1658 e The Garden of Cyrus, 1658, sono essenzialmente vaghi studi archeologici, che mescolano antiche usanze, simboli, studi sullo sviluppo delle forme e un senso di transitorietà e mortalità. Hydriotaphia rivela l’acceso interesse dell’autore per fenomeni quali il decadimento, la morte e il trattamento riservato ai cadaveri in epoca antica e moderna, nonché per il significato dei riti e per l’effetto consolatorio della religione. La dimensione cristiana del trattato di Browne affiora nel riferimento alla promessa di un aldilà, che rende vano il desiderio di essere commemorati sulla terra e smaschera la componente di vanità insita nell’arte funebre monumentale. Le metafore architettoniche e geometriche sono sintomatiche della tendenza persistente, da parte di Browne, a perdersi in quello che egli chiama un mistero “wingy” (labirintico). L’impalcatura intellettuale del grande trattato filosofico di Thomas Hobbes risente in modo cospicuo della passione per la geometria scoperta dall’autore verso i quarant’anni. “La geometria”, affermava Hobbes (1588-1679), “è l’unica scienza che Dio abbia voluto sinora concedere all’umanità”, e proprio questa “unica scienza” assurge a modello astratto per elaborare altri concetti o, come le chiama l’autore, definizioni su cui si basa il suo complesso ragionamento. Via via che vediamo erigersi l’imponente struttura della sua tesi, ci rendiamo conto che essa è costruita secondo una sequenza di proposizioni logiche dimostrate e inconfutabili. Al lettore non viene lasciato modo di dubitare o dissentire. Hobbes divide il suo Leviathan in quattro parti: OF MAN (l’uomo), cerca di definire natura e qualità del nostro modo di ragionare (il reasoning, contrapposto alla reason), in aperta polemica con le contorsioni di un aristotelismo ancora dominante nelle università inglesi. Di qui, l’analisi si sposta a considerare le motivazioni che determinano il comportamento umano e con coerenza Hobbes riconosce nell’uomo un animale razionale che agisce per aggressività e non per amore, per brama di possesso e non per generosità, per interesse personale e non per altruismo. Nelle parti II, III e IV Hobbes applica il medesimo ragionamento alla dimensione collettiva, procedendo ad analizzare la società civile o il Commonwealth formati dagli uomini a scopo di protezione reciproca. Nel capitolo iniziale della parte II, Hobbes finalmente presenta il Leviatano del titolo, “quel Dio mortale, cui dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa”. Nel capitolo XXVIII, tornando a esporre questo concetto, Hobbes chiarisce che è la stessa natura dell’uomo ad averlo costretto a sottomettersi al governo. Tale governo può essere paragonato a “Leviatano, prendendo il paragone dagli ultimi due versi del XLI libro di Giobbe, in cui Dio, avendo descritto l’enorme potenza del Leviatano, lo chiama Re dei Superbi”. Questo supremo governatore o governo, una volta che gli uomini lo hanno istituito stipulando un patto e gli hanno trasferito la sovranità, assume il potere assoluto. Secondo Hobbes, il Leviatano non deve ammettere opposizione alcuna. Il trattato non si sbilancia né a favore della causa monarchica né di quella repubblicana. Tuttavia, quando espone la convinzione che un re non dovrebbe essere soggetto alla legge civile, o quando si oppone all’idea, desunta dalla storia greca e romana, secondo la quale regicidio possa divenire sinonimo di tirannicidio e apparire come una prassi legittima, sembra abbastanza evidente la propensione di Hobbes per le tesi del conservatorismo monarchico. È anche vero, però, che i vari riferimenti a Giulio Cesare come uomo del popolo o suddito potente in grado di minacciare lo status quo si prestano a letture ambigue. Da un lato, sembrano stabilire un confronto critico con l’usurpatore Cromwell, soprattutto se si considera che i suoi panegiristi invocavano spesso come precedente la storia romana; dall’altro, invece, potrebbero alludere alla costante minaccia al potere del Lord Protettore da parte di coloro che lo avevano inizialmente sostenuto. Leviathan delinea una teoria dell’assolutismo che attribuisce al sommo reggente il potere sia spirituale che temporale. All’epoca in cui furono scritte, le tesi di Hobbes non potevano certo incontrare il favore del radicalismo puritano, che si appellava al lume individuale e alla libertà di coscienza per contrastare le tendenze uniformanti e accentratici dello Stato. Al tempo stesso, Leviathan non offriva maggior confronto intellettuale agli anglicani devoti che auspicavano la restaurazione del vecchio ordine nella Chiesa e nello Stato. Dalla sua pubblicazione in poi, l’opera di Hobbes ha continuato a urtare i suoi lettori. LA LETTERATURA POLITICA DELLA GUERRA CIVILE Quando sosteneva che l’uomo aveva dato origine ai governi per rispondere all’esigenza di proteggersi dai propri simili e che gli Stati non esistevano per immutabile decreto divino, ma si reggevano invece su un contratto tra governanti e governati, Hobbes non affermava nulla di particolarmente nuovo. Il suo sforzo di ribadire questo principio dandogli nuova enfasi deve essere però inquadrato nell’epoca storica in cui fu scritto Leviathan, vale a dire gli anni della Rivoluzione puritana. Verso la fine degli anni Quaranta del Seicento e per tutto il decennio successivo, i rapidi mutamento dell’assetto istituzionale inglese diedero vita a un dibattito spesso fazioso in merito alla forma e ai poteri della costituzione. Un re sconfitto era stato costretto a cedere la poca sovranità rimasta alle forze parlamentari uscite vittoriose dalla Guerra Civile. L’esercito vittorioso aveva obbligato il parlamento a processare il re con l’accusa di essere “un Tiranno, un Traditore e un Assassino, nonché Nemico Pubblico del Commonwealth. Nell’ottobre del 1646 la struttura episcopale della Chiesa anglicana era ormai formalmente demolita; una volta eliminato uno dei pilastri tradizionali del vecchio Stato, il cosiddetto Rump Parliament si poté procedere, nel marzo del 1649, all’abolizione degli altri due, vale a dire la monarchia e la Camera dei Lord. Nel maggio dello stesso anno la Camera dei Comuni dichiarò che l’Inghilterra da quel momento in poi avrebbe assunto la forma di Commonwealth, uno Stato libero governato dall’autorità suprema della nazione: i rappresentanti del popolo riuniti in parlamento. Una volta tolti di mezzo il re e i suoi sostenitori, il potere si concentrò nelle mani di coloro che controllavano di fatto il parlamento, e cioè i comandanti dell’esercito. Nel dicembre del 1653 Oliver Cromwell venne proclamato Lord Protettore. Più tardi avrebbe rifiutato l’offerta della corona, resa vacante dalla morte presunta dell’erede legittimo. Cromwell mise subito in chiaro che non avrebbe tollerato né gli spargimenti di sangue ordinati dal parlamento; né l’opposizione extraparlamentare. Sul piano sociale il Commonwealth di Cromwell non portò a un cambiamento radicale, né si tradusse in una democrazia popolare. Nell’Inghilterra repubblicana il processo di trasformazione politica, per quanto condotto in nome del popolo, rimase prerogativa della solita élite dominante. Il Commonwealth si dimostrò presto molto più intento a consolidare il vecchio e ristretto principio dell’investitura divina del re che non a migliore le condizioni dei ceti umili. Agli occhi dei vincitori nella lotta contro la tirannia monarchica, la sconfitta del re sembrò aprire la strada a un più equo assetto istituzionale realizzato grazie a uomini energici e di buona volontà. Questi “Grandi”, i nuovi vertici della società, erano costantemente vessati dall’opposizione irrazionale che proveniva sia dai nostalgici del vecchio ordine, sia da coloro che premevano per una radicalizzazione di quello nuovo. Il giorno dopo le esequie segrete di Carlo I a Windsor, nel gennaio 1649, a Londra veniva pubblicato il più efficace tra i molti scritti di propaganda monarchica dell’epoca. La dubbia attribuzione di Eikon Basilike di John Gauden (1605-52) non fu un ostacolo alla notevole diffusione e alla grande popolarità conosciuta dall’opera, di cui si contarono alla fine circa 47 edizioni. L’Eikon Basilike avrebbe continuato a far sentire la propria influenza sui lettori anglicani come sui monarchici devoti per buona parte del Settecento. Solo con un certo ritardo si è cominciato a guardare con maggiore attenzione e interesse alle teorie politiche dei puritani dissenzienti, in particolare da parte di quegli storici che postulano una continuità nel pensiero radicale inglese, o che vi ravvisano la formulazione embrionale di un’ideologia socialista e libertaria. Quando Hobbes insisteva sulla necessità di subordinare l’autorità spirituale allo Stato per salvaguardare aspramente le pretese; nel 1660 propose di istituire un “Gran Consiglio di esperti scelti dal popolo” a salvaguardia della vacillante repubblica. Due dei trattati contro la gerarchia ecclesiastica, Ragione del governo della Chiesa, 1642; Apologia per Smectimnuus, 1642, contengono interessanti digressioni sulla vita, l’istruzione e l’evoluzione del pensiero di Milton. Nel primo scrive della sua serena determinazione ad accumulare come prezioso tesoro e diletto per una serena vecchiaia la sincera libertà di parola praticata in giovinezza. A riprova delle proprie credenziali intellettuali cita l’accoglienza molto favorevole ottenuta negli ambienti colti italiani durante i suoi viaggi del 1638-39; nonostante il precoce successo ottenuto come maestro di stile latino, prende in seguito la decisione di farsi interprete e narratore degli argomenti migliori e più saggi fra i suoi concittadini. Nel trattato Riforma della disciplina ecclesiastica, 1641, delinea brevemente una serie di argomenti contro il compromesso anglicano. Milton accusa i vescovi non solo di aver appoggiato una riforma incompleta della Chiesa, ma di aver perseguitato i giusti, di aver fatto precipitare il conflitto tra Inghilterra e Scozia e di aver costretto gli inglesi fedeli e liberi ad abbandonare la dimora, gli amici e i parenti per trovare rifugio nei selvaggi deserti dell’America. Nei suoi trattati polemici sul divorzio, Milton cerca di giustificare l’idea di un’onesta separazione tra coloro che per la Chiesa e la Legge sono stati indissolubilmente uniti al cospetto di Dio. Dai coniugi male assortiti si genera un caos che è contrario all’ordine impartito da Dio alla creazione; Cristo affermava che il suo giogo era sopportabile e il suo fardello lieve, dunque anche il matrimonio dovrebbe avere tali caratteristiche; Dio non ama render faticoso l’esercizio della virtù, che si dovrebbe praticare per scelta e senza costrizioni. Nei trattati sul divorzio si intrecciano da un lato l’insistenza tipica del puritanesimo radicale sulla necessità di ripensare il senso dei precetti morali ereditati dal passato e, dall’altro, un’insofferenza del tutto personale nei confronti del senso comune. Il più famoso e convincente dei pamphlet di Milton, Areopagitica, 1644, argomenta a favore di libertà costituzionali dalle implicazioni ben più vaste. Il trattato difende la possibilità di un libero scambio d’idee nello Stato protestante moderno prendendo a modello l’orazione antica. Nonostante la forma e la retorica siano quelle classiche, Milton evita di ricorrere a inserti in greco e latino o a pesanti citazioni da fonti autorevoli. Milton ribadisce in modo indiretto il suo dovere cristiano di predicare in inglese in nome della verità. Lo scrittore definisce le sue aspirazioni ponendo l’accento sul rigore logico del proprio concetto di libertà e contrapponendo la bellezza di tale concetto alla miopia farneticante dei suoi nemici. La famosa dichiarazione in cui afferma che i libri non sono cose assolutamente morte, è accompagnata da un lungo, intensissimo paragone tra la persecuzione degli eretici a opera della Chiesa cattolica e il tentativo di repressione delle idee da parte dello Stato protestante. A entrambe le azioni viene attribuito lo statuto di assassinio illegale: “Uccidere un buon libro è quasi lo stesso che uccidere un uomo. E in un certo senso è ancor peggio: perché chi uccide un uovo, uccide una creatura dotata di ragione, fatta ad immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro, uccide la ragione stessa, distrugge la pupilla di quella immagine divina”. Via via che dipana tale idea, Milton con sottigliezza aumenta le dimensioni dell’assassinio, passando dall’omicidio al martirio e finendo per equiparare il divieto di pubblicare un libro a un massacro perpetrato contro lo spirito umano. In due momenti cruciali della sua esposizione, Milton adotta un tono patriottico e si mette a strigliare e adulare al tempo stesso i rappresentanti parlamentari di un’Inghilterra in ascesa, un popolo esemplare. Da parte del Parlamento, sostiene l’autore, negare a questa nazione la libertà che le spetta equivarrebbe a sfidare arrogantemente la speciale rivelazione della libertà che Dio ha riservato ai suoi inglesi. Quando torna a toccare il grande tema nazionale, Milton assume una posa da oratore, un registro che s’ispira in parte ai classici, in parte alla Bibbia. La grandiosa visione miltoniana era destinata a impantanarsi nelle innegabili divisioni, negli scismi e nelle insicurezze dell’Inghilterra dell’Interregno. Le “timorose turbe di volanti” avevano costretto l’aquila rivoluzionaria ad abbassare lo sguardo. Milton aveva apertamente dichiarato le proprie simpatie repubblicane in una serie di pamphlet. In The Tenure of Kings and Magistrates (Del contegno dei Re e dei Magistrati), pubblicato poco dopo l’esecuzione di Carlo I nel 1649, aveva asserito che l’autorità del re discendeva soltanto dal popolo. Ancor più audace è The Readie and Easie Way to Establish a Free Commonwealth. Qui Milton elogia le conquiste dalla repubblica inglese ormai sul punto di disgregarsi e mette in guardia contro il pericolo di un ritorno ai “vecchi soprusi contro le nostre coscienze” se fosse restaurata la monarchia anglicana. In alternativa, Milton avanza le ragioni di un Commonwealth libero a forte matrice protestante, in grado di salvaguardare le libertà civili e religiose. L’autore azzarda addirittura la previsione che il Commonwealth così delineato potrebbe meglio garantire tali libertà tramite un sistema federale fondato su diverse assemblee provinciali subordinate a un parlamento nazionale. La carriera di Milton come apologeta pubblico della Rivoluzione inglese ebbe termine con la fine della repubblica e la restaurazione di Carlo II, avvenuta nel maggio del 1660. La sua attività poetica assunse invece molta più importanza proprio a partire da questo momento. La prima raccolta di versi nel 1645 conteneva i frutti di una quindicina d’anni di sperimentazioni condotte su forme metriche sia inglesi che latine. Fu pubblicata dopo cinque anni che l’autore non scriveva quasi più nulla. Milton aveva 36 anni ed era ormai consapevole del fatto che stava diventando cieco. Nella prefazione del volume l’editore dichiarava che secondo le sue aspettative l’opera di Milton avrebbe potuto riscuotere lo stesso successo ottenuto di recente dalla raccolta di Waller. Tali previsioni si rivelarono ottimistiche: del volume di Waller uscirono tre edizioni solo nel 1645, mentre l’opera di Milton ottenne una cera fama solo con la tardiva ristampa del 1673. Nella forma originaria del 1645 i Poems offrivano un saggio dell’ampiezza e della varietà dei generi poetici con cui si era cimentato l’autore: dalle parafrasi dei Salmi composte durante l’adolescenza e da “On the Morning of Christs Nativity”, 1629, sino al masque noto col titolo di Comus, 1637 e a Lycidas. Collocata in una posizione privilegiata, all’inizio del volume, On the Morning of Christs Nativity è un esperimento di poesia religiosa sulla falsariga di “A Hymne of the Nativity” di Crashaw; quest’ultimo concede ai suoi pastori stupefatti di osservare il verbo incarnato nelle sembianze di un infante che piange, Milton concentra la sua attenzione su un mirabile sovrano divino la cui nascita eclissa il potere degli dei pagani e mette a tacere i loro oracoli. In un certo senso il Cristo bambino di Milton è già il padre di colui che in Paradise Lost incederà maestoso a cavallo contro gli angeli ribelli e che in Paradise Regained con estrema freddezza metterà a tacere Satana. Il componimento più lungo di tutta la raccolta venne pubblicato da Milton in versione notevolmente riveduta rispetto a quella utilizzata per la rappresentazione. L’opera era nata originariamente dalla fertile collaborazione tra Milton e il suo amico Henry Lawes. Nel testo pubblicato, la componente verbale assunse una rilevanza molto maggiore rispetto alla musica, alla danza e agli elementi spettacolari. Comus deve essere considerato un esemplare tardivo del genere dello spettacolo di corte d’occasione scritto per essere rappresentato nella residenza ufficiale del Lord President del Galles, allora fresco di nomina. Lo Spirito lo definisce infatti un nobile pari di molta fiducia e potere che con il suo timore temperato saprà porsi a capo dei gallesi, un popolo vecchio, ed illustre, nell’armi superbo. Comus non è né il protagonista né l’antagonista dell’opera ma è con questo personaggio che Milton dà un primo saggio di ciò che doveva rivelarsi un durevole interesse artistico per la natura e la forza della tentazione e per la psicologia e le motivazioni del tentatore. Anche se troppo complementari per evocare la reale attrattiva insita in tendenze, tentazioni e inclinazioni contrapposte. “L’allegro” e “Il Penseroso” si configurano come rappresentazioni di stati d’animo opposti. Entrambi sono scritti in agili distici ottosillabici. Il primo cerca di scacciare la malinconia, il secondo di coltivarla; il primo si rivolge attivamente all’allegria collettiva, il secondo ai piaceri privati della vita contemplativa. Laddove “L’allegro” celebra piaceri rustici quali “Scherzo e giovine allegrezza”, il “Penseroso” medita in solitudine leggendo la “sfarzosa tragedia” degli antichi “su un’altra torre solinga”. Il fatto che nel secondo componimento un puritano come Milton ci presenti un narratore in cerca di uno “studioso chiostro”, di organi, cori e vetrate dipinte che gettano una fioca luce ci dà la misura della convenzionalità del poema, che preferisce ricorrere allo sfarzo della vecchia religione piuttosto che affidarsi alla luce tersa e diretta della fede riformata. Al contrario “Lycidas” è disseminata di richiami alla luce e al sapere. Il nome “Licida” viene dal poeta bucolico greco Teocrito, e nell’elegia di Milton si ritrovano echi distanti ma udibili della poesia pastorale classica. La forma è quella di un adattamento inglese della canzone italiana, una struttura metrica che consente a Milton di variare sia la costruzione delle strofe sia la lunghezza del verso. L’opera riflette la concezione contemporanea della continuità tra la rivelazione cristiana e alcuni aspetti della spiritualità pagana. Quando, al verso 103, fa il suo ingresso nel poema Camus, la personificazione dell’Università di Cambridge, Milton muta con disinvoltura i riferimenti e li indirizza verso il sapere moderno e le controversie religiose contemporanee. A ridosso di Camus compare la figura di San Pietro. Il santo dà voce al rammarico per la perdita del dotato studioso di Cambridge ed esprime anche una più profonda tristezza per condizioni in cui versa la Chiesa, che King avrebbe potuto servire egregiamente. Oltre ad arruolare alla sua causa il primo papa, Milton ne fa il portavoce di un attacco contro i cattivi pastori (i prelati anglicani e il clero corrotto) incapaci di dare nutrimento alle pecore affamate e di proteggerle in modo adeguato dal “feroce lupo” (la Chiesa romana) che “ogni giorno rapido divora”. Le sezioni conclusive del poema rovesciano la precedente atmosfera di lutto con un’allusione alla potenza di Cristo redentore che “camminò sull’onde”. Licida risorge dalle acque in cui era annegato per essere accolto “nei benedetti regni umili di gioia e d’amore”. L’edizione del 1645 dei Poems contiene anche una decina di sonetti, cinque dei quali scritti in italiano. Nella ristampa del 1673 ne furono aggiunti nove, tutti composti tra il 1645 e il 1658; altri tre, tra cui “Al Lord Generale Cromwell”, 1652, furono pubblicati postumi nel 1694. La maggior parte dei sonetti inglesi affronta temi privati e politici. Milton rende omaggio alla moglie deceduta di un amico e offre un pubblico tributo al talento dei suoi amici e colleghi di un tempo, Henry Lawes, Cyriack Skinner e Edward Lawrence. Il poeta affronta anche argomenti personali, quali le conseguenze della cecità e un’apparizione, come attraverso un vetro oscurato, della sua defunta seconda moglie. È nei sonetti dal contenuto esplicitamente politico che lo stile altisonante di Milton si discosta maggiormente dai temi e dalle immagini dei versi amorosi. Tornando alle questioni religiose che da tempo lo turbavano, Milton ribadisce il diritto dei puritani a staccarsi dalla Chiesa di Stato loro imposta, una Chiesa che cerca di imprigionare “le nostre anime con catene secolari”. Con grande abilità, nel distico finale il poeta rovescia il senso della parabola di Gesù sul pastore salariato che fugge davanti al lupo minaccioso. Solo Cromwell può avere la forza e la determinazione necessarie per tenere a bada un branco di “lupi prezzolati”. Nel 1660, Milton fu apparentemente costretto ad abbandonare la letteratura apertamente politica e a indirizzare il suo impulso creativo verso il progetto, a lungo accarezzato, di comporre un poema epico in inglese. L’autore era convinto che con suo poema eroico avrebbe finalmente proclamato al mondo civilizzato la maturità raggiunta dalla letteratura inglese. Milton si preparò con grande impegno alla sfida intellettuale che si era posto, mettendosi alla ricerca di un soggetto appropriato e di uno stile epico che ne fosse degno. A un certo punto, durante la Guerra Civile, l’idea all’antico eroismo regale dovette apparirgli troppo macchiata dai peccati dei sovrani moderni per costituire un soggetto adatto alla celebrazione epica. Tuttavia, parte del materiale raccolto per questi progetti mai portati a termine fu riplasmato nella prosa della History of Britain del 1670, un volume in cui Milton deplora il fatto che né i bretoni né i sassoni fossero stati capaci di mantenere e difendere le loro antiche libertà. L’analisi di un fallimento di proporzioni più devastanti e universali affiora nel progetto di una tragedia sacra dal titolo di “Adam Unparadiz’d” (Adamo privato del paradiso). Non è più possibile ricostruire sino a che punto Milton fosse giunto nella realizzazione di questo canovaccio ma sembra che alcuni elementi siano poi confluiti nell’elaborazione drammatica del tema della Provvidenza in Paradise Lost, 1667. Nella storia della letteratura europea, diversi erano stati i poemi epici che celebravano una vittoria militare di qualche sorta: l’Iliade di Omero individuava le cause della guerra tra greci e troiani e ne seguiva le alterne vicende; l’Eneide di Virgilio esplorava le origini e la natura del destino imperiale di Roma; la Gerusalemme Liberata (1581) del Tasso trattava. Milton, che conosceva bene tutte queste opere, aveva già scartato in partenza la possibilità di assumere un tono nazionalista o ottimistico nel suo Paradise Lost. Argomento del poema doveva essere infatti la comprovata incapacità del genere umano di vivere secondo i dettami divini e la lenta, ma provvidenziale liberazione dalle conseguenze della Caduta. Come molti altri miti e racconti popolari analoghi, quello che Milton aveva scelto di trattare poneva degli interrogativi sulle conseguenze morali della disobbedienza. La scoperta della conoscenza del bene e del male non è casuale e tantomeno felice. Al “personaggio” principale, Adamo, non è riservato un destino eroico. Dalla corruzione sua e di Eva deriva la corruzione dell’umanità intera e la lotta spirituale per la riconquista del paradiso, di uno stato cioè di giustizia e serenità, è un compito a cui saranno chiamate tutte le generazioni future dei loro discendenti. La caduta di Adamo ed Eva è una caduta dalla sfera ideale a quella umana. Il grande tema dell’epica miltoniana è l’obbedienza ai precetti insiti nell’ordine imposto da Dio onnipotente sulla creazione. La volontà di Dio è impressa nell’armonia della natura e la Caduta è una sciagura ecologica tanto quanto morale. Nonostante la tutt’altro si può dire del profondo acume politico che permea la sua poesia. Nella prefazione alla seconda parte della satira in prosa Anteprima in prosa, 1673, l’autore sosteneva di non aver avuto il benché minimo contatto con le faccende pubbliche. Al di là dell’ansia di giustificarsi, è evidente che Marvell riconosceva in Cromwell lo spirito dinamico dell’epoca, il genere di figura chiave in cui Machiavelli aveva individuato l’agente del cambiamento politico. Per quanto le prime poesie pubblicate da Marvell facciamo presupporre un legame con i circoli letterari filo- monarchici, il suo sostegno alla nuova repubblica è manifesto in “Ode oraziane sul ritorno di Cromwell dall’Irlanda”, del maggio 1650. Alcune copie superstiti del volume dei Miscellaneous Poems, 1681, contengono altri due elogi poetici per il Lord Protettore, anche se nella maggior parte delle copie del volume un censore li ha espunti. Tutte e tre le poesie di Marvell celebrano il generale vittorioso, eroico strumento divino. “Il primo anniversario di governo di Sua Altezza il Lord Protettore,1655) scorge un infaticabile Cromwell il quale” incede e apre la via ai Cieli nei cui domini coglie una musica per intonare alle più altre sfere la sua più bassa”. In “Poema sulla recente morte di Sua Altezza il Lord Protettore,1658” si afferma che la reputazione lasciata alla sua morte crescerà col passare del tempo quando sarà permessa la verità, e la discordia cesserà. Il più acuto e profondo di questi esemplari di poesia pubblica è il primo, in cui Marvell rende un omaggio congiunto a Orazio come modello letterario e a Cromwell per la sua straordinaria vitalità. L’ode oraziana assegna ai suoi destinatari i ruoli complementari di chi porta a compimento una tradizione e di chi rompe con il passato facendo il vuoto intorno a sé. Cromwell surclassa i suoi predecessori romani e assume il ruolo dell’eroe cristiano, figlio delle circostanze particolari dell’epoca moderna, che agirà secondo il volere di Dio. La poesia si apre su “un ardito Giovane” spinto ad abbandonare le arti della pace a favore di quelle della guerra. Nel finale, la potenza militare si abbatte non solo sulle ribelli Irlanda e Scozia ma anche sulle cattoliche Italia e Francia, dove Cromwell potrà eguagliare i trionfi di Cesare e Annibale. Al centro dell’ode Marvell colloca un prudente omaggio a Carlo I, esponente di un ordine onorevole ma morente. Carlo è un regale attore che recita la sua ultima parte con impeccabile decoro, inchinandosi agli eventi e ritirandosi con classe dal palcoscenico della storia. Il capo sanguinante del re non viene presentato come una minaccia alla neonata repubblica, ma come un sacrificio che ne profetizza il felice destino, paragonato da Marvell al leggendario monito che era stato posto davanti agli occhi degli architetti romani che posarono le fondamenta del Campidoglio per incitarli a lavorare alacremente. L’ode oraziana ritrae Cromwell come un ardito Giovane che abbandona il suo ritiro in campagna per porsi al servizio di una guerra giusta. Nel giugno del 1650 l’ex comandante in capo dell’esercito di Cromwell, Thomas Lord Fairfax, aveva rinunciato all’incarico parlamentare e si era ritirato dalla vita pubblica trasferendosi nelle sue proprietà dello Yorkshire. Qui lo raggiunse Marvell. I versi attribuiti a questo periodo si incentrano sul legame tra vita pubblica e vita privata in un’epoca segnata da violenti sconvolgimenti. Morte, delusione e rovina generale sono temi chiari nel lungo omaggio di Marvell al suo mecenate, “Intorno ad Appleton House: al mio Lord Fairfax”. Nelle strofe iniziali di Marvell, Appleton House e i suoi domini vengono inseriti in un contesto che li associa a un passato ancestrale e a un futuro incerto ma positivo. Alla strofa XLI, i riferimenti si estendono sino a includere un ben più vasto giardino, quello dell’Inghilterra caduta in rovina, un Eden devastato dalla guerra. Il ritiro di Fairfax ha privato l’Inghilterra del giardiniere più adatto a portarla a una nuova perfezione. Gli scorci di violenza rurale osservati nelle terre attorno alla proprietà diventano metafore di una devastazione più universale. Questa confusione sembra richiedere sia al narratore sia al lettore di interpretare un insieme di segni determinanti in modo da comprendere l’operato della provvidenza. Il finale della poesia è tipicamente ambiguo. Da un lato, esso è segnato dal deciso ritorno all’ideale incarnato dalla casa e dai suoi occupanti: la figlia di Fairfax è vista come colei che restaurerà l’ordine in un circoscritto paradiso terrestre, e, forse, suo padre, potrà rendere lo stesso servigio all’intera nazione. Dall’altro lato, tuttavia, la poesia si chiude su una nota enigmatica: l’ultima strofa ci sprofonda nuovamente nel regno del disordine e del caos generale, con i pescatori di salmone che capovolgono le loro imbarcazioni rivestite di cuoio e se le mettono in testa come tartarughe, strani abitanti di questo “emisfero oscuro”. Le altre poesie di Marvell che hanno per tema il ritiro in un giardino si richiamano anch’esse alla condizione dell’umanità dopo la Caduta; sono tuttavia meno ambigue. “Bermudas” (Bermude) tratta del provvidenziale incidente grazie al quale i puritani in fuga dalle persecuzioni di Laud approdarono su un’isola paradisiaca nel Nuovo Mondo. Tutte le speranze di rinnovamento di Marvell si riversano in questo inno di lode che adotta la metrica del salmo. La medesima gioia per la riscoperta dell’Eden si ritrova in “The Garden” (Il giardino), un poema che si apre con un vistoso sfoggio di wit erudito; con i giovani ,ci viene detto, si può premiare ogni ambizione, dato che proprio essi fornivano le corone simboliche un tempo conferite ai santi, ai soldati, agli atleti e ai poeti; nei giardini hanno avuto origine le tradizionali metafore per esprimere l’amore fisico, quasi che ogni passone vada a sfociare nella vita vegetale. Quando fa la sua comparsa l’Io narrante, ci viene presentata la visione alternativa di un fertile paradiso dove i frutti chiedono solo di essere toccati e assaporati e dove sino ad ora l’unica caduta è stata quella provocata dall’amoroso protendersi dei viticci di meloni e dall’abbraccio dei fiori. Quello di Marvell incarna il tentativo di recuperare l’innocenza attraverso la meditazione e la solitudine. L’intelletto creativo trova la forza di annullare tutto il creato nella freschezza di “un verde Pensiero sotto una verde ombra” e il mondo immaginato diventa un paradiso esclusivo, proprietà di un solitario Adamo. Solo col riferimento al tempo contenuto nell’ultima strofa si insinua l’ipotesi che la separazione tra questo Eden dove non esistono stagioni e il mondo corrotto e transitorio sia dovuta alle conseguenze di una storica Caduta. Le liriche di Marvell si distinguono per la presenza ossessiva del tempo e di un senso tormentante, talvolta sconcertante del fallimento umano. La famosa poesia indirizzata da Marvell “To His Coy Mistress” (All’amante ritrosa) è forse la più bela tra le molte variazioni sul tema del carpe diem sviluppate dalla poesia rinascimentale inglese. La Signora potrà attendere l’epoca ultima per rivelare i propri sentimenti, ma il narratore la esorta a cedere prima del giorno del Giudizio, quando la passione si estinguerà. Il tempo non è redentore, ma distruttore; il suo carro alato trascinerà rapidamente gli amanti verso deserti vasti ed eterni e verso una tomba dove il canto del poeta risuonerà nel vuoto. L’ultima parte della poesia cerca di rovesciare quest’immagine negativa riaffermando il valore della vita e del piacere. Solo a questo punto il narratore suggerisce agli amanti di provare, con la loro energia, a sorpassare o arrestare il tempo; di essa faranno una palla che infrangerà “le porte di ferro della vita”, anche se non è specificato quale tipo di serenità sarà dato loro di raggiungere dopo l’abbattimento di tali barriere. “To his Coy Mistress” si oppone alla ritrosia e al tempo stesso la attacca. Prima ci mostra la fragilità di un amore non consumato in uno scenario di mortalità, guerra e distruzione totale; e poi fa baluginare la speranza di un trionfo della carne sugli evidenti soprusi del tempo e del decadimento fisico. PEPYS, EVELYN E L’AUTOBIOGRAFIA DEL SEICENTO Samuel Pepys (1633-1703) aveva assistito all’esecuzione del re Carlo I a Whitehall all’età di quindici anni, mentre ancora andava a scuola. In una pagina del suo diario datata 30 gennaio 1663, egli annota con ironica solennità la commemorazione ufficiale dell’avvenimento nella Londra della Restaurazione. Pepys in quell’occasione fece atto di fedeltà nei confronti della monarchia restaurata recandosi alla chiesa parrocchiale per la funzione commemorativa del Giorno del martirio del Re Santo, dove udì un sermone “su come Davide fosse stato punito dal suo stesso cuore per aver tagliato la veste di Saul”. Pepys iniziò a scrivere il suo diario nel gennaio 1660. Nel maggio di quell’anno accompagnò il suo protettore, Lord Sandwich, nel viaggio che doveva riportare in patria dall’Olanda Carlo II e in ottobre ebbe modo di vedere il “primo sangue versato per vendicare quello del re”, quando il regicida Thomas Harrison fu impiccato, sventrato e squartato in pubblico a Charing Cross. Oltre a essere il più famoso tra i diari del Seicento, quello di Pepys è anche il più ricco di descrizioni e il più godibile; ma non è certo unico nel suo genere. Il secolo XVII è segnato dall’affermarsi della scrittura autobiografica, una tendenza che talvolta è stata attribuita, troppo semplicisticamente, allo sviluppo dell’individualismo borghese e al crescente interesse per l’esplorazione dell’interiorità e dell’esperienza individuale. Se è vero che l’autobiografia era una forma espressiva aperta sia agli uomini sia alle donne e che da essa presero spunto i successivi esperimenti di narrazione in prima persona, non si può comunque ritenere che questo genere fosse dominio esclusivo del ceto medio urbano. Le origini di Pepys erano senz’altro borghesi, ma il suo impiego come Sovrintendente Generale dell’ufficio vettovagliamento della Marina gli aprì le porte del mondo della corte, con i suoi giochi politici e i suoi costumi aristocratici, tanto che il suo diario registra con precisione le differenze tra i gusti dei cittadini e quelli della corte della Restaurazione. Due delle più assidue croniste della propria vita e di quella dei propri familiari, Lady Anne Clifford e Margaret Cavendish, contessa di Newcastle appartenevano a illustri famiglie aristocratiche. Nel loro caso, lo stimolo a registrare nei minimi dettagli l’impatto del mondo esterno sulla coscienza individuale sembra doversi ricondurre a motivi di ordine più religioso che sociale. il genere autobiografico non faceva distinzioni di classe. Alcuni autori di diari e di autobiografie dell’epoca cercano di catalogare le manifestazioni della divina provvidenza, di calcolare i casi di grazia ricevuta e persino di sottoporre il rendiconto finanziario della propria vita al giudizio di Dio. Altri sono invece mossi dalla pressante necessità di dimostrare l’operare di un disegno divino dietro alle vicende private e pubbliche allo scopo di provare, secondo i casi, che il mondo si trova a un nuovo inizio o è invece prossimo alla fine. Lucy Hutchinson scrisse le sue Memorie della vita del Colonnello Hutchinson, pubblicate nel 1806 con l’intento di giustificare l’impegno repubblicano del marito e di provvedere al bene dei propri figli. Il tono delle sue memorie private non è certo improntato alla contrizione. Esse offrono un ritratto vivace, acuto e senza orpelli, della vita di un’importante famiglia puritana durante la Guerra Civile, con l’aggiunta di un “Frammento” autobiografico. Dall’immagine che Lady Hutchinson di dà di se stessa traspaiono la forza e l’intraprendenza innate di una donna che la vita ha sottoposto a molte prove e che, in gioventù, per la sua disposizione malinconica non si curava né di sé né del prossimo, come se non le interessasse di compiacere chi le stava attorno e non le importasse del mondo circostante. A questa predisposizione alla malinconia fa cenno anche Margaret Cavendish. Cavendish era una monarchica fervente, una dama di compagnia della regina Enrichetta Maria e un’abile scrittrice anche se di fondo una dilettante. Secondo Pepys, che non ne aveva un’opinione particolarmente alta, la duchessa era conosciuta per la “bizzarra stravaganza” del suo aspetto ed era nota solo per banalità espresse nel corso di una visita alla Royal Society dal suo A True Relation emerge un personaggio interessante e capace di introspezione. L’autrice ammette di essere stata “ottusa, timorosa e timida” in gioventù, ma afferma orgogliosa che la caduta in disgrazia della famiglia nel periodo repubblicano l’ha resa resistente alle avversità. Molto più significativo è il misto di amore e orgoglio, autocritica e autorappresentazione che caratterizza la vita di Lady Anne Clifford, divenuta contessa del Dorset prima e contessa di Pembroke poi. Per diritto di successione, Lady Anne era anche erede di vaste proprietà del Nord dell’Inghilterra e proprio per difendere questi diritti contesi combatté contro le intimidazioni del primo marito, la capziosità degli avvocati e la prepotenza di re Giacomo I. La sua tenacia è evidente nei brani superstiti del diario che tenne negli anni 1616, 1617 e 1619. Dal suo diario trapela il profondo sconforto spirituale trovato nella pratica dell’anglicanesimo e in un raffinato interesse per la letteratura. L’autrice fa riferimento alla lettura di Chaucer e Sidney, ma la gamma dei suoi gusti è più evidente nel trittico della famiglia Clifford, il “Grande dipinto”, da lei stessa commissionato, che la ritraeva insieme ai parenti più prossimi negli anni Quaranta del secolo. Qui, Lady Anne appare circondata da una quantità di libri scelti con oculatezza tra i quali compaiono volumi di sant’Agostino, Spenser, Jonson, Donne e Herbert. Il diario di Samuel Pepys copre gli anni tra il 1660 e il 1669 e si interrompe il 31 maggio 1669 con una triste riflessione sui grandi disagi che avrebbero accompagnato ciò che egli supponeva essere l’inizio della propria cecità. In realtà Pepys non divenne cieco, ma non iniziò un altro diario. I sei volumi manoscritti che ci sono pervenuti vennero trascritti solo all’inizio dell’Ottocento. Nella prima versione si era ritenuto necessario effettuare dei tagli non tanto perché Pepys avesse utilizzato la stenografia, quanto per la sua decisione di presentare un resoconto di quella che Coleridge avrebbe poi chiamato “il pensiero nudo”. Pepys racconta infatti le sue avventure extraconiugali. Nei suoi pensieri nudi, Pepys non si limita a giudicare con severità o indulgenza la propria condotta, ma ci offre un onesto resoconto della sua vita quotidiana, fornendoci notizie sullo stato di salute suo e dello Stato per cui lavora; ogni anno si congratula con se stesso per i propri successi personali e ringrazia Dio per aver fatto progredire sia lui sia la nazione. Se il diario rappresenta oggi un’indispensabile fonte storica, lo si deve principalmente alla costanza e alla curiosità del suo compilatore. Il racconto degli intrighi e dei pettegolezzi a corte e in parlamento, le informazioni che ci fornisce sulle procedure amministrative della Marina e le testimonianze intorno a grandi calamità pubbliche quali la peste del 1665 e il Grande Incendio di Londra del 1666, sono inframmezzati a osservazioni penetranti sul cibo e sull’abbigliamento, sui problemi della servitù Entrambi produssero gran parte delle loro opere migliori durante i lunghi periodi trascorsi in carcere per aver infranto la legge nel tentativo di rimanere fedeli ai propri principi. Entrambe le autobiografie sono animate da uno zelo forte, intransigente, proletario, molto diverso dalla aristocratica moderazione, fondata su saldi principi ma al contempo incline al sentimentalismo, del loro collega puritano e visionario John Baxter. Bunyan (1628-88) intende presentare l’immagine della misericordiosa azione di Dio sulla sua anima e descrive un processo di liberazione sia dalle lusinghe terrene sia da un acuto e doloroso senso del peccato. Bunyan ripropone anche la sua convinzione di essere stato salvato dalla disperazione da una insistente voce interiore. Sino a che punto Bunyan avesse assimilato la Bibbia è evidente nella sua opera più importante e più apprezzata dai posteri, The Pilgrim’s Progress, 1684. Qui l’autore rende oggettivo e universale il precedente resoconto soggettivo del suo personale pellegrinaggio spirituale, ma è anche un’opera di notevole originalità rispetto alla precedente. Pilgrim’s Progress cerca infatti di spiegare l’esperienza spirituale per mezzo di allegorie che si ispirano a immagini bibliche, a versioni popolari di racconti di nobili azioni di guerra e alle illustrazioni presenti nei libri di emblemi. Quella di Bunyan rimane un’opera di appassionata immediatezza; il linguaggio impiegato è vivace, elevato e schietto e la progressione narrativa è diretta e lineare come la stretta via che porta al cielo percorsa da Christian, Faithful e Hopeful (Cristiano, Fedele e Speranzoso). Con procedimento sottile, Bunyan attribuisce ai peccatori incalliti, incontrati dai pellegrini lungo il cammino degli eletti. Mr Worldly-Wiseman (Messer Saggezza Mondana) raccomanda prudenza nel prendere la strada pericolosa; Formalist (Formale) e Hypocrisy (Ipocrisia) evitano il cancello della conversione prendendo una scorciatoia e facendo ciò a cui erano avvezzi; Talkative (Ciarliero), che è figlio di Saywell (Parlabene) e abita in Prating-row (via Chiacchiere), è molto loquace ma alle sue parole non segue mai l’azione; i dodici giurati della Fiera delle Vanità emettono prontamente una condanna a morte contro Fedele scegliendo la soluzione più facile e richiamandosi ai precedenti e alle consuetudini. Anche il viaggio di Christian dalla Città della Distruzione alla Città Celeste è circondato dalle stesse tenebre. Il viaggio di Christian, accompagnato prima dal martire Faithful e poi dal redento Hopeful, è il viaggio di ogni singolo credente che ha ricevuto in dono le tre virtù teologali della fede, della speranza e delle carità nonché la certezza confortante di essere stato predestinato all’eterna salvezza. È per questo che egli è in grado di proseguire lungo il suo cammino basandosi solo sulla comprensione delle promesse bibliche. In modo analogo a quanto accade nel Paradise Lost di Milton, The Pilgrim’s Progress lascia libero il lettore di identificarsi o meno col percorso di crescita spirituale e con l’eroismo quotidiano di Christian, ed è quindi dalla reazione del lettore che dipende la ricezione dell’opera. nella seconda parte del libro il pellegrinaggio spirituale si allarga a includere anche la famiglia di Christian e in particolare sua moglie Christiana che, a fianco del suo difensore e protettore, Greatheart (Grancuore), ripercorre la strada segnata dai ricordi delle vittore morali del marito. Pare che all’epoca di Bunyan The Pilgrim’s Progress non abbia venduto più copie di altri suoi trattati oggi pressoché dimenticati; le edizioni successive ebbero una tiratura eccezionale e l’opera si diffuse nelle case della gente comune, e non solo in quelle dei puritani. Nessuna delle successive opere riuscì a eguagliare l’inventiva e il successo ottenuto presso il pubblico da The Pilgrim’s Progress. Sia The Life and Death of Mr Badman, 1680 sia The Holy War, 1682 si distinguono per lo spirito di osservazione e per un commento morale di notevole vigore. Mr. Badman è stato spesso considerato un primo esperimento di narrativa realista oppure un proto-romanzo. L’opera è strutturata come un dialogo vivace, anche se piuttosto incoerente, tra Mr Wiseman e Mr Attentive (Messer Saggio e Messer Attento) attorno all’inarrestabile declino morale di un peccatore del tutto comune, un piccolo commerciante che sguazza nello squallore di una meschina lussuria e di piaceri carnali e che è chiaramente in cammino verso la Città Infernale, piuttosto che verso quella Celeste. The Holy War è un’opera meno moralistica di Mr Badman e si distingue per il realismo del vocabolario militare che Bunyan doveva certamente aver imparato mentre prestava servizio nell’esercito parlamentare. The Holy War narra la storia di Mansoul (Anima dell’uomo), città diletta del suo creatore Shaddai (Dio Padre), dei diversi assedi subiti, della sua liberazione e dei tentativi interni di presa del potere. Mansoul, dopo essersi consegnata a Diabolus (Satana) con un atto di tradimento, viene nuovamente conquistata da Emanuel, figlio di Shaddai, per poi ricadere di nuovo. La liberazione dei cittadini di Mansoul, compiuta da Emanuel con mano ferma e inflessibile, e la fiducia che quest’ultimo ripone nei suoi valorosi ufficiali lasciano presagire il giudizio universale e una purificazione redentrice da ogni forma di corruzione. Un’apocalisse di tali proporzioni, questa sembra sottintendere Bunyan, era a un passo dal compiersi. L’innocenza torna invece a farsi sentire nell’opera di Thomas Traherne (1637-74). Traherne proveniva da una famiglia di umili origini; tuttavia, poté studiare a Oxford grazie alla generosità di un parente benestante e trovò nell’anglicanesimo una cornice all’interno della quale sviluppare ed esplorare le sue eccezionali doti spirituali. In epoca repubblicana Traherne era stato ministro del culto di una parrocchia, ma nel 1660 scelse di venire ordinato prete in base alle nuove disposizioni emanate dalla Chiesa anglicana appena restaurata. Fu proprio nello Herefordshire negli anni Sessanta che Traherne sviluppò un legame profondo con il circolo religioso di Susanna Hopton, un gruppo che ha vicino questo nelle pratiche spirituali e nelle aspirazioni. Sin dall’infanzia Traherne sembra aver provato un trasporto mistico verso lo splendore incorrotto del creato; come egli stesso afferma aveva sentito il desiderio di meditare sulla bontà di Dio spinto da un istinto naturale, proprio come un sussurro. Nella sua prima maturità si era dedicato a coltivare quelle che considerava le virtù della introspezione, riserbo e silenzio; così nella terza parte delle Centuries of Meditation (Centurie di Meditazione) annota la decisione di trascorrere il periodo di ritorno in campagna cercando la felicità. Pochi altri scrittori di questo periodo descrivono con tanta intensità il rapporto con la natura. Si può ipotizzare che, per Traherne come per Vaughan, il venir meno dell’apparato formale della liturgia anglicana durante il Commonwealth abbia intensificato la percezione della rivelazione divina sia nella molteplice varietà del mondo naturale sia nell’amministrazione dei sacramenti tra le mura di una chiesa. Nelle poesie e nella prosa entusiastica delle Centuries, Traherne si pone dinanzi alla meraviglia e all’infinità di Dio con atteggiamento spontaneo, sentito, e tutt’altro che puritano. Per l’autore, il vero rinnovamento del mondo consiste nel recuperare e nell’esplorare la visione paradisiaca accordata agli uomini durante l’infanzia, piuttosto che nel costruire una Gerusalemme terrena in attesa del millennio. Una simile evocazione di felicità semplice e primigenia pervade “Wonder” (Meraviglia) e The Rapture (L’estasi). I componimenti lirici My spirit, The Circulation e The Demonstration presentano una serie di riflessioni neoplatoniche sulla correlazione tra l’incanto provato dall’animo umano e la perfezione intellettuale di Dio. Le 510 meditazioni che compongono le Centuries si presentano il Creato immerso nella luce e nella presenza di Dio. Nella prima meditazione l’anima umana viene paragonata a un libro bianco in attesa che vi vengano impresse la verità, l’amore e i consigli sussurrati del suo Creatore. Nel complesso le Centurie offrono la registrazione di un’intensa comunicazione spirituale con Dio, un processo avulso dalle distrazioni della politica contemporanea tramite il quale l’anima vigile si conquista la gloria attraverso i modi gentili della pace e dell’amore. A parte i pochi momenti in cui si avvede del dolore dell’abbandono, quando la visione perde vigore, il tono di Traherne è quello di meraviglia estatica e di gioia pura che scaturiscono dalla prova evidente della presenza di Dio nel mondo visibile. Le Centuries non sono un saggio di quella che poi sarebbe stata definita teologia naturale, vale a dire la dimostrazione dell’esistenza d Dio e del suo operato attraverso un’attenta osservazione scientifica della natura; Traherne scorge infatti un mondo luminoso in cui è data la presenza di Dio. Questo sentimento di unione col creato viene presentato come un dono del Cielo, non come una visione raggiunta attraverso una vigorosa immaginazione proto-romantica. STORIE PRIVATE E STORIA NAZIONALE: AUBREY, SPRAT E CLARENDON Lo studioso di antichità di Oxford Anthony Wood (1632-95) definiva così John Aubrey (1626-97) una delle sue maggiori fonti di informazione biografica. L’opera di Wood, History and Antiquites of the University of Oxford, 1674 e il suo dizionario biografico di personalità illustri di Oxford, rivestono ancora oggi un certo interesse in quanto raccolte di informazioni un tempo importanti, anche se noiose. Il lavoro di Aubrey, invece, si distingue per la freschezza dello sguardo dell’autore, una freschezza che dipende in larga misura dal metodo eccentrico e casuale adottato nella sua indagine. In Aubrey si riconosce oggi una delle persone più importanti delle origini dell’archeologia britannica, ma è grazie alle sue biografie di tono aneddotico che l’autore si è guadagnato una notevole fama postuma. Aubrey scriveva senza metodo o annotava le informazioni alla rinfusa, ma era un biografo intraprendente, che seppe riconoscere il valore della storia privata e comprese la natura transitoria ed effimera delle fonti orali. Mostrava grande entusiasmo davanti a cose che gli altri consideravano di poco conto, raccoglieva pettegolezzi ed era una presenza fissa ai funerali sia degli amici sia degli sconosciuti degni di nota, di cui visitava anche i monumenti funebri. All’età di nove anni rimase affascinato da una serie di incisioni che raffiguravano lo scenografico funerale di Sir Philip Sidney; portò il feretro alle esequie dell’autore di satire Samuel Butler e dell’anatomista William Harvey e ci descrive nei minimi dettagli la bella bara in noce del drammaturgo Sir William Davenant; lo affascinano molto anche la notizia di una vecchia che vive fra le ossa conservate nella cripta della cattedrale di Hereford e la scoperta del cadavere conservato in salamoia dell’umanista John Colet. Era amante del pettegolezzo e aveva un gusto particolare per le frasi a effetto. Tra le biografie, quelle di Milton e Hobbes sono le più ricche di informazioni e tra le più godibili. Aubrey cerca di giustificare il repubblicanesimo di Milton affermando che egli aveva agito per puro zelo in favore della causa dell’umana libertà; basandosi sulla testimonianza di John Dryden precisa che la conversazione del poeta era gradevole ma faceta e che il suo modo di pronunciare la lettera R era duro, segno certo di arguzia. A proposito della passione di Hobbes per la geometria, Aubrey ricorda come fosse solito disegnarsi delle righe sulle cosce e sulle lenzuola e fare moltiplicazioni e divisioni. Da una serie di riferimenti contenuti nelle Vite Brevi di Aubrey è possibile dedurre il prestigio rivestito dalla Royal Society, che era stata fondata a Londra negli anni della Restaurazione di Carlo II e aveva ottenuto le patenti regali nel 1662 e 1663. Nel resoconto della vita dello statista Sir William Petty, Aubrey annota come questi avesse proposto di scegliere, come data per le elezioni annuali della Society, il giorno di san Tommaso anziché quello di sant’Andrea, dato che il primo aveva chiesto delle prove prima di essere disposto a credere. La Royal Society era in parte un club per entusiasti accomunati da interessi analoghi, in parte una prima attuazione delle avanzate idee scientifiche promosse nella prima metà del secolo da Bacon. Con l’intento dichiarato di far progredire il sapere nel suo complesso, la società cercava di riunire un’ampia gamma di intellettuali e di fare da catalizzatore per una serie di indagini ed esperimenti diversi. Tra i suoi primi membri si annoverano personaggi che diedero contributo decisivo alla scienza, ma anche altri che oggi vengono ricordati principalmente per opere di carattere non scientifico. Con l’ambiziosa The History of the Royal Society of London, pubblicata nel 1667, Thomas Sprat (1635-1713) cercò di definire il ruolo del pensiero empirico in quest’epoca dotta e indagatrice e di difendere la reputazione della Illustre Società che ha gettato fondamenta per il progresso dell’Umanità. La filosofia naturale, sosteneva Sprat, era la disciplina chiave della nuova epoca; essa dava impulso all’industria consentendo l’incremento della ricchezza nazionale e forniva un valido sostegno all’anglicanesimo. Inoltre, la natura stessa della ricerca scientifica pragmatica era anche un antidoto contro il caos, le passioni e la follia dell’epoca buia della Guerra Civile e della repubblica. Agli occhi di Edward Hyde, conte di Clarendon (1609-74), pragmatico uomo di Stato negli anni Quaranta e Sessanta e servitore fedele della corona, la Restaurazione apparve come un giudizioso ritorno a un assetto istituzionale equilibrato, in cui un monarca anglicano rispettoso della legge si faceva garante dell’ordine. Clarendon riteneva preferibili l’empirismo e il pragmatismo all’idealismo e alla chiusura mentale che caratterizzavano gran parte del radicalismo puritano. The True Historical Narrative of the Rebellion and Civil Wars in England di Clarendon è una chiara dimostrazione di quanto alcuni pensatori inglesi influenti e devoti si fossero allontanati dalla convinzione che il giorno del Giudizio Universale era imminente. Lungi dal nutrire preoccupazioni escatologiche o dall’indicare la via per ricostruire il paradiso sulla terra, le due Histories si incentrano su un’idea di sviluppo graduale. Secondo Sprat, è possibile comprendere i disegni divini studiando le leggi della natura e del creato. Per Clarendon, i gravi disordini politici della metà del secolo devono valere da monito per il futuro e per disordini politici della metà del secolo devono valere da monito per il futuro e per coloro che stanno ricostruendo lo Stato basandosi su principi storici. La sua History segue il crollo delle istituzioni in cui l’autore ripone più fiducia e l’avanzare della ribellione contro l’ordine legittimo. Per quanto le inclinazioni filo-monarchiche e conservatrici di Clarendon influenzino pesantemente il suo discorso, egli sa anche muovere critiche pungenti a coloro che ha servito o consigliato in passato. Le sue rimangono alcune tra le più perspicaci tra le molte analisi della politica e del carattere di Carlo I, di cui sa tanto lodare le effettive doti quanto analizzare i catastrofici difetti. Lo stile chiaro, pacato, articolato di Clarendon consente di mescolare lode e rimprovero, di fare un complimento per poi ritirarlo, di fare un’affermazione per poi subito circostanziarla. Le opere di Clarendon furono donate dai suoi eredi all’Università di Oxford e i cospicui profitti realizzati grazie alle vendite della History consentirono di costruire una nuova casa editrice intitolata allo storico stesso. costantemente a modello di regolarità a teatro, mentre al più naturale Shakespeare viene assegnato il titolo di Omero inglese o Padre dei poeti drammatici. Tre dei quattro contendenti di Of Dramatic Poesie vengono definiti “persone rinomate in tutta la città per wit e distinzione”. Il quarto che sembrerebbe rappresentare lo stesso Dryden, non è da meno né sul piano sociale né su quello intellettuale. Tutti e quattro fanno parte di una corte a cui la dedica dell’opera assegna il titolo di migliore e più attendibile giudice letterario. Questo è stato probabilmente l’ultimo momento della storia inglese in cui un’osservazione così carica di lusinghe poteva contenere anche un fondo di verità. Dryden fu anche uno degli ultimi grandi scrittori ad aver cercato il sostegno e la protezione della corte e i vantaggi connessi ai titoli conferiti dalla corona. Nell’aprile 1668, Dryden fu nominato Poeta Laureato e nel 1670 ottenne anche la carica di Storiografo della Corona. Per tutta la sua carriera, egli si costruì un’immagine di poeta ufficiale della monarchia. I suoi primi versi di carattere pubblico testimoniano del desiderio di Dryden di essere riconosciuto quale voce rappresentativa della corte. Il breve poema storico Annus Mirabilis, 1666 è preceduto da un’elaborata dedica alla metropoli della Gran Bretagna, un riconoscimento dell’ardua prova sostenuta dalla città di Londra durante il grande incendio del 1666 ma un’enfatica riaffermazione di sentimenti filomonarchici per contrastare il crescente risentimento dei suoi cittadini nei confronti della monarchia restaurata. Nei quattordici anni trascorsi tra la stesura di Annus Mirabilis e la pubblicazione della satira politica Absalom and Achitophel, 1681 Dryden si dedicò principalmente al teatro, un’esperienza che lo aiutò a liberarsi dalla precedente tendenza al pittoresco e ad accrescere la capacità di caratterizzazione dei personaggi e la vivacità dei dialoghi. Grazie alla sua commistione di discussione ragionata, la satira drydeniana risulta particolarmente godibile. Absalom and Achitophel è un poema fazioso, concepito in modo da compiacere gli alleati politici promuovendone la causa e di provocare, dileggiandoli, gli avversari. “Vero scopo della satire”, scriveva Dryden, “è quello di riformare il vizio correggendolo”. Le parole di Dryden contengono un riferimento molto preciso. L’autore desidera che non si ricordi, e che non si perdoni, il tradimento perpetrato dal figlio illegittimo di Carlo II, il duca di Monmouth, e dal suo complice principale, il conte di Shaftesbury, nel tentativo di escludere dalla successione al trono il fratello del re e suo erede legittimo, il cattolico duca di York. Il poema, che si basa sull’episodio biblico della ribellione di Assalonne contro il padre Davide, è al tempo stesso un racconto a chiave e un’intelligente presa in giro dell’abitudine dei protestanti di citare, in tono serioso, precedenti biblici per sostenere le proprie posizioni. Anche se Absalom and Achitophel non fa quasi per nulla ricorso al sacro, in qualche modo l’aura del favore divino si trasmette da Davide a Carlo II; il poema si apre inoltre minimizzando con arguzia la colpa di adulterio attribuita al re affermando che la narrazione è ambientata in un’epoca pia, prima che la poligamia venisse dichiarata peccato. Ai malvagi di rango aristocratico Dryden dedica una presentazione solenne; a quelli di estrazione meno elevata riserva un trattamento assai meno rispettoso. Shaftesbury/Achitopel è rappresentato come il tentatore satanico che spinge al tradimento un ingenuo e onesto Monmouth/Absalom; oltre che a far leva su una prospettiva di gloria individuale e di salvezza pubblica, egli adula il giovane servendosi di immagini bibliche distorte incentrare sull’idea della missione divina. Il poema è strutturato attorno a una serie di vivaci discussioni e apologie. Si chiude con una ponderata dichiarazione d’intenti da parte del divino Davide, in parte rammaricata denuncia, in parte difesa delle prerogative monarchiche e in parte riaffermazione di un ideale equilibrio dei poteri costituzionali. Le continue macchinazioni di Shaftesbury contro Carlo II fornirono lo spunto per altre due opere satiriche che sono però solo un riflesso sbiadito di Absalom and Achitophel. The Medall: A Sayre Against Sedition, 1682, è un attacco frontale contro la persona di Shaftesbury e le ragioni del suo partito, i whigs, a cui il poema è maliziosamente dedicato. The Second Part of Absalom and Achitophel, 1682 è in buona parte opera di Nahum Tate, ma il contributo di Dryden si distingue per la forza della sua cattiveria, specie nei brevi ritratti di Elkanah Settle e di Thomas Shadwell. Shadwell (1642-1692) divenne il bersaglio della satira di Dryden in parte per via delle sue affiliazioni politiche, ma soprattutto a causa di una sempre più astiosa rivalità tra i due in ambito teatrale: il successo ottenuto da Shadwell con The Enchanted Isle (L’isola incantata, 1674), un adattamento operistico di The Tempest, fu particolarmente duro da digerire. La marcata avversione nei confronti dell’opera poetica di Shadwell toccò il culmine nel poema satirico Mac Flecknoe, che Dryden iniziò a comporre alla fine degli anni Settanta pubblicandolo però solo nel 1682. Si tratta di un’opera che va al di là del mero attacco satirico per esprimere un sentimento di rabbia profonda nei confronti della micidiale stupidità umana. Flecknoe trova il perfetto erede in un loquace bardo celtico, l’incontenibile Shadwell. La poesia procede attraverso litoti e incongruenze; sovverte le velleità epiche servendosi dell’eroicomico e finge di lasciare campo aperto all’insulsaggine, mentre in realtà mette in risalto le qualità del wit. I due poemi filosofico-religiosi composti da Dryden negli anni Ottanta, Religio Laici, 1682, e The Hind and The Panter (La cerva e la pantera,1687) sono entrambi una difesa pubblica dell’autorità della Chiesa e non un’indagine sulle radici profonde del rituale e della fede privata. Nel primo poema, la Chiesa anglicana difende serenamente la pece comune contro gli attacchi dei deisti, dei Dissenters e dei cattolici. L’immagine a effetto con cui si apre l’opera, quella della ragione umana nelle vesti di una luna che con la sua luce fioca rischiara l’anima ottenebrata, viene ulteriormente elaborata sino a sfociare in un attacco contro i deisti che respingono la dottrina cristiana basata sulle Scritture. Il poema cerca di sconfessare sia la presunzione dei cattolici che proclamano l’infallibilità dell’interpretazione, sia la fede dei puritani nell’illuminazione individuale; ma al centro del dibattito si trova il problema vitale dell’autorità religiosa. A tale problema dà una risposta netta The Hind and the Panther, scritto nel 1685. L’opera è un omaggio prolisso e di modesto valore alle certezze religiose appena conquistate. Dryden promuove una difesa in forma allegorica dei tentativi di Giacomo II di ottenere una dichiarazione ufficiale di tolleranza verso i cattolici in una cultura a prevalenza anglicana e cerca di dimostrare la validità delle rivendicazioni della Chiesa cattolica all’autorità universale. The Hind and the Panther assume la forma della favola esopica: i quaccheri compaiono sotto forma di lepri, i presbiteriani come lupi, i cattolici come cerve e gli anglicani come pantere. Questa scelta costringe poi Dryden a proporre alcune situazioni assurde, quali una civilissima conversazione sui misteri della religione in cui una cerva cerca di persuadere una pantera, o incongruità come quella di dover presentare il Dio cristiano nelle vesti di Pan, dio della natura. Le convinzioni personali di Dryden tornarono a coincidere con una necessità politica piuttosto pressante in Britannia Rediviva, l’ode di propaganda composta per celebrare la nascita dell’erede di Giacomo II nel giugno del 1688. Nella poesia, l’autore si rallegra del fatto che il casato Stuart abbia finalmente prodotto un erede maschio legittimo e cerca di soffocare le proteste dell’ingrata marmaglia che metteva in dubbio la reale paternità del figlio e manifestava disagio di fronte alla prospettiva di una diretta linea di successone al trono cattolica. Nel regno, la nascita del figlio di Giacomo II non fu affatto salutata con esplosioni di gioia, fece anzi precipitare una crisi istituzionale a lungo covata che doveva concludersi con il rovesciamento di un regime ormai inviso all’opinione pubblica e con il vanificarsi delle pie speranze del Poeta Laureato. Il mutamento politico del 1688 pose bruscamente fine alla carriera ufficiale di Dryden e la sua missione patriottica nei confronti della poesia inglese dovette spostarsi su un piano meno apertamente politico. Due poemi lirici composti verso la fine della carriera avrebbero avuto un’influenza notevole sul secolo a venire. Entrambi contribuirono all’affermarsi della moda dell’irregolarità nelle strofe e nei versi. Entrambe avrebbero più tardi attirato l’attenzione di Handel, desideroso di mostrare le sue credenziali come compositore residente in Inghilterra e in grado di lavorare su testi inglesi. SCRITTURA FEMMINILE NELL’EPOCA DELLA RESTAURAZIONE Secondo il Dr Johnson, l’ode di Dryden “To the Pious Memory of the Accomplish Young Lady Mrs Anne Killigrew” (Alla pia memoria di Anne Killigrew, 1686) era l’ode più nobile che la nostra lingua avesse mai prodotto. L’opera è notevole non solo per le sue qualità intrinseche, ma anche per il fatto che celebri un’artista straordinaria in un mondo per lo più dominato da principi, pregiudizi e immagini patriarcali. Anne Killigrew (1660-85) si affermò nell’esercizio di quelle che Dryden significativamente chiama arti sorelle, prima che il vaiolo ponesse prematuramente fine alla sua vita. Era figlia di un pastore di simpatie monarchiche ben inserito socialmente e nipote degli autori di teatro Thomas e Sir William Killigrew. Porre Anne Killigrew in connessione con i suoi parenti drammaturghi e col celebre compositore del suo necrologio non significa volerne sminuire la figura artistica né andare automaticamente alla ricerca di punti di riferimento maschili, ma riconoscere la situazione privilegiata della scrittrice, nata in una famiglia colta e pronta a usare la propria influenza in società per sostenerla e aiutarla a sviluppare il proprio talento. Anne Killigrew prestò servizio a corte come damigella d’onore nella colta e sobria cerchia familiare di Maria di Modena, dove fece conoscenza con altre donne piene di talento e ambizione. La sua poesia si è guadagnata una discreta reputazione. Nel suo primo e forse troppo ambizioso componimento poetico Alexandreis, 1686, l’autrice pregava che il suo stile algido potesse essere riscaldato dal fuoco della Poesia. La preghiera fu accolta, come dimostra il componimento con cui si rivolge a una molto poco espansiva Maria di Modena. In “To the Queen”, Killigrew pone l’accento sulla religiosità e sulle virtù della regina e per sé chiede al Cielo di donarle quella abilità eccezionale, che, incantando con grazia e benevolenza è necessaria per celebrare degnamente una regina poco amata e guardata con sospetto dall’opinione pubblica. Come artista, Anne Killigrew rimase sostanzialmente sul piano amatoriale. Pur entrando in contatto con la cultura raffinata dei circoli di corte, non ebbe mai la possibilità di esercitare a sufficienza la sua voce poetica, portandola a un’altezza e a una scioltezza che sarebbero state alla sua portata. Dal componimento Sull’affermazione che i miei versi siano opera di un altro si comprende come la scrittrice fosse tormentata dall’insicurezza; nel momento stesso in cui cerca di difendere il proprio lavoro, l’autrice ne sminuisce in parte il valore con il riferimento all’opera di una poetessa venuta prima di lei, nota ai suoi ammiratori come l’impareggiabile Orinda. Agli occhi di Anne Killigrew, Katherine Philips (1631-64) è il modello della donna scrittrice, accolta con favore sia dai colleghi letterati che dal pubblico dei lettori. Philips, donna colta, figlia di un mercante londinese, all’età di sedici anni si sposò con un membro della piccola nobiltà terriera gallese. Pare che Katherine fosse rimasta una simpatizzante della monarchia, guadagnandosi il plauso di Henry Vaughan che nel 1651 ebbe parole di lode per la sua opera. Il volume Poems. By the Incomparable, Mrs K. P. (Poesie dell’impareggiabile Signora K. P.), uscito nel 1664 è incentrato sulla celebrazione dell’amicizia femminile. Nel suo isolamento in Galles durante gli anni Cinquanta, Philips raccolse attorno a sé una cerchia di spiriti affini al suo e coltivò relazioni platoniche e poetiche molto intense con Mary Aubrey e Anne Owens. Nell’aprile del 1651, in una poesia dal titolo “L’Amitie: To Mrs M. Awbrey” (L’amicizia: Alla Signora M. Aubrey), la poetessa parla di due anime divenute a seguito di un’eccezionale mescolanza, Una e proclama che gli amanti sublimati giungono a compatire i re e a disprezzare i conquistatori. Philips paragona il suo circolo a un tempio divino che sarà meta di pellegrinaggio per i mille anni a venire. Le due poesie scritte da Katherine Philips in ricordo di Hector, il figlio morto in tenerissima età piangono un figlio a lungo desiderato e prematuramente defunto. La sua migliore poesia pubblica è quella scritta in importanti eventi di corte. Durante la sua breve vita, la fama di Phillips si fondò principalmente sulla sua pregevole traduzione in distici rimati della tragedia di Corneille La Mort de Pompée, rappresentata nel 1663 a Dublino e a Londra. Il consenso ottenuto dall’opera di Katherine Philips è un fenomeno alquanto raro in un periodo in cui le opportunità di affermarsi per una donna erano decisamente scarse. Dato che la metrica era modellata su quella della poesia antica e l’istruzione si basava sul primato incontrastato del latino e del greco, molte donne, alle quali era fondamentalmente precluso l’accesso al sistema scolastico, erano sprovviste degli strumenti ritenuti essenziali per sviluppare le proprie doti poetiche. Anche se furono poche le eredi dirette della straordinaria generazione cinquecentesca di colte donne aristocratiche, i mutamenti sociali e religiosi degli anni Quaranta e Cinquanta del Seicento ebbero l’effetto di abbattere alcune barriere del mondo letterario. Eppure, anche una donna dotata come Dorothy Osborne (1627-95), in una delle sue famose lettere al fidanzato scritta nel 1653, giudicava le poesie di Margaret Cavendish una specie di aberrazione letteraria. Troppo spesso si è voluto vedere l’emergere di una letteratura specificatamente femminile come una diretta conseguenza dell’ascesa della borghesia e delle sue abitudini di lettura, oppure come risultato dell’influenza di determinate sette protestanti. Le poesie dell’emigrante puritana Anne Bradstreet (1612-72) erano senz’altro molto apprezzate da alcuni suoi correligionari americani, se questi pensarono di farle pubblicare a Londra, nel 1650, col titolo di La decima musa da poco sbocciata in America. Buona parte delle scrittrici più importanti della Restaurazione avrebbero probabilmente cercato di evitare il contatto con la classe mercantile o con le frange radicali del puritanesimo settario, considerate socialmente un’innovazione dovuta sia all’interrompersi della tradizione elisabettiana di addestrare i giovinetti a recitare ruoli femminili, sia all’influenza del teatro continentale. Grazie all’attivo patrocinio del re Carlo II e di suo fratello Giacomo, duca di York, la corte si recava agli spettacoli allestiti esternamente a essa e aperti, per una somma piuttosto esorbitante a chiunque potesse permettersi il biglietto d’ingresso. La compagnia di Killigrew inaugurò il suo primo teatro nel novembre del 1660 con una messinscena della prima parte dell’Henry IV di Shakespeare. La scelta del testo discendeva chiaramente dalla volontà di riallacciarsi a una tradizione classica e di portare in scena una tematica monarchica al di sopra di ogni sospetto. Le opere di Shakespeare, Jonson e Fletcher continuarono a rimanere in auge, anche se spesso dovettero subire un intervento volto a “migliorarle”. In ogni caso, i testi delle tre parti dell’Henry IV, di Hamlet, di Othello e di Julius Caesar non vennero alterati in modo sostanziale e riuscirono ad attrarre attori del calibro di Thomas Betterton (1635-1710). Davenant si dimostrò molto abile nel creare un repertorio un po' raffazzonato di testi riadattati ai nuovi canoni del gusto. The Law Against Lovers (La legge contro gli amanti, 1661-62) fonde in modo ingegnoso Measure for Measure e Much Ado About Nothing, mentre le sue versioni del Macbeth e di The Tempest lasciano ampio spazio all’elemento musicale, coreografico e spettacolare e cercano di strutturare la trama secondo un principio di simmetria piuttosto forzato. Trovando che la versione originale della tragedia “fosse un cumulo di perle grezze, non legate insieme e non lucidate”, Tate (1652-1715) intervenne sul testo shakespeariano eliminando dalla sua versione il Fool, e introducendo una storia d’amore tra Edgar e Cordelia e un lieto fine in cui Lear, Cordelia e Gloucester non muoiono. Il Lear di Tate ebbe una grandissima fortuna scenica e vennero preferiti alla versione originale di Shakespeare per buona parte dell’Ottocento. La tragedia della Restaurazione mostrò un forte interesse nei confronti delle tematiche politiche. Anche in questo caso, i drammaturghi dell’epoca presero spunto da Shakespeare. In All for Love, 1677, Dryden rielabora in modo radicale la storia di Antonio e Cleopatra. Analogamente, The history and Fall of Caius Marius (Storia e caduta di Caio Mario, 1680) di Thomas Otway è un adattamento molto libero di Romeo and Juliet ambientato in una Roma repubblicana dalla fisionomia molto marcata. Probabilmente il lettore moderno è più portato ad ammirare la dignità pacata del blank verse drydeniano e la trama levigata, ripulita dalle complicazioni shakespeariane in nome dei canoni neoclassici piuttosto che gli altisonanti toni eroici e le stravaganze di tragedie precedenti dello stesso autore. Lo Shakespeare che aveva fornito un duttile modello autoctono agli autori di tragedie del periodo compreso fra gli anni Sessanta e Ottanta del Seicento esercitò invece un’influenza molto meno marcata sugli autori che cercavano di elaborare un nuovo stile comico. Se la tragedia tende a prendere a tema vicende politiche ambientate all’estero, la commedia si concentra invece in modo più diretto sul clima di libertinaggio dell’Inghilterra contemporanea. In un periodo di storia della letteratura che si distingue per il rifiuto dell’aura di solennità e gravità morale, il lato più oscuro e problematico delle commedie shakespeariane e l’indagine morale di quelle di Jonson non poterono costituire, se non in piccola parte, dei punti di riferimento. La commedia della Restaurazione rovescia e sovverte l’eroismo della tragedia contemporanea. In The Rehearsal (La prova teatrale), George Villiers, secondo duca di Buckingham (1628-87), si prende gioco con notevole arguzia degli eccessi eroici attraverso una serie di situazioni parodiche. The Rehearsal è stata oggetto di continui adattamenti e imitazioni nel corso del Settecento. Con la sua satira ad ampio spettro, la commedia mette in ridicolo opere teatrali e drammaturghi, impresari e attori, ma il fascino che ha continuato a esercitare sul pubblico deve probabilmente essere attribuito a un rispetto di fondo per il genere teatrale contro cui si scaglia. I drammi di Sir George Etherege (1634-1694) e di William Wycherley (1641-1715) sono esemplari più tipici della commedia ibrida, simmetrica e a sfondo sessuale in voga sotto Carlo II. Entrambi gli autori sono maestri di una commedia che accentua l’artificiosità della scena in modo da rispecchiare e sottoporre a critica la patina di splendore e raffinatezza di cui si ammantava la società della Restaurazione. Mentre il tono elevato della tragedia sconfina spesso in un’assurda pomposità, la commedia è invece più schietta e realistica. Rappresentata per la prima volta al Duke’s Theatre nel marzo del 1664, The Comical Revenge (La vendetta comica) di Etherege pare abbia procurato alla compagnia più fama e profitti di qualsiasi altra commedia precedente. L’intreccio risulta dalla combinazione di due diverse trame: una tratta della rivalità amorosa tra due gentiluomini ed è scritta in distici; l’altra, che si distingue dalla prima perché scritta in prosa e di tono farsesco, segue nelle sue stramberie il libertino Sir Frederick Frollick e il suo valletto francese, Dufoy, e si solleva, a tratti, dalla volgarità grazie alla signorilità di Sir Frederick. She wou’d if she cou’d (Se potesse lo farebbe, 1668) è molto più rappresentativa delle tendenze dominanti della commedia contemporanea. Pur mostrando una facciata di rispettabilità e perbenismo Lady Cockwood cerca con ogni mezzo di commette adulterio. Courtall e Freeman, libertini londinesi dai nomi rivelatori, riescono infine a soddisfare i loro desideri con Ariana e Gatty, due giovani parenti di Sir Oliver Cockwood. Il testo presenta al pubblico due diversi tipi di ipocrisia e doppiezza morale; i simulatori e dissoluti coniugi Cockwood vengono smascherati, mentre i giovani corteggiatori trionfano grazie a un’altra forma di inganno con cui riescono a conquistare delle donne intelligenti, disponibili e giovani. Gli amanti anziani sono automaticamente ridicoli, mentre le fanciulle della buona società sono la giusta preda dei giovani che hanno il coraggio di dar loro la caccia. La commedia più divertente The Man of Mode: or, Sir Fopling Flutter (L’uomo alla moda, ovvero Sir Fopling Flutter, 1676) porta all’apoteosi questa adulazione del donnaiolo di successo. Dorimant e Medley vengono apparentemente proposti come modelli di intelligenza e gaiezza che pur mantengono un fondo di bontà e, soprattutto, come maschi sessualmente irresistibili. È nel grande fascino di Dorimant, nella sua capacità di controllare gli altri, che risiede in gran parte l’attrattiva della commedia. Dorimant è un corruttore scettico e manipolatore, ma è anche un uomo in grado di innamorarsi di Harriet Woodvil, una donna che sa tenergli testa sia per intelligenza, sia per capacità di tenere in scacco gli altri. Secondo l’amico Dryden, con The Plain-Dealer (Un uomo sincero, 1676) Wycherley fece contenti tutti gli uomini onesti e virtuosi con una delle satire più mordaci, ad ampio raggio e utili mai presentate sulle scene inglesi. È raro che Wycherley affronti con serietà tematiche morali. La dubbia moralità della società lo diverte, più che mandarlo in collera e i suoi testi, più che turbare, sconcertano. Wycherley ha una chiara percezione della teatralità della vita sociale, un fenomeno che al tempo stesso lo affascina e lo preoccupa. Nelle sue opere traspare come la cultura dell’apparenza che caratterizza l’alta società abbia elevato il wit e le buone maniere al di sopra di ogni altro valore personale. La debole struttura e le lungaggini delle prime due commedie di Wycherley, Love in a Wood (Amore nella selva, 1671) e The Gentleman Dancing-Master (Il gentiluomo maestro di ballo, 1672) rivelano un marcato contrasto con la maestria che traspare nella costruzione teatrale di The Country Wife (La sposa di campagna, 1675). Il personaggio , Horner, assetato di sesso, conferisce alla commedia il suo caratteristico tono sardonico. Se alla fine Wycherley celebra l’amore sbocciato tra l’onesto Harcourt e la caparbia Alithia ed espone al ridicolo un’intera galleria di sciocchi, ipocriti e creduloni, Horner, dopo la sua vittoriosa offensiva libertina, non incorre in alcuna punizione. Gli altri personaggi blaterano del loro “prezioso, preziosissimo onore” ma a smascherarne l’ipocrisia sarà proprio Horner, il cui nome è un gioco di parole carico di significati sessuali, che rimanda sia al verbo to horn, cornificare, sia al termine honour, onore. Anche se non si può dire che alla fine l’amore trionfi completamente, di certo il clima generale è di riconciliazione, forse perché lo stesso Wycherley non riusciva a concepire un’alternativa plausibile o accettabile. Dopo la morte di Carlo II nel 1685 e la fuga di Giacomo II in Francia nel 1688, il patrocinio della corona sull’attività teatrale non fu più così diretto. Una generazione di drammaturghi si era spenta insieme ai regimi politici che l’avevano promossa e sostenuta, ma sia la comedia che la tragedia si muovevano nei solchi di una tradizione ormai consolidata, solchi tanto profondi da risultare costrittivi. Nella prefazione alla tragicommedia Don Sebastian (1689-91), Dryden si lamentava del fatto che il filone comico si era quasi esaurito. Lo stesso Dryden riconosceva che nel 1694 si era ormai affermato un nuovo grande talento, da lui nominato nella poesia “To Mr. Congreve” come il vero erede dei corteggiamenti di Etherege e della satira, del wit e del vigore di Wycherley. William Congreve (1670-1729) si guadagnò una sorprendente popolarità nel 1691 con The Old Batchelour (Il vecchio scapolo), a cui fecero seguito i grandi successi di The Double- Dealer (Il doppiogiochista) nel 1693 e di Love for Love (Amore per Amore) nel 1695. Ciascuna delle sue prime opere segna un progresso nella tecnica teatrale assimila le lezioni dei suoi predecessori. Se la tragedia d’ambientazione spagnola The Mourning Bride (La sposa in lutto, 1697) può apparire aberrante agli occhi del lettore moderno, la sua originaria popolarità è dimostrata dalla notorietà sia del verso iniziale, sia della famosa osservazione per cui non esiste ira celeste pari all’amore trasformatosi in odio. A confronto, l’ultima e la più geniale delle commedie di Congreve, The Way of the World (Così va il mondo, 1700) fu un insuccesso di pubblico. La pièce faceva poche concessioni a quel gusto diffuso che pare andare per la maggiore presso il pubblico. Secondo parte della critica successiva, The Way of the World è non solo l’ultima commedia della Restaurazione ma anche la più grande, il culmine di 40 anni di sperimentazione drammatica, un testo che combina ironia e sentimento e che accosta alla satira sociale la rappresentazione di unioni matrimoniali basate sull’affetto anziché sulla convenienza. La commedia trae la propria forza sia dal complesso intreccio delle relazioni sociali e familiari, sia dalla discrepanza tra quanto viene detto e dichiarato in pubblico e quanto viene ammesso in privato. Dalla relazione tra Mirabelle e Millamant emerge con chiarezza quanto siano importanti le definizioni. Pur avendo già ammesso di amare alla follia Mirabell, Millamant aspira a un rapporto che appaia freddo agli occhi degli altri; lui, invece, insiste perché Millamant ripudi le sciocchezze con cui si trastullano donne meno intelligenti di lei. Entrambi sono fermamente decisi a non seguire la via del mondo coniugale ritratta in molte commedie contemporanee, dichiarata dai distici conclusivi della pièce un mutuo inganno e una finta unione che troppo spesso vengono ripagati della stessa moneta. Le qualità di The Way of the World sono tanto più evidenti se si paragona la commedia di Congreve alle opere di due suoi contemporanei. Sir John Vanbrugh (1664-1726) oggi è molto più conosciuto per la sua grande esuberanza creativa come architetto che non come drammaturgo. Le sue opere architettoniche sono brillanti, stravaganti e imponenti; quelle teatrali sono solo brillanti e stravaganti. Vanbrugh pose mano a circa undici opere. Solo due di esse sono completamente scritte da lui: The Relapse (La ricaduta) e The Provok’d Wife (La moglie esasperata). La prima è una risposta piuttosto convenzionale a Love’s Last Shift, una commedia ben più sconcia di Cibber di cui è anche il seguito. Nell’allestimento originario al Drury Lane fu Cibber stesso a interpretare la parte di Lord Foppington, il personaggio a cui Vanbrugh attribuisce le battute più spiritose, brillanti e acide. L’immagine poco armoniosa del matrimonio che ci presenta The Provok’d Wife è addolcita solo dall’agilità dei dialoghi comici e dal loro tono colloquiale. Con le opere dell’attore e drammaturgo irlandese George Farquhar (1677-1707), la commedia abbandona le tipiche ambientazioni londinesi per osservare con sguardo fresco la realtà di provincia. The Constant Couple, rappresentata nel 1699, fu all’epoca un grande successo ma ci appare oggi superficiale, nonostante la schiettezza in tema di sesso, rispetto ad altre opere come The Recruiting Officer (L’ufficiale di reclutamento) e The Beaux’ Stratagem (Lo stratagemma dei bellimbusti). Il primo doveva apparire molto attuale. Nonostante la trama esile e gli intrighi poco convincenti, la commedia offre un’analisi perspicace e tagliente della crudeltà del mondo militare. Con l’intraprendente sergente Kite, Farquhar ci ha regalato una delle più riuscite figure comiche della tradizione teatrale inglese. Anche The Beaux’ Stratagem contiene una mistura disinvolta di cinismo, realismo e sentimento. I protagonisti maschili, Aimwell e Archer sono più dei cacciatori di dote che dei libertini e il successo finale dipende dal rivelarsi della loro innata virtù. In un momento cruciale dell’azione Aimwell è costretto ad ammettere di essere inetto nel ruolo del cattivo, dato che la mente e il corpo di Dorinda l’hanno convinto a scegliere la strada onesta dell’amore. Verso la fine degli anni Novanta, quella che lo storico vittoriano Macaulay avrebbe più tardi definito la spietatezza della commedia della Restaurazione stava ormai smussandosi e sfumava in un sentimento di benevolenza. Questa forma drammatica era stata in origine concepita per divertire un’élite ormai stanca e logora e per riflettere sui suoi costumi e sul suo senso morale; e doveva il suo successo sia alla precisione di tali riflessioni, sia alla studiata artificiosità che caratterizzava tanto il teatro quanto l’alta società dell’epoca. Quando Dryden affermava che la nuova conversazione raffinata er auna diretta conseguenza dell’influenza di Carlo II e della sua corte, pensava in parte anche alla nuova naturalezza della scena. Seguendo l’esempio della corte, il wit dell’epoca era quanto mai spietato. Questo atteggiamento era in parte una reazione al moralismo e alla religiosità ostentati più che sentiti realmente e in parte un riflesso della nuova fede nella chiarezza e nella ragione. Il Seicento era stato un secolo di sconvolgimenti; le corone dei re e le mitre dei vescovi erano finite nella polvere per poi tornare a cingere le teste dei potenti in una società restaurata che sembrava ancor più cinica e diffidente nei confronti di qualsiasi forma di autorità. Il teatro della Restaurazione, tuttavia, deve essere considerato una componente fondamentale della letteratura di un’epoca rivoluzionaria. Le commedie degli ultimi 40 anni del Seicento hanno mantenuto tutta la loro immediatezza, la loro carica sovversiva, la loro capacità di mettere in discussione i preconcetti del pubblico. Le opere teatrali di questo periodo nascono in risposta alla rivoluzione e al tentato sovvertimento dei valori che caratterizzano il Seicento inglese. Le commedie in particolare non pretendono di offrire una ridefinizione
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