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Storia medievale Provero-Vallerani, Prove d'esame di Storia Medievale

Riassunto completo del manuale: Parte I, Parte II, Parte III e Parte IV

Tipologia: Prove d'esame

2018/2019

Caricato il 06/04/2019

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Scarica Storia medievale Provero-Vallerani e più Prove d'esame in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! 1 Cristian Verde INDICE CAPITOLI PAG. P A R T E I 1 L’IMPERO CRISTIANO  1.1 Il sistema imperiale Tardoantico: potere e prelievi  1.2 L’esercito, i limes ed i barbari  1.3 la cristianizzazione dell’impero  1.4 vescovi e monaci 5 5 7 8 2 BARBARI E REGNI  2.1 Mobilità degli eserciti  2.2 i nuovi regni  2.3 l’Italia ostrogota  2.4 Anglosassoni  2.5 Vandali  2.6 Visigoti 10 11 11 14 14 15 3 LA SIMBIOSI FRANCA  3.1 Clodoveo  3.2 le chiese franche e la diffusione del monachesimo in Occidente  3.3 I regni e l’aristocrazia 17 18 19 4 LA ROTTURA DEL MEDITERRANEO ROMANO  4.1 Produzione e scambi in Occidente  4.2 Città  4.3 Reti di scambio  4.4 Produzione  4.5 Contadini 20 20 20 21 21 5 LE AMBIZIONI UNIVERSALI DELL’IMPERO DI GIUSTINIANO  5.1 La nascita di una capitale  5.2 Le successioni al trono  5.3 Burocrazia ed esercito  5.4 Il Corpus Iuris Civilis  5.5 Le campagne militari 22 22 22 23 23 6 DIBATTITI TEOLOGICI E IDENTITA’ LOCALI  6.1 La questione cristologica  6.2 Teologia e impero 25 25 P A R T E II 7 NOBILI, CHIESE E RE: RICCHEZZE E POTERI  7.1 Nobili e re  7.2 I Franchi  7.3 Terre e uomini  7.4 Reti e scambio 27 28 30 32 8 IL REGNO LONGOBARDO  8.1 I Longobardi in Italia  8.2 Longobardi e Romani  8.3 Crescita e fine del regno 33 34 36 2 P A R T E II 9 L’IMPERO CAROLINGIO, ECCLESIA CAROLINGIA  9.1 dal regno all’impero  9.2 Conti, vassalli e liberi  9.3 le chiese carolinge  9.4 dall’impero ai regni 39 41 42 43 10 IL MEDITERRANEO BIZANTINO ED ISLAMICO  10.1 le origini dell’Islam  10.2 Bisanzio: crisi e riorganizzazione di un impero  10.2: le articolazioni del mondo islamico e bizantino 47 47 48 11 SOCIETA’ E POTERI NEL X SECOLO  11.1 i mutamenti dei poteri comitali  11.2 minacce esterne: le incursioni di Saraceni, Ungari e Normanni  11.3 Il potere dei re: Italia, Germania, Francia  11.4 ai margini del mondo carolingio  11.5 modelli di ordine sociale  11.6 nuove chiese, nuovi poteri 50 51 53 57 58 59 P A R T E III 12 LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO DELLE POPOLAZIONI FRA XI E XIII SECOLO  12.1 per una riforma della chiesa: vescovi, imperatori e papi nella prima metà dell’XI secolo  12.2 il momento del conflitto. Il pontificato di Gregorio VII  12.3 pretese universali e definizione istituzionale della Chiesa  12.4 l’inquadramento religioso dei laici 61 63 64 66 13 LA GUERRA, LA CHIESA, LA CAVALLERIA  13.1 il controllo della violenza e le paci di Dio  13.2 la sacralizzazione delle guerre e le prime crociate  13.3 le spedizioni in Terrasanta  13.4 da guerrieri a cavalieri: la disciplina del ceto militare  13.5 l’ideale cavalleresco e la società di corte 68 68 68 71 72 14 IL DOMINIO SIGNORILE  14.1 una potenza senza delega: terre, castelli, clientele  14.2 la formazione dei poteri signorili  14.3 chiese potenti e chiese private  14.4 produzione e prelievo in un’età di sviluppo  14.5 l’inquadramento delle popolazioni rurali, e l’azione politica contadina 73 74 75 76 77 15 LE CITTA’ NELL’EUROPA MEDIEVALE  15.1 le basi dello sviluppo urbano  15.2 le città tra il XII e il XIII secolo: unificazione e differenziazione sociale 79 80 16 I REGNI E I SISTEMI POLITICI EUROPEI FRA XI E XIII SECOLO  16.1 limiti dei regni nei secoli XI e XII  16.2 l’Inghilterra dalla conquista al Duecento  16.3 il regno di Francia da Luigi VI a Filippo Augusto  16.4 i regni spagnoli  16.5 la Germania e l’impero  16.6 il regno di Sicilia  16.7 la successione imperiale e il regno di Federico II  16.8 conclusioni 82 83 86 88 91 93 94 95 5 Parte I : La trasformazione del mondo romano CAPITOLO 1 L’IMPERO CRISTIANO 1.1 Il sistema imperiale Tardoantico: potere e prelievi  Il Tardoantico  Secoli finali dell’età romana  Periodo con propri connotati  Le fonti che abbiamo sono praticamente solo romane/cristiane  Il Limes  Creati nella fase finale del II secolo a.C. , alla fine dell’espansionismo romano  I limes erano 3:  limes del Reno  limes del Danubio  limes Partico  l’impero romano diventa un insieme di popolazioni coordinate da una “macchina” statale, fiscale e militare.  Questo sistema entra in crisi a causa delle lotte interne che scoppiano per il trono  Con l’avvento al potere di Diocleziano, si ripristina il potere imperiale con la forza. Nel 285 istituisce una Diarchia con Massimiano, che poco dopo si trasformerà in una Tetrarchia  Il IV secolo  2 furono gli eventi più importanti:  Fondazione di Costantinopoli nel 324. Inizialmente nasce solo come residenza dell’imperatore, ma nel V secolo diventa una vera e propria capitale  L’imperatore Teodosio divide l’impero in 2, l’impero romano d’Occidente e d’Oriente, dandone la gestione ai suoi due figli Arcadio e Onorio.  La “macchina” statale romana  I 3 grandi capitoli di spesa per l’impero romano erano:  Burocrazia  Esercito  Capitale (Roma)  Le spese erano sostenute da una tassa, chiamata Annona. Essa era un’imposta che gravava sulle popolazioni rurali in base all’espansione delle terre dei contadini presenti in esse. I Curiales erano coloro addetti alla riscossione.  Il contesto politico – militare fece sì che le spese militari non fossero più sostenibili a causa delle continue pressioni di diversi popoli sui Limes. Questa continua richiesta impose agli imperatori di adottare una politica inflazionistica, la quale colpì soprattutto i ceti più bassi. 1.2 L’esercito, i Limes ed i Barbari  L’esercito  Uno dei 3 grandi capitoli di spesa più onerosi per lo stato 6  Esercito stipendiato  IV secolo esercito diviso in 2:  Comitantes, forza mobile che accompagnava l’imperatore  Limitanei, guarnigioni poste a diesa dei confini  Il Limes  Serie di fortificazioni destinate a definire e proteggere una linea di confine  Punto di incontro – scontro – scambio tra i romani e le popolazioni al di là del Limes. Non sappiamo se le popolazioni barbare fossero un sistema di civiltà totalmente opposto a quello romano.  Il “”Barbaro”  Termine nasce inizialmente per indicare chi non parlava il greco. Tacito li definiva “germani”.  Identità barbara non dato stabile e permanente, ma esito di una continua rielaborazione a cui si è dato il nome di etnogenesi  I barbari erano gruppi non perfettamente omogenei e stabili, ma confederazioni che si riunivano attorno al re che meglio li guidava e gli faceva ottenere un bottino più grande. I popoli più forti quindi attraevano di più, ma tra il III ed il IV secolo era Roma ancora la più forte e con più capacità attrattiva.  La presenza barbara nell’impero inizia così molto prima del crollo dei Limes. Inizialmente fu un inserimento lento e capillare di gruppi organizzati o a volte di intere popolazioni all’interno dell’impero. L’integrazione avvenne anche nell’esercito, non solo ai livelli più bassi, ma anche ai vertici del comando, es. Arbogaste e Stilicone.  Negli ultimi decenni del IV secolo però ci fu una sensibile accelerazione del processo di inserimento, causata dalla spinta degli Unni guidati da Attila. Ciò causò un effetto a catena, che spinse i Visigoti a forzare i confini e ad entrare nell’impero, a cui però quest’ultimo concesse un massiccio stanziamento territoriale nei Balcani nel 375. I Visigoti però si dedicarono ad attività di saccheggio nei Balcani, inducendo così Roma allo scontro. Nel 378 ci fu così la battaglia di Adrianopoli, che si rivelò un disastro per Roma. Nella battaglia morì anche l’imperatore Valente. Questa sconfitta segnò una netta divaricazione tra oriente ed occidente. In oriente, dopo questo avvenimento si cercò di limitare la possibilità di avere capi militari barbari alla guida dell’esercito romano. Grazie al nuovo imperatore Teodosio dopo la sconfitta si riuscì a giungere ad una pace con i Visigoti, grazie ad un Foedus.  406/407 crolla il Limes renano  Importanti gruppi armati riescono ad entrare nei territori dell’impero  Nel 410 avviene il sacco di Roma, e quest’ultima perde il potere nella Gallia settentrionale  Capi Barbari alla guida dell’esercito Romano  Arbogaste  franco, alla fine del IV secolo ricopriva la funzione di comandante supremo dell’esercito romano d’Occidente. Nel 392 si ribellò all’imperatore e lo uccise, facendo incoronare Flavio Eugenio. Gli si contrappose però Teodosio che nel 394 sconfisse ed uccise entrambi  Stilicone  vandalo, prese il posto di Arbogaste. Difese con successo l’impero contro i Visigoti guidati da Alarico a Pollenzio (402) e contro le armate di Radagaiso a Fiesole (406). Quest’ultima vittoria però lasciò campo aperto ai popoli che tra il 406/407 valicarono il Limes renano. Stilicone fu così accusato di tradimento e ucciso.  Alarico  re dei Visigoti, comandante degli eserciti romani nell’Illirico. Nel 396 guidò la ribellione del suo popolo schiacciato tra gli Unni e l’impero. Nel 402 venne sconfitto in Italia da Stilicone. Nel 409 riattaccò l’Italia, e scese fino a Roma assediandola. Ottenne un forte pagamento per la tregua. L’anno successivo 7 però mise di nuovo sotto assedio Roma, e questa volta entrò e la saccheggiò (410 sacco di Roma). In seguito proseguì verso il Sud Italia, per poi morire in Calabria. C.1 Le invasioni e migrazioni dei popoli germanici ad inizio V secolo 1.3 La cristianizzazione dell’impero  La cristianizzazione dell’impero  Per comprendere questo processo di cristianizzazione è necessario tenere presente un’idea di pluralità:  Pluralità dei paganesimi  non solo culti tradizionali  Pluralità di culti salvifici  promesse di vita eterna  Pluralità di cristianesimi  diverse interpretazioni delle scritture  Pluralità dell’organizzazione ecclesiastica  vescovi superiori al papato  Le persecuzioni  Punto di partenza  III secolo  Novità rispetto alla solita tolleranza religiosa che Roma aveva avuto in tutta la sua storia  Espressione di un crescente assolutismo imperiale. Fine di consolidamento dalla coesione ideologica dell’impero 10 CAPITOLO 2 BARBARI E REGNI 2.1 La mobilità degli eserciti  La mobilità degli eserciti  Crollo Limes renano 406/407  Alcuni di questi spostamenti furono l’espressione militare e politica di gruppi definiti e coesi:  Visigoti  guidati da Alarico. Anche alla sua morte rimasero uniti, e riuscirono a costruire un regno nella penisola Iberica  Vandali  guidati da Genserico, si stanziarono nell’Africa romana. Furono il primo popolo germano a trasformare la loro superiorità militare in un potere politico strutturato.  Unni  avevano una politica poco strutturata, ma compensavano con un potentissimo esercito. Erano originari dell’Asia centrale. nel 445 salì al potere Attila. L’unica sconfitta che subì fu contro Ezio (generale romano di origine barbara). Il grande regno degli Unni che si era creato sotto la guida di Attila, si sfaldò però nel 451, con la sua morte.  La fine dell’impero  Lungo il V secolo il potere imperiale rimase un grande obbiettivo politico-militare. Ci fu una grande alternanza di “imperatori fantoccio” controllati da generali militari.  Nel 476 Odoacre depose l’imperatore Romolo Augusto, e a differenza dei precedenti generali militari, rinunciò ad insediarne uno nuovo, perché lo riteneva inutile. Il momento effettivo della fine dell’impero romano d’Occidente non fu così causato da una grande invasione, ma un generale romano si limitò a deporre l’imperatore che era in carica, e a non nominarne uno nuovo. Il 476 passò così senza lasciare traccia, a differenza della sconfitta di Adrianopoli nel 378 o del sacco di Roma del 410.  Odoacre in Italia  Odoacre non impose mai il proprio dominio come una dominazione autonoma, ma cercò di esser riconosciuto dall’Impero per essere legittimato (Impero d’Oriente ormai)  L’imperatore d’Oriente Zenone non riteneva però Odoacre affidabile, e pochi anni dopo fece sì che l’Italia passasse nelle mani degli Ostrogoti di Teoderico.  Fine V secolo una nuova Geografia  Italia  Ostrogoti  Gallia  Franchi  Iberia e sud Gallia  Burgundi e Visigoti  Africa  Vandali 11 2.2 I nuovi regni  I nuovi regni  Europa del V-VI secolo società nettamente semplificate e più povere  Passaggio di potere dall’aristocrazia senatoria romana alla minoranza armata dei germani  I regni che si creano appaiono come ricomposizioni in scala del vecchio Impero romano  Rottura della circolazione commerciale interna al mediterraneo.  Nuovi regni molto più poveri rispetto all’impero. L’equilibrio che si viene a creare ora tra ricchezze del re e dell’aristocrazia va nettamente in favore del primo  Quasi tutti i regni rinunciano a prelevare le tasse. In età imperiale le tasse servivano a sostenere i tre grandi capitoli di spesa: capitale, burocrazia ed esercito. I regni germanici che si stavano creando o non avevano una capitale, o comunque non avevano una capitale come Roma. La burocrazia era un apparato ben più leggero di quello romano e l’esercito non era più stipendiato come quello di Roma, ma era costituito dall’insieme del popolo e dall’èlite ricompensati dal re con concessioni di terre. 2.3 L’Italia Ostrogota  L’Italia Ostrogota  Odoacre una volta deposto Romolo Augusto, costruì un sistema di potere equilibrato ed efficiente, fondato sulla piena collaborazione con l’aristocrazia senatoria  L’Italia tra il 476 ed il 489 continua ad essere dominata da una amministrazione di stampo romano  Odoacre espresse la natura del suo potere attraverso un doppio titolo:  “Patricius”  con questo esprimeva la volontà di inserirsi nelle gerarchie romane  “Rex Gentium”  dominio non sull’Italia, ma sull’insieme di popoli che la componevano  L’impero e Teoderico  Zenone, imperatore dell’impero romano d’Oriente, non accettava il dominio di Odoacre in Italia, perché non lo riteneva un interlocutore affidabile  Zenone si propose di riottenere un controllo indiretto dell’Italia, sollecitandone la conquista da parte del popolo degli Ostrogoti, da tempo stanziato ai margini dell’impero, e che a capo avevano Teoderico, che era stato un importante interlocutore per Zenone.  L’invasione ostrogota  Sotto indicazione di Zenone così nel 489 Teoderico scene in Italia. La spedizione aveva grandi aspettative, e visto che il bottino potenziale era alto, portò ad unirsi altri popoli assieme agli ostrogoti  La conquista dell’Italia fu nel complesso facile, dopo una serie di sconfitte Odoacre fu abbandonato dall’aristocrazia senatoria, e nel 493 a Ravenna fu costretto ad arrendersi, per poi venire giustiziato.  Il nuovo re poté così imporre il proprio potere indiscusso sulla penisola e governare la convivenza tra una piccola minoranza gota ed una grande maggioranza latina. Ravenna divenne la residenza principale del re. 12  Il Governo  Il governo si fondò sull’integrazione tra il controllo militare dei goti ed un’amministrazione civile di stampo romano. L’equilibrio fu efficace perché le popolazioni italiche non subirono alcuna trasformazione radicale degli stili di vita, nel passaggio da Odoacre ai goti di Teoderico.  Teoderico adottò 2 titoli:  Re degli Ostrogoti  Patrizio Imperiale d’Italia Duplicità di titoli come antecedentemente fece Odoacre, con però alcune importanti differenze: il titolo regio germanico in riferimento alle gens, era sostituito da un richiamo alla sua identità etnica, al contempo il titolo di patrizio rappresentava il riconoscimento e la legittimazione davanti all’impero.  L’esercito goto e l’amministrazione romana trovarono un nesso diretto nella figura del re e nel suo Consistorium, ovvero un consiglio formato da goti e romani. I due popoli però non realizzarono mai una piena simbiosi, come invece avvenne per i franchi, poiché furono tra loro complementari ma non integrati.  La religione  La scelta di Teoderico fu quella di conservare la propria fede ariana, ma al contempo si pose come protettore di tutte le chiese nel regno, sia cattoliche che ariane.  Questa funzione di protettore della chiesa la dimostrò a pieno nel 498 nello scisma laurenziano.  L’egemonia sui regni germanici  Gli anni di Teoderico furono segnati da una notevole stabilità del potere regio. La rete di legami parentali creata da Teoderico gli consentì di costruirsi negli anni una popolarità politica anche a livello europeo, parallela alla crescente egemonia franca  La lotta per il controllo dei Visigoti del sud della Gallia fu il campo in cui l’opposizione tra ostrogoti e franchi si espresse in modo più chiaro: battaglia di Vouillè nel 507. Dopo la battaglia Teoderico assunse la tutela del nipote Alamarico, che divenne nuovo re dei visigoti perché il padre era stato sconfitto e ucciso nella battaglia da re franco Clodoveo. Grazie a ciò Teoderico si assicurò un controllo indiretto sulla Provenza.  La crisi del regno  La debolezza strutturale del regno ostrogota fu la mancata integrazione tra romani e goti. La principale garanzia di stabilità era costituita dalla collaborazione tra potere regio ed aristocrazia  L’emergere della crisi avvenne nel 518 quando l’imperatore Giustiniano avviò una serie di persecuzioni ai danni degli ariani, a cui Teoderico rispose con analoghe persecuzioni ai cristiani. Ciò portò alla rottura della cooperazione tra i goti e l’aristocrazia senatoria che si stava riavvicinando all’impero.  La morte di Teoderico  Nel 526 Teoderico trasmise i suoi poteri alla figlia Amalasunta, come tutrice del nuovo re Atalarico, che era ancora un bambino. 15 2.6 Visigoti  I Visigoti  L’insediamento dei visigoti è distinguibile in 3 fasi:  Lungo i V secolo si stanziarono tra la penisola iberica e il sud della Gallia  Prima metà del VI secolo, il loro dominio si ridusse a nord dei Pirenei  Seconda metà del VI secolo consolidarono il loro potere nella penisola iberica  Tra la Gallia e la penisola iberica  Il primo insediamento stabile nello spazio politico romano risale al 418, quando si stanziarono come federati attorno a Tolosa. Qui si posero al servizio degli eserciti romani.  I Visigoti seppero acquisire e rielaborare modelli politici di tradizione romana, in un processo reso evidente dalla redazione di leggi scritte.  La sconfitta di Vouillè  Nella battaglia il re franco Clodoveo sconfigge ed uccide il re visigoto Alarico II  Questa battaglia ridusse il dominio visigoto a nord dei Pirenei, e la debolezza del regno lo pose sotto l’egemonia del re ostrogoto Teoderico.  Il regno di Leovigildo  Leovigildo riuscì a mettere sotto il suo controllo l’intera penisola iberica, e pose la città di Toledo come centro di potere  Leovigildo capì l’importanza della religione come base ideologica per l’unità del suo regno. Da un lato promosse così la ricerca di un compromesso teologico tra cristiani ed ariani, dall’altro lato perseguì alcune chiese cattoliche, ma un tentativo di affermazione tra tutti i sudditi del regno dell’arianesimo era impossibile.  Reccaredo, figlio e successore di Leovigildo, promosse una conversione dell’intero popolo al cattolicesimo, e all’inizio del VII secolo l’arianesimo sembrava già cancellato. Toledo divenne la sede di una serie di concili, i quali furono espressione concreta ed evidente dell’accordo strutturale tra regno e vescovi. 16 C.4 I primi regni romano germanici alla fine del V secolo C.5 I regni romano barbarici e l’impero d’oriente a inizio VI secolo 17 CAPITOLO 3 LA SIMBIOSI FRANCA 3.1 Clodoveo  Clodoveo  Punto di partenza del regno franco, ovvero colui che tra il V e il VI secolo affermò il proprio dominio su gran parte della Gallia  Il suo potere non nacque da un’improvvisa invasione della Gallia, ma fu l’esito di una lenta ascesa all’interno di territori in cui i franchi erano stanziati da tempo  Gallia romana: aristocrazia e vescovi  Tra il IV ed il V secolo crescente attenzione delle famiglie senatorie per le cariche ecclesiastiche, e in specifico volontà di occupare le cariche vescovili. Vescovi: detentori di un importante potere nei confronti della comunità  I Franchi e l’impero  Su questa regione (la Gallia) prese il potere nel V secolo il popolo dei Franchi. Nel tardoantico essi non erano un popolo compatto, ma una confederazione di tribù che seguirono diversi processi di avvicinamento alla romanità. Inizialmente erano estranei alle idee di latifondo e di città.  Tra il IV e il V secolo lento processo di romanizzazione che si avviò molto prima della loro conquista del potere nella Gallia. Alcuni gruppi entrarono a far parte dell’esercito romano combattendo contro altre popolazioni barbare in momenti chiave, ss. Ezio Vs Unni. Si affermarono non solo come importante componente dell’esercito, ma come uno dei principali attori politici della regione.  Dal punto di vista religioso, i Franchi non costituivano un insieme compatto. Prevalenza del paganesimo, integrato con elementi di cristianesimo ariano.  Childerico e Clodoveo: il potere sulla Gallia  Childerico I fu la prima figura di riferimento nella transizione dei Franchi, da soldati al servizio di Roma a quella di autonomi attori politici. Childerico combatté sotto il comando di Egidio (figlio di Ezio che aveva combattuto vs gli Unni) i Visigoti, e proprio in questa campagna il re franco seppe costruire un proprio specifico ruolo politico  Clodoveo succeduto al padre, nel 481 attuò un’efficace politica militare che gli permise di affermare il controllo su gran parte della Gallia, segnando la piena affermazione del suo gruppo parentale, i Merovingi.  La conversione  La conversione di Clodoveo e del suo popolo al cristianesimo cattolico, fu un fatto religioso ma con importanti implicazioni politiche  L’impatto della conversione sugli equilibri interni, la si può cogliere seguendo la narrazione di Gregorio di Tours. I 2 elementi chiave del suo racconto sono:  La centralità dei vescovi che trasmisero la religiosità e la cultura cristiana di tradizione romana  Assimilazione di Clodoveo aa Costantino, ovvero il primo imperatore cristiano  Una nuova aristocrazia  L’integrazione tra Franchi e i gallo Romani si sviluppò a livelli più ampi del solo incontro tra regno e vescovi, con l’unione delle due aristocrazie. si fusero lo stile di vita e i modelli di comportamento provenienti dalla tradizione romana e da quella germanica. 20 CAPITOLO 4 LA ROTTURA DEL MEDITERRANEO ROMANO 4.1 Produzione e scambi in Occidente  Produzione e scambi in Occidente  Attraverso le fonti archeologiche è difficile leggere i funzionamenti economici.  Il sistema economico romano subì una grande prima importante trasformazione al termine dell’espansionismo. Dalle conquiste, erano derivati grandi bottini e molti schiavi. Alla fine di questa sua fase espansionistica, Roma si avviò ad una lunga stagione di complessivo equilibrio.  I primi secoli del Medioevo possono essere letti NON come una frattura totale, ma con un mutamento profondo che comportò la rottura dei più grandi circuiti di scambio, e la crisi di molte forme di produzione.  Il mutamento è leggibile attraverso 4 aspetti:  Città  Reti di scambio  La produzione  I contadini 4.2 Città  Città  La crisi riguardò principalmente loro, poiché le élite cittadine erano fiscalmente responsabili di fronte all’impero, e questo ruolo gli offriva grandi possibilità di ascesa politica. Il tramonto del sistema imperiale allontanò le élite dalle città, poiché per esser sempre più ricchi e potenti, contava valorizzare le terre.  La crisi fu anche accompagnata da una drastica riduzione della popolazione. La trasformazione più grande la subì la città di Roma, che arrivò a toccare i 20.000 abitanti.  Nel complessivo quadro europeo e mediterraneo, questa crisi non significò la fine dell’urbanesimo, ma le città cambiarono in maniera vistosa. 4.3 Reti di scambio  Reti di scambio  Pe comprendere i meccanismi della circolazione economica, non è utile tanto soffermarsi sui beni di lusso, ma sui beni di massa e di consumo. Gli ingenti trasferimenti dei beni erano sostenuti da un sistema di infrastrutture collegate tra loro.  La prima grande rottura avvenne con la conquista vandala della Tunisia, nel 439 che ruppe l’asse fiscale tra Roma e Cartagine. Questa rottura ebbe un impatto profondo su tre livelli:  Le reti di scambio  La città di Roma  La produzione Nordafricana 21 4.4 La Produzione  Produzione  Il quadro produttivo delle regioni mediterranee de primi secoli del Medioevo è segnato da una fortissima varietà. Altro dato comune in tutto il Mediterraneo era la struttura produttiva agraria di base, che si concentrava attorno a 3 prodotti fondamentali: grano, olio e vino. Le differenze nascevano da 3 fattori:  La specializzazione produttiva fu un fattore di debolezza in un quadro di maggiore isolamento e ridotta circolazione  Le ricchezze dell’aristocrazia erano profondamente diverse. Questo condizionò la produzione delle singole regioni  I danni conseguenti alle guerre furono diversi da regione a regione.  Nel Mediterraneo orientale si conservò una rete di scambi ampia, fondata sull’azione statale, seguendo il modello romano. In Occidente, sia nell’area mediterranea, sia nelle zone settentrionali questo sistema non si conservò, spostando la circolazione e lo scambio su dimensioni regionali. 4.5 I Contadini  Contadini  La condizione contadina è uno dei dati più sfuggenti in tutte le epoche storiche, ma in particolare in questi secoli. I contadini rappresentavano la stragrande maggioranza della popolazione.  La transazione al medioevo fu segnata da un parziale abbandono delle città ed un aumento della popolazione rurale.  Possiamo dire che l’autonomia contadina è inversamente proporzionale alla ricchezza aristocratica. Le forti concentrazioni di ricchezza fondiaria in mano all’aristocrazia, costringono i contadini a lavorare come servi, salariati o coloni degli aristocratici. 22 CAPITOLO 5 LE AMBIZIONI UNIVERSALI DELL’IMPERO DI GIUSTINIANO 5.1 La nascita di una capitale  La nascita della capitale  La parte orientale dell’impero romano era andata gravitando sempre più attorno a Costantinopoli.  Nel corso del V secolo, Costantinopoli assunse le funzioni di capitale dell’impero, in parallelo al declino di Roma. L’oriente dopo la Battaglia di Adrianopoli nel 378, riuscì a porre un freno efficace alle spinte barbariche, a differenza della parte occidentale.  Lungo il V secolo Costantinopoli si pose così in diretta continuità con l’impero cristiano del secolo precedente. Tre aspetti in particolare possono permetterci di cogliere le forme di questa continuità:  Le successioni al trono  L’organizzazione burocratica  Il sistema fiscale 5.2 Le successioni al trono  Le successioni al trono  La successione imperiale non si era mai fondata su una semplice e diretta eredità. Il modello tradizionale romano attribuiva al consenso del popolo il primo fondamento della legittima successione al trono. Nessuna forma o prassi stabile aveva guidato le successioni imperiali, che nei periodi di maggiore disordine, erano state condizionate da rapporti di forza.  A Costantinopoli non esisteva una dinastia imperiale, e la lotta politica di vertice, si espresse anche nei ripetuti tentativi di occupare il trono. Solo nel X secolo cominciò ad affermarsi un principio dinastico.  Nella stessa capitale esisteva una viva conflittualità politica. La sua espressione più vistosa si vedeva all’interno dell’ippodromo. Qui associazioni con scopo ludico-sportivo potevano divenire vere e proprie strutture di espressione politica. 5.3 Burocrazia ed esercito  Burocrazia ed esercito  La continua instabilità politica era compensata prima di tutto dalla stabilità dell’apparato burocratico. Qui, al contrario dell’Occidente, si conservò in questa fase la separazione tra incarichi militari e civili.  Dal punto di vista amministrativo, lo stato viveva sulla relazione tra la corte imperiale e le province, mentre dal punto di vista militare la grande distinzione era tra gli eserciti limitanei e quelli comitantes.  Continuità fiscale  Questo sistema burocratico fu il principale strumento per gestire il prelievo fiscale, poiché si prelevavano tasse regolari sulle persone e sui loro beni. La tassa fondamentale era l’annona, un’imposizione che integrava un prelievo sulle terre (iugatio) e sulle persone su essa impiegate (capitatio)  Nell’impero per attenuare queste difficoltà amministrative, e soprattutto per rendere stabili le entrate fiscali, si cercò di vincolare le persone alle terre dando vita così alla figura dei coloni, persone giuridicamente libere, ma vincolate alla terra. 25 CAPITOLO 6 DIBATTITI TEOLOGICI E IDENTITA’ LOCALI 6.1 La questione cristologica  La questione cristologica  Il dibattito religioso si era spostato dal piano trinitario a quello cristologico.  La questione ora era la convivenza nella figura di Cristo di una natura divina e di una natura umana. Cristo deve essere pienamente Dio per garantire l’efficacia salvifica dell’incarnazione e della morte, ma al contempo deve essere pienamente uomo per conoscere una piena e reale sofferenza nella carne.  Antiochia , Nestorio e il culto di Maria  Il ruolo di Maria fu al centro del dibattito, fin dalle prime formulazioni, quelle di Nestorio. Egli era un sacerdote cresciuto ad Antiochia, divenuto poi vescovo di Costantinopoli nel 428.  Nestorio sosteneva la presenza di Cristo in due persone distinte, e di conseguenza rifiutava a Maria il titolo di “Madre di Dio” sostituendolo con “Madre di Cristo”. Il Nestorianesimo fu però condannato nel 431 nel concilio di Efeso.  Alessandria: una sola natura  La teologia opposta al Nestorianesimo fu il Monofisismo. In quest’ideologia, l’identità umana e divina si fondono fino a dare vita ad una cosa sola.  Questa posizione venne condannata nel 451 dal concilio di Calcedonia. Dal punto di vista Teologico, il Monofisismo offuscava le due nature, ne cancellava la specificità, mentre l’efficacia salvifica dell’incarnazione deriva, sì dall’unione di umanità e divinità, ma anche dalla conservazione delle due nature pienamente integre.  Il concilio di Calcedonia propose una soluzione di compromesso, il Diofisismo che sosteneva la presenza di due nature distinte ed integre, unite in modo indissolubile nella persona di Cristo. La visione fu sostenuta da Roma, Antiochia e Costantinopoli, ma non da Alessandria. Questa divisione tra le grandi sedi patriarcali portò il concilio a ratificare Costantinopoli come sede patriarcale principale. 6.2 Teologia ed impero  Teologia e impero  I settori della cristianità che giravano attorno ad Alessandria d’Egitto non accettarono Costantinopoli come principale sede patriarcale, e così i monofisiti rimasero superiori nelle chiese del Mediterraneo orientale e meridionale.  Le divisioni teologiche avevano quindi la loro piena autonomia intellettuale, ed esprimevano profonde scelte religiose e culturali. L’impegno imperiale a tutelare l’unità della teologia cristiana proseguì anche nel secolo successivo. Non ha ancora senso ragionare in termini di stato e chiesa, perché il primo compito dell’imperatore era la difesa delle chiese, e quindi obbedire o no ai decreti conciliari significava aderire o no al sistema imperiale  Giustiniano e la condanna dei tre capitoli  Giustiniano con la condanna dei “tre capitoli” tentò consapevolmente di avvicinare i monofisiti d’Egitto, ma il progetto fallì. Anche se il vescovo di Roma aderì all’orientamento imperiale, altre importanti regioni ecclesiastiche diedero vita ad no scisma, sanato solo nel secolo successivo. 26  Anche il tentativo di dell’imperatore Eraclio (640- 641) nel tentativo di realizzare un’unità teologica attraverso il Monotelismo, ovvero che in Cristo fossero presenti 2 Nature, unite però da un’unica attività fallì, ed il Monotelismo venne condannato dal concilio di Costantinopoli nel 681.  Il Diofisismo era ormai dominante nell’impero e in occidente. Le posizioni diverse (Nestorianesimo e Monofisismo) erano vive in regioni ormai sfuggite al controllo imperiale. C.7 La diffusione del Cristianesimo 27 Parte II : Il sistema di dominazione alto medievale CAPITOLO 7 NOBILI, CHIESE E RE: RICCHEZZA E POTERI 7.1 Nobili e Re  Nobili e Re  I regni alto medievali sono un equilibrio tra la capacità regia di coordinamento, e l’azione politica autonoma dell’aristocrazia.  Il re e molto più povero rispetto agli imperatori romani.  La funzione del re resta sempre quella di guida / capo militare.  La forza dei re Visigoti e le lotte per il Trono (non quello di spade)  All’inizio del VII secolo il regno Visigoto appare in piena fase di consolidamento. Completa la conquista della penisola iberica e la conversione al cattolicesimo.  Nel 654 avviene la redazione di leggi scritte, da parte del re Recesvinto.  Il modello efficace all’epoca era l’impero Cristiano, fondato sulla cooperazione tra sovrano e vescovi, e nello specifico caso Visigoto, ciò trovò espressione nei concili di Toledo. I concili erano sia assemblee ecclesiastiche, sia organi di governo. I vescovi erano in simbiosi con il re.  La centralizzazione del potere non comportò un pieno controllo dell’aristocrazia, poiché numerosi sono i conflitti, i colpi di stato e le disposizioni dei re.  Il regno visigoto alla fine del VII secolo era probabilmente la struttura politica più forte e coesa dell’Occidente europeo, ma questo consolidamento regio lascia spazio ad un imperfetto controllo militare del territorio. All’inizio del VII secolo la conquista islamica della penisola Iberica fu semplice e rapida, ponendo fine alla storia visigota.  La frammentazione dell’Irlanda  Le isole britanniche nel VII secolo restarono invece caratterizzate da un alta frammentazione politica  In Irlanda la conversione al Cristianesimo aveva posto al centro i monasteri. Non cambiò però la struttura politica dell’isola divisa in una moltitudine di regni.  La Britannia  Si ha la stessa pluralità di regni come in Irlanda, ma qui si assiste ad una più chiara tendenza alla gerarchizzazione.  Lo specifico rapporto tra i diversi regni in Britannia ci è molto sfuggente, a causa delle fonti.  Pur nell’elusività delle fonti alcune cose le possiamo dire:  Esisteva una pluralità di regni a diversi livelli di importanza  Alcuni di questi appaiono più definiti e stabili, come Mercia e Northumbria.  Tra il VII e l’VIII secolo si affermò un’egemonia del regno di Mercia sui regni meridionali (tranne la Northumbria). Superiorità consolidata nell’VIII secolo sotto il re Offa.  Il contenuto effettivo di questa egemonia è assai difficile da definire.  La frammentazione politica dell’Inghilterra è quindi una dato di lungo periodo. Solo nel IX secolo potremmo constatare l’esistenza di un regno inglese unitario. 30 C.9 Il regno dei Franchi alla morte di Carlo Martello (741) 7.3 Terre e Uomini  Un popolamento per villaggi  Le gerarchie sociali altomedievali erano costruite in larga parte sulla base della ricchezza fondiaria: essere ricco significava avere molte terre.  Il territorio era dominato dai boschi, al cui interno si aprivano le radure che accoglievano i villaggi e i terreni coltivati.  La forma più diffusa di insediamento era appunto il villaggio, un insieme di abitazioni, unito dall’integrazione tra case e terre.  Le forme di produzione agraria  La divisione tra campi e pascoli era un’alternanza d’uso delle stesse terre. Il modo più efficiente per concimare la terra era infatti un sistema di rotazione biennale; 31  Data la diversa specializzazione delle terre (orti, campi, prati) e questa alternanza di usi, è naturale che la terra di una singola famiglia contadina non fosse concentrata in un singolo settore del territorio del villaggio, ma fosse frammentata e dispersa, a coprire le diverse esigenze economiche della famiglia. Il modello prevalente era fatto di case inserite in villaggi, a cui facevano capo una pluralità di pezze di terra, disperse nel territorio circostante.  L’importanza dell’incolto  All’esterno dei campi e dei prati, si trovavano grandi distese boschive e incolte: è però importante sottolineare che “incolto” non significa affatto “improduttivo”.  Nel bosco la società traeva molte risorse: si prendeva la legna, si raccoglievano frutti più o meno spontanei, si allevavano gli animali, si cacciava e pescava. Beni comuni che erano invece nelle mani di singole famiglie contadine.  Distinzione tra due termini apparentemente sinonimi:  Nemus, il bosco, uno spazio non coltivato ma antropizzato, ovvero vissuto, curato e sfruttato dalle comunità contadine;  Silva, la foresta, i boschi lontani e inaccessibili, estranei allo spazio antropizzato e usati in modo più sporadico da aristocratici e re per la caccia.  Dal punto di vista alimentare, la distinzione tra colto e incolto era la distinzione tra carboidrati (i cereali) e proteine (ottenute grazie a caccia e allevamento).  I villaggi altomedievali furono un contesto di integrazione di diversi sistemi produttivi e alimentari, l’espressione concreta della fusione latino-germanica.  La Curtis  Tra il VII e VIII secolo si andò elaborando una peculiare forma di gestione delle grandi proprietà fondiarie, la cosiddetta curtis, un insieme di campi, prati, case e diritti dispersi in molti villaggi diversi, inframmezzati alle terre di altri grandi e piccoli proprietari.  Curtis e villaggio erano due strutture completamente diverse:  la prima era una forma di gestione delle ricchezze fondiarie di un grande proprietario;  il secondo era una struttura insediativa, di cooperazione contadina e di organizzazione dello spazio agrario.  La principale articolazione della curtis ovvero la divisione tra dominicum e massaricium.  Il dominicum era la parte gestita direttamente dal proprietario (o signore, dominus).  il massaricium era invece la parte suddivisa in terre date in concessione a contadini liberi.  Il massaro aveva nei confronti del proprietario un insieme di obblighi che comprendeva talvolta un censo in denaro, spesso una quota di prodotti e sempre una serie di corvées, ovvero giornate di lavoro che il massaro doveva compiere sul dominicum.  Le corvées garantivano infatti al proprietario l’afflusso sul dominicum di una manodopera abbondante negli specifici momenti dell’anno in cui era necessaria, lasciando invece alla più ridotta manodopera servile la gestione delle terre nei periodi meno intensi. 32 7.4 Reti di scambio  Un’immagine di autosufficienza  È importante capire come si sia formata l’idea della curtis come sistema chiuso e autosufficiente, che a lungo è stata dominante nella medievistica.  Il punto di partenza è costituito da alcune leggi emanate in piena età carolingia, e in particolare il Capitulare de villis, ovvero la “Legge sulle curtes”. In questa norma, emanata da Carlo Magno, si prevede che ogni curtis abbai al proprio interno ogni tipo di attrezzo e di artigiano, si elenca in modo minuzioso una grande varietà di prodotti agrari e di oggetti che dovranno essere raccolti all’interno dell’azienda. Tutto ciò offre senza alcun dubbio un’immagine di autosufficienza economica. Il re non descrive come funzionano le curtes, ma come dovrebbero funzionare le curtes regie.  I re, le chiese e i nobili franchi erano ricchi e potenti, e questa loro potenza era costituita in modo rilevante dalla loro ricchezza fondiaria, che si traduceva in una forte capacità di pressione sulle risorse e sui contadini. Le curtes erano strumento fondamentale per gestire questa ricchezza.  La forza dell’aristocrazia infatti si fondava e si esprimeva prima di tutto nella sua ricchezza fondiaria, e consentiva all’aristocrazia di imporre forti richieste di censi e lavoro, da tutto ciò derivava la creazione di un significativo surplus nelle mani di nobili e chiese, che potevano sfruttarlo per via commerciale.  Le città erano centri demici a maggiore concentrazione, con la massima quantità di popolazione non contadina, che quindi cercava costantemente un regolare afflusso di derrate dalle campagne  Mercati locali  Non è strano che le curtes divenissero quindi esse stesse centri di mercato: lo scambio commerciale di prodotti agrari era fortemente condizionato dai grandi proprietari fondiari, in grado di portare sul mercato grandi quantità di prodotti e quindi di determinare di fatto i prezzi.  Proprio la capacità commerciale dei grandi proprietari fondiari poteva rendere per loro più interessante prelevare censi in natura piuttosto che in denaro: accumulando i prodotti del dominicum e del massaricium, potevano rappresentare una forza commerciale notevole, in grado di condizionare il mercato locale, e quindi nel complesso guadagnare somme maggiori di quelle che avrebbero potuto trarre dai censi in denaro pagati dai contadini.  Il punto di partenza è costituito da alcune leggi emanate in piena età carolingia, e in particolare il Capitulare de villis, ovvero la “Legge sulle curtes”. In questa norma, emanata da Carlo Magno, si prevede che ogni curtis abbai al proprio interno ogni tipo di attrezzo e di artigiano, si elenca in modo minuzioso una grande varietà di prodotti agrari e di oggetti che dovranno essere raccolti all’interno dell’azienda. Tutto ciò offre senza alcun dubbio un’immagine di autosufficienza economica. Il re non descrive come funzionano le curtes, ma come dovrebbero funzionare le curtes regie.  La moneta  Questa circolazione commerciale dei beni prodotti nelle curtes deve essere inserita in un più ampio contesto di scambi e di circolazione monetaria. La coniazione monetaria romana andò semplificandosi drasticamente lungo il VI secolo: l’unica moneta che veniva effettivamente coniata era il denarius.  Non ci troviamo di fronte a una moneta di uso corrente, per i minuti scambi quotidiani,; è piuttosto una moneta destinata al commercio e agli acquisti di terra. Molte azioni economiche quotidiane passavano piuttosto attraverso scambi di oggetti e servizi.  Gli Emporia  Questo scambio commerciale diede vita a un peculiare e nuovo sviluppo insediativo, gli emporia, ovvero centri abitati con finalità commerciali, creati attorno ai porti e segnati da un rapido sviluppo demografico 35  Nel giro di poche generazioni la convivenza negli stessi luoghi, i matrimoni misti e l’assimilazione degli stili di vita tolsero rilievo alla distinzione etnica, lasciando un peso sempre maggiore alle differenze politiche, alla dipendenza dal re longobardo o dall’imperatore.  La religione  La religiosità longobarda al momento della discesa in Italia comprendeva credenze pagane tradizionali e Cristianesimo ariano. La loro conversione solo parziale al Cristianesimo, nella versione ariana, è una manifestazione della loro romanizza-zione debole  La fede ariana divenne un perno attorno a cui i Longobardi poterono consolidare una propria identità etnica distinta dai Romani: la presenza all’interno delle città di vescovi e sacerdoti ariani, al fianco di quelli cattolici, contribuì a delineare due comunità affiancate.  La fluidità di questa identità longobardo-ariana emerge con particolare chiarezza nell’età di Teodolinda. Lei era cattolica, il re Agilulfo restò ariano, ma acconsentì al battesimo cattolico del figlio Adaloaldo e appoggiò l’opera missionaria del monaco irlandese Colombano e la sua fondazione dell’importante abbazia di Bobbio. Fu una conversione lenta, che prese piede in modo contrastato alla corte regia: solo nei primi decenni del secolo VIII quello longobardo fu un regno pienamente cattolico.  Questa convivenza di due fedi e questa tendenza alla conversione dei Longobardi al Cattolicesimo ridussero rapidamente le potenzialità dell’Arianesimo come fattore di consolidamento dell’identità longobarda. In Italia non si realizzò infatti quel processo di simbiosi tra il regno e i vescovi dei regni franco e visigoto.  L’ostilità papale e l’Italia imperiale  L’identità ariana e la lenta e contrastata conversione al Cattolicesimo contribuirono anche all’ostilità che oppose, in modo discontinuo, il regno al vescovo di Roma. Questa ostilità ebbe un’origine politico-territoriale, in quella frammentazione del territorio italiano per cui le dominazioni longobarda e imperiale erano profondamente intrecciate.  L’Italia era periferica rispetto all’Impero, ma al suo ritorno alcuni luoghi avevano un’importanza speciale. Roma era anche l’unica sede patriarcale d’Occidente. Poi Ravenna fu scelta come residenza dell’esarca e contese a Roma il ruolo di centro dell’Italia imperiale.  Le potenzialità politico-territoriali del papato si leggono bene seguendo l’azione di papa Gregorio Magno. Altissimo livello culturale, la su capacità di muoversi sul piano politico e amministrativo, nel contesto di una dominazione longobarda già consolidata.  In questi anni abbiamo le ultime attestazioni della carica di praefectus Urbis (il funzionario imperiale incaricato di governare da Roma gran parte dell’Italia), carica ricoperta dallo stesso Gregorio prima di divenire vescovo di Roma. A questi stessi anni risale l’ultima riunione del Senato romano, ormai privo di funzioni reali.  Gregorio Magno e i suoi successori si proposero qui come vertici politici dell’Italia centrale, a sostituire un potere imperiale lontano e spesso assente. Le ambizioni papali al dominio sull’Italia furono quindi fondamentali nel determinare la persistente tensione e l’ostilità nei confronti del dominio longobardo.  Anche la Sicilia era un’area di particolare rilievo: l’espansione araba sottrasse al controllo imperiale sia l’Egitto sia la provincia della Proconsularis ovvero i due grandi granai dell’Impero. Così tale funzione fu attribuita sempre di più alla Sicilia, che assunse quindi un grande rilievo fiscale ed economico nel contesto imperiale. La capacità di intervento imperiale in Italia era discontinua, e in alcuni momenti fu particolarmente debole, come quando l’impero dovette affrontare le pressioni militari di Arabi. 36 8.3 Crescita e fine del regno  L’editto di Rotari  Una delle principali fonti scritte per lo studio di questa età è rappresentata dalle leggi promulgate dai re longobardi a partire dall’editto di Rotari (emanato nel 643). Una fonte preziosa che ci permette di cogliere molti funzionamenti interni ala società longobarda, le sue stratificazioni, i funzionamenti politici e giudiziari, le condizioni personali e familiari, ma prima di tutto il fatto stesso di scrivere le leggi è una grande azione di rilievo.  La redazione dell’editto va posta nel contesto del regno di Rotari (636-652), che da un lato estese il dominio longobardo verso alcune aree rimaste fino ad allora in mano imperiale (la Liguria, parte del Veneto), e dall’altro avviò la trasformazione delle strutture interne al regno, con un progressivo indebolimento del potere ducale e una nuova capacità di governo da parte del re, ponendo quest’ultimo come figura centrale.  Rotari pone subito al centro la propria persona, datando le leggi prima di tutto secondo gli anni del suo regno e quelli della sua vita. La legge non viene trascritta, ma promulgata, e il suo scopo è integrare le norme ed eliminare quelle superflue.  Si introduce il tema della memoria ma dei predecessori di Rotari: sia i sedici re che lo hanno preceduto, sia i suoi antenati, per undici generazioni. L’editto pone così in piena evidenza l’inviolabilità del re; e al contempo individua nella volontà regia ciò che distingue la violenza lecita da quella illecita.  Le sue leggi sono una fonte particolarmente preziosa per leggere le condizioni dell’Italia longobarda a metà del VII secolo. Era una società impoverita, in larga parte rurale, in cui il principale e pressoché unico fondamento della ricchezza era costituito dalla terra, mentre nelle leggi sono del tutto marginali i dati relativi alle città.  Il dato davvero rilevante è che l’attività legislativa divenne un’azione normale dei re, l’espressione di una loro prerogativa riconosciuta. La serie delle leggi costituisce quindi l’espressione chiara del rafforzamento del potere regio.  L’espansione del regno  Abbiamo visto due assi fondamentali dell’azione di Rotari, ovvero l’ampliamento territoriale del regno e soprattutto la scrittura dell’editto: l’avvio di un processo di rafforzamento del potere regio, all’interno e verso l’esterno, un processo che continuò nella seconda metà del secolo VII e lungo il secolo seguente.  L’espansione territoriale avviata da Rotari fu proseguita da Grimoaldo (662-671). La crescita militare longobarda e la declinante capacità di intervento dell’Impero lasciarono spazio a un quadro politico italiano polarizzato attorno a due protagonisti: il regno longobardo e il papato.  Se il titolo regio restò sempre elettivo, uno degli elementi che permettevano il considerare un candidato idoneo, oltre alle sue capacità militari e al suo seguito armato, era costituito dal suo sangue, dalla sua discendenza.  Liutprando  La seconda metà del VII secolo evidenzia una tendenza al rafforzamento del potere regio, sia sul piano militare e territoriale, sia sul piano politico nel confronto con gli altri poteri attivi all’interno del regno. Questa tendenza si accentuò in modo significativo sotto il regno di Liutprando (714-744).  Liutprando non arrivò mai a dominare l’Italia intera, ma questa fu una possibilità reale e concreta, di cui tutto i protagonisti ebbero chiara coscienza. 37  Liutprando fu colui che intervenne in modo più ampio, con più di 150 articoli di legge, emanati fin dal primo anno di regno per poi proseguire fino al 735. Ciò che vediamo emergere è una chiara ideologia cattolica del regno, impegnato a estirpare usanze di matrice pagana e a proteggere le chiese.  Tuttavia questo non permise al regno longobardo di costruire un rapporto di forte e stabile collaborazione con i vescovi. La mancata collaborazione dei vescovi privò il regno di un sostegno materiale, politico e culturale.  Di particolare rilievo è l’istituzione dei gastaldi, funzionari incaricati di gestire il patrimonio regio: il re poté infatti disporre di una rete di funzionari dispersi nel regno che andarono a costituire un concreto e capillare contrappeso al potere dei duchi, un canale di efficace comunicazione politica re il re e i sudditi. Gastaldi e gasindii andarono a costituire a diverso titolo una rete di fedeltà raccolta attorno ai re, divennero rappresentanti del re, un compito che i duchi non assunsero mai.  Attorno alla metà del secolo VIII il regno longobardo si era quindi consolidato al proprio interno. Al contempo si era ormai completato il lungo processo di integrazione tra Romani e Longobardi, a costituire un popolo al cui interno non era più possibile alcuna distinzione etnica; segno evidente di questa integrazione è, nelle leggi emanate da re Astolfo nel 750, la normativa sugli obblighi militari, senza alcun riferimento a una distinzione etnica.  La caduta del regno  Negli anni centrali dell’VIII secolo l’equilibrio politico tra Franchi, Longobardi e papato si ruppe definitivamente: la tensione e la ricorrente conflittualità tra Roma e i Longobardi arrivò una rottura insanabile, e questo orientamento papale si saldò con la potenza crescente del regno franco.  I papi nei re franchi videro dei validi protettori della Chiesa romana, a sostituire un Impero ormai incapace di intervenire efficacemente in Italia, e a contrapporsi a un regno longobardo le cui ambizioni sull’Italia centrale erano evidenti.  L’alleanza tra il papato e i Carolingi si concretò in due spedizioni:  nel 751 Pipino il Breve scese in Italia, sconfisse il re Astolfo, tolse ai Longobardi la regione di Ravenna, ma la diede alla Chiesa di Roma.  Vent’anni dopo il figlio, Carlo Magno, sconfisse di nuovo i Longobardi, questa volta in modo definitivo: deposto il re Desiderio, si impossessò del regno annettendo l’Italia centro settentrionale al dominio franco. Carlo si intitolò rex Francorum et Langobardorum. 40  La sottomissione al dominio franco non cancellò del tutto l’identità politico-territoriale dell’Italia longobarda, perché lo stesso Carlo operò per conservarne alcuni elementi:  si intitolò rex Francorum et Langobardorum (“re dei Franchi e dei Longobardi”);  conservò la capitale a Pavia;  assimilò progressivamente l’aristocrazia longobarda dall’interno del proprio apparato di governo.  L’espansione verso la penisola iberica fu modesta: una serie di brevi conflitti portarono alla costituzione della cosiddetta marca Hispanica, la fascia territoriale immediatamente a sud dei Pirenei.  Fu invece di grande rilievo l’azione verso le terre poste a oriente, e in particolare in Sassonia, ovvero la Germania settentrionale. I Sassoni erano pagani e nel 772, Carlo fece distruggere l’Irminsul, un idolo di grande importanza per la religiosità sassone. Lo scopo di Carlo era piuttosto la sottomissione e l’assimilazione dei Sassoni, e in questo contesto la dimensione religiosa era una delle componenti di una identità di popolo che si voleva cancellare. Il processo di assimilazione si espresse anche nella fondazione di una serie di diocesi in ambito germanico, destinate a funzionare su un piano di complessivo inquadramento delle popolazioni sottomesse.  L’influenza carolingia oltre i confini  Il confine della dominazione carolingia non corrispondeva ai limiti della sua influenza, che si estendeva ben al di là dell’area di effettivo controllo politico. In Spagna e in Austria le marche erano luoghi di difesa e di scambio nei confronti delle popolazioni poste all’esterno dell’Impero. Dinamiche simili si istituirono più a nord, nel confronto con i Danesi, le cui continue incursioni indussero Carlo alla costruzione di una grande opera fortificatoria, un lungo terrapieno noto come Danewirke, la cui efficacia militare creò un quadro di sicurezza in cui poterono crescere gli scambi, nel contesto del complessivo sviluppo commerciale nel mare del Nord.  Fu particolarmente significativo l’influsso dei modelli politici: il re Offa di Mercia, adottando linguaggi e modelli politici di evidente imitazione franca, ma è anche la dimostrazione evidente dell’influenza carolingia ben oltre gli effettivi confini politici.  Il titolo imperiale  La linea di azione papale negli anni a cavallo tra VIII e IX secolo fu volta da un lato al consolidamento di un’egemonia sull’Italia centrale, e dall’altro alla definizione di un rapporto stabile di cooperazione con il regno franco. In questo quadro va posta l’incoronazione di Carlo, il giorno di Natale del ‘800: papa Leone III; Leone incoronò Carlo imperatore.  Il titolo imperiale fu al contempo direttamente funzionale alle esigenze del potere papale. Il primo significato, dal punto di vista papale, del titolo imperiale: associare Carlo alla memoria di Costantino, il primo imperatore cristiano, la cui funzione principale era appunto vista nella protezione della Chiesa di Roma.  La tensione con Bisanzio  Quando Leone incoronò Carlo imperatore, un Impero già esisteva, a Bisanzio, e questo comportò ovvie tensioni ideologiche: il titolo imperiale era per definizione universale e quindi sul piano concettuale non appariva lecito affermare l’esistenza di due imperatori; peraltro, il titolo imperiale di Carlo non era una generica celebrazione del suo potere, ma un richiamo molto specifico a Costantino e all’Impero romano, ovvero a quella struttura politica rispetto a cui l’Impero di Bisanzio si poneva in piena continuità. L’incoronazione fu un atto di concorrenza e di ostilità. 41 C. 11 L’impero di Carlo Magno 9.2 Conti, vassalli e liberi  Il governo dell’impero  L’efficacia del potere carolingio si fondava sul coordinamento dell’aristocrazia laica e delle chiese.  Per quanto riguarda l’aristocrazia laica, la funzione chiave era quella dei conti, funzionari incaricati di governare a nome del re un territorio comitato, al cui interno assolvevano di fatto tutte le funzioni spettanti al re: guida militare, giustizia, prelievo. Conti e marchesi, figure chiave dell’apparato carolingio, erano sempre esponenti di grandi gruppi parentali aristocratici.  Ma la forza dell’Impero si espresse nella capacità di separare efficacemente la loro potenza personale da quella esercitata a nome dell’imperatore. Le funzioni comitali divennero via via più stabili, fino a trasformarsi in concessioni vitalizie e d ereditarie. 42  I missi regi  I legami tra l’imperatore e le realtà locali erano garantiti anche da altri funzionari, i cosiddetti missi regis, gli inviati del re. I missi come gli occhi, le orecchie e la voce dell’imperatore, funzionari in grado di garantire il collegamento tra centro e periferia affiancando, controllando o sostituendo i conti.  L’apparato di governo era fatto di fedeli del re, di aristocratici direttamente e strettamente a lui legati. Queste forme di fedeltà assunsero una forma più definita viene definito il rapporto di vassallatico.  Il vassallaggio  Durante il regno di Pipino, si constata sia la su diffusione, sia una nuova accezione del termine: il vassallo era un uomo che giurava fedeltà militare a un potente, impegnandosi quindi a servirlo e in specifico a combattere per lui, ottenendone in cambio protezione e un sostegno economico (spesso nelle forme della concessione di una terra, detta in genere beneficium).  I vassalli regi furono l’ambito di normale reclutamento dei conti e dei marchesi: i conti erano reclutati tra quelli di cui il re poteva fidarsi, ovvero prima di tutto i suoi vassalli. Il legame tra il re e i suoi funzionari era rafforzato dal vincolo personale che li univa; e al contempo la funzione come conti o marchesi era uno sviluppo del rapporto di solidarietà e aiuto reciproco che univa il vassallo al proprio signore.  I rapporti vassallatici e l’apparato funzionariale devono essere considerati anche come parte del meccanismo redistributivo tramite il quale i Carolingi concedevano ai propri seguaci ricchezze e risorse politiche. 9.3 Le chiese carolinge  Re e vescovi e monasteri  I chierici non potevano giurare e non potevano combattere né portare armi: quindi il legame tra il re e i vescovi del suo regno non assunse ma le forme del vassallaggio. Né i vescovi divennero conti: le funzioni di governo territoriale dell’Impero carolingio furono sempre affidate a laici (prima di tutto per il loro fondamentale carattere militare).  La cooperazione vescovile alla politica carolingia usava strumenti peculiari del clero, come la capacità di orientare le anime dei fedeli verso l’ubbidienza al re; ma erano in gioco anche le risorse delle chiese vescovili, le loro ricchezze e le loro clientele vassallatiche.  I monasteri erano luoghi fondamentali per l’elaborazione culturale; erano poi grandi punti di concentrazione di ricchezze, che potevano quindi fornire un aiuto importante al potere regio. Tutti questi aspetti devono essere tenuti presenti per comprendere l’impegno regio nel tutelare i centri monastici, che culminò nella riforma promossa da Ludovico il Pio chje impose la Regola di Benedetto come unico testo normativo di riferimento.  Ciò è una testimonianza del fatto che per questi secoli sarebbe impossibile ragionare nei termini di un rapporto tra Chiesa e Stato come due enti separati  È importante comprendere bene il significato e le implicazioni di una concessione ben attestata già nella tarda età merovingia e poi in modo crescente sotto i Carolingi, ovvero l’immunità. I diplomi di immunità concessi di norma a chiese vietavano a qualunque funzionario regio di entrare negli edifici e sulle terre del beneficiario per riscuotere tasse o per amministrare la giustizia.  Per quanto riguarda la giustizia, era prassi che la chiesa immunitaria consegnasse al conte gli uomini che dovevano essere giudicati, mentre dal punto di vista fiscale si trattava senza dubbio di un’ampia esenzione. 45 CAPITOLO 10 IL MEDITERRANEO BIZANTINO ED ISLAMICO 10.1 Le origini dell’Islam  nomadi e città  La penisola araba nel tardo antico era strutturata attorno alla convivenza di due grandi gruppi:  da un lato le popolazioni urbane di città come La Mecca e Yathrib (la futura Medina), attive sul piano commerciale;  dall’altro lato tribù nomadi di pastori, che rifiutavano sia la vita urbana, sia le forme di più ampio coordinamento politico.  Centralità della Mecca per le sue funzioni commerciali, ma anche per il prestigio connesso al culto della Ka’ba, una pietra nera di origine meteorica, meta di pellegrinaggi.  La predicazione di Muhammad (Maometto)  Muhammad: nato alla Mecca attorno al 570 da una famiglia mercantile, iniziò la sua opera religiosa nel 612, quando alcune visioni lo convinsero di essere un inviato di Dio, incaricato di declamare la parola divina, che invitava a una fede rigidamente monoteista, organizzata attorno ad alcuni precetti fondamentali.  Proprio dall’idea di declamazione (qara’a) deriva da al Qur’an, ovvero il Corano, è direttamente parola di Dio, di cui Muhammad fu solo portavoce.  La predicazione di Muhammad costituiva però una minaccia per il potere dei grandi clan della Mecca, che trovavano un elemento di forza e ricchezza nei pellegrinaggi alla Ka’ba, sostenuti da un forte sincretismo religioso di stampo decisamente politeistico.  L’isolamento politico di Muhammad lo convinse nel 622 a fuggire a Yathrib. La fuga del Profeta (l’Egira) è considerata un momento fondativo, tanto da segnare l’inizio del calendario islamico.  Il monoteismo salvifico proposto dalla predicazione del Profeta divenne il collante per un efficace coordinamento politico-militare, e questa convergenza delle tribù beduine garantì a Muhammad una forza tale da consentirgli nel 630 di rientrare alla Mecca.  L’espansione militare  Alla morte di Muhammad, nel 632, la religione islamica aveva assunto un ruolo guida alla Mecca nell’intera penisola arabica: un potente fattore di coesione ideologica che permise di dar unità politica a forze prima disperse e su questa base avviare un’azione militare che nel giro di pochi decenni sottomise agli Arabi.  L’attacco diretto alla capitale imperiale Costantinopoli, tra 674 e 678, non ebbe esito, ma nel giro di pochi decenni le armate arabe ebbero la possibilità di compiere una rapida espansione a comprendere tutto il Nordafrica romano, fino a conquistare, nei primi anni dell’VIII secolo, la Spagna visigota.  L’espansione si arrestò nel 717-718, negli stessi anni seppero affermare il dominio islamico in Oriente, fino all’Uzbekistan e alla valle dell’Indo.  Le lotte per la successione e gli Omayyadi  L’azione politico-militare dei califfi fu però segnata, da fatture legate alla successione a Muhammad. Si contrapposero tre posizioni: 46  i sunniti, che si rifacevano alla sunna, la tradizione, e ritenevano che il califfo dovesse esser eletto sulla base del consenso degli anziani, all’interno della tribù di Muhammad;  gli sciiti, seguaci di Alì (cugino e genero di Muhammad), che davano la massima importanza al carisma familiare e ritenevano quindi che il califfo dovesse essere scelto all’interno della famiglia del Profeta;  i kharigiti ritenevano che il califfo dovesse essere scelto per merito, indipendentemente dalla su appartenenza tribale o familiare.  La rottura si realizzò nel 661 con l’uccisione di Alì, quarto califfo: nella maggioranza del mondo islamico prevalse l’orientamento sunnita e la funzione califfale fu assunta dalla dinastia degli Omayyadi, un importante clan della Mecca, della tribù quraishita. In opposizione al dominio sunnita degli Omayyadi, in alcuni settori del mondo islamico si conservò una tradizione culturale-religiosa che si richiamava ad Alì e al nucleo familiare di Muhammad, ritenuto detentore di uno speciale carisma ereditario. Qui ebbe origine l’opposizione tuttora viva tra Sunniti e Sciiti.  Gli Omayyadi posero fine al califfato elettivo e conservarono il potere fino al 750. Il califfato aveva una doppia natura:  da un lato un carattere etnico, come dominio degli Arabi su altre popolazioni;  dall’altro un carattere religioso, come affermazione dei musulmani sui non credenti.  All’interno del dominio islamico, esistevano quindi due contrapposizioni, due diseguaglianze:  una regolata ed esplicita, tra islamici e non islamici;  l’altra, meno esplicita ma di grande incidenza, tra gli Arabi e gli islamici di origine non araba.  La prima distinzione non si tradusse in forme di persecuzione, dato che fu ampia la tolleranza verso altre fedi: i sudditi del califfo furono posti in una condizione giuridica inferiore, con l’obbligo di pagare una tassa specifica.  Gli Omayyadi posero il proprio centro a Damasco, in Siria, e questo portò a una marginalità politica della penisola arabica, riducendo La Mecca e Medina a centri di rilievo esclusivamente religioso. Inoltre il Corano fu oggetto di una profonda opera di interpretazione e commento, che costituì la base di riferimento per l’Islam dei secoli successivi.  Nel complesso, possiamo dire che il secolo omayyade fu segnato dal lento processo di affermazione del carattere universale dell’Islam e di superamento della sovrapposizione tra identità religiosa islamica e l’ascesa al potere, nell’VIII secolo, gli Abbasidi e con lo spostamento del centro califfale a Baghdad. C. 13 L’espansione musulmana dal 661 all’847 47 10.2 Bisanzio, crisi e riorganizzazione di un impero  La riduzione ad orizzonti regionali  L’espansione dell’Islam sottrasse all’Impero ampi territori del Mediterraneo orientale e meridionale, riducendolo a una potenza di rilievo regionale, priva del sostegno economico delle ricche produzioni del Nordafrica;  l’affermarsi in Europa del dominio carolingio si pose in diretta concorrenza sul piano ideologico, con l’attribuzione a Carlo Magno del titolo imperiale, richiamo sia alla tradizione romana sia alla capacità di proteggere la Chiesa di Roma.  È probabilmente a partire da questa fase che possiamo parlare di Impero “bizantino”: il richiamo alla romanità fu un dato costante di tutta la storia dell’impero, fino alla sua caduta nel 1453, ma i mutamenti tra VII e VIII secolo tolsero all’Impero una prospettiva universale, trasformandolo in modo definitivo in un’importante dominazione regionale, fortemente polarizzata sull’Egeo e attorno alla capitale, per la quale appare quindi adatta la definizione di Impero “bizantino”.  La crisi dopo Giustiniano e l’ordinamento tematico  Per comprendere i mutamenti di questa fase, dobbiamo risalire alla fine del VI secolo, quando andò rapidamente declinando il grande progetto giustinianeo;  il lungo impegno militare aveva svuotato le casse imperiali e aveva portato a una condizione di continua irrequietezza di settori dell’esercito che faticavano a ricevere gli stipendi;  infine le tensioni religiose avevano reso difficili i rapporti sia con la cristianità occidentale sia con le regioni che avevano conservato posizioni monofisite condannate dai concili del V e del VI secolo.  L’impero bizantino aveva conservato alcune scelte fondamentali dell’età romana, in particolare  da un lato la netta separazione tra potere amministrativo e potere militare  dall’altro un esercito stipendiato grazie alle tasse prelevate soprattutto nelle grandi province cerealicole.  La riduzione territoriale e la costante pressione militar suggerirono agli imperatori di attuare in specifiche regioni una forte concentrazione di truppe e di attribuire pieni poteri amministrativi ai comandanti militari.  Si abbandonò il complesso sistema provinciale organizzato da Costantino, in favore di un’organizzazione per temi: la parola Thema (pl.thémata), che in origine si riferiva a un corpo militare, passò a indicare una struttura istituzionale, il complessivo inquadramento di una piccola regione. Al suo interno, la difesa fu affidata a militari di professione, il cui mantenimento era garantito dalla concessione di terre e di esenzioni fiscali.  L’iconoclasmo  Un nuovo momento di rottura nella storia bizantina fu rappresentato dal movimento iconoclasta e dalla sua affermazione alla corte imperiale.  L’iconoclasmo fu un orientamento religioso che riteneva necessaria, per un culto più puro, la distruzione delle immagini religiose.  L’editto con cui nel 730 l’imperatore Leone III vietò la venerazione delle immagini era necessariamente destinato a creare gravi conflitti, all’interno e all’esterno dell’Impero:  all’interno, perché il culto delle immagini aveva un ruolo di grande rilievo per la religiosità di monaci e laici; 50 CAPITOLO 11 SOCIETA’ E POTERI NEL X SECOLO 11.1 I mutamenti dei poteri comitali  Un nuovo equilibrio tra re e aristocrazia  A partire dalla metà del IX secolo le divisioni dell’impero tra diversi esponenti della dinastia carolingia indussero una profonda trasformazione nei rapporti tra i re e la grande aristocrazia.  Era un rapporto fondato sullo scambio tra servizi e redistribuzione: i servizi che i grandi garantivano al re, e la redistribuzione di ricchezze (benefici feudali, funzioni prestigiose, cariche ecclesiastiche ecc.) che il re operava in favore degli aristocratici.  Nella seconda metà del IX secolo questo equilibrio mutò perché si ridusse in modo sensibile la capacità redistributiva dei re:  le grandi espansioni territoriali di Carlo Magno erano da tempo terminate, i re non potevano più disporre di un continuo afflusso di nuove terre, popoli da governare, bottino, prigionieri, ovvero di tutte quelle risorse che Carlo aveva potuto concedere ai propri seguaci per consolidarne la fedeltà.  Al contempo, proprio le divisioni e i ricorrenti conflitti facevano sì che gli eredi di Carlo avessero un continuo bisogno dell’appoggio militare aristocratico. I re avevano un gran bisogno del loro aiuto e avevano meno risorse con cui ricompensarlo, per cui furono più disposti (o costretti) a cedere alle loro richieste, e ciò che più di tutto i funzionari chiedevano era la stabilità, la possibilità di conservare a lungo la propria funzione e di trasmetterla ai propri figli.  In piena età carolingia, appariva chiaro che essere vassallo del re era cosa ben diversa da essere un suo funzionario. Ma non così nei decenni successivi: la carica di conte era si un servizio in favore del re, ma era anche un’opportunità, una risorsa politica ed economica; e dall’altro lato che i re, più deboli dei loro predecessori, non avevano un pieno controllo della rete funzionariale e si appoggiavano soprattutto sui legami personali, sulle clientele vassallatiche.  Il capitolare Quierzy-sur-Oise  Il capitolare Quierzy-sur-Oise dell’877, è una legge ingiustamente famosa perché di fatto Carlo il Calvo non deliberò nulla di rivoluzionario, ma per noi resta sicuramente importante, perché dal testo della norma possiamo cogliere quale fosse la prassi politica diffusa.  Ciò che Carlo definì in queste norme era solamente una procedura straordinaria per gestire i comitati nel caso in cui il conte morisse mentre il figlio era impegnato in spedizione con l’imperatore.  Al contempo è importante notare un passaggio in cui Carlo aggiunge che: conti e vassalli non erano la stessa cosa, si conservava con piena chiarezza la distinzione dei due piani.  Nel corso degli anni e delle generazioni, la famiglia comitale acquisiva terre, fondava chiese e stringeva legami matrimoniali all’interno del distretto che governava, e così la funzione comitale e la potenza dinastica si fusero.  Nel momento in cui il conte era anche un grande proprietario all’interno del comitato, le diverse aree del distretto non erano per lui tutte uguali: era più attento e più presente nelle aree in cui disponeva di terre, chiese, castelli e vassalli, ed era assai più distaccato dalle zone in cui analogie concentrazioni patrimoniali erano nelle mani di altre dinastie e chiese. 51  In alcuni casi questo “astensionismo” dei conti da alcuni settori del comitato aveva un validissimo motivo giuridico, quando riguardava le terre delle chiese immunitarie: i diplomi di immunità imponevano infatti agli ufficiali regi di non entrare nelle terre delle chiese e suggeriva al conte una politica astensionista, un allontanamento da queste aree per concentrarsi sulle zone in cui il suo intervento era più facile e più promettente, quelle aree in cui il potere derivante dalla funzione comitale era sostenuto dalla ricchezza personale del conte. 11.2 Minacce esterne: le incursioni di Saraceni, Ungari e Normanni  Mobilità militare  La crisi del potere carolingio alla fine del IX secolo fu prima di tutto una crisi della capacità imperiale di controllare militarmente i territori, e lasciò quindi campo aperto a iniziative non di ampi eserciti impegnati in conquiste territoriali, ma di piccole bande che compivano incursioni più o meno rapide, con intenti di saccheggio.  Queste bande, per quanto agissero in modo autonomo e disordinato, possono essere ricondotte a tre identità etniche fondamentali:  i Normanni, provenienti dalla Scandinavia;  gli Ungari, insediati nelle steppe dell’attuale Ungheria;  i Saraceni, bande di pirati attivi in diversi punti del Mediterraneo.  I Saraceni  I Saraceni rappresentano sicuramente il gruppo dai contorni definiti e sfuggenti.  Di fronte a gruppi etnicamente misti, impegnati in attività di saccheggio via mare, con incursioni attestate a partire dagli anni ’60 del IX secolo, ma alla fine del secolo compirono un salto di qualità importante, con la costituzione di basi permanenti sulle soste settentrionali del Mediterraneo, tra cui la più nota era Fraxinetum, nella baia di Saint-Tropez.  Gli Ungari  Tra la metà del IX secolo e la metà del X si sono contate una trentina di pesanti incursioni di cavalieri ungari tra la Germania e l’Italia settentrionale.  La conflittualità interna ai regni di Germania e d’Italia fu quindi una grande opportunità per gli Ungari: non solo permise loro di saccheggiare chiese e città mal difese, ma offrì anche la possibilità di combattere, ben ricompensati, per i potenti locali.  I Normanni (Vichinghi)  Su spazi radicalmente diversi si mossero i Normanni.  Lo sviluppo degli scambi nel mare del Nord aveva stimolato la mobilità dei popoli scandinavi, in operazioni commerciali e di pirateria, due livelli che spesso si confondevano: chi voleva commerciare viaggiava armato perché doveva difendersi, ma queste armi potevano diventare strumento di saccheggio se si arrivava in porti e luoghi poco o per nulla difesi.  A est prevalse la dimensione commerciale: le navi consentirono un commercio in profondità ai Vareghi che seppero però trasformare la propria azione economica in stanziamento stabile, con la creazione di emporia, insediamenti fortificati destinati a funzionare prima di tutto come luoghi di scambio. 52  In Occidente, l’azione militare dei Normanni può essere scandita in tre fasi:  dai primi decenni del IX secolo attuarono piccole incursioni di rapina sulle coste dell’Inghilterra e della Frisia;  dai decenni centrali del secolo le incursioni crebbero di scala, con flotte di decine di navi che permettevano di risalire i fiumi e attaccare città come Londra (851) e Parigi (885);  alla fine del secolo IX le incursioni si trasformarono in insediamenti stabili, all’interno dei regni inglesi della Mercia e dell’East Anglia e nel nord del regno franco, attorno alla foce della Senna. Quest’ultimo insediamento fu infine riconosciuto e legittimato dal re Carlo il Semplice, che nel 911 investì di questa regione il capo normanno Rollone, dando vita al ducato di Normandia.  I Normanni si convertono al Cristianesimo e il ducato divenne in tutto e per tutto analogo ai grandi principati territoriali che si spartivano il territorio francese e si coordinavano attorno al re. Il ducato di Normandia divenne anzi un elemento di stabilità militare, perché la sua forza costituì un freno a ulteriori incursioni da parte di altri gruppi.  Conseguenze di lungo periodo  Tra queste tre minacce armate che colpirono l’Europa occidentale tra IX e X secolo, i Normanni furono quindi i soli a trasformare la propria azione militare in stanziamento permanente e in dominio politico: i passaggi di queste bande armate lasciarono un chiaro segno sul piano culturale e dell’immaginario, e la paura delle incursioni divenne un dato dominante per molti decenni.  Le incursioni stimolarono l’azione militare locale e quindi la costruzione dei primi castelli, ma questa azione e questa costruzione andarono ben al di là della necessaria risposta alla minaccia saracena o normanna;  dopo la fine delle incursioni, chiese e signori continuarono a innalzare fortificazioni, destinate a difendere non dalle minacce esterne, ma piuttosto dall’azione militare degli agli signori. C. 15 Le ultime invasioni dell’Europa nel IX secolo 55  La Germania  L’ultimo re carolingio a controllare il regno dei Franchi orientali fu Ludovico il Fanciullo, che morì nel 911, lasciando aperto o spazio politico per l’affermazione di re nuovi, che non ereditarono la corona dai propri antenati.  Tutta la storia di questo regno dal X secolo in avanti può essere letta nell’ottica della convivenza tra potere principesco e potere regio, e quindi tra principio elettivo e principio dinastico.  Nel 911, alla morte di Ludovico, fu scelto come re uno dei grandi duchi, Corrado di Franconia, ma il suo regno fu costantemente minacciato. Principale avversario di Corrado fu Enrico di Sassonia, con cui il re giunse a un accordo fondato sulla reciproca fedeltà e sulla non ingerenza del re nei domini del duca sassone. Nel 919 alla morte di Corrado l’aristocrazia tedesca scelse il duca di Sassoni come nuovo re.  Il dominio dei re sassoni ampliò rapidamente i propri orizzonti: l’ampliamento più rilevante fu sicuramente la conquista del regno d’Italia, attuata dal figlio, Ottone I, a partire dal 951. L’azione di Ottone si situò in un contesto particolarmente complesso:  da un lato le divisioni interne all’aristocrazia italica, tra chi sosteneva Berengario e chi si richiamava alla potente regina Adelaide, vedova di Lotario;  dall’altro la posizione di Berengario, che negli anni precedenti si era posto sotto la protezione di Ottone;  infine i conflitti tra lo stesso Ottone e il figlio primogenito Liutdolfo, che ambiva ad affermare il proprio potere personale sull’Italia.  Le tensioni tra ottone e il figlio si trasformarono i in un vero e proprio conflitto. Il quadro politico italiano fu quindi temporaneamente pacificato con il riconoscimento di Berengario II e del figlio Adalberto come re sottoposti a Ottone, che assunse il controllo diretto del nord-est della penisola. Ottone si concentrò poi nel conflitto politico-militare contro il figlio, che si risolse a suo favore solo nel 954, con un atto di sottomissione da parte di Liutdolfo.  La pacificazione interna al regno e l’accresciuto controllo sull’aristocrazia furono le premesse per la grande vittoria del Lechfeld del 955, con cui Ottone mise fine alla minaccia delle incursioni ungare e affermò con evidenza la sua condizione di massimo potere politico-militare dell’Europa di tradizione carolingia.  Nel 961 Ottone poté scendere di nuovo in Italia e ottenere a Roma la corona imperiale che poteva pretendere proprio in quanto detentore del regno d’Italia e quindi effettivo protettore della Chiesa di Roma. (Germania  Sacro romano impero)  Il re di Germania, veniva eletto dai prìncipi tedeschi, doveva poi scendere in Italia per prendere possesso di questo regno e infine recarsi a Roma per ottenere dal papa la corona imperiale. A partire da Ottone si affermò una vera e propria dinastia regia.  Se quindi si ripropose una continuità familiare, come in età carolingia, dobbiamo notare due differenze importanti:  prima di tutto la successione al trono avveniva sì all’interno della dinastia, ma sempre con il consenso dei grandi del regno, attraverso una forma di elezione;  inoltre, rispetto al secolo precedente, fu più chiara un’idea di linea dinastica, di successione a vantaggio esclusivo del primogenito, tale da escludere dal trono gli altri figli del re.  Ottone III pose al centro della propria ideologia la nozione di Renovatio Imperii Romanorum (il Rinnovamento dell’Impero romano): il linguaggio e il cerimoniale imperiale si arricchirono di elementi tratti sia dalla tradizione occidentale, sia da quella bizantina al fine di esprimere un’idea imperiale alta, modellata in riferimento non solo all’età carolingia, ma soprattutto a quella romana. 56  Nel 996 lo raggiunse la notizia della morte di papa Giovanni XV; Ottone impose come papa un proprio cugino, Bruno di Worms, che divenne Gregorio V e pochi mesi dopo incoronò Ottone imperatore.  I Romani si ribellarono duramente all’elezione di Gregorio, tanto che dovette intervenire militarmente lo stesso ottone, nel 998, per sconfiggere i ribelli, deporre il nuovo papa da loro eletto e reinsediare Gregorio.  L’anno successivo, alla morte di Gregorio, Ottone impose come papa Gerbert d’Aurillac, uno dei più grandi intellettuali di quei decenni che assunse il nome di Silvestro II. Le nomine di Gregorio e di Silvestro indicarono anche una possibile evoluzione del papato: pontefici di alto livello intellettuale, svincolati che avrebbero potuto consentire una crescita del papato d a tutti i punti di vista, sia sul piano ecclesiastico, sia su quello culturale, sia infine nel suo ruolo negli equilibri politici europei.  Nel 1002 la morte precoce di Ottone III aprì una breve crisi dinastica, che in Germania si risolse rapidamente all’interno dello stesso gruppo parentale, con l’ascesa al trono del cugino Enrico II.  Poche settimane dopo la morte di Ottone, un gruppo di grandi aristocratici dell’Italia settentrionale si radunò a Pavia per incoronare re d’Italia Arduino, marchese di Ivrea. Dopo una breve resistenza, fu sconfitto da Enrico nel 1004 lasciando il regno nelle mani del re sassone. La sua elezione rese visibile una tensione sotterranea, ovvero una ricorrente volontà dell’aristocrazia italica di imporre le proprie decisioni nella nomina del re. C.17 Il Sacro romano impero germanico nei secoli X-XI secoli XI-XII 57  La Francia  Anche in Francia il declino della dinastia carolingia aprì il campo a nuove dinamiche nella lotta per il regno e nell’888 che lasciò spazio al primo re estraneo al gruppo parentale carolingio: prese infatti il potere il conte Oddone di Parigi, si trattò dell’inizio di un’instabilità politica che segnò successivi decenni.  Un primo elemento peculiare della Francia fu la sopravvivenza politica dei Carolingi: alcuni settori dell’aristocrazia scelsero infatti di appoggiare Carlo il Semplice, che fu incoronato a Reims nell’893 e si contrappose a Oddone, la cui morte, nell’898, rese Carlo unico e indiscusso re di Francia.  La sua debolezza divenne palese ed estrema nel 922, quando i grandi del regno decisero che non era in grado di regnare e lo deposero.  Come negli altri regni, in questi decenni i grandi prìncipi di Francia, liberi dal peso condizionante del carisma regio carolingio, cercarono di affermare il proprio potere di scegliere il nuovo re; ma al contempo nessuno poteva ignorare la presenza forte e ingombrante di quella che si stava affermando come la principale dinastia principesca, ovvero i Robertini.  Il processo che in questi decenni segnò i meccanismi politici del regno di Francia fu la costruzione dell’egemonia dei Robertini, che culminò nel 987 con l’ascesa al trono del nipote di Ugo il Grande, Ugo Capeto, da cui prese il via la dinastia capetingia, che conservò la corona di Francia fino al 1328.  Il 987 è tradizionalmente considerata una data chiave della storia francese, momento fondativo della monarchia nazionale. 11.4 Ai margini del mondo carolingio  Principati territoriali  I processi di costruzione del potere regio si realizzarono anche in aree poste al di fuori degli antichi confini dell’Impero, e in particolare in Inghilterra e in Spagna.  Knut e l’unificazione dell’Inghilterra  La tradizione politica inglese lungo l’alto medioevo vedeva un’alta frammentazione politica.  Il secolo IX può essere letto alla luce di due processi:  da un lato la progressiva crescita delle incursioni normanne,  dall’altro lato una crescente egemonia del Wessex, regno posto nella parte sudoccidentale dell’Inghilterra, che riuscì a lungo a conservarsi autonomo dall’espansione normanna.  Il culmine di questo potenziamento fu il regno di Alfredo il Grande che sottomise la Mercia e arrivò a controllare tutti i regni inglesi non compresi nella dominazione normanna. Alla morte di Alfredo salì al trono il figlio Edoardo che dovette rifondare il proprio dominio e riaffermare nel 911 il controllo sulla Mercia.  Fu solo all’inizio del secolo XI che si costituì infine un regno inglese unitario: fu il re norvegese Knut che nel 1016 arrivò ad affermare il proprio controllo sul Wessex e quindi su tutti i principali regni inglesi. Knut controllava al contempo i regni di Danimarca e Norvegia.  Guglielmo il conquistatore  Alla morte di re Edoardo, nel 1066, la corona poté essere contesa da diversi personaggi:  la rivendicarono il duca del Wessex Harold Godwinson  il re di Norvegia Harald  il duca di Normandia Guglielmo. 60  I monaci di Cluny ottennero il pieno diritto di scegliere al proprio interno i nuovi abati. Al contempo l’abbazia fu svincolata anche dal controllo del vescovo di Macon, nella cui diocesi era collocata: la protezione e benedizione del monastero erano affidate direttamente al vescovo di Roma.  Pur muovendosi all’interno della regola benedettina, i Cluniacensi ne diedero infatti un’interpretazione specifica propria, che pose al centro la dimensione della liturgia e della preghiera:  un ulteriore ampliamento del tempo dedicato alla preghiera  un’accresciuta solennità dei momenti liturgici  una specifica attenzione alle preghiere per l’anima dei defunti.  Cluny fu quindi l’espressione di un monachesimo dalla disciplina e dalla spiritualità rigorose, un modello di vita religiosa che garantiva ai propri benefattori le efficaci preghiere di uomini santi.  Già il secondo abate, Oddone fu incaricato di riformare la vita monastica in abbazie antiche e prestigiose, in declino dal punto di vista della spiritualità e della disciplina.  Possiamo cogliere gli inizi di quello che diventerà il connotato più specifico e innovativo del monachesimo cluniacense, ovvero la costituzione di una rete di monasteri coordinati dall’abbazia borgognona: una congregazione, un insieme di enti religiosi che riconoscevano tutti la propria guida nell’abate Cluny. In questi nuovi enti monastici l’abate non c’era, perché l’unico abate era quello di Cluny.  Il punto di massimo trionfo di Cluny fu raggiunto negli ultimi anni del secolo XI: emblematica, nel 1088 l’elezione al pontifico di Oddone, priore di Cluny, che assunse il nome di Urbano II. A lui infatti si deve, nel 1095, la proclamazione della prima crociata.  Monaci ed eremiti  Il secolo XI fu segnato dall’emergere di altre spinte riformatrici del monachesimo, basate su orientamenti diversi, con una più netta ispirazione eremitica.  Esperienze in cui la volontà eremitica si risolveva in una dimensione comunitaria, in gruppi che si separavano in modo netto dal mondo. Il cenobitismo tradizionale veniva percepito come troppo morbido e troppo legato al mondo, e si operavano quindi scelte radicali di isolamento, povertà e penitenza. Il grande successo di queste esperienze ci segnala l’avvio di un lento cambiamento nella coscienza religiosa, con i primi segni di una sensibilità che separava religiosità monastica e potere.  I poteri dei vescovi  Mutò profondamente anche il ruolo dei vescovi nei rapporti con le comunità cittadine e in generale con la società e i poteri circostanti. Si affermò il loro pieno controllo politico e sociale sulle città, fondato sui profondi legami tra vescovo e società cittadina, sul progressivo allontanamento dalle città dei funzionari regi ma anche su specifiche concessioni regie. Nella concreta dinamica politica affidare ampi poteri ai vescovi permetteva ai re un efficace controllo della società locale.  I vescovi erano uno strumento di potere efficace prima di tutto grazie ai loro profondi legami con la città e i suoi ceti eminenti. Questi gruppi familiari fungevano quindi da raccordo tra vescovo e società e da guide della comunità cittadina, soprattutto sul piano militare.  L’età ottoniana fu un periodo di intensa e continuativa azione imperiale sull’Italia e sulle sue chiese. 61 Parte III : Poteri locali e poteri regi tra XI e XIII secolo CAPITOLO 12 LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO DELLE POPOLAZIONI TRA XI E XIII SECOLO 12.1 Per una riforma della chiesa: vescovi, imperatori e papi nella prima metà dell’XI secolo  Per una riforma della chiesa: vescovi, imperatori e papi nella prima metà dell’XI secolo  I vescovi del secolo XI si impegnarono in una serie di “recuperi” delle sostanze e dei diritti dati in beneficio sui quali si era perso il controllo, o che semplicemente erano stati usurpati dai laici nel corso del secolo precedente.  Gli esperimenti di vita comune del clero e una maggiore attenzione alla difesa del patrimonio delle chiese cattedrali contribuirono così a ricostruire un apparato istituzionale delle chiese locali, in grado di esercitare una vera funzione pastorale, che vedeva i vescovi porsi come guide della società.  Enrico III e i papi tedeschi  Enrico III (1017-1056), incoronato imperatore nel 1039 Si pose come garante di un processo di riforma della Chiesa in generale, estendendo questa azione di controllo anche al papato di Roma, allora in balia delle famiglie romane in lotta fra loro.  Quando Enrico III scese in Italia, a Roma erano stati eletti ben tre papi nello stesso momento. A Sutri 1046 fece deporre i tre papi romani e impose come candidato il vescovo di Bamberga, eletto papa con il nome di Clemente II.  A Clemente II succedette Damasco II. Seguì un altro vescovo della cerchia imperiale; lo scelse come papa e lo inviò a Roma dove fu consacrato come Leone IX.  Tutti personaggi impegnati a diffondere, come vescovi e come pontefici, una profonda riforma del clero, impostata soprattutto sulla lotta alla simonia e al concubinato del clero (anche “nicolaismo”).  La simonia era un peccato grave e sacrilego che riguardava la vendita o l’alienazione di cose sacre, dai beni delle chiese alle stesse cariche ecclesiastiche. Esisteva però anche un dato politico più terreno. La vendita delle cariche, espressione forse troppo negativa, si riferiva in realtà a una pratica assai diffusa tra le élite politiche dell’Occidente cristiano: donare beni o denaro alle autorità laiche o ecclesiastiche nel momento in cui si riceveva una carica importante. L’episcopato era una di queste.  Un secondo campo di tensione si creò intorno al celibato del clero. Per buona parte dell’alto medioevo, gli esponenti del clero potevano, avere una moglie. Ancora più diffuso era il concubinato, vale a dire la semplice convivenza con una donna al di fuori del matrimonio. Questa prassi fu presa di mira e severamente censurata dal partito imperiale e riformatore.  Contro queste pratiche furono tutte condannate, dal concilio di Pavia del 1046 in avanti.  Il ruolo dei laici e la contestazione del clero: la Pataria  Le tensioni fortissime che interessavano le istituzioni ecclesiastiche in quei decenni centrali del secolo XI non riguardavano solo il vertice del papato, ma anche la base dei fedeli, chiamati spesso in causa dalle frequenti lotte fra vescovi di opposti schieramenti.  Milano in particolare, fu sede di un conflitto assai aspro tra i riformatori, chiamati patarini, e l’alto clero locale. 62  Un chierico del clero minore, Arialdo, riuscì a trascinare una parte dei fedeli in una sollevazione violenta contro i preti giudicati indegni. La predicazione di Arialdo non si limitava a denunciare i costumi corrotti del clero milanese, ma sosteneva anche la nullità dei sacramenti impartiti dai preti indegni, invitando i fedeli a disertare le loro chiese.  Il radicalismo dei riformatori si dimostrò eccessivo sul piano politico e pericoloso su quello teologico. Gradualmente, venne meno anche l’appoggio della Chiesa di Roma. In particolare la negazione del valore dei sacramenti impartiti dai preti indegni era una posizione dottrinalmente ambigua, perché implicava una svalutazione della natura divina dei sacramenti che potevano essere “macchiati” dalla persona fisica del prete. Una visione così terrena del sacro non era accettabile e fu condannata come eresia pochi anni dopo.  La conclusione ingloriosa del movimento patarino mostra bene la natura contraddittoria della riforma:  da un lato le spinte verso una religiosità più vicina al messaggio evangelico trovavano un appoggio genuino presso i fedeli laici che richiedevano un clero più puro;  dall’altro questi interventi dei laici erano sempre più spesso respinti dalle istituzioni ecclesiastiche come indebite intrusioni nei dogmi della fede e come minaccia all’autonomia del clero. La Chiesa, come istituzione, doveva essere superiore e indipendente rispetto ai comportamenti dei suoi ministri.  Il papato riformatore sotto la protezione imperiale affrontò anche altri nodi dell’istituzione ecclesiastica, a partire dal ruolo del papato stesso. Il primato di Roma infatti andava rafforzato sia verso l’esterno, sia verso l’interno:  Verso l’esterno una polemica contro il patriarca di Costantinopoli generò uno scisma definitivo, che separa ancora oggi la Chiesa d’Oriente, definita come ortodossa, da quella cattolica latina.  Verso l’interno, invece, il papato doveva essere protetto dai suoi stessi pretendenti, soprattutto nel momento, contestatissimo, delle elezioni.  Lo scisma della Chiesa orientale del 1054  La questione dell’unità della Chiesa si pose intorno al 1053, in occasione di una nuova diatriba che si era aperta con il patriarca di Costantinopoli.  Per il papa le altre chiese erano ridotte a “serve” di Roma, mentre Bisanzio ammetteva come proprio capo solo Gesù e non Pietro. La rottura fu un atto importante nell’autorappresentazione del papato: non solo fornì argomenti a favore alla tesi dell’unicità della Chiesa di Roma come guida della cristianità, ma rafforzò anche la convinzione, non da tutti accettata, che solo il vescovo di Roma, vale a dire il papa, fosse depositario dell’eredità di Pietro.  Le nuove regole dell’elezione papale sotto Niccolò II  Qualche anno dopo lo scisma, si aprì la questione dell’elezione del papa.  Ildebrando di Soana nominato da Leone IX , aveva acquisito sufficiente autorità in seno alla curia romana da imporre come papa il vescovo di Firenze. Gerardo, che fu eletto a Siena sotto il nome di Niccolò II.  Il nuovo papa presentò nel concilio di Roma del 1059 un diverso sistema di elezione del papa, che limitava il diritto di voto solo ai cardinali-vescovi. Fu in questo contesto che si svolse il pontificato di Ildebrando di Soana, salito al trono papale sotto il nome di Gregorio VII. 65  Quando il reato era noto e “le voci non si potevano più dissimulare senza scandalo né tollerare senza pericolo”, l’ecclesiastico doveva essere processato e punito, di qualunque grado egli fosse.  Con la procedura inquisitoria si potevano controllare ormai tutti i gradi della gerarchia, anche i vescovi, se trovati in difetto.  Assetti istituzionali  In questi anni finali del secolo XII si modificò anche la titolatura del papa, che era sempre stato vicario di San Pietro. Gradualmente si iniziò a usare un titolo più ambizioso, “vicario di Cristo”, dove la diretta rappresentanza del divino qualificava in senso sacro la figura del papa.  Intorno al papa si formò un “sacro collegio” formato dai cardinali. Gli affari di governo venivano invece affidati alla curia e la Camera apostolica gestiva le finanze della Chiesa di Roma.  Parallelamente si definirono meglio sul piano giuridico e istituzionale le presenze ecclesiastiche locali. Sia il clero urbano sia le diversissime esperienze religiose monastiche andavano definite e sottoposte a una regola comune.  Il controllo del clero locale  Nelle città episcopali si cercò di ristabilire una disciplina della vita del clero. I canonici, vale a dire i chierici adibiti al servizio della cattedrale, furono nuovamente chiamati negli anni della riforma a condurre una vita di penitenza, di rinunce e di castità.  Nelle varie diocesi europee si iniziò così la costruzione di nuovi edifici collettivi per ospitare il clero cittadino, chiamate “canoniche”. Intorno alle cattedrali si costituisco i “capitoli” formati dai canonici del vescovo. Il capitolo cattedrale acquisì presto una personalità giuridica autonoma, con propri beni immobili e una “mensa” (dotazioni economiche) separata da quella del vescovo.  I capitoli costituirono un centro importante di concentrazione del potere politico: erano articolati in uffici diversi, fortemente gerarchizzati al loro interno, avevano un proprio tribunale e si ponevano alla guida della vita religiosa cittadina.  Nuovi monachesimi: cistercensi e certosini  Fra XI e XII secolo videro la luce nuovi movimenti di ispirazione monastica, come i cistercensi e i certosini.  I cistercensi presero il nome dal luogo della prima congregazione, nata a Citeaux, in Borgogna, in latino Cistercium. Il monastero di Citeaux era stato fondato da Roberto abate di Molesme, un monastero che Roberto, insieme ad altri 21 monaci, aveva lasciato nel 1098 per formare una nuova congregazione dove osservare la regola di san Benedetto in maniera più rigorosa.  Nel 1108 fu eletto abate Stefano Harding che rimase in carica fino all113. Nel suo lungo abbaziato i cistercensi assunsero una struttura più stabile.  Nel 1119, Stefano Harding scrisse la carta di carità, una regola dell’ordine, con il moltiplicarsi delle abbazie “figlie” si dovette imporre un coordinamento più stretto. Nati per abitare luoghi deserti, lontani dagli uomini e dalle tentazioni e per lavorare la terra, i cistercensi divennero in breve tempo degli esperti colonizzatori e dei grandissimi proprietari terrieri, grazie alle ingenti donazioni ricevute dai laici devoti, da vescovi e da semplici fedeli.  L’ordine cistercense, grazie alla sua influenza o forse per evoluzione “naturale”, produsse uomini di potere come vescovi e papi, promosse crociate e fu impegnato in lunghe e sanguinose campagne di repressione dell’eresia nel sud della Francia. Divenne insomma un braccio politico della Chiesa di Roma, un ordine potente che lottava per il potere della Chiesa. 66  Anche i certosini nati nel 1084 su iniziativa di Bruno di Colonia, maestro della scuola cattedrale di Reims, cercavano l’isolamento e il ritiro del mondo. Realizzarono con maggiore rigore e coerenza una comunità ascetica di preghiera, inseguendo l’ideale del “deserto”: un luogo fisico senza uomini e senza contatti, isolato ma soprattutto impervio e irraggiungibile, dove la solitudine era la vera e unica dimensione di vita del monaco.  I certosini elaborarono un modello misto tra l’eremitismo dei padri del V secolo e la vita in comune del modello cenobitico.  I monaci non dovevano “lenire le pene degli altri, ma elevare la propria anima”. Anche per i certosini, tuttavia, si pose il problema della forma di vita regolare.  Solo nel 1127 Guigo I, priore della Chartreuse, mise insieme una raccolta di Consuetudini, riprese da regole monastiche antiche e aggiornate secondo le esigenze dell’ordine. Dal 1154 le decisioni dei capitoli generali costituirono parte integrante della legislazione dell’ordine e tutti i priori dei monasteri certosini dovevano fare voto di obbedienza al priore generale.  L’inserimento dei certosini nei contesti locali fu comunque segnato da conflitti violenti e prolungati, soprattutto per la particolare interpretazione del concetto di “deserto”. I monaci delimitavano questo spazio ideale con confini concreti, inglobando possessi di altri soggetti, signori o contadini che fossero. 12.4 L’inquadramento religioso dei laici  Chierici e laici: la mente e il corpo  Nella complessa costruzione dottrinale e giuridica della Chiesa dei secoli XI e XII, ai laici spettava un ruolo tutto sommato passivo, di fedele obbediente, consapevole della propria debolezza carnale e della necessaria sottomissione alla guida dei chierici.  La parola latina laicus indicava la parte della popolazione non consacrata da Dio.  Veniva ribadito in più parti del Decreto che nessun laico poteva accusare un chierico o anche solo testimoniare contro di lui in un tribunale. La lettura pubblica delle Sacre Scritture divenne un ministero propriamente sacerdotale. In base a questo potere spirituale, gli uomini di Chiesa avevano il potere e il dovere di inquadrare il popolo dei laici e di condurlo alla salvezza.  Sacramenti e la vita dei fedeli  Il battesimo dei bambini si affermò come necessario rito di entrata del fedele nella comunità di appartenenza.  L’eucarestia acquistò una nuova centralità, divenendo il perno della liturgia della messa. La dottrina ufficiale sostenne che attraverso il miracolo eucaristico, Dio trasforma l’ostia nel vero corpo di Cristo e il vino nel vero sangue.  Nei decenni centrali del secolo XII, si delineò anche una dimensione più costrittiva e individuale della penitenza, il dolore interiore per un peccato commesso, che doveva essere riconosciuto come tale dal fedele e “confessato” al prete. Solo dopo la confessione e l’assolvimento della pena inflitta dal sacerdote, il peccatore poteva ritornare nel gregge dei fedeli.  Il matrimonio, riconosciuto come sacramento proprio negli anni della riforma, sottopose a un controllo assai stretto la vita sociale dei fedeli.  La morte, fu interpretata come una soglia di entrata in una nuova vita ultraterrena che continuava e prolungava la vita dell’anima. Con l’invenzione del purgatorio si aprì infatti un canale diretto di comunicazione fra i vivi e i morti: non solo le preghiere per i morti aiutavano a mantenere il ricordo delle 67 persone scomparse, ma ora potevano anche abbreviare le pene, lenire i dolori e accumulare un capitale di meriti che aiutava l’anima del defunto a superare gli ostacoli delle pene temporanee del regno di mezzo.  Le eresie dell’XI secolo  La nascita delle eresie segnò un punto importante della costruzione della Chiesa come istituzione.  Le eresie erano idee, dottrine e comportamenti che, in modi diversi, negavano le basi di questa missione divina della Chiesa.  Già nei decenni centrali del secolo XI comparvero una serie di movimenti religiosi di ispirazione pauperistica, che contestavano le strutture ecclesiastiche in nome di un ritorno allo spirito e alla lettera del vangelo. Questi movimenti attaccavano la Chiesa in quanto istituzione, la sua funzione di dispensatrice del potere di salvare gli uomini, non la dottrina cristiana in sé.  Eretici divennero, in sostanza, tutti quelli che rifiutavano la mediazione della Chiesa, rivendicando un rapporto diretto con Dio e con lo Spirito Santo.  L’esperienza di Valdo  Furono colpite anche persone che nulla avevano di eterodosso se non la pretesa di predicare il vangelo, come avvenne per Valdo e i suoi seguaci.  Valdo aveva fondato una comunità di ispirazione pauperistica, dove predicava e leggeva il vangelo tradotto in volgare.  Nel concilio Laterano III del 1179, Alessandro III approvò il suo voto di povertà assoluta, ma gli impose di non predicare il vangelo. Valdo rifiutò di obbedire e per questo fu scomunicato come eretico nel 1184. Si trattava ormai di una “eresia dell’obbedienza”, dove il vero reato consisteva, appunto, nel disobbedire a un ordine di Roma.  Il catarismo  Diverso si presenta invece il caso delle sette dualiste conosciute sotto il nome di catari. A queste sette si attribuiva una dottrina apertamente non cristiana: un dualismo di fondo, che riconosceva due princìpi, il bene e il male come coesistenti e in conflitto continuo tra loro. Il dualismo cataro intendeva la vita terrena come una forma di purificazione continua dalla materialità del corpo fino all’autoconsunzione e al suicido assistito.  La diffusione del credo cataro sembra sia stata particolarmente intensa nei ceti urbani, tra artigiani e lavoratori che contestavano apertamente la Chiesa cattolica.  La repressione  La repressione fu violenta e colpì migliaia di persone classificate come eretiche.  La legislazione antiereticale fu gradualmente inasprita, con la messa in opera di un sistema di controllo e di punizione che coinvolse direttamente i laici.  In prima battuta si colpirono tutte le eresie, qualunque nome avessero assunto, senza grandi distinzioni. In secondo luogo il vero reato degli eretici è la presunzione di predicare dopo una proibizione. L’eresia è in primo luogo disobbedienza.  Contro queste persone non erano necessarie prove certe: un semplice sospetto era sufficiente a portarle davanti al vescovo per discolparsi pubblicamente.  Pochi anni dopo, in un’altra bolla papale, la Vergentis in senium del 1199, l’eresia fu equiparata a un reato di lesa maestà, punito con la morte. L’eresia segnò dunque la linea di confine fra il gregge dei fedeli e i “lupi” rapaci che li minacciavano dall’esterno, o peggio, mascherati da agnelli (falsi monaci e falsi uomini pii) li ingannavano con false credenze. 70  Le altre crociate  Dopo la caduta di Edessa nel 1144, Luigi VII di Francia organizzò la seconda spedizione, con la benedizione del papa (Eugenio III). Senza uno scopo preciso, a metà tra pellegrinaggio ramato e tentativi di conquista, questa spedizione finì in un nulla di fatto.  Peggio ancora andò la terza crociata, successiva alla dura sconfitta inflitta ai latini ad Hattin nel 1187 da Saladino, esponente sunnita. La vittoria di Hattin gli aprì le porte della Palestina, con la conquista di Gerusalemme e degli Stati cristiani della costa. La caduta della città santa spinse i re a organizzare una terza spedizione. E’ importante la presa in carico della guerra da parte dei re, più per gli effetti interni che per le conseguenze militari.  L’imperatore Federico I morì attraversando un fiume; un’epidemia decimò i crociati davanti ad Antiochia; i re di Francia abbandonò la spedizione mentre gli altri capi dovettero venire a patti con il Saladino, che concesse generosamente il permesso di venire in pellegrinaggio a Gerusalemme a ai mercanti italiani di commerciare con gli Stati della costa. C.19 Gli stati Crociati 71  Al seguito dei crociati: la nascita degli ordini militari  Nel corso delle crociate, in armonia con il processo di espansione “armata” della cristianità, presero vita alcuni ordini monastici di natura militare.  Creazione originale del primo secolo XII, che univa la preghiera e la vita monastica con una difesa attiva della fedi. Furono gli ospedalieri di San Giovanni, nati intorno all’ospedale di San Giovanni per assistere i pellegrini del santo sepolcro, e riconosciuti dal papa nel 1112 come ordine religioso.  Nel corso del XII secolo l’ordine iniziò ad accogliere anche dei cavalieri da impiegare in campagne militari contro i musulmani.  I templari, fondati in Terrasanta nel 1119, ebbero invece una connotazione più decisamente militare già nella fase iniziale. Otto cavalieri giurarono davanti al patriarca di Gerusalemme di difendere i cammini per la Terrasanta e di osservare il voto di castità, povertà e obbedienza, vale a dire i voti monastici, ma continuando ad esercitare l’arte della guerra.  L’ordine ebbe uno straordinario successo in Occidente: i loro membri divennero consiglieri di re e potenti prìncipi, anche in ragion e della loro abilità nelle questioni finanziarie. Si incaricarono di gestire le decime per la crociata. La trasformazione da cavalieri a “banchieri” fu una delle ragioni del loro successo, ma anche della loro rovina, come dimostra lo scontro con il re di Francia Filippo il Bello nei primi anni del Trecento.  Guerra come via di salvezza  Contenere la violenza per difendere i luoghi sacri dall’attività predatoria della milizia fu solo uno degli obiettivi delle chiese regionali nell’Europa dei secoli XI e XII.  Nei canoni delle tregue del secolo XI era sempre legittimata la violenza esercitata per conto del potere pubblico. La Chiesa aveva sacralizzato la guerra condotta sotto l’egida della croce e aveva creato una propria “milizia” al servizio di Cristo, unendo preghiera e uso delle armi in nuovi ordini monastici militari. 13.4 Da guerrieri a cavalieri: la disciplina del ceto militare  La Disciplina  Mai come nel tardo secolo XI, la fluidità delle clientele armate rivela l’urgenza di una disciplina delle fedeltà e dell’attività bellica.  Nella realtà turbolenta dell’Europa dei secoli XI e XII furono essenzialmente due le vie tentate per inquadrare il ceto militare in un ordine politico territoriale stabile:  Il primo, più concreto, cercava di inserire i membri della milizia in una rete di rapporti di fedeltà tendenzialmente gerarchica, che doveva limitare l’attività bellica a precise azioni di guerra decise dai poteri superiori. Il rapporto coordinato fra la disciplina dell’attività armata e le fedeltà vassallatiche si rivelò lo strumento per coordinare le azioni dell’aristocrazia militare nei secoli centrali del medioevo.  Il secondo sistema era invece di natura culturale e ideologica, e tendeva a imporre un modello di comportamento basato sull’autolimitazione dell’azione violenta in base a un’etica propria del cavaliere.  Le trasformazioni del vassallaggio e la crisi delle fedeltà  I due elementi del rapporto vassallatico di età carolingia si erano trasformati nella lunga crisi dei secoli XI e XII. La fedeltà militare era spesso messa in secondo piano rispetto ai disegni di affermazione personale dei cavalieri. Il servizio veniva messo in relazione con l’importanza del feudo ricevuto. 72  Per contrastare la dispersione delle fedeltà e l’ereditarietà dei benefici si usarono in un primo momento gli strumenti dello stesso diritto feudale. Furono inventate, o meglio sperimentate, alcune regole di protezione dei diritti del signore, come la commise: il sequestro del feudo in caso di disobbedienza.  Ricorrere alla commise richiedeva una capacità militare in grado di piegare le resistenze del vassallo e un prestigio riconosciuto dagli altri vassalli della curia che dovevano giudicare il loro compagno infedele.  Più diffuso era il ricorso al feudo “ligio”, una fedeltà privilegiata che si doveva a un signore in particolare. In alcuni casi funzionò come collante di una schiera più prossima di vassalli.  Come funzionò la clausola di riserva “negativa”, giurata dal vassallo di non combattere contro il proprio signore. Clausola utile per in quadrare i vassalli entro una rete di fedeltà garantite verso un signore.  Alla base dei rapporti feudali restava ancora la natura contrattuale e reciproca del patto, soprattutto all’interno dell’alta aristocrazia. 13.5 l’ideale cavalleresco e la socialità di corte  I romanzi cavallereschi  Che l’attività guerresca andasse regolata era tuttavia una convinzione diffusa non solo tra le élite ecclesiastiche, ma anche tra quelle laiche. L’invenzione letteraria di un’etica cavalleresca poteva servire a questo scopo.  I romanzi cavallereschi, diffusissimi nel secolo XII, propagandarono un’immagine idealizzata del cavaliere, che si sceglieva nemici più forti, prepotenti, violatori delle chiese e persecutori dei deboli. Questi racconti narrano spesso di un viaggio, di paesaggi della paura che il protagonista doveva affrontare per raggiungere (o mantenere) il nuovo status di cavaliere. Uno status che aveva riti di entrata e modelli di comportamento sempre più codificati nel corso del secolo XII.  In particolare il cosiddetto “addobbamento”, il rito di entrata nella cavalleria veniva esaltato come un momento di passaggio e di trasformazione del cadetto in cavaliere, del ragazzo in uomo, del milite errante in crociato.  L’addobbamento era un primo passo, ma poi ne dovevano seguire altri: l’esaltazione del valore personale e della forza da sfogare in momenti lucidi, come i tornei, ritualizzando una violenza spesso brutale e distruttiva, e una maggiore solidarietà tra fedeli dello stesso signore da rafforzare in rituali di corte.  I tornei  Scontri limitati e sottoposti a regole condivise, ricordati nelle cronache del secolo XI e soprattutto del XII, quando sfumarono sempre di più in una rappresentazione ritualizzata della battaglia da giocare in occasioni pubbliche: i tornei.  Il torneo si prestava, a molteplici funzioni:  Sul piano simbolico consentiva di mostrare il valore individuale come uomo d’armi in un combattimento singolo  sul piano sociale, si poneva come punto d’incontro dei cavalieri di livello diverso in un rito che aumentava la socialità interna  sul piano politico serviva al signore per affermare la sua capacità di coordinare le forze militari del proprio territorio, riunite in una corte.  Il termine miles indica chiaramente un combattente a cavallo contrapposto ai pedites (fanteria a piedi) a ai rustici (i contadini). Identifica, in altre parole, un ceto superiore, dotato di forza militare e di potere di coercizione.  Non tutti i cavalieri erano nobili. Soprattutto, prima che nobili, i cavalieri erano, o dovevano diventare, anche “signori”. La signoria era il quadro di affermazione del ceto militare. Il medioevo fu molto più signorile che feudale. 75  L’aristocrazia funzionariale e i grandi possessori si assimilarono progressivamente e, da punti di partenza lontani, giunsero a risultati analoghi: dominazioni patrimonializzate, fondate sul concreto controllo di terre e persone e organizzate attorno alle fortificazioni.  L’esito, fu una società rurale organizzata attorno a una moltitudine di dominazioni signorili che, condivi- devano la capacità di unire poteri di matrice diversa: ai tradizionali rapporti di dipendenza economica e personale che univano i contadini ai grandi proprietari fondiari, si erano aggiunte sia le concrete protezioni armate imposte dal signore, sia giurisdizioni e imposte di tradizione pubblica.  Le spartizioni del potere  All’interno dei singoli villaggi, questi poteri e prelievi erano condivisi e spartiti tra diversi signori.  Le basi fondamentali del potere signorile avevano una protezione sul territorio molto diversa:  da un lato il castello era un’efficace forma di difesa per tutte le persone che vivevano abbastanza vicine da rifugiarvisi e la sua efficacia si estendeva quindi omogeneamente al territorio circostante  il patrimonio fondiari o di un signore era invece normalmente frammentato e disperso, e all’interno di un singolo villaggio coesistevano patrimoni di diverse chiese e dinastie aristocratiche.  I signori cercavano prima di tutto di trasformare i propri contadini in sudditi, ovvero di creare un potere ricalcato sul proprio patrimonio fondiario, e al contempo, chi aveva costruito un castello lo usava per cercare di sottometter l’intera popolazione dell’area circostante. Questo diede vita a conflitti tra diversi signori.  Un ulteriore elemento di complessità derivava poi dal fatto che questi poteri signorili erano considerati come parte del patrimonio del signore, e quindi subivano gli esiti delle spartizioni ereditarie, delle vendite, delle concessioni impegno, come qualunque altro bene.  Vediamo spesso signori che comprano, vendono, spartiscono singoli diritti giurisdizionali. L’esito è un quadro di altissima frammentazione del potere, per cui non esisteva un singolo signore del villaggio, ma di fatto ogni contadino si trovava a pagare diverse imposte a diversi signori. 14.3 Chiese potenti e chiese private  la stabilità de patrimonio  Chiese e dinastie presentano alcune importanti differenze nella propria azione politica locale.  Dobbiamo ricordare come le chiese le chiese fossero punti di fortissimo addensamento fondiario: i laici donavano le proprie terre alle chiese per garantirsi le preghiere di monaci e chierici. C’era un flusso quasi continuo di beni dai laici alle chiese, questi patrimoni non subivano poi gli stessi processi di frammentazione e dispersione dei patrimoni laici, dato che non subivano divisioni ereditarie e al contempo il diritto canonico non permetteva alle chiese di vendere i propri beni.  L’immunità  Un altro elemento importante era rappresentato dall’immunità: una larga esenzione fiscale e una tutela dei beni delle chiese.  Ciò introduceva l’idea che gli edifici e le terre delle chiese non fossero spazi come gli altri, ma fossero connotati politicamente in modo specifico, come un ambito in cui gli ufficiali regi non potevano intervenire. 76  Le chiese e i monasteri privati  Le chiese erano anche strumenti di sviluppo: erano infatti molte le cosiddette “chiese private”, enti religiosi fondati e controllati da una dinastia o da un’altra chiesa.  Occorre però distinguere tra monasteri e chiese in cura d’anime e condurre due discorsi parzialmente distinti.  La definizione di “chiese in cura d’anime” comprende tutti quegli enti religiosi la cui finalità era quella di officiare i culti destinati ai laici, il sistema dominante era quello delle pievi: le articolazioni della diocesi, chiese create dai vescovi e destinate a guidare la cura delle anime di un gruppo più o meno ampio di villaggi. Ciò che davvero le connotava era prima di tutto la presenza del fonte battesimale. Queste chiese nascevano spesso dall’azione dei signori, che procedevano sia a costruire l’edificio, sia a garantire l suo interno la presenza di chierici. La chiesa era il centro della vita sociale locale, il luogo in cui gli abitanti del villaggio si riunivano regolarmente per le funzioni religiose, ma anche per trattare le questioni pratiche che coinvolgevano la collettività (gestione dei pascoli, delle acque ecc.).  Un discorso diverso dev’essere condotto per quanto riguarda i monasteri privati. La funzione dei monaci non era quella di curare i poveri, diffondere la cultura o proteggere i viandanti, ma quella di pregare, prima di tutto per compiere il proprio personale percorso di ascesi, e poi per la salvezza ultraterrena dei propri benefattori. Per un laico, quindi, fondare un monastero era un modo efficace per ottenere importanti benefici spirituali, vedersi garantito l’aiuto di veri “professionisti della preghiera”, uomini santi dediti a tempo pieno alle orazioni. La fondazione aveva anche un’importanza materiale: il monastero privato poteva infatti avere, nelle intenzioni del fondatore, una funzione di riserva patrimoniale sicura per sé e i propri discendenti, poteva essere un ente a cui affidare quote importanti delle proprie ricchezze, nella sicurezza che il monastero non avrebbe potuto alienarle e che la famiglia del fondatore ne avrebbe avuto sempre ampia disponibilità, grazie al controllo sulla nomina dell’abate. Questa prospettiva ebbe successo in pochi casi, perché molti monasteri, e in generale gli enti religiosi, a partire dal secolo XI si svincolarono dal controllo dei laici e spesso usarono il patrimonio per le proprie specifiche politiche. 14.4 Produzione e prelievo in un’età di sviluppo  Da contadini a sudditi dei signori  Il dato fondamentale è che nel corso dell’XI secolo contadini diventarono sudditi.  Così i signori erano in grado di controllare efficacemente i propri sudditi e operare un pesante prelievo: in assenza di qualunque potere di controllo (come un tempo erano stati i tribunali regi) i signori usavano la propria forza armata per togliere ai sudditi la maggior quantità possibile di prodotti e di denaro, frenati in questo solo dalla concorrenza degli signori e dalla resistenza contadina.  L’economia signorile e l’aumento demografico  Questa pressione rispondeva alla logica di un’economia signorile che era essenzialmente un’economia di spesa. Non si trattava di dissipare le ricchezze, ma di usarle per costruire il proprio potere.  Per sostenere queste spese, i signori accentuarono la pressione economica sui sudditi, traendo vantaggio da una lunga congiuntura di crescita demografica ed economica che caratterizzo tutta l’Europa dall’XI al XIII secolo. 77  L’aumento demografico fu il risultato di una lunga evoluzione positiva dei livelli di crescita della popolazione. Cambiò la composizione delle famiglie contadine, si moltiplicarono i flussi migratori e gli spostamenti di popolazione che alimentarono la creazione di nuovi centri rurali in funzione di colonizzazione.  Nuove tecniche per l’Agricoltura  Mutarono anche le condizioni di lavoro.  I dati confermano un generale innalzamento della qualità degli strumenti tecnici a disposizione, soprattutto riguardo le tecniche dell’aratura, fondamentali in un’economia basata sullo sfruttamento della terra. In primo luogo si nota un maggiore ricorso agli attrezzi in ferro:  L’aratro a versoio fu molto usato nei terreni pesanti delle terre umide strappate alla foresta. La sua diffusione era associata all’avanzata delle colture nelle zone incolte e forse anche alle sperimentazioni tecniche degli ordini monastici.  L’aratro in ferro tirato da cavalli (molto più potenti dei buoi) permetteva arature più profonde e più frequenti, aumentando la produttività dei semi.  Si ha la sensazione che si lavorasse la terra con uno scopo “economico” più esplicito rispetto ai secoli precedenti: lavorare meglio la terra nella speranza di produrre di più per scambiare o vendere le eccedenze.  In ampie zone d’Europa, l’investimento sull’agricoltura divenne redditizio: era possibile accumulare eccedenze, alimentare mercati locali situati in città, sostenere insediamenti rurali più popolosi ed era possibile anche guadagnare di più per i contadini.  Vantaggi per i signori  Più uomini, quindi più terre coltivate, più sudditi da cui prelevare le imposte, maggiori ricchezze in circolazione.  Se quindi ci troviamo di fronte a un quadro complessivo di crescita economica, andò a sostenere lo stile di vita e le spese dell’aristocrazia. Il lavoro dei contadini fu più libero, meno condizionato dalle specifiche e puntuali richieste di prestazioni d’opera, ma rimane il fatto che in mano signorile confluiva una quota importante delle loro risorse. 14.5 L’inquadramento delle popolazioni rurali e l’azione politica contadina  La varietà del mondo contadino, clientele e funzioni.  Al di sotto dei signori e dei loro vassalli, la stragrande maggioranza della popolazione delle campagne era costituita da contadini, da rustici.  La diversificazione del mondo contadino non si limitava però al piano economico e assunse connotati più propriamente politici, grazie alla capacità degli strati superiori della società contadina di entrare a far parte dei sistemi di solidarietà clientelare che facevano capo alle chiese e ai signori locali.  Al contempo vediamo contadini che svolgevano specifiche funzioni per conto dei signori: il controllo quotidiano sui contadini, sulla loro produzione e sui loro conflitti richiedeva un gran numero di piccoli incarichi. Tutto ciò era delegato a uomini del luogo, che grazie a queste funzioni instauravano con il signore un rapporto che andava al di là sia della semplice sottomissione. 80  Le forme del riconoscimento politico da parte dei signori  Le città presero una forma istituzionale dopo aver ottenuto un riconoscimento dall’autorità superiore.  Tanto i giuramenti di comune, che dovevano esser approvati dal potere locale, quanto le “franchigie” (carte di libertà concesse ai cittadini) che provenivano direttamente dal signore riguardavano in primo luogo la concessione di poteri giudiziari civili alle corti cittadine e alcune esenzione dalle tasse sui commerci e sui suoli urbani.  Le città consolari  Nelle città della Francia meridionale, l’autonomia era maggiore: si elessero dei magistrati chiamati “consoli”, su ispirazione di modelli romani già in uso in Italia nei primissimi anni del XII.  A differenza delle città del nord, generalmente rette da un rappresentante signorile, si trattava di un governo collegiale di cittadini, coadiuvato da un consiglio che poteva contare anche un centinaio di membri.  I consoli amministravano sia la giustizia civile (in tema di eredità) sia quella penale (ingiurie), ma non potevano toccare “il dominio e i diritti dei signori maggiori” vale a dire dell’arcivescovo stesso.  La natura bicefala delle città  La sensazione che le città europee avessero una natura doppia, quasi bicefala, è rafforzata del resto dalla presenza di due apparati istituzionali in città:  da un lato gli ufficiali signorili, balivi o siniscalchi, che detenevano il controllo militare e la giustizia alta di sangue per conto del signore;  dall’altro gli scambini (i giudici della città) e i consoli che “rappresentavano” la fascia di popolazione ammessa alla vita politica della città. 15.2 Le città tra il XII e il XIII secolo: unificazione e differenziazione sociale  Città unite e nuove mura  Le città formate spesso da parti differenti furono riunite in un’unica realtà territoriale urbana.  La costruzione di nuove mura rese visibile questo processo. Tra il XII secolo e la prima metà del XIII, tutte le città furono circondate da una nuova cerchia di mura.  Le mura inglobavano ampie zone di terreno non costruito, messo a coltivazione con vigne e orti.  Le mura divennero il simbolo della città, assorbirono per anni le energie tecniche ed economiche della popolazione, alimentarono la prima fiscalità urbana, visto che tutti i cittadini dovevano contribuire a finanziare la costruzione della nuova cinta secondo i diversi livelli di ricchezza.  Differenziazione sociale  La popolazione urbana nel corso del XII e XIII secolo è percorsa da un inarrestabile processo di stratificazione sociale e di differenziazione fra gruppi diversi.  Il comune urbano, in sostanza, non era meno gerarchizzato del territorio circostante.  Emersione di una nuova élite economica  In primo luogo all’interno dei ceti che guidavano il comune.  Dopo una lunga fase di governo, il ceto dirigente del primo comune formato dai vecchi funzionari signorili asserragliati nella cité, fu costretto a integrare, gradatamente, nuove famiglie dei borghesi. Non tutte ovviamente, solo quelle che avevano fatto fortuna nei commerci, e che potevano vantare le relazioni più utili a sostenere l’espansione commerciale della città. 81  Furono essi i primi a rivendicare, già un posto nei consigli cittadini, nelle cariche di scabini e di giudici.  La ricchezza era importante, ma contava soprattutto la capacità di moltiplicare i profitti che l’attività a lungo raggio permetteva in maniera prima sconosciuta.  Questa élite economica conquistò così il potere nel corso del Duecento: si appropriò dei posti di comando e del controllo della vita economica della città, facendosi garante con i prìncipi della prosperità del territorio.  La città aveva delle rappresentanze, ma il suo sistema istituzionale non era “rappresentativo”, vale a dire non rifletteva tutti gli strati sociali della popolazione urbana, ma la sua fascia superiore.  Stratificazione nel mondo del lavoro  Esisteva, infatti, un frastagliato mondo artigianale che abbracciava gran parte della popolazione urbana e aspirava a una presenza politica non solo passiva.  Esisteva una doppia gerarchia sociale:  una tra i diversi mestieri, che vedeva primeggiare i mercanti e i banchieri, seguiti dai proprietari di botteghe tessili, orafi, fabbri, cuoiai e merciai;  un’altra tra le funzioni che venivano svolte all’interno dello stesso mestiere.  Le città divennero elementi vitali del corpo politico dei regni una volta che questi riuscirono a stabilizzare la loro presenza al centro del gioco politico europeo. 82 CAPITOLO 16 I REGNI E I SISTEMI POLITICI EUROPEI FRA XI E XIII SECOLO 16.1 Limiti e regni nei secoli XI e XII  Dinastie deboli  All’affacciarsi del secolo XII, i poteri di tipo monarchico che si erano affermati dopo la dissoluzione del regno carolingio mostravano una serie di debolezze strutturali che si traducevano in vincoli e limiti alle capacità d’azione dei singoli re.  In primo luogo le dinastie regnanti si fondavano ancora sul terreno assai incerto delle alleanze matrimoniali tra le grandi famiglie aristocratiche del continente europeo.  Regni come principati  È difficile, in questa situazione, tracciare una chiara geografia dei regni tra il secolo XI e XII, fatto salvo il caso inglese: perché, sul piano politico, i regni non si distinguevano ancora così chiaramente dai tanti principati vicini.  I regni erano soprattutto potenze regionali, o meglio dovevano avere una base territoriale su cui fondare materialmente la propria esistenza, visto che un ‘effettiva supremazia politica era ancora incerta e poco sostenuta dagli altri prìncipi. Dovremmo allora parlare di principati a tendenza egemonica o di regioni inquadrate in sistemi di alleanze con al vertice un re.  Una gerarchia feudale incompleta  Nel secolo XII i re erano signori “parziali” di grandi vassalli che avevano a loro volta i propri vassalli.  Questi ultimi non erano per nulla legati al re, ma avevano obblighi solo verso il proprio signore. In altre parole vigeva ancora un principio di solidarietà orizzontale, secondo il quale “il vassallo di un vassallo del re, non è un vassallo del re”.  Assenza di burocrazia  Ultimo grande limite dei regni era l’assenza di un vero apparato di funzionari pubblici.  I grandi uffici regi erano in genere in mano della stessa alta nobiltà che circondava il re alternando favore e ostilità secondo i casi.  Esisteva un ristretto ma solido apparato burocratico di corte in mano ad ecclesiastici di grande levatura, ma il loro intervento si limitava per lo più a garantire il funzionamento della corte regia sul piano culturale e politico e non potevano certo diventare uno strumento di governo dei singoli territori. 85  Emanò una famosa Carta delle libertà in cui prometteva un ritorno alle “antiche consuetudini” inglesi contro quella nuove illegittime e ingiuste (dei Normanni).  Queste nuove consuetudini che opprimevano il popolo erano chiaramente di natura fiscale: i baroni e i loro vassalli esigevano tasse eccessive e non motivate sulla tutela dei minori, i matrimoni, la rassegnazione dei feudi dopo la morte del tenutario, imponendo anche ai liberi prestazioni non dovute.  Con la sua Carta, Enrico si ergeva dunque a difensore di questo “regno oppresso”: limitò il campo d’azione dei baroni attraverso un controllo sulla trasmissione ereditaria delle terre baronali e la punizione delle loro malefatte secondo la legge. Al contempo, rafforzò la giustizia regia nelle singole località come antidoto alle prepotenze dei grandi.  Alla morte di Enrico ci fu l’ennesima lotta di successione, come spesso accadeva in questi regni di dinastie deboli, e ancora dei conflitti civili provocarono il rafforzamento del potere dei baroni: I baroni si impossessarono delle maggiori cariche pubbliche, soprattutto quelle di sceriffi, ma cercarono anche di renderle ereditarie. L’azione del successore Enrico II (nipote di Enrico I) intese porre rimedio a questo stato di violenza: la guerra civile e l’erosione del potere regio.  Enrico II e la rinascita della monarchia  Il regno di Enrico II (1154-1189) è stato forse il periodo più importante per l’Inghilterra del secolo XII, non solo perché con il matrimonio con Eleonora d’Aquitania unì Inghilterra, Normandia e Aquitania in una grande dominazione internazionale, ma perché, sotto il suo governo, presero forma in maniera più definita le istituzioni monarchiche del regno inglese.  Enrico fece dell’apparato di corte il motore politico del regno. La corte divenne un luogo di controllo e di mediazione degli interessi locali e dei grandi, il punto di raccordo fra il centro e le comunità. L’elemento qualificante della sua azione fu proprio la capacità di connettere la curia con i sudditi attraverso lo sviluppo di due sistemi istituzionali:  Il primo sistema era fisso, incentrato sul giustiziere, vero primo ministro delegato dal re a rappresentarlo in sua assenza, e la “curia regia”, composta dai grandi del regno, laici ed ecclesiastici, che dovevano esprimere formalmente un consenso alle decisioni del re. A queste si aggiunse lo Scacchiere, il responsabile delle finanze pubbliche: due volte l’anno questi potenti ufficiali dovevano fare un minuto rendiconto del loro operato finanziario e giudiziario.  Il secondo sistema, invece, era mobile e prevedeva un collegio di giudici itineranti che amministravano l’alta giustizia per conto del re nelle singole contee riunite in sei “circuiti”. Enrico predispose la costituzione del sistema delle giurie dei “dodici uomini saggi” nelle comunità, incaricati di giudicare i colpevoli e tenerli in custodia fino all’arrivo dei giudici regi. I casi dibattuti davanti al re aumentarono nei decenni successivi e formarono la materia per una nuova corte di giustizia situata a Westminster (il Bench). Il re puntavano sulla regolazione della giustizia per tenere il regno unito e in pace.  Infine Enrico estese la protezione regia agli eredi dei vassalli dei “tenents in chief” (i feudi maggiori), assicurando, o quanto meno facilitando, la successione ereditaria dei feudi minori. Un modo per rendere più autonoma la piccola e media aristocrazia locale.  Le inchieste come strumento di governo  Enrico si rese conto della necessità di rendere più stabile un esercito nazionale per la difesa del regno.  Ordinò a tutti i sudditi possessori e liberi di partecipare all’esercito con un armamento proporzionale al reddito: dall’armatura completa alla semplice lancia.  Richiamando tutti i liberi a un servizio militare pubblico, inquadrava i sudditi in una dipendenza diretta dal re (e non dai signori locali). 86  Queste grandi riforme furono accompagnate da strumenti di governo particolarmente aggiornati. Enrico usò di frequente l’inchiesta come forma di conoscenza collettiva delle situazioni del regno.  Debolezza e crisi del regno  Enrico tuttavia portava con sé, e in parte scaricava sulla popolazione, il pesantissimo fardello degli stati continentali (Normandia e Aquitania). Questo continuo stato di guerra con i francesi era un pesante aggravio delle tasse.  La crisi del regno sotto i figli di Enrico II fu accelerata dalle lotte dinastiche tra i due fratelli Riccardo (Cuor di Leone), re tra il 1189 e il 1199 e Giovanni Senzaterra (1199-1216),dalla lontananza dei re e dalla pressione fiscale ancora più dura dopo la perdita dei possedimenti in Normandia nel 1204.  I rapporti con la Chiesa e i baroni si deteriorarono rapidamente, per la resistenza di questi ultimi a prestare servizio militare fuori dal regno. La reazione violenta del re contro i baroni riottosi e l’esazione di ulteriori tasse di conversione del servizio attivo in denaro gli alienarono definitivamente i favori dell’aristocrazia militare.  Dopo la sconfitta subita a Bouvines per opera di Filippo Augusto nel 1214, Giovanni fu apertamente contestato dia grandi del regno. Uniti dalla comune esigenza di limitare i suoi poteri, lo costrinsero a firmare un documento di concessioni assai ampie al “popolo”, meglio conosciuto come Magna Carta.  La Magna carta si configurava in effetti come un grande patto di limitazione delle prerogative regie in materia fiscale e in materia feudale, in particolare riguardo alla tenuta e alla trasmissibilità del feudo. Il re non poteva imporre tasse senza il generale consenso dei baroni. Riguardo al secondo punto, il ritorno delle consuetudini serviva a diminuire i pesanti obblighi fiscali che Giovanni aveva imposto sul passaggio dei feudi agli eredi. 16.3 Il regno di Francia, da Luigi VI a Filippo Augusto  Il regno di Francia  In Francia, da tempo il re aveva solo qualche debole privilegio nominale sui principati vicini. La maggior parte dei territori meridionali gli sfuggivano completamente.  I prìncipi dei ducati più estesi e antichi non si recavano più nelle adunate della corte del re, si rifiutarono anche di prestare omaggio al re. Non riconoscevano il re come referente simbolico dell’antico regno nazionale carolingio. Avevano creato una corte di castellani fedeli, di grandi vassalli in competizione ma che riconoscevano al principe una relativa superiorità di coordinamento.  Luigi VI e la difesa del dominio  Luigi VI nel corso del suo lungo regno, provò a concentrarsi soprattutto su due punti:  disciplinare i castellani ribelli all’interno del suo dominio;  e all’esterno frenare l’espansione del re inglese, che era duca di Normandia, e fronteggiare le aspirazioni dei conti di Fiandra e di Champagne-Blois.  Il fronte interno era quello più promettente: Luigi VI si lanciò in una serie di battaglie “punitive” contro potenti locali interni ed esterni al suo dominio.  Allo stesso tempo però Luigi interveniva contro i castellani quando questi minacciavano le chiese e turbavano la “pace pubblica”; in quei casi, la spedizione militare era approvata da un concilio provinciale di vescovi che invocavano il re come difensore armato della Chiesa. 87  Luigi VII e la reggenza di Sugerio  Il dovere di mantenere la pace, di imporre una “pace del Re” dove prima si cercava una pace di Dio.  Il cambiamento avvenne sotto il figlio e successore di Luigi VI, Luigi VII (1137-1180), sempre coadiuvato da Sugerio, che fu nominato anche reggente quando il re partì per la seconda crociata del 1144.  Nel 1155, durante il concilio di Soissons, Luigi VII proclamò infatti “la pace per tutto il regno”, un atto importante proprio per la dimensione sovra locale che aveva assunto il re, grazie al suo compito di pacificatore.  Luigi VII e il dominio degli Angiò-Plantageneti  Solo in un caso i prìncipi minacciarono direttamente i confini del regno: quando per ragioni matrimoniali si unirono i ducati di Normandia, di Aquitania e il regno d’Inghilterra sotto il dominio dei duchi d’Angiò, più tardi detti Plantagneti dalla pianta di ginestra presa a simbolo della casata. Luigi VII aveva infatti sposato Eleonora d’Aquitania, che avrebbe portato in dote il riottoso e lontano ducato d’Aquitania. Il re francese, al ritorno dalla crociata, decise di divorziare da Eleonora che, dopo pochi mesi sposò il giovane conte d’Angiò, Enrico, figlio di Enrico I duca di Normandia e re d’Inghilterra. Con il nome di Enrico II, il re aggiungeva a questi titoli anche il ducato di Aquitania, unendo in un solo dominato tutta la Francia nordoccidentale e meridionale.  Iniziò così quella che alcuni storici chiamano la “prima guerra dei cento anni” fra i re francesi e i re inglesi. Le guerre continue misero alla prova le reti di alleanze di entrambi i re che si mostrarono molto permeabili una con l’altra: gli stessi prìncipi potevano schierarsi con estrema facilità con Enrico o con Luigi VII secondo le convenienze del momento.  Luigi VII morì nel 1180, lasciando il figlio Filippo, incoronato già nel 1179, in balia di due potenti clan di protettori: i conti di Champagne per via di madre, e i conti di Fiandra per via matrimoniale.  Filippo Augusto  Il regno di Filippo Augusto è considerato da molti storici il punto di svolta della monarchia francese, sia per la durata quarantennale del suo governo sia per le trasformazioni che impresse ai metodi di governo del regno.  Nel corso dello scontro ventennale con gli anglo-normanni, Filippo sfruttò invece le divisioni interne alla dinastia Plantageneta, indebolita da una competizione fratricida tra i due figli di Enrico, Giovanni e Riccardo.  La dinastia Plantageneta subì gli stessi contraccolpi di qualsiasi famiglia aristocratica al momento della successione: la competizione violentissima fra i suoi due figli, Giovanni (Senzaterra) e Riccardo, dopo alterne vicissitudini, portò alla rovina il dominio continentale dei Plantageneti. A fasi alterne Riccardo si dichiarò vassallo di Filippo re di Francia e suo alleato sia contro il padre sia, con maggior vigore, contro il fratello Giovanni.  Alla sua morte, Giovanni subentrò come erede unico, ma senza avere un reale supporto né fra i vassalli inglesi né fra quelli normanni. Questo portò alla conquista della Normandia da parte di Filippo.  La battaglia combattuta a Bouvines nel 1214 fu uno dei rari eventi bellici a influenzare in profondità le vicende dei regni europei della prima metà del Duecento. Contro Filippo si erano riuniti tutti i suoi avversari storici:  Il re inglese Giovanni (detto poi senza terra)  L’imperatore tedesco Ottone IV  Il conte di Fiandra  Il duca di Brabante  Molte città fiamminghe  90  Monarchia composita  I re si trovarono davanti infatti gruppi sociali con una precisa fisionomia politica, provvisti di autonomia e con una spiccata propensione a rivendicare una rappresentanza collettiva davanti agli organi regi.  Città e cavalieri e nobili, mercanti si costituirono in leghe, fraternità, corporazioni. Le monarchie spagnole mantennero a lungo un carattere pattizio che spinse i re, fin dal XII secolo, a convocare ampie assemblee dei grandi del regno, con le città e i consigli comunali.  Questa molteplicità di presenze istituzionalizzate, il carattere fortemente militare dell’aristocrazia del regno e la necessaria condivisione delle decisioni maggiori in assemblee composite rimasero caratteristiche di fondo dei regni spagnoli per lungo tempo. C. 21 Le fasi della reconquista cristiana 91 16.5 La Germania e l’impero  La Germania  La Germania del secolo XI presenta a prima vista un quadro territoriale più stabile rispetto ai regni vicini.  I quattro ducati tradizionali, Franconia, Sassoni, Baviera e Svevia , erano ben saldi nelle mani delle grandi famiglie dell’aristocrazia che coordinava una galassia di conti e castellani.  I dati demografici disegnano una crescita impressionante della popolazione. Una crescita che alimentò un ampio movimento migratorio verso est, dove i prìncipi tedeschi chiamavano coloni per stabilizzare i propri dominati.  L’impero e i suoi vassalli  L’impero come istituzione continuava ad aver un funzionamento intermittente. Per tradizione, l’imperatore era eletto dai grandi principi a capo dei ducati maggiori, e poteva contare sul ducato di Franconia e sui possessi personali della dinastia come base del proprio potere.  La crisi dei rapporti con il papato e lo scontro violentissimo con Gregorio VII colpirono duramente il prestigio dell’Impero sotto Enrico IV (1050-1106). In quegli anni fu anche eletto, da parte papale, un altro re, Rodolfo di Rheinfelden. Come dire che il principio dinastico poteva essere rimesso in discussione. E così avvenne con i successori di Enrico V, appartenenti a una casata diversa da quella precedente, scelti dai prìncipi elettori anche per la loro relativa debolezza.  Dai conflitti diffusi fra re e prìncipi troviamo conferma di un dato importante: la dimensione personale del potere detenuto da queste famiglie ducali era basata su una grande base terriera allodiale, cioè di terre in proprietà. Inoltre la tendenza all’ereditarietà delle cariche, assai diffusa nel regno, portò ben presto a una dispersione dell’autorità di origine pubblica in un pulviscolo di potentati locali che cessavano, in caso di conflitto, di rispondere al re.  Federico I  In questo contesto di debolezza iniziò il regno di Federico I di Hohenstaufen di Svevia (1125-1190), chiamato Barbarossa. Un grandissimo imperatore dalla storiografia tedesca, perché riuscì, in quasi quarant’anni di regno (1152-1190), a rendere almeno temporaneamente unita la Germania dei grandi ducati.  Come Luigi VII in Francia, fece propria la funzione di pacificatore del regno, ordinando una pace generale dell’Impero nel 1158.  In secondo luogo fece ricorso al diritto feudale per confiscare i ducati ai prìncipi ribelli, come mostra, in particolare, la lunga lotta contro Enrico il Leone.  La lotta prolungava uno stato di guerra interna che favoriva il passaggio di un ducato da una fazione all’altra. Ogni volta che riusciva ad entrare in possesso di un ducato, Federico lo divideva e da uno ne creava due, diminuendo le forze dei singoli principati.  La dieta di Roncaglia  Nella dieta (assemblea dei grandi) di Roncaglia del 1158, dopo aver elencato quali erano i diritti regi, aveva stabilito che ogni potere di natura pubblica doveva provenire dal re, attraverso un’investitura formale. La legge consentiva a Federico di ordinare la “restituzione” al sovrano di tutti i poteri e diritti di natura regia in mani private.  Nella stessa dieta Federico rinnovò il divieto di alienare i feudi, di venderli o dividerli, di giurare fedeltà a più signori, indurendo le punizioni contro i vassalli infedeli. 92  La dieta di Roncaglia, tuttavia, riguardava soprattutto il regno d’Italia, dove l’opposizione di alcune città lombarde aveva provocato una dura reazione dell’imperatore. Le guerre italiane, durate circa trent’anni, misero a dura prova l’intera struttura imperiale, perché Federico, per ogni spedizione, doveva chiedere aiuto ai grandi dell’Impero che non sempre erano disposti a prolungare la presenza in Italia oltre il limite pattuito. La struttura nel complesso resse, e i prìncipi tedeschi rimasero fedeli al loro imperatore anche dopo la “non vittoria” contro i comuni italiani sancita dalla pace di Costanza del 1183.  Resta comunque l’impressione di una fedeltà ancora “personale”, legata al prestigio di Federico e non certo alla dinastia.  I dissidi scoppiarono nuovamente sotto il regno del figlio, Enrico VI, che aveva cercato di imporre il diritto di successione dinastica all’Impero abbandonando il criterio elettivo. In cambio aveva proposto ai prìncipi tedeschi la quasi completa libertà di lasciare in eredità i propri feudi. Dopo una prima adesione i prìncipi tedeschi rifiutarono definitivamente il patto di Enrico e mantennero il diritto di scegliere il futuro imperatore.  Enrico VI prese in moglie nel 1186 l’ultima erede dei re normanni, Costanza d’Altavilla, dalla quale ebbe, nel 1194, un figlio chiamato Federico Ruggero. Enrico riuscì a entrare a Palermo nel 1194 e fu eletto re di Sicilia. Il figlio Federico si trovò così a ereditare nello stesso momento il regno di Sicilia e il titolo imperiale (quindi re di Germania e re d’Italia). C. 22 Il sacro romano impero tra XI e XII secolo 95 C. 23 L’Italia meridionale dal dominio normanno al regno di Federico II 16.8 Conclusioni  Il re come coordinatore: pace e giustizia e il rafforzamento del controllo sui vassalli  Guardiamo alle soluzioni pratiche, agli strumenti di governo, ai sistemi amministrativi, allora il giudizio cambia.  I re si proposero come le autorità legittimate  da un lato a ricomporre un quadro unitario di questi poteri dispersi  dall’altro a creare un nuovo equilibrio fra le prerogative della potenza privata dei signori (laici ed ecclesiastici) e l’esercizio di funzioni pubbliche di coordinamento e di pacificazione riservate al potere regio.  I potentati regionali potevano essere messi al servizio del re nei momenti di necessità, ma non “appartenevano al re come depositario di un potere pubblico unico e sovrano. In sostanza, i re potevano contare sulle fedeltà dei territori, non sui territori in quanto suoi dominati.  Per promuovere le funzioni regie, i monarchi usarono metodi molto diversi fra loro, in combinazioni altrettanto variabili. In primo luogo, i re fecero ampio ricorso al diritto feudale per intervenire in territori esterni al loro dominio.  Nel secolo XII la gran parte dei feudi o dei benefici era considerata parte integrante del patrimonio dei vassalli e poteva essere trasmesso in eredità o in dote. I re approfittarono di questa trasmissibilità del feudo, sia con politiche matrimoniali accorte sia attraverso un controllo serrato dei passaggi ereditari.  Su un piano invece più tecnico-amministrativo, i re capirono che una chiave importante del successo dipendeva dai funzionari di corte e dagli ufficiali locali che dovevano governare i soggetti del loro dominato. A corte emersero persone di livello sociale medio, spesso di origini non nobili che presero il posto dei grandi vassalli: avevano meno ambizioni ed erano più fedeli e soprattutto si dimostrarono capaci di usare tecniche contabili più complesse, perché i regni, come i grandi principati, avevano bisogno di rinnovare i sistemi di prelievo e gli apparati finanziari per condurre campagne militari efficaci.  Sotto la direzione del ristretto nucleo di corte, gli agenti locali, chiamati balivi o siniscalchi divennero i collettori locali del fisco regio  Il re occupava una sfera di potere in qualche modo superiore perché era in grado di fare cose che gli altri prìncipi non potevano ripetere:  le funzioni di pacificatore,  di giudice supremo  di difensore della fede e dell’ortodossia delle popolazioni,  di detentore legittimo dei poteri pubblici concessi feudalmente. 96 CAPITOLO 17 NUOVE STRUTTURE POLITICHE NELL’ITALIA MEDIEVALE: CITTA’ E COMUNI 17.1 La nascita del comune consolare: una rappresentanza autonoma delle forze cittadine  il ruolo dei vescovi e la sua clientela vassallatica  Le città italiane si presentavano come una collettività senza capo, una comunità di cittadini che si autogovernava al di fuori di un preciso ordine gerarchico di poteri delegati.  Il vescovo era sicuramente la figura di maggior rilievo: guidava la vita cittadina, ne assicurava l’unità religiosa e la pace sociale, mediava i conflitti, e soprattutto deteneva importanti diritti pubblici  Le famiglie di tradizione militare, legate al vescovo trovavano nel servizio feudale uno sbocco politico ed economico necessario per mantenere il prestigio della dinastia, ma non rinunciavano ad ampliare la propria potenza privata con frequenti usurpazioni di terreni di proprietà vescovile.  Nelle città si muovevano gruppi sociali diversi in grado di condizionare il governo del publicum (la sfera pubblica e collettiva della vita dei cittadini). E anzi questo publicum si configurava come un coacervo di alleanze e di cooperazioni forzate fra il vescovo, i suoi milites e i cives, un insieme ancora indeterminato di abitanti politicamente attivi.  In molte realtà urbane, per esempio i cittadini erano gli abitanti di estrazione non militare, distinti secondo livelli di ricchezza e di mestiere. La parte alta della cittadinanza era composta da: giudici, avvocati notai, grandi mercanti impegnati nell’amministrazione cittadina. Si tratta di un nucleo di persone centrale per la costruzione delle istituzioni cittadine.  Al di sotto, si trovavano tutti gli abitanti senza particolari qualifiche, soggetti al potere del vescovo, esposti alle angherie dei suoi vassalli, ma capaci di farsi sentire come “corpo collettivo” nelle assemblee pubbliche.  Nei momenti di conflitto, era il presule a risolvere le liti e a imporre la pace, spesso con un giuramento collettivo che impegnava tutti gli abitanti al rispetto della tregua. Esisteva dunque un’entità istituzionale collettiva di “buoni cives” che agiva sotto la protezione del vescovo, e che minacciava la scomunica religiosa e civile contro i malfattori.  Le città divennero centri decisionali che regolavano sempre di più la vita delle persone, anche nel contado. Proprio l’aumento delle funzioni di coordinamento economico e politico spinse i vescovi e le élite urbane a creare una nuova istituzione che si occupasse specificatamente del governo urbano.  Il consolato: origini e funzioni  Fra il 1090 e il 1120 circa, compaiono in quasi tutte le città italiane dei magistrati chiamati “consoli”. Il consolato medievale era formato da un numero variabile di membri, da quattro a sei, che si riunivano in genere nel palazzo del vescovo, a sottolineare una dipendenza di fatto dal potere episcopale almeno nella fase iniziale. Provenivano spesso da famiglie di suoi vassalli, della media e alta aristocrazia urbana, con l’apporto determinante dei giudici.  Tuttavia delle somiglianze con il modello antico rimanevano, come la durata annuale della carica; e soprattutto il carattere “elettivo” della nomina. I consoli erano “eletti”, cioè scelti, da un organo collettivo della città, l’assemblea generale dei cives, detta concio, che li investiva del potere di governo.  Si creò così un “consiglio cittadino” formato da un centinaio di persone, in grado di affiancare i consoli nelle scelte più importanti. Lentamente prese piede nei comuni italiani una politica di tipo “parlamentare”.  Sempre più spesso i consoli si garantivano facendo approvare i propri atti dalla “maggioranza” del consiglio. Il principio di maggioranza entrò così nella politica nel comune italiano. 97  Era questo fondamento della “libertà delle città italiane: l’autonomia di scelta dei propri governanti e le decisioni politiche legittimate dalla maggioranza di un’assemblea cittadina eletta dagli stessi cives.  Fra i cittadini e le istituzioni si stabiliva cos’ un legame diretto, rafforzato da un giuramento reciproco dei consoli verso la civitas e dei cives verso i consoli  il termine “Comune”  Solo nei decenni finali del secolo XII abbiamo la comparsa della parola “comune”.  Al comune si può applicare il linguaggio della res publica, dello Stato, perché si tratta effettivamente di un’istituzione distinta dagli uomini, un frutto dell’esigenza di autonomia espressa dalle città italiane nella seconda metà del XII secolo. 17.2 Le funzioni di governo: giustizia, economia e controllo del territorio  Le città e le loro “sfide”  Tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo le città italiane affrontarono una serie di sfide importanti:  l’aumento demografico;  l’ampliamento delle zone abitate, con la creazione dei sobborghi;  l’inserimento sociale dei nuovi arrivati, da integrare giuridicamente e politicamente  la richiesta dei nuovi ceti urbani di ampliare gli spazi di partecipazione politica e di riformulare le istituzioni comunali secondo differenti equilibri sociali.  La necessità della giustizia pubblica  La crescita economica e politica delle città portava inevitabilmente con sé nuove tensioni. Ben presto la giustizia divenne una funzione prioritaria della nuova magistratura;  il vero inizio del comune come istituzione va individuato proprio nell’atto di nascita di tribunali cittadini.  La giustizia pubblica, proprio per questa capacità di sospendere i conflitti e farli procedere su altri binari (che evitavano un confronto diretto) divenne una funzione necessaria al mantenimento della vita associata e del comune come ente collettivo.  La fiscalità  Il comune e la città avevano bisogno continuo di finanziamenti, di entrate garantite da un costante afflusso di denaro da parte dei cives.  Bisognava convincere i cittadini a pagare le tasse senza dar loro l’impressione di essere soggetti o sudditi di un potere dispotico.  Essere cives era anche un dovere, liberamente assunto nel momento in cui si voleva abitare in città, e la traduzione materiale di questo dovere era appunto la contribuzione volontaria, ma allo stesso tempo doverosa, alla necessità finanziarie del comune. Strade, edifici pubblici, e soprattutto le mura assorbirono così gran parte delle entrate, legando sempre di più la condizione giuridica di cittadino al pagamento delle imposte pubbliche.  Le città e la coordinazione del territorio  Lo stretto legame della città con il territorio circostante, il contado, fu una delle principali conseguenze dell’affermazione del sistema comunale.  Si cercò di ottenere un potere di coordinamento sul territorio circostante la città, soprattutto sul piano militare ed economico.
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