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La Transformazione del Potere in Europa: Da Carlo Magno a Federico Barbarossa, Appunti di Storia Medievale

Storia del MedioevoStoria dell'EuropaStoria del cristianesimoStoria dell'Impero RomanoStoria del feudalesimo

La consolidazione del potere politico e religioso in Europa durante il Medioevo, dalla fine del Regno di Carlo Magno alla fine del Regno di Federico Barbarossa. Il documento tratta temi come la nascita del feudalesimo, la frammentazione del potere pubblico, la lotta per le investiture e la riforma monastica. Vengono anche menzionate le conseguenze economiche e sociali di questi eventi.

Cosa imparerai

  • Quali furono le conseguenze del fenomeno dell'incastellamento nel Medioevo?
  • Quali furono i regni romanobarbarici stabilitisi alla fine del V secolo nella pars occidentalis dell'impero?
  • Come si diffuse il Cristianesimo fra l'aristocrazia dell'impero?
  • Quali furono i barbari che varcarono il limes e perché?
  • Quali furono le prime avvisaglie di una crisi dell'Impero Romano d'Occidente?

Tipologia: Appunti

2015/2016

Caricato il 06/06/2016

Federica.Melegari
Federica.Melegari 🇮🇹

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Scarica La Transformazione del Potere in Europa: Da Carlo Magno a Federico Barbarossa e più Appunti in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! STORIA MEDIEVALE Metamorfosi del mondo romano e fine dell’impero d’Occidente Le prime avvisaglie di una crisi dell’ Impero d’ Occidente comparvero nel III secolo. L’impero aveva ormai terminato le guerre di espansione e l’economia dava i primi sintomi di cedimento. Su questa base si innestarono le minacce dall’ esterno, le pressioni dei cosiddetti “barbari”. Nel 271 si sentì il bisogno di cingere Roma con le mura e la necessità di difesa spinse a promuovere tra III e VI secolo, riforme fondamentali che ebbero forte impatto sul piano politico, economico, sociale. Nel VI secolo, la nuova organizzazione dell’esercito, aumentò i costi, fu perciò intensificata la pressione fiscale. La risposta all’aumento delle spese fu di tipo politico: si creò una vera e propria macchina statale dal potere accentratore e burocratico. L’aristocrazia senatoria fu esclusa dai comandi con conseguenze di grave importanza per il ricambio del vertice sociale. Si favorì l’ingresso al potere ai figli di liberti, una schiera di uomini nuovi che potevano finanziare il nuovo modello societario. Ma ben presto le imposte divennero gravose sui contadini e venne ad ampliarsi a dismisura il divario fra ricchi e poveri. La diminuzione e la concentrazione delle ricchezze portarono alla decadenza dei centri urbani minori, in favore di quelli maggiori, dove si localizzarono le aristocrazie. Il ruolo politico che Costantino (primo imperatore cristiano) aveva conferito ai vescovi, consentì ad essi di esercitare un ruolo di guida nelle società urbane. La differenziazione tra Oriente e Occidente (distinti dalla riforma con cui Diocleziano aveva introdotto il decentramento politico), portò ad un clima di esaltazione delle realtà politiche locali, a scapito dell’uniformità. Nel 324-330 Costantino spostò la capitale a Bisanzio (da allora Costantinopoli) ma questa si affermò definitivamente solo quando nel V secolo, fu conferita pari dignità ai vescovi di Roma e Costantinopoli. Nelle province orientali, il commercio e la produzione avevano un ruolo più importante quindi ben presto le ricchezze fluirono da Occidente a Oriente; la crisi economica in Occidente fece esplodere i conflitti esistenti con le popolazioni esterne e l’evento più drammatico fu costituito dal Sacco di Roma (410) per opera dei Visigoti. Inoltre, le truppe occidentali erano sempre più costituite da barbari vista la fragilità delle élite romane. La supremazia dei popoli germanici fu determinata dalla deposizione di Romolo Augustolo nel 476 per opera dello sciro Odoacre, ma il fatto che egli non non pretendesse il titolo imperiale testimonia una mancanza di volontà di assimilazione. Il 476 rappresenta una data simbolo poiché i barbari vennero a trovarsi al potere in un mondo mediterraneo che vedeva estinguere l’impero come sistema di organizzazione politica e militare. L’ impero nella sua fase tardo antica, è il sinonimo di cambiamento per eccellenza, sia per coloro che hanno visto in esso un mutamento in negativo, sia per coloro che a partire dal Novecento, hanno rivalutato questa fase come necessaria e positiva. Il Cristianesimo: le chiese episcopali e il monachesimo delle origini La diffusione del Cristianesimo fra l’aristocrazia dell’impero, fece si che essa acquisisse un ruolo centrale negli ambiti amministrativi, sociali e culturali a partire dal IV secolo. “Cristianizzazione” è il nome del processo che portò ad una fede comune i vari popoli del territorio imperiale. Ma non fu un processo lineare ed omogeneo e seguì due strade principali: 1. Una via istituzionale incentrata sulle chiese urbane dove la popolazione si riuniva venendo così “evangelizzata” ed educata in base dei nuovi valori religiosi. 2. Una via individuale, la scelta monastica. I monaci furono i primi protagonisti dell’evangelizzazione rurale dei Barbari e si fecero promotori di una organizzazione sociale alternativa a quella della città. Quello di evangelizzazione, fu un processo lento e graduale di integrazione fra le nuove etnie che andavano consolidandosi e che portò alla formazione del concetto di Europa come civiltà. Dal III secolo, il Cristianesimo diventò religione di stato. Nel 313 Costantino, con l’editto di Milano, concesse ai cristiani la libertà di culto e nel 380 Teodosio, con l’editto di Tessalonica, impose ai cittadini la professione della religione cristiana. Entrambi gli imperatori svolsero anche un’attività di riforma sugli organi istituzionali dell’impero. L’ adesione al Cristianesimo era stata nei primi tempi soprattutto una scelta aristocratica che aveva conferito autorevolezza alle gerarchie ecclesiastiche, introducendole nei poteri pubblici della città. Dal V secolo, partì dalla città di Roma un’opera di evangelizzazione delle campagne attraverso la fondazione di chiese e pievi, fondamentalmente controllate dal clero cittadino. L’ambito di espansione di tali fondazioni fu la DIOCESI, ovvero il territorio sottoposto all’autorità di ciascun vescovo (corrispondeva a grandi linee al territorio tradizionalmente soggetto alla città nell’età imperiale). L’autorità episcopale si configura come ereditaria dell’organizzazione territoriale tardo antica. Il processo di evangelizzazione non fu comunque a senso unico: i culti tradizionali delle campagne incisero sulla definizione dottrinale del Cristianesimo determinando aspetti della religiosità come ad esempio il culto dei santi o delle reliquie. Dal punto di vista territoriale, la penisola vide il moltiplicarsi di una fitta rete di sedi episcopali nella zona centro-meridionale (vista la presenza di numerose città) mentre nel centro-nord scarseggiavano. L’insediamento episcopale era uno dei fattori che spesso determinava la sopravvivenza di una città. In breve tempo, i vescovi delle diocesi che dipendevano dai grandi centri metropolitani (Costantinopoli, Antiochia, Alessandria..), ottennero la supremazia sui vescovi delle città vicine: questo tipo di diocesi erano dette DIOCESI METROPOLITE. Prestigio particolare era conferito alla sede episcopale romana poiché il vescovo di Roma era riconosciuto come il successore di Pietro: si trattava però di un primato idealistico, che costituì un lungo processo politico e dottrinale che lo condusse alla supremazia sulle altre chiese solo nell’ XI secolo. Il monachesimo fu un fenomeno successivo all’evangelizzazione delle città e si presentava come una scelta individuale, la quale prevedeva la ricerca di una redenzione attraverso il sacrificio e l’ascesi. Il monachesimo era basato su pratiche eremitiche, sul cenobitismo (vita ascetica ma comunitaria). I monasteri proliferarono in Gallia e nel V e VI secolo, il fenomeno dilagó anche in Italia (ad esempio con i Benedettini, 529). La regola Benedettina (540) era basata su una vita comunitaria di condivisione di lavoro e preghiera. L’opera sicuramente più influente dal punto di vista evangelico, fu la cristianizzazione dei Barbari: in un periodo di repentini cambiamenti sociali anch’essi si dimostrarono sensibili al messaggio salvifico cristiano. Le aristocrazie di quei popoli inizialmente si imponevano solo sul piano militare, poi per rafforzare il loro potere, passarono a intraprendere carriere ecclesiastiche: questo li poneva in contatto con una tradizione latina molto forte. Il processo di acculturazione, tuttavia, avvenne in modo biunivoco poiché anche i Barbari introdussero concetti come la forza e la violenza nel Cristianesimo, i quali portarono all’ esaltazione del lato eroico cristiano. Nel VI secolo, molti germanici furono convertiti alla versione Ariana del Cristianesimo. Il culto ariano deriva dal sacerdote Ario, il quale sosteneva l’inferiorità divina di Cristo rispetto a Dio (la dottrina sarà condannata a Nicea nel 325). L’arianesimo ebbe grande diffusione poiché era professato dai primi monaci che convertirono i Barbari,e inoltre, il Alla fine del V secolo nella pars occidentalis dell’impero si erano stabiliti questi regni, detti ROMANO- BARBARICI poiché caratterizzati dalla fusione delle tradizioni politico- istituzionali dei romani e delle organizzazioni sociali barbare. In tutti i territori conquistati, i barbari erano in minoranza e dovevano perciò porsi il problema della convivenza: perlopiù erano mantenute le tradizioni giuridico- amministrative romane, affiancate a quelle barbariche e il tutto veniva trascritto in raccolte di leggi (usanza tipica della romanità) in lingua latina, a testimonianza dell’incontro tra due popoli. Se l’amministrazione era in mano ai romani, i barbari avevano il controllo dell’esercito e della difesa. Tutti comunque sottostavano al potere regio che era concepito come un potere sacrale in quanto il re era depositario del diritto di BANNO, ovvero il potere assoluto di costringere, giudicare, punire. Il potere del re era soprattutto un potere militare: rispetto all’epoca tardo- antica cambiava la concezione di cittadinanza, ora legata indissolubilmente alle armi. I Franchi nel V secolo erano già stanziati nei territori fra il Meno e il corso settentrionale del Reno. Fino alle fine del V secolo, essi erano organizzati in un insieme di tribù eterogenee racchiuse sotto un unico nome (Franco = “uomo coraggioso”). Essi erano foederati dei Romani dal 430, ma raggiunsero una coesione soltanto sotto Clodoveo (discendente di Meroveo e perciò detta dinastia Merovingia). Clodoveo eliminò la concorrenza degli altri capi franchi ed espanse i propri domini verso ovest, i territori denominati della Neustria (per distinguerli dall’Austrasia -terre dell’est-). Clodoveo comprese l’importanza di stabilire rapporti stretti con la Chiesa di Roma perciò nel 496 si fece battezzare dal vescovo di Reims, atto che permetteva ai Franchi di presentarsi come popolo difensore della Chiesa. Nel 510 Clodoveo fece redigere la Lex Salica, la quale raccoglieva le norme consuetudinarie franche. Dopo la sua morte, il regno fu spartito fra i suoi eredi ma la frammentarietà e la conflittualità dei regni minori, fece ben presto crollare l’autorità dei Merovingi. Fu in quel periodo (VIII secolo) che emerse il potere dei maestri di palazzo, funzionari pubblici ai quali era affidata l’amministrazione dei tre regni (Neustria, Austrasia, Burgundia). Nel frattempo gli Anglosassoni diedero vita ad una serie di regni nella Britannia Orientale (Wessex, Essex..), costringendo i britannici a spostarsi a ovest nella zona del Galles (Wales= non germanici). L’invasione anglosassone determinò una nuova paganizzazione e solo verso la fine del VI secolo, fu avviata un’opera di rievangelizzazione con sede vescovile a Canterbury. Gli Ostrogoti, giunti in Italia per volontà bizantina sotto la guida di Teodorico, presentavano delle ambiguità all’interno del loro regno. Teodorico infatti era da un lato un re tipicamente barbaro, che legittimava la sua posizione tramite la vittoria militare su Odoacre, dall’altro manteneva il titolo ricevuto dai bizantini, quello di PATRICIUS E MAGISTER MILITUM PRAESENTALIS, ovvero comandante delle truppe sotto l’autorità imperiale. Quest’ambiguità si rifletteva anche sull’organizzazione politica ostrogota (l’amministrazione era in mano ai romani, la difesa e la giustizia in mano ai goti), caratterizzante dell’incontro tra due culture. Il delicato equilibrio fra romani e Ostrogoti si ruppe dopo la morte di Teodorico (526), a causa della lotta per la successione, pretesto per Giustiniano per inviare truppe in Italia. Iniziò così un periodo trentennale di conflitti destinati a concludersi con la sconfitta degli Ostrogoti. Più duraturo fu il regno dei Visigoti in Spagna, il quale si consolidò dando vita ad una società multietnica. Tra il 466 e il 480, re Eurico emanò la Lex Salica Visigothorum, promulgata poi da re Alarico II, la quale raccoglieva norme ispirate alla tradizione giuridica romana. Dal punto di vista religioso i Visigoti mantennero il credo ariano fino al VI secolo ma tale credo non ostacolò la diffusione della religione cristiana, in questo modo il regno perdurò fino al 711 (quando fu abbattutto dai popoli islamici). Diversamente, i Vandali in Africa Settentrionale attuarono una persecuzione verso la popolazione locale e contro i cristiani non ariani: questo condusse ad una fragilità interna che permise nel 533 ai Bizantini, di abbattere il regno romano- barbarico d’Africa Settentrionale. L’impero romano d’Oriente La parte orientale dell’impero, fu caratterizzata dalla volontà di Giustiniano di ricondurre l’impero a unità. Tale intento comportò una rielaborazione delle categorie culturali e amministrative romane. Giustiniano regnò quasi quarant’anni, dal 527 al 565 e incentrò la sua politica proprio sulla riunificazione dell’impero, riconquistando i regni cosiddetti romano-barbarici. I generali Narsete e Belisario attuarono campagne di successo contro i Vandali, i Visigoti e gli Ostrogoti ma, soprattutto in Italia, le spedizioni militari furono lunghe ed onerose. La guerra greco- gotica durò quasi vent'anni (535-553) e segnò per l’Italia la definitiva caduta della civiltà tardo- antica. Il primo re goto, Teodorico (493-526) aveva conservato i privilegi dell’aristocrazia senatoria romana, pur riservando ai goti un ruolo preminente nell’esercito. Teodorico aveva anche riservato un riconoscimento dell’autorità imperiale di Costantino ma questo sistema di convivenza si incrinò proprio con la morte di Teodorico. Durante la guerra greco- gotica, inizialmente goti e romani si allearono contro le truppe imperiali. La conquista dell’Italia da parte dei bizantini, partì da Sud ma quando essi arrivarono a Ravenna nel 540, i goti dovettero arrendersi e ritirarsi oltre il Po e i romani si piegarono ai bizantini. I goti rimasero dunque soli a fronteggiare l’esercito imperiale, questo spiega perché Totila, nuovo re goto (540-552), nel suo programma di riconquista, non cercò l’appoggio della classe senatoria romani e anzi, cercò di attaccarla. Totila riorganizzò il suo esercito ma fu definitivamente sconfitto da Narsete nella battaglia di Gualdo Tadino (552). Il suo successore fu sconfitto anch’egli l’anno dopo, cosicché tutta la penisola nel 553 cadde nelle mani di Bisanzio, anche se dopo vent’anni di guerre il territorio italico risultava devastato, spopolato e povero. Tutti i territori del Mediterraneo tornarono nelle mani dell’autorità imperiale, si trattò però di un successo effimero: nel 568, subito dopo la morte di Giustiniano, la penisola italiana venne invasa dai Longobardi. In breve tempo poi, gli Arabi avrebbero messo fine all’egemonia imperiale sul Mediterraneo. Nel mondo romano le regole che determinavano la convivenza civile non erano mai state codificate perché basate su un complesso sistema in cui avevano valore le elaborazioni teoriche dei giuristi. Il sistema giuridico funzionò fino a che l’impero si mantenne culturalmente unito, ma quando questa unità venne meno, si iniziarono a raccogliere le norme della tradizione giuridica romana. Nel V secolo Teodosio elaborò un codice contenente tutte queste norme (la compilazione escludeva però le normative elaborate dai giuristi). Nel VI secolo, Giustiniano, a Oriente, si fece promotore del recupero di tutta la legislazione repubblicana nel Corpus Iuris Civilis, diviso in quattro sezioni: codex, digesta o pandectae, institutiones, novellae constitutiones. L’iniziativa di Giustiniano, lasciò ai posteri i fondamenti del diritto romano. Al termine della guerra contro i Goti, in Italia fu introdotta la legislazione giustinianea con un decreto: la PRAMMATICA SANZIONE (estensione della sua legislazione alle terre conquistate). Questo decreto fu richiesto da Vigilio, vescovo di Roma, che era stato imprigionato dai bizantini affinché rettificasse l’editto dei Tre Capitoli. La funzione di introdurre nella penisola la normativa europea era volta a legittimare il dominio bizantino in Italia, sfruttando l’autorevolezza della sede episcopale romana. In Italia comunque, si ripropone il modello amministrativo del tardo impero: le prefetture del pretorio erano le maggiori circoscrizioni territoriali dello Stato, queste erano suddivise in diocesi, che avevano funzioni amministrative fiscali, ed erano a loro volta suddivise in provinciae, le unità territoriali primarie dell’organizzazione fiscale e giudiziaria. La prefettura del pretorio coincideva col territorio peninsulare (Corsica e Sardegna vennero accorpate alla prefettura nordafricana e la Sicilia assoggettata direttamente a Costantinopoli). ORGANI AMMINISTRATIVI: ● PREFETTURA DEL PRETORIO ● DIOCESI ● PROVINCIAE La pragmatica sanctio pretendeva di restaurare un ordine amministrativo tradizionale in un contesto in cui i canoni di riferimento sociale erano profondamente mutati: elementi di origine gota erano ormai innestati nella penisola e in più, la classe senatoria romana era pressoché scomparsa: a detenere il potere effettivo, erano le gerarchie ecclesiastiche che governavano le città e i territori ad esse soggetti. Anche l’istruzione era affidata ai monasteri ed anche l’amministrazione della giustizia sfuggì al controllo imperiale: i processi, troppo onerosi, vennero sostituiti dall’ arbitrariato (= possibilità di risolvere una controversia senza ricorrere al tribunale ma affidandosi ad una persona autorevole). Arbitri nelle controversie erano quasi sempre i vescovi, così si persero gradualmente le regole del diritto comune. Dopo la morte di Giustiniano, il precario equilibrio raggiunto, iniziò a vacillare a causa dei problemi finanziari, delle grandi distanze sia culturali che etniche e dalle pressioni di popoli ostili che dalla seconda metà del VI secolo iniziarono a farsi sentire. A partire dal 568, la penisola italiana era per gran parte occupata dai Longobardi, in più la fragilità delle barriere a nord- est dell’impero, permise ad Avari e Slavi di occupare il territorio balcanico e a sud- est i Persiani penetrarono in Armenia e Asia Minore conquistando Gerusalemme nel 614. Nella gravità della situazione, Eraclio, il nuovo imperatore, fu costretto a mobilitare un grande esercito nazionale che in breve tempo riconquistò tutti i territori occupati e anzi, ampliò i confini dell’impero (perciò fu detto il “Nuovo Costantino”). Consapevole dei dissidi religiosi interni, cercò di ricomporre l’impero sulla base del MONOTELISMO (tentativo di superare i dissidi sulla doppia natura di Cristo concentrandosi solo sulla volontà del figlio di Dio). Ma la teoria, fu contrastata sia da MONOFISITI che da ORTODOSSI ampliando così il divario fra Chiesa Occidentale e Chiesa Orientale. Nel 638 Siria e Palestina vennero occupate dagli Arabi, favoriti dalla debole resistenza causata dai dissidi religiosi. Il crollo dell’egemonia romana sul Mediterraneo era ormai un dato di fatto. Geograficamente l’Italia era divisa in due. I Longobardi, presenti sul territorio dal 568, non riuscirono mai ad ottenere un completo controllo della penisola, poiché l’Istria, la Romagna, le Marche settentrionali, parte dell’Umbria e del Lazio, Napoli e il Salento, erano tutte zone ancora soggette al dominio bizantino. I territori imperiali furono affidati ad un funzionario: l’esarca, che riuniva in sé tutte le pubbliche funzioni. Si mantenne l’impianto romano basato sulla città e sul fundus - La sovranità della Basilica del Laterano, in quanto "caput et vertex", su tutte le chiese; - La superiorità del potere papale su quello imperiale. Il falso evidentemente, era volto a restituire potere ai vescovi di Roma: fu così che i papi entrarono in conflitto con i Longobardi nel progetto di guida dell’impero. Nella seconda metà dell' VIII secolo una serie di eventi sconvolse l’Italia: - L’ alleanza fra papi e Franchi; - L’ avvento di una nuova aristocrazia longobarda; - Il tracollo dell’ organizzazione bizantina. Nel 751 Astolfo, riprendendo i progetti espansionistici di Liutprando, riuscì a conquistare Ravenna, ma la mossa fu un errore poiché saldò l’alleanza fra la Chiesa di Roma e i Pipinidi, i quali avevano bisogno di legittimare il loro nuovo status di re Franchi. Papa Stefano II, chiamò in Italia i Franchi che, con due spedizioni guidate da Pipino il Breve, riconquistarono i territori occupati dai Longobardi. L’ultimo re longobardo , Desiderio, continuò la politica dei predecessori ma tentò di rompere l’alleanza fra Chiesa e Franchi tentando un’unione parentale tra la figlia Ermengarda e un figlio di Pipino, Carlo Magno. Tuttavia, quando papa Adriano I, temendo un’imminente conquista di Roma, chiamò in aiuto i Franchi, Carlo Magno ripudiò la moglie e discese in Italia (773-774) sconfiggendo l’esercito longobardo e conquistando Pavia. Re Desiderio fu fatto prigioniero mentre Adelchi trovò rifugio presso i bizantini (gli eterni rivali). Così dopo due secoli di dominio i Longobardi persero la guida del regno italico, che fu assunta da Carlo. Il regnum longobardorum fu annesso ai domini franchi e diede un grande apporto culturale al nuovo impero carolingio. Solo i Longobardi di Benevento mantennero la loro indipendenza che durò fino all’invasione normanna dell’ XI secolo. L’impero Arabo- Islamico (secoli VII- X ) Alla morte di Maometto (632), i suoi seguaci avevano già conquistato tutta la penisola. Nel periodo in cui dominarono i luogotenenti di Maometto, i califfi, il regno si espanse in tutta la regione mediorentale e parte del Nordafrica. Nella fase successiva, guidata dalla dinastia omayyade (che stabilì la capitale a Damasco), la separazione lasciò il posto a varie forme d’integrazione. Le conquiste si estesero a est dell’Indo mentre a Ovest si arrivò, attraverso la Spagna, in Francia Meridionale. Nei due secoli seguenti, con l’avvento della dinastia abbaside, la capitale si spostò a Baghdad, le conquiste finirono e si procedette al consolidamento dell’amministrazione: si formarono una serie di regni dominati da dinastie locali. Prima di Maometto, la popolazione era organizzata in clan tribali che si dedicavano alla pastorizia e all’agricoltura. L’Arabia era un territorio difficile da controllare da parte degli imperi circostanti, quello bizantino e quello persiano che dal 540 erano entrati in una lotta perenne contro gli Arabi fatta di scorrerie e riconquiste. L’unico centro politico- commerciale stabile in Arabia era La Mecca, la quale si fondava sul rispetto paritario di tutti i culti religiosi. Ma l’avvento del Monoteismo (che si stava diffondendo in quell’area) apparve fin da subito incompatibile con la politica religiosa che si seguiva a La Mecca. Maometto iniziò a predicare il culto di un unico Dio, Allah, gettando le fondamenta della fede islamica: “Non esiste alcun Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta”. Da qui ebbe inizio la fondazione dell’Islam che trovò subito appoggio nelle zone agricole e nella città di Medina. Nel 622 si ebbe la cosiddetta Egira, ovvero la migrazione di tutti i seguaci dell’Islam a Medina. Nel 630, dopo otto anni di conflitti, La Mecca finalmente accettò e aderì alla religione Islamica. Alla morte di Maometto, cominciarono a figurarsi due alternative differenti all’interno della comunità islamica: una era incentrata sulla figura del Califfo, visto come un successore e un sostituto che applicava il pensiero di Maometto; l’altra alternativa si incentrava sui legami familiari di Maometto, ovvero si credeva che l’ispirazione divina continuasse nei suoi discendenti, a partire dal cugino Alì. Il contrasto fra queste due visioni di fede esploderà al termine dei primi quattro califfati (Abu Bakr, Omar, Othman, Alì). La costruzione di quello che in pochi anni sarebbe divenuto una grande impero, era cominciato con le campagne di Abu Bakr (suocero di Maometto); le conquiste continuarono con Omar, il quale riteneva che si dovesse costituire un’ élite militare. Questo causò un grande apporto di ricchezze che acuirono le divisioni religiose. Gli Sciiti sostenevano che l’accesso al califfato potesse essere aperto ai soli discendenti di Alì. I Sunniti ritenevano possibile conciliare gli insegnamenti del profeta con il consenso della comunità, attribuendo al califfo un ruolo politico. Questa guerra civile fra due orientamenti opposti, scoppiò nel 660 con l’assassinio di Alì e la vittoria di Mu’awiya (esponente dei sunniti e della dinastia omayyade). La dinastia Omayyade stabilì la corte a Damasco: alle opposizioni fra i partiti, si aggiunsero le ribellioni interne delle province conquistate; ma ben presto le varie comunità si convertirono all’Islam per godere dei vantaggi fiscali e la lingua araba divenne la lingua ufficiale. Intorno al 700, ripresero le conquiste, stavolta mirate all’Europa. In Spagna la conquista si svolse tra 711 e 715 la quale servì da base per la Francia del Sud (dove gli Arabi vennero fermati a Poitiers da Carlo Martello -732-). Quando il califfo Omar II morì, lasciò un impero ricco di controversie interne e fu così che a prendere il sopravvento politico fu la dinastia Abbaside (da Abbas, uno zio del profeta), che inaugurò una nuova fase dell’impero. A portare al potere gli Abbasidi nel 750 furono i Persiani islamizzati e si inaugurò una nuova fase politica, non imperniata sulle conquiste bensì sul consolidamento dell’amministrazione interna sul modello persiano- sasanide. Fu fondata Baghdad come capitale, che in breve tempo divenne un agglomerato urbano vastissimo. I califfi costruirono qui un SISTEMA BUROCRATICO, diviso in tre rami: ● CANCELLERIA ● ESATTORIA FISCALE ● AMMINISTRAZIONE SPESE MILITARI Il controllo di questo grande sistema spettava al Wazir, collaboratore del califfo che in breve divenne il capo di tutta l’amministrazione. L’impero arabo aveva ormai messo fine alle scorrerie nel Mediterraneo, fatto salvo per alcuni emirati omayyadi superstiti (emirato di Cordova, Aghlabiti..). Ma nel IX secolo il processo di consolidamento si incrinò. La zona della Persia, che non accettava il controllo califfale, iniziò a reclutare grandi quantità di schiavi turchi, i quali provocarono danni e ribellioni nelle città. I Wazir aumentarono il loro potere poiché disponevano di clientele molto vaste. A questo si aggiunsero le ribellioni delle province degli strati bassi della società. Il malcontento fu raccolto dai movimenti sciiti. Tra IX e X secolo una serie di dinastie locali iniziarono a sottrarsi agli Abbasidi e ad autonominarsi Califfi. Nel 945 i Buwayhidi assunsero il controllo di Baghdad. I Franchi e l’Europa carolingia (secoli VI- IX) Alla morte di Clodoveo (511), l’impero franco fu suddiviso fra i suoi quattro figli, tuttavia questo non comportò un’ effettiva frantumazione del regno franco, che fu percepito sempre come unitario. I Franchi avevano conquistato nuovi territori (Borgogna, Turingia, Provenza) e la presenza di forti poteri locali costituiva una vera e propria aristocrazia franca integrata perfettamente con quella gallo-romana, soprattutto dal punto di vista dell’amministrazione politica. Questo assetto andò in crisi nel VI secolo, alla morte di Clotario I. Il regno fu diviso fra i figli Chilperico (Neustria) e Sigiberto (Austrasia), ma i due principali regni regionali avviarono una fase di lotta interna alla quale partecipò anche Brunilde, vedova di Sigiberto che assunse le redini del regno. Quando Brunilde venne sconfitta, seguì una nuova fase della dinastia merovingia, aperta ai territori di recente conquista. Clotario II, figlio di Chilperico, rafforzò il sistema politico- amministrativo creando tre regni regionali: Austrasia, Neustria, Burgundia e distribuì ruoli d’importanza ai maestri di palazzi (maior domus), i funzionari alla guida dei tre regni. Da questo contesto emersero due importanti esponenti dell’aristocrazia austrasiana: Arnolfo e Pipino Il Vecchio. Arnolfo fu designato vescovo di Metz, Pipino invece fu eletto maior domus di Austrasia. L’influenza dei due personaggi diede vita ad una nuova dinastia , pipinide o arnolfingia, perché riuscirono a rendere ereditaria la carica di maggiordomo creandosi forti clientele e disponendo del patrimonio del re. I Pipinidi assunsero dunque un ruolo preminente rispetto ai Merovingi. Nel 732 Carlo Martello condusse l’esercito franco alla vittoria nella battaglia di Poitiers contro i musulmani, data significativa poiché segnava la definitiva affermazione dei maestri di palazzo. Fu ad opera del figlio di Carlo Martello, Pipino il Breve, la deposizione nel 751 dell’ultimo sovrano merovingio. Per legittimare il suo potere, Pipino si fece consacrare con l’olio santo da Bonifacio, simbolo dell’unione tra Franchi e Chiesa. L’unzione fu ripetuta da Stefano II per garantirsi l’appoggio dei Franchi contro i Longobardi. L’ascesa al potere dei Carolingi corrispose ad una nuova fase di espansione franca. Pipino organizzò tra il 754 e il 756 due spedizioni in Italia contro i Longobardi, dove venne sconfitto re Astolfo e l’Esarcato tornò nelle mani della Chiesa. Inoltre organizzò le prime campagne contro i Sassoni e diede il via al consolidamento del potere nel sud della Gallia. Alla morte di Pipino (768), il regno fu diviso fra i figli Carlomanno e Carlo Magno. La morte precoce di Carlomanno permise a Carlo di assumere il controllo di tutto il regno. Carlo Magno riprese l’espansione militare fuori dal regnum francorum e dal 722 attuò violente campagne contro i Sassoni (per conquistare i territori a est del Reno). Conquistò anche i territori al sud della Germania, dove vi era l’importante Ducato di Baviera e iniziò ad espandersi verso la Spagna. Fu al ritorno da una campagna spagnola che l’esercito franco subì una grave sconfitta: a Roncisvalle nel 778, i baschi sostenuti da truppe islamiche, li annientarono. Un' importante conquista, fu l'Italia longobarda, che fu inserita fra i domini franchi, pur mantenendo intatte le strutture politiche interne. I Franchi cercarono di mantenere il controllo sull’Italia attraverso una politica di alleanza con i ceti dominanti già presenti (o nei casi di infedeltà, la sostituzione con personaggi dell’aristocrazia franca). La conquista di Carlo Magno legittimava il progetto iniziato da Pipino e consolidava i rapporti con la Chiesa di Roma. Carlo Magno si presentava come un re cristiano, difensore della chiesa; questo ruolo fu poi formalizzato nell’800, quando Papa Leone III chiese aiuto al sovrano franco nella lotta fra le famiglie aristocratiche romane. A Roma, Carlo Magno fu incoronato imperatore dal papa stesso, riconoscendolo come re dell’ Europa Cristiana (re di più regni). Dopo l’ 800, l’azione di Carlo Magno fu volta soprattutto a rafforzare i domini piuttosto che a espandersi. - tasse - servizi pubblici ● MARCHE: guidate dal MARCHESE (terre di confine). - ruolo militare ● DUCATI: guidati dal DUCA (aree non stabili nell’impero). Le cariche di conti, marchesi, duchi, erano assegnate a persone legate dal rapporto vassallatico- beneficiario al sovrano. Il sovrano non poteva scegliere chi innalzare a tali cariche: vista l’ampiezza dell’impero, era spinto a ricorrere a personalità che godevano già di prestigio sui territori: la scelta era dunque imposta dallo status sociale, tuttavia, più i sovrani locali erano potenti meno il sovrano poteva contare sulla loro fedeltà. Per questa ragione fu affiancata ai vari comitati e marche una rete di controllo composta dai missi dominici. I missi, nominati direttamente dal sovrano, erano sia laici che ecclesiastici: il loro ruolo era quello di vigilare i funzionari pubblici locali. Erano inoltre i portavoce diretti dell’autorità imperiale e diffondevano le leggi sul territorio, i capitolari. La gerarchia ecclesiastica era al centro di questa organizzazione (ogni vescovo diventava missus della propria diocesi) e questo comportava una fortissima ingerenza regia nella nomina dei vescovi. Ancora più importante come istituto di controllo era l’ IMMUNITÀ: essa comportava la concessione formale da parte del sovrano ad alcuni proprietari della prerogativa di immunità dall’esercizio del potere regio da parte dei funzionari pubblici (soprattutto a ecclesiastici, vescovi, abati). Si creavano così, all’interno delle circoscrizioni, isole nelle quali né conti né marchesi potevano riscuotere le tasse né esercitare giustizia e potere. Questo fenomeno, da un lato limitava il potere dei funzionari, dall’altro inseriva la gerarchia ecclesiastica nella compagine politico- amministrativa del regno. Soprattutto dopo Carlo Magno, le concessioni immunitarie si moltiplicarono: il sistema era fragile e restò in piedi solo finché il potere imperiale rimase efficiente e abile, quando anche quest’ultimo si frantumò, l’intero sistema crollò. Economia e Paesaggio (secoli V- X) Nel susseguirsi dei secoli fra il 200 e il 600, la popolazione europea conobbe un forte declino demografico per poi tornare a crescere fra il 700 e il 1000. Intorno al 500, le proprietà fondiarie non erano lavorate solo dagli schiavi, si era diffusa la pratica della conduzione indiretta, ossia la concessione di lotti di terre a famiglie contadine, tenute poi a pagare un affitto. Alcune terre erano affidate a schiavi (casati) ed altre ai liberi coltivatori (coloni) che inizialmente non erano vincolati a vivere in quelle terre. Con le invasioni però, l’impero stabilì che anch’essi fossero vincolati alla terra, perché non evadessero il pagamento delle tasse. Le terre lavorate, rendevano sia al lavoratore che al proprietario un surplus (circa la metà era assorbito dal fisco per le spese militari). Per i contadini l’affitto era altissimo e questo faceva si che la rendita fosse di poco superiore alla sussistenza. Con l’ arrivo degli invasori nel V secolo, la fiscalità romana crollò improvvisamente e si smise di riscuotere le tasse. Per i proprietari terrieri aumentarono i costi delle attività, nelle città venne meno la possibilità per i proprietari di vendere le proprie eccedenze agli ufficiali. La perdita della centralità economica della città contribuì ad un graduale crollo demografico e ad un cambiamento dell’aspetto delle città, che assunsero più le sembianze di paesaggi rurali. I boschi crebbero di importanza per la legna, la selvaggina, l’allevamento e vennero ampliati grazie all’influenza germanica che dava molto rilievo agli spazi naturali. La scarsa produttività cerealicola era legata alla mancanza della forza lavoro animale e di una valida concimazione. La bassa densità della popolazione nei secoli VI- X, era dovuta dunque alla fragile situazione produttiva, che consentiva la sopravvivenza di pochi. ● La fine dell’impero romano coincise con la fine della schiavitù? Di fatto, i padroni avevano fornito terre su cui alloggiare e quindi nacque, secondo Marc Bloch, una condizione sociale intermedia fra schiavo e uomo libero, quella del SERVAGGIO. La storiografia moderna propone come data l’anno Mille per segnare la fine della schiavitù, in concomitanza con una nuova accelerazione dello sviluppo economico. Fino al X secolo gli schiavi continuarono ad essere esclusi dai servizi e dai diritti, a mutare fu però la loro funzione economica: la fine dell’azienda latifondista tardo-antica e la frantumazione della proprietà fondiaria, spinsero ad utilizzare la forza lavoro degli schiavi in maniera meno omogenea, differenziandone le condizioni a seconda delle esigenze e gradualmente, nei secoli successivi, la schiavitù cominciò a sparire grazie all’ “affrancamento”. Nel sistema agricolo longobardo appare poco rilevante il ruolo della corveé (=prestazione d’opera fatta dal contadino sulla terra gestita dal padrone) tuttavia, con i carolingi torna in auge la pratica delle prestazioni e anzi, si intensificano dando vita al SISTEMA CURTENSE. SISTEMA CURTENSE Basato sulla compresenza di due elementi: ● La bipartizione delle aziende (curtis) in un settore a conduzione diretta, cioè la riserva padronale (dominicum) e uno a conduzione indiretta (mansus), gestito da piccole famiglie contadine. ● L’obbligo per i contadini del manso di prestare corveés sulle terre del padrone (per integrare il lavoro degli schiavi). Il sistema curtense non esisterebbe senza le corveés. Poiché non tutte le aziende producevano le merci necessarie, si venne ad intensificare lo scambio delle eccedenze (commercio esterno del surplus agricolo). In Italia il sistema curtense si affermò solo dopo la conquista franca, favorendo un’economia di scambi interni ed esterni. A partire dal X secolo, si incrementò a dismisura la costruzione dei CASTELLI e delle città sul modello romano,. Il sistema curtense gettò dunque le basi per un sistema economico di ripresa, grazie all'affermazione di un nuovo artigianato autonomo e all’avvento di nuove teconologie (mulini, ecc..). La città (secoli IV- X) Quando l’impero romano, che aveva basato tutta l’economia sui rapporti tra le città e su una fitta rete di scambi, crollò, si verificò un cambio radicale dei rapporti tra città e campagne: la città si “ruralizzò”, mentre la campagna si ampliò. La struttura politica delle città dell’impero romano era concepita come centro di coordinamento del territorio e aveva una struttura precisa. CITTÀ ROMANA Visto che nelle città affluiva il surplus produttivo, queste furono le prime ad essere colpite dalla crisi: la popolazione diminuì drasticamente ma complessivamente la rete urbana resistette; ciò fu possibile vista la profonda modificazione interna. L’elemento centrale di trasformazione fu la presenza del vescovo in città. La forza che avevano acquisito i vescovi in seguito alla larga diffusione del cristianesimo, fece si che essi assumessero i pieni poteri pubblici. Le città allora vennero ristrutturate in base alle nuove esigenze (vennero costruite cattedrali, palazzi vescovili, battisteri, ecc..) e dell’impianto cittadino romano rimasero solo il foro e la nozione di spazio pubblico. CITTÀ VESCOVILE In Italia, nelle aree longobarde, l’organizzazione del territorio non era basata sulla potenza dei centri urbani. È vero che i Longobardi scelsero come capitale Pavia, ma la loro cultura ancora tribale non concepiva come fulcro politico la città senza le campagne. Infatti, centri importanti si formarono nelle campagne stesse. La conquista carolingia nelle zone longobarde determinò un nuovo ruolo delle città, che vennero rilanciate sia dal punto di vista urbanistico, sia da quello giurisdizionale; in più, i comitati dovevano convivere con l’autorità tradizionale del vescovo (rapporto vescovi- conti). Le città vennero rilanciate anche dal punto di vista economico e, nonostante gli Arabi fossero ormai presenti su tutto il Mediterraneo, gli scambi con l’Oriente rimasero in vita grazie ai porti, quelli adriatici, ma soprattutto quelli meridionali (Napoli, Otranto, Bari, Amalfi) che non solo commerciavano, ma erano anche centro di importanti lavorazioni tessili , artigianato e costruzioni navali. Il vescovo incaranava il potere pubblico: egli era eletto dal clero e da una ristretta élite della popolazione; si occupava di controllare i commerci e gli scambi, oltre a stabilirne i pedaggi (fonte di arricchimento non solo per il vescovo ma anche per la città in sé e per iol suo ceto emergente). Le città costituivano una realtà complessa: l’attività giurisdizionale era in mano ai vescovi guidati da giudici e notai. Nelle città risiedevano mercanti e artigiani ma anche i proprietari terrieri che vivevano di rendita. Dunque anche i grandi proprietari preferivano la vita cittadina, scelta che nel XII secolo avrebbe portato a grandi cambiamenti nella rete del controllo urbano. Le seconde invasioni e la ristrutturazione del territorio europeo (secoli IX- XI) immunità grazie ai servizi militari che prestavano ai sovrani; in questo modo, si creavano isole giurisdizionali autonome. A questa frammentazione del potere pubblico cercò di trovare soluzione Corrado II con il suo Edictum de Beneficiis, il quale stabiliva l’ereditarietà dei benefici minori, ossia quelli concessi dall’aristocrazia ai vassalli. In questo modo si mirava a ricondurre i poteri signorili in un ambito di fedeltà al sovrano, e a ridimensionare quelli locali. L’incastellamento è uno dei fenomeni derivati dalla ondata di “seconde invasioni”. Il senso di incertezza aveva incrementato la diffusione di fortezze fortificate, fenomeno che diminuì le differenze sociali poiché il rapporto fra agricoltori e proprietari era diventato di reciproca protezione, tuttavia, i grandi proprietari sfruttarono queste debolezze del sistema per incrementare il loro potere e consolidare le proprie posizioni. L’incastellamento portò dunque, in molti casi, alla nascita delle signorie territoriale. SIGNORIA FONDIARIA= insieme dei poteri che un proprietario esercitava sui servi e sui coloni liberi. I proprietari, oltre a riscuotere i canoni in natura e denaro, ricevevano la prestazione di corveés ed era in mano loro la giustizia sulle loro proprietà (iustitia dominica). SIGNORIA TERRITORIALE O DI BANNO= è strettamente legata al fenomeno dell’incastellamento . Il proprietario esercitava potere anche sui soggetti non legati da nessun vincolo al proprietario. Si tratta dunque di un esercizio di potere imposto agli abitanti di un determinato territorio (sistema di accentramento del potere). Nel castello, il signore esercitava giustizia e si arrogava il diritto di incamerare le tasse che un tempo erano dovute al potere pubblico, ad esempio il FODRO (obbligo di provvedere al sostentamento dell’esercito regio al suo passaggio), l’ALBERGARIA (obbligo di ospitalità al sovrano), la CURADIA (tassa sui mercati), il TELONEO (pedaggio stradale), il RIPATICO e il PONTATICO (utilizzo dei ponti o porti fluviali). Inoltre, il signore riscuoteva una taglia in denaro come riconoscimento della sua funzione di protettore della comunità (FOCATICUM, applicata ad ogni famiglia). Signoria fondiaria e territoriale sono due definizioni date a posteriori dagli storici per cercare di interpretare una realtà complessa. È certo però che questa sovrapposizione di poteri aveva scatenato uno stato di microconflittualità fra X e XI secolo. Fra i poteri signorili che si contendevano i territori avevano un ruolo preminente i vescovi, le cui sedi episcopali erano situate nelle città e l’ambito giurisdizionale combaciava con le circoscrizioni romane , le provinciae. Nelle città poi, il vescovo aveva sin dalle origini un ruolo di espressione dei ceti dominanti avendo un primato religioso e civile. Nell’epoca carolingia questa preminenza era stata salvaguardata con la trasformazione dei vescovi in missi dominici, cioè a controllori dei poteri locali. Con la caduta dell’impero carolingio, i vescovi rinforzarono i loro poteri in ambito cittadino e dopo le “seconde invasioni”, assunsero il ruolo di difensori della città. Dal X secolo in poi, i vescovi furono riconosciuti dall’imperatore nel loro ruolo in ambito urbano, ottennero perciò il diritto di immunità. I vescovi erano stati inseriti a tutti gli effetti fra i detentori dei poteri pubblici. Impero e regni nell’età post- carolingia (secolo X) Dopo la crisi dinastica che seguì la deposizione di Carlo Il Grosso (887), il potere effettivo dei re di Francia, si ridusse ad un’area molto limitata intorno a Parigi e il titolo regio venne conteso per alcuni decenni tra gli ultimi lontani eredi di Carlo Magno (dinastia dei Robertingi). Nel 987, con Ugo Capeto, il titolo regio tornò stabile dando vita alla dinastia capetingia (che durerà sino al XIV secolo). Al tempo di Ugo Capeto , il regno era assai indeterminato sia dal punto di vista territoriale che politico- amministrativo. Il re governava solo le zone sulle quali aveva controllo diretto e si distingueva dagli altri signori locali solo per l’autorità d’ordine morale e religioso. All’interno di quella che era stata la Gallia, intanto, si erano formati regni a carattere regionale (come quello di Provenza e di Borgogna - il primo fu poi assorbito dal secondo-); il regno di Francia aveva ormai intrapreso uno sviluppo indipendente rispetto agli altri regni eredi dell’impero carolingio. Alla fine dell’impero carolingio l’Italia aveva mantenuto la stessa estensione del regnum longobardorum (Italia settentrionale e parte di quella meridionale), mentre i regni del centro- sud si trovavano sotto diverse sfere di influenza: longobarda in Campania, Araba in Sicilia, bizantina nelle restanti regioni). In mancanza di una vera discendenza carolingia, il potere in Italia fu conteso fra le più importanti famiglie dell’aristocrazia , dando vita a una serie di sovrani “italici”. Questo sovrapporsi di poteri “vecchi” e “nuovi”, portò ben presto alla cosiddetta anarchia politica e ad uno stato di perenne conflittualità per la guida del regno. Protagonisti di questa lotta per il potere furono i duchi e i marchesi di Spoleto, di Toscana, di Ivrea e del Friuli. A contendersi il regno all’inizio vi erano Berengario I del Friuli e alcuni esponenti della casata spoletina. In seguito intervennero Rodolfo di Borgogna (re d’Italia dal 924 al 926), poi Ugo di Provenza che mantenne la guida del regno per vent’anni (926-946) attuando una politica spregiudicata contro le dinastie italiche di origine carolingia e favorendo la nascita di un’aristocrazia nuova (composta da longobardi in grado di offrire il controllo del territorio). Quando Ugo ormai vecchio si ritirò, lasciò il regno al figlio Lotario che morì solo quattro anni dopo (950). Il potere passò dunque a Berengario II che cercò di rafforzare il proprio potere accerchiandosi di persone fidate e annientando i rivali: questa politica innescò la “solidarietà feudale” che sollecitò l’intervento di Ottone I di Sassonia, che giunse in Italia sposando Adelaide (vedova di Lotario). La precarietà degli equilibri politici spinse Ottone non a detronizzare Berengario II, bensì a giurargli fedeltà. Da questo momento le vicende italiane si legarono a quelle della Germania e all’inizio della restaurazione dell’impero da parte degli Ottoni. Nel regno dei Franchi Orientali, definito Teutonico, nell’887 venne eletto re un discendente della dinastia carolingia, Arnolfo di Carinzia e alla sua morte salì al trono Ludovico Il Fanciullo (899), che aprì un nuovo periodo di contrasti fra le famiglie potenti; infatti, il regno teutonico era formato da ampi ducati regionali sostanzialmente autonomi (Ducato di Baviera, Svevia, Sassonia, Lotaringia, Franconia). Nel 911 fu eletto Corrado I di Franconia e alla sua morte Enrico l’Uccellatore fu nominato re di Germania. Il fatto che Enrico fosse riuscito a bloccare le invasioni ungare, segnalava un primo esempio di “missione” del popolo tedesco di germanizzazione dell’Europa Orientale. Suo figlio, Ottone Il Grande, riuscì a farsi eleggere re dopo la sua morte e fu proprio durante il suo lungo regno (936- 973) che si rafforzò l’autorità regia e si diede nuova vita al titolo imperiale: Ottone Il Grande fu incoronato ad Aquisgrana con una cerimonia di stampo carolingio, cercando di presentarsi come il vero erede di Carlo Magno. Il sistema politico si stava gradualmente rafforzando. Ottone dovette far fronte ad una realtà istituzionale priva di collegamenti fra regno e periferia anche perché i duchi e i conti esercitavano i loro poteri in autonomia. Il sistema elaborato dal re, prevedeva che non vi fossero più le forme di potere statali tipiche dell’età carolingia, bensì che il sovrano dovesse scegliersi i propri fedeli di volta in volta (immagine sacrale del re). Fu proprio quest’ idea di potere a dare nuovo vigore all’impero e a introdurre Ottone nell’intricata lotta per la corona italica. Sposare Adelaide, la vedova di re Lotario fatta prigioniera da Berengario, fu la prima mossa per arrivare poi alla conquista definitiva della corona italica (961) e del titolo imperiale (962). Ottone era anche il protettore della cristianità e della Chiesa di Roma, perciò promulgò il Privilegium Othonis, secondo il quale si riconoscevano le proprietà e i diritti della Chiesa di Roma e ribadiva il fatto che il papa dovesse prestare giuramento all’imperatore: si ponevano così le basi della lotta fra Stato (Impero) e Chiesa che però non esplosero in età ottoniana a causa di un indebolimento della gerarchia papale. Conquistati il titolo imperiale e il regno italico, Ottone si mosse verso la conquista dei territori del Meridione occupati dai bizantini. La missione militare fallì, allora Ottone decise di procedere per vie diplomatiche tramite l’imperatore bizantino Zimisce (politicamente debole) che, cedette alle pressioni di Ottone acconsentendo il matrimonio fra Teofano (amante di Zimisce) e il figlio di Ottone, Ottone II. Ma i progetti risultarono ben presto velleitari, infatti, dopo la morte del padre (973), Ottone II scoprì che dalla parte bizantina, non vi era nessuna intenzione di rispettare i patti. Nel 976, Ottone II entrò in conflitto con Basilio II (nuovo imperatore bizantino) e dovette scontrarsi col problema della minaccia saracena. Tuttavia, la morte precoce gli impedì di portare a termine i suoi obiettivi e ad ereditari i problemi imperiali fu il figlio, Ottone III che però era ancora un bambino. Furono Teofano e Adelaide ad assicurargli la successione che avvenne poi nel 996. Cresciuto nel mito dell’impero, Ottone III fece eleggere il papa come suo precettore (all’epoca Silvestro II). Ciò che non prese in considerazione l’imperatore, furono i rapporti con i grandi dell’impero, ritenendo che la sua autorità fosse garantita dal titolo , e ben presto, si scontrò così con i detentori dei poteri locali col risultato che fu cacciato da Roma e fu costretto a nascondersi. Si riapriva una dura lotta per la successione . Fu eletto re di Germania Enrico II, duca di Baviera proveniente dalla dinastia dei Rudolfingi (potente casata di Sassonia). Egli rinunciò al sogno imperiale ma procedette al rafforzamento della propria autorità nei confronti dei poteri locali. Morto senza figli, nel 1024, fu eletto suo successore Corrado II di Franconia (appartenente alla famiglia dei Salii), il quale riuscì a mantenere la corona fino al 1125 nonostante lo strapotere dei signori locali e i conflitti col papato. L’anno Mille: continuità e trasformazioni Dal punto di vista storico, l’anno Mille rappresenta il confine fra due epoche di uno stesso periodo: l’alto Medioevo e il basso Medioevo. I cambiamenti che si sono verificati intorno all’anno Mille riguardano soprattutto il sistema politico- economico feudale. Alcuni storici ritengono sia avvenuta una mutazione feudale in un lasso di tempo molto breve, che ha cancellato i modelli tipici dell’età carolingia per produrre una società nuova fondata sulla signoria territoriale e su rapporti feudali. Altri invece, sostengono che il cambiamento fu il frutto di un’evoluzione lenta e graduale dell’intero sistema. Dal punto di vista demografico, il cambiamento non fu repentino; ma fra X e XIV secolo, la popolazione raddoppiò e in alcune zone, addirittura triplicò. Questo portò in breve tempo ad un incremento della produzione e ad una rinnovata attività commerciale: furono introdotte nuove tecnologie come ad esempio il mulino ad acqua, la pratica della rotazione triennale, ecc.. e furono ampliati gli spazi coltivabili grazie ai numerosi disboscamenti. Nel X secolo, il sistema curtense era stato messo in crisi poiché la bipartizione che stava alla base della curtis (dominicum e massaricium) fu spesso frazionata in concessioni ai contadini liberi e ai prebendarii (=schiavi che alloggiavano nella riserva). I grandi proprietari presero a gestire le risorse economiche in sovrappiù, programmavano l’agricoltura e l’economia, introducendo un secolo di mutamenti. L’anno Mille, sebbene non rappresenti un pilastro fisso fra due epoche, rappresenta comunque il punto di svolta per spiegare i cambiamenti dei secoli successivi. ANNO MILLE ● MUTAZIONE FEUDALE = passaggio dal sistema feudale gestito dal potere diretto dell’imperatore alla SIGNORIA DI BANNO, esercitata dai grandi proprietari capaci di attorniarsi di clientele vassallatiche e fortezze. Tra X e XII secolo, il panorama politico cambiò. La pluralità delle signorie territoriali lasciò il campo a monarchie capaci di esercitare la propria egemonia su porzioni crescenti di territori. Le clientele vassallatico-beneficiarie furono utilizzate in senso nuovo dai monarchi per mantenere la propria superiorità rispetto ai signori locali. Queste casate monarchiche provvidero a ristrutturare le relazioni feudali e ad inquadrare i soggetti politici esistenti (vi era l’esigenza di ridurre il margine di autonomia dei più potenti). Si era dunque creata una nuova gerarchia in cui i signori locali erano ancora potenti ma posti sotto il diretto controllo del sovrano. I re rivendicarono la loro posizione privilegiata grazie alla natura sacra del loro potere (nacque il mito del re taumaturgo, cioè colui in possesso di miracolose doti guaritrici). Dalla fine dell’ XI secolo alcuni grandi principi territoriali cominciarono a restaurare la propria autorità sui vassalli: essi imposero loro di prestare un omaggio ligio (considerato superiore a tutti gli altri omaggi)e così si cominciò a fare uso del cosiddetto feudo di ripresa, ovvero il vassallo cedeva al signore un bene e questo era subito concesso come feudo (riconoscimento della supremazia del signore). Con la battaglia di Hastings (1066) Guglielmo, duca di Normandia, conquistò l’Inghilterra ponendo fine alla monarchia anglosassone. I Normanni provvidero a smantellare il potere degli Earls (circoscrizioni regionali) e a impiantare una fitta rete di manors (fortezze poste sulle unità fondiarie) che Guglielmo, Il Conquistatore, concedeva in cambio dell’omaggio feudale. Il re fece in modo che i manors concessi fossero distanti tra loro, cosicché non potessero formarsi signorie territoriale e li censì nel Domesday Book (1086), un registro che venne a creare le basi del sistema tributario. La nuova organizzazione politica, non distrusse quella preesistente: vennero conservati i tribunali; gli sherifs (funzionari locali) continuarono ad esistere -anche se affiancati dai visconti normanni- e avevano il compito di riscuotere le tasse ottenendo preziosi vantaggi economici, tant’è che ben presto la carica iniziò ad attirare anche i baroni, minacciando nuovamente l’avvento delle signorie territoriali. La minaccia fu sventata durante il regno di Enrico II (il primo dei Plantageneti) che provvide a ridurre il margine di potere della nobiltà e a migliorare l’amministrazione, ad esempio consentì ai baroni di non prestare servizio militare dietro il pagamento di una tassa. In questo modo mutarono i rapporti con la grande nobiltà: la funzione militare perdeva di importanza ma a afavore di una maggiore partecipazione all’amministrazione. Enrico II cercò di sottomettere alla giustizia regia anche il clero con le Assise di Clarendon. Ma Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, si oppose entrando in conflitto con il re fino al 1170 (quando il vescovo morì). La monarchia ne usciva rafforzata e diventava centro di un sistema che venne definito Common Law. Alla morte di Enrico II, vi era dunque un sistema politico forte che poneva il re al vertice. Tale sistema iniziò a vacillare dopo la morte del successore di Enrico II, Riccardo Cuor di Leone. Durante il regno di Giovanni senza Terra, la corona perse i possedimenti oltre Manica (regni del ducato di Normandia), il che permise ai francesi di conquistarli con facilità. Anche all’interno dell’Inghilterra gli equilibri si ruppero, si riaffacciarono le pretese del clero e dei baroni e crebbe la potenza delle città mercantili, specialmente Londra. La coalizzazione di tali forze portò alla promulgazione della Magna Charta (1215), un documento che limitava l’autorità regia e riconosceva le prerogative delle città, dei nobili, del clero. I primi cinque sovrani capetingi in Francia, governarono una limitata parte di territorio tra Loira e Senna. Il territorio era organizzato in principati, sistema non molto diverso da quello organizzato su contee e ducati. Le cose cambiarono con Luigi VI, che impiegò il suo potere nella lotta contro l’indipendenza dei signori di banno. Il potere regio si rafforzò a danno di questi signori di castello, creando una politica forte di accentramento che avrebbe posto le basi per la futura monarchia francese. I princìpi che stavano alla base di ogni principato furono per lungo tempo rapporti da pari a pari con il re (la parità del principato capetingio non era mai messo in dubbio). I conflitti fra i sovrani francesi e i loro vicini, i Plantageneti (signori del Maine,della Normandia e sovrani di Inghilterra dal 1154), cominciarono da una questione di diritto feudale: essi limitavano a Occidente l’espansione del regno di Francia. Nel 1150, Goffredo Plantageneto investì suo figlio Enrico del ducato senza chiedere il consenso a Luigi VII, l’atto venne interpretato come un’ostile affermazione di indipendenza, perciò Luigi VII minacciò guerra ai rivali ottenendo che Enrico prestasse omaggio al sovrano francese, e poche settimane più tardi avrebbe ottenuto in eredità tutti i domini divenendo principe. Ma lo scontro era destinato a riaprirsi a causa della crescita di potere dei Plantageneti. Nel 1152 la moglie di Luigi VII, Eleonora, divorziò e sposò Enrico portandogli in dote l’Aquitania: due anni dopo Enrico diventò re d’Inghilterra. Formalmente egli era ancora vassallo del sovrano capetingio ma di fatto, era più potente e l’astio fra i due sovrani proseguì fino al 1177 quando una pace finalmente sancì il mantenimento dello status quo territoriale. Nonostante la guerra coi Plantageneti il regno di Luigi VII registrò una crescita dell’autorità regia attraverso la formalizzazione delle relazioni feudali tra i vassalli e la corona. Contemporaneamente si affermò la superiorità giudiziaria del re che cominciò a rappresentare un punto di riferimento per la soluzione delle controversie tra i grandi signori. Questi progressi continuarono sotto il regno di Filippo Augusto (1180-1223), caratterizzato dall’espansione territoriale e dalla centralizzazione politica e amministrativa. L’ingrandimento del regno fu reso possibile grazie al matrimonio con Isabella di Hainaut, la quale portò in dote la ricca regione dell’Artois e proseguì con le conquiste militari ai danni del dominio plantageneto. Dopo la morte di Enrico II, Filippo riuscì a strappare a Riccardo Cuor di Leone e a Giovanni senza Terra (suoi eredi alla corona d’ Inghilterra), la maggior parte dei territori al di qua della Manica (Berry, Maine, Angiò, Normandia) che si legarono definitivamente alla corona di Francia. Su questo territorio, Filippo Augursto intensificò i controlli attraverso un doppio ordine di funzionari, i balivi. Essi controllavano i beni posseduti dalla corona in signoria, mentre delle altre entità politiche si occupavano i prevosti, funzionari itineranti addetti alla riscossione delle imposte , alla raccolta degli omaggi, all’amministrazione della giustizia regia. Con l’istituzione dei prevosti, la monarchia capetingia cominciò a modificare la natura signorile del proprio potere. Comunque tutto questo non comportò uno sganciamento dal sistema feudale, anzi, gli omaggi iniziarono ad essere redatti per iscritto, si incrementò il controllo sull’ereditarietà dei benefici e soprattutto si cercò di rendere più gerarchica la rete delle fedeltà esistenti. Questo fece si che tutti i signori feudali furono costretti a prestare omaggio al re e le relazioni feudali iniziarono ad assumere l’aspetto di una piramide gerarchica. I cavalieri normanni provenienti dal ducato di Normandia, giunsero in Italia nell’ XI secolo, chiamati dai longobardi e dai bizantini in lotta tra loro. Le tensioni politiche favorirono il loro radicamento sul territorio e nacquero ben presto la contea di Aversa e il ducato di Melfi, come ricompensa per i servizi militari prestati. La nascita di questi due insediamenti aprì una nuova fase normanna, in qualità di signori territoriali. Il pontefice Leone IX , preoccupato per la nascita di questi nuovi centri di potere cercò di attaccare i Normanni ma fu sconfitto a Civitate (1053). Gli altri papi preferirono scendere a patti: nel 1059 a Melfi, Niccolò II stipulò un concordato con Riccardo di Aversa e Roberto il Guiscardo di Altavilla. In cambio della sottomissione feudale al papato, i due ricevettero rispettivamente il principato di Capua e il ducato di Puglia , Calabria e Sicilia. La legittimazione offerta dal papato, riconosceva in generale l’egemonia normanna sul Meridione. Negli accordi di Melfi, coesistevano quindi due elementi: quello feudale e quello teologico- sacrale. Il papa infatti, era considerato più importante di un normale signore, in quanto capace di esercitare una supremazia anche sacrale sui suoi vassalli. La conquista della Sicilia (in mano ai musulmani) promossa da Ruggero, fratello di Roberto il Guiscardo, durò fino alla fine dell’XI secolo. Le difficoltà dovute alla resistenza degli abitanti di fronte alla violenza dei conquistatori, furono appianate grazie ai conflitti interni delle fazioni musulmane. L’amministrazione islamica fu mantenuta, furono invece ridefinite le circoscrizioni ecclesiastiche: la nomina dei titolari delle diocesi fu il principale strumento di affermazione dei Normanni. Essa fu giustificata dal ruolo di legato apostolico che il papato conferì a Ruggero nel 1098. Dopo la morte dei due fratelli che avevano dato fondamento all’egemonia normanna in Meridione, l’unità politica iniziò a disgregarsi: da queste disparità, trasse vantaggio Ruggero II di Sicilia che riuscì ad assumere il controllo anche degli altri domini del Sud Italia. Per la prima volta egli unificò i poteri normanni, si fece battezzare dal vescovo di Salerno e omaggiò al papa per il ducato di Puglia, Calabria e Sicilia. Approfittando dello scisma della Chiesa apertosi dopo la morte di Onorio II, ottenne dall’antipapa Anacleto II non solo la conferma dei diritti sui ducati, ma la dignità e il titolo di re per sé e per i propri eredi. Questo simboleggiava la supremazia normanna su tutti i ducati del regno. La solennità della cerimonia con cui fu incoronato Ruggero II nel 1130, segnalava la necessità di legittimazione dei nuovi sovrani, che fino ad allora erano eletti per acclamazione dai propri vassalli (mentre Capetingi o Plantageneti potevano giustificare la loro supremazia in base ad una tradizione antica e culturalmente accettata). Nel 1140 Ruggero II promulgò in un’assemblea aperta a tutti i vassalli del regno, l’ Assise di Ariano, una serie di ordinamenti volti a estendere il controllo del re sulle giurisdizioni particolari, quelle di feudatari e città. Nonostante la legittimazione, il titolo regio rimaneva comunque limitato dalle possibili ribellioni dei vassalli. Il sistema forte che la monarchia normanna riuscì a creare in maniera simile a quello attuato in Inghilterra, era fondato sulla divisione della curia feudale in mansioni specifiche (finanza, esercito, ecc..) e sul censimento dei feudatari e dei loro obblighi in un registro (nel XII secolo sarà detto Catalogo dei Baroni). Alla morte di Ruggero II (1154) con l’esplodere di ribellioni e rivendicazioni da parte dei nobili delle città, la monarchia normanna riuscì tuttavia a mantenere un certo controllo dei signori locali. Il figlio di Ruggero, Guglielmo I e il figlio di questi, Guglielmo II succedettero al trono, ma dopo il 1189, in mancanza di eredi diretti, la corona passò a Costanza (una figlia di Ruggero II) che sposò l’imperatore Enrico VI portando in Sicilia la casata di Svevia. Lo sviluppo delle monarchie iberiche, si inserisce nel contesto della reconquista, il processo per cui tra X e XIV secolo, alcuni regni del nord riacquistarono territori in mano ai musulmani. Alla base di questo processo vi fu la crisi del mondo musulmano: il califfato iberico era diviso in tante piccole signorie territoriali. Dopo la morte del califfo Al- Mansur, il sistema entrò in crisi, anche perché tornavano a farsi sentire i sentimenti religiosi nella Spagna che aveva fatto resistenza alla penetrazione islamica. Dall’ XI secolo, si formarono due nuove entità politiche: dal regno di Navarra si staccò quello di Castiglia , che assunse dignità regia ed estese la propria egemonia su Navarra, Leòn e Asturie. un rendimento, molla del nuovo sistema economico (diverso dall’uso delle proprietà fondiarie signorili, che avevano valore di base per l’esercizio dei poteri signorili). Questo processo determinò la liberazione dei servi in molte città e la trasformazione dei rapporti di lavoro: i contratti agrari che fino al XII secolo erano di lunga durata (vitalizia o ereditaria) e prevedevano anche canoni in natura, iniziarono ad essere stipulati per tempi più brevi e con canoni fissi, indipendentemente dai rendimenti stagionali. Scomparvero le prestazioni d’opera ma i nuovi contratti diedero vilta a nuovi legami di dipendenza (non sociale ma economica) fra contadini e proprietari, ora in gran parte cittadini. Lo sviluppo dei comuni in Italia è molto più vario e complesso rispetto a quello avvenuto nelle altre città europee, questo perché la popolazione delle città in Europa aveva avuto un’origine sociale molto più omogenea (gli artigiani e i mercanti ad esempio, non investivano i loro proventi in proprietà fondiarie). In Francia le città si distinsero in comuni (quelle che formarono un autogoverno spontaneo riconosciuto da un decreto regio) e in città di franchigia (quelle a cui era riconosciuto un margine ristretto di autonomia ma sempre sotto la supervisione di un funzionario regio). In Francia come in Inghilterra, le città divennero un potente strumento regio per il controllo del territorio. Le città tedesche invece rimasero a lungo soggette ai vescovi e furono sottoposte a dinastie locali che si affermarono con la crisi imperiale del XII secolo. Si formarono col tempo assemblee spontanee ma non ottenero mai il riconosceimento dipoteri politici concreti da parte dei signori locali. Analoga fu la situazione nell’Italia Meridionale: le città fra 1050 e 1130 furono gradualmente assoggettate al dominio normanno, non riuscirono quindi a sviluppare istituzioni autonome se non in pochi casi che comunque erano sotto il controllo politico normanno. La nascita della cavalleria e l’invenzione delle crociate (secoli XI- XIII) ● Chi erano i milites intorno all’anno Mille? A tale quesito, nel complesso orizzonte storico di quegli anni, hanno tentato di porre soluzione gli storici. Marc Bloch, propose la distinzione tra una prima età feudale, caratterizzata dalla centralità dell’ omaggio (giuramento di fedeltà prestato dal vassallo), e una seconda età feudale, fondata sull’importanza del beneficio (insieme di beni ottenuti dal vassallo. A partire dal 1050, l’affermazione del feudalesimo avrebbe portato a termine un decisivo mutamento dell’organizzazione sociale creando un’élite delle armi formata da signori e vassalli. Il mestiere delle armi, detto adoubement (= colpire, derivava dalla cerimonia di investitura dei milites: i cavalieri ottenevano la spada e un colpo simbolico sulla nuca), era esercitato da un gruppo sociale a se stante, che nel XII secolo avrebbe costituito una nuova classe: la nobiltà. Bloch non negava che prima di quegli anni non esistessero già i “nobili”, ma prima nobilis indicava coloro che appartenevano ai ceti dirigenti (aristocrazia), da quel momento invece, la nobiltà di fatto andava a costituire una nuova classe sociale giuridicamente definita . Le tesi di Bloch furono contrastate da quelle di Georges Duby, un altro storico francese, il quale sosteneva che, a partire dal X secolo, il termine miles indicasse sia i guerrieri, sia i signori di castello. Nel giro di alcune generazioni, il titolo di cavaliere si sarebbe esteso a tutto il ceto aristocratico, finalmente definito nell’ XI secolo per la pratica delle armi. Duby riteneva dunque, che intorno all’anno Mille si affermava una nuova nobiltà coincidente con la cavalleria. Secondo un altro storico, Jean Flori, invece, sino al XIII secolo la cavalleria non avrebbe costituito né un ordine né una classe: essa sarebbe stata sostanzialmente una professione e quindi esercitata da un gruppo sociale misto. Solo nel Duecento , all’interno di un nuovo contesto politico, si sarebbe giunti ad una graduale chiusura della cavalleria. Ma per Flori, non fu la cavalleria a trasformarsi in nobiltà (come invece affermava Bloch), bensì fu la nobiltà ad appropriarsi della dignità cavalleresca e a monopolizzarla: alla fine del XIII secolo, la militia era una professione onorevole e un titolo eccelso. Attorno all’anno Mille, lo sviluppo delle signorie di banno, le quali necessitavano di difesa, rese indispensabile un numero crescente di specialisti della guerra. Inizialmente i milites erano di umili origini (knight in inglese, designava proprio un contesto sociale basso, di servitori). Nel corso dell’ XI secolo però, il mestiere del cavaliere venne sempre più specializzandosi e comportò lo sviluppo di nuove tecniche di combattimento (spesso basate sullo scontro individuale): il crescente costo delle armi portò ad un graduale chiudersi della cavalleria ad un’ élite sociale ristretta. Entrambe le teorie di Duby e Flori appaiono dunque in qualche modo verificabili. I cavalieri non ancora affermati, partecipavano a tornei e combattimenti, riuniti in compagnie. Il loro fine sociale era quello di costituirsi una base economica, contrarre matrimonio e stabilizzarsi. Dall’ambito ecclesiastico riformatore, si diffuse il movimento della “pace di Dio”, che serviva a tutelare la pace nei territori che i sovrani non riuscivano a controllare del tutto. Gli ecclesiastici cercarono dunque di rendere morale il comportamento dei cavalieri che spesso era violento e protagonista di saccheggi e scorrerie. La Chiesa risultò dunque fondamentale nel processo di costituzione di un ordine sociale morale, impegnato nella difesa dei deboli. Non a caso, fra X e XI secolo la società era ripartita in tre ordini: oratores (coloro che pregano per la salvezza di tutti) , bellatores (coloro che combattono per la difesa di sé e degli altri), laboratores (coloro che lavorano per il sostentamento dell’intera società). Così come la natura divina è triplice, per proiezione ideologica anche la società è costituita da tre parti fondamentali per la costituzione di un unico “corpo” e con l’obiettivo comune di difesa e propagazione della cristianità. Nel processo di affermazione dei poteri locali anche la chiesa visse una stagione di profondo rinnovamento, partito da Cluny e giunto fino a Roma. Una delle componenti principali di questo rinnovamento, fu la crescente pratica dei pellegrinaggi (da Roma a Gerusalemme e in seguito Santiago De Compostela, a quel tempo implicata nel contesto della reconquista). L’appoggio dato da papa Alessandro II a chiunque partecipasse alla lotta contro i Mori in Spagna, fece si che molti francesi partissero : l’idea di propagare la fede cristiana con le armi si era ormai insediata negli usi europei. L’origine delle Crociate è tuttavia discussa: secondo alcune fonti, papa Urbano II nel 1095 avrebbe esortato a Clermont la pace fra nobili e cavalieri cristiani, che da tempo si contrapponevano in lotte fratricide, incitandoli a partire per un pellegrinaggio verso Gerusalemme nelle terre di recente sottratte all’Islam. Tuttavia, la storiografia recente ha superato l’idea che Urbano II avesse indetto la prima crociata consapevolemente ed il fenomeno crociate, lo si inserisce in un contesto più ampio, composto dalle otto spedizioni che si susseguirono fra fine XI e fine XIII secolo per la conquista della Terrasanta con l’idea di mantenerla sotto il controllo cristiano. Il termine “crociata” infatti venne elaborato solo nel Duecento e fino ad allora si utilizzavano nei documenti termini inerenti al pellegrinaggio (iter, passagium, peregrinatio). Quando Urbano II lanciò l’appello rivolto ai cristiani, dunque, non aveva intenzione di bandire una vera e propria crociata, ma soltanto di ricondurre l’attività dei cavalieri nell’alveo della moralità cristiana. Inizialmente l’invito del papa fu accolto con favore dai ceti popolari, a cui si accostarono anche i cosiddetti “cavalieri poveri” con desideri di rivalsa sociale: fu così che nacque la cosiddetta “crociata popolare”, con esiti disastrosi lungo il percorso. Nel frattempo Urbano II era riuscito a convincere gli esponenti dell’aristocrazia francese e normanna a partecipare al pellegrinaggio. Nel 1096 , la spedizione della prima crociata giunse a Gerusalemme che venne poi definitivamente conquistata nel 1099 dopo violente battaglie contro gli “infedeli” ma anche contro migliaia di innocenti. Nei territori conquistati vennero fondati diversi regni, fra cui il più importante fu quello di Gerusalemme, affidato a Goffredo di Buglione. Il ceto dirigente di questi regni era affidato a nobili e cavalieri che avevano partecipato alla crociata e il sistema politico era fondato sui legami feudali che legavano i cavalieri ai loro signori (primo esempio di monarchia feudale). Assunsero importanza in questi regni gli ordini religiosi, per difendere i luoghi sacri e per proteggere i pellegrini in Terrasanta (nacquero gli ordini dei Templari, degli Ospedalieri, l’Ordine teutonico..). Tali ordini religiosi stabilirono poi le loro sedi anche in Europa. La Terrasanta non costituiva solo un simbolo religioso ma era anche un avamposto per i commerci con l’Oriente per questo la vita degli stati crociati, così diversificata e mossa da intenti differenti, era spesso segnata dai conflitti interni, di cui approfittarono i musulmani per fare la loro mossa e riconquistare i territori persi. Ad esempio, nel 1144 i cristiani persero Edessa, città commerciale. Il re di Francia Luigi VII, decise di organizzare una nuova spedizione verso i territori d’oltremare: convinse papa Eugenio III a promuovere la seconda crociata (1147-1148) e l’imperatore Corrado III a parteciparvi. Questa crociata risultò fallimentare a causa dei contrasti tra i due sovrani e ai rapporti difficili con l’impero bizantino. Nel frattempo cresceva la conflittualità fra gli stati crociati, che non seppero far fronte al nuovo attacco musulmano capitanato dal Saladino, un condottiero di origine curda che fece strage. I musulmani riconquistarono Gerusalemme nel 1187. L’ evento provocò l’organizzazione di una nuova spedizione cristiana in Terrasanta, la terza crociata (1189-1192) guidata dall’ imperatore Federico Barbarossa, il re di Francia Filippo Augusto e il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone. Anche questa volta non ci fu un reale coordinamento fra i tre sovrani, in più si aggiunse l’improvvisa morte del Barbarossa: il risultato fu lontano da quello sperato e Gerusalemme rimase nelle mani dei musulmani, lasciando ai cristiano solo alcune zone sulla costa. Con il pontificato di Innocenzo III si tentò di giustificare le crociate come atti per ricondurre alla cristianità occidentale tutti i popoli che un tempo le erano appartenuti; non solo la Terrasanta quindi, ma anche l’impero bizantino che se ne era allontanato dopo lo scisma del 1054. Si indisse perciò la quarta crociata (1202-1204) in cui, a causa di un sovrapporsi di istanze papali, progetti militari, interessi economici, lo scopo dei crociati cambiò: non più sottrarre Gerusalemme ai musulmani bensì sottrarre Costantinopoli agli altri cristiani. La città fu saccheggiata e attaccata, nei territori balcanici e in qulli anatolici si formò il nuovo “impero latino d’Oriente”, destinato a durare circa un sessantennio. Negli stessi anni, la crociata fu utilizzata come mezzo per reprimere i “nemici della cristianità”, cioè gli eretici: Innocenzo III indisse nel 1208 una crociata contro i catari della Francia meridionale (Albigesi) e contro il conte di Tolosa che li supportava. Il territorio francese fu teatro di scontri violenti, che durarono circa un ventennio. Per riconquistare i territori cristiani (e per estenderne i confini), vi furono le cosiddette crociate del nord indette nel XIII secolo per sottomettere i popoli pagani - Balti, Livoni, Lettoni-: le spedizioni qui, furono condotte dai cavalieri dell’Ordine Teutonico. Accanto alle nuove forme di crociata, continuarono le spedizioni verso le terre d’oltremare. Mentre era in lotta contro gli albigesi, Innocenzo III si fece promotore anche della quinta crociata (1217-1221), alla quale però non presero parte i sovrani d’Occidente (impegnati nelle questioni interne ai loro regni). La crociata era rivolta all’ Egitto, importante avamposto per la conquista dei territori intorno a Gerusalemme, ma anche in questo caso, a rendere fallimentare la spedizione furono i contrasti interni al movimento crociato. Il distacco fra la chiesa orientale e la chiesa occidentale sancì una definitiva separazione fra Oriente e Occidente: la controversia sull’iconoclastia , il controllo per la chiesa bulgara e tutte le controversie dottrinali aveva provocato lo scisma nel 1054 quando il papa Leone IX e il patriarca di Costantinopoli ( Michele Cerulario) si scomunicarono reciprocamente. La rivendicazione di un primato universale del papato romano rese sempre più distanti le posizioni tra le due chiese, determinando due modelli differenti: la chiesa “ortodossa” basata sul sistema conciliare, cioè sull’autonomia delle chiese locali e la chiesa romana che rimaneva basata sul sistema verticistico. Dall’ XI secolo l’attività commerciale occientale si diresse verso i mercati Orientali per opera di alcune città costiere italiane (Amalfi, Venezia, Genova, Pisa). Genova e Pisa in particolare attuarono una violenta politica contro i musulmani, cacciandoli da Corsica e Sardegna, garantendosi così la via libera per le rotte commerciali. Venezia approfittò delle difficoltà dell’impero bizantino (che in italia aveva perso i possedimenti meridionali a causa dell’invasione normanna ed era stato attaccato dai Turchi sul fronte orientale) e concesse a Bisanzio llaiuto della loro flotta, ma a caro prezzo: l’imperatore Alessio I Comneno dovette emanare la bolla aurea, la quale garantiva ai veneziani l’esenzione da dazi e imposte in tutti i porti delllAdriatico, dello Ionio e dell’Egeo (1126) e nel 1148 l’esenzione fu estesa alle isole di Cipro e Creta, garantendo ai veneziani il monopolio degli scambi con l’Oriente. Tutto questo comportò una recessione economica per lo stato bizantino ed anche la situazione politico- militare entrò nuovamente in crisi, poiché oltre ai nemici tradizionali dell’impero, si aggiunsero nel corso del XII secolo i crociati, che proprio durante una delle loro spedizioni assediarono Costantinopoli e l'impero fu diviso in diversi principati feudali: rimase l’impero di Costantinopoli a cui si aggiunsero il ducato di Atene e Tebe, il principato di Acaia e il regno di Tessalonica. Le classi dominanti bizantine si organizzarono in tre diverse formazioni: il consiglio di Nicea, il regno di Trebisonda e il despotato di Epiro. A Nicea si ricreò, grazie alla dinastia dei Lascaridi, un progetto di riconquista del frantumato territorio imperiale. La difesa dell’ortodossia costituì il collante ideologico del progetto: nel 1261 Costantinopoli fu ripresa , ma niente era rimasto dell’antica grandezza e il territorio era estremamente limitato alle zone del Bosforo e a poche isole del Mar Egeo. Sotto la dinastia dei Paleologi mutò anche il sistema amministrativo, che cedette al potere dell’aristocrazia fondiaria. L’affermazione della grande proprietà non giovò alla ripresa economica dell’impero (i rimanevano nelle mani dei Veneziani e dei Genovesi) e le risorse erano impiegate per il pagamento dei mercenari chiamati a difendere il ristretto impero. Nella prima metà del XIV secolo i Turchi Ottomani conquistarono la maggior parte delle terre un tempo soggette ai bizantini. Restavano indipendenti soltanto Costantinopoli, il despotato di Mistrà e il regno di Trebisonda: la lunga agonia dell’impero terminò nel 1453 con la conquista da parte del sultano Maometto II della capitale Costantinopoli. Il rinnovamento culturale (secolo XII) La crescita economica iniziata in età carolingia, rendendo la società più complessa, favorì l’istituzione di cataloghi e archivi per fissare in forma scritta diritti, transazioni, soluzioni di conflitti. Inoltre, la ricomposizione politico-territoriale dovuta ad organismi di volta in volta differenti (monarchie, comuni, principati, papato, impero) ebbe come conseguenza la formazione di gruppi di funzionari che impiegavano la scrittura per fini burocratici. Questo comportò anche la nascita di nuovi istituti per la diffusione del sapere, per questo il XII secolo si caratterizza per essere un momento di rinascita culturale. A partire da questo secolo aumentarono le persone alfabetizzate, si ampliò il ceto degli intellettuali e vi fu anche una svolta qualitativa: il libro divenne un importante strumento per il sapere da utlizzare, non più soltanto da ammirare. Da tutto questo derivò un profondo mutamento del sistema di studio e nacquero ben presto le università. Fra XI e XII secolo il termine universitas, designava qualsiasi comunità organizzata e dotata di proprio statuto giuridico. Le università come le intendiamo noi oggi, sorsero invece a partire da associazioni, le universitates formate da persone che svolgevano lo stesso mestiere. Furono associazioni di tipo spontaneo, che nacquero dalle esigenze date dal contesto storico, ma in modalità differenti. Emblematici sono i casi dell’università di Bologna da un lato, quella di Parigi dall’altro. A Bologna, pare che l’iniziativa partì dagli studenti, laici che si riunivano in società al fine di pagare un maestro che spiegasse loro le antiche leggi dei romani (Corpus Iuris Civilis). A Parigi, invece, ad associarsi furono alcuni professori di teologia, perlopiù chierici, preoccupati dal grande potere che deteneva il cancelliere dell’arcivescovo, unico depositario del diritto di conferire diplomi validi per l’insegnamento (licentia docendi). Le università divennero ben presto importanti strumenti politici per l’affermazione del potere dei sovrani. Federico Barbarossa nel 1158 rilasciò l’ Autentica Habita, con essa l’imperatore, in cerca di alleanze per contrastare l’autonomia delle città comunali italiane, concedeva a tutti gli studenti il privilegio di non essere giudicati dai tribunali locali (comuni o principi) ma da quelli presieduti dai vescovi o dai loro maestri. Nel 1200 il re capetingio Filippo Augusto, anch’egli in cerca di sostegni per il proprio potere, concesse agli studenti parigini, lo stesso privilegio accompagnato dalla propria protezione. Ancora più rilevanti furono gli interventi pontifici: nel 1219 papa Onorio III riconobbe agli studenti il diritto di protestare contro il comune bolognese con la pratica dello “sciopero” ma affermò che le uniche licenze di insegnamento valide erano quelle concesse dall’arcidiacono della chiesa di Bologna. In tal modo scambiò il proprio aiuto con l’ingerenza del comune con il riconoscimento di un potere a lui stesso sottoposto. Nel 1229 a Parigi si verificò una migrazione di studenti dovuta alle minacce di condanna emanate dal cancelliere contro alcuni di loro: questo diede vita a un conflitto nel quale intervenne Gregorio IX con la bolla Parens Scientiarum (1231); egli ridisegnò l’organizzazione universitaria affermandone l’autonomia rispetto al cancelliere, alle autorità civili, agli ordini mendicanti che avevano tentato di egemonizzarla. Nel 1224 Federico II di Svevia fondò l’ Università di Napoli, intenzionato a dotare il regno di una scuola per la formazione dei funzionari. Per chi frequentava l'università erano previsti grandi benefici e stabiliva gravi pene per chi si recava a studiare altrove: una minaccia implicita contro l’università di Bologna e un segno di come ormai la formazione accademica fosse imprescindibile per la formazione del ceto dirigente. Si percepì immediatamente la necessità di portare in forma scritta la “lectio” ovvero l’insieme di spiegazioni e commenti ai testi dei professori; si istituirono così nelle università delle botteghe di stacionarii, autorizzati a copiare e vendere esemplari di libri. La forte richiesta di ibri, accompagnata da un sempre maggior numero di studenti fece sì che si trovassero modi per accelerare la copia dei manoscritti: la pecia era uno di questi, ovvero si distribuivano fra copisti diverse parti di un unico volume, garantendone l’uniformità e dividendo i tempi di produzione. Dalla lettura dei testi emergevano le discussioni (questiones) e le analisi dei diversi casi scaturite appunto dallo studio dei libri. In questo modo nacque anche la volontà di ricercare altri libri antichi e di scriverne di nuovi. Nel XII secolo si riscoprirono i classici greci nel mondo occidentale; ciò avvenne in due modalità differenti, infatti, nella penisola iberica e in Sicilia prevalse la traduzione dall’ebraico e dall’arabo (in Oriente i testi greci erano stati tradotti da lungo tempo), mentre in Italia prevalse la traduzione diretta dal greco. Nei secoli successivi il confronto fra i due tipi di traduzioni mise in luce la non affidabilità dei primi, avendo subito troppi passaggi in lingue diverse, tuttavia, la cultura araba risultò influire positivamente su quella occidentale in quanto apportò numerose innovazioni in ambito scientifico . Il progresso degli studi favorì verso il XIII secolo il mutamento di due sfere che secoli prima erano completamente non comunicanti: litterati e illitterati. Prima, i litterati erano esclusivamente i chierici in grado di utilizzare il latino e la scrittura, mentre gli illitterati erano coloro che non conoscevano il latino e non sapevano scrivere. Dopo il XII secolo i due gruppi distinti entrarono in contatto e il termine litteratus cominciò ad indicare tutti coloro che sapevano leggere e scrivere in latino, laici compresi: questo poneva fine alla superiorità culturale dell’ élite ecclesiastica. In questo periodo poi, iniziò a diffondersi anche il volgare in forma scritta sebbene in alcune zone d’Europa come ad esempio in Irlanda esisteva già da tempo poiché di origine più antica. L’impero e la dinastia sveva Quando Federico I di Svevia (il Barbarossa) divenne re di Germania e poi fu incoronato imperatore, l’autorità imperiale tornò ad essere protagonista delle vicende europee, dopo una rinnovata affermazione del potere della casata di Svevia. Le vicende che videro protagonisti i sovrani svevi (Federico I, Enrico VI, Federico II), ruotavano intorno alla volontà di affermare a livello giuridico, attraverso il recupero del diritto romano e alla formalizzazione del diritto feudale, gli ambiti legittimi di azione del potere imperiale. La loro azione venne contrastata da molteplici forze ostili nel territorio a loro soggetto: sia il regno germanico, sia l’Italia del centro- nord avevano avuto sviluppi tali da rendere inefficace l’azione dei sovrani della dinastia sveva. Fra XII e XIII secolo mentre in Francia, Inghilterra , Italia del sud si mirava a ricomporre la frammentazione locale dei poteri, due grandi aree europee (il regno germanico e l’Italia centro- settentrionale) seguirono diversi percorsi politici. Nel regno germanico non si era affermato il principio di ereditarietà e trasmissione dinastica del titolo regio, infatti ogni sovrano doveva essere approvato dall’assemblea dei principi. Questa approvazione conferiva legittimità al sovrano, non alla discendenza familiare. Tale dignità era legata anche all’unzione pontificia e questo conferiva anche un valore sacrale al potere del sovrano germanico. Nel 1125 quando morì Enrico V (ultimo sovrano della casata Salica), venne eletto Lotario di Supplimburgo della dinastia di Baviera, nonostante in punto di morte Enrico avesse designato come suo successore un esponente di una famiglia di principi svevi (Hohenstaufen). Alla morte di Lotario accadde il contrario e fu eletto Corrado III di Hohenstaufen della casata sveva. Si andavano affermando dunque due dinastie, quella sveva e quella bavara (Welfen) , ma grazie ad una ben condotta politica matrimoniale nel 1152 fu eletto re il duca di Svevia Federico di Hohenstaufen, la cui madre era Giuditta della dinastia bavara. Nel 1154 Federico I giunse per la prima volta in Italia. Il suo intervento era stato richiesto dal papa e da alcune città lombarde , che vollero ricorrere ad un’autorità superiore in difesa dei loro confini territoriali e della loro autonomia, minacciata dall’espansionismo delle città maggiori (Milano). L'imperatore riunì un’assemblea che condannò Milano per aver mosso guerra contro le altre città lombarde, si recò poi a Roma dove sostenne il papa nel conflitto col comune cittadino, al quale si era unito Arnaldo da Brescia, un chierico legato alla patarìa, che osteggiava il potere temporale dei papi. Nel 1158 Federico I convocò a Roncaglia (presso Piacenza) una grande assemblea pubblica - Dieta di Roncaglia- nel corso della quale, con l’aiuto dei giuristi italiani emanò un decreto, Constitutio de regalibus, in cui per la prima volta si definivano le prerogative dell’autorità regia: - Controllo delle vie di comunicazione. - Esercizio della giustizia. - Riscossione delle imposte. Nel 1266 a Benevento, Carlo d’Angiò sconfisse Manfredi, che morì in battaglia e Corradino, supportato dagli esponenti ghibellini, cercò di riconquistare il regno ma fu sconfitto nel 1268. I comuni italiani (secoli XII- XIV) Nel corso dei secoli XII- XIV nei comuni dell’Italia centro-nord la conformazione dell’aristocrazia cittadina e del sistema di governo cambiarono radicalmente: nel 1150 i comuni non erano ancora stati riconosciuti dall’imperatore, solo nel 1183 con la Pace di Costanza erano stati legittimati, aprendo la strada ad uno sviluppo politico che avrebbe modificato il paesaggio politico italiano. L’impero e le signorie locali avevano perso importanza, lasciando il posto ad una serie di regimi cittadini. Attorno al 1350 dai comuni, si erano formati ampi stati territoriali in cui il benessere politico era maggiore rispetto a quello dell’impero stesso. Il processo di crescita economica che accompagnò lo sviluppo delle grandi monarchie europee, derivò dalle città comunali, dove in assenza di un re e di una corte, fu una ben più ampia parte della società a beneficiare di questa crescita. La popolazione triplicò all’interno delle città: la società stava divenendo più complessa da governare. Non a caso fra XII e XIII secolo, entrò in crisi il sistema del consolato, ovvero basato su una serie di accordi fra famiglie potenti che si alternavano alla carica di console (trasformando la loro egemonia informale in legittima). Le decisioni dei consoli erano varate da un’assemblea (arengo= assemblea di tutti i cittadini maschi adulti), che si limitavano però a votare per acclamazione. L’ascesa sociale di famiglie rurali e quella urbana, ampliarono il vertice sociale della città, complicando gli accordi in merito alla politica da adottare e il consolato iniziò a dividersi in fazioni in lotta tra loro. Il moltiplicarsi dei conflitti interni, intensificati dopo la Pace di Costanza, spinse i cittadini a sperimentare nuove soluzioni: si formarono consigli più larghi del consolato in grado anche di prendere decisioni, non solo di accogliere proposte. Ma il potere di coordinare queste nuove assemblee, fu messo nelle mani del podestà (potestas= potere), magistrato a cui era affidata la reggenza della città per un periodo variabile. Inizialmente i podestà erano uno, o più di uno e scelti fra i cittadini o chiamati da fuori, ma nei primi decenni del Duecento, molte città si trovarono a convergere verso un unico sistema: l’affidamento della massima magistratura cittadina per un periodo limitato (di solito un anno) e ad unico personaggio di solito forestiero, affinché fosse parziale nelle dispute cittadine. Il podestà, a inizio mandato, firmava un vero e proprio contratto con cui si impegnava a portare con sé i propri giudici, i propri notai (in accordo con i notai locali) e talvolta anche le proprie guardie. COMPITI DEL PODESTÀ: - Presidenza del consiglio comunale - Direzione dei tribunali cittadini - Conduzione dell’esercito - Mantenimento dell’ordine e della pace interna Al termine del proprio incarico il podestà era sottoposto a processo amministrativo e solo se aveva svolto tutti i compiti in maniera corretta gli veniva versato il salario. Il podestà era dunque un professionista della politica, in grado di perseguire il benessere della società cittadina. I primi podestà erano soprattutto milanesi e cremonesi (i principali rappresentanti delle due fazioni) , il sistema podestarile dunque rappresentava un metodo di controllo attuato dalle città leader, che in tal modo tenevano a bada le alleanze meno potenti. Dopo la metà del Duecento, si iniziò a scegliere il podestà all’interno del proprio schieramento, ma nonostante questo al podestà si continuò a richiedere una certa distanza nelle lotte fra fazioni cittadine ma in pratica, non sempre questo avveniva e capitava che i podestà stranieri fossero uccisi o cacciati per aver preso scelte impopolari. Tuttavia, il sistema podestarile si dimostrò adatto ad una società sempre più complessa e sopravvisse per più di un secolo e mezzo. La crescita demografica nelle città comportò il nascere di uno scontro tra aristocrazia e ceti popolari (mercanti, banchieri e artigiani), che pur crescendo economicamente rimanevano fuori dalla partecipazione politica. All’inizio del Duecento sono testimoniati anche molti scontri tra milites (cavalieri) e pedites (fanti): ai cavalieri erano associati privilegi come l’esenzione delle tasse, la possibilità di ottenere risarcimenti dal comune per perdite avvenute in guerra (rottura armi, ferimento dei cavalli..). Quando le risorse comunali diminuirono perché la classe dei milites si era ampliata, i popolari iniziarono a protestare e a richiedere una miglior ripartizione delle risorse. Dal 1250, i popolari raggiunsero importanti risultati: erano entrati nei consigli comunali, avevano consolidato la loro unità politica riunendo in un organismo generale, la società del popolo, le proprie associazioni (quelle corporative dei mestieri, quelle territoriali, ecc.) Queste società fra il 1260-1270 avevano a capo della propria magistratura un capitano del popolo, figura similare a quella del podestà, sempre forestiero e con incarico a termine. Insomma, il popolo aveva affiancato a quello esistente un altro organismo politico, una sorta di comune parallelo, dotato della medesima struttura. Nelle città a maggiore presenza popolare (Bologna, Firenze, Perugia), la società del popolo finì per diventare il vero centro della politica: fu qui, verso la fine del secolo che vennero promosse le cosiddette norme antimagnatizie, ovvero leggi speciali che proteggevano i membri della società del popolo contro chi li avesse offesi, i cosiddetti magnati (=cittadini ricchi e potenti che minacciavano i cittadini più deboli). Anche i cavalieri presero ad organizzarsi all’interno delle città; già dall’inizio del Duecento i milites, erano associati in gruppi che si dedicavano a contrastare le rivendicazioni del popolo. Dopo la morte di Federico II le energie dell’aristocrazia urbana andarono concentrandosi nell’organizzazione delle partes, associazioni che avevano l’obiettivo di condurre la propria città all’interno di una delle due fazioni, quella filo-imperiale o quella anti- imperiale. Normalmente le partes erano meno formalizzate rispetto alla società del popolo ma in alcuni casi come a Firenze, giunsero anch’esse a costituire una sorta di comune parallelo e quando una delle due parti trionfava, cacciava l’altra dalla città. La caratteristica peculiare dei comuni italiani è senza dubbio la spontaneità delle vicende politiche. All'inizio del Trecento, le cose cominciarono a cambiare: i signori che dominavano le città cercavano di legittimare il proprio potere non più solo attraverso il riconoscimento formale da parte del comune ma anche attraverso l’assunzione del titolo di vicario, concesso dall’imperatore. Con il passare del tempo i signori più stabili iniziarono a trasmettere la carica ai figli; dove non si era affermato nessun signore in particolare invece, spesso si instaurò un governo monocratico o in altri casi le città finirono per essere sottomesse ad altre città o al pontefice . Verso il 1330, si iniziò la riscrittura degli assetti istituzionali delle città. La fase di mobilità sociale e istituzionale si era esaurita e aveva lasciato il posto all’emergere di una nuova aristocrazia destinata a durare. Ma questo non significò la fine delllesperienza comunale, in quanto, comunque aveva costituito un elemento dominante nell’esperienza politica per più di un secolo. L’impulso dei comuni aveva introdotto regole di cui la politica non poté più fare a meno, ossia il bisogno di muoversi all’interno di regole definite e condivise che aveva dato vita ad un apparato burocratico- amministrativo imprescindibile. Papato universale e stato della chiesa (secoli XII- XIV) Come le monarchie europee e i comuni, anche il papato romano fra XI e XII secolo, iniziò a riorganizzarsi dal punto di vista territoriale, istituzionale e amministrativo, esercitando potere su suggetti politici sino ad allora indipendenti (nobili, città, chiese). Il papato deteneva alcuni privilegi, come il prestigio spirituale e il carattere elettivo della propria monarchia. Queste peculiarità incisero sul modello di organizzazione che assunse, sia come potere temporale all’interno di un territorio determinato (lo stato pontificio), sia come vertice della gerarchia ecclesiastica, sia infine, come autorità spirituale e punto di riferimento per l’intera cristianità. Nel corso del XII secolo si erano creati scontri riguardo alla procedura d’elezione del papa che solo con il terzo concilio lateranense (1179)si conclusero: Alessandro III introdusse la possibilità per tutti i cardinali (vescovi, preti, diaconi) di partecipare all’assemblea di elezione papale e l’elezione sarebbe stata valida con una maggioranza di due terzi. Nel XIII secolo, grazie anche a questa riforma si affermò l'idea secondo cui l’elezione del papa non doveva essere soggetta né all’influenza dell’impero, né a quella del popolo di Roma, ma era affidata ai soli cardinali. Gregorio X, emanò la costituzione Ubi periculum, in cui si stabilivano norme tese ad accelerare l’elezione papale (per evitare le lunghe tempistiche di elezione). Si stabiliva che gli elettori dovessero essere chiusi in una stanza (conclave) con pochi viveri fino al termine dell’elezione. Questo tuttavia non minava il prestigio dei cardinali che rimanevano gli unici detentori del potere di elezione. La crescita dei poteri del papa, iniziata nel secolo XI, costituì la prmessa per la formazione dello stato della chiesa. Alla crescita del potere pontificio si opponevano baroni, signori territorialie i comuni cittadini ed anche i sovrani normanni. Quando nel XII secolo, l’influenza imperiale tornò a farsi sentire in Italia, il papa saldò i legami diplomatici con le altre forze anti-imperiali (soprattutto con i comuni del nord Italia). Al termoine del conflitto con Federico Barbarossa, Alessandro III era riuscito ad ottenere la concessione delle regalìe (Pace di Venezia). La congiunzione tra la corona del regno di Sicilia e l’impero che si realizzò con Enrico VI (che schiacciò lo stato della chiesa a nord e a sud), sembrò assestarne lo sviluppo, ma a causa della morte di Enrico e della crisi per la successione, l’opera di allargamento della chiesa poté ripartire. La prima fase di espansione fu inaugurata da Innocenzo III. Egli si fece giurare fedeltà dai nobili e dalle città del Lazio, dell’Umbria e delle Marche e scacciò in quelle aree i funzionari imperiali. Poi, si fece riconoscere alcuni territori dai due successori in lotta per la corona germanica, prima da Ottone di Brunswick e poi da Federico II. Egli aveva ormai delineato i tratti dello Stato pontificio, articolato in quattro province (Campagna e Marittima nel Lazio Meridionale, patrimonio di Tuscia nel Lazio Settentrionale, ducato di Spoleto in Umbria, marca di Ancona nelle Marche). Rettori di nomina pontificia presiedevano i poteri locali ma come la maggior parte degli altri stati concedeva ai propri sudditi larghe zone di autonomia in materia fiscale, giudiziaria, militare. Lo stato pontificio oltre a essere in sé un vasto territorio aveva una funzione strategica : era posto al centro dell’Italia e separava le due regioni imperiali (regno di Sicilia e l’antico regnum Italiae centro-settentrionale). Dopo la morte di Federico II (1250), papa Urbano IV, francese, sollecitò Carlo d’Angiò a intervenire in Sicilia per mettere fine alla dinastia sveva. Carlo creò un potente regno e consentì persino al papato di estendersi fino alla Romagna grazie ad un potente esercito. L’influenza angioina si indebolì soltanto quando persero la Sicilia, che dopo la rivolta dei Vespri (1282) passò in mano agli Aragonesi. Le debolezze dello stato pontificio emersero in particolare sotto il pontificato di Bonifacio VIII: lo stato della chiesa non disponeva né di una successione dinastica che ne tutelasse la continuità, né dell’appoggio di ampi strati sociali. Nonostante questi elementi di debolezza, vi erano alcuni punti di forza, come il coordinamento delle strutture ecclesiastiche. Tra XII e XIV secolo la centralità del papato si affermò notevolmente e ciò significava riscuotere molte tasse e intervenire in molte sfere di competenza dei vescovi e dei signori ecclesiastici. Nasceva dunque un modello di sovrano assoluto incentrato sulla figura del papa. Dal punto di vista finanziario egli riceveva sia i tributi dei sudditi, sia quelli che riscuoteva come signore territoriale (censi, affitti delle terre, dazi, ecc.); a ciò si aggiungevano le decime locali (versamenti obbligatori pari alla decima parte del raccolto o della pastorizia). Il sistema era complesso, per questo da un funzionario generale, si passò a più funzionari per la riscossione dei tributi nelle varie chiese dello stato. Tutti gli introiti arrivavano nella La storia del XIV secolo è segnata da alcuni eventi catastrofici: una violenta carestia, la peste, che si diffuse in tutta Europa a partire dal 1348 e alcune rovinose campagne militari. La crisi economica, oltre a causare forti tensioni sociali, fu anche l’occasione per creare nuove organizzazioni in materia produttiva. Prima della crisi, nel Duecento, grazie alla stabilità politica e al controllo dei conflitti locali, l'economia aveva goduto di incrementi positivi (commerci su larga scala di stoffe, spezie tinture, manifattura e artigianato). I commerci stimolarono la produzione di una nuova moneta e fu intrapresa la coniazione di monete prima d’argento e poi d’oro (che non erano più state coniate dall’età carolingia)- fiorno, ducato, zecchino, ecc.-. L’esigenza dei commerci spinse molti mercanti a fondare delle società e delle compagnie volte a sostenere imprese commerciali o anche un unico viaggio di affari, tali erano le commende (= affidare), in base al quale un mercante prima di partire raccoglieva i finanziamente necessari all’impresa, da persone alle quali al ritorno avrebbe restituito le somme prestate con l’aggiunta di una parte di guadagni ottenuti. Da qui la nascita di nuove attività creditizie, i banchi, specializzati in scambi di moneta e prestiti. Lo sviluppo economico e l’ascesa demografica, comportarono alti tassi di immigrazione nelle zone della produttività (dalle campagne alle città), tuttavia, il processo di inurbamento, portò al calo della manodopera rurale proprio quando la domanda era altissima. Questi squilibri furono le premesse della crisi che scoppiò definitivamente fra il 1313 e il 1317 quando una serie di cattivi raccolti, generarono gravi carestie a livello europeo. Il mercato non consentiva più il sostentamento di tutti e il prezzo dei cereali si alzò drasticamente portando in breve tempo ad uno stato di miseria, alimentato poi dalla diffusione della peste, improvvisa e rapidissima, interpretata dagli uomini di quel tempo come un “castigo divino”. La grande crisi economica del Trecento gettò le basi per un nuovo tipo di economia, inizialmente basato sulla mezzadria (= si costituirono in pianura dei “poderi”, aziende dotate di una colonica e infrastrutture necessarie al lavoro e ciascun podere era dato in lavorazione ad una famiglia contadini con contratti a breve termine). La mezzadria favorì l’economia delle campagne, anche se portò a nuove forme di oppressione che spesso sfociavano in moti e rivolte, come nel 1358 in Francia, dove si diffuse la jacquerie (da Jacques, nome diffuso fra i contadini), un movimento di rivolta contadina, volto a dar voce ai lavoratori oppressi. Anche in Inghilterra nel 1381, scoppiò la cosiddetta poll-tax, un moto contadino che insorgeva contro l’aumento della tassa che ogni contadino era tenuto a pagare per finanziare le campagne militari. Essi ebbero maggior fortuna, in quanto il clero li appoggiò ed ottennero un compromesso. Oltre all’agricoltura, nel Trecento, mutò anche l’organizzazione della produzione manifatturiera: gli imprenditori che disponevano di maggiori capitali diedero vita a laboratori in cui gli addetti svolgevano solo una fase del ciclo produttivo, in modo che il processo così fosse razionalizzato e più rapido; si creò così uno strato sociale di dipendenti salariati senza specifiche qualifiche lavorative, che non facevano parte di nessuna associazione di mestiere. Tra il XII e il XIII secolo si erano formate, infatti, le corporazioni, composte da persone che operavano nello stesso settore, riunite per tutelare i propri interessi. Queste compagnie si autogovernavano e finivano per avere il monopolio sul proprio settore di competenza. All’interno delle corporazioni non erano ammessi i dipendenti salariati, fu infatti su questi che ricaddero i principali squilibri della situazione economica del Trecento. I lavoratori salariati non avevano rappresentanza e spesso si riunivano in rivolte, come avvenne ad esempio a Firenze nel tumulto dei ciompi (gli operai dell’industria tessile, detti ciompi, rivendicavao maggiori salari e una rappresentanza istituzionale). Sempre nel Trecento si svilupparono nuovi sistemi finanziari come la partita doppia (separava in due conti la cifra da dare e quella da avere) o la lettera di cambio (odierno assegno). Gli Stati regionali in Italia (secoli XIV- XV) Il processo di ricomposizione territoriale aveva preso avvio già dal Duecento, attraverso la conquista del contado da parte dei comuni cittadini, che erano riusciti così a ridurre il numero dei poteri sul territorio. Ma rispetto alle corone europee, l’Italia era ancora smembrata in stati piccoli. Un processo di cambiamento si avviò a partire dalla fine del Duecento sino a metà Quattrocento, quando comuni e signorie territoriali lasciarono il posto a cinque stati regionali, che si dividevano l'intera penisola: il progressivo ridursi dei poteri fu l'esito di una serie di sanguinose guerre in cui vinsero i più forti. Gli stati esistenti furono cambiati radicalmente nella loro struttura interna per favorire una nuove economia e contemporaneamente l’estensione territoriale portò alla promozione di riforme amministrative e operazioni diplomatiche per riaprire i rapporti con le altre potenze europee. Prima dell’avvento degli stati regionali, i comuni, fin dai tempi di Federico II si erano schierati in guelfi e ghibellini, dividendo in due le città. Nel regno meridionale, le parti guelfe e ghibelline, si dffusero solo dopo la rivolta dei Vespri siciliani, che spezzò il regno di Sicilia in due parti: una piccola parte rimase in mano agli Angiò e l’altra fu presa dagli Aragonesi, i quali parteggiavano per la parte ghibellina. A differenza dei guelfi però, i ghibellini avevano perso una figura di riferimento in seguito all’estinzione della casa di Svevia. Lo scontro tra fazioni si riaccese nel Trecento con l’elezione del nuovo imperatore Enrico VII (1310-13), che volle essere incoronato a Milano e fu costretto a schierarsi con i ghibellini che avevano a capo i Visconti (a Milano) e gli Scaligeri (a Verona). I privilegi imperiali a loro concessi permise loro di accrescere il proprio potere, così anche dopo la morte di Enrico, poterono esercitare influenza anche oltre i loro confini; tale espansione però determinò l'insorgere di papa Giovanni XII, il quale tuttavia non riuscì a fermare la prevalenza ghibellina - che durò fino agli anni trenta-. I Visconti acquisirono il controllo di gran parte della Lombardia e gli Scaligeri quello delle città venete e la lega delle città ghibelline toscane, guidata da Pisa, si impose su Firenze e sui guelfi. Per questi successi, i ghibellini chiamarono in Italia Ludovico il Bavaro(1327), che di nuovo aumentò la solidità della fazione filo-imperiale ma non comportò una presenza stabile dell’imperatore in Italia. Verso il 1330, le fazioni persero di importanza: lo si vide quando alcune città emiliane e lomabrde chiamarono come proprio signore Giovanni di Boemia, figlio Enrico VII e tale iniziativa suscitò contrasti sia nella parte guelfa (Firenze e Roberto d’Angiò) che quella ghibellina (Visconti e Scaligeri), che si confederarono per scacciare il nuovo sovrano. Ben presto i conflitti su larga scala fecero aumentare le spese militari perché gli stati dovevano assoldare truppe mercenarie (vista la scarsa disponibilità dei cittadini a combattere guerre lontane) e inoltre, aumentarono anche gli ufficiale della burocrazia. Per queste ragioni furono disposti nuovi sistemi di prelievo fiscale e di redistribuzione delle risorse. Si affermò la pratica del debito pubblico consolidato, attraverso il quale i cittadini investivano in titoli di stato, che davano diritto alla riscossione di un interesse e potevano essere scambiati. Gli stati stati ebbero modo di disporre così di somme più ingenti. I cittadini più ricchi erano quelli che investivano nello stato e ben presto si diffuse il fenomeno della venalità di stato, ossia la concessione di uffici pubblici in cambio di denaro. Il nuovo sistema burocratico invece, era in grado di gestire orizzonti che andavano ben oltre quelli del comune e per formare questi funzionari, i sovrani istituirono università nei propri domini. ● Ma come è avvenuto il passaggio da comuni a stati regionali ? Milano, Firenze e Venezia costituiscono tre tipi diversi di evoluzione dal comune allo stato regionale. Milano già dal 1250 aveva compiuto passi verso la signoria. Alcuni membri della famiglia Della Torre guidarono lo schieramento popolare, monopolizzando la carica di “anziano del popolo”. I Visconti aggiunsero poi una nuova forma di legittimazione della carica signorile: il titolo di vicario imperiale, che ottennero a più riprese nel corso del Trecento. Solo nel 1395, Gian Galeazzo Visconti ottenne il titolo di principe e duca, del tutto nuovo rispetto alla struttura del comune. La città aveva sempre avuto un contado molto vasto (fino al Piemonte occidentale, alla Marca Trevigiana, all’Emilia) e nel Trecento queste aree furono assoggettate a Milano grazie ai rapporti feudali. Firenze, a differenza di Milano mantenne a lungo le forme di partecipazione caratteristiche dell’esperienza comunale. Solo dopo la rivolta dei ciompi si cominciò a limitare l'accesso delle famiglie ai vertici del potere. Tuttavia già dalla fine del XII secolo, Firenze aveva iniziato la conquista del contado: grazie alle grandissime disponibilità economiche dovute ai commerci e ai banchieri, Firenze aveva incominciato a conquistare le città circostanti indirettamente, alle quali inviava i propri podestà e richiedeva contributi economici. Caddero sotto il suo controllo Pistoia, Prato, San Gimignano, Colle val d’Elsa e tali città, che avevano a loro volta allargato il loro contado, fecero sì che Firenze si ritrovò a dominare realtà già disciplinate. Tuttavia il governo fiorentino risultò fortemente centralizzato, poiché spesso, come accadde a Pisa, le città soi ritrovarono senza alcun potere. Furono ancora diversi gli sviluppi a Venezia, dove già nel XIII secolo si era andato centralizzando una classe di governo ristretta e compatta con l’istituzione del Maggior Consiglio. Nel 1323 il consiglio limitava l’accesso ai figli o nipoti dei consiglieri, diventando perciò un privilegio di nascita. Diversamente da Milano e Firenze, Venezia per buona parte del Trecento non mise in atto alcuna conquista del contado, coinvolta com’era nei commerci con le coste adriatiche e l’Oriente. La storia del Meridione dal punto di vista territoriale, invece risulta segnata dal 1282, l’anno dei Vespri siciliani, che portò al trono di Sicilia Pietro III d’Aragona e alla conquista definitiva di Napoli da parte del re d’Aragona Alfonso V (1442). Le vicende siciliane vissero una prima svolta nel 1296, quando nella contesa fra i successori di Pietro, i baroni locali elessero Federico III, proveniente da un ramo diverso della famiglia aragonese. Anche i successori di Federico dovettero fare i conti con la presenza dei signori locali, organizzati in fazioni (catalani e latini), in lotta per il controllo delle risorse mentre proseguiva la lotta per scacciare gli angioini. Nel Regno di Napoli la debolezza della corona fu aggravata, dopo la morte di Roberto d’Angiò, dall’indebitamento dei monarchi con i banchieri fiorentini; anche qui inoltre, i poteri locali minavano l’egemonia della corona e il re dovette ricorrere ad assemblee rappresentative della nobiltà e delle città. Per quanto riguarda lo stato pontificio, abbandonato il progetto teocratico universale, i pontefici cominciarono a creare il loro stato regionale in Italia centrale. Durante la permanenza dei papi ad Avignone, in Italia si erano rafforzati i poteri signorili già esistenti. A Roma, vista la mancanza di entrate, crebbe il malcontento; questo consentì a Cola di Rienzo, un notaio, di occupare nel 1347 il Campidoglio presentandosi come tribuno, garante di una nuova grandezza imperiale. Ma una congiura aristocratica lo scacciò dal potere. A questo disordine all’interno dello stato della chiesa, rispose il papa di Avignore inviando un legato, Egidio Albornoz, che provvide ad un riordino dello stato cercando di sottoporre le città ai rettori provinciali e costringendo i signori locali a riconoscere l’autorità papale. Instaurò anche un sistema di fortificazioni nel 1357 emanò le cosiddette Nel 1328 Carlo IV di Francia, era morto senza lasciare eredi diretti e il re di Inghilterra Edoardo III, rivendicava il diritto di succedergli. Ma la guida del regno fu assunta da un altro parente Filippo VI di Valois. Così Edoardo III reagì dando via al conflitto che durò circa un secolo, la guerra dei cent’anni. La crisi dinastica fu solo una delle ragioni che spinsero Edoardo a dichiarare guerra alla Francia, aveva anche altri obiettivi, cioè il mantenimento dei propri domini in terra francese e la conquista delle Fiandre (regione strategica per il commercio della lana inglese). Il re d’Inghilterra poté contare su un potente esercito (fanteria, arcieri, uso nuovo delle armi da fuoco) che sbaragliò quello francese, ancora imperniato sulla cavalleria pesante. La prima fase della guerra si concluse in modo disastroso per i francesi che persero vasti territori a sud- ovest. Le conquiste inglesi tuttavia furono effimere anche perché i sovrani inglesi, dalla metà del Trecento, dovettero impegnare le loro forze all’interno dell’Inghilterra, dove erano scoppiati gravi conflitti sociali. La ripresa degli scontri tra Francia e Inghilterra si ebbe agli inizi del Quattrocento, con una nuova crisi dinastica. Com’era già successo nel secolo prima, gli Inglesi ottennero importanti vittorie, conquistando la Francia nord- occidentale, Parigi compresa; le conquiste furono interrotte dalla sconvolgente presa di posizione di una giovane contadina leale verso il re di Francia ed estremamente religiosa: Giovanna d’Arco. Ella aveva compreso l’importanza del coinvolgimento popolare nel conflitto e messasi a capo di un esercito, liberò Orléans dal nemico . L’avventura di Giovanna fu breve (fu catturata dai Borgognoni che si erano alleati con l’Inghilterra e fu bruciata viva sul rogo nel 1431, accusta di stregoneria) ma segnò il destino della Francia: il nuovo re di Francia Carlo VII, riuscì a porre fine al conflitto con una serie di vittorie decisive. Nel 1453 rimaneva in mano agli inglesi solo Calais e i due regni assunsero la fisionomia che li avrebbero caratterizzati per molti secoli, anche dal punto di vista di “identità nazionale”. L’affermarsi di “monarchie nazionali” sulla scena europea, andò di pari passi con la fine delle pretese universalistiche da parte dell’impero, che dalla metà del Duecento, si era ridimensionato molto sia in Italia che in Germania, dove avevano preso il sopravvento forti poteri territoriali, dotati di autonomia. Dopo i fallimenti di Enrico VII e Ludovico il Bavaro di ricostituire l’integrità imperiale in Italia, l’ambito di autorità imperiale si era ridotta al solo territorio tedesco. Vano fu il risultato del tentativo di svincolare l’elezione imperiale a quella del pontefice: la cosiddetta bolla d’oro, assegnava a sette principi tedeschi - quattro laici e tre ecclesiastici- il privilegio di eleggere il re di Germania al quale sarebbe spettato di diritto il titolo imperiale anche senza ottenere la corona d’Italia (unita a quella tesca sin dall’età carolingia). Il titolo imperiale, si svuotò di fatto di importanza, anzi divenne solo un modo per le famiglie nobili tedesche di affermare la loro egemonia. In Germania, gli stati territoriali che componevano il territorio, si autogovernavano; crearono assemblee parlamentari (Landtage) e spesso riuscirono a garantire la pace dei territori con lunghi periodi di pace indetti per rafforzare la loro posizione (Landfrieden). All’imperatore spettava il compito di coordinare questi stati. Al di fuori del coordinamento imperiale rimasero due stati: la Svizzera e il principato religioso- militare dell’ Ordine Teutonico. Gli assetti territoriali dell’Europa orientale conobbero cambiamenti radicali fra XIV e XV secolo: l’area balcanica fu sconvolta dai Turchi Ottomani, i quali sconfissero il regno di Serbia e l’impero bizantino, creando una sorta di confine fra regni cristiani e regni musulmani negli avamposti del regno di Boemia e regno d’Ungheria. Proprio questi due regni assunsero una fisionomia organizzativa simile a quella degli altri regni occidentali;la guida del regno di Boemia fu assunta dal Trecento dalla potente famiglia Lussemburgo, che riuscì anche a ottenere la corona imperiale. A partire dal regno di Carlo IV si ebbe un forte sviluppo dell’amministrazione e delle istituzioni. Carlo IV e i suoi successori favorirono l’ascesa dell’aristocrazia tedesca e l’emarginazione dei Boemi scatenò un forte sentimento nazionale all’interno della Boemia. Anche nel regno di Ungheria, la corona, inizialmente in mano agli Angioini, a partire dal 1380 assunse per alcuni anni la guida dei Lussemburgo. Il Trecento e il Quattrocento sono anche i secoli in cui l’Europa vede nascere la Russia: nel Duecento, il regno di Kiev era stato spazzato via da un esercito mongolo che occupava gran parte dell’odierna Russia, integrando numerosi principati. Proprio alcuni principati come quelli di Novgorod e di Mosca svolsero una politica autonoma e a partire dal XIV secolo si espansero approfittando della debolezza mongola. Il prestigio religioso del principato di Mosca, punto di riferimento per gli Slavi cristiani- ortodossi, gli conferì la preminenza. Verso la fine del Quattrocento Ivan III assunse la guida dei principati di Mosca e Novgorod, diventando il primo vero fondatore dello stato russo. Nella penisola iberica, fra XIV e XV secolo, furono riorganizzati i poteri monarchici: agli inizi del Trecento esistevano quattro regni cattolici: Aragona, Castiglia, Navarra, Portogallo e e a sud permaneva il regno musulmano di Granada. I regni iberici erano spesso in conflitto tra loro viste le numerose lotte dinastiche e la frequente instabilità politica. Solo nel Quattrocento furono poste le basi per la formazione di un regno nazionale, quando Isabella (erede al trono di Castiglia), sposò Ferdinando d’Aragona (1469). L’integrazione fra i due regni fu lenta e si cercò un collante nella fede religiosa: i re cattolici condussero una lotta contro l’eresia e contro i “nemici della cristianità” in generale (gli ebrei furono espulsi nel 1492 e si riprese la fase di reconquista). I musulmani furono scacciati dal regno iberico e intanto i due regni insieme, diedero nuova vita all’espanzione economica e territoriale, in particolare finanziando esplorazioni marittime.
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