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Storia Medievale (Provero-Vallerani), Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto dettagliato del manuale di Storia Medievale di Luigi Provero e Massimo Vallerani

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 25/05/2020

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Scarica Storia Medievale (Provero-Vallerani) e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Storia Medievale 1. La trasformazione del mondo romano: Sistema imperiale tardoromano  Un momento fondamentale di transizione nella Storia Romana si ebbe attorno al II secolo d.C, quando terminò l’espansione militare dell’Impero, che si stabilizzò entro i confini (limes) del Reno e del Danubio  inizia l’Impero Tardoantico. L’Impero non era omogeneo: riuniva popolazioni di diversa etnia, religione, tradizione e lingua, ma erano tutti coordinati da un organizzato apparato burocratico, militare e fiscale. Tale apparato entrò in crisi nella seconda metà del III secolo per via di una serie di lotte per la successione al trono (talvolta erano presenti più imperatori contemporaneamente), fino al 285  Diocleziano istituisce la diarchia, condividendo il potere imperiale con Massimiano, e accentuando l’importanza di località diverse da Roma (che rimane centro simbolico e sede del Senato, ma inizia a perdere la funzione di unica capitale) quali l’Oriente (Diocleziano) e la Gallia (Massimiano). Questa tendenza viene poi accentuata con l’istituzione della tetrarchia  due Cesari (Galerio e Costanzo Cloro) affiancano i due Augusti come collaboratori e successori. Non si può ancora parlare di divisione dell’Impero, bensì di una divisione delle responsabilità (non due Imperi, ma due Imperatori). Nel corso del IV secolo assistiamo a due passaggi fondamentali:  Fondazione di Costantinopoli  sull’antica Bisanzio, nel 324 l’Imperatore Costantino decise di fondare una città nuova, che chiamò Costantinopoli e di cui nel 330 celebrò la dedicatio (consacrazione della città)  particolarità: Costantinopoli nacque subito come residenza imperiale dotata di un proprio senato (una sorta di appendice del Senato romano, per ora) ma solo nel V secolo essa divenne una vera e propria capitale (residenza imperiale, sede di un vero Senato). Questa maturazione fu resa possibile dalla divisione stabile tra parte Orientale ed Occidentale dell’Impero, ad opera di Teodosio, nel 395.  Regno di Teodosio e sua successione  nel 395 Teodosio I realizzò la separazione tra Impero Orientale ed Occidentale: resosi conto che, per controllare adeguatamente territori così vasti, fosse indispensabile la presenza dell’Imperatore, egli affidò ai figli Arcadio ed Onorio rispettivamente l’Oriente e l’Occidente (è da questi anni che si può parlare di Impero Romano Orientale). L’Impero aveva bisogno di un costante afflusso di denaro, per sostenere i tre grandi capitoli di spesa: burocrazia (controllo diffuso su tutto il territorio), la capitale (sia per la sua burocrazia che per il cibo gratuito o quasi che era garantito agli uomini liberi romani) e l’esercito (era un costo rilevante in quanto era stipendiato, non obbligatorio). Queste spese erano sostenute da un prelievo fiscale capillare, il cui vertice principale era l’annona (imposta che gravava sulle popolazione rurali in base all’estensione delle terre e al numero di contadini su esse. La popolazione urbana era esentata, tranne coloro che avevano possedimenti nelle campagne). Le città avevano un ruolo fondamentale, in quanto i curiales, membri dell’assemblea cittadina, avevano il compito di riscuotere le imposte e di girarle all’apparato imperiale. Dovevano inoltre intervenire in caso di riscossione insufficiente/tardiva. Questo meccanismo fiscale attraversava l’intero Mediterraneo e l’Europa: le imposte non restavano all’interno della singola provincia ma andavano a sostenere i costi complessivi dell’Impero (es: le produzioni cerealicole africane servivano a nutrire sia la popolazione romana sia gli eserciti che si concentravano in aree più povere come i limes del Reno/Danubio). Si trattava di una circolazione prima di tutto fiscale, fatta di moneta e di beni di consumo, sulla cui base si svilupperà successivamente una circolazione commerciale (commercio si basa innanzitutto sul sistema fiscale). La fine dell’espansione militare determinò anche la fine di un’espansione economica che era stata accelerata dalle conquiste (afflusso di bottino e prigionieri di guerra come manodopera servile). Ma l’attività militare richiedeva sempre un costante impegno di denaro per difendere i vari confini dalle pressioni di diversi popoli  lungo il IV secolo gli Imperatori furono costretti ad adottare una politica inflazionistica: si produceva sempre più moneta con sempre meno intrinseco (quantità metallo prezioso). Questo andò a colpire soprattutto i ceti più poveri. Il sistema fiscale e commerciale fu strutturato attorno ad un flusso di beni che dalle periferie andavano verso il centro (o verso zone di particolare interesse, come i limes). In particolare, si strutturò un asse stabile di circolazione tra Cartagine e Roma, soprattutto quando le produzioni cerealicole dell’Egitto furono indirizzate verso Costantinopoli, che nel V secolo affiancherà Roma come capitale. L’esercito  in età tardoantica aveva costituito uno dei capitoli di spesa più onerosi; la leva obbligatoria era stata sostituita da una tassa che i grandi proprietari pagavano per esentare i propri coloni dal servizio, e garantirsi la manodopera sulle terre. Con questa tassa e col sistema fiscale, l’Impero era in grado di nutrire, equipaggiare e stipendiare l’esercito. Nel corso del IV secolo si definirono due settori fondamentali:  Comitatenses  forza mobile incaricata di accompagnare l’Imperatore  Limitanei  sono le guarnigioni poste a difesa dei confini Il limes è una struttura chiave, ma non indica una separazione netta tra mondo romano e non. Seguendo i corsi naturali del Reno e del Danubio (da Nord-Ovest a Sud-Est), il limes è costituito da una serie di fortificazioni a protezione del confine, ma è anche zona di incontro/scontro tra le popolazioni all’interno dell’Impero e quelle che se ne stavano fuori (estranee alla sottomissione politica, ma fortemente influenzate dalla presenza militare dell’Impero). Le popolazioni che lungo il tardoantico si confrontarono con l’Impero sono dette barbari. Tale definizione era nata per indicare coloro che non parlavano bene greco e latino (forte componente di giudizio e condanna). Erano barbari perché non erano Romani. Tacito preferisce invece chiamarli “Germani”. Lungo la seconda metà del XX secolo si parlò di etnogenesi (costruzione dell’etnia, di un’identità di un popolo)  gli studiosi Wenskus e Pohl dimostrarono che queste popolazioni non avevano un’identità stabile, bensì variabile in base alle loro scelte e percezioni. Era una scelta sempre Vescovi e monaci  la Chiesa cristiana del IV secolo era tutt’altro che unitaria; la struttura portante era piuttosto costituita da singole diocesi (comunità cristiana di una città e del suo territorio) raccolta attorno al vescovo. A costituire il prestigio dei vescovi concorsero quindi le loro funzioni religiose e la loro identità sociale e familiare: erano importanti sia in quanto vescovi (principale mediatore verso il sacro e guida per i fedeli verso la salvezza ultraterrena) sia in quanto ricchi aristocratici. Al di sopra dei vescovi non esisteva una struttura unitaria: tra IV e V secolo si definì la superiorità di alcune città maggiori, definite sedi patriarcali: Roma, Antiochia, Alessandria d’Egitto, Gerusalemme e Costantinopoli (dal V secolo). Roma era l’unica sede patriarcale occidentale, per certi aspetti la più prestigiosa in quanto il vescovo di Roma era il successore di Pietro. Lungo l’altomedioevo si parla infatti di Chiese, per indicare una frammentazione gerarchica, oltre che a differenze teologiche. I vescovi assumono un ruolo chiave nel “processo di evangelizzazione” all’interno dell’Impero  i culti pagani non erano stati cancellati dall’Editto di Tessalonica, e furono i vescovi a creare una rete di Chiese (pievi) a cui era affidato il compito di curare le anime nei vari settori della diocesi. Un secondo livello di evangelizzazione è quello che dai territori dell’Impero si spinse oltre il limes, come le isole britanniche:  In Inghilterra il primo radicamento di cristianesimo fu precedente alla caduta del dominio romano (V secolo). La successiva conquista anglosassone mise ai margini le chiese cristiane, che sopravvissero e acquisirono vigore nel VI secolo, grazie agli influssi provenienti dall’Irlanda.  Irlanda  pur esterna all’Impero, si era orientata precocemente al Cristianesimo (nel 431 si ha notizia dell’invio papale di un vescovo ai cristiani irlandesi). Negli stessi anni si compì la vicenda di Patrizio, un bretone rapito dai pirati irlandesi che poi divenne missionario e guida spirituale dell’isola, in conflitto con un sistema di culti druidici preesistenti. Con il cristianesimo irlandese entra in gioco una diversa forma di religiosità: il monachesimo, le cui origini sono da ricercare nel Mediterraneo orientale del IV secolo. Esso è una forma di vita presente in varie religioni: è una fuga dal mondo finalizzata a seguire un metodo che si costruisce prima di tutto con la rinuncia. E’ una forma di ascesi (=perfezionamento), l’avvicinamento alla divinità, che non sempre necessita di forme di penitenza (es: monachesimo buddhista). Il monachesimo cristiano prevede invece la penitenza come purificazione dal peccato, tanto che il termine “ascesi” tutt’ora utilizzato assume connotati penitenziali. Il monachesimo si afferma come una forma di tacita protesta, per riaffermare un modello di vita religiosa coerente ed estrema (così la propone Giovanni Cassiano in Gallia nel V secolo). Il monaco del periodo tardoantico era mosso innanzitutto da una tensione verso Dio, che metteva in atto attraverso la rinuncia al mondo e la capacità di avere un animo imperturbabile, che non venisse toccato dalle contingenze umane. Lo scopo di questa scelta di vita era l’ascesi personale, il perfezionamento spirituale del singolo monaco (nessuna volontà di assistenza ai poveri/malati, o cura delle anime dei laici). Tutte le diverse esperienze monastiche erano accomunate dall’allontanamento dal mondo e dalla società civile, un rapporto diretto con le Sacre Scritture, il rifiuto delle ricchezze, la scelta di autosostenersi col lavoro. Occorre porre una distinzione tra:  Eremiti  le prime notizie di monaci cristiani risalgono al IV secolo in Siria/Egitto: si tratta di eremiti, individui isolati che si dedicavano a una vita di preghiera e ascesi, presto circondati da una fama di santità, che permise un flusso di elemosine e quindi il loro sostentamento. Questo è vero per coloro che si rifugiavano in luoghi isolati ma ad alta visibilità  stiliti, che vivevano in cima alle colonne di edifici diroccati  la scelta ascetica conviveva con una componente di esibizione.  Cenobiti  Esperienza più pacata rispetto agli eremiti; le prime comunità cenobitiche si riunirono attorno alla figura di Pacomio in Egitto, nella prima metà del IV secolo. Per creare questo tipo di comunità era necessaria la comunione delle ricchezze, degli edifici, del lavoro ma soprattutto della stesura di regole che definissero chiaramente i rapporti tra monaci, diritti e doveri e una gerarchia (una semplice struttura di controllo e di coordinamento dei singoli). La convivenza cenobitica introdusse quindi nuovi elementi quali il sostegno reciproco, obbedienza e disciplina nei confronti dell’abate (“padre” della comunità). Un particolare tipo di monachesimo fu quello basiliano (da Basilio di Cesarea) caratterizzata dalla stretta cooperazione tra monaci e vescovo e l’ampio spazio dedicato al lavoro e assistenza in favore dei cittadini più deboli. Altri iniziatori del monachesimo occidentale furono San Gerolamo in Italia, Sant’Agostino in Tunisia e San Martini in Francia. I Barbari: Il crollo del limes del Danubio nell’inverno tra il 406 e 407 (a causa di un sistema fiscale che faticava a far fronte alle ingenti spese di guerra) portò allo spostamento di diversi eserciti germanici entro i confini dell’Impero (saranno poi una della cause della caduta dell’Impero). La guerra divenne sempre più frequente, con una miriade di piccoli/medi conflitti che erano occasione per ottenere ricchezza e potere. La maggior parte di questi spostamenti fu confusionaria e frammentaria, nonostante ciò alcuni di questi gruppi mostrarono un’unità militare e politica (e col tempo diventeranno regni duraturi):  Visigoti  guidati da Alarico, si erano più volte ribellati al potere imperiale, fino al Sacco di Roma del 410; giunsero fino in Calabria, dove morì Alarico, per poi allontanarsi dall’Italia per costituire tra 414-418 un regno nel Sud della Francia (formalmente erano federati dell’Impero, sostanzialmente erano autonomi)  Vandali  negli stessi anni visigoti, i Vandali valicarono il Reno, attraversarono la Gallia e si insediarono nella penisola iberica nel 417. Nel 429, guidati da Genserico, si spostarono nella parte Occidentale dell’Africa romana e conquistarono le province della Proconsolare e della Byzacena (Tunisia e Algeria), dove costituirono un regno che durò circa un secolo (439-534). I Vandali furono i primi a trasformare la propria superiorità militare in un potere politico, e che si affermarono come aristocrazia fondiaria dominante ed etnicamente distinta  Unni  gli Unni erano poco strutturati, ma avevano un potentissimo esercito che trovò unità militare sotto il re Attila. Originari dell’Asia centrale, si stanziarono ai bordi dell’Impero nel V secolo, diventando sia una costante minaccia sia una utile risorsa mercenaria all’occorrenza. Nel 445 Attila iniziò una campagna militare all’interno dell’Impero, fino alla decisiva sconfitta subita ai Campi Catalaunici nel 451 da parte di Ezio (magister militum). Ancora più decisiva fu la morte di Attila appena due anni dopo (453) che portò alla dissoluzione dell’esercito  la forza unna non si era convertita in una struttura politica, bensì era stata la capacità di Attila a tenere unito l’esercito. Ezio fu una figura simile a Stilicone (anch’egli era barbaro), e la sua morte, assieme a quella dell’Imperatore Valentiniano III nel 454 sembrò aprire di nuovo la via agli eserciti e ai loro saccheggi  nel 455 i Vandali saccheggiano nuovamente Roma  incapacità degli Imperatori di tenere sotto controllo le minacce militari. I decenni centrali del secolo mostrano ancora più chiaramente il declino del potere imperiale  si alternarono sul trono una serie di Imperatori-fantoccio (controllati da generali come Ricimero e Gundobado) fino a che nel 476, il generale Odoacre depose l’ultimo debole Imperatore, Romolo Augustolo, rinunciò a insediarne uno nuovo, e inviò le insegne imperiali a Costantinopoli. Questa scelta mirava a ricomporre l’unità imperiale e fu la presa d’atto che un Imperatore in Occidente non fosse necessario  l’unico vero Imperatore era quello d’Oriente. Nella prospettiva di Odoacre, il suo dominio sull’Italia doveva integrare un’ampia autonomia militare, con il consenso dell’Imperatore Zenone, che però non vedeva in Odoacre un alleato affidabile e pochi anni dopo fece passare l’Italia nelle mani degli Ostrogoti di Teoderico. Nel V secolo gli imperatori d’Occidente avevano via via perso il controllo della Britannia, dell’Africa, della Gallia e della Penisola Iberica; rimase solo l’Italia sotto il loro controllo  si delineano così nuovi regni diversi tra loro ma accomunati dal fatto di essere dominati da un’elite germanica che non riconosceva la superiorità Imperiale. Alla fine del secolo si era delineato un sistema di dominazione germanica  Ostrogoti in Italia, Franchi, Burgundi e Visigoti in Gallia, Vandali in Tunisia, Sardegna e Corsica. I nuovi regni  tra V e VI secolo assistiamo a una netta divaricazione: da un lato assistiamo a una semplificazione archeologica, a testimoniare un impoverimento della società sia sul piano materiale che conoscitivo; dall’altro assistiamo a una continuità culturale (politica e modelli istituzionali) per cui i regni appaiono come modelli proporzionati di meccanismi tipici dell’età imperiale. In sostanza, si assiste al crollo del sistema politico e militare romano, col passaggio del potere nelle mani della minoranza armata costituita dai germani (è lo stesso esercito elitario a governare la società di queste regioni); ciononostante vengono conservate alcune forme di organizzazione sociale e istituzionale, come l’apparato amministrativo e i sistemi legislativi romani, adattate e semplificate (il modello romano era forte, presente e soprattutto efficacie). Nacque così un nuovo sistema politico (comune a tutti i regni romano-germanici) in cui i modelli Questo episodio diede l’opportunità a Giustiniano di scatenare guerra contro gli Ostrogoti, una guerra che dopo circa 20 anni porterà nuovamente l’Italia sotto l’Impero. Altri regni  nel corso del V secolo si erano costituiti altri regni all’interno dei vari settori dell’Impero:  Anglosassoni  le isole britanniche subirono fortemente l’influsso romano, nonostante non fossero mai state sotto il controllo dell’Impero. Nel 410 l’influsso si interruppe a causa dell’abbandono dei romani della Britannia. La fine del dominio imperiale in Britannia fu accompagnato da una serie di incursioni di popolazioni sassoni, provenienti via mare dall’attuale Germania, che passarono rapidamente da saccheggi furtivi (III secolo) a stabilimenti duraturi (V secolo). Si trattava di una miriade di piccoli insediamenti perennemente in conflitto tra loro, capeggiati da reges e da un’aristocrazia meno sviluppata e ricca rispetto ad altri regni. Una serie di durature pressioni portò a una quasi totale prevalenza anglosassone, con le popolazioni celtiche destinate alla sola Scozia meridionale, Galles e Inghilterra Sud-Occidentale. Questa egemonia portò ad un regresso della Chiesa cattolica, tanto che sarà necessario un processo di evangelizzazione nel corso del VI secolo. La tradizione romana scomparve quasi del tutto. Discorso diverso per l’Irlanda  non fu mai sotto il controllo imperiale e non sviluppò mai un contesto organizzativo fondato sulla città; nel VI secolo l’isola era frammentata in centinaia di regni in cui i re avevano potere militare e politico, ma non legislativo (agivano in base a leggi che non potevano modificare). La frammentazione politica si riflesse nel lungo processo di evangelizzazione, che colpì regno dopo regno. Non essendoci, come per i Franchi, un re in grado di trascinare l’intera comunità alla fede, particolare importanza ebbero i grandi monasteri, non solo centro di preghiera, ma anche di cura delle anime (gli abati avevano funzione di vescovi). Con il tempo si affermeranno poi gli overkings, re più potenti di altri che imporranno il controllo militare sulle dominazioni minori, con il mantenimento dell’organizzazione istituzionale e di una certa autonomia).  Vandali  i Vandali si erano stanziati nella penisola iberica nel 417 e nel 428 si insediarono nelle ricche terre africane, guidati da Genserico, fino al 534. Furono l’unico popolo non legato all’Impero e il cui stanziamento non fosse accompagnato da una trattativa con esso. Sul piano religioso, la differenza tra i Vandali ariani e gli africani cattolici (in Africa aveva operato Agostino di Ippona) si espresse con una forte intolleranza  vandali condussero ampie persecuzioni vs Chiese, detentrici di grandi ricchezze. Dal punto di vista economico/fiscale invece l’Africa vandala fu un contesto molto stabile e con una costante ricchezza (alti livelli produttivi di grano ed olio). Inoltre, i Vandali continuarono a prelevare tasse con metodo romano, e il distacco dell’Africa dall’Impero e costi di gestione relativamente bassi permisero l’accumularsi di un importante ricchezza durante tutto il secolo. L’allontanamento dell’Africa dall’Impero ebbe però ripercussioni su entrambe le sponde: l’Impero ebbe difficoltà economiche per via delle tasse che non andavano più a coprire i costi dello Stato (con crisi militari); l’Africa invece dovette scontrarsi con un drastico calo di domanda dei prodotti terrieri, con un conseguente calo produttivo. La forza militare vandala non andò di pari passo con la forza fiscale, a causa della mancata integrazione dei diversi popoli (elemento ricorrente dei regni romano- germanici). Infatti, quando l’Impero ebbe abbastanza forza per espandersi nel Mediterraneo, i Vandali vennero sconfitti rapidamente tra il 533-534.  Visigoti  il primo stanziamento nei territori Imperiali si ebbe nel 418 (si stanziarono nella Gallia meridionale, combatterono al servizio dell’esercito romano contro Svevi, Alani e Vandali); successivamente tra 456-480 si espansero e arrivarono a controllare pressocchè tutta la penisola iberica. Passaggio fondamentale fu la redazione di leggi scritte da parte del re Eurico (re dal 466 al 484)  erano norme territoriali destinate a tutti i sudditi, a prescindere dalla loro etnia. Il dominio visigoto venne profondamente ridimensionato nel 507: Battaglia di Vouillè  Clodoveo, re dei Franchi, sconfisse i Visigoti e uccise il loro re, Alarico II, limitando il loro regno al Nord dei Pirenei; questa sconfitta mise però i Visigoti sotto il regno ostrogoto di Teoderico, fino alla sua morte nel 526. Fino alla metà dei VI secolo, il regno visigoto fu caratterizzato da frammentazione politica e da instabilità economica. Nella seconda metà del secolo, invece, si assiste a una trasformazione del regno sotto il re Leovigildo (569-586) che segnò un consolidamento territoriale e politico, con una serie di varie conquiste che portarono sotto il regno visigoti gli svevi e buona parte del dominio bizantino. Toledo viene elevata a capitale del regno. Dal punto di vista religioso, i Visigoti (ariani) vissero a lungo in un rapporto di separazione con i cattolici; con Leovigildo le tensioni vennero alla luce, in quanto cercò un compromesso tra cattolici e ariani ma nello stesso tempo perseguì alcune chiese cattoliche (era impensabile convertire tutti i cattolici in ariani in quanto i cattolici erano molto più numerosi). La scelta più coerente fu adottata dal figlio e successore di Leovigildo, Reccaredo (586-601), che promosse la conversione del popolo al Cattolicesimo  all’inizio del VII secolo, l’Arianesimo era quasi totalmente scomparso e Toledo divenne la sede per una serie di concili, a testimonianza di una forte unione tra regno e vescovi, che permise un forte consolidamento del re e un sicuro controllo su tutti i sudditi. I Franchi: Il regno franco, guidato da Clodoveo, tra V e VI secolo affermò il proprio dominio su gran parte della Gallia  questa regione, tra IV e V secolo vide accrescere l’attenzione delle famiglie senatorie per le cariche ecclesiastiche, specialmente per le funzioni vescovili (detentori di un importante potere nei confronti dei cittadini); si crea così un circolo virtuoso  la cattedra di vescovo era un obiettivo appetibile per coloro che volevano conservare/aumentare il proprio potere e proprio questa appetibilità fece accrescere ancor di più il potere vescovile. Su questa regione nel V secolo si insediarono i Franchi, un popolo inizialmente frammentato in una serie di tribù, privi di idee di latifondo o città, prevalentemente pagani (con qualche “macchia” di Cristianesimo ariano). Tra i IV e V secolo i Franchi subirono un processo di romanizzazione  alcuni gruppi (Franchi salii) si stanziarono all’interno dell’Impero entrando a far parte dell’esercito romano e combattendo contro altri gruppi germanici (crollo del limes del Reno vs Vandali e Alani; 451 vs Unni) divenendo presto una delle componenti fondamentali dell’esercito romano. Il potere dei Franchi va di pari passo con il lento declino del potere imperiale (sulla stessa Gallia ad esempio). Due figure chiave si succedettero come re dei Franchi di Tournai (una delle regioni della Gallia) e completarono sia l’unificazione del regno sia la sottomissione della Gallia:  Childerico  fu fautore del passaggio dei Franchi da combattenti dell’esercito romano ad autonomi protagonisti politici; egli combattè contro i Visigoti, connotando questa battaglia come una lotta contro i Visigoti ariani.  Clodoveo  succeduto al padre nel 481, Clodoveo operò un’espansione militare su tutta la Gallia (dove la lontananza dell’Impero orientale aveva lasciato spazio a una pluralità di domini): sottomise i Burgundi e ridusse il dominio dei Visigoti in Gallia (battaglia di Vouillè del 507) segnando la piena affermazione dei Merovingi. Nel giro di pochi anni, Clodoveo e il suo popolo si convertirono al Cristianesimo  Gregorio di Tours (vescovo della storia franca) scrisse che la moglie di Clodoveo lo mise in contatto con Remigio, vescovo di Reims, persona talmente colta ed elevata da essere paragonata a Silvestro, il papa che aveva battezzato Costantino. Remigio convertì Clodoveo, che fu seguito nella sua scelta dall’intero esercito. Questo racconto mostra da un lato la centralità dei vescovi e dall’altro l’assimilazione di Clodoveo a Costantino (il primo imperatore cristiano, modello per tutti i sovrani. L’integrazione tra Franchi e Gallo-romani si sviluppò su livelli più profondi del solo incontro tra regno e vescovi: fu l’unione delle due aristocrazie, con la creazione di un gruppo sociale che fuse i modelli della tradizione germanica e romana  aristocrazia mista, che fu alla base della grande forza del popolo franco nell’altomedioevo. Si affermò un nuovo modello di vescovo, il vescovo aristocratico, ricco e potente, e il conseguente accumulo nelle mani vescovili di risorse e funzioni. Anzitutto, il vescovo era il vertice della diocesi (centro della vita religiosa regionale); allo stesso tempo, era portatore di cultura, sia letteraria che politica (istituzioni romane)  ecco che i successori del VI secolo seppero trasmettere questa esperienza ai re franchi, li affiancarono a corte e orientarono il sistema politico verso funzionamenti che ripresero modelli di tradizione romana. I vescovi erano infine ricchi personalmente, essendo esponenti dell’aristocrazia franca, ed erano ricche le sedi vescovili, grazie soprattutto alle numerose donazioni. In questo periodo l’importanza dei vescovi si accentuò sia perché i re si appoggiavano politicamente alle capacità vescovili, sia perché nel VI secolo le cattedre vescovili erano occupare da un’aristocrazia che aveva una straordinaria forza politica e patrimoniale. Oltre alle sedi vescovili, un ruolo importante ebbero anche i monasteri, nell’ampio processo di diffusione del monachesimo in Occidente  nella seconda metà del IV secolo emersero esperienze prima eremitiche, poi cenobitiche. Importante in questo caso la vicenda di Martino di Tours  figlio di un ufficiale dell’esercito imperiale, combattè in Gallia, prima di convertirsi e divenire monaco. Fu poi scelto come vescovo di Tours, dove morì nel 397 circondato da una fama di santità: già a partire da Clodoveo, i re franchi fecero di Martino un punto di riferimento dovuto all’interruzione dei meccanismi fiscali che avevano garantito gli scambi tra le diverse regioni dell’Impero. Si può considerare questo mutamento analizzando quattro diversi aspetti:  Citta  in età antica erano il centro del potere e del fisco imperiale; la fine dell’Impero allontanò le elite dalle città, il che causò una consistente diminuzione della popolazione. Tra tutte, quella che subì la trasformazione più radicale fu Roma, che col crollo imperiale e del sistema fiscale passò da 1.000.000 a 20.000 abitanti, potendosi sostenere esclusivamente con le risorse provenienti dal Lazio e dalle terre del vescovo. I centri urbani conservarono comunque molte funzioni nei confronti del territorio circostante, grazie soprattutto al potere dei vescovi, ma indubbiamente ne uscirono ridimensionati dopo il crollo del sistema fiscale romano e con la semplificazione dei circuiti di scambio  Reti di scambio  la prima grande rottura è rappresentata dalla conquista vandala della Tunisia nel 439, che interruppe l’asse fiscale che collegava Cartagine a Roma e garantiva alla capitale il regolare rifornimento di grano. Roma e l’Italia si rifornirono comunque di grano nordafricano, ma fu un flusso di tipo commerciale, non fiscale (si trattò quindi di molto meno grano e di spese più onerose per l’Impero). Infine, le produzioni africane subirono una riduzione e vengono così abbandonati laboratori e officine: da un lato l’esportazione verso Roma si era ridotta drasticamente; dall’altro l’aristocrazia tunisina non era abbastanza numerosa e ricca da poter sostenere una domanda pari a quella imperiale  Produzione  il quadro produttivo delle regioni mediterranee ed europee dei primi secoli del medioevo è segnato da una fortissima varietà e da alcune caratteristiche comuni (produzione di prodotti fondamentali, grano olio e vino). Di base, le elite non erano abbastanza ricche e numerose da poter sostenere una domanda simile a quella imperiale e sostituire il prelievo fiscale. Vi erano però una serie di differenze: la produzione specializzata era adatta al sistema romano, ma fu un fattore di debolezza in un quadro di maggiore isolamento; le aristocrazie di regioni diverse avevano ricchezze diverse; i danni delle guerre variavano di regione in regione; in alcuni regni il sistema fiscale romano sopravvisse più a lungo. L’Africa, dopo la rottura del 439, si trovò a fronteggiare un calo produttivo; nel 534 l’Impero d’Oriente riconquistò la regione e ne riattivò la circolazione fiscale; tuttavia ciò non arrestò il declino produttivo in quanto in tutto il Mediterraneo era calata la domanda e in generale tutte le aristocrazie si erano impoverite. Inoltre la conquista bizantina non aveva riattivato una circolazione nel Mediterraneo, ma aveva destinato il prelievo fiscale al mantenimento di Costantinopoli e alla sua difesa contro i Berberi. In Italia, dopo l’impoverimento dell’aristocrazia nel V secolo, la rottura maggiore si ebbe nel VI secolo con la guerra Greco-Gotica (535-553) con gli Ostrogoti e successivamente con la conquista da parte dei Longobardi. Nel Regno franco durante il VI secolo viene abbandonato il sistema di prelievo fiscale; un dato rilevante è però la ricchezza e la forte domanda dell’aristocrazia, già attesta in età merovingia e accentuata in età carolingia. Un caso diametralmente opposto è rappresentato invece dalla Britannia (rottura totale delle reti commerciali, semplificazione dei manufatti).  Contadini  rappresentavano il 90-95% della popolazione, e avevano il compito di fornire i prodotti di base destinati a garantire sia la propria sussistenza, sia lo stile di vita delle elite (oltre che a mantenere l’esercito, la popolazione della capitale e delle altre città). L’abbandono delle città portò ad un relativo aumento delle popolazioni rurali: aumentò la percentuale delle persone che abitavano in campagna, ma qui come in città vi fu un calo demografico. L’autonomia contadina era inversamente proporzionale alla ricchezza delle aristocrazie  la ricchezza delle elite costringeva i contadini a vivere come servi, salariati o coloni degli aristocratici; la condizione dei contadini medievali era comunque migliore di quella nelle villae romane o di quella futura nelle curtes di età carolingia, in quanto l’aristocrazia era più povera e di conseguenza gravava meno sulle condizioni dei contadini, che in certi ambiti (regioni particolarmente povere, come la maggior parte d’Italia) avevano una buona riserva di autonomia. A livello economico, infine, la loro condizione non mutò poiché la crisi aveva colpito settori produttivi non accessibili ai contadini, e quindi non influì in modo significativo sul loro stile di vita. L’Impero di Giustiniano: Con la stabile divisione tra parte orientale ed occidentale, Costantinopoli era divenuta il centro di un dominio che comprendeva il Mediterraneo orientale e meridionale. Nel V secolo poi assunse le funzioni di capitale dell’Impero, di pari passo con il declino di Roma e con l’allontanarsi delle minacce militari (già dopo la Battaglia di Adrianopoli, 378). Costantinopoli si pone in diretta continuità con l’Impero del secolo precedente, in particolare sotto tre aspetti:  Successione al trono  la successione imperiale non si era mai fondata su una semplice e diretta ereditarietà e nessuna norma o prassi stabile aveva mai guidato le successioni imperiali. A differenza di altri regni, come quello franco, a Costantinopoli non esisteva una dinastia imperiale e il trono rimane un obiettivo per tutti, anche per coloro che erano di umili origini. Giustiniano fu uno di questi: salì al trono nel 527 perché vi fu associato dallo zio Giustino, un militare di origine contadina che era salito al trono nel 518. La politica imperiale era quindi caratterizzata da continui scontri per l’accesso al trono che si risolvevano sulla base di concreti rapporti di forza. Nella capitale vi era una viva conflittualità politica, soprattutto all’interno dell’ippodromo, dove le associazioni sportive (verdi e azzurri ad esempio) potevano diventare strutture di pressione politica e causare rivolte urbane.  Burocrazia  a differenza che in Occidente, qui si conservò la distinzione tra incarichi militari e civili, che impedì la creazione di troppo potere nelle mani di un solo funzionario. Dal punto di vista amministrativo, lo Stato viveva sulla relazione tra la corte Imperiale nella capitale e le province (centinaia di distretti in cui era diviso). Dal punto di vista militare, rimane la distinzione tra limitanei e comitatenses  Sistema fiscale  in continuità coi secoli precedenti, si prelevavano tasse sulle persone e sui loro beni. L’annona rimase la tassa principale, calcolata in base alle terre possedute e alle persone che lavoravano su esse. Il carico fiscale necessità della compilazione di una serie di documenti per accertare i patrimoni e le persone presenti (catasti), per prelevare le imposte, per obbligare al pagamento chi voleva esentarsi. La forza di questo apparato scoraggiò nel V-VI secolo i regni germanici dall’invasione imperiale. Per rendere stabili le entrate si cercò di rendere le persone vincolate alle terre, vietando loro di andarsene e trasformandole in coloni  persone giuridicamente libere ma vincolate alla terra, su cui erano obbligati a lavorare. Ciò portò a una buona stabilità finanziaria. Corpus Iuris Civilis  l’organizzazione dell’apparato burocratico richiedeva una buona formazione scolastica, specie in ambito giuridico. Questo sistema fu alla base della riforma legislativa di Giustiniano, Imperatore dal 528 al 565, che si espresse con la redazione del Corpus Iuris Civilis, un Codice civile unitario e coerente. Esso è formato da quattro testi:  Codex raccolta delle principali leggi romane da Adriano (II secolo) al 529. Giustiniano affida questo compito ad una commissione guidata da Triboniano.  Digesto  chiamato anche Pandette, fu presentato dai giuristi di corte nel 533 ed è una raccolta organizzata di scritti di giuristi  Istitutiones  testi destinati all’insegnamento scolastico del diritto  Novellae  pubblicate nella seconda parte del regno di Giustiniano, contengono le nuove disposizioni Imperiali, emanate dopo la pubblicazione del Codex. Il Corpus Iuris Civilis nasce prima di tutto da un esigenza pratica, quella di risolvere le contraddizioni e le sovrapposizioni per una massima chiarezza del diritto; da questa esigenza si arriva però a una ridefinizione del diritto e delle sue fonti. Dal punto di vista militare, Giustiniano si pose l’obiettivo di riconquistare l’Occidente e riunificare l’Impero. Ciò fu possibile grazie alla tranquillità del confine persiano, che permise di stanziare truppe per altri scopi, e alla politica fiscale, che garantì una buona stabilità economica. Grazie a questa stabilità economico/politica, Giustiniano garantì la tutela dei mari e della navigazione nei confronti di una pirateria organizzata. Per fare ciò ebbe bisogno di una flotta imperiale consolidata, che divenne a sua volta uno strumento di conquista verso l’Occidente. Tra 533-534 il generale Belisario sconfigge i Vandali in Tunisia  questa vittoria garantì la sicurezza marittima e permise a Giustiniano di riprendere il controllo sulle produzione cerealicole che avevano garantito sostentamento a Roma. Ben più difficile fu la campagna contro i Visigoti in Spagna e soprattutto la Guerra Greco-Gotica  tra il 535 e il 553 le truppe imperiali furono impegnate in questa guerra contro gli Ostrogoti in Italia: le armate bizantine, guidate da Belisario, attaccarono dal Sud, conquistando la Sicilia e risalendo pian piano la penisola fino al 540, dove conquistarono Ravenna e si arrivò a una divisione dell’Italia, con le regioni a Nord del Po’ riservate agli Ostrogoti. Questo equilibrio si ruppe quando Totila salì sul trono italico  nuova campagna militare, grazie all’appoggio dell’aristocrazia senatoria, alla quale Giustiniano rispose sostituendo Belisario con Narsete, che partendo dalla Dalmazia, riconquistò la penisola nel 553. I danni umani e materiali in Italia erano esorbitanti; a tal proposito Giustiniano nel 554 emanò la Prammatica sanzione, una norma destinata a ristabilire le condizioni precedenti al regno di Totila, soprattutto per quanto riguarda i possessi. Inoltre ricostituì un governo imperiale sull’Italia, organizzato attorno all’esarca di Ravenna (Ravenna non fu una scelta casuale, riprese la funzione di residenza regia e capitale che aveva avuto sotto Teoderico). La fragilità del dominio imperiale in Italia emerse con chiarezza quando nel 568 i Longobardi I Franchi  lungo il VII secolo, il regno franco occupava circa l’attuale Francia e la parte Occidentale della Germania. I Merovingi non avendo una capitale stabile, si spostavano continuamente da un palazzo all’altro. Il fondamento principale del potere merovingio era il legame con l’aristocrazia: un legame solido, tale per cui l’aristocrazia franca non era disposta ad accettare un re che non fosse della dinastia merovingia (dinastia diversa da ogni altra presente nel regno). All’interno dell’aristocrazia franca, nel regno di Austrasia, crebbe la famiglia dei Pipinidi/Carolingi  nei primi anni del VII secolo, nel contesto delle lotte per il potere interne alla stirpe merovingia, Arnolfo di Metz e Pipino di Landen (leader dei due clan aristocratici principali) si allearono per appoggiare l’ascesa al trono di Clotario II, che fece di Arnolfo il vescovo di Metz e di Pipino il maestro di palazzo del regno d’Austrasia. Dal matrimonio tra la figlia di Pipino e il figlio di Arnolfo nacque un sistema parentale potentissimo, i Pipinidi/Carolingi. Maestro di palazzo (maiordomus) in ogni regno franco, era il punto di potere più alto al di sotto del re: era il capo della corte regia, coordinava la vita politica attorno al re e metteva in atto le decisioni regie. La forza dei Pipinidi si espresse con chiarezza nei momenti in cui un suo esponente (come Carlo Martello) ricoprì contemporaneamente le cariche di maestro di palazzo nei diversi regni della dominazione franca, garantendone la fondamentale unità. Non era possibile prendere direttamente il controllo del regno  vicenda di Grimoaldo: era un esponente dei Pipinidi che nel 656 esiliò il merovingio Dagoberto e fece incoronare il proprio figlio Childeberto; si trovò così a scontrarsi con l’opposizione dell’aristocrazia franca. Alla fine, Grimoaldo fu sconfitto e giustiziato, a testimonianza del fatto che l’aristocrazia franca fosse altamente fedele ai merovingi, unici possibili re di Francia. I Pipinidi si mossero partendo dall’aristocrazia franca (in particolare quella Austrasiana) legando a sé per via clientelare le maggiori famiglie austrasiane, un’area dominata da aristocrazie ricche di terre e a forte orientamento militare. La loro capacità di coordinamento dell’aristocrazia si tradusse in forza armata, in una capacità militare di agire autonomamente. La centralità della componente bellica emerge già nella figura di Carlo Martello (Martello  piccolo Marte) e nella sua più celebre impresa, la battaglia di Poitiers del 732 dove sconfigge una spedizione proveniente dalla Spagna islamica. Non fu una vittoria determinante, mise probabilmente fine a incursioni e saccheggi, ma gli storici del tempo esaltarono questa impresa come momento fondamentale per salvare il regno dalla minaccia islamica. Carlo Martello non fu mai re: fu suo figlio, Pipino III (“Il Breve”) a deporre gli ultimi Merovingi e a salire al trono nel 751. Non si trattava di “re fannulloni”, ma indubbiamente si trattava di re indeboliti  i Merovingi, sicuri dell’appoggio aristocratico, non si impegnarono mai a costruire un rapporto con l’aristocrazia, cosa che invece fecero i Pipinidi. La capacità prospettica dei Pipinidi anche oltre il confine franco si può infine osservare nell’appoggio offerto da Carlo Martello e Pipino il Breve alle missioni di Wynfrith  era un monaco originario del Wessex, che papa Gregorio II nominò vescovo (Bonifacio) e inviò come missionario nelle regioni orientali della Germania, dove operò tra il 722 e 754 (anno del martirio). L’appoggio dei Pipinidi mette alla luce l’apertura verso territori orientali, la tutela delle Chiese (e loro espansione) e collegamenti indiretti con il vescovo di Roma (Pipinidi e papato convergevano sotto la protezione di Wynfrith) che diventeranno una stabile alleanza in seguito al colpo di Stato che portò Pipino il Breve sul trono. Terre  le campagne altomedievali avevano una bassissima densità di popolazione; il territorio era dominato dai boschi, al cui interno si aprivano le radure che accoglievano i villaggi e i terreni coltivati (più raro era l’insediamento sparso di singole abitazioni). La forma di insediamento più comune era il villaggio  nucleo di case contadine attorno a cui si sviluppavano le principali risorse agrarie: orti e colture specializzate nelle immediate vicinanze, cereali e pascoli più lontani. La divisione tra campi e pascoli non era una separazione di terreni, ma un’alternanza di uso delle terre  infatti il modo più efficiente per concimare la terra era quello di utilizzarla periodicamente come pascolo, per cui si utilizzava la rotazione biennale: ad anni alterni, metà delle terre erano sfruttate da pascolo e metà erano coltivate, per poi invertirle l’anno successivo. Data la specializzazione delle terre, è normale pensare che la terra di una singola famiglia contadina non fosse concentrata in un singolo settore del territorio del villaggio, ma fosse frammentata, a coprire le diverse esigenze economiche della famiglia. All’esterno dei campi si trovavano vaste distese boschive e incolte, che erano altamente sfruttate per la legna (principale materiale edile e fonte di riscaldamento), si raccoglievano frutti, si allevavano gli animali (maiale in primis) si cacciava e si pescava. Era l’insieme dei beni comuni, gestiti e sfruttati dalla collettività. Occorre però distinguere tra nemus (bosco non coltivato ma antropizzato, vissuto) e silva (la foresta, i boschi lontani e inaccessibili usati di rado da aristocratici e re per cacciare). In tutte le regioni d’Europa convivevano grandi e piccole proprietà, e questa distinzione aveva un impatto importante sulla società: dove la grande proprietà era dominante, re e aristocratici avevano un maggior potere sulla società circostante poiché i contadini, per sopravvivere, erano costretti a coltivare le terre dei potenti e a dipende dalle loro concessioni. Tra VII e VIII secolo si sviluppò una nuova forma di gestione delle grandi proprietà fondiarie (dapprima in ambito franco, poi in tutta Europa, di pari passo con l’espansione carolingia), la curtis  si trattava di un insieme di campi, prati, case e diritti dispersi in molti villaggi diversi, inframmezzati alle terre di altri grandi e piccoli proprietari. Era un’unità gestionale (non fisica o territoriale) di centinaia di appezzamenti più o meno grandi, dispersi in diversi villaggi, a volte distanti molti chilometri dal centro. Ciò permetteva al proprietario di garantirsi culture specializzate e diversificate e soprattutto di essere una figura importante in molteplici villaggi, dove molte persone dipendevano dalle sue concessioni di terra. La curtis era divisa in due parti:  Dominicum  parte gestita direttamente dal proprietario (dominus), spesso tramite un proprio agente  Massaricium  parte suddivisa in terre date in concessione ai contadini liberi, che ottenevano un manso (parte di terre e prati sufficienti a mantenere la famiglia). In cambio, il massaro aveva una serie di obblighi nei confronti del proprietario (censo in denaro, quota di prodotti e sempre una serie di corvées  giornate di lavoro) Questa divisione aveva una precisa logica gestionale  le corvées garantivano infatti al proprietario un afflusso sul dominicum di abbondante manodopera nei periodi dell’anno in cui serviva maggiormente (aratura, mietitura, vendemmia) lasciando alla più ridotta manodopera servile la gestione delle terre nei momenti meno intensi  nel sistema curtense, i contadini usavano il proprio lavoro per pagare i censi e il signore usava la terra per pagare la manodopera stagionale sul dominicum, che era evidentemente il centro della curtis. Tale sistema aveva limiti importanti (uno su tutti la rigidità degli obblighi dei massari, che non si adattavano agli andamenti dei raccolti  talvolta poca manodopera, talvolta troppa), ma nel complesso la curtis era un sistema rigido  ogni cambiamento del dominicum comportava una serie di riassestamenti nella distribuzione della manodopera e negli obblighi dei contadini. La distinzione tra dominicum e massaricium corrisponde a quella tra servi (che lavoravano stabilmente sul primo) e liberi (che ottenevano le terre del secondo). A differenza degli schiavi romani, i servi (seppur non liberi) erano considerati parte della comunità e potevano ricevere terre in concessione. In molti casi si realizzò uno squilibrio tra un’abbondante manodopera servile e la disponibilità di terre del massaricium, per cui si scelse di affidare mansi a famiglie servili (che non diventavano libere); questa mobilità e frammentazione delle terre fece si che ci si potesse trovare di fronte a condizioni giuridiche molto diverse: liberi proprietari che coltivavano la propria terra; liberi che coltivavano un manso; servi che coltivavano un manso, e che erano sottoposti a obblighi più pesanti dei vicini liberi; liberi che, costretti dalla fame, avevano accettato di coltivare un manso servile, con i connessi obblighi; servi che lavoravano nel dominicum signorile. Non tutti erano servi; chi era servo lo era personalmente  chi era massaro era legato al signore da un contratto (scritto o orale); chi era servo, era proprietà del signore. Essere libero invece significava essere suddito del re, avere diritto alla sua protezione e alla sua giustizia. Capitulare de villis  “Legge sulle curtes” emanata da Carlo Magno. Questa legge è riferita alle sole curtes di proprietà regia e descrive come dovrebbe funzionare una curtes. Non è quindi un modello universale, perché non è riferita a tutte le curtes, e non impone un funzionamento preciso, ma indica quello che dovrebbe essere l’andamento della curtes. Queste aziende non erano autosufficienti, tuttavia vi era la volontà di un’indipendenza economica. Le fonti invece attestano la presenza di mercati settimanali in cui confluivano i prodotti delle curtes verso le città, e quindi della presenza di scambi commerciali locali. Il commercio era molto debole, ma non assente  la rete commerciale trovava il proprio centro nelle curtes (si producevano i prodotti) e nelle città (si vendevano i prodotti delle curtes); talvolta la stessa curtes diventava centro di mercato. In questo quadro commerciale si inseriscono le Abbazie (Bobbio in Italia, Saint-Denis in Francia) che erano in grado di accumulare e convogliare verso i mercati masse imponenti di grano o vino, diventando esse stesse il motore portante di questi mercati. La moneta  la circolazione di beni prodotti nelle curtes deve essere inserita in un più ampio contesto di scambi e circolazione monetaria. La coniazione monetaria romana (oro, argento, bronzo) fu sostituita dal sistema monetario carolingio: base di riferimento era la libra, una libbra di argento di circa 400 grammi divisa in 20 solidi, a loro volta divisi in 12 denarii. Libra e solidi erano puri valori di mercato; l’unica moneta effettivamente coniata fu il denarius (15-20 euro attuali) che verrà utilizzato soprattutto per i commerci e acquisti via terra, non per gli scambi quotidiani. Con la nuova moneta si ampliarono gli spazi commerciali e nell’VIII secolo l’espressione economica più rilevante è il coinvolgimento dell’Inghilterra e dell’Europa settentrionale, in un sistema che si stava polarizzando attorno al regno franco. Molte parti d’Italia continuarono a far parte dell’Impero, ma il controllo imperiale era discontinuo a causa delle esigenze fiscali e delle tensioni militari. Costantinopoli rimase in possesso di gran parte delle coste , importanti perché garantivano un collegamento tra capitale e province italiane. L’Italia era periferica rispetto all’Impero, ma al suo interno aveva ancora zone d’interesse, come Roma (prima capitale e tutt’ora unica sede patriarcale occidentale) e Ravenna (capitale imperiale nella tarda antichità, residenza per l’esarca e infine contese a Roma il ruolo di centro dell’Italia imperiale). Papa Gregorio Magno (590-604)  discendente di una famiglia aristocratica senatoria, aveva un altissimo livello culturale e straordinarie capacità politiche ed amministrative. Fu uno degli ultimi ad occupare il ruolo di praefectus Urbis (funzionario imperiale incaricato di governare da Roma gran parte d’Italia), prima di diventare vescovo di Roma. Gregorio e i suoi successori si ritrovarono a dover rifondare il ruolo politico della città  la debolezza dell’Impero fu per i vescovi di Roma un’opportunità interessante, un vuoto di potere che permetteva di agire su piani politici ed amministrativi. In questi secoli tutti i vescovi erano figure centrali dal punto di vista religioso, politico e sociale: la ricchezza materiale e culturale dei vescovi, nei momenti di crisi li rendeva centro di interesse per la comunità cittadina. Gregorio usò il ricchissimo patrimonio vescovile per garantire un regolare afflusso di grano in città, agendo come tutore della comunità. Sotto l’aspetto politico, Gregorio contrattò con i Longobardi per instaurare un equilibrio tra due dominazioni che erano profondamente intrecciate dal punto di vista territoriale  Gregorio e i suoi successori vanno così a sostituire un potere imperiale lontano ed assente. Sicilia  anche la Sicilia aveva molta importanza: dopo che l’espansione araba del VII secolo aveva sottratto all’Impero l’Egitto e la provincia della Proconsolare (i due più grandi granai dell’Impero), la Sicilia venne designata come sostituta, andando a ricoprire un prezioso ruolo fiscale ed economico. Crisi del potere imperiale  tra la metà e la fine del VII secolo il controllo imperiale fu particolarmente debole e l’Impero dovette affrontare le pressioni di Avari, Arabi e Bulgari, che portarono alla perdita del Medio Oriente e del Nordafrica, fino all’assedio di Costantinopoli del 717. Una nuova crisi si delineò nel secolo seguente, quando i vescovi di Roma designarono i Franchi come protettori della Chiesa di Roma  frattura religiosa con l’Occidente. L’editto di Rotari (643)  l’Editto di Rotari è il documento che ci fornisce più conoscenze sui Longobardi (funzionamenti interni, stratificazioni, funzionamenti politici, condizioni militari); si tratta di una serie di leggi promulgate durante il regno di Rotari (636-652), un regno che estese il dominio longobardo (includendo Liguria e Veneto) e rinnovò le strutture interne, con una diminuzione del potere ducale e una nuova capacità di governo da parte dl re. Rotari, nel suo Editto, pone subito al centro la propria persona, datando le leggi secondo gli anni del suo regno e della sua vita  la legge non viene trascritta, ma promulgata, e il suo scopo è integrare le norme ed eliminare quelle superflue; non si tratta di una semplice trascrizione delle consuetudini, ma di un’innovazione di cui Rotari si proclama autore. L’Editto pone in piena evidenza l’inviolabilità del re, vede nell’attentato alla sua vita il delitto più grave; al contempo, individua nelle volontà del re ciò che distingue insindacabilmente la violenza lecita da quella illecita (nessuno potrà mai scagionare colui che il re ha condannato e nessuno potrà mai condannare chi ha agito secondo l’ordine del re). Nel prologo del testo viene rivendicata fortemente da Rotari la centralità del re e del suo pieno dominio sui sudditi  è un testo quindi rivolto a tutta la popolazione presente nel regno (no distinzioni etniche). L’Editto di Rotari ci fornisce inoltre molte informazioni sulla condizione italiana di quegli anni  a metà del VII secolo, l’Italia longobarda era una società impoverita, la cui principale ricchezza era la terra. Era un mondo dominato dall’elite militare e l’unica distinzione giuridicamente rilevante era quella tra servi e liberi. Su questa realtà si impose il potere regio, che rivendicava il potere legislativo e nell’Editto affermò la propria centralità giudiziaria. Da Rotari in poi vennero promulgate nuove leggi da diversi re (Grimoaldo, Liutprando, Ratchis, Astolfo). Il dato rilevante è che da Rotari in poi l’attività legislativa divenne un’azione normale dei re. L’espansione territoriale avviata da Rotari proseguì con Grimoaldo (662-671) che si spinse fino alla Puglia. Grimoaldo fu inoltre il primo ad ampliare l’editto di Rotari con un piccolo gruppo di nuove leggi, mostrando come l’Editto fosse l’espressione di una tendenza al rafforzamento regio. Lungo il VII secolo emerse la tendenza dinastica  il titolo di re restava sempre elettivo, ma la discendenza divenne uno degli elementi per poter ritenere valido o meno un candidato. Il regno di Liutprando (712-744) può essere considerato un punto di svolta, in quanto si rafforzarono le tendenze dinastiche  egli succedette al padre Ansprando, e lo stesso Liutprando riuscì a trasmettere la corona al figlio Ildebrando, che venne però deposto dopo pochi mesi. Il regno di Liutprando fu particolarmente lungo, durante il quale sottomise i ducati di Spoleto e Benevento, conquistò per un breve periodo Ravenna e portò le sue truppe di fronte alle mura di Roma. Liutprando fu poi colui che ampliò in modo più significativo l’Editto di Rotari, con più di 150 leggi, i cui contenuti fanno emergere una chiara ideologia cattolica, con la volontà di estirpare usanze pagane e proteggere le chiese. Ciò non bastò per creare un rapporto di collaborazione con i vescovi a causa soprattutto della conflittualità tra area longobarda ed area imperiale. Importante fu l’istituzione dei gastaldi  erano funzionari incaricati di gestire il patrimonio del re, ma ebbero un impatto anche politico, in quanto il re poteva disporre di una rete di funzionari dispersi nel regno che andarono a creare un contrappeso al potere dei duchi (seppur privi di potere giurisdizionale). I gasindii erano invece i fedeli armati, attestati al seguito di duchi e altri potenti: gastaldi e gasindii andarono a costituire una rete di fedeltà raccolta attorno al re, divennero rappresentanti del re (un compito mai assunto dai duchi). Durante l’VIII secolo, Longobardi e Romani si erano completamente integrati e non era possibile nessuna distinzione etnica  si evince dalle leggi promulgate da Astolfo nel 750 in cui non si fa riferimento ad una distinzione etnica. Nel 751 Astolfo conquista Ravenna. La caduta del regno  a metà dell’VIII secolo l’equilibrio tra Franchi, Longobardi e Papato si ruppe definitivamente: il Papato creò un’alleanza coi Franchi (protettori delle Chiese romane) che si concretizzò in due spedizioni:  Nel 754 Pipino il breve scese in Italia, sconfisse Astolfo e tolse ai Longobardi la regione di Ravenna, consegnandola alla Chiesa di Roma  Nel 774 il figlio di Pipino, Carlo Magno, sconfisse di nuovo i Longobardi, depose il re Desiderio annettendo l’Italia centro-settentrionale al dominio franco. Carlo si proclamò rex Francorum et Langobardorum. Il regno d’Italia sarà una delle più grandi parti dell’Impero Franco, e Pavia ne rimase la capitale fino all’XI secolo. L’Impero Carolingio: Tra VII ed VIII secolo in Francia si affermarono i Pipinidi, con una serie di azioni che culminarono nell’incoronazione di Pipino III nel 751 (dopo aver deposto Childerico III). Gli “Annali del Regno dei Franchi” narrano che i grandi del regno avevano mandato due ambasciatori a Papa Zaccaria per chiedergli se fosse bene che i re dei Franchi non avessero alcun potere reale; il Papa rispose che doveva essere chiamato re chi effettivamente aveva il potere, e di conseguenza i Franchi individuarono in Pipino il re. La narrazione pone quindi l’intervento papale prima dell’incoronazione, quasi a legittimare l’azione di Pipino. In realtà fu l’aristocrazia ad attuare la sostituzione regia  Childerico fu rinchiuso in un monastero, gli fu tagliata la chioma (simbolo della sua forza) per poi procedere all’unzione del nuovo re, Pipino, da parte del monaco Wynfrith (rito che riprendeva il modello biblico dell’unzione di David). L’intervento papale probabilmente giunse dopo, ad approvare ciò che era avvenuto. Pochi anni dopo, nel 754, papa Stefano II dovette prendere atto che l’impero di Bisanzio non era più in grado di offrire un efficacie sostegno e che Roma doveva trovare un nuovo protettore  i Franchi diventarono così protettori della Chiesa di Roma e Pipino venne nominato patricius (protettore della Chiesa di Roma). Immediatamente, Pipino scese in Italia nella spedizione contro i Longobardi di Astolfo, che avevano conquistato l’Esarcato (regione di Ravenna). Pipino sconfisse Astolfo, fece restituire le terre al papato e tornò in Gallia. Ciò non creò un clima di ostilità contro i Longobardi  nel 768 infatti, alla morte di Pipino, la vedova Bertranda e i figli Carlo e Carlomanno avviarono una politica matrimoniale con i Longobardi e i Bavari. Questo equilibrio si ruppe molto velocemente, quando nel 771 (morte di Carlomanno), Carlo avviò una politica di espansione, rompendo i rapporti di amicizia con Bavari e Longobardi. Carlo Magno  la tradizione politica franca prevedeva che il trono fosse considerato come parte del patrimonio del re, e che fosse diviso tra tutti i suoi figli. Nonostante ciò, per varie vicende, per oltre un secolo in Francia assistiamo alla presenza di un solo re (Pipino, poi Carlo, infine Ludovico il Pio). Carlo, rimasto unico re, in pochi anni avviò una campagna di espansione vastissima, che gli meritò l’appellativo di “Magno”, e che lo portò a costituire un dominio comprendente (attualmente) Francia, Belgio, Olanda, Germania, Svizzera, Austria e Italia centro-settentrionale. La conquista più importante fu quella del regno Longobardo, sia per potenza militare sia perché permise ai Franchi di allacciare un importante rapporto col papato. Di per sé, la conquista non fu difficile, e dopo un lungo assedio il re Desiderio venne sconfitto e portato in Francia. Carlo Magno si intitolò Rex Francorum et Langobardorum, conservò la capitale a Pavia e assimilò progressivamente riscuotere tasse e amministrare la giustizia. Non era una concessione di potere ma veniva definito uno spazio inviolabile in cui il potere dei funzionari del re era limitato. Per quanto riguarda la giustizia, la Chiesa immune doveva consegnare al re il soggetto da giudicare; dal punto di vista fiscale rappresentava invece una notevole esenzione. Ma la simbiosi ideologica tra Chiesa ed Impero aveva anche un profondo valore culturale  gli intellettuali che si riunivano alla corte di Carlo Magno e Ludovico il Pio collaborarono a costruire la memoria del popolo franco e della dinastia carolingia, al pari delle chiese solidali con il potere imperiale. Le stesse leggi carolingie furono prodotte dagli ecclesiastici attivi alla corte imperiale, e sono state tramandate solo grazie all’opera di conservazione e compilazione condotta nelle chiese vescovili. E’ importante sottolineare che ad Aquisgrana convergevano uomini da tutta Europa, non solo provenienti dall’Impero (es: Paolo Diacono dall’Italia, scrisse varie opere per la corte di Carlo Magno, e una volta tornato in Italia scrisse dei Longobardi, facendo confluire nel suo testo la memoria longobarda e la cultura carolingia). Fondamentale per la cultura di corte fu la lingua latina, ma l’avvento delle lingue volgari nel IX secolo portò al concilio dell’813 che imponeva ai chierici la traduzione delle opere dal latino al volgare germanico per facilitare la lettura ai fedeli  842: giuramento di Strasburgo in cui Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico si cambiano giuramento nelle rispettive lingue. Dall’Impero ai regni  per gran parte del IX secolo, la continuità da Pipino III a Ludovico il Pio aveva garantito la presenza di un solo re. Il problema della divisione imperiale si pose a Carlo Magno, che nell’806 spartì il regno tra i suoi tre figli:  Carlo ottenne la parte centrale del dominio  Ludovico si insediò ad Aquitania, la parte Sud-Occidentale della Francia  Pipino ottenne l’Italia, di cui era già stato incoronato re nel 781 Nonostante la divisione in tre regni dell’Impero carolingio, si continuò a considerarlo unitario; tuttavia la morte precoce di due figli fece si che nell’814: morte Carlo Magno l’unico erede al trono fosse Ludovico si trovò a fronteggiare da un lato le ambizioni dei propri figli e dall’altro quelle di Bernardo (re d’Italia, figlio del fratello Pipino)  con la Ordinatio Imperii (ordinamento dell’Impero) Ludovico affermò l’unità dell’Impero e, rompendo con la tradizione franca di spartizione, nominò il primogenito Lotario come Imperatore ed unico erede, lasciando agli altri figli territori minori (Aquitania e Bavaria). Bernardo tentò una ribellione con l’appoggio dell’aristocrazia italiana, ma senza successo. Venne catturato ed accecato. Un ulteriore motivo di squilibrio all’interno fu nell’823  Carlo il Calvo (figlio di Ludovico il Pio) tentò di ristabilire il principio della patrimonialità del potere regio. Nell’833 Ludovico viene sconfitto a Colmar dai figli nati dal primo matrimonio (Lotario, Pipino e Ludovico), viene deposto in un solenne concilio e obbligato dai vescovi franchi a confessare i propri peccati. Il titolo imperiale passò poi nelle mani di Lotario, ma già nell’anno successivo i diverbi fraterni lo riportarono nelle mani del padre. 840: morte di Ludovico il Pio  conflitto aperto tra Lotario, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, con tre passaggi significativi:  Battaglia di Fontenoy 841  Lotario sconfitto dai fratelli  Giuramenti di Strasburgo 842  alleanza tra Ludovico e Carlo  Pace di Verdun 843  pose fine al conflitto e il regno venne spartito tra i tre fratelli (Carlo l’attuale Francia, Ludovico attuale Germania, Lotario una fascia che dall’Alsazia va fino all’Italia). Il titolo imperiale rimase comunque nelle mani di Lotario, ma ciò non stava ad indicare un’unità dell’Impero carolingio, che rimase diviso nei tre regni. La seconda metà del IX secolo fu caratterizzata dall’Incoronazione Imperiale di Carlo il Calvo nell’875 e dalla sua morte nell’877. La dinastia carolingia ai vertici del potere termina nell’ 888: morte di Carlo il Grosso, figlio di Ludovico. Negli anni successivi i Carolingi tornarono sul trono di singoli regni (es: Arnolfo in Germania) ma non furono più la dinastia dominante. La dinastia carolingia terminò definitivamente nel 987: Ludovico V, re di Francia, muore senza eredi. Mediterraneo bizantino ed islamico: La nascita dell’Islam fu innanzitutto una trasformazione religiosa, che dalla Siria alla Spagna si estese ad Oriente, fino alla valle dell’Indo- All’affermazione dell’Islam vanno inoltre collegati i processi di ridefinizione dell’Impero Bizantino. Origini dell’Islam  nella penisola araba nel tardoantico convivevano due grandi gruppi: le popolazioni urbane di città come La Mecca e Yathrib (odierna Medina) da un lato, e tribù nomadi di pastori che rifiutavano la vita urbana dall’altro. La Mecca aveva una funzione centrale, sia per questioni commerciali sia per il culto della Ka’Ba, una pietra nera di origine meteorica, meta di pellegrinaggi. Da qui partì l’azione di Maometto, nato nel 570 alla Mecca da mercanti, che nel 612 iniziò la sua vita religiosa, convinto di essere inviato di Dio e di dover invitare a una fede rigidamente monoteista. Il Corano (deriva da qara.a = declamazione) è il libro sacro dell’Islam e si differenzia da Nuovo ed Anrico Testamento per essere direttamente parola di Dio, di cui Maometto è solo portavoce. La predicazione di Maometto costituiva però una minaccia per il potere dei grandi clan della Mecca, che trovavano nei pellegrinaggi alla Ka’ba ricchezza, forza e un forte politeismo. Nel 622 Muhammad, esiliato politico, fugge a Medina. La fuga del profeta (Egira) è considerato un momento fondativo, tanto da segnare l’inizio del calendario islamico. Il passaggio a Medina fece si che attorno a Maometto si riunisse una comunità politico-militare a base religiosa, priva di distinzione etniche. Maometto potè così diventare un fattore unificante delle popolazioni arabe, e il monoteismo da lui proposto fu il collante per un efficacie coordinamento politico-militare. Nel 630 Maometto torna alla Mecca e valorizzò il pellegrinaggio alla Ka’ba, purificato dagli elementi politeisti. Alla sua morte nel 632, la religione islamica aveva assunto un ruolo guida alla Mecca e nell’intera penisola arabica. Sotto la guida dei primi califfi (i successori di Maometto) negli anni ’30 gli Arabi cancellarono l’Impero persiano, ottennero vittorie importanti contro Bisanzio e conquistarono la Siria, la Palestina e parte del Nordafrica, partendo da Alessandria D’Egitto. Nel giro di pochi anni limitarono la capacità militare bizantina, nel 698, con la caduta di Cartagine, conquistarono tutto il Nordafrica romano e nei primi anni del 700 conquistarono la Spagna visigota. L’azione militare dei califfi fu però segnata da fratture legate alla successione di Muhammad. Si contrapposero tre posizioni:  Sunniti  si rifacevano alla sunna = tradizione. Secondo loro il califfo doveva essere eletto sulla base del consenso degli anziani, all’interno della tribù di Maometto  Sciiti  seguaci di Alì (cugino di Maometto) davano la massima importanza al carisma familiare e ritenevano che il califfo dovesse essere scelto all’interno della famiglia del profeta  Kharigiti  ritenevano che il califfo dovesse essere scelto per merito, indipendentemente dalla sua appartenenza familiare. Nel 661, con l’uccisione di Alì (quarto califfo) prevalse nella maggior parte del mondo islamico l’orientamento sunnita e la funzione califfale fu assunta dalla dinastia degli Omayyadi originari della Mecca. Gli Omayyadi posero fine al califfato elettivo e conservarono il potere fino al 750; sotto di loro si completò l’espansione islamica e causò problemi di convivenza tra gli Arabi e le popolazioni sottomesse. Il califfato aveva infatti una doppia natura: da un lato il carattere etnico (dominio degli Arabi su altre popolazioni) e un carattere religiosi (affermazione dei musulmani sui non credenti). Per la prima distinzione non vi furono persecuzioni: i sudditi del califfo non islamici potevano professare la propria fede ma erano posti in una condizione giuridica inferiore, con l’obbligo di pagare una tassa specifica. La divisione interna ai fedeli islamici invece prevedeva che i nuovi fedeli, per potersi integrare, dovessero legarsi come clienti a una tribù araba. Gli Omayyadi posero il centro a Damasco (Siria) e in questa fase vi fu un’opera di commento e interpretazione del Corano, che si sviluppò in parallelo alla grande conquista di nuovi territori. L’affermazione islamica su vari territori del Mediterraneo ebbe importanti riscontri anche a livello economico, in particolare nei confronti di Bisanzio, che traeva importanti risorse per l’amministrazione e per l’esercito dalle province dell’Egitto, della Tunisia e della Sicilia. La perdita delle prime due fu un colpo pesante per l’economia dell’Impero, che dovette ridurre i suoi orizzonti politici e dare una maggiore importanza alla Sicilia, che nell’VIII secolo divenne la principale fonte di risorse agrarie per l’Impero. Bisanzio: crisi e riorganizzazione dell’Impero  Tra VII e VIII secolo, l’Impero Romano d’Oriente subì gli effetti di due nuove dominazioni, l’Islam che gli sottrasse vasti territori orientali e nel Mediterraneo, e l’Impero carolingio e la successiva incoronazione di Carlo Magno. E’ da questi anni che si può parlare di Impero Bizantino, come di un’importante dominazione regionale, polarizzata attorno all’Egeo e alla sua capitale. Alla fine del VI secolo era definitivamente crollato il grande progetto giustinianeo: i successi militari erano stati effimeri e si erano aggravate le pressione sui confini; inoltre, il lungo impegno militare aveva svuotato le casse imperiali e causato malumori all’interno dell’esercito che faticava a ricevere stipendio. Mutamenti dei poteri comitali  a partire dalla metà del IX secolo, le divisioni dell’Impero tra diversi esponenti dei carolingi indussero una profonda trasformazione nei rapporti tra i re e la grande aristocrazia, in favore di quest’ultima  in questo periodo si ridusse di molto la capacità redistributiva dei re, che però a causa di numerosi conflitti avevano sempre più bisogno dell’appoggio aristocratico. I re erano quindi più inclini a cedere alle richieste aristocratiche. La richiesta principale era la possibilità di conservare la propria funzione e trasmetterla ai figli. A partire dagli ultimi decenni del IX secolo i singoli funzionari restavano in carica più a lungo e spesso trasmettevano la loro carica ai figli. In un periodo di indebolimento regio, le cariche comitali (conti e marchesi) si confusero con i benefici vassallatici: il conte era anche un vassallo e la funzione di governare un comitato era per lui un’opportunità e una risorsa (simile al beneficio vassallatico). In questo contesto va inserito il Capitolare di Quierzy dell’877 da parte di Carlo il Calvo  definisce una procedura straordinaria per gestire i comitati nel caso in cui il conte morisse mentre il figlio era impegnato in spedizione con l’Imperatore. Si stabiliscono forme di gestione provvisoria, affidata ai parenti del conte, ai suoi funzionari, al vescovo, in attesa che giungesse la decisione imperiale. Nella prassi del tempo, il successore naturale di un conte era sempre il figlio (a meno che ne fosse impedito  lontano da casa o minorenne). Inoltre i fedeli del re, dopo la sua morte, potranno ritirarsi a vita religiosa, trasmettendo le proprie funzioni ad un figlio o parente. Stessa cosa avrebbero dovuto fare i vassalli: si conservava la distinzione tra le due parti. La stabilità delle funzioni implicò il fatto che il conte concentrasse il proprio patrimonio all’interno delle aree da lui governate  nel corso degli anni e delle generazioni, la famiglia comitale acquistava terre, fondava chiese e stringeva legami matrimoniali all’interno del distretto che governava. Ciò comportò un ulteriore mutamento  il conte era maggiormente interessato alle zone in cui concentrava le sue ricchezze, e di conseguenza era meno interessato alle zone in cui si concentravano le ricchezze di altre dinastie (come le terre delle chiese immunitarie, nelle quali i funzionari del re non potevano entrare)  allontanamento da queste aree, che nel corso degli anni porterà alla creazione di poteri locali. Vescovi e città  nel corso del X secolo un ulteriore elemento di diversificazione del territorio fu la formazione dei poteri vescovili in città  la convergenza delle comunità cittadine attorno ai vescovi costrinsero gli ufficiali regi ad allontanarsi dai centri urbani per concentrarsi sui propri possedimenti nelle campagne. Il potere dei conti era quindi discontinuo, o addirittura assente in certe aree, e in generale si era indebolito il controllo del re su tutto il territorio. Le incursioni di Saraceni, Ungari e Normanni  tra IX e X secolo si assiste ad un’intensa mobilità di gruppi armati, che dall’esterno dell’Impero carolingio partirono per una serie di incursioni e saccheggi verso Italia, Francia e Germania, fino alla conquista dell’Inghilterra. Queste incursioni furono dovute alla crisi del controllo imperiale sui territori. I gruppi armati, che agivano autonomamente, appartenevano a tre etnie: Normanni (Scandinavia), Ungari (attuale Ungheria) e Saraceni (pirati del Mediterraneo). Saraceni  gruppi etnicamente misti, impegnato in attività di saccheggio via mare, che alla fine del IX secolo si stanziarono stabilmente nelle coste settentrionali del Mediterraneo (base di Fraxinetum nella baia di Saint-Tropez) da cui partirono spedizioni di saccheggio via terra, sfruttando la propria mobilità e la debolezza dei regni di Francia e Italia. Ciò che emerge dalle fonti è la violenza e il terrore che scaturiva dalle loro azioni. Proprio la paura è fortemente attestata nel corso del X secolo e un senso di insicurezza dovuto all’insufficienza della difesa militare contro bande violente. Ungari  a differenza dei Saraceni, attraversarono le pianure europee a cavallo, e sempre a cavallo combattevano con grande efficacia, penetrando all’interno dell’impero carolingio. Questa loro efficacia militare li rese anche dei preziosi alleati: nel corso delle lotte politiche del X secolo in Italia, i diversi aspiranti al trono si allearono con gli Ungari per farli combattere al proprio servizio. Gli Ungari sfruttarono quindi le lotte interne ai regni di Germania ed Italia per saccheggiare chiese e città mal difese, e per combattere per i potenti locali, ottenendo un consistente compenso. Le incursioni ungare terminarono nel 955  battaglia di Lechfeld in cui Ottone I di Sassonia, appoggiato dall’aristocrazia tedesca, sconfigge definitivamente gli Ungari. Normanni  lo sviluppo degli scambi commerciali nel mare del Nord portarono allo spostamento di popoli scandinavi, in operazioni di saccheggio e pirateria. Questi popoli furono identificati con nomi diversi in altrettante zone diverse (Vareghi a est, Vichinghi in Britannia e Normanni in Francia). Nei primi decenni del IX secolo, i Normanni attuarono piccole incursioni di rapina sulle coste di Inghilterra e Francia. Nei decenni centrali del secolo le incursioni aumentarono di portata, con flotte di navi che, risalendo i fiumi, raggiunsero Londra nell’851 e Parigi nell’885. Alla fine del IX secolo poi, le incursioni si trasformarono in insediamenti stabili, attorno alla foce della Senna  questo insediamento fu riconosciuto e legittimato da re Carlo il Semplice che nel 911 affidò questa regione il capo normanno Rollone che diede vita al ducato di Normandia. La formazione del ducato di Normandia fu diversa dalla vittoria di Ottone I  Carlo il Semplice era più debole di Ottone, e potè ottenere la pace solo attraverso la concessione di un settore del regno. Si avviò anche in questo caso un processo di assimilazione politica e il ducato di Normandia divenne un elemento di stabilità militare, frenando ulteriori incursioni di altri gruppi di Normanni. Tra queste tre minacce armate (dovute alla debolezza del controllo militare), i Normanni furono gli unici a trasformare la propria azione militare in stanziamento politico permanente. I passaggi di queste bande armate lasciarono un segno sul piano culturale, e la paura delle incursioni rimase per molti decenni. E’ proprio dai primi decenni del X secolo che assistiamo alla diffusione dei castelli  le incursioni stimolarono la loro creazione, che però andò oltre alle incursioni e negli anni a venire divennero uno strumento a difesa non degli attacchi esterni, ma a difesa dell’azione militari di altri signori. Potere dei re  tra X e XI secolo scomparve l’attività legislativa regia, e furono del tutto eccezionali i provvedimenti di carattere generale. I re intervenivano comunque nella vita politica, ma con azioni e strumenti diversi (soprattutto attraverso i diplomi = concessioni accordate a un singolo destinatario). I re mantennero comunque una relativa centralità politica grazie alla loro capacità redistributiva, sia in termini di risorse concrete (ricchezze, esenzioni) sia per la protezione che essi offrivano a chiese ed individui. I re si limitarono ad una Constatazione attiva dei nuovi poteri signorili  i re non erano in grado di dare vita alle strutture locali del potere (poteri locali ed autonomi) ma erano comunque in grado di legittimare e promuovere gli sviluppi politici locali. I numerosi diplomi concessi a chiese e dinastie favorirono coloro che conservavano un rapporto di fedeltà con il re (venivano concessi beni materiali come terre e castelli, e beni immateriali come diverse legittimità). In linea generale, l’Impero carolingio si articolò in quattro regni: Germania, Italia, Francia e Borgogna. Borgogna  struttura politica di minor durata; si affermò nel IX secolo come territorio autonomo, controllato dai Rodolfingi. Nel 933 il loro dominio si estese alla Provenza, ma una crisi dinastica a seguito della morte di Rodolfo II permise ai re di Germania di affermare il proprio controllo sulla Borgogna, che nel 1034 passò sotto le mani del re germanico Corrado II Italia  alla morte di Carlo il Grosso (888) la penisola fu segnata da una serie di lotte per il trono, che interessò varie dinastie; l’opposizione principale fu tra i marchesi del Friuli e i marchesi di Spoleto  Berengario del Friuli fu incoronato nell’888, ma fu sconfitto da Guido di Spoleto nell’889. Mentre Guido veniva incoronato prima re (889) e poi Imperatore (891), Berengario si concentrò nel nord-est italico. Alla morte di Guido, nell’894, Berengario riprese un ruolo centrale fino alla morte nel 924. Durante il suo regno, Berengario dovette subire la concorrenza del figlio di Guido, Lamberto di Spoleto, e poi di Ludovico di Provenza: il primo morì nell’898 mentre il secondo venne sconfitto e accecato da Berengario nel 905. L’aristocrazia italiana offrì allora la corona a Rodolfo di Borgogna, che nel 924 uccise Berengario, ma venne a sua volta sconfitto e costretto al ritorno in Borgogna da Ugo di Provenza. Il regno di Ugo fu stabile: tenne la corona fino al 946, quando la cedette al figlio Lotario, il quale dovette convivere con il forte potere di Berengario II, marchese d’Ivrea e nipote di Berengario I. Nel 950, alla morte di Lotario, il regno passò nelle mani di Berengario II. Nel frattempo, le ambizioni del re di Germania Ottone I crebbero  scese in Italia, impose la propria egemonia a Berengario II e unì i regni di Germania e Italia. Germania  nel 911, alla morte di Ludovico il Fanciullo, venne scelto come re il duca Corrado di Franconia, ma il suo regno fu osteggiato dalla grande aristocrazia. Il principale avversario di Corrado fu Enrico di Sassonia, con cui il re giunse ad un accordo basato sulla reciproca fedeltà e alla non ingerenza del re nei domini del duca sassone. Nel 919, alla morte di Corrado, l’aristocrazia senatoria scelse Enrico come nuovo re. Il dominio dei re sassoni ampliò rapidamente i propri orizzonti, fino a giungere alla sottomissione dell’Italia da parte di Ottone I (figlio di Enrico) nel 951, anno in cui Ottone sposò a Pavia Adelaide (vedova di Lotario). Il pieno controllo sull’Italia da parte di Ottone non fu però possibile nell’immediato a causa del conflitto col figlio, Liutdolfo, che in Germania aveva portato al suo seguito i grandi del regno. Nel 954 però, Liutdolfo si sottomise al padre, che nell’anno successivo fermò definitivamente le incursioni ungare nella Battaglia di Lechfeld. Forte di una stabilità del regno, Ottone I scese nuovamente in Italia nel 961 e l’anno successivo ottenne a Roma la corona Imperiale. Si definì così il meccanismo di ascesa al trono: il re di Germania veniva eletto dai principi tedeschi, doveva scendere in Italia per prendere possesso di questo regno, infine giungere a Roma per ottenere dal Papa la corona imperiale. A partire da Ottone, si affermò una propria dinastia regia, che condizionò le scelte dei duchi, che nel 973 affidarono il trono ad Ottone II e nel 983 lo affidarono ad Ottone III (di soli tre anni)  assistiamo ad una continuità familiare come in età carolingia, ma solamente a vantaggio del primogenito per escludere dal trono gli altri figli del re. Ottone III pose al centro della propria ideologia la nozione di Renovatio Imperii Romanorum  rinnovamento dell’Impero Romano = il linguaggio e il cerimoniale imperiale si arricchirono di elementi tratti sia dalla tradizione occidentale che da quella bizantina, per esprimere un’idea monastica di antiche abbazie, sull’impronta di Cluny. Gli interventi di Oddone però incontrarono le resistenze delle comunità monastiche, così molte abbazie riformate non conservarono un legame con Cluny nei decenni successivi. L’innovazione principale del monachesimo cluniacense fu la creazione di una congregazione di enti religiosi che riconoscevano la propria guida nell’abate di Cluny. Non si trattava di nuove abbazie, ma di priorati, in quanti privi di abate poiché l’unico abate era quello di Cluny. Le basi della congregazione furono poste nel X secolo, ma è soprattutto nell’XI secolo che i priorati di Cluny si diffusero in tutta Europa  alla fine dell’XI secolo la maggior parte delle sedi monastiche europee si richiamavano ad una dipendenza da Cluny. Questa congregazione non fu un caso isolato, ma nessuna congregazione raggiunse dimensioni e prestigio paragonabili a quelle di Cluny. Il punto di massimo trionfo di Cluny fu raggiunto nel 1088  Oddone I, vescovo di Cluny, viene eletto Papa con il nome di Urbano II, che nel 1095 indisse la Prima Crociata. In parallelo alla crescita di Cluny , l’XI secolo fu segnato anche dalle esperienze eremitiche di:  Romualdo, che nel 1023 fondò il monastero di Camaldoli dando vita ad un movimento che, dopo la sua morte, trovò un punto di riferimento nell’intellettuale Pier Damiani  Giovanni Gualberto, che fondò nel 1035-36 il monastero di Vallombrosa, in cui la comunità viveva in una sorta di eremitismo collettivo, nettamente separata dal mondo E’ questo l’aspetto connotante di queste esperienze monastiche: non erano forme individuali di eremitismo, bensì forme collettive di gruppi che si separavano dal mondo. Parallelamente a questa dinamica di trasformazione del mondo monastico, mutò anche il ruolo dei vescovi nei rapporti con la società e i poteri circostanti  con la fine dell’Impero si affermò il loro pieno controllo politico e sociale sulle città, fondato sui legami tra vescovo e cittadini, sull’allontanamento dei funzionari del re dalle città stesse e su specifiche concessioni (diplomi) regie  caso concreto: concessione di Ottone I al vescovo di Parma nel 962, in cui Ottone gli assegna tutti i beni fiscali, compresi nella città e nel comitato, le mura, ogni diritto di prelievo in città e per una fascia di tre miglia attorno, il potere sugli abitanti della città. Ciò non significava che il vescovo assumesse la funzione di conte, perché i poteri erano concessi e non delegati. Tra X e XI secolo, in età ottoniana soprattutto, molti vescovi ottennero simili diplomi poiché si era indebolito il vincolo tra re e funzionari  i conti avevano dinastizzato la propria carica e il re non poteva concretamente opporsi; potevano invece opporsi nelle successioni dei vescovi imponendo propri candidati. In caso di conflitti locali o conflitti tra re e conte, quindi, il re poteva ridurre l’autorità del conte in favore del vescovo, che costitutiva un potere affidabile per il re grazie ai profondi legami con la città e i ceti eminenti. Dopo Enrico II (fine età Ottoniana) le concessioni regie si attenuarono, anche a seguito dei mutamenti legati alla Riforma. 3. Poteri locali e poteri regi tra XI e XIII secolo Una spinta importante per una riforma della Chiesa nell’Europa medievale venne anche dai vescovi, impegnati nella riorganizzazione delle loro diocesi  recupero delle sostanze e diritti dati in beneficio sui quali si era perso il controllo. In questa fase della riforma, il papato fu sostenuto dall’Imperatore e dalla sua curia formata dai principali vescovi del regno di Germania, in particolare da Enrico III, incoronato imperatore nel 1039, che si pose come garante di un processo di riforma generale della Chiesa. Quando Enrico scese in Italia, a Roma erano stati eletti tre papi  dopo un primo tentativo di appoggiare uno dei tre contendenti, Gregorio VI, Enrico III decise di deporre i tre papi e nel 1046 a Sutri impose come candidato il vescovo di Bamberga, eletto papa col nome di Clemente II  inizio di una lunga serie di Papi tedeschi, provenienti dalla cerchia dei chierici imperiali, dai fedeli del re e dai suoi consiglieri: tutti personaggi impegnati e diffondere una profonda riforma del clero, impostata soprattutto sulla lotta  alla simonia  vendita e alienazione di cose sacre (beni delle chiese o cariche ecclesiastiche). Deriva da Simon Mago, un samaritano che esercitava magia e chiese a Pietro e Giovanni di vendergli il potere di imporre lo spirito santo: viene condannata la pretesa di valutare con un metro umano (il denaro) un oggetto invalutabile come lo spirito santo. La vendita delle cariche era pero una pratica diffusa tra i potenti del tempo, e i vescovi non ne erano esenti: pagare per la carica era una forma di ringraziamento per chi l’aveva assegnata e di investimento per chi l’aveva ricevuta.  al concubinato del clero  semplice convivenza con una donna al di fuori del matrimonio. Queste coppie, spesso con figli, erano in grado di assicurare agli eredi cariche ecclesiastiche  è questa prassi ad essere presa di mira. Simonia e concubinato vennero severamente condannati in tutte le sinodi provinciali, dal concilio di Pavia del 1046 in poi. In particolare nel 1049, nel concilio di Reims, si arrivò ad un processo pubblico, in cui molti vescovi furono denunciati e deposti (es: vescovo di Langrès), mentre altri preferirono confessare subito. La confessione spontanea, anche se evitava la deposizione, portava comunque all’abbandono della sede e della carica di vescovo. Si ponevano le basi di un primato del papa di Roma sulla sorte dei vescovi, che potevano essere rimossi per indegnità e immoralità. Pataria  Milano fu sede di un conflitto tra i riformatori, chiamati patarini, e il clero locale. Lo scontro fu aperto dalla contestazione del clero corrotto da parte di un chierico minore, Arialdo, che riuscì a trascinare una parte del clero in una sollevazione violenta contro i preti giudicati indegni. Arialdo non denunciava solamente i costumi dei preti indegni, ma sosteneva la nullità dei sacramenti da loro impartiti, invitando i fedeli a disertare le loro chiese. I patarini tennero in sacco la Chiesa di Milano per decenni, contrapponendosi al clero maggiore, cacciando i preti indegni dopo aver confiscato i loro beni e costringendo gli ecclesiastici milanesi a giurare un “editto di castità” redatto da Arialdo. Il movimento continuò anche dopo la morte di Arialdo, forte dell’appoggio di papi riformatori. L’eccessiva violenza contro le chiese milanesi però portò il papato ad allontanarsi gradualmente dai patarini, che subirono la reazione dell’alto clero milanese. In particolare, la negazione del valore dei sacramenti impartiti dai preti indegni era ambigua, poiché implicava una svalutazione della natura divina dei sacramenti, che potevano essere macchiati dalla persona fisica del prete. La questione si risolse con l’affermazione che i chierici dovessero essere giudicati solo da altri uomini di chiesa (anche se in difetto), e in ogni caso i peccati del clero non intaccavano la sacralità dei sacramenti. Scisma d’Oriente del 1054la questione dell’unità della Chiesa si pose attorno al 1053, in occasione di una nuova diatriba con il patriarca di Costantinopoli. In realtà già da secoli le due chiese seguivano riti e credenze diversi, inoltre la Chiesa di Roma guidava la cristianità come una monarchia, e non poteva sbagliare (lettera di Papa Leone IX contro Michele Cerulario, patriarca bizantino che invitava i latini ad abbandonare pratiche quali la comunione con il pane azzimo). Michele Cerulario viene scomunicato da un’ambasciata guidata da Umberto di Silvacandida, monaco francese inviato da Leone IX, che formalizzò la rottura con la Chiesa di Roma. La rottura rafforzò la convinzione che solo il vescovo di Roma, il Papa, fosse depositario dell’eredità di Pietro. Qualche anno dopo lo scisma, si pose il problema dell’elezione del Papa  in assenza di procedure certe, ogni elezione poteva essere contestata, ogni papa accusato di simonia e corruzione. Leone IX nominò arcidiacono e amministratore della Chiesa romana Ildebrando di Soana (nato nel 1024) intellettuale e grande sostenitore del rinnovamento delle chiese locali, che impose come nuovo papa il vescovo di Firenze Gerardo, che a Siena viene nominato Papa col nome di Niccolò II. Il nuovo Papa presentò a Roma nel 1059 un diverso sistema di elezione del Papa, che limitava il voto ai soli cardinali – vescovi, escludendo i laici e l’Imperatore. E’ in questo contesto che venne eletto Papa Ildebrando di Soana, con il nome di Gregorio VII Gregorio VII sotto il suo governo si raggiunse la fase di massimo conflitto tra la Chiesa di Roma e i poteri laici ed ecclesiastici dell’Impero, a causa del progetto gregoriano di inquadrare la società e i poteri laici ed ecclesiastici in una gerarchia al cui vertice era posto il Papa. Ildebrando era intervenuto in tutte le battaglie per la riforma dell’XI secolo. Una volta diventato Papa nel 1074 la sua azione riformatrice del clero proseguì. Dovette fronteggiare però accanite resistenze, in particolare contro i decreti che prevedevano una severa repressione di simonia e nicolaismo (a Roma una parte del clero preferì rinunciare ai voti piuttosto che interrompere le proprie relazioni coniugali). In Germania le reazioni furono ancora più violente  l’arcivescovo di Brema rifiutò di obbedire ai legati gregoriani e impedì loro di convocare il concilio, faticosamente riunito nel 1074 ad Erfurt, dove il clero locale accusò Gregorio di essere eretico e sostenere dogmi folli. In Normandia il vescovo riformatore Giovanni venne preso a sassate perché aveva tentato di separare i chierici dalle donne. Sposarsi era ovunque una consuetudine accettata dal clero locale. Davanti a queste ostilità, nel 1075 Gregorio convocò un concilio a Roma nel quale negò l’investitura laica  un re o un’autorità laica non potevano concedere beni materiali, terre o cariche di vescovo ad un ecclesiastico. Come aveva fatto per la simonia, Gregorio condannò l’intervento laico come indebita intromissione nelle cose sacre. Nei successivi concili del 1078 prima e 1080 poi, Gregorio fece preciso riferimento all’investitura imperiale. Gregorio VII rivendicò per la Chiesa di Roma una centralità assoluta Dictatus papae: documento contenente 27 tesi che elencavano i poteri riservati esclusivamente al Papa. In base a questo, “solo il Papa poteva deporre un vescovo o riconciliarlo, emanare nuove leggi, dividere ed unire episcopati, spostare i vescovi da una diocesi all’altra, usare le insegne imperiali, essere omaggiato dai principi con il bacio al piede e scomunicare o deporre imperatori”. A questi poteri si aggiunge la superiorità di legge  nessuno poteva giudicare il papa, modificare le sue decisioni: il Papa non sbagliava mai. Infine, la Chiesa di Roma fu definita come “esente da imperfezioni” e comprendeva tutti i veri cattolici: chi non faceva parte della Chiesa cattolica non era considerato cattolico. Scontro con l’Impero  nel 1076, dopo la deposizione del vescovo di Milano Goffredo (accusato I cistercensi divennero degli esperti colonizzatori e dei grandissimi proprietari terrieri grazie alle innumerevoli donazioni dei fedeli. Anche sul piano politico alcuni abati divennero punti di riferimento: è il caso di Bernardo di Chiaravalle, che fu al centro delle principali vicende politiche del XII secolo (polemiche con Cluny, promozione degli ordini militari come i templari, predicazione delle crociate). L’ordine cistercense, grazie alla sua influenza, produsse uomini di potere come vescovi e papi, promosse crociate e fu impegnato in lunghe e sanguinose campagne di repressione dell’eresia in Francia.  Certosini nati nel 1084 su iniziativa di Bruno di Colonia (maestro della scuola di Reims) cercavano l’isolamento e il ritiro dal mondo. Realizzarono con maggior rigore una comunità ascetica di preghiera inseguendo l’ideale del deserto: luogo fisico senza uomini o contatti, isolato ma soprattutto difficile da raggiungere, caratterizzato dalla solitudine dell’uomo. Il modello fu proprio il monastero fondato sul massiccio della Chartreuse in Francia, a più di 1100 metri d’altezza. Al suo interno, il monastero era diviso in celle, isolate l’una dall’altra, che affacciavano su un piccolo giardino chiuso. Diversamente dai cistercensi, i certosini elaborarono un modello misto tra eremitismo e cenobitismo  il monaco viveva nella cella, dove pregava, dormiva, si faceva i pasti e meditava in silenzio. Erano escluse attività manuali, contatti esterni e nemmeno attività di carità presso i laici (il monaco doveva elevare la propria anima). L’unico momento di comunità erano i pasti domenicali. I certosini avevano un limite a tutto: numero monaci (12), numero di oggetti da tenere in cella, beni ed animali  netta contrapposizione coi cistercensi. Alla morte di Bruno nel 1101 si pose il problema di regolare la forma di vita  problema risolto da Guigo I, priore di Chartreuse, che mise insieme una raccolta di Consuetudini monastiche antiche aggiornate secondo le esigenze dell’ordine. Al pari dei cistercensi, scelsero di assegnare al capitolo generale il potere di decidere le forme di vita da adottare per tutti i monaci e di regolare la vita interna e i conflitti tra i diversi monasteri che si rifacevano a Chartreuse. Dal 1154 tutti i priori certosini dovevano fare voto d’ubbidienza al priore generale. L’inserimento dei certosini nei contesti locali fu comunque conflittuale  ciò a causa dell’interpretazione del deserto, un luogo fisico ma allo stesso tempo ideale che indicava lo spazio necessario per i certosini per mantenere l’isolamento. All’interno di questo perimetro, i certosini non ammettevano donne, lo sfruttamento dei boschi, la caccia, la pesca e il lavoro sui campi della zona. Ciò causava scontri con i signori locali che spesso erano risolti in favore dei monaci grazie alla protezione dei vescovi  Certosini e Cistercensi trovarono immediato appoggio nell’episcopato e anche nei pontefici Inquadramento religioso dei laici  tra XI e XII secolo, nella gerarchia ecclesiastica, ai laici spettava un ruolo passivo, di fedele obbedienza, consapevoli della propria debolezza carnale e della necessaria sottomissione alla guida dei chierici. La parola latina laicus indicava la parte della popolazione non consacrata a Dio. Dal X secolo si diffusero inoltre numerose metafore del mondo cristiano diviso in due: una piramide divisa per strati (laici alla base e i religiosi alla cima, a contatto col cielo, dotati di intelletto superiore) oppure si raffigurava l’umanità a forma di corpo umano, in cui i clero occupava la testa, sede della ragione e della comprensione, mentre i laici erano le membra inferiori, sottoposti agli ordini della mente ispirata da Dio. Nel Decreto di Graziano veniva poi ribadita la differenza fra la natura “regale” del clero, libero dai legami mondani, e la natura “popolare” dei laici. AI chierici spettava la preminenza nelle processioni, il diritto al mantenimento e quello di essere difesi dai laici (dipinti come rapaci ostili al clero). Il Decreto ribadiva più volte che nessun laico poteva accusare un chierico o anche solo testimoniare contro di lui in tribunale  solo un membro del clero poteva farlo. I laici non potevano amministrare i sacramenti e predicare la parola del Signore (compito che spettava ai sacerdoti). Parallelamente alla rivalutazione della funzione del sacerdote vi fu la rivalutazione dei sacramenti  il battesimo divenne necessario per l’entrata nel fedele nella comunità di appartenenza; l’eucarestia divenne il perno della liturgia della messa (vengono condannate le teorie simboliste secondo cui il rito dell’eucarestia si limitava a ricordare il sacrificio di Cristo. In realtà attraverso il miracolo dell’eucarestia, Dio trasforma l’ostia nel vero corpo di Cristo e il vino nel vero sangue di vino); attraverso la penitenza e confessione al prete il fedele riconosce di avere sbagliato, e può tornare a far parte della comunità; il matrimonio venne riconosciuto come sacramento negli anni della riforma e sottopose la vita sociale dei fedeli a un controllo rigido: non ci si poteva sposare con un parente fino al settimo grado di parentela, i rapporti sessuali erano considerati peccaminosi se compiuti al di fuori della procreazione; la morte, coi riti dell’estrema unzione e della sepoltura benedetta, fu interpretata come soglia di entrata in una nuova vita ultraterrena. Nel XII secolo si diffuse il culto dei morti  con l’invenzione del Purgatorio (terra di mezzo di purificazione delle anime) si apre un canale diretto tra vivi e morti, in cui le preghiere dei parenti, oltre che a tenere vivo il ricordo del defunto, lo aiutavano ad abbreviare le pene e aiutarlo a raggiungere il Paradiso. Ciò si ripercosse sulle volontà testamentarie dei laici: i fedeli, oltre che a pensare agli eredi, dovevano pensare anche alle istituzioni ecclesiastiche che avrebbero assicurato l’ascensione dell’anima del defunto verso il Paradiso  nasce una nuova economia religiosa (donazioni, tombe all’interno delle chiese); le chiese divennero un luogo collettivo di culto delle memorie familiari. Eresie dell’XI e XII secolo  la nascita delle eresie segnò un punto importante della Chiesa come istituzione. Eresie erano le idee, dottrine e comportamenti che in modi diversi negavano la missione divina della Chiesa, di salvezza per i fedeli. Le principali fonti sono di natura ecclesiastica: gli eretici erano indicati con vari nomi (manichei, negatori di cristo, pauperisti) usavano magia nera, adoravano il demonio e pratiche sessuali deviate. In realtà si trattava di movimenti religiosi di ispirazione monastica, che rifiutavano i sacramenti (confessione, eucarestia e matrimonio) e resistevano alle richieste economiche delle chiese  erano movimenti che attaccavano la Chiesa come istituzione, non la dottrina cristiana in sé. Le eresie del XII secolo rafforzarono questa immagine  eretici divennero tutti coloro che rifiutavano la mediazione della Chiesa, rivendicando un rapporto diretto con Dio e con lo Spirito Santo, e che rifiutavano di obbedire ai suoi precetti praticando scelte di vita religiosa vietate. La conseguenza di ciò è che vennero colpite persone che volevano semplicemente predicare il vangelo  esperienza di Valdo: Valdo/Valdesio di Lione era un mercante al servizio del vescovo riformatore di Lione, che aveva fondato una comunità di ispirazione pauperistica, dove predicava e leggeva il vangelo tradotto in volgare. Nel concilio Laterano III del 1179, Alessandro III approvò il suo voto di povertà ma gli impose di non predicare il Vangelo. Valdo rifiutò di obbedire e venne scomunicato come eretico nel 1184. In questo caso non viene colpita un’antichiesa, ma la volontà di vivere e diffondere il messaggio religioso come forma di salvezza per i fedeli. Catarismo  si trattava di sette dualiste scoperte nel 1140 in Francia, Germania ed Italia. A queste sette si attribuiva una dottrina non cristiana improntata sulla contrapposizione tra due principi, il bene e il male. Il dualismo cataro intendeva la vita terrena come una forma di purificazione continua dal corpo materiale, fino ad arrivare all’autoconsunzione e al suicidio assistito. Il catarismo, di provenienza orientale, viene definito antichiesa; si diffuse molto fortemente nei ceti urbani, tra artigiani e lavoratori che contestavano apertamente la Chiesa cattolica. Nonostante non sia riscontrata negli scritti inquisitori una così massiccia adesione al catarismo, la repressione fu violenta e colpì migliaia di persone giudicate eretiche. Ricchissima fu la legislazione antiereticale  decretale Ab abolendam di Lucio III e Federico Barbarossa del 1184 colpisce tutte le eresie senza distinzione; il vero reato è la presunzione di predicare dopo la proibizione. L’eresia è in primo luogo disobbedienza; un semplice sospetto bastava per portare una persona dinanzi al vescovo per discolparsi pubblicamente. La ricerca dei sospetti era affidata al vescovo che doveva indagare nelle parrocchie una o due volte l’anno. Il dovere di denunciare sospetti ricadeva su alcune persone degne della parrocchia (sotto la categoria di eresia veniva così ricompresa ogni forma non conforme a religione) mentre alle autorità laiche spettava l’esecuzione materiale delle sentenze. Nel 1199 l’eresia fu poi equiparata a un reato di lesa maestà, che nel diritto imperiale romano era punito con la morte. L’eretico veniva quindi scomunicato, isolato, privato di tutti i beni e della possibilità di fare testamento (morte civile). Vennero prodotte numerose metafore sugli eretici e sull’opera salvifica del clero: quella prevalente è quella del sacerdote medico che scopre la malattia (eresia) e per salvare il corpo deve tagliare la parte malata, estirparla dal corpo Le Crociate nel corso della seconda metà dell’XI secolo si assiste a un ampio processo di legittimazione della guerra da parte dei pontefici di Roma: il tradizionale pellegrinaggio verso i luoghi santi si trasformò in guerra santa, con quattro armate franco-normanne-tedesche che partirono per combattere, riuscendo a prendere Gerusalemme. Nell’ XI secolo si assiste anche al diffondersi delle Paci di Dio (chiamate tregue): assemblee di vescovi che disponevano la sospensione della violenza in nome di Dio in momenti e spazi determinati. In secondo luogo, disciplinavano l’attività bellica (era lecito combattere una guerra giusta, era lecita la violenza armata come atto di giustizia), il che diede una nuova interpretazione alle Paci di Dio, che vengono viste come una difesa dei beni delle chiese dalle rapine degli aristocratici violenti e ribelli. Questa violenza militare regolata aprì la strada ad una dimensione religiosa della guerra come Il giovane cavaliere doveva poi mostrare pubblicamente il proprio valore e la propria forza bruta, e a questo scopo venne inventata la pratica del torneo  si prestava a molteplici funzioni, per questo si diffuse così rapidamente: consentiva di mostrare il valore individuale in un combattimento singolo; era un punto di incontro per cavalieri di livello diverso e serviva al signore per affermare la sua capacità di coordinare le forze militari del proprio territorio. Dominio signorile tra X e XI secolo in tutta Europa vi fu un mutamento profondo nelle forme di potere. Protagonisti di questo mutamento furono i signori aristocratici (dinastie e chiese), pienamente autonomi dal controllo del re. Le basi fondamentali di tali poteri furono:  Terre definivano la ricchezza di una persona. La terra serviva per mantenere uno stile di vita aristocratico (cavalli, armi, abbigliamento) e per mantenere rapporti di fedeltà (la terra veniva data in beneficio). Con le donazioni di terra si esprimeva devozione nei confronti di chiese e si ottenevano preghiere per la propria anima. La terra divenne poi importate a livello sociale quando il controllo regio venne meno, soprattutto a causa della lontananza del re, e i contadini trovarono protezione nell’unico potente con cui erano in rapporto: il proprietario della terra per cui lavoravano.  Castelli edificio simbolo e base del potere signorile. Il castello fu un passaggio chiave nel processo che permise di trasformare la superiorità economica dell’aristocrazia in una forma di dominio circostante. Nella prima metà del X secolo circolarono numerosi diplomi regi che autorizzavano chiese, signori o comunità a costruire castelli, per difendersi contro i pagani e i cattivi cristiani. Questi diplomi sono molto importanti perché mostrano la presa di coscienza regia della propria incapacità di proteggere il territorio; la presenza di una violenza diffusa (incursioni e cattivi cristiani) e il riconoscimento di una legittima iniziativa militare da parte di altri soggetti. I castelli, in assenza di una protezione da parte del re, divennero quindi fondamentale strumento di difesa per la popolazione circostante, che si riunì e si sottomise in un processo che per cui la protezione garantita dal castello si poteva estendere a gruppi sempre più ampi, legati in vario modo al signore (i familiari, i servi, i vassalli del signore, i contadini che coltivavano le sue terre, e infine i vicini). Inoltre, la possibilità per i vicini di rifugiarsi nel castello fu la base per imporre loro alcuni servizi (turni di guardia, corvèes) che diede vita a un rapporto di scambio tra protezione e servizi.  Clientele dall’XI secolo si affermò la centralità della cavalleria, prima dal punto di vista militare poi da quello politico. Era di queste persone che il signore aveva bisogno: persone specializzate, equipaggiate, in grado di combattere a cavallo, di contrastare i signori concorrenti e di prevalere sui contadini male armati. Per coordinare queste bande armate i signori si servivano prima di tutto dei legami vassallatici la natura di questi legami non era variata (fedeltà in cambio di beneficio), ma si erano arricchite le sue funzioni sociali e politiche. Tra X e XI secolo i rapporti vassallatici subirono un’ulteriore evoluzione coesione gerarchizzata: coesione perché il rapporto creava un sistema di solidarietà personale che legava il vassallo al signore, il signore al vassallo e i vassalli di uno stesso signore tra di loro; gerarchizzata perché il vassallo riconosceva la superiorità del signore. Formazione dei poteri signorili  già in età carolingia, conti e marchesi collaborarono col il re per il controllo del regno (erano suoi delegati). Essi non si opposero alle spinte signorili, ma furono pienamente parte del mutamento. Nell’età successiva, l’attenuarsi della capacità di controllo regia lasciò maggiore spazio all’iniziativa autonoma delle dinastie di conti e marchesi, così come avvenne per l’aristocrazia  nella maggior parte del regno italico molte dinastie svilupparono poteri analoghi alle altre famiglie signorili; in Francia, Borgogna e Germania invece si svilupparono veri e propri principati territoriali, che nella maggior parte dei casi riprendevano molte strutture e funzionamenti del potere regio (conti di Champagne, duchi di Aquitania). In Italia conti e marchesi non riuscirono a controllare l’insieme del distretto, ma costituirono poteri signorili sulla base delle proprie terre, castelli e clientele, gli stessi strumenti delle dominazioni signorili ma su una scala più grande  spesso i conti, al vertice dell’aristocrazia locale, erano più ricchi di terre, di castelli e si potevano avvalere di più clientele rispetto alle altre signorie. Concentrandosi sulla realtà italiana, notiamo una differenza qualitativa nei titoli  i documenti fanno riferimento ai signori con il termine dominus, mentre i discendenti dei conti e dei marchesi continuavano a usare i titoli che richiamavano le antiche funzioni degli antenati (comes) per legittimare maggiormente l’esercizio del potere. L’aristocrazia e i grandi possessori si assimilarono e, partendo da punti diversi, giunsero a risultati simili  i grandi possessori imitarono i poteri pubblici, in origine detenuti dai conti, e si impossessarono del potere di giudicare, delle imposte pubbliche e del controllo militare del territorio; i conti invece imitarono la capacità signorile di fondare il potere su basi materiali come terre e castelli. Ne derivò una società rurale organizzata attorno a una moltitudine di dominazioni signorili che condividevano la capacità di unire poteri di matrice diversa: ai rapporti di dipendenza economica (come le corvèes e i censi) si aggiunsero le protezioni armate e le imposte pubbliche (fodro, albergaria). All’interno dei singoli villaggi, questi poteri e prelievi erano condivisi e spartiti tra diversi signori. Le basi fondamentali del potere signorile avevano una proiezione sul territorio molto diversa  da un lato il castello era un’efficacie forma di difesa per tutti coloro che vi vivevano abbastanza vicino per potersi riparare; il patrimonio fondiario di un signore era invece frammentato , e all’interno di un singolo villaggio coesistevano patrimoni di diverse chiese e dinastie aristocratiche, che naturalmente diedero vita a conflitti tra diversi signori, tra chi controllava un castello e chi attorno a quel castello aveva numerosi possedimenti di terra. Il tutto si risolveva molto spesso con forme di convivenza e spartizione di diritti: alcune tasse andavano al signore territoriale (= chi possedeva il castello) altre al signore fondiario (= chi possedeva i terreni). Spesso però la spartizione dei diritti era ancora più complessa, ed è attestata la presenza di singoli diritti (prelievo di una specifica tassa, controllo di determinati mulini) o la condizione giuridica si specifici gruppi di contadini. Ancor di più: i poteri signorili erano considerati come parte del patrimonio del signore, e quindi subivano gli esiti delle spartizioni ereditarie, delle vendite, delle concessioni in pegno come qualunque altro bene. Non veniva venduto l’insieme dei poteri su un villaggio, ma un singolo diritto  es: un signore vendeva i mulini che aveva in un villaggio, conservando le altre fonti di reddito e tutti i poteri giurisdizionali; i suoi tre figli si spartiscono il patrimonio e i vari diritti, ma uno dei tre potrà scegliere di vendere a una chiesa il potere di prelevare il fodro su alcuni uomini del villaggio, e così via. Le chiese  le chiese furono le principali sedi di riflessione politica in un contesto in cui la pace e l’ordine non potevano più essere garantiti dal potere regio. Erano punti di forte addensamento fondiario: i laici donavano le proprie terre alle chiese per garantire le preghiere dei monaci al fine di avvicinarli alla salvezza eterna, e lo stesso avveniva nel caso di un parente che fosse divenuto chierico. Questi patrimoni non subivano lo stesso frazionamento dei patrimoni laici, dato che non subivano divisioni ereditarie e lo stesso diritto canonico impediva alle chiese di venderli. Ciò portò ad un loro accumulo. Un altro elemento importante già in età carolingia era l’immunità, una larga esenzione fiscale a tutela dei beni delle chiese, che introduceva l’idea che gli edifici ecclesiastici non erano spazi come gli altri, ma fossero un ambito in cui gli ufficiali regi non potevano intervenire. Chiese private  enti religiosi fondati e controllati da una dinastia o da un’altra chiesa. Occorre distinguere tra:  Chiese in cura d’anime  tutti gli enti religiosi la cui finalità era quella di celebrare i culti destinati ai laici (potevano essere le grandi cattedrali cittadine così come le piccole chiese di villaggio). Nell’alto medioevo prevalsero le pievi: articolazioni della diocesi, chiese create dai vescovi e destinate a guidare la cura delle anime di alcuni villaggi. Ciò che le connotava era la presenza della fonte battesimale, che rese le pievi un passaggio obbligatorio per i nuovi nati per entrare a far parte della comunità cristiana. Al fianco delle pievi erano presenti chiese e cappelle minori prive di diritti battesimali, ma comunque frequentate, che nascevano dalla volontà del signore che le costruiva e garantiva al loro interno la presenza di chierici. L’atto di costruire e proteggere la chiesa era per il signore un modo di impadronirsi di uno dei principali centri simbolici della società  Monasteri privati  per molti monasteri, l’atto di nascita è rappresentato dall’iniziativa di un aristocratico (es: Manfredi nel 1029 fonda il monastero di S.Giusto a Susa, su una terra di sua proprietà). Il compito dei monaci era quello di pregare per la propria salvezza e per quella dei propri benefattori. Per un laico quindi, la fondazione di un monastero rappresenta un efficace modo per ottenere benefici spirituali. La fondazione aveva però anche un’importanza materiale: il monastero poteva rappresentare una riserva patrimoniale sicura per il fondatore e i suoi discendenti; poteva essere un ente a cui affidare quote della proprie ricchezza, sicuro del fatto che non avrebbe potuto alienarle, e che la famiglia del fondatore ne avrebbe sempre avuto disponibilità (grazie al controllo sulla nomina dell’abate). Questa prospettiva però non durò a lungo perché dall’XI secolo molti monasteri si svincolarono dal controllo dei laici e usarono il patrimonio per le proprie specifiche politiche. La funzione principale dei monasteri privati fu quella di preghiera per la salvezza dell’anima del proprio fondatore, che veniva estesa al suo gruppo familiare (con tanto di elenco nominale che comprendeva genitori, moglie, figli e talvolta i parenti lontani). L’atto di fondare un monastero era quindi un’azione con cui dare forma alle proprie solidarietà familiari, evidenziarne estensione e limiti. Da qui derivarono diritti e doveri del patronato (diritto a ricevere le preghiere dei monaci, a essere seppelliti all’interno del monastero; dovere di proteggere il monastero, i suoi membri, i suoi beni) che passavano in eredità ai discendenti del fondatore. La presenza di un monastero aveva però implicazioni sul piano sociale  attraverso Natura bicefala delle città  presenza di due apparati distinti: balivi o siniscalchi (ufficiali signorili che avevano il controllo militare e la giustizia alta di sangue) e i consoli che rappresentavano la parte di popolazione ammessa alla vita politica. In questo quadro politico molti principi ecclesiastici trovarono opportuno riconoscere l’esistenza di nuovi soggetti sociali ed economici che reclamavano un ruolo attivo nella vita politica. I residenti delle città chiedevano la difesa dei propri interessi e la possibilità di espandere le attività produttive, ma al contempo si riconoscevano fedeli al principe, non lo contestavano e non lo minacciavano. A loro volta i signori dovevano garantire queste sfere di autonoma organizzazione dei cittadini, limitare le pretese fiscali e premiare con dei privilegi la loro fedeltà politica. Il comando militare restava saldo nelle mani del signore. Tra XII e XIII secolo il fenomeno urbano si assestò su linee di sviluppo costanti  tutte le città furono circondate da nuove cinte murarie in pietra, intervallate da torri di guardia , porte e camminamenti per la difesa. La nuova cerchia inglobava ampie zone di terreno messo a coltivazione con vigne e orti. Le mura divennero simbolo della città, alimentarono la prima fiscalità urbana dato che tutti i cittadini dovevano contribuire a finanziare la costruzione della nuova cinta secondo i diversi livelli di ricchezza. Segnarono poi un confine più netto col territorio. Lo sviluppo economico però aumentò le differenze sociali non tutti erano liberi allo stesso modo e la popolazione urbana del XII-XIII secolo fu caratterizzata da un processo di stratificazione sociale e differenziazione tra gruppi diversi. Il comune urbano era ancora più stratificato  il ceto dirigente del primo comune formato dai vecchi funzionari signorili, fu costretto a integrare gradualmente nuove famiglie borghesi (quelle più forti economicamente). Furono essi i primi a rivendicare nel XII secolo un posto nei consigli cittadini. La ricchezza contava, ma contava soprattutto la capacità di moltiplicare i profitti. Questa elite economica conquistò così il potere nel corso del Duecento: si appropriò dei posti di comando e del controllo della vita economica della città. Per quanto riguarda i mestieri, era presente una doppia gerarchia sociale: una tra i diversi mestieri (primeggiavano mercanti e banchieri) e una tra le funzioni che venivano svolte all’interno dello stesso mestiere. Alcune corporazioni di mestiere raggiunsero elevato prestigio sociale grazie ai mezzi tecnici costosi e avanzati, ad esempio nel settore tessile, per diminuire man mano che le fasi di lavoro si facevano più pesanti. Maneggiare le cose sporche (sangue, carni, tinture) “macchiava” la persona e ne riduceva la qualità umana  viene isolato un gruppo sociale e sospetto formato dagli “infami”, persone senza diritti e senza reputazione, escluse dai tribunali, e prive di rappresentanza politica. Il salariato urbano nel Duecento fu spinto verso questa condizione di marginalità, attraverso contratti di lavoro di tipo servile: il capo-bottega poteva tenere il lavorante a tempo, licenziarlo a suo piacere e decidere autonomamente il salario. Limiti dei regni nel XII secolo  i poteri monarchici che si erano affermati dopo la fine dell’Impero carolingio mostravano una serie di debolezze che comportavano limiti alla capacità d’azione dei re: le dinastie regnanti si fondavano ancora sulle alleanze matrimoniali tra le grandi famiglie aristocratiche; si poteva quindi diventare re di una regione molto lontana, spostando l’erede di quel principato, unendo eredità diverse o imponendo un discendente sul trono vacante  trama debole e facilmente mutabile. In questa situazione mutevole, era difficile distinguere tra regni e i vicini principati; a questa mobilità dei quadri territoriali si aggiunse anche la difficoltà tecnica di coordinare sul piano feudale una miriade di signorie con obblighi e diritti diversi a seconda dei singoli signori di riferimento  nel XII secolo i re erano signori “parziali” di grandi vassalli che avevano a loro volta vassalli. Questi ultimi non erano legati al re ma avevano obblighi solo nei confronti del proprio signore. In caso di necessità, i re potevano quindi contare sui propri vassalli diretti, su alcuni grandi vassalli indiretti e poco altro. Ultimo grande limite dei regni era l’assenza di un vero apparato di funzionari pubblici  esisteva solamente un ristretto apparato burocratico in mano ad ecclesiastici, ma il loro intervento era limitato e garantiva il funzionamento della corte regia sul piano culturale e politico e non potevano diventare strumento di governo dei singoli territori. Inghilterra: da Guglielmo il Conquistatore al Duecento  Guglielmo il Conquistatore (re 1066- 1087) sbarcò in Inghilterra dalla Normandia nel 1066 e nella battaglia di Hastings sconfisse il re appena eletto, Harold. Questa invasione portò a un completo rovesciamento delle istituzioni precedenti e alla sostituzione immediata dell’elite aristocratica britannica coi baroni normanni, che si imposero come classe dominante fedele a Guglielmo. Il regno normanno conservò molte caratteristiche dell’epoca precedente, soprattutto in merito al tema della pace, da sempre prerogativa del re inglese  durante l’incoronazione, Guglielmo giurò il proprio impegno per il mantenimento dei diritti delle chiese e per governare il popolo suddito in modo giusto e attraverso leggi. Ma la situazione fu immediatamente difficile: i baroni normanni che avevano seguito Guglielmo in Inghilterra esigevano, come premio per la propria fedeltà, l’assegnazione delle terre dei nobili e una certa autonomia politica nei rispettivi possessi e un controllo sulle azioni del re. Guglielmo dovette quindi occuparsi di mantenere l’appoggio dei baroni e allo stesso tempo di rafforzare le istituzioni centrali  in primo luogo nominò un suo rappresentante in Inghilterra chiamato giustiziere (Guglielmo rimaneva duca di Normandia) un vicerè, dotato di pieni poteri in assenza del sovrano. Eliminò i conti e nominò al loro posto gli sceriffi, ufficiali pubblici incaricati di amministrare la giustizia e soprattutto di controllare le finanze delle singole circoscrizioni (shires). Tutti i liberi furono dichiarati sudditi del re e tutta la terra data in concessione ai baroni fu sottoposta ad obblighi di fedeltà militare nei suoi confronti  Guglielmo ricorse al sistema feudale per creare un nuovo ordine politico con al vertice il re: qualificare i grandi possessi come concessioni del re permetteva di legare al possesso di terra una serie di obblighi militari. Chi aveva la terra era tenuto, in quanto feudatario, a partecipare all’esercito o a fornire un equivalente in denaro. Vi fu quindi la necessità da parte di Guglielmo di conoscere quanti erano i terreni e di quante risorse disponesse il regno  Guglielmo ordinò un’inchiesta in tutte le contee inglesi sullo stato dei terreni prima e dopo la conquista: Domesday’s Book il più completo censimento medievale di uomini e di terre e del potenziale economico dei beni. Era organizzato per contee, per scenderei poi ai feudi, alle centene, alle ville e ai manor, unità base della proprietà contadina. Il piano fiscale era ciò che più interessava al re perché permetteva di tenere sotto controllo sia i baroni sia i sudditi del regno. La tensione tra questi due poli si fece sentire assai presto già sotto Enrico I, figlio e successore di Guglielmo (1100-1135) che cercò fortemente un rapporto col popolo inglese per reprimere l’arroganza dei baroni. Emanò la Carta delle libertà  ritorno alle antiche consuetudini inglesi contro quelle nuove ingiuste dei Normanni. Le nuove consuetudini erano di natura fiscale: i baroni e i loro vassalli esigevano tasse eccessive e non motivate sulla tutela dei minori, i matrimoni, la riassegnazione dei feudi dopo la morte del proprietario. Con la sua Carta, Enrico limitò il campo di azione dei baroni attraverso un controllo sulla trasmissione delle terre dei baroni (che dovevano essere riassegnate al re) e la punizione delle loro malefatte secondo legge (prima erano impuniti). Inoltre rafforzò la giustizia regia delle singole località, e insistette sulla natura feudale delle terre per costringere i baroni a contrattare col re le loro quote di potere. Alla morte di Enrico I si scatenò una guerra di successione e una serie di conflitti civili che alimentarono il potere dei baroni, che si impossessarono delle cariche pubbliche e tentarono di renderle ereditarie. Il successore Enrico II (1154-1189) pose rimedio a questo stato di violenze e sotto il suo regno la corte regia divenne un luogo di controllo e di mediazione tra la curia e i sudditi sviluppando due sistemi istituzionali:  Uno fisso, incentrato sul giustiziere e la curia regia che dovevano esprimere un consenso alle decisioni del re. Vi si aggiunse lo scacchiere, responsabile delle finanze pubbliche con potere di controllo su tutti gli ufficiali  Uno mobile e prevedeva un collegio di giudici itineranti che amministravano l’alta giustizia per conto del re nelle singole contee. Impose poi la costituzione del sistema delle giurie dei “dodici uomini saggi” nelle comunità, incaricati di giudicare i colpevoli e tenerli in custodia fino all’arrivo dei giudici regi. Il controllo della giustizia serviva inoltre a ridimensionare le pretese dei baroni sui sudditi liberi, che cercavano di assoggettare. Enrico estese la protezione regia agli eredi dei vassalli dei feudi maggiori, facilitando la successione ereditaria dei feudi minori; infine, per rendere più stabile l’esercito, ordinò ai sudditi possessori e liberi di partecipare all’esercito con un armamento proporzionale al reddito (dall’armatura completa alla semplice lancia). Sull’esempio del Domesday’s Book, Enrico usò di frequente l’inchiesta come forma di conoscenza collettiva delle situazioni del regno. A differenza di Guglielmo, le inchieste di Enrico avevano una funzione politica: distinguere i baroni fedeli da quelli infedeli, separare i ricchi dai meno ricchi e controllare i comportamenti della grande aristocrazia attraverso un aggiornamento continuo dei loro doveri. Il suo matrimonio con Eleonora d’Aquitania unì la Normandia, l’Inghilterra e l’Aquitania in una grande dominazione internazionale; il continuo stato di guerra e crescente disimpegno dei baroni nel servizio armato portarono ad una crisi del regno sotto i figli di Enrico II, accelerata dalle lotte dinastiche tra i due fratelli, Riccardo (re 1189-1199) e Giovanni Senzaterra (1199-1216); dalla lontananza dei re e dalla pressione fiscale ancora più dura dopo la perdita dei possedimenti in Normandia nel 1204. Sotto Giovanni Senzaterra, i rapporti coi baroni e la Chiesa si deteriorarono rapidamente, perché i baroni si rifiutavano di prestare servizio militare al di fuori del regno. La reazione violenta del re alienarono definitivamente i favori dell’aristocrazia militare. Dopo la sconfitta subita a Bouvines da parte di Federico Augusto nel 1214, Giovanni fu contestato dai grandi del regno, che lo costrinsero a firmare la Magna Carta delle Libertà  documento di ampie concessioni al popolo, che riprendeva le antiche libertà concesse da Enrico I, ma che si configurava come problema, risolto il più delle volte con l’emarginazione economica e spaziale degli ex infedeli, rinchiusi in quartieri etnici nelle città o relegati nelle campagne. In Spagna, i centri abitati godevano di un’autonomia protetta, in uno sviluppo armonico di competenze locali e inquadramento regio del popolamento delle regioni di frontiera  i re si trovarono davanti gruppi sociali con una precisa fisionomia politica e con una propensione a rivendicare una rappresentanza collettiva davanti agli organi regi. Città, cavalieri e nobili, mercanti si costituirono in leghe, fraternità e corporazioni  le monarchie spagnole mantennero a lungo un carattere pattizio che spinse i re fin dal XII secolo a convocare ampie assemblee dei grandi del regno, con le città e i consigli comunali: le Curie generali o Cortes che deliberavano sui grandi temi della politica regia. Germania e l’Impero  quadro territoriale più stabile rispetto ai regni vicini, con i ducati di Franconia, Sassonia, Baviera e Svevia saldi nelle mani dell’aristocrazia. Tra XI e XII secolo assistiamo ad una migrazione verso est e una crescita demografica da 4 a 8 milioni di abitanti. L’Imperatore era eletto dai grandi principi a capo dei ducati e la base del proprio potere era rappresentata dal ducato di Franconia. Dai primi decenni dell’XI secolo il problema principale dei sovrani fu quello di resistere alle ribellioni dei vassalli, in Germania come in Italia  Corrado II cercò di regolare i conflitti interni ai vassalli accentrando solo nelle mani dell’Imperatore il giudizio ultimo in caso di conflitto. Per venire incontro ai vassalli minori dovette però proteggere la stabilità del possesso del feudo e la trasmissione ereditaria dei benefici. Inoltre, la crisi col papato e lo scontro con Gregorio VII colpirono il prestigio dell’Impero sotto Enrico IV: molti principi gli si rivoltarono contro ed elessero un nuovo re, Rodolfo. Proprio sul lato delle fiducie militari gli imperatori tedeschi soffrirono maggiormente. In questo contesto di debolezza iniziò il regno di Federico I di Svevia, detto Barbarossa (1125-1190) che riuscì, in 40 anni di regno, a rendere unita la Germania dei grandi ducati. Federico, al pari di Luigi VII in Francia, fece propria la funzione di pacificatore del regno, ordinando la pace dell’Impero nel 1158; fece poi ricorso al diritto feudale per confiscare i ducati ai principi ribelli  lotta con Enrico il Leone, che fu privato dei suoi immensi territori. Ogni volta che riusciva ad entrare in possesso di un ducato, Federico lo divideva in due, diminuendo la forza dei singoli principati. Rafforzò poi la base in Franconia attraverso una grande opera di passaggio di feudi. Dieta di Roncaglia 1158  assemblea dei grandi in cui Federico, dopo aver elencato i diritti regi, stabilì che ogni potere di natura pubblica doveva provenire dal re, attraverso un’investitura formale. La legge consentiva a Federico di ordinare la restituzione al sovrano di tutti i poteri e diritti di natura regia in mani private. Usò il diritto romano per rafforzare le sue prerogative feudali  rinnovò il divieto di alienare i feudi, di venderli o dividerli, di giurare fedeltà a più signori, indurendo le punizioni contro i vassalli infedeli. Cercò di porre la figura del sovrano al vertice di una gerarchia feudale, non come sovrano assoluto. La dieta di Roncaglia riguardava tuttavia soprattutto il regno d’Italia, dove l’opposizione di alcune città lombarde aveva provocato una dura reazione dell’Imperatore. I principi tedeschi invece gli rimasero fedeli, anche dopo la “non vittoria” contro i comuni italiani sancita dalla pace di Costanza del 1183. A Barbarossa succede il figlio, Enrico VI, che cercò di imporre il diritto di successione dinastica all’Impero, abbandonando il criterio elettivo. In cambio aveva proposto ai principi tedeschi la quasi completa libertà di lasciare in eredità i propri feudi  i principi rifiutarono e mantennero il diritto di scegliere il futuro imperatore. Nel 1186 Enrico VI sposò Costanza d’Altavilla (ultima erede dei re Normanni) dalla quale ebbe un figlio chiamato Federico Ruggero (poi, Federico II). Nonostante la ribellione in Sicilia nel 1190 che portò alla nomina di un vice-re, Tancredi, Enrico riuscì ad entrare a Palermo e nel 1194 fu eletto re di Sicilia. Regno di Sicilia  i cavalieri normanni che si erano insediati nelle regioni meridionali dell’Italia cambiarono rapidamente la natura dei poteri locali attraverso un controllo violento e inedito  i normanni chiedevano di più e imponevano obblighi maggiori ai contadini, alle chiese e alle comunità. La prima dinastia che si affermò in queste regioni fu quella degli Altavilla attorno al 1070  i discendenti della famiglia (presenti in Sicilia, Puglia e Calabria) seppero sfruttare bene sia le debolezze dei bizantini sia le contrapposizioni tra Papa e Imperatore, cercando di legittimarsi presso entrambi: Drogone fu eletto conte di Puglia e nel 1047 fu eletto duca dall’Imperatore Enrico III. Roberto il Guiscardo  nel 1059 giurò fedeltà al Papa. Assieme al fratello Ruggero, occuparono Bari, l’ultimo avamposto bizantino in Italia meridionale; In Sicilia avviarono una campagna contro i musulmani che portò alla conquista di Palermo nel 1072, una vittoria che, grazie anche all’appoggio papale, aprì alla famiglia le strade per una posizione politica di rilievo  nel 1098 a Ruggero venne conferito un incarico simile a quello del legato apostolico: poteva eleggere i vescovi, controllare le finanze della Chiesa, dirimere le controversie fra ecclesiastici. Ruggero II (1095-1154) figlio di Ruggero impostò un disegno monarchico che integrasse tutti i territori dell’Italia Meridionale. Lo aiutò molto aver ottenuto da Anacleto II (antipapa) il titolo di re nel 1130, in cambio di un riconoscimento di dipendenza vassallatica verso la chiesa di Roma. Tuttavia le congiure e le sollevazioni dei baroni, riottosi a sottomettersi, si moltiplicarono. Catalogo dei Baroni censimento di tutti i cavalieri normanni del regno e del loro potenziale militare-fiscale redatto nel 1142. Questo catalogo creò un nesso “feudale” di fedeltà militare dei baroni nei confronti del re. Davanti all’instabilità del ceto militare, i re normanni ricorsero anche ad altri strumenti di governo per assicurare una solida base economica  lo sfruttamento delle terre demaniali, che rese possibile la creazione di un apparato locale di controllo che garantiva entrate più sicure. Inoltre nelle terre demaniali si sperimentarono con successo nuove forme signorili di sfruttamento del lavoro cittadino. Sul piano legislativo i re normanni si dimostrarono attivi  nelle assise di Melfi del 1129 Ruggero II proclamò la pace del regno; nel 1132 riaffermò l’obbligo di fedeltà per i baroni; nel 1140 nelle assise di Ariano affermò la superiorità regia e il controllo sui baroni sul piano fiscale e giudiziario. I re della dinastia degli Altavilla rivendicarono un potere con caratteri di esclusività verso i sudditi latini, musulmani e greci. Limitarono le prerogative dei baroni attraverso una rete di giustizieri regi che si occupavano delle cause maggiori. La successione imperiale e il regno di Federico II  figlio di Enrico VI e di Costanza d’Altavilla, Federico ereditò subito il regno di Sicilia, ma per il titolo imperiale (Germania + Italia) la situazione era più complicata: il primo conflitto per la successione vedeva contrapposti Filippo di Svevia e Ottone di Sassonia, con papa Innocenzo III che appoggiò prima l’uno poi l’altro pretendente. Nel 1214 Innocenzo III appoggiò infine Federico che, uscito vincente dalla battaglia di Bouvines del 1214, fu eletto prima re dei romani, poi nel 1220 consacrato Imperatore da papa Onorio III. Federico ora riuniva le sorti dell’Impero e di tre regni: Italia, Germania e Sicilia. Operò subito un rafforzamento dei suoi domini nelle regioni meridionali, aiutato dagli alleati Svevi e dai cavalieri di basso rango che usò nell’amministrazione del regno. Risiedette relativamente poco in Germania, e da lontano doveva creare le condizioni per mantenere la pace del regno con continui compromessi con i potenti regionali. Nel 1220, una volta nominato Imperatore, concesse un privilegio ai principi ecclesiastici di Germania in cui si concedevano amplissime autonomie giurisdizionali  creò un pericoloso precedente che si vide solo un decennio dopo quando suo figlio, Enrico, per domare una ribellione del principi tedeschi nel 1231 dovette concedere loro una serie di privilegi simili. Anche in Sicilia, Federico operò per recuperare i beni usurpati dai nobili durante il periodo di reggenza materna. Appena maggiorenne formò un consiglio di giuristi incaricato di elencare tutte le possessioni del re e un inventario dei beni sottratti alla corona. Nel 1220 in un’assise a Capua, ordinò una severa politica di recupero dei beni demaniali in mano ai baroni  richiese a tutti i possessori di presentare i privilegi emanati dal padre o dalla madre, con la perdita dei diritti per chi non presentava titoli validi o li aveva contraffatti. Liber Augustalis  emanato a Melfi nel 1231, è l’atto legislativo più importante di Federico, in cui afferma che i poteri dello Stato, da quel momento in avanti saranno incentrati in un’unica persona: l’Imperatore. Italia: nascita del comune consolare  nell’XI secolo il vescovo era la figura di maggior rilievo, che ricevette dagli Imperatori molti privilegi, ma non la carica di conte. Egli rappresentava l’unità spirituale e politica della città, e allo stesso tempo era un grande signore feudale con interessi economici da tutelare (clientela vassallatica). Le famiglie di tradizione militare che si erano legate al vescovo trovarono nel servizio feudale uno sbocco necessario per mantenere il prestigio della dinastia, ma non rinunciarono ad ampliare la propria potenza, a discapito del vescovo  frequenti conflitti interni, sedati la maggior parte delle volte dagli imperatori che favorivano il vescovo, che mostrano però che la funzionalità del governo cittadino era più complessa di un semplice raccordo tra il vescovo e i milites. La città era infatti piena di gruppi sociali distinti in grado di condizionare il governo della comunità cittadina. La gerarchia cittadina aveva all’apice una serie di categorie di professionisti (giudici, avvocati, notai) fondamentali per la loro cultura; al di sotto le elite economiche (mercanti, cambiatori, prestatori di denaro) cui seguivano tutti gli abitanti senza particolari qualifiche, soggetti al potere del vescovo ma capaci di farsi sentire come “corpo collettivo” nelle assemblee pubbliche. Questo insieme di interessi distinti trovava nel vescovo un punto di raccordo abbastanza stabile  egli imponeva la pace con giuramento collettivo; chi la rompeva veniva bandito dalla città come un criminale. Nel corso del XII secolo le città crebbero per numero di abitanti, per attività economiche, per rilievo culturale e politico  proprio la rilevanza culturale e politica spinse i vescovi e le èlite urbane a creare (tra 1090 e 1120 circa) nuovi magistrati, i consoli, che si occupassero del governo urbano. Il consolato medievale era diverso da quello romano  era formato da un numero variabile di membri (da 4 a 6 fino a 12) che si riunivano nel palazzo del vescovo (dipendenza iniziale dal vescovo); inoltre provenivano spesso da famiglie di suoi vassalli, della media-alta aristocrazia presentarono, anzi cercarono di comprare con il denaro il permesso dell’Imperatore di mantenere il controllo su Lodi e Como  l’Imperatore rifiutò e, mettendo al bando i milanesi, diede inizio allo scontro: nel 1155 conquistò Asti e distrusse Tortona; nel 1158 attaccò Brescia e saccheggiò Milano il 7 settembre 1158. Si annunciava una lunga guerra che avrebbe messo a rischio la sopravvivenza dell’istituzione comunale in Italia. In una dieta tenuta a Roncaglia nel novembre 1158, grazie all’aiuto di 28 giuristi italiani, Federico proclamò il principio secondo cui ogni potere discendeva dall’Imperatore e richiese ufficialmente la restituzione di tutti i diritti regi (regalie) quali le tasse regie (fodro), il potere di elezione dei consoli, i palazzi pubblici, le imposte su strade e fiumi. Dopo la distruzione di Milano nel 1158 impose alle città ribelli dei rettori di nomina imperiale, i podestà imperiali, il cui governo fu violento, dispotico, esoso (raccoglievano velocemente ingenti tasse da destinare alla guerra). Nel 1162 Federico attaccò nuovamente Milano, radendola al suolo con l’aiuto degli abitanti di Lodi. I comuni lombardi allora si misero in allerta formando la Lega Lombarda nel 1168 (ispirati dall’iniziativa delle città venete nel 1162)  alleanza tattica di città, alcune in conflitto tra loro, per difendersi da un pericolo maggiore, il dominio imperiale che rischiava di minare le basi della politica cittadina. Alla Lega parteciparono Milano, Cremona, Lodi, Bergamo, Brescia, Piacenza e Bologna; era governata da rettori eletti in tutte le città; possedeva un tribunale proprio e coordinava le azioni militari delle singole città anche attraverso i podestà della Lega, opposti a quelli imperiali. La Lega fu importante perché diffuse tra tutti i comuni alleati un modello unico e coerente di città comunale, governata da consoli eletti. Ottenne l’appoggio di papa Alessandro III, divenendo il baluardo della libertà delle città italiane contro il tiranno Federico Barbarossa. Federico, nonostante il titolo imperiale, aveva risorse limitate e, ad ogni spedizione militare, doveva convincere i principi tedeschi a fornire uomini per l’esercito, e non sempre questi erano disposti a concederli. Battaglia di Legnano 1176  in un momento di stanchezza e dopo un decennio di battaglie cruente, i comuni lombardi sconfiggono l’esercito di Federico. Sul piano militare fu una vittoria modesta, ma a livello politico fu formidabile: la parola “libertà” assunse il significato di “non dipendenza dall’Imperatore”. Nel 1177 Federico concesse una tregua di 5 anni, al termine della quale, nel 1183, si arrivò alla Pace di Costanza Federico la intese come una tregua imperiale, mentre le città ne fecero la loro carta costituzionale, e da allora Federico non mise più in discussione le istituzioni comunali, ponendo fine alle guerre d’Italia. Si dedicò a imprese guerresche più gloriose, come la crociata e la liberazione di Gerusalemme nel 1187 dove sconfisse il Saladino. Morì nel 1188 attraversando il fiume Salef affogando sotto il peso della sua armatura. In Italia, la fine del pericolo imperiale fece emergere nuovi conflitti politici e sociali  la maggior parte dell’esercito era formato dai pedites, uomini appiedati, normali cittadini che abbandonavano la loro attività per servire l’esercito. Questa partecipazione mostrava l’appartenenza alla città e rendeva insopportabile l’esclusione dal governo consolare. Il comune aperto: podestà, consigli e governi del Popolo  dopo le guerre contro Federico Barbarossa, in quasi tutte le città scoppiarono disordini violenti, con interi quartieri (soprattutto i nuovi) che si ribellavano alla ripartizione delle tasse imposte dai consoli in occasione delle costose imprese militari. Si contestava soprattutto la ristrettezza del ceto dirigente che prendeva decisioni per tutti, e la prepotenza del ceto militare che moltiplicava le guerre senza pensare agli interessi delle città. Ai cittadini fu subito chiara la necessità di entrare a far parte del consiglio cittadino  si organizzarono le societates, nuovi gruppi politici che riunivano i cittadini non nobili; nacquero le società di armi che riunivano gli abitanti di una parrocchia e avevano compiti di autogoverno locale e di difesa delle mura, alle quali si aggiunsero le società di mestiere o corporazioni di Arti, con composizione mista di artigiani e mercanti. Le società avevano inizialmente uno scopo di protezione armata dei propri membri, ma col tempo si diedero una struttura comune che riordinava tutte le Arti sotto un organismo unitario detto “Popolo”, una vera istituzione che si affiancava al comune. Ben presto le società avanzarono richieste politiche come riservare ai membri delle società popolari una quota di posti in consiglio, far pagare le tassi a tutti con criterio proporzionale, ridurre i privilegi dei nobili , impiegare le risorse in opere pubbliche e assicurare una pace interna. Di fronte a queste pressioni il sistema consolare vacillò e molte città sostituirono i consoli con i podestà, magistrato unico col compito di riportare la pace in città, eletto per un anno e investito dei maggiori poteri di governo della città (politica, giustizia, direzione economica e comando degli eserciti cittadini). Per evitare rivalità interne si decise di chiamare come podestà persone esterne alla città, provenienti da altri comuni e con stipendio adeguato a pagare notai e giudici al suo seguito podestà forestiero dava maggiori garanzie di imparzialità, non creava poteri personali e toglieva ai cittadini un motivo di scontro. Tra il 1190 e il 1220 tutte le città passarono dal regime dei consoli al podestà forestiero, che divenne uno snodo fondamentale della vita politica cittadina (doveva sanare le discordie, mediare i conflitti, assicurare gli scambi, difendere il comune da attacchi esterni e amministrare la giustizia) tanto che per molti era diventato una vera e propria professione, la prima di carattere politico del medioevo (Max Weber  “La politica come professione”). Furono scritti manuali specifici per istruire i podestà sul modo di parlare, di presentarsi al pubblico, di formulare proposte e tenere discorsi e si diffuse un nuovo sapere universale: la politica = arte di reggere la città. La legge diventa il fondamento del vivere civile  era creata dagli stessi cives nei consigli, molto importanti nel periodo podestarile. Il consiglio comunale (1000 membri) divenne il cuore politico del comune: doveva eleggere il podestà e approvarne le decisioni con votazione a maggioranza che rivoluzionò il modo di fare politica, poiché bisognava tener conto anche degli interessi di gruppi sociali prima di allora trascurati. Rispetto al secolo precedente le città erano notevolmente aumentate per numero di abitanti ( Bologna 50.000, Milano e Firenze + 80.000); moltissimi erano i nuovi immigrati che dovevano essere integrati nel tessuto urbano: molti divennero lavoratori salariati, alle dipendenze del maestro, mentre altri divennero artigiani in proprio. Il ceto artigianale emerse prepotentemente sia sul piano politico che economico  le corporazioni, che raggruppavano lavoratori dello stesso ramo, contavano migliaia di membri (a Bologna, su 50.000 abitanti, 12.000 erano iscritti, quindi quasi tutti i maschi adulti). Iscriversi alle Arti era molto importanti per i cittadini perché:  Esse controllavano il lavoro e stabilivano i prezzi delle merci e i salari dei lavoratori, quindi per poter aprire un’attività era necessario essere iscritti all’arte.  Il peso delle Arti nella vita pubblica era aumentato enormemente i consoli delle Arti erano confluiti nel Consiglio del Popolo che prendeva decisioni sempre più importanti della città. In alcune città venne liberalizzata l’iscrizione alle Arti  ci si poteva iscrivere anche senza esercitare un mestiere, contava la volontà di appartenere a quella società e avere sufficienti conoscenze per essere accettati. Corporazioni nel Duecento  nel corso del Duecento le Arti si candidarono al governo della città in nome di una nuova idea di comunità, fondata sul lavoro artigianale e sui commerci, su una giusta divisione delle spese pubbliche e sulla pace sociale. Il Popolo affiancò al consiglio comunale e al podestà un proprio magistrato, sempre forestiero, chiamato il Capitano del Popolo; successivamente, nei comuni in cui prevalse, tra il 1270 e 1280 instaurò un governo dominato direttamente dalle Arti (a Bologna furono Gli Anziani). Una volta giunto al potere il Popolo, si formarono al suo interno gruppi egemoni che influenzarono l’indirizzo di fondo della politica nelle singole città  furono soprattutto i notai a prevalere e a fare propria una politica di controllo totale che caratterizzò le città italiane nel Duecento  in tutte le città furono create liste generali di appartenenza qualificata alla città; vennero censiti prima i residenti, poi i contribuenti distribuiti in estimi. Le dichiarazioni dei contribuenti vennero trascritte in grandi registri contenenti le ricchezze di ogni singolo individuo  questa faticosa e lunga operazione diede il via all’adozione di un criterio proporzionale di tassazione, tanto voluto dal Popolo. Anche la politica si adeguò all’utilizzo di questi strumenti e si formarono elenchi di appartenenti alla “parte riconosciuta nemica e posta al bando”. La giustizia divenne più severa  ai giudici vennero concessi poteri speciali per scoprire e punire severamente le infrazioni contro l’ordine pubblico (soprattutto gli atti violenti della nobiltà militare). Si presero severi provvedimenti contro le speculazioni economiche dei grandi proprietari; in città si pose un limite ai prezzi e si attuò un rigido controllo del contado  fu vietato esportare grano fuori dal contado o ammassare frumento nei periodi di carestia per far aumentare il prezzo. Il contado venne poi diviso in zone amministrative corrispondenti a prolungamenti dei quartieri cittadini. Queste zone furono a loro volta divise in aree minori affidate a un ufficiale cittadino (vicario o podestà) responsabile della condotta dei cittadini. I castelli invece furono di proprietà militare. Si imposero doveri fiscali e annonari, calcolati in modo fisso attraverso un controllo approssimativo degli abitanti. Tra 1226 e 1250, periodo di guerre con Federico II, le famiglie e le città italiane si contrapposero in due distinte fazioni: i guelfi (alleati del Papa) e ghibellini (alleati dell’Imperatore). In molte città queste due parti divennero un’istituzione, con propri consigli e podestà, permettendo ai loro aderenti un’altra via di accesso al potere (come avvenne per molti nobili che, esclusi dalle società di Popolo, poterono tornare al governo come membri della Parte guelfa). La creazione di queste fazioni causò un aumento di conflitti che il Popolo (pur essendo spesso alleato di una delle due Parti) cercò di sedare ricorrendo all’ideale politico della pace  non si trattava di una scelta remissiva ma di una scelta di forza: la pace andava L’origine dei minori o francescani è legata alla figura di Francesco d’Assisi, nato nel 1182 da Pietro di Bernardone, mercate agiato, e lentamente convertito a una vita religiosa. Nel suo Testamento scritto nel 1226, Francesco pose come inizio della sua conversione l’incontro coi lebbrosi, voluto da Dio come prova per misurare la sua fede: il lebbroso era il livello più basso dell’essere umano e Francesco imparò ad amarlo  bisognava iniziare dagli ultimi e scovare in tutte le forme di emarginazione la presenza di Dio. Tra il 1207 e 1208 iniziò la sua predicazione itinerante, portando il suo messaggio nell’Italia centro-settentrionale. La regola “non bollata” del 1221 (senza approvazione papale) presenta alcuni punti fermi dell’ordine: rinuncia a tutti i beni, donandoli ai poveri, vestirsi con solo una tunica, lavorare sempre, non avere possessi individuali o comuni, ed evitare il contatto col denaro. Potevano ricorrere all’elemosina solo se non fosse stato pagato il prezzo per il loro lavoro. Per Francesco, la povertà aveva due dimensioni: una esterna, la rinuncia totale alle cose materiali, e una interna, ovvero la rinuncia alla propria interiorità per permettere a Dio di entrare nell’animo umano e portarlo alla salvezza. Un patto che si rinnovava con l’eucarestia, sacramento fondamentale dell’ordine. Tuttavia spesso i confratelli faticavano a seguire una spiritualità alta come quella di Francesco  conflitti interni. Nel 1220 Francesco rinunciò a guidare l’ordine, chiedendo al papa ed ottenendo un cardinale che si prendesse cura dell’ordine: Ugolino d’Ostia (poi, papa Gregorio IX) che nel 1223 assieme a Francesco scrisse la seconda regola dell’ordine, bollata da Onorio III. Prevedeva un’articolazione dell’ordine in ministro generale, ministri provinciali e capitolo, e soprattutto un controllo maggiore sugli ingressi nell’ordine, che contava diversi migliaia di adepti. Negli ultimi anni della sua vita, Francesco si ritirò sul monte della Verna, dove ricevette le stimmate, come riportato nel suo Testamento  in esso ribadisce i punti fermi della sua spiritualità (povertà, penitenza, obbedienza, eucarestia) e chiese ai suoi frati di non farsi coinvolgere nelle cose del mondo e di vivere in povertà. Ai suoi successori chiese di non glossare il Testamento ma di leggerlo insieme alla Regola. Francesco morì nel 1226, fu beatificato da Gregorio IX e ad Assisi fu costruita una basilica in suo onore. Il suo culto iniziò prestissimo  nel 1230 Gregorio IX emanò una bolla che toglieva valore giuridico vincolante al Testamento di Francesco; nel 1239 il capitolo generale dei minori riservò il reclutamento a chi era già chierico, inserendo pienamente i minori all’interno dell’istituzione ecclesiastica. Nel 1254, così come ai predicatori, ai minori venne affidato l’ufficio di inquisitori contro l’eresia. Nel 1260 il maestro generale Bonaventura riscrisse una nuova storia di Francesco, la Legenda maior (approvata nel 1263 come versione ufficiale) in cui Francesco viene presentato come “altro Cristo”, esempio inimitabile di santità che rendeva l’ordine uno strumento necessario per rinnovare la Chiesa. Nei decenni successivi l’ordine tornò a dividersi e all’inizio del Trecento la formazione degli “spirituali” creò una spaccatura profonda secondo gli spirituali l’ordine non doveva possedere nulla, a imitazione di Cristo che non possedeva nulla. La pretesa che Cristo non avesse possessi rendeva incerta la posizione della Chiesa, che mai si era preoccupata dell’enorme quantità di beni che aveva in proprietà. Il papato reagì e nel 1319 li accusò di eresia. Inquadramento dei fedeli  gli ordini mendicanti ebbero uno sviluppo eccezionale sul piano religioso e culturale: entrarono nelle scuole e nelle università, divennero ascoltati consiglieri di re e principi, guidarono le autorità laiche con modelli di governo ispirati al bene pubblico. Entrambi gli ordini ricevettero il privilegio di predicare e confessare, celebrare messe e accogliere i morti, in aperta concorrenza col clero ordinario. Come predicatori, i mendicanti ottennero un successo enorme grazie alle capacità dei frati  la conoscenza dei problemi, l’uso di un linguaggio piano, la semplificazione dei problemi teologici e la capacità di mantenere viva l’attenzione permisero ai frati di trasmettere ai fedeli modelli di comportamento positivi. In molti manuali di predicazione si insisteva contro le tentazioni della cupidigia e della superbia, proponendo come rimedio l’umiltà e la penitenza = riconoscere che le sorti dell’umanità dipendono da Dio e accettare la propria condizione sociale. In molti predicatori, l’accettazione del proprio ruolo nelle gerarchie sociali si univa alla consapevole sottomissione delle proprie azioni al giudizio degli uomini della chiesa. La predicazione doveva spingere alla confessione e ammissione della propria debolezza. Predicazione e confessione erano strettamente unite: si predicava per spingere i fedeli a confessarsi e ci si confessava per ricevere il corpo di Cristo nell’eucarestia. La penitenza era un passo necessario per la salvezza. Vennero redatti manuali di predicazione e manuali di confessione. Si classificavano i peccati secondo “casi” ogni categoria sociale aveva i propri peccati e soprattutto ogni persona poteva peccare in modo diverso e in situazioni diverse rispetto ad un’altra. Spesso infatti i fedeli non sapevano di peccare  in alcuni manuali fanno la loro comparsa elenchi di peccati o comportamenti considerati peccaminosi al fine di istruire sia i preti che i penitenti. Nel corso del Trecento la confessione si diffuse come pratica corrente del buon fedele, come segno di sottomissione del singolo alla valutazione degli uomini di Chiesa. Tuttavia i laici premevano per fare parte della vita religiosa. Già Innocenzo III aveva prospettato una vita religiosa per i laici, vicina ai modelli monastici. Si svilupparono numerose associazioni di penitenti che imponevano ai loro membri uno stile di vita moderato, lontano dagli eccessi e da un insieme di pratiche che li dovevano rendere distinti dal resto dei fedeli. La Chies approvò con convinzione queste associazioni, che cercò di inquadrare a livello istituzionale attraverso le confraternite  dovevano essere approvate dalla Chiesa, avere uno statuto che ne regolasse la vita interna, le preghiere, i digiuni, i rapporti tra confratelli e l’obbedienza verso il clero. Molte confraternite si specializzarono nella carità pubblica, altre nell’assistenza ai malati, fondando numerosi ospedali. In una bolla molto importante del 1289, papa Niccolò IV (primo papa proveniente dai minori) istituì un nuovo ordine religioso laico, direttamente dipendente dai minori, il terz’ordine francescano, stabilendo che i penitenti dovessero essere assimilati ai francescani perché fondati da Francesco. In seguito, tutti gli ordini mendicanti formarono terz’ordini composti da laici e, insieme ad altre confraternite, riuscirono a dare un indirizzo comune alla vita religiosa in molte città europee (obbedienza al vescovo, attività caritativa pubblica). Il contributo più rilevante degli ordini mendicanti riguardava però l’inquisizione  dal 1254 i minori parteciparono ufficialmente all’ufficio dell’Inquisizione, che divenne un’istituzione stabile della Chiesa romana. Innocenzo IV aveva diviso l’Italia in due province di competenza: una assegnata ai predicatori (Emilia, Lombardia, Piemonte, Liguria) e una ai minori (Treviso, Ancona, Romagna, Toscana). La procedura adottata dagli inquisitori era chiamata inquisitio ex officio, diversa da quella in origine adottata dai pontefici per punire gli ecclesiastici. Nel caso degli eretici non veniva punita la fede in un credo religioso, quanto la frequentazione del gruppo sospetto, l’adesione alla setta. La classificazione degli eretici si ampliò, distinguendo i ribelli (rifiutavano la conversione) i relapsi (dopo la conversione tornavano al proprio credo) i fautori (ostacolavano l’Inquisizione) i sospetti (rifiutavano di giurare fedeltà alla Chiesa). Raimondo, l’autore del Liber Extra, li divise invece in base alla quantità di conoscenza in loro possesso, formando quindi una gerarchia. L’azione sul campo degli inquisitori cercava di colpire proprio questa rete, interrogando e obbligando a confessare i più deboli della setta. Si strutturò così una procedura standard  quando gli inquisitori giungevano ad un villaggio, dichiaravano un “periodo di grazia” nel quale ascoltavano tutti coloro che avessero informazioni. Alla fine di questo periodo (15/30gg) l’inquisitore iniziava il processo contro i sospetti, le persone infamate, o coloro vicini agli eretici. L’accusa di eresia fu usata spesso anche come forma di vendetta per i conflitti interni alle comunità  eretici vennero considerati i nuovi arrivati, i commercianti e gli artigiani che erano in conflitto con la parte più radicata dei residenti. L’eretico veniva prelevato e interrogato singolarmente e , qualora fosse necessario, veniva torturato al fine di portarlo alla confessione. La confessione era il fine ultimo dell’Inquisizione, non lo sterminio degli eretici: era più utile un eretico sconfitto in pubblico che uno giustiziato. Le pene per gli irriducibili erano severe, e lo divennero ancora maggiormente nel 1252, quando papa Innocenzo IV nella bolla Ad extirpanda inserì nella legislazione ecclesiastica un esplicito assenso alla pena di morte da infliggere agli eretici impenitenti, che dovevano essere consegnati al braccio secolare e bruciati. Era lecito anche il ricorso alla tortura, il sequestro di beni, la distruzione delle case. Uso politico dell’eresia  nel corso del Duecento la lotta all’eresia divenne un’arma politica abusata: la difesa della fede contribuì alla costruzione del potere sovrano in Occidente. Lo dimostra il conflitto tra Federico II e il Papato  fin dal 1220 Federico aveva accettato di combattere l’eresia al fianco della Chiesa: aveva represso i patarini in Sicilia e aveva introdotto l’eresia nella sfera politica, additando come “eretici” i comuni ribelli. Quando però Federico ruppe col papato, venendo scomunicato nel concilio di Lione del 1245, venne accusato di eresia e massimo nemico della Chiesa. La lotta del papato contro l’Imperatore si trasformò in una crociata per la difesa della fede, che proseguì anche dopo la morte di Federico nel 1250 contro i suoi eredi e seguaci. Un altro esempio di eresia politica fu la crociata convocata contro Ezzelino da Romano, ghibellino che aveva il controllo di Padova, Treviso e Verona, sulle quali aveva instaurato un dominio tirannico tanto da essere etichettato come agente del demonio. Grazie agli sforzi compiuti dalle autorità ecclesiastiche, l’eresia era diventata un reato politico, contro la quale dovevano intervenire i re cristiani d’Europa. Due episodi, legati alla figura del re di Francia, Filippo il Bello (1285-1314) sono emblematici: lo scontro con Bonifacio VIII e il processo ai Templari. Scontro con Bonifacio VIII  verteva su due elementi fondamentali della politica pontificia: la difesa dell’immunità della Chiesa dal fisco e dalla giustizia del re. Per due volte Filippo aveva forzato la mano, imponendo una tassa sul clero in occasione della guerra e mettendo sotto processo un vescovo, teoricamente esente dai tribunali laici. In entrambi i casi, Bonifacio VIII minacciò il re di scomunica, lo richiamò all’ordine e nella bolla Unam Sanctam riaffermò il potere assoluto del papa su tutti i principi laici, e la conseguente subordinazione del potere 14 anni, una volta divenuto re cercò di riaffermare la sovranità francese su tutti i principati. Gli si contrappose un fronte composito (il fratello Carlo, il duca di Borgogna e vari signori) contro il quale Luigi XI mise in atto una spietata repressione giudiziaria, accusandoli di lesa maestà e trattandoli come sudditi e non come vassalli. Tuttavia, la costruzione di uno stato politico francese si basava ancora su alleanze dinastiche, matrimoni e morti senza eredi dei vassalli che assegnavano al re il principato vacante. Solo in questo modo le regioni più distanti ed autonome furono attaccate al regno di Francia, per ultima la Bretagna nel 1498 tramite accordo matrimoniale. In Inghilterra, dopo il lungo regno di Edoardo I, i successori misero in evidenza la debolezza della monarchia  il regno era incapace di finanziarsi; i baroni per decenni attaccarono i detentori della corona; il Parlamento non era abbastanza forte per garantire un assetto istituzionale stabile. Nel corso del XIV secolo, la monarchia inglese fu caratterizzata da una rapida successione di re deposti, dimessi e uccisi che, nel corso del secolo successivo, causò un vuoto di potere per diversi anni. Davanti a questo vuoto di potere si contrapposero il Parlamento e i Grandi (nobili militari)  il Parlamento nel Trecento assunse un ruolo di controllo e di indirizzo della vita politica regia: sottopose le finanze pubbliche ad un controllo periodico; cercò di porre rimedio all’aumento dei salari dopo la pe ste nera e si oppose alla giurisdizione dei tribunali ecclesiastici. Nonostante ciò non risolse il problema della stabilità perché i baroni, che usavano il Parlamento per porre un freno al re, agivano a loro volta come potenti locali, seguiti da centinaia di cavalieri minori legati da un contratto tipo feudale. L’assenza del re, lo scontro i Francia e la competizione per il trono portarono ad un frazionamento inglese in ducati semi-permanenti. Lo scontro fra baroni riguardava apertamente la conquista della corona  Guerra delle Due Rose (1453-1485) tra i Lancaster e York che terminò con l’ascesa al trono della dinastia del Tudor nel 1485. Spagna anche nelle monarchie spagnole le lotte interne per la corona causarono cambiamenti delle dinastie e scontri tra pretendenti: in Castiglia vennero contestati Alfonso X e Alfonso XI, quest’ultimo dai discendenti perché intenzionato a lasciare il trono al primogenito. I discendenti, della casata di Trastàmara divennero re di Castiglia e di Aragona nel 1412 con Ferdinando I di Aragona; il figlio, Alfonso il Magnanimo, acquisì il regno di Napoli e la Sardegna, inglobando tutta l’Italia meridionale e insulare alla monarchia spagnola. I singoli regni erano però poco inclini ad un’unica unificazione e i re dovettero confrontarsi con le singole Cortes (assemblee rappresentative) di ogni regno; le cortes crearono istituzioni permanenti dette Deputazioni che in certi casi, come in Aragona, amministravano alcune funzioni politiche, stipendiavano una milizia e riscuotevano una tassa del 10% sul valore delle produzioni tessili. Un matrimonio e una successione contestata portarono all’unificazione delle corone di Castiglia e Aragona  nel 1469 Isabella di Castiglia sposò Ferdinando, erede al trono di Aragona. I due divennero re e regina di Castiglia e di Aragona. Nel corso del loro regno si completò l’unificazione di tutta la Spagna , dopo la caduta dell’ultima enclave musulmana nel 1492 e l’assorbimento del regno di Navarra nel 1512. Germania  Tra Duecento e Quattrocento l’Impero perse l’unione dei regni d’Italia, Borgogna e Germania. Gli Imperatori successivi della dinastia di Lussemburgo e poi di Boemia si concentrarono sulla Germania e sui regni dell’est, che trovarono un assetto stabile solo alla fine del Quattrocento con la dinastia degli Asburgo, detentrice del titolo imperiale fino al 1805. Nel 1356 l’Imperatore Carlo IV concesse ai principi elettori la Bolla d’Oro  elezione dell'Imperatore era affidata ad un'assemblea di sette membri (Collegio degli elettori), quattro laici e tre ecclesiastici, senza alcuna interferenza papale. Ai principi fu concessa piena autonomia giurisdizionale nei propri territori e un potere di controllo sull’attività imperiale. Il collegio si impadronì anche del potere di deporre l’imperatore in caso di necessità, come avvenne nel 1400 nella Dieta di Francoforte  deposizione di Venceslao di Lussemburgo. Anche i principi regionali non elettori conservarono un’autonomia d’azione: gli Asburgo rivendicarono con forza l’autonomia del ducato d’Austria dall’Impero  Rodolfo IV (1358- 1365) rese pubblico e confermò il privilegio grande, un falso diploma in cui si concedeva all’Austria una totale autonomia dall’Impero, elevando il duca allo stesso livello dell’Imperatore. La reazione di Carlo IV (genero di Rodolfo), che impose la distruzione del sigillo, non impedì agli Asburgo di accedere al trono imperiale. Nel 1493 l’elezione di Massimiliano I diede il via all’Impero Asburgico. Nel 1495 Massimiliano tenne la Dieta di Worms  si voleva creare un tribunale imperiale che superasse i diritti locali, con l’imposizione di una tassa per tutti i territori del regno. Questa proposta non ebbe mai applicazione a causa delle numerose contestazioni e il nuovo Impero rimase così bipartito tra l’Imperatore e i principi. Europa dell’est  Le prime testimonianze di monarchie risalgono all’XI secolo, ma è a partire dal Duecento che si ebbe una chiara definizione territoriale. Il regno di Boemia era strettamente legato alle sorti dell’Impero in quanto il suo re era uno dei sette principi elettori. Il regno di Ungheria fu conteso da alcune dinastie locali e si unì, in momenti alterni, alla Boemia e alla Polonia, ma fu fondamentale per fermare l’avanzata dei Turchi che nel XV secolo ne conquistarono un’ampia porzione. La Polonia nel 1386 si era unita alla Lituania sotto la dinastia degli Jagelloni. Nonostante queste differenze, i tre paesi rimasero strettamente collegati, sia sul piano dinastico che politico  in periodi diversi, i regni si unirono a due o tre: Ungheria e Boemia vennero unite sotto i figli di Carlo IV di Lussemburgo e poi sotto il re ungherese Mattia Corvino; Ungheria, Boemia e Polonia furono poste sotto un unico re sotto la dinastia polacca degli Jagelloni. Ciò avvenne perché le aristocrazie decisero di delegare una parte del potere regio ad una persona esterna al regno. In Boemia, in seguito alla predicazione di Jan Hus (sacerdote riformatore) il regno fu diviso in due: la Dieta (istituzione rappresentativa) e Praga si schierarono a favore di Hus, la Moravia invece vi si oppose  17 anni di guerra civile senza re, con la Dieta a capo dei ribelli; solo nel 1436, dopo il riconoscimento della Chiesa Hussista, si riformò l’unità del paese. Analogamente in Ungheria, dove alla morte di Mattia Corvino i nobili preferirono unirsi sotto gli Jagelloni (già re di Boemia) che avevano garantito loro ampie autonomie locali. Lo stato ottomano  nasce da uno dei numerosi emirati presenti nella penisola anatolica. Grazie ad un’abilissima campagna militare e politica, le diverse tribù nomadi conquistarono l’Anatolia, la Tracia e l’Europa sudorientale. Si diressero poi in Occidente gravitando nel Mediterraneo, utilizzando la guerra di conquista come guerra santa e inglobando popoli e gruppi sociali diversi sotto la stessa struttura politica. L’espansione ottomana fu inarrestabile dal Trecento in poi: stanziati vicino a Bisanzio gli Ottomani si diressero in Tracia, assoggettando la Macedonia, la Bulgaria, l’Albania e una parte dell’Ungheria. Nel 1453 la caduta di Bisanzio sotto Maometto II segnò la fine del dominio bizantino e l’inizio di un processo di unificazione di tutta la regione e di una minaccia per l’Impero. Italia: gli stati regionali tra XIV e XV secolo  nel Trecento le regioni italiane subirono un doppio processo di ricomposizione e divisione. In un quadro così frammentato si possono distinguere tre aree:  Stati regionali principeschi  Savoia, Visconti, Estensi, Stato della Chiesa  Repubbliche  Venezia, Firenze, Genova  Regioni meridionali inserite nei regni  Sicilia sotto Angioini ed Aragonesi; Napoli sotto Angioini e poi corona di Aragona. Stati principeschi  Si trattava di piccoli stati autonomi che univano più dominazioni cittadine, con un’origine diversa da città a città  le prime signorie cittadine erano di fatto dominazioni personali ancora bisognose di legittimazione dal basso: persino i Visconti di Milano, la più forte ed estesa dominazione regionale del XIV secolo, dovettero costruire le basi di legittimità del proprio governo. Pian piano si sottomisero ai Visconti tutte le maggiori città lombarde (Cremona, Piacenza, Brescia, Pavia, Bergamo), i principali centri urbani piemontesi (Novara, Vercelli) e anche alcuni grandi comuni emiliani (Reggio, Modena, Bologna). I Visconti si presentavano come i restauratori dell’ordine, i salvatori della città dilaniata dalle lotte civili: nei vari statuti redatti in tutte le città, il signore si presenta in un limbo quasi divino, come colui che sospende le guerre e assicura la pace  non è il “bene comune” il fine della politica, ma l’esaltazione dei Visconti. Ma i signori non erano re, e la teoria del trasferimento del potere dal popolo al signore per giustificare il loro dominio apparve forzata all’occhio dei giuristi Bartolo da Sassoferrato, maggiore giurista del Trecento, respinse il principale argomento dei Visconti sostenendo che il conferimento del potere dal popolo al signore fosse valido solo quando la scelta dei consigli era libera e non costretta dalla forza. Nella maggior parte dei casi invece questi conferimenti erano obbligati con forza e per questo motivo Bartolo additò la maggior parte dei signori come tiranni. La maggior parte di queste dominazioni si formò grazie all’acquisizione di blocchi di città e territori che patteggiavano con il signore l’entrata in quella dominazione  l’abilità dei signori fu quella di assicurare un rapporto diretto tra il centro (corte) e le singole comunità del dominio. Il grado di autonomia delle comunità rimase elevato in Lombardia, Veneto, nel ducato sabaudo e nello Stato della Chiesa. Il governo centrale si assicurava il controllo sulle decisioni politiche attraverso l’invio di magistrati esterni da affiancare ai collegi cittadini o ai consigli comunali. Un conflitto di vaste dimensioni fu tra la città e il suo territorio  lamentele delle comunità locali con il signore contro l’oppressione della città, richieste di esenzioni, suppliche di essere I teologi proposero il modello del buon re  re giusto, il cui primo compito era la giustizia, imposta con spada ma caratterizzata da clemenza, misericordia e protezione dei poveri. La misericordia poneva il re su un piano superiore alla legge, più vicino alla giustizia divina da cui doveva trarre ispirazione. Altri autori insistevano anche sull’amore  amore generato dal suo senso di giustizia, e provato dalla correttezza dei suoi comportamenti. La figura del re divenne oggetto di devozione religiosa  il re e la sua dinastia dovevano essere ricordati nelle preghiere dei sudditi, che assicuravano la salvezza della nazione. SI diffusero poi simboli legati alla storia del paese. Le virtù assegnate al re furono tradotte in poteri di governo  protezione dei sudditi, attraverso la giustizia pubblica, contro potenti arroganti; potere di grazia del re di condonare le pene inflitte dai giudici; monarchia come guida naturale della nazione. La “salvezza della nazione” finì per giustificare una politica fiscale sempre più pesante e una richiesta crescente del coinvolgimento dei sudditi nella difesa della patria. Amministrazione del regno  tutte le monarchie europee avevano elementi ricorrenti: organi centrali, uffici territoriali e sistema fiscale. Organi centrali  le funzioni della corte erano essenzialmente tre: fornire al re un consiglio ristretto, assistere il re nelle principali funzioni di governo e amministrare le finanze. In Francia, da una costola dell’antica curia del re si sviluppò il Consiglio del re, organo consultivo radunato dal re. Le funzioni della corte furono assegnate dall’Hotel del re (ufficiali al servizio diretto del re, tra cui il cancelliere). L’attività contabile fu svolta dalla Camera dei Conti, retta da due presidenti, e da otto maestri. Uffici territoriali  assorbiva una parte importante delle funzioni dei organi centrali. In Francia ed Inghilterra una rete di ufficiali pubblici esisteva già nel Duecento: l’evoluzione riguardò la loro diffusione territoriale e la trasformazione dei loro compiti. In Francia si rafforzò la gerarchia tra balivi/siniscalchi e prevosti: i balivi erano responsabili di un’ampia circoscrizione che comprendeva numerosi prevosti, a capo di circoscrizioni minori. Questi ufficiali rappresentavano il re nei diversi territori e amministravano la giustizia raccogliendo tasse e convocando l’esercito. Le lamentele sugli ufficiali provenivano soprattutto dai potenti locali che vedevano minacciati i propri privilegi. I re successivi non tornarono indietro ma aumentarono i poteri dei propri ufficiali, assicurando la stabilità delle cariche. La burocrazia pubblica divenne uno dei maggiori canali di ascesa nel basso medioevo e la diffusione delle università servì da acceleratore  nel corso del Quattrocento in Francia, Spagna e Inghilterra un numero sempre maggiore di funzionari laici trasmetteva il proprio ufficio ai figli, creando così una classe di impiegati provenienti dalla stessa amministrazione regia. Alla lunga, questo sistema familiare poteva indebolire il controllo regio sulle cariche locali, soprattutto quando molti re iniziarono ad assegnare le cariche come ricompensa o a venderle per aumentare le entrate. Sistema fiscale  i re avevano continuo bisogno di denaro; un vero prelievo fiscale ordinario e permanente si sviluppò solamente nel Trecento a causa di guerre continue e uno stato di necessità prolungato per decenni. La fiscalità pubblica nel basso medioevo aveva assunto due forme: diretta e indiretta. La fiscalità indiretta era composta dalle imposte messe sui beni prodotti: dazi doganali sulle merci importate/esportate e le gabelle sui beni di prima necessità. Queste imposte ricadevano su tutti i consumatori, e i redditi più bassi erano i più colpiti. La fiscalità diretta gravava invece sui beni dei singoli individui o famiglie; in teoria erano tasse straordinarie che si potevano chiedere in casi eccezionali come contributo individuale al principe. Una volta deciso l’ammontare, si tassavano gli individui in proporzione al loro livello di ricchezze (in molte città per facilitare l’operazione si erano preparati catasti che contenevano l’elenco dei beni dei cittadini). Questa tassazione diretta, in teoria più equa, fu contestata perché troppo approssimativa e aggirata attraverso l’occultamento delle ricchezze o la falsificazione del valore dei beni. Alla fine del medioevo, le classi alte ne erano praticamente esenti. La tassazione assunse un valore politico  ci si chiedeva in base a quale potere il re poteva imporre una tassa e quando era necessario il consenso dei sudditi alle richieste del re. Entrambe queste domande vertevano sulla natura del potere regio  imporre una tassa senza il consenso dei sudditi implicava un potere assoluto del re; accettare il pagamento significava che il potere del re doveva trovare un limite nella libertà dei sudditi. Le teorie assolutiste si applicarono anche a giustificare il prelievo delle tasse senza il consenso del popolo  il re era legittimato in caso di necessità, per la sopravvivenza del popolo. Durante le guerre era dunque lecito fare nuove leggi, cambiare le consuetudini, costringere uomini a pagare tasse. Nonostante queste affermazioni, le resistenze al potere di imporre tasse senza consenso furono numerosissime  i Parlamenti inglesi furono severi nell’esaminare le ragioni delle richieste di contributi; in Francia si sviluppò una letteratura politica sulla libertà naturale del popolo francese: una teoria altomedievale faceva risalire i Franchi e i Galli alla discendenza di Enea, la nobile famiglia troiana che aveva fondato Roma  un popolo libero e non soggetto ai romani, esente dalle imposte per privilegio di Cesare. “Franco” = libero dal tributo. Filippo di Mezieres, intellettuale alla corte di Carlo VI, propose di convocare l’assemblea degli Stati generali, i rappresentanti dei territori, per ridiscutere i diritti e le obbligazioni dei sudditi. Solo il dialogo con gli Stati avrebbe restituito al regno la sua vera libertà e al re l’amore del suo popolo. Assemblee e Parlamenti  le guerre e le necessità finanziarie obbligavano i re a chiedere l’aiuto economico delle comunità. A partire dal Duecento acquisirono rilievo le tradizionali assemblee del regno, formate dai rappresentanti dei diversi corpi del paese: In Inghilterra il Parlamento era diviso in House of Lords e House of Commons; in Francia gli Stati Generali erano composti dai “tre ordini” (borghesi, nobili e uomini di chiesa); in Spagna vi erano le Cortes; nelle terre dell’Impero le Diete distinte nei tre ordini. Nella maggior parte dei casi lo stato di guerra richiedeva ai sudditi la concessione di tributi sotto forma di denaro e il meccanismo guerre-tasse-assemblee divenne il meccanismo basilare della politica regia, ma anche lo strumento per valutare la legittimità delle richieste del re e la tenuta della monarchia. Inghilterra  regno che più ha usato il sistema delle assemblee, sia sotto forma di Parlamento sia ricorrendo al Consiglio nazionale del re (assemblea composta dai grandi del regno e dai rappresentanti delle città), di cui inizialmente il Parlamento era una riunione particolare: il re chiedeva aiuto al Parlamento e l’assemblea lo concedeva, dopo aver deliberato e votato. Da tempo, nel regno inglese dare soldi al re era un atto politico: le richieste del re dovevano essere commisurate alla fedeltà del re verso i suoi impegni e all’utilità per il regno. Poteva accadere che una richiesta di finanziamento venisse respinta perché illegittima  es: nel 1242 il consiglio rifiutò il prestito chiesto da Enrico III per continuare la guerra contro la Francia perché ne aveva già chiesti prima, poteva sfruttare meglio i ricavi e i sudditi erano allo stremo economico a causa della tassazione. Le sedute delle assemblee avevano funzioni diverse  non si votava solo se concedere o meno l’aiuto, ma si presentavano al re lamentele sull’amministrazione pubblica, si disponevano riforme del regno, nuovi regolamenti da sottoporre al re: le assemblee svolgevano anche un’attività legislativa e le decisioni del Parlamento, gli statuti, potevano essere modificate solo da un altro statuto, mai dal re. Nonostante la presenza dei tre ordini e i criteri elettivi usati per alcuni di essi, queste assemblee non erano rappresentative e avevano una composizione sociale interna sbilanciata (le città erano una minoranza e dovevano inviare da 2 a 6 rappresentanti, mentre baroni ed ecclesiastici erano presenti di persona in numero maggiore). La frequenza con cui venivano convocate non era fissa né periodica, e dipendeva soprattutto dalla funzione dell’assemblea; nei territori con molte città le riunioni erano molto frequenti (in Francia, Spagna e Germania venivano convocate 1 o 2 volte l’anno, per poi diminuire di frequenza alla fine del XV secolo). Si è molto discusso sulla funzione di queste assemblee come “contropotere” dei re alla fine del medioevo  in Spagna le Cortes erano pienamente a supporto della monarchia, il re era intoccabile e al di sopra della legge. In Francia, nell’assemblea degli Stati Generali convocata a Tours nel 1484, gli Stati non misero mai in dubbio la superiorità e l’origine divina del re. Il re a sua volta cercò di trasformare l’assemblea in un esaltazione del “buon re” che ascolta il popolo, i suoi bisogni e accetta le lamentele con amore. Ecco la base del potere monarchico  il re a momenti alterni, per convenienza o necessità, si convinse a stringere patti col popolo e (a volte) a rispettarli. La decadenza delle assemblee, sempre meno riunite nel corso del XV secolo, fu dovuta all’alta frammentazione interna, che corrisponde anche ad una frammentazione di interessi: nobili, baroni, aristocratici e rappresentanti delle città avevano un peso diverso all’interno dell’assemblea, erano diversamente rappresentati e avevano tutti interessi diversi a causa dei diversi rapporti che avevano con il re. Nella seconda metà del XV secolo l’aristocrazia monopolizzò alcune forme di governo, come l’attività militare, e ricoprì funzioni regie come cariche di ufficiali maggiori nei territori, contrattando col re vari privilegi  il servizio regio divenne un fattore di prestigio e di conferma della propria nobiltà e potenza politica. Paradossalmente, il ceto che più si contrapponeva al re finiva per far dipendere la sua potenza proprio dal legame col re. L’integrazione della nobiltà rafforzò le monarchie, segnò l’ingresso delle clientele nel sistema di governo dei territori del regno, anche attraverso la vendita di cariche regie a vita. Il regno divenne un blocco unico di corpi sociali, un corpo vivente  questa metafora applicata al XV secolo, quindi ad un regno attaccato da ogni parte, favorì la coesione delle fazioni in lotta: un corpo con il re come testa e tutti gli ordini sociali come organi, ognuno con una propria funzione, e coordinato con gli altri. Il corpo poteva sopravvivere solamente se ogni parte svolgeva solo il suo compito (filosofo Jean Gerson  i piedi = popolo che vogliono prendere il posto della testa = re causano la distruzione del corpo e di loro stessi) qualità della persona. Nei tribunali, al pari dei servi, l’opinione dei salariati era poco considerata perché apparivano come persone facilmente corruttibili. Guardando poi al lato economico, i salariati che ricevevano uno stipendio fisso non avevano la possibilità e capacità di espandere i loro affari e quindi accrescere la ricchezza collettiva  secondo Tommaso D’Aquino, gli artigiani erano cittadini imperfetti, equiparati ai servi e ai minori, non degni di sedere nelle istituzioni cittadine. La diffidenza dei teologi fu condivisa dai ceti dirigenti, che limitarono in vari modi l’ingresso dei lavoratori meno abbienti nelle istituzioni cittadine: fissando un salario minimo (50 lire = due paia di buoi), vietando l’elezione di certe categorie di lavoratori. La reazione salariale ci fu, e raggiunse l’apice negli anni successivi la peste del 1348  la scarsità di operai consegnò nelle mani dei salariati un potere di contrattazione nei confronti del ceto dominante. I vuoti lasciati dalla peste nella popolazione urbana crearono infatti una situazione favorevole ai lavoratori rimasti: erano pochi, più richiesti e pagati meglio rispetto agli anni precedenti la peste. Quasi in tutta Europa i salari aumentarono, a causa dell’avidità dei lavoratori che si approfittavano della scarsità di manodopera per richiedere salari elevati. Numerosi interventi legislativi erano tesi a limitare l’aumento dei salari e costringere i lavoratori ad accettare qualsiasi impiego venisse loro offerto, secondo le paghe degli anni precedenti alla peste. L’ordinanza dei lavoratori emanata in Inghilterra nel 1349, e ripresa dallo Statuto dei Lavoratori del 1351 dice che  ci sono lavoratori che si approfittano della scarsità di manodopera per imporre un aumento dei salari non giustificato, preferendo non lavorare che accettare paghe più basse. Per fronteggiare questo fattore di disordine, si dispone che tutte le persone che non avevano già un occupazione o della terra da coltivare dovessero accettare qualsiasi proposta di lavoro venisse loro offerta. Chi si rifiutava era un ozioso. L’equiparazione agli oziosi era una minaccia che doveva spezzare le resistenze di chi si opponeva al blocco delle retribuzioni. Nella stessa ordinanza si punivano con la prigione anche i lavoratori che abbandonavano un’occupazione prima del termine e i padroni che accettavano di pagare salari più alti del consueto. Nel 1354, una nuova ordinanza regia sui prezzi imponeva un limite all’aumento dei salari per numerose categorie di lavoratori, che non potevano chiedere un salario superiore a 1/3 del valore degli anni precedenti la peste. Nonostante ciò, i salari dopo la peste continuarono a salire, ma non significa che i lavoratori vivessero meglio. Tra il 1340 e il 1400 diverse rivolte nelle campagne e nelle città turbò la vita delle città europee, già devastate da epidemie e crisi ricorrenti. Si trattò di sollevazioni violente che in alcuni casi portarono all’instaurazione di un governo provvisorio composto in maggioranza da piccoli artigiani alleati ad alcuni esponenti della borghesia mercantile  es: rivolte contro i re di Francia durante la Guerra dei Cent’Anni e governo provvisorio di Etienne Marcel; rivolta dei Ciompi (lavoratori tessili) in Italia. Tutti questi movimenti hanno punti in comune: meccanismi ingiusti del sistema fiscale, utilizzo improprio delle tasse, basso potere d’acquisto dei salari, che variava di anno in anno  il dato che emerge è infatti l’estrema variabilità del potere d’acquisto: una condizione di instabilità continua, di possibile caduta nella povertà che pesava sull’economia urbana. Le classi lavoratrici non erano sempre povere, ma potevano diventarlo con estrema facilità per periodi più o meno lunghi. Povertà e assistenza  per fronteggiare questa povertà ciclica, le società urbane elaborarono un sistema di aiuti caritatevoli e di assistenza organizzata (ospedali, confraternite, chiese, monasteri raccoglievano e redistribuivano le donazioni). Capire chi erano i poveri meritevoli di assistenza non era facile, perché il successo degli ordini mendicanti aveva posto la povertà al centro di una società giusta e ispirata da Dio. Si distinguono quindi i poveri volontari (rinuncia alle cose terrene e al denaro) dai poveri involontari (i mendicanti, persone povere da sempre e prive dei mezzi di sussistenza). I poveri involontari non erano molto considerati dal mondo ecclesiastico, e fin dal XII secolo canonisti e teologi avevano distinto i poveri meritevoli (si impegnavano a trovare un’occupazione per sopravvivere) dai poveri oziosi, che spendevano le elemosine nelle taverne senza lavorare. Thomas de Chobham condanna proprio la tendenza dei “poveri di professione”  il peccato (mortale) di cui i poveri immeritevoli si macchiavano era quello di appropriarsi delle risorse destinate ad altri: non solo non lavoravano, ma sottraevano risorse utili ad altri. Era quindi necessario indirizzare le elemosine verso i veri “poveri di Cristo”, selezionati dagli uomini di Chiesa. Erano loro a capire chi era veramente povero e di quanto avesse bisogno ed erano quindi loro a dover amministrare la carità pubblica. La carità fatta dai singoli individui era condannata come atto di vanagloria. Gli ordini mendicanti accentuarono questa dimensione economica della carità guidando gli enti assistenziali. Tra Trecento e Quattrocento molte confraternite si specializzarono nell’assistenza ai propri iscritti e nella distribuzione di elemosine ai membri più bisognosi. Si crearono piccoli ricoveri per i soci anziani e malati, e anche gli ospizi iniziarono ad estendere l’ospitalità a persone malate e deboli. Inoltre si moltiplicarono gli ospedali per malati a causa della peste, ma mantennero sempre un’attività di assistenza ai poveri. La maggior parte dei soggetti assistiti erano donne, che si presentavano sotto varie forme di debolezza (vedove, madri di famiglie numerose, malate). Le donne sposate erano in maggioranza. Alle donne si destinarono istituti specializzati  ospedali per il parto e le confraternite specializzate nel fornire doti per le giovani donne povere al momento del matrimonio. Furono poi istituiti ospizi ed ospedali, mantenuti dalle istituzioni pubbliche o dalle corporazioni di mestiere. La messa in comune delle sostanze dei cittadini più facoltosi doveva favorire una redistribuzione controllata della ricchezza fra i poveri, e allo stesso tempo i poveri (per non sprecare le elemosine ricevute) dovevano compensare il beneficio, quando possibile, con un’attività lavorativa. Aiutare i poveri mettendoli in ospedali o in ricoveri aveva un’altra funzione: evitare che gruppi di mendicanti girassero indisturbati per la città. Leon Battista Alberti ricorda come alcuni governanti, pur di non vedere i mendicanti andare di porta in porta a chiedere l’elemosina, avevano vietato ai poveri di restare in città senza fare nulla per più di tre giorni  “anche il cieco può essere utile lavorando”: intolleranza verso il povero ozioso, condannato dalla cultura ecclesiastica. Si diffuse allora il criterio dell’utilità nella gestione dei poveri, favorendo politiche di riutilizzo a basso costo di forze lavoro altrimenti inattive. Gli stessi orfanotrofi, come lo Spedale degli Innocenti di Firenze, allevavano i ragazzi per avviarli al lavoro nelle botteghe. La ricchezza materiale non era mai stata del tutto condannata dal pensiero cristiano, come si è sempre sostenuto  la ricchezza non è un male, ma può essere facilmente usata male. Si condannava quindi l’impulso ad accumulare beni per se stessi, senza l’intento di redistribuire il surplus in opere di carità per i poveri. La Chiesa aveva condannato queste pratiche di avidità e vanagloria  i beni andavano messi in comune e fatti circolare in un sistema di scambi fondato sulla carità, sulla capacità di dare e di distribuire in maniera equa e soprattutto gratuita il superfluo che diventava il necessario per i più poveri. Arbitri di questo scambio erano gli uomini di Chiesa, gli unici in grado di valutare cosa era superfluo e cosa era necessario. Vennero istituiti i Monti (dalla metafora francescana del “monte” come luogo di concentrazione della grazia infinita di Cristo, che va distribuita a tutti), istituti pubblici fondati sui capitali messi in comune con scopi morali e ispirati a valori cristiani, che nel corso del Quattrocento si specializzarono nell’assistenza di particolari categorie di persone (es: Monte delle doti). In molte città, l’elite economica divenne anche un’elite politica e di governo, che monopolizzava le cariche e controllava di fatto l’economia della città, la redistribuzione di beni e di ricchezze nella società urbana. I compratori delle quote del monte del debito divennero i controllori della politica non solo fiscale del comune. Anche nelle città a dominio signorile il processo fu il medesimo  a Bologna, sotto lo stato pontificio, l’intero sistema finanziario del comune fu appaltato ad una società di persone, il Credito di Tesoreria  i membri del credito prestavano al comune una somma prestabilita e prendevano in gestione le entrate pubbliche. Ciò avveniva perché i membri della Tesoreria erano eletti dalle stesse famiglie che componevano il Senato e l’ufficio dei Sedici riformatori = elitè politica della citta. Era un’elite chiusa, in cui i consigli, i senati e le assemblee decidevano con cura chi poteva entrare (= ricevere una carica) o meno. Nelle altre zone d’Europa il processo fu simile  la nobiltà accettava la superiorità del potere sovrano, ma chiedeva di condividere una parte dell’amministrazione dei territori del regno; chiedeva dunque di governare gli uomini all’interno di una struttura politica guidata dal re. rivolta contro i carolingi. Muore nel 799 a Montecassino. Scrisse l’Hystoria Langobardorum quando ormai il regno longobardo era già terminato. Volle raccontare la storia del suo popolo dalle origini fino alla fase terminale del dominio. Giuseppe Sergi definisce il Medioevo come “età di sperimentazione”  in “Idea del Medioevo” afferma che l’idea di Medioevo che ci viene presentata è in gran parte errata: ci viene presentata un’epoca tendente quasi al regresso (o comunque di pausa del progresso), mentre la realtà delle cose è che fu un’epoca ricca di innovazioni. LEZIONE 2. Hystoria Langobardorum  Nel 561 (prende potere Agilulfo) ci fu una grave siccità da Gennaio fino a Settembre, che provocò una grave carestia. A peggiorare la situazione, vi fu un’invasione di locuste per due anni di fila = distruzione dei raccolti e carestie che colpiscono la popolazione sul piano alimentare poiché si cibavano delle messi. Attorno al 680 avvenne un’eclissi di luna e una di sole, attorno all’ora decima del 3 maggio  subito una lunga pestilenza per i mesi di luglio, agosto e settembre. Furono talmente tanti i morti che a Roma e Pavia le sepolture avvenivano a due a due nello stesso feretro: i padri con i figli e i fratelli coi fratelli. Gli angeli dissero che la peste non sarebbe cessata fino alla costruzione di un altare nella basilica di San Sebastiano. Immediatamente fu fatto e la peste svanì. Eclissi di sole e luna, per le conoscenze del tempo erano difficilmente spiegabili e furono considerate i segni premonitori dell’epidemia di peste seguente (volere divino che vuole punire i peccati degli uomini). Conseguenza della peste fu lo spopolamento urbano: la peste si trasmetteva più velocemente e facilmente nei centri popolati, a differenza delle deserte campagne, che furono il rifugio per migliaia di persone. Altro fattore di regresso demografico fu la violenza diffusa, non solo per le grandi guerre ma anche per i frequenti conflitti locali. Regno di Clefi divenuto re, egli mandò a morte molti potentes romani. Dopo un anno e mezzo fu sgozzato da un giovane del suo seguito. Dopo la sua morte vi fu un periodo di interregno di 10 anni. I duchi presero il potere, ognuno in una città, e molti nobili romani furono uccisi per cupidigia delle loro ricchezze, e i loro beni annessi al demanio longobardo o destinati all’hospitalitas. Con Autari si sente la necessità di ripristinare un potere centrale, ma per fare ciò era fondamentale una base economica stabile  i duchi si spogliano di una serie di territori che avevano occupato, che entrarono a fare parte del fisco regio. Si crea così una solida base economica per rafforzare il controllo del regno (difficoltoso sotto Alboino, Clefi, e l’interregno di 10 anni). Morte Alboino  Alboino regnò per 3 anni e 6 mesi e fu ucciso per istanza della moglie Rosmunda (o Rosemunda). Mentre era ubriaco, ordinò che la moglie bevesse buon vino in una coppa creata dal cranio del defunto padre, vinto e sottomesso dallo stesso Alboino  stretto collegamento tra re vinto e re vincitore. La moglie, colma di tristezza e rabbia, tramò insieme al fratello Peredeo di Alboino la sua uccisione. Peredeo fu riluttante; Rosmunda ingannò Peredeo, trattenne con lui rapporti carnali e obbligò così Peredeo ad uccidere Alboino. Mentre Alboino riposava, ella obbligò che nella cella fosse mantenuto silenzio. Legò la spada al letto in modo che non potesse essere estratta da Alboino. Peredeo così reclutò Elmechi, scudiero avverso ad Alboino, che uccise il re. Peste  colpendo anche alla fine del Medioevo, ci viene raccontata da varie fonti, tra cui Matteo Villani nel 1300 (nella sua cronaca). Villani scrive in volgare. L’Epidemia cominciò in Oriente, in Cina e India superiore e colpì chiunque. Si presentava con gonfiori inguinali, ascellari e sangue sputato dalla bocca. La pestilenza colpì l’Asia, arrivò al Mar Nero e nelle rive del Mar Mediterraneo (Grecia, Persia). Molti per fuggire dalla morte, si trasferirono in Italia giungendo in Sicilia. Le vie del commercio rappresentano un tramite di diffusione dell’epidemia di peste, e così la peste giunse in tutta Italia, tranne Milano e le zone dell’Alamagna. Dall’Italia si spostò e nel 1349 si era sparsa in Francia, Spagna, Germania e Inghilterra. Tra la tarda antichità e il primo medioevo ci si trova di fronte a una forte recessione demografica, che culmina alla fine del VI secolo  l’Italia contava 8 milioni di abitanti nel III secolo; tra il IV-VI secolo ne conta la metà. La parte Occidentale dell’Impero (26 milioni di abitanti) sconta lo stesso calo del 50%. Molti centri vengono abbandonati e mai più riabitati. Le invasioni, che potenzialmente potevano supplire a questo calo demografico, in realtà non aiutarono ad aumentare la popolazione  i Visigoti che saccheggiarono Roma nel 410, percorsero tutta la penisola, si stanziarono in Italia ma vennero respinti dai Franchi a Nord. Stessa sorte per i Vandali, tutte popolazioni che non contavano più di 80/100.000 persone. LEZIONE 3. Sia Matteo Villani che il fratello Giovanni morirono di peste (il primo nel 1365, il secondo proprio nel 1348). L’opera di Villani (già continuatore della Nuova Cronica di Giovanni) fu proseguito dal figlio Filippo. Guerra dei Cent’Anni  distruzione quasi totale del territorio francese. Le crisi economiche provocarono poi rivolte soprattutto nelle campagne (jaqueries nella prima metà del 1300). Chroniques di Froissart (1337-1405)  ci parla della battaglia di Poitier del 1356: i francesi attaccarono per primi. Nervo fondamentale dell’esercito inglese furono gli arcieri, importante innovazione che evita la forza d’urto e colpisce allo stesso tempo fanti e cavalieri. La battaglia di Poitier scoppiò al mattino, mentre quella precedente di Crecy iniziò al vespro. Giovanni II fu eroico e attaccò l’esercito inglese (reputazione di re-cavaliere); ciò nonostante l’esercito francese fu pesantemente sconfitto e Giovanni dovette arrendersi agli inglesi. Lettera di Sant’Ambrogio  scritta poco dopo il 387 ad un amico, Faustino, in quanto gli era morta la sorella. Ambrogio utilizza il tema per la vita ultraterrena per confortare l’amico, sostenendo che la sorella defunta sia passata a miglior vita e stia meglio degli uomini terreni, che vivono in un periodo buio, con città e villaggi in decadimento (soprattutto nella zona della pianura emiliana, dove parla di tanti cadaveri di città cadute). Variae di Cassiodoro  nato da una famiglia benestante, serve sotto gli Ostrogoti di Teoderico (megister magistrorum) e si ritira presso il monastero nei pressi di Squillace fino alla morte nel 580. Importante fonte per conoscere caratteristiche del regno ostrogoto. Ci viene presentato Teoderico non come un distruttore di città, bensì ne costruisce diverse e le utilizza per l’efficace gestione del suo regno (integrazione tra vincitori e vinti). Ordina che se qualcuno ha nei suoi campi delle pietre di qualsiasi genere, utili per costruire muri, le conceda poiché allora possiederà di più, avendo favorito il benessere della sua città. Jacob Burckhardt e Riegel furono i primi ad utilizzare il termine di Tarda Antichità per definire i secoli di passaggio tra la fase del principato e gli immediati inizi dell’Alto Medioevo. Bisogna parlare di fine o di trasformazione del mondo antico? E quali sono state le cause che hanno portato a questa fine o a questa trasformazione del mondo antico? Due autori:  Ferdinand Lot nel 1927 scrisse “La fine del mondo antico e l’inizio del medioevo”  civiltà romana è terminata e morta di malattia interna.  Andrè Piganiol scrisse nel 1947 “L’Impero cristiano”  la civiltà antica è stata assassinata dalle invasioni barbariche. Considera la data di morte dell’Impero il 382, anno in cui l’Imperatore Teodosio stipula un accordo coi Goti riconoscendo loro la possibilità di stanziarsi nei Balcani. Ci sono poi autori con una visione intermedia (ma comunque più vicina a Lot) secondo cui la civiltà romana aveva problemi interni, che però sono stati amplificati dalle invasioni barbariche. Bryan Ward-Perkins parla della “catastrofe rimossa”  nel mondo della ricerca di lingua inglese ha preso piede una visione molto meno drammatica di quella che tradizionalmente era stata data della fine dell’Impero romano. Il guru di questa interpretazione è Peter Brown che nel 1971 ha pubblicato “Il mondo Tardoantico” che inizia a partire del III secolo e termina all’inizio dell’VIII secolo. Periodo caratterizzato dalla trasformazione di istituti culturali e religiosi di impronta romana. Il termine trasformazione indica che Roma continua a vivere anche dopo il II secolo, certamente mutata in una serie di elementi. LEZIONE 4. Invasioni portarono alla distruzione della civiltà attraverso la violenza inaudita dei popoli barbarici. Fino ad allora, il mondo della civiltà e quello della barbarie erano stati nettamente separati (barbarie tutta attorno al mondo civilizzato, al di la del limes). Una parte di studiosi ha sempre considerato la barbarie una condizione di vita nettamente inferiore, e quindi destinata a soccombere di fronte al modello civilizzato dell’Impero. Il ruolo del barbari fu quello di recettori passivi dell’incivilimento, nel momento in cui vengono a contatto con una civiltà superiore. Considerando, anziché la parola barbara, la parola Germanesimo, andiamo a ragionare in termini di una certa rilevanza. Aveva moglie legittima ma anche molte concubine (forse una era anche Sassone). Incoronazione imperiale di Carlo Magno  a seconda delle fonti si possono avere letture diverse, in quanto posso essere di parte o meno. Quattro fonti:  Cronico Mossiacensis  riguarda la storia del monastero benedettino di Moissac (Aquitania). Fonte Franca  Eginardo  Liber Pontificalis (ambiente papale)  raccolta non ufficiale ma ufficiosa di biografie di pontefici prodotta dal VI secolo e via via continuata  Cronografia di Teofane (corte imperiale d’oriente) De Institutiones Clericorum di Rabano Mauro  nato nel 780 d.C da famiglia romana, frequenta la scuola palatina, allievo prediletto di Alquino che gli affibbia il nome Maurus ( richiama Mauro, discepolo di S.Benedetto) LEZIONE: CROCIATE Reconquista (711-1492)  720: resistenza dei Goti nelle Asturie; nell’anno 1000 il sultano Al- Mansur arriva a conquistare tutta la Spagna. Dopo la sua morte ci saranno frammentazioni nel suo territorio. In Oriente, nel 638 i Musulmani conquistano Siria e Gerusalemme; nel 969 i Fatimidi conquistano Egitto e fondano Il Cairo, dopo essere partiti dal Maghreb , contendendo il titolo califfale con gli Abbasidi. Fase di scompiglio  arrivo dei Turchi Selgiuchidi, che convertiti all’Islam vanno a conquistare la Persia nel 1055 fino ad arrivare alle porte di Costantinopoli LEZIONE: Età comunale Come è nato il comune? PREMESSE: disgregazione delle strutture di inquadramento di origine carolingia (incremento dei poteri su base locale nell’intera Europa carolingia); lotta per le investiture aveva ridimensionato le gerarchie ecclesiastiche e in alcuni casi rotto il legame tra cives e vescovo; le grandi casate feudali sopravvissute al conflitto papato/impero non controllavano i centri urbani (es: Canossa); rinascita dei mercati e slancio demografico; crociate. TRE CASI A CONFRONTO:  Pisa (1087)  viene menzionato nelle fonti un colloquium civitatis, meccanismo assembleare che decide di abbattere alcuni torri urbane in altezza. Il vescovo rimane l’autorità superiore in città, e decide di avvallare la decisione dell’assemblea.  Genova  nel 1099 compare la compagna communis, con l’obiettivo di definire indirizzi comuni nella politica commerciale  Parma  nel 1120 compaiono i cives con l’obiettivo di definire la difesa della città. Il termine “commune” rappresenta un soggetto giuridico in grado di rappresentare e riunire i molteplici interessi della popolazione urbana (i cives), un ordinamento con carattere giurisdizionale. Quindi, il passaggio da città vescovile all’autogoverno cittadino si ha tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Il rapporto comune-vescovo può essere di:  Continuità  il vescovo fino al XII secolo svolge un ruolo istituzionale importante per un ente che ancora non aveva raggiunto una specifica autonomia; in alcuni casi riveste cariche comunali. I membri dell’assemblea sono spesso legati al vescovo da un legame vassallatico.  Rottura  contrasto delle rivendicazioni comunali che può sfociare nel conflitto aperto Componenti socio-economiche del comune italiano: 1. Aristocrazie di tradizione militare. Sono legate da un rapporto vassallatico al vescovo e detentrici di diritti signorili e beni allodiali o beneficiari nel contado 2. Mercanti e cambiatori. La loro ricchezza è a base fondiaria o mobiliare 3. Giudici e notai, uomini di cultura. Detengono la capacità di rappresentare i diritti del nuovo potere. Nel resto d’Europa, prevale invece la componente mercantile-commerciale. Espansione del contado  nel contado, il Comune sviluppa il proprio spazio rurale, nel comitatus
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