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STORIA MEDIAVALE, prime lezioni, Schemi e mappe concettuali di Storia Medievale

sintesi delle prime 9 lezioni seguite del corso di storia medievale

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 03/05/2022

eleonora-tavera
eleonora-tavera 🇮🇹

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Scarica STORIA MEDIAVALE, prime lezioni e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! CAPITOLO 1 → IL TRAMONTO DELL’IMPERO DI ROMA L’IMPERO ROMANO E LA CRISI DEL III SECOLO. La deposizione di Romolo Augusto, ultimo imperatore romano d’occidente, avvenuta del 476, segna il passaggio dall’età antica al medioevo. Inizi anni 200, l’impero estendeva la sua autorità a tutti i territori che si affacciavano sul Mediterraneo. Cercava di dominare l’Europa occidentale fino alla penisola iberica e al Vallo di Antonino; giungeva a Oriente fino alla Mesopotamia. Il confine europeo orientale era costituito dal Reno e dal Danubio, oltre il quale i romani si erano spinti per iniziativa dell’imperatore Traiano, conquistando la Dacia. I romani dunque avevano organizzato un organismo politico di tipo federativo in cui si trovavano a coesistere regni e dominazioni di varia configurazione. L’unità di tale costruzione che teneva insieme popoli differenti per cultura, lingua e religione, era garantita da una serie di fattori: efficienza dell’amministrazione che in tutte le provincie provvedeva a far rispettare le leggi; la riconnessione dei tributi; realizzazione di opere di pubblico interesse. Fondamentale fu il ruolo delle città: centri di aggregazione sociale, culturale e economica. L’economia poteva beneficiare di un ampio mercato, di un controllo statale sulla produzione e un efficiente sistema di comunicazione stradale. A partire dal III secolo cominciarono a profilarsi motivi di grave preoccupazione per la sicurezza delle provincie. Nel 224 l’ascesa al trono di Persia della dinastia sassanide rilanciò l’attività militare dell’impero persiano con ripetuti attacchi alle provincie orientale romane e venne sconfitto sul campo l’imperatore Valeriano. Si moltiplicarono le incursioni oltre i confini delle popolazioni germaniche. L’imperatore Decio cadde in battaglia cercando di bloccare l’avanzata dei goti. Tale clima instabile indusse l’imperatore Aureliano a cingere Roma di una cinta muraria che prese il suo nome, MURA AURELIANE. Altre cause di crisi furono sociali ed economiche come l’esaurirsi del fattore propulsivo costituito dalle conquiste territoriali; incremento della spesa pubblica in larga parte dovuto all’aumento delle spese per la difesa; lo spopolamento di molte campagne a causa delle guerre e della condizione di insicurezza; la riduzione degli schiavi che indusse gli aristocratici detentori di terre, a frazionare una parte, concedendo le parcelle in coltivazione a uomini liberi. (SINTESI: DEPOSIZIONE ROMOLO AUGUSTO 476 → PASSAGGIO DALL’ETA’ ANTICA AL MEDIOEVO. ROMANI → ORGANIZZAZIONE DI UN ORGANISMO POLITICO DI TIPO FEDERATICO. CLIMA INSTABILE → SPINSE AURELIANO A CINGERE ROMA DI UNA CINTA MURARIA, MURA AURELIANE) LE RIFORMA DI DIOCLEZIANO. L’imperatore Diocleziano cercò di dare una risposta sul piano politico, economico e sociale. Perseguì il totale controllo dello stato su un’economia in crisi, legando ciascuno all’esercizio del potere paterno. L’intento era quello di vincolare i contadini, pur liberi nella persona, alla terra lavorata, evitando abbandoni delle campagne e garantendo una base certa all’imposizione fiscale. Queste riforme NON riuscirono a risolvere i problemi, MA ne rallentarono il declino. Diocleziano procedette a una RIFORMA COSTITUZIONALE, volta ad assicurare un controllo sui territori dell’impero e una successione non conflittuale alla carica di un imperatore: questa riforma introdusse la cosiddetta TETRARCHIA (governo a 4) = che prevedeva la presenza di due Augusti, ciascuno dei quali affiancato a un Cesare. Era stabilito che gli augusti avrebbero lasciato il trono dopo 20 anni dal loro insediamento e che i loro successori avrebbero provveduto alla nomina dei nuovi cesari. (SINTESI: DIOCLEZIANO → RIFORMA COSTIRUZIONALE → CONTROLLO SUI TERRITORI DELL’IMPERO E UNA SUCCESSIONE NON COFLITTUALE ALLA CARICA DI IMPERATORE. INTRODUSSE LA TETRARCHIA → GOVERNO A 4 → PRESENZA DI 2 AUGUSTI, CIASCUNO DEI QUALI AFFIANCAO DA UN CESARE) Questa riforma venne applicata nella quattro prefetture dell’Oriente, dell’Illirico, dell’Italia, della Gallia, suddividendole in dodici diocesi, articolare a loro volte in 101 province. Le diocesi vennero affidate alle competenze fiscali e giudiziarie dei vicari. Quando nel 305 i due Augusti abdicarono a beneficio dei Cesari, si registrarono gravi difficoltà: i figli degli augusti e dei cesari non accettarono di rinunciare alla successione, si giunse così a uno scontro militare che vede prevalere Costantino e Licinio, i quale governarono col titolo di Augusto fino al 324. DA COSTANTINO ALLA DIVISIONE DELL’IMPERO. L’opera di Costantino fu indirizzata ad ampliare le riforme di Diocleziano. Sul piano economico si aggiunse la riforma del sistema monetario, fondato sulla circolazione di monete d’oro, d’argento e di bronzo e tale rimase fino alla riforma carolingia. Un evento di grande rilevanza politica fu il trasferimento della capitale imperiale da Roma a Bizanzio, a cui fu dato il nome di Costantinopoli. In breve tempo la città fu abbellita di chiese e di palazzi e la sua popolazione cresceva enormemente. L’assolutismo imperiale conobbe con Costantino un ulteriore accentuazione. Ci fu anche un nuovo atteggiamento nei confronti dei cristiano, che perseguitati sotto Diocleziano, si videro ora concessa la libertà di culto (editto di Milano, 313) e restituiti i beni precedentemente confiscati. Alla morte di Teodosio, l’impero fu diviso tra i suoi figli Arcadio e Onorio: al primo andò l’Oriente e al secondo l’Occidente. La loro giovane età indusse Teodosio ad affidarli alla tutela di due personalità di spicco del mondo germanico: il generale vandalo Stilicone per Onorio, e il goto Rufino per Arcadio. Al tempo stesso crescevano le pressioni esercitate ai confino dalle tribù germaniche sospinte dall’avanzata degli Unni. I Visigoti, alleati dell’impero, si trovarono costretti a richiedere di riparare entro il confine. L’imperatore gli concesse di ripararsi in Tracia in cambio dell’impegno a difendere i confini, ma l’operazione non andò a buon fine. Per porre fino alle devastazioni, l’imperatore Valente fu costretto ad affrontarli ad Adrianopoli nel 378, portando l’esercito a una disfatta totale aggravata dalla morte dell’imperatore stesso. Teodosio riuscì a porre rimedio a questa situazione concordando con i visigoti per il loro trasferimento nelle aree germaniche. LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE. Agli inizi del V secolo, la spinta delle popolazioni germaniche nei confini occidentali dell’impero divenne insostenibile. Stilicone, generale vandalo, a capo dell’esercito imperiale guidò lo scontro posero fine alle dispute perché i seguaci di Ario non accettarono la condanna di Nicea e continuarono a diffondere le loro dottrine. Lo stesso Costantino, pochi anni prima di morire, cambiò posizione e appoggiò i vescovi pagani. Il credo di Nicea prevalse definitivamente con il Concilio di Costantinopoli, per l’intervento dell’imperatore Teodosio I, ma nel frattempo le dottrine ariane si erano diffuse tra i popoli germanici. L’arianesimo divenne per questi un elemento di identità etnica e si rivelò fronte di ulteriori contrasti quando essi, sostanziandosi nei territori dell’impero romano, entrarono in contatto con le tradizioni religiose delle popolazioni latine, al centro del dibattito sui fondamenti della fede rimaneva la riflessione sulla persona di Cristo e sulla relazione fra la sua umanità e la sua divinità. Il patriarca di Costantinopoli Nestorio sosteneva che in cristo esistevano due persone distinte, quella umana e quella divina. La sua dottrina fu condannata nel Concilio di Efeso (431) il quale dichiarò che le due nature, umana e divina, di Cristo coesistevano in una sola persona. Ad Alessandria era stata elaborata una nuova interpretazione, sostenitrice dell’esistenza in Cristo di una sola natura, quale divina che al momento dell’incarnazione aveva assorbito la natura umana. La dottrina, chiamata monofisismo, era molto diffusa in Egitto e in Siria e fu appoggiata da Teodosio II che, preoccupato per una possibile rottura con le due vaste province dell’impero, la fece approvare. Il monofisismo fu poi condannato nel 451 a Calcedonia, dove si dichiara ortodossa la posizione diofista (due nature in una sola persona). Il concilio di Calcedonia riconobbe al patriarca di Costantinopoli il primo posto tra le chiese orientali e a quello di Roma una sorta di primato nelle questioni di fede e di giurisdizione ecclesiastica. IL MONACHESIMO Nell’ambito del cristianesimo prese vita un movimento monastico. Il monachesimo cristiano nacque fra III e IV secolo nei deserti dell’Egitto, per iniziativa di singoli individui di provenienza sociale varia, che scelsero di condurre una vita di ascesi e penitenza nella forma eremitica cioè di isolamento individuale. Ben presto, soprattutto per iniziativa di Pacomio, si organizzarono gruppi di asceti, i cenobiti , organizzati in comunità sotto la guida di un abate e secondo norme che disciplinavano gli aspetti fondamentali della vita dei monaci: lavoro, preghiera, assistenza, pellegrini e infermi. Dall’Egitto le comunità monastiche, maschili e femminili, si diffusero in Palestina e in Siria e da qui in Asia minore. Dal IV secolo, il monachesimo si cominciò a diffondere anche in occidente. In concomitanza con la crisi morale determinata dalla “normalizzazione” delle comunità cristiane, ormai integrate nell’ordine sociale e politico dominante. I primi monasteri si formarono nella Gallia occidentale a opera del vescovo di Tours Martino e in Provenza, dove assunse particolare importanza il monastero di Lèrins. Dalla Gallia il monachesimo passò la Britannia sud-occidentale, presso le popolazioni celtiche, e dalla Britannia romanizzata raggiunse l’Irlanda. Tra i monaci irlandesi, figura di spicco fu quella di Colombano, che, oltre ad aver fondato numerosi monasteri nella Gallia, completò nel VII secolo l’evangelizzazione della Britannia. Il monaco Bonifacio, invece, indirizzò la sua missione verso i popoli germanici (sassoni e frisoni) L’opera evangelizzatrice di Bonifacio fu sostenuto dai pipinidi e si tradusse nell’organizzazione delle nuove regioni conquistate al cristianesimo in distretti vescovili. Dopo pochi anni questa missione fu seguita da una sanguinosa guerra (772-804) condotta da Carlo Magno e conclusasi con l’annessione al regno Franco delle terre di sassoni e frisoni. In Italia i primi gruppi di asceti si formarono sul finire del IV secolo a Roma, in un ambiente prevalentemente femminile. Tra questi vi è l’esperienza di Benedetto de Norcia il quale, dopo un periodo di eremitismo, fondò il monastero di Montecassino ed elaborò per i suoi seguaci, intorno al 540, una regola che proponeva un’interpretazione moderata dei principi del monachesimo orientale; essa richiedeva ai monaci l’obbedienza al proprio abate e definiva un modello di vita in cui l’esercizio della pratica ascetica lasciava spazio anche alla preghiera e al lavoro manuale. Nel corso del VII secolo la regola benedettina si impose presso le comunità monastiche della penisola per poi affermarsi in larga parte d’Europa fino a che in età carolingia, il Concilio di Aquisgrana (816-817) la volle come unica regola per i monasteri dell’impero d’occidente. 3 CAPITOLO → LE MIGRAZIONI E I REGNI LATINO-GERMANICI. Tra il IV e il VI secolo, irruppero entro i confini dell’impero di Roma delle popolazioni che da tempo si muovevano lungo di essi provvisoriamente stanziandosi da un territorio all’altro. La crisi politica, militare ed economica, che da tempo travagliava l’impero, aveva reso sempre più problematica la difesa delle frontiere. I popoli che vivevano oltre il confine erano al tempo denominati “barbari” → termine dalla valenza fortemente negativa con il quale intendevano sottolineare l’estraneità di costoro alla loro civiltà. Dopo che Giulia Cesare ebbe conquistato la Gallia, romani e germani si trovarono a fronteggiarsi sulle rive del Reno, dove a scontri e incursioni si aggiunsero scambi commerciali e contatti; dal secolo successivo si ebbe l’arruolamento di molti germani nell’esercito romano. La situazione divenne più complessa con la seconda metà del IV secolo, quando la crisi dell’impero si aggravò e alcune popolazioni germaniche approfittarono della situazione per avventurarsi entro i confini e ricercare i territori dove vivere stabilmente. Di particolare importanza fu la vicenda dei Goti, popolo che dall’originario stanziamento scandinavo approdò alle regioni poste al nord del Mar Nero. Proprio con i Visigoti (Goti dell’ovest), l’impero aveva sperimentato il ricorso alla FOEDERATIO (alleanza) come sistema per il contenimento della pressione esercitata alle frontiere dei germani. In alcune occasioni si preferì alla FOEDERATIO L’HOSPITALITIS, con la quale si concedevano ai nuovi insediati un terzo (o più) delle terre (o dei prodotti) di una certa regione in cambio della fedeltà e del sostegno militare dell’impero. Fu ricorrendo all’Hospitalitis che, a ovest, franchi e alemanni poterono stanziarsi sul Reno impegnandosi a respingere i germani che premevano oltreconfine. Nel 406 si presentarono sul Reno vandali, alani, svevi e burgundi. CARATTERI DEI REGNI LATINO-GERMANICI. Le popolazioni germaniche dettero vita nelle regioni occupare a dei regni che chiameremo “latino- germaniche”. Ai latini rimasero i compiti amministrativi, ai germani restò l’esercito delle armi per la difesa e l’offesa. Sul piano giuridico, continua a vigere il diritto romano. I regni latino-germanici si diedero delle leggi scritte, estranee alla tradizione giuridica germanica basata sulla consuetudine: questo è il segnale più chiaro di un incontro tra le culture. La trasformazione delle genti germaniche da migranti in stanziali, fu accompagnata dalla costruzione di una nuova entità istituzionale. Il RE era per i germani soprattutto un capo militare: deteneva il potere di banno, sintetizzabile nel potere di costrizione, giudizio e punizione, presso la gran parte dei popoli egli erano PROPRIETARIO del regno con il conseguente diritto, quando fosse venuto il momento, di dividerlo tra i figli. IL REGNO IBERICO DEI VISIGOTI. Dopo la vittoria di Adrianopoli, i visigoti vennero a patti con l’impero accettando di stanziarsi come federati nell’illirico. I visigoti sotto la guida di Alarico, si riversarono entro i territori italiani prendendo la strada di Roma. La notte del 24 agosto 410 i visigoti entrarono nella città attraverso Porta Salaria e per tre giorni si trattennero consumando violenze e saccheggi. Dopo il sacco di Roma, proseguirono la loro marcia verso sud con il miraggio dell’Africa per poi tornare sui loro passi dopo la morte di Alarico. Il nuovo re Ataulfo, guidò i visigoti nella risalita e condusse le sue genti a occupare la Gallia Narbonense, organizzandone qui lo stanziamento. Ben presto i visigoti mostrarono la volontà di ampliare il loro dominio in direzione della Provenza della Gallia centrale oltre i Pirenei, dove si trovarono a confliggere con le popolazioni germaniche che vi si erano stanziate in precedenza: fu per la pressione esercitata dai visigoti che i vandali si videro costretti a lasciare le terre iberiche nel 429. Nel 507 a Vouillè i franchi inflissero all’esercito goto una pesante sconfitta in seguito alla quale si determinò per i vinti la necessità di riparare nei territori iberici. Il regno visigoto di Spagna, che ebbe come capitale Toledo, estese i suoi confini ponendo fine alla vicenda degli altri piccoli regni che si erano formati nella penisola dopo l’ondata di invasioni del 406: cade nel 585 anche il regno galiziano degli svevi. Nonostante fossero di religione Ariana, i re visigoti cercarono con la popolazione ispano-romana e la chiesa locale una collaborazione. La conversione al cattolicesimo del primo regnante visigoto risale al 589 con il monarca Recaredo. Il regno visigoto, fino alla sua caduta nel 711 a seguito della conquista araba, resta in rapporti strettissimi con la chiesa. IL REGNO DEI FRANCHI Al momento delle grandi invasioni che segnarono l’inizio del V secolo, i franchi erano già insediati entro i confini dell’impero e approfittarono della caotica situazione per spingersi verso occidente in seguito avrebbero dato vita al Regno di Naustria. Tradizionalmente si distinguono i Franchi salii, insediati sul basso Reno, e quelli ripuarii, stanziati nei territori tra Treviri e Colonia. Di religione Fu dell’imperatore Teodosio II (408-450) l’iniziativa di raccogliere un unico codice, il CODEX THEODOSIANUS, le leggi promulgate dagli imperatori cristiani, riferimento di una nuova giurisprudenza. (438) Negli anni a cavallo tra V e VI secolo, l’impero si trovò in una situazione travagliata a causa delle questioni religioso-dottrinarie. Tali controversie riguardavano il rapporto tra la natura divina e umana del Cristo. In Egitto e in Siria, anche dopo la condanna intervenuta con il Concilio di Calcedonia del 451, nel quale aveva prevalso la dottrina diofista (due nature in una sola persona), continuava a prevalere il monofisismo, interpretazione tesa ad attribuire al Cristo una prevalente natura divina. Nel 543-544, Giustiniano su pressione dei monofisisti, pronunciò, con l’editto dei TRE CAPITOLI, la condanna di alcuni testi teologici giudicati di impronta nestoriana ma che non erano stati condannati a Calcedonia, si determinò un grave malessere nelle province occidentali della chiesa. Ne nacque uno scisma, detto SCISMA DI AQUILEIA, che vide i metropoliti di questa sede e di Milano distaccarsi da Costantinopoli. Tale scisma non si sarebbe ricomposto prima della fine del VIII secolo. GIUSTINIANO E LA RICONQUISTA DELL’OCCIDENTE. Salito al trono nel 527, Giustiniano si trovò a fronteggiare gravi problemi interni che portarono nel 532 a una rivolta contro l’eccessiva pressione fiscale. L’imperatore organizzò con determinazione la riconquista di quella che era stata la pars occidentalis dell’impero, rivolgendosi come primo al regno africano dei vandali che cedette in breve alle truppe imperiali. I bizantini allora provvidero a ripristinare l’assetto economico-sociale cancellato dall’invasione vandala. L’anno successivo, l’attenzione degli imperiali si rivolse al regno ostrogoto d’Italia ed ebbe così inizio quella guerra goto-bizantina (535-553) le cui devastazioni si abbatterono per circa un ventennio sulla penisola che ridusse l’Italia allo stremo totale. Conquistate la Sicilia e la Dalmazia, Belisario sferrò un duplice attacco: prima in direzione di Roma e di Napoli, poi occupata Rimini. Respinti i Gori oltre il Po, nel 540 cade pure la capitale Ravenna. Gli ostrogoti tentarono di affrontare i bizantini in quella che fu però l’ultima e definitiva sconfitta. Con il successore Baduila, detto Totila, gli ostrogoti continuarono a opporre resistenza con la recluta nell’esercizio di schiavi e coloni. Nel 552 nello scontro di Gualdo Tadino, Totila fu sconfitto e morì sul campo di battaglia. Distrutto il regno italico degli ostrogoti, Giustiniano dovette affrontare il problema della sua ricostruzione. Attuò una riforma agraria in cui dichiara che schiavi e servi che si arruolano al suo esercito diventeranno uomini liberi e avranno la propria terra. Giustiniano restituì ai latifondisti romano-italici le terre confiscate, risarcì le chiese cattoliche e introdusse il corpus iuris civilis, cioè un nuovo piano giuridico, amministrativo e militare in cui gli incarichi civili e militari venivano affidati a un giudice e un duca. Rifiorirono anche le attività commerciali e produttive, l’agricoltura di contadini liberi con la riduzione della manodopera degli schiavi, particolare crescita vi fu con la produzione di tessuti di seta e dalla lavorazione dell’oro e dell’argento. Tale slancio economico fu assistito dalla solidità della moneta d’oro, il bisante. Questo sforzo portò però all’indebolimento delle difese lungo il confine con la Persia, quanto a nord est dove premevano gli slavi. DA GIUSTINIANO ALL’ICONOCLASTIA. Dopo la morte di Giustiniano, le strutture amministrative e militari dell’impero conobbero una profonda riorganizzazione per iniziativa dell’imperatore Maurizio ed Eraclio. Anche sul piano culturale vi fu un grande cambiamento. Fu infatti riconosciuto il greco come lingua ufficiale e non il latino. Fra il 626 e il 630, Eraclio, riuscì con un ardita campagna militare a occupare la capitale della Persia sassanide e a respingere l’assalto lanciato da avari e slavi contro Costantinopoli. I persiani furono costretti a cedere ai bizantini le regioni che avevano loro sottratto meno di un ventennio prima: Siria, Palestina, Egitto e parte della Mesopotamia. Gli arabi, nel 674-687, giunsero a minacciare la stessa Costantinopoli ma fu merito della dinastia nota come isaurica, salita al trono con Leone III (717-741) e destinata a rimanere fino all’820, il contenimento dell’avanzata araba. Gli imperatori isaurici operarono significativamente anche in campo amministrativo, sostituendo le prefetture del pretorio con quattro “Lagotesie” (ministeri) e ponendoli strateghi alle dirette dipendenze dell’imperatore; con ciò venica a scomparire ogni traccia dell’assetto istituzionale del tardo impero romano. Dal punto di vista economico e sociale; un rafforzamento della piccola proprietà fondiaria e crebbe la proprietà dei monasteri data dalle donazioni dei fedeli, non senza preoccupazioni. Da parte dello Stato in quanto produceva conseguenza negative riguardo il fisco e le finanziarie. E proprio tra questi attriti tra stato e chiesa che nasce, agli inizi del VIII secolo, in Asia minore, il movimento iconoclasta →che si caratterizzava per l’avversione al culto delle immagini di Dio, della vergine e dei santi ovunque fossero riprodotte. Tale culto, che gli iconoclasti definirono idolatria, era diffuso specialmente nell’ambito della religiosità popolare ed era promosso con particolare fervore dai monaci. Nel 726 Leone III impose tramite decreto la distribuzione delle immagini che costò a lui e ai suoi seguaci la scomunica da parte del pontefice Gregorio III. Ben presto vi fu la lotta tra iconoclasti e iconoduli → coloro che praticavano il culto delle icone e tenevano sacrilega la loro distruzione. Questa lotta durò oltre un secolo. Negli anni dell’imperatore Costantino VI (780-797) si ebbe a Nicea, con il VII Concilio ecumenico, un fermo pronunciamento contro l’iconoclastia; il conflitto si chiuse nel 843 quando Michele III, richiamandosi alle decisioni del Concilio del 737, reintrodusse il culto delle immagini e delle reliquie, realizzando una nuova coesione religiosa. L’ITALIA BIZANTINA. La conquista dell’Italia da parte dei Longobardi, non cancellò la presenza bizantina. Molti territori furono sottoposti all’autorità dell’esarca di Ravenna. Particolare fu il caso del Ducato di Roma, che assalito dalle truppe di Agilulfo, vide Papa Gregorio Magno assumersi, fra il 591 e il 593, l’onore della difesa della città. Gregorio si offrì per risolvere i problemi dell’approvvigionamento, dell’assistenza ai poveri, dell’edilizia pubblica (che era ormai in condizioni di insostenibile degrado), lavorando anche alla riorganizzazione del patrimonio fondiario della chiesa. Nel corso del VII e dell’VIII secolo, si aggiunse la conflittualità con i bizantini, connessa alle dinamiche politiche interne, animate dalle mire autonomistiche dei Ducati e da aperte ribellioni degli esarchi all’autorità imperiale. Una di queste ribellioni, quella del 649, si saldò pericolosamente per Bisanzio, all’opposizione del pontefice alla dottrina del monotelismo sostenuta dall’imperatore Eraclio. RAFFORZAMENTO DEL POTERE IMPERIALE ED ESPANSIONISMO TERRITORIALE (SECOLI IX-X) Nel corso dei secoli IX e X, la fioritura delle attività artigiane mercantili conferì notevole impulso alla vita economica e sociale delle città dell’impero. Nell’Italia meridionale, città come Amalfi, Gaeta, Napoli, Bari e Reggio, sviluppare i loro traffici fungendo da collegamento fra terre bizantine islamiche. In ambito culturale, invece, si palesò la crisi di quella piccola proprietà fondiaria, detenuta da soldati e contadini liberi, mentre si ebbe, al contempo, una ripresa della grande proprietà nelle mani del clero, dei militari di più alto grado o dei più influenti personaggi dell’amministrazione militare e civile. Si preoccuparono di ciò alcuni fra gli imperatori più avvertiti, a cui si devono delle leggi appositamente elaborate per la difesa della piccola e media proprietà; con esse si vietava che, in caso di vendita, i minori patrimoni finissero nelle mani dei possidenti maggiori. In connessione con le vicende della proprietà, vi fu il diffondersi nelle campagne dei rapporti di dipendenza personale che rendevano la posizione dei contadini sempre più subalterna quella dei signori. Nei secoli VIII e IX si consolidò il potere degli imperatori, che oltre a essere a capo dell’esercito, tendevano ad affermare la proprio supremazia anche sul piano religioso (cesaropapismo) qualificandosi come rappresentati terreni del divino, nonché supremi difensori della chiesa e della retta dottrina. Ciò era destinato a non incontrare particolari ostacoli in quanto era l’imperatore a controllare direttamente le elezioni dei patriarchi (che poteva liberamente rimuovere quando volesse) e a pronunciarsi in materia di dispute religiose. Il cesaropapismo determinò, dunque, un vincolo strettissimo fra stato e chiesa. I successi militari della dinastia macedone (867-1057) contribuirono indubbiamente al consolidamento delle posizioni imperiali; non pochi territori furono sottratti in quel periodo alla dominazione islamica. Con l’imperatore Basilio II tutta l’aria mediterranea tornò nelle mani di Bisanzio, specie con i bulgari il suo operato militare fu efficace, tanto che gli vale il soprannome di sterminatore dei bulgari. Anche nell’Italia del Mezzogiorno l’operato della dinastia macedone recò non pochi benefici alla dominazione bizantina, ampliata con la conquista in Puglia e Calabria di territori occupati dei Longobardi. AI CONFINI DELL’IMPERO: GLI SLAVI. Nel corso del VI secolo, l’area balcanica dell’impero fu interessata dall’insediamento degli slavi. Gli slavi erano una popolazione di abitudini sedentarie, dedita all’agricoltura e alla pastorizia. Vivevano distribuiti per comunità di villaggio e con ordinamenti di tipo tribale. Dopo ripetuti attacchi contro l’impero bizantino, cominciare già negli anni di Giustiniano esteso il loro insediamento ai Balcani. La crisi tra impero e chiesa causata dall’iconoclastia, portò Liutprando ad approfittare della situazione riprendendo l’espansione longobarda. Nel 727 il re invase le terre bizantine dell’Esarcato e della Pentapoli e successivamente penetrò in quelle del Ducato di Roma con l’intenzione di marciare sulla città. Ad affrontarlo intervenne papa Gregorio II, provò a convincerlo a non occupare Roma e a recedere dalle conquiste operate nel ducato. Liutprando, di fede cattolica, si piegò alla volontà di Gregorio II, ma anziché restituire il castello di Sutri a Bisanzio, lo donò alla chiesa nel 728, riconoscendo con ciò la sovranità pontificia su territori che formalmente erano ancora bizantini. Pochi anni più tardi, Liutprando riaprì il conflitto con l’impero, giungendo nel 739 ad assediare Roma, impresa che avrebbe poi abbandonato per correre in soccorso a Carlo Martello impegnato a contrastare gli arabi in Provenza. Altrettanto aggressiva fu la politica messa in atto contro i bizantini da parte di Astolfo e del suo successore Desiderio. Astolfo, nel 751 riuscì a conquistare l’Esarcato spingendo il nuovo papa, Stefano II a definire un’alleanza con la dinastia franca dei pipinidi. Nel 755 e 756, Pipino il Breve, sconfisse ripetutamente i longobardi e costrinse Astolfo a cedere le terre conquistate alla chiesa di Roma. Anche il re Desiderio fu sconfitto da Carlo Magno e costretto a vedere il regno longobardo sottomesso alla dominazione franca. I LONGOBARDI DEL SUD. La caduta del regno non impedì al ducato di Benevento di continuare a esistere, salvaguardando la propria indipendenza. Benevento assunse il profilo di una vera e propria capitale. il ducato però, venne travagliato da continue lotte di potere e fu diviso in due parti aventi come centri principali Benevento e Salerno. Nel 1076 cadrà nelle mani di Roberto il Guiscardo anche la longobarda Salerno: tale evento porrà fine all’autonoma presenza politica dei longobardi nel Mezzogiorno. CAPITOLO 6 → GLI ARABI E L’ESPANSIONE ISLAMICA. L’ARABIA PRIMA DI MAOMETTO. Prima dell’arrivo di Maometto, la penisola arabica, era abitata da tribù nomadi di beduini (abitanti del deserto) e da tribù sedentarie di contadini e artigiani. L’agricoltura trovava più larga diffusione, grazie al beneficio delle piogge monsoniche, nella parte meridionale della penisola. Mentre al centro nord prevaleva, data la presenza dominante de deserto, l’allevamento di cammelli, pecore e capre, a cui si dedicavano i pastori nomadi. Non erano solo i pastori ad aggirarsi nel deserto dietro le loro greggi, altrettanto facevano i mercanti, che riuniti in carovane fungevano da intermediari negli scambi fra Oriente e Occidente. L’importanza della città della MECCA era legata proprio al suo essere situata tra i diversi percorsi, in particolare lungo quella tra YEMEN e GAZZA. Gli abitanti delle città e i beduini del deserto erano organizzati in tribù che potevano, secondo le circostanze, confederarsi o contrapporsi; politeismo e animismo erano le religioni prevalenti, ma si registrava nei centri urbani anche la presenza di comunità di ebrei e dei cristiani. Per tutti un punto di riferimento era il grande santuario meccano della KA’BA, che si riteneva costruito da Abramo e da suo figlio Ismaele per custodirvi la “pietra nera” (un meteorite) recata dall’Arcangelo Gabriele e nel quale ciascuno ritrova i propri oggetti di culto di sincretismo religioso e di tolleranza. MAOMETTO E L’ISLAM. Maometto il lodatissimo è nato alla Mecca intorno al 570 da una famiglia di mercanti, sposò una ricca vedova conseguendo in tal modo una posizione economica che gli consentì di lasciare i commerci e di dedicarsi interamente alla riflessione religiosa. Le sue biografie narrano che un giorno, mentre riposava nel deserto, avrebbe avuto l’apparizione dell’Arcangelo Gabriele, che lo avrebbe invitato a farsi messaggero della parola dell’unico Dio (ALLAH): sarebbero così cominciati nel 610 i suoi contatti col divino e poco più tardi la sua predicazione. Maometto proclamava la necessità di un ritorno alle radici, con la totale dedizione del fedele ad ALLAH unico Dio, nel riconoscimento dello stesso Maometto come suo profeta. L’élite mercantile che governava la città iniziò a guardare con sospetto l’ampliarsi del numero dei seguaci della predicazione maomettana, così giunse nel 622 a indurre Maometto e tutti quello che lo seguivano alla fuga dalla città. È in questi anni che iniziò l’era islamica. I fuggiaschi trovarono ospitalità nell’oasi di Yathrib e qui Maometto avrebbe organizzato i suoi seguaci della nuova religiosa, l’islam (che stava a significare sottomissione assoluta a Dio ), in una comunità separata riuscendo in breve a imporsi nel governo della città e a costruire intorno ad essa uno stato. I fedeli dovevano convertire gli infedeli ad ogni costo, anche con la forza, da qui scaturisce uno dei doveri fondamentali per i musulmani → la Guerra Santa, in cui chiunque sarebbe morto durante la guerra sarebbe entrato nel paradiso dei fedeli. Nel 629 anche la Mecca cadde in potere di Maometto. Le rivelazioni fatte da Dio al profeta Maometto sarebbero state raccolte nel 653 nel Corano, il libro sacro dell’islam, composto di 114 capitoli. Esso individuava i cosiddetti 5 pilastri della religione musulmana: la professione di fede secondo cui non esiste altro Dio all’infuori di Allah; l’obbligo di pregare 5 volte al giorno; la purificazione attraverso il digiuno del mese di Ramadan; il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita; l’elemosina legale a cui sono tenuti i fedeli benestanti per il sostentamento dei bisognosi. Nel Corano i musulmani ricercano la soluzione dei problemi legati alla vita individuale, familiare e sociale. Dove non soccorre il Corano, si fa ricorso alla SUNNA (TRADIZIONE) legata alla lettura dell’operato di Maometto in specifiche circostanze. Il diritto musulmano relega la donna in una posizione del tutto subalterna rispetto a quella dell’uomo e ne fa oggetto di molte discriminazioni. I QUATTRO CALIFFI (632-661) E LA PRIMA ESPANSIONE DELL’ISLAM. Maometto non aveva eletto nessun successore, così alla sua morte nel 632 fu riconosciuto il titolo di califfo (successore dell’inviato di Dio) ad ABU KABR, suocero del profeta. Egli dovette impegnarsi soprattutto nel consolidamento delle più recenti conquiste dell’islam e con il suo successore Omar si registrò un’avanzata musulmana in Persia, in Asia minore e nel Nord Africa. Quando ebbe termine nel 661 la serie dei califfi legata al profeta da vincoli di parentela e dunque si esaurì con essi la cosiddetta età dei quattro califfi, gli arabi dominavano la Siria, l’Egitto, la Palestina, l’Iraq e la Persia. I territori conquistati furono organizzati in province, affidate al governo di un emiro e sottoposti al controllo dei presìdi armati stabili; per volontà dei califfi, fu riservata ai soli devoti di Allah la funzione militare mentre l’amministrazione e le attività produttive rimasero nelle mani delle popolazioni sottomesse. A seguito delle conquiste la società islamica si fece più complessa. I capi delle tribù e dei clan familiari assunsero un ruolo egemone; la distribuzione delle ingenti ricchezze acquisite determinò una stratificazione sociale ed economica che veniva a contrastare con gli insegnamenti di uguaglianza del Corano. Cristiani ed ebrei non convertiti formavano comunità a sé stanti e potevano conservare la loro religione e la loro organizzazione sociale. Nacquero due componenti islamiche: - SCIITI → Si ispiravano alla filosofia di Alì, secondo cui solo i suoi discendenti potessero accedere al califfato; - SUNNITI → Considerano essenziale che il califfo debba conciliare la dottrina con le esigenze della comunità, avendo il consenso di quest’ultima, L’assassinio di Alì e l’affermazione di un aristocratico sunnita aprirono la strada del potere al clan famigliare degli OMAYYADI. L’ISLAM SOTTO LA DINASTIA OMAYYADE. Con l’avvento degli Omayyadi, capitale divenne Damasco. Zona strategica dal punto di vista militare e politico. Da Damasco i califfi si proiettarono in campagne di conquista: Costantinopoli fu assediata più volte, in breve tempo gli arabi divennero padroni del Mediterraneo, e furono conquistate le coste dell’Africa fino a giungere alla costa atlantica. Nel 711 cominciò da Gibilterra la rapida conquista della penisola iberica per quali occorsero solo 5 anni. Alla conquista dei territori iberici fece seguito quella della Gallia. L’offensiva dei califfi si dirizzava anche verso l’Asia centrale e l’India. IL CALIFFATO ABBASIDE. L’ostilità degli sciiti determinò la caduta degli Omayyadi e l’avvento della dinastia abbaside. Gli abbasidi nel 762 fondarono in Iraq la città di BAGHDAD . Essa è costruita in un fertile territorio dove Tigri e Eufrate scorrono vicini, Baghdad rapidamente crebbe fino a superare largamente per dimensioni e popolazione Costantinopoli. La struttura dello stato abbaside esaltava la figura del califfo. I funzionari di più alto livello ebbero ampie deleghe di poteri, e in particolare, il visir, a cui competeva sul piano amministrativo la massima responsabilità. Il periodo della dominazione abbaside fu anche caratterizzato da una grande fioritura delle scienze e delle arti. Baghdad fu la splendida capitale della cultura islamica. Anche le diverse attività produttive registrarono dei progressi considerevoli e ciò accade particolarmente per l’agricoltura. Importanti miglioramenti interessarono anche le tecniche colturali, specialmente quelle legate all’irrigazione, con la diffusione della noria → una ruota meccanica che consentiva l’elevazione delle acque. VERSO LA FINE DELL’UNITA’ ISLAMICA. Nel 774 si mosse contro i Longobardi attaccando la capitale Pavia, segnando la fine dell’impero longobardo. Desiderio provò a fermare la minaccia Franca facendo sposare una sua figlia e Carlo. Ma il tentativo fallì con l’ascesa al papato di Adriano I. Desiderio reagì attaccando il Ducato di Roma, a questo punto Adriano convocò l’aiuto di Carlo che scese in Italia sconfiggendo i Longobardi. Carlo oltre al titolo di re dei franchi aggiunse anche il titolo di re dei Longobardi. L’INCORONAZIONE DI CARLO MAGNO. La conquista del regno longobardo fu un momento decisivo di quell’alleanza tra franchi e papato. Nella notte di natale dell’800 Carlo fu incoronato imperatore da papa Leone II, prendendo il nome di Carlo Magno, il grande; questo atto provocò la legittimazione del potere amministrativo di Carlo. Se l’incoronazione premiava la Chiesa di Roma confermandone la supremazia religiosa, nello stesso tempo indeboliva l’impero d’Occidente, che non a caso accolse con ostilità l’evento. Nell’812 si arrivò ad un accorso fra Carlo e Michele I, imperatore d’oriente con il quale si riconosceva il ruolo di Carlo ed in cambio Venezia avrebbe dovuto essere ceduta all’impero romano d’oriente. L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATTIVA DELL’IMPERO CAROLINGIO. Carlo Magno cercò di dare ai vasti domini del Regno una struttura politica e organizzativa centralizzata. Il territorio venne diviso in una rete di distretti territoriali, i comitati, che vennero affidati ai comites (conti), funzionari regi. I conti appartenevano a potenti famiglie aristocratiche e dipendevano dal sovrano, in nome del quale amministravano la giustizia, convocavano e guidavano l’esercito. Alle frontiere vennero istituiti Ducati e Marche, circoscrizioni pubbliche connotate da una forte organizzazione politica. Per sorvegliare l’operato dei funzionari Carlo Magno fece ricorso all’istituto dei missi dominici, esponenti dell’aristocrazia laica ed ecclesiastica che periodicamente ispezionavano una circoscrizione e riferivano al sovrano. Al centro del governo era costituito dal palatium, termine che indicava sia la reggia, sia l’insieme del sovrano con i funzionari di corte. Tra questi avevano ruolo di rilievo i conti palatini con mansioni giudiziarie, e l’ arcicappellano, capo dei chierici di palazzo che presiedeva anche alla cancelleria. Per rafforzare il ruolo del governo centrale, Carlo scelse come residenza principale Aquisgrana. Il potere centrale intervenne nella vita dell’impero anche attraverso attività legislativa, che si concretizza nei capitolari, che erano leggi così chiamate costituite da brevi articoli emanati dal re nel corso di assemblee annuali dette platici; in genere se ne tenevano due l’anno, uno in ottobre al quale prendevano parte i principali consiglieri e gli esponenti dell’alta aristocrazia, l’altro in maggio esteso ai funzionari minori e a tutti i vassalli regi. Allo scopo di rendere più solida l’amministrazione e garantirsi la fedeltà dei funzionari regi, Carlo Magno ricorse ai rapporti vassallatico-beneficiari. Era un tentativo di vincere le tendenze centrifughe dell’aristocrazia rafforzando la subordinazione dei funzionari con il giuramento di fedeltà vassallatica. Anche l’istituto dell’immunità fu utilizzato e modificato da Carlo Magno per dare maggiore coesione al regno. L’immunità era nata principalmente per tutelare gli enti ecclesiastici dagli abusi dei funzionari regi e consisteva nel privilegio concesso a vescovi, abati, di vietare l’ingresso dei funzionari regi nelle terre sottoposte alla loro autorità. LA RINASCITA CAROLINGIA. Una delle più grandi preoccupazioni di Carlo Magno era quella di creare una classe dirigente responsabile e affidabile. Al tentativo di risolvere il problema ricorrendo alle istituzioni, affiancò un proprio programma culturale, concretizzandosi in una serie di iniziative che ebbero come centro propulsore la SCHOLA PALATINA (scuola di palazzo), un’accademia sorta presso la Corte di Aquisgrana e formata da intellettuali provenienti da ogni parte d’Europa. La corte di Carlo divenne la sede di elaborazione della cultura ecclesiastica dalla quale sarebbe partita anche una nuova organizzazione scolastica. Presso la corte ci si dedicò allo studio dei testi cristiani e degli autori classici considerati maestri di stile e di riflessione, fu promossa una nuova organizzazione scolastica con la moltiplicazione di scuole e biblioteche. A queste iniziative si associò la diffusione nello stato carolingio di una nuova scrittura denominata “MINUSCOLA CAROLINA” → era caratterizzata da lettere chiare ben separate l’una dall’altra, e fu adottata anche per la redazione dei documenti di cancelleria imperiale, divenendo così la scrittura usata in tutto l’impero. L’invenzione della stampa permise la diffusione dei caratteri fino ai giorni nostri. DOPO CARLO MAGNO: LA FRAMMENTAZIONE DELL’IMPERO. Nell’806 → Carlo Magno risolse il problema della successione. Divide i territori dell’impero fra i tre figli maschi, due dei quali morirono precocemente lasciando il posto a Ludovico il Pio. Ludovico mise al centro della sua politica, il problema dell’unità imperiale. Nell’817 pubblicò una costituzione, L’ORDINATIO IMPERII → nella quale proclamava l’unità dell’impero e lo affidava a suo figlio Lotario, agli altri, Pipino e Ludovico, assegnava i due regni di Aquitania e Baviera. Lotario accentuò le pressioni sul papato fino a imporgli la COSTITUTIO ROMANA (824) → la quale prevedeva che il pontefice prestasse giuramento di fedeltà all’imperatore prima di essere consacrato. Questa situazione rimane stabile fino a quando nell’829 Ludovico decise di modificare la divisione stabilita dall’ORDINATIO IMPERII per favorire un nuovo figlio, Carlo. Fu questo episodio che fece scaturire un violento contrasto tra imperatore e figli. Venuto meno Pipino, Ludovico e Carlo detto il Calvo, si coalizzarono contro Lotario, divenuto nel frattempo imperatore. Nell’843 Lotario fu costretto ad accettare il Trattato di Verdun e a spartire con i fratelli l’impero → a Carlo il Calvo andò la parte occidentale, a Ludovico quella orientale, a Lotario la parte di mezzo, una fascia di territori. A succedere Lotario nel titolo di imperatore fu il figlio Ludovico II, e con la morte di Carlo II il Calvo, consegnò la corona al figlio di Ludovico il germanico, Carlo III il Grosso. Ormai, però, il potere imperiale era indebolito, Carlo il Grosso non riuscì a fronteggiare con saraceni, ungari e normanni per cui si ritirò in convento nell’887, ponendo fine all’impero carolingio. CAPITOLO 8 → AMBIENTE-ECONOMIA, POPOLAMENTO. SECOLI VI-X. DEMOGRAFIA E AMBIENTE. L’impatto sull’Europa delle popolazioni germaniche che si abbatterono tra la fine del IV e VI secolo produsse un forte indebolimento delle condizioni di vita della popolazione. Guerre, saccheggi, epidemie spezzarono gli equilibri. Molte città si spopolarono fino a scomparire del tutto, altre subirono un calo demografico. Lo scarso numero degli uomini, fece si che non si prestò la dovuta attenzione alle acque di scorrimento con la conseguenza che paludi, acquitrini diedero vita a paesaggi cangianti, provocando la cancellazione di una buona parte della rete viaria antica. Le cause dello spopolamento furono tantissime: matrimoni precoci, infanticidio, limitazione delle nascite, mortalità infantile. Inoltre, le azioni di guerra e le violenze che caratterizzarono il periodo delle invasioni contribuirono all’elevato tasso di mortalità. A partire dall’VIII secolo si ebbe un piccolo incremento probabilmente a seguito del miglioramento delle condizioni di vita che si produsse con l’avvento della dominazione carolingia. I sintomi di ripresa furono cancellati in molti territori dalla seconda ondata di invasioni da parte dei normanni, saraceni e ungari. BOSCHI, PALUDI E COLTIVI. Il forte calo demografico determinò un avanzamento delle terre incolte. Il bosco divenne una risorsa primaria per la sussistenza delle popolazioni, che ne fecero l’uso più diverso. Esso costituì il luogo ottimale per l’allevamento e la caccia. Specialmente in presenza di querce lo si utilizzò per il pascolo dei suini, le cui carni avevano un ruolo importante nell’alimentazione del tempo. I corsi d’acqua, le paludi, stagni, presenti ovunque, offrivano la possibilità di pesche fruttuose. Il bosco soddisfaceva anche il fabbisogno del legname, che era legato a esigenze diverse: la fabbricazione di imbarcazioni, utensili, costruzione di case (quasi tutte in legno).. anche la viticoltura conobbe un incremento che interessò soprattutto le aree collinari. ORDINAMENTO DELLA CURTIS E PROPRIETA’ FONDIARIA. Nella CURTIS (villa in Francia e in Germania) si organizzò, a partire dall’VIII secolo la grande proprietà fiscale, ecclesiastica e laica. Da essa ebbe vita il sistema curtense della produzione che caratterizzò gran parte dei territori dell’Europa occidentale. Tale sistema era fondato: controllare completamente i propri domini a causa della formazione di numerose signorie minori di carattere banale, che sottraevano loro potere su vaste porzioni di territorio. Alla deposizione di Carlo il Grosso fu seguita dall’incoronazione del Conte di Parigi, Eude. Per alcuni decenni il regno di Francia fu contesto fra i discendenti di Eude e gli ultimi carolingi fino a che i primi, nel 987, riuscirono a prevalere con Ugo Capeto, capostipite della dinastia che avrebbe regnato sulla Francia fino agli inizi del XIV secolo. IL REGNO ITALICO. IL REGNO D’Italia subì oltre mezzo secolo di alternanze dinastiche. La debolezza del potere centrale rafforzò, infatti, le principali famiglie dell’aristocrazia italica, che a lungo si disputarono la corona. Una situazione stabile si ebbe con Ugo di Provenza che tenne la corona Regia d’Italia per 20 anni (926-945), grazie anche all’appoggio dei Marchesi di Toscana, e attuò una politica di rinnovamento dei ceti aristocratici. Costretto dalla ribellione di alcuni grandi del Regno, Ugo abdicò a favore del figlio Lotario, che morì dopo pochi anni lasciando il suo potere, cercò di eliminare i sostenitori degli avversari e qui fece incarcerare la vedova di Lotario, Adelaide. L’episodio però ebbe conseguenze non previste dal marchese, una parte dell’aristocrazia italica reagì alle sue manovre. Alberto I liberò la vedova e chiese al re di Germania, Ottone I, di intervenire contro Berengario. Ottone, arrivato in Italia sposò Adelaide, e a Pavia venne proclamato re. IL REGNO DI GERMANIA E LA RESTAURAZIONE DELL’IMPERO. Nella parte orientale dell’impero, dopo Carlo il Grosso, venne elevato alla dignità regia e imperiale suo nipote Arnolfo di Carinzia. L’elezione di Enrico I di Sassonia detto l’Uccellatore, segnò una svolta. Rinnovò e rafforzò le strutture del Regno e investì i duchi della funzione di mediatori tra potere regio e aristocrazia. Per tutto il X secolo la corona sarebbe rimasta in mano alla dinastia sassone. Il figlio di Enrico, Ottone I il Grande, portò avanti l’opera di restaurazione della sovranità regia avviata dal padre stringendo legami più forti con le grandi abbazie con l’episcopato. Ottone disegnava i vescovi e gli abati dei monasteri regi, riceveva i loro giuramenti di fedeltà, li investiva delle funzioni spirituali e dei beni temporali. Il rafforzamento della sua autorità gli consentì di domare, nel 939, la ribellione di alcuni potenti principati e organizzare un’efficace difesa del confine orientale contro gli ungari, che nel 955 furono sbaragliati sul campo di battaglia da Lechfeld, in Baviera. GLI IMPERATORI SASSONI. Il progetto di restaurazione di Ottone trova terreno fertile nel regno d’Italia, ormai indebolito dalle lotte per la corona. Per rafforzare la supremazia dell’impero nei confronti della chiesa, emanò il PRIVILEGIUM OTHONIS → UN DOCUMENTO CON IL QUALE CONFERMAVA LA SIGNORIA DEL PAPA SU ROMA E ALTRI VASTI DOMINI, MA NE SUBORDINAVA L’INCORONAZIONE ALLA CONFERMA DELL’IMPERATORE. IN TAL MODO VENIVANO POSTE LE PREMESSE DI UN CONFLITTO CON IL PAPATO DESTINATO AD ASSUMERE IN FUTURO ASPETTI DRAMMATICI Ottone tornò in Italia nel 966 con l’obiettivo di riorganizzare l’impero e assoggettare i territori che non vi erano compresi. In quell’occasione fece entrare nell’impero suo figlio Ottone II. Dopo la morte del padre, Ottone di trovò a combattere nuovamente per imporre la sua autorità in Germania ma poi fu costretto a tornare in Italia per riprendere il controllo del Mezzogiorno. Nel 980 Ottone II organizza una campagna militare nel sud che si concluse con una pesante sconfitta in Calabria. La sua morte precoce avvenuta a Roma l’anno seguente pose fine ogni progetto. Gli successe un bambino, il figlio Ottone III, che governò sotto la reggenza della madre e della nonna fino al 996 quando, compiuto i 16 anni, potte assumere il potere. Il giovane crebbe nel mito della restaurazione imperiale: in questa visione Roma e il papato assumevano un ruolo centrale allontanandosi dalla Germania. Ottone III morì senza lasciare eredi. Al trono allora salì il cugino Enrico II il Santo, duca di Baviera con il quale di estinse la dinastia di Sassonia. Egli abbandonò il programma di una monarchia universale e volse la sua attenzione alla Germania. In Italia invece nel tentativo di liberarsi dalla subordinazione alla Germania, avevano eletto come re il marchese Arduino d’Ivrea. Enrico II, per rafforzare l’unione tra i due regni, scese in Italia, sconfisse Arduino e fu incoronato imperatore nel 1014. Non avendo lasciato eredi, la corona passò alla dinastia dei salii.
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