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storia medievale Provero - Vallerani, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto del manuale di Storia Medievale di Provero e Vallerani

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica storia medievale Provero - Vallerani e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! 1 PARTE: LA TRASFORMAZIONE DEL MONDO ROMANO Introduzione L’idea di medioevo nasce quando il medioevo finisce. Furono gli umanisti a coniare questo termine e ad individuare un periodo di mezzo che si frapponeva tra loro e l’età classica. Nasce in un momento storico preciso e serviva ad affermare la diretta discendenza dalla cultura classica e connotare il millennio precedente come un intermezzo di barbarismi e declino linguistico. Gli uomini del Rinascimento avevano lo Stato come modello politico più alto e guardavano con diffidenza il medioevo. CAPITOLO 1: L’IMPERO CRITIANO 1.1 il sistema imperiale tardoromano: potere e prelievi Un momento di transizione molto importante si ebbe intorno al II secolo quando terminò l’espansionismo militare romano. Il limes (confine) era quello del Reno e del Danubio. Da questo momento inizia l’impero tardoantico. - Apparato potere imperiale L’impero al suo interno non era omogeno ma aveva diverse popolazioni con culture, tradizioni e religioni diverse tra loro; anche il loro livello di romanizzazione era diverso da una civiltà all’altra ma tutte le popolazioni erano coordinate da un perfetto apparato statale, fiscale e militare. - Oriente e occidente Lungo il III secolo questo sistema conobbe una crisi con una serie di lotte per il trono che si stabilizzarono solamente con la presa del potere da parte di Diocleziano. L’imperatore divise nel 285 il suo potere con Massimiano, non era una divisione territoriale di Roma ma l’avvio di un lento processo che portò alla separazione in due imperi. Nessuno dei due imperatori risiedette a Roma che iniziò a perdere potere politico sempre restando la città simbolo dell’Impero. Questa polarizzazione si accentuò quando i due Augusti nominarono due Cesari (Galerio e Costanzo Cloro) come principali collaboratori. Lungo il IV secolo non ci furono due imperi ma spesso due imperatori. Per la divisione dell’Impero furono due i passaggi fondamentali: la fondazione di Costantinopoli ed il regno di Teodosio. 1) Nel 324 l’imperatore Costantino sulla città di Bisanzio fonda Costantinopoli. La città mostrava delle differenze rispetto alle altre città romane fondate nel tempo, fu nominata sede imperiale (non capitale) e aveva un Senato. Inizialmente il Senato era composta da senatori che curavano i loro interessi prevalentemente in oriente, poi nel V secolo divenne una vera e propria capitale. 2) Teodosio nel 395 sale al potere e capisce che dividere l’impero in occidente e oriente (mantenendo comunque un unico nome) era più efficace per controllare meglio il territorio e le sue diversità all’interno. Suo figlio Arcadio ottenne l’impero d’oriente mentre suo figlio Onorio l’impero d’occidente. - I costi dello stato L’impero romano doveva supportare economicamente 3 macro categoria: l’esercito (che era stipendiato regolarmente), l’apparato burocratico e la capitale. Le tasse servivano anche a garantire il cibo gratis per i cittadini di Roma ed erano a pagarle quasi esclusivamente i contadini (in base all’ampiezza del terreno e al numero di contadini) e i proprietari di fondi. La tassa era chiamata Annona e a riscuoterla erano i curiales. Questo sistema fiscale era la struttura portante di un sistema di circolazione economico. Il commercio si sviluppò sulle tratte percorse dalle imposte fiscali. Le tasse e le merci percorrevano la tratta del Mediterraneo e venivano sparse in tutto l’Impero. - Reti di scambio e le difficoltà del tardoimpero Nonostante la lontananza le aree dell’Impero romano erano interdipendenti tra loro e legate. Questo sistema andò in crisi con la fine delle conquiste militari perché l’Impero non disponeva più di bottini e di schiavi. Le villae romane divennero il simbolo della convivenza tra aristocrazia e colonnato cittadino. Le spese militari però non erano comprimibili perché i limes (soprattutto Reno – Danubio e Persiano) andavano difesi e l’esercito necessitava di continue risorse. Gli imperatori adottarono una politica inflazionistica: le monete che incassavano venivano fuse e riconiate con una quantità minore di metallo e dunque con meno valore, questo tipo di politica colpì i poveri. I costi dell’interdipendenza superarono i vantaggi. Le province ormai servivano solo a rifornire l’Italia. Cartagine in questi anni assume un ruolo fondamentale perché fornisce grandi ricchezze ai romani. 1.2 L’esercito, il limes , i barbari La coscrizione obbligatoria nell’esercito era stata sostituita perché i proprietari terrieri pagavano una tassa per mantenere i propri lavoratori nei campi e non mandarli nell’esercito. Grazie a questa tassa l’impero era in grado di mantenere, equipaggiare, nutrire e stipendiare l’esercito. L’esercito era molto ampio sia per la continua difesa dei limes che per le numerose guerre civili tra imperatori. Nel IV secolo si definirono due settori fondamentali : 1) comitatenses: forza mobile incaricata di accompagnare l’imperatore 2) limitanei : guarnigioni poste a difesa del limes. - Il limes Uno dei limes più importanti era quello europeo del Reno e del Danubio perché fu qui che nel V secolo i barbari sfondarono e saccheggiarono Roma. Il limes non era una distinzione netta tra romani (all’interno) e barbari (all’esterno), ma un punto di incontro, scontro e scambio tra le due civiltà. Le popolazioni barbare non erano estranee al mondo romano, non ne erano sottomesse ma ne erano fortemente influenzate in diversi campi. - Barbari o germani? Barbaro era un termine che deriva dal greco per indicare lo straniero. (bar-bar). Era un elemento carico di termini di giudizio. Non erano pienamente assimilati con la cultura romana e soprattutto non erano romani. Tacito li chiamò germani senza considerare le diversità tra i vari gruppi di barbari. Studi recenti condotti da austriaci parlano di etnogenesi: ovvero partendo dalla domanda “come si vedevano i barbari?” sono arrivati alla conclusione che non vi è risposta definitiva, non avevano un’identità permanente ma era l’esito di una continua rielaborazione. I barbari avevano una struttura politica modesta, quasi tribale. Varie tribù si univano soprattutto in periodo di guerra e molte di loro hanno continuato la coalizione fino a diventare veri e propri popoli, ma conta sempre la visione soggettiva che un membro ha, non si trattava di gruppi perfettamente omogenei e stabili. - I barbari e le ricchezze dell’impero I popoli barbari dunque seguivano i leader che gli potevano portare più ricchezze. Fra III e IV secolo furono attratti dall’Impero. Roma era sempre alla ricerca di validi soldati e le differenze di etnia e lingua non erano rilevanti. I barbari iniziarono a mettere a disposizione le loro abilità di guerrieri all’interno dell’esercito e venivano ricompensati con stipendio. Interi gruppi di barbari entrarono dunque nell’esercito romano accelerando il processo di etnogenesi. I popoli barbari mantenevano le loro legioni integrandosi poco con i romani e al seguito di un valido re e comandante (che nel frattempo assumeva anche ruoli di rilievo nell’esercito) si identificarono ancora di più. Il processo subì un cambiamento alla fine del IV secolo quando gli Unni sparsero il caos e costrinsero diverse popolazioni barbare a migrare verso occidente. La quantità di persone che chiedeva di entrare a Roma era mai vista prima e il limes non ha retto. Una volta all’interno i barbari iniziarono opere di saccheggio. L’imperatore Valente già impegnato in Persia tornò per attaccare i Visigoti, ma perse clamorosamente ad Adrianopoli e morì (378). Dopo la battaglia si avvia il processo di separazione tra oriente (popoli barbari più inseriti nell’esercito e con ruoli minori) e occidente fino a quando Teodosio non divide l’impero tra i suoi due figli Arcadio e Onorio. Ad occidente il limes renano perse efficacia e tra 406 e 407 entrarono molti gruppi armati, l’azione più clamorosa fu il sacco di Roma del 410. Esempi di militari barbari / romani furono: Arbogaste: era un franco che ricopriva l’incarico di comandante supremo dell’esercito romano. Si ribellò all’imperatore Valentiniano II e lo uccide facendo nominare Flavio Eugenio. Teodosio nel 394 uccise sia Arbogaste che Eugenio. Stilicone: era un vandalo che fu comandante supremo dell’esercito sono Onorio, vinse contro i Visigoti di Alarico e contro Radagaiso a Fiesole ma questa vittoria lasciò campo aperto ai popoli che nel 407 valicarono il Reno. Fu accusato di tradimento e ucciso. Alarico: era il re dei Visigoti ma anche comandante degli eserciti romani nell’Illirico. Guidò la ribellione del suo popolo ma fu sconfitto da Stilicone e rientrò nei ranghi dell’esercito romano. Nel 410 guidò il sacco di Roma e la sua avanzata si fermò in Calabria dove morì. La sua impresa da la forza per la formazione di un regno visigoto. Odoacre in Italia: Quando Odoacre depose Romolo Augustolo ritenne inutile nominare un nuovo imperatore d’occidente. Odoacre non propose il suo dominio sull’Italia né come un tentativo di egemonizzare l’occidente. Il controllo di Odoacre si limitò all’Italia perché a quello si era ridotto l’Impero che negli anni aveva perso: la penisola iberica, la Gallia, la Britannia e l’Africa. L’imperatore d’oriente Zenone non vedeva in Odoacre un alleato affidabile e lo combattè fino ad ucciderlo a Ravenna, l’impero d’occidente passò a Teodorico, re degli Ostrogoti. Una nuova geografia politica Alla fine del V secolo si riconosce una geografia delineate, un Sistema di dominazioni barbare. In italia ci fu prima Odoacre e poi Teodorico con gli Ostrogoti, la Gallia era controllata dai Franchi, dai Burgundi e dai Visigoti (che avevano anche parte della penisola Iberica). I Vandali si erano allontanati della penisola Iberica e controllavano Sicilia, Sardegna e Corsica. Le isole britanniche erano controllate da celti, angli e sassoni. 2.2 I nuovi regni Dopo il crollo dell’Impero ci fu un impoverimento generale ma una continuità nella struttura politica. I regni appaiono come una riproposizione su scala regionale dei meccanismi dell’Impero. - La nuova elite politica germanica nei secoli precedenti l’elite politica controllava l’esercito ora è successo il contrario. L’esercito composto in gran parte da germani controllava la politica. I germani basarono il loro dominio su ampie fondamenta, i sistemi dell’Impero non vennero stravolti ma mantenuti in gran parte. Il modello romano era forte ed efficace ed era ancora vivo nell’Impero d’Oriente. I vescovi assunsero un ruolo più importante, quello di consiglieri del re. - La fine del prelievo Progressivamente i re germanici terminarono di prelevare le tasse dal popolo. Era un compito ingrato e soprattutto i regni romano-barbarici non avevano capitali da alimentare come lo era stato Roma per l’Impero (città sfarzosa che era mantenuta dall’Imepratore che manteneva anche l’urbe). L’esercito non era più composto da professionisti stipendiati ma dalle popolazioni germaniche ed i soldati venivano premiati con delle terre e non con stipendio. Senza il prelievo delle tasse si interruppe lo scambio commerciale lungo il Mediterraneo che aveva reso grande l’Impero. Molte città e molti settori produttivi andarono in crisi. - Le ricchezze dei re: il passaggio dall’Impero ai regni comportò una ricchezza generale minore visto la fine della tassazione sostituita dalla distribuzione di terre. I re e l’aristocrazia erano più povere ma il re era marcatamente più ricco dell’aristocrazia. I nobili lottavano per stare al fianco del re e non per sostituirlo. I mutamenti economici trasformarono anche il sistema politico. 2.3 L’Italia Ostrogota - le forme del dominio di Odoacre Odoacre una volta conquistata l’Italia non cambiò rispetto ai romani. Si era circondato di aristocratici che controllavano vasti territori e avevano ampi poteri, l’esercitò era ancora stipendiato e lui si era nominato patricius (titolo che evocava la sua voglia di inserirsi nel mondo romano senza voler essere imperatore) e rex gentium, titolo che estendeva il suo dominio sui popoli (gentes) che costituivano il suo esercito. - L’impero e Teodorico Odoacre governò l’Italia con stampo imperiale per 13 anni, fino a quando l’imperatore d’oriente Zenone non decise di deporlo. Odoacre non era una figura ben vista da Zenone, non lo ritenne un buon mediatore per la figura dell’Impero in Italia. L’esercito orientale era troppo debole per riconquistare l’Italia, dunque si fece affidamento su Teodorico e i suoi Ostrogoti. Teodorico era stanziato ai margini dell’Impero e da tempi aveva rapporti di odio/amore con l’Impero. Zenone vedeva in lui una figura carismatica in grado di mantenere l’Impero ma anche una potenziale minaccia (si conobbero perché Teodorico fu prigioniero a Costantinopoli). - L’invasione Ostrogota Zenone dunque diede incaricò a Teodorico di conquistare l’Italia, cosa che fece a partire dal 489. Alla sua campagna si unirono diverse altre popolazioni barbare, questo mostra chiaramente come erano fluide le cittadinanze e le appartenenze; ognuno sceglieva il proprio popolo ed il proprio re senza legami di sangue o discendenza. Dopo alcune sconfitte Odoacre fu abbandonato dall’aristocrazia e si rifugiò a Ravenna, Teodorico lo costrinse ad arrendersi e poi lo giustiziò. Inizia una convivenza tra una minoranza di Goti e una maggioranza Latina. I Goti erano principalmente al nord dove furono costruite diverse residenze del re a: Verona, Pavia e soprattutto Ravenna. - Esercito Goto e amministrazione romana Teodorico continuò bene o male nel solco di Odoacre, l’Italia passò dall’Impero a Odoacre e poi ai Goti senza cambiare sostanzialmente. Era sempre protetta da un impero germanico e controllata dalla stessa elite che aveva già collaborato con Odoacre. Fu invece la vita dei Goti ad essere stravolta, passarono dall’essere ai margini dell’Impero e con un rapporto conflittuale ad esserne il centro. - Il consistorium regio Fu il principale strumento di governo di Teodorico, ovvero un consiglio ristretto formato da Goti e Romani che affiancava il re. Il punto debole di questo sistema fu che l’unico punto di integrazione reale tra Goti e Romani fu il consistorium, per il resto i due popoli non si integrarono. Ma per 30 anni Teodorico governò saldamente grazie all’appoggio dell’aristocrazia Romana. - La protezione delle chiese L’accordo tra Teodorico e l’aristocrazia Romana trovò uno sbocco anche sul piano religioso. Teodorico come molti barbari era di fede e ariana e continuò a mantenerla, però si pose come garante e protettore della Chiesa (che nel frattempo raccoglieva sempre più potere, soprattutto con il Vescovo di Roma). L’ottimo rapporto tra Teodorico e la chiesa cattolica si manifestò nel 498, quando alla morte di papa Anastasio II furono eletti due papi: Simmaco e Lorenzo. Entrambi i papi cercarono le grazie di Teodorico e chiesero a lui di risolvere la questione nominando un solo papa. Nel 500 Teodorico fece vista a Roma e sia il Senato che il papa gli resero omaggio con cerimoniali imperiali. L’egemonia sui regni germanici: La stabilità del regno di Teodorico permise all’Italia di allargare i suoi confini oltre le Alpi orientali. Inoltre tramite matrimoni combinati si mise in una posizione egemone su larghe parti d’Europa. Teodorico diede una sorella in sposa al re dei Vandali, sposò la sorella del re dei Franchi e diede figlie in spose ai re dei Visigoti e dei Burgundi, una sua nipote sposò il re dei Turingi. Fu importante la relazione con il regno dei Visigoti. Motivo di lotta tra Ostrogoti e Franchi. Nella battaglia di Vouillé (507), il re franco Clodoveo uccise il re visigoto Alarico II. Dopo la battaglia, Teodorico assunse la tutela di Amalarico, nipote di Alarico e nuovo re dei Visigoti, affermando un controllo indiretto sulla Provenza. - La crisi del regno: La mancata integrazione tra Goti e Romani fu il principale motivo di crisi del regno di Teodorico. L’apice si raggiunge nel 518 quando l’imperatore Giustino avviò una campagna di persecuzione contro gli ariani alla quale Teodorico rispose con una persecuzione nei confronti dei cattolici. La dimensione religiosa fu solo uno dei fattori che fece nascere la crisi, la principale causa fu la rottura della cooperazione tra il regno e l’aristocrazia senatoria che si stava riavvicinando all’Impero; tutto ciò portò a persecuzioni religiose ed ostilità che alla morte di Teodorico si trasformarono in guerra aperta perché il regno ostrogoto fu indebolito ulteriormente dalle battaglie per la corona. Teodorico morì nel 526 e diede il potere a sua figlia Amalasunta, che fu tutrice del nuovo Re Atalarico (re bambino). Alla morte di Atalarico nel 534 Amalasunta si trovò in una posizione di debolezza e sposò suo cugino Teodato, un ricco aristocratico Goto d’Italia. Il matrimonio fallì per le divergenze politiche tra i coniugi, Amalasunta cercò di ripristinare il rapporto tra Goti e Romani ponendosi sotto la protezione dell’Imperatore Giustiniano, Teodato cercò invece il conflitto appoggiato dagli aristocratici goti. Amalasunta fu deposta imprigionata ed uccisa nel 535 e Giustiniano dichiarò guerra al regno Ostrogoto. Dopo 20 anni di guerra l’Italia tornò nell’Impero. 2.4 Anglosassoni, Vandali e Visigoti 2.4.1 Anglosassoni - la fine della presenza romana I Romani erano presenti in Gran Bretagna solamente nella parte meridionale delle isole al sud della Britannia ma la loro influenza era molto forte anche in terre fuori dal limes come Scozia e Irlanda. Il controllo dell’Impero terminò nel 410 e si notò subito un immediato impoverimento della società, oltre alla fine del controllo dell’Impero c’èra una grave crisi sociale. - Regni Celti e Regni Anglosassoni Con la fine dell’Impero arrivarono i primi saccheggi anglosassoni che poi col tempo si trasformarono in insediamenti stabili. Si creò una struttura politica instabile con molti capi e molte popolazioni disunite. L’aristocrazia era poco sviluppata e si differenziava di poco dai cittadini. I Celti controllavano la zona occidentale della Britannia mentre i Celti la zona orientale. Anche la Chiesa cristiana e la fede cattolica vacillarono, nel VI secolo avvenne una seconda evangelizzazione per riconquistare fedeli. Per quanto riguarda l’Irlanda, quest’isola NON subì le incursioni dei Sassoni. Anche però qua si assiste ad una frammentazione politica: decine o centinaia di regni, i tuatha, i cui re avevano un potere militare e politico ma non legislativo: guidavano la popolazione sula base di norme che non potevano modificare.  processo di overkings : i re più potenti degli altri impongono un controllo militare sulle dominazioni minori. Anche il processo di cristianizzazione seguì questa frammentazione politica, diffondendosi di regno in regno in forma diverse al mondo romano: non vi erano le diocesi, ma il potere si polarizzò intorno ai grandi monasteri, non solo centri di preghiera ma anche di cura delle anime e guida dei fedeli. 2.4.2. Vandali La zona del nord africa era molto ricca per agricoltura, grano e olio. Tramite le tasse riuscivano ampiamente a rifornire la città di Roma e le truppe impegnate sui limes del Reno e del Danubio, inoltre erano zone sicure che non richiedevano grandi plotoni a protezione, tutto cambiò col dominio Vandalo. - La formazione del regno: i Vandali nel 417 erano stanziati nella penisola iberica ma nel 429 sotto la guida di Genserico si imposero in nord Africa, nelle province della Byzacena e della Proconsularis (controllate fino al 534). Fu il primo popolo germanico ad avere un regno all’interno dell’Impero prima della sua caduta effettiva, inoltre non scesero mai a patti con l’Impero per il loro stanziamento. - Rottura religiosa e continuità fiscale Il regno Vandalo si distaccò dall’Impero sotto l’aspetto religioso, i Vandali mantennero la loro fede ariana e perseguitarono a più riprese gli Africani cattolici. I Vandali però furono l’unico popolo germanico a mantenere una fiscalità come quella romana e a mantenere un ottima economia agraria. Le tasse non andavano più a rifornire (come nel caso di Roma) la capitale (era minima al confronto con Roma), l’esercito (i soldati erano premiati con terre e non stipendio) e burocrazia (molto più snella rispetto a quella romana) dunque i re Vandali accumularono grandi ricchezze e le tasse non uscivano dal regno. - Le difficoltà finanziarie dell’Impero La perdita dell’Africa segnò un duro colpo per l’Impero perché da li arrivava gran parte dell’agricoltura romana e delle tasse. L’Impero ebbe una crisi militare perché non riusciva più a garantire stipendi ai soldati. Anche l’economia africana subì un duro colpo, la domanda dei loro bene da esportare diminuì e di conseguenza tutta la produzione. 2.4.3. Visigoti 1) Lungo il V secolo si stanziarono tra il sud della Gallia e la penisola iberca - monacazioni di esponenti delle grandi famiglie aristocratiche - reclutamento di vescovi all’interno dei monasteri 3.3 I regni e l’aristocrazia La forza del regno Franco viene soprattutto dall’ aristocrazia che ruota intorno al re, la fusione tra aristocrazia franca e aristocrazia romana è il vero segreto dei Franchi. - La Lex Salica: Clodoveo nel 510 scrisse la lex salica, ovvero una raccolta scritta delle leggi franche. Il fatto di scrivere le leggi era tipicamente Romano e non franco, al centro delle regole non si pone mai il re ma il “mallus” ovvero l’assemblea degli uomini liberi. L’aristocrazia svolge un ruolo fondamentale. I Franchi organizzarono il loro territorio dividendolo in distretti e affidando ogni distretto ad un comes. Il re delegava gli aristocratici di sua fiducia di controllare il territorio e teneva con loro un rapporto clientelare. L’esercito non era più stipendiato come ai tempi dell’Impero ma il re ricompensava i soldati con la donazione di terre. Non avendo un esercito e una capitale da mantenere la tassazione fu duramente contestata e addirittura abolita tra VI e VII secolo, perciò i re merovingi furono più poveri degli imperatori e di conseguenza più deboli e soggetti al potere aristocratico. I Merovingi però erano molto più ricchi degli altri re germanici e degli aristocratici franchi, dunque il re aveva un ruolo centrale e l’aristocrazia guadagnava potere ruotando intorno al re. - Le assemblee del popolo: Il Mallus con il passare del tempo perse la sua importanza, la maggiore ricchezza del re e degli aristocratici si fece sentire, inoltre i re venivano scelti per eredità e successione dunque il mallus perse il potere di elezione del re, ora potevano solo ratificare una decisione già presa. Guadagnarono importanza le assemblee dei distretti tenute dai comes a livello regionale. - Le divisioni del regno: le assemblee regionali non divisero il territorio frammentandolo, però raramente nel VI e VII secolo il regno Franco fu unito sotto un solo re. Il motivo di frammentazione furono i meccanismi di successione al trono. Il regno e la corona erano considerati patrimonio del re. Non fu un processo anarchico ma il regno si divise in: - Austrasia, Neustria, Burgundia e Aquitania. Tutti i momenti di frammentazione e ricomposizione furono sempre sotto la famiglia merovingia, alla morte di un re non era mai chiaro quali e quanti figli avrebbero preso il suo posto. CAPITOLO 4: LA ROTTURA DEL MEDITERRANEO ROMANO 4.1 Produzione e scambi in occidente Gli scambi nel Mediterraneo sono stati valutati dagli archeologi grazie ai ritrovamenti delle ceramiche dell’epoca. La ceramica fa capire sia la richiesta del materiale da parte dei nobili sia dei mercanti perché olio, grano e vino erano trasportati in botti di ceramica. Il sistema economico romano subì una prima trasformazione dal II secolo : con la fase di espansione del regno, si era assistito ad una crescita drogata, ossia ad un ingente afflusso di bottino e schiavi. Quando l’espansione terminò, anche questo afflusso rallentò  i costi dell’unificazione politica pesarono in maniera rilevante. Questo mutamento influenzò a sua volta quattro aspetti: 1) Città: La crisi riguardò principalmente le città, le quali persero l’importanza che avevano nell’antica antica quali centri del potere e del fisco imperiale. Le élite cittadine erano responsabili del prelievo fiscale e questo compito oneroso dava loro molta possibilità di crescita. Tuttavia, nel momento in cui il sistema fiscale tramonta, per essere potenti era sempre meno importante vivere in città.  drastica riduzione della popolazione. La città che subì la trasformazione più radicale fu però Roma. Nel momento in cui viene meno il sistema fiscale, essa poté sostenersi solo con le risorse provenienti dal Lazio e dalle terre del vescovo  rapida e profonda riduzione della popolazione urbana: da metropoli a città di 20 mia abitanti.  NON è fine dell’urbanesimo : i centri urbani considerano comunque una loro importanza garantita dalla continuità del potere vescovile 2 Le reti interregionali Per comprendere i mutamenti delle reti è necessario osservare i beni di massa, ossia le materie prime alimentari e gli oggetti di uso più comune. La città di Roma e gli eserciti del limes venivano mantenuti dalle produzioni cerealicole di regioni come l’Egitto, la Tunisia e la Sicilia, i cui ingenti trasferimenti erano sostenuti da una serie di infrastrutture statali, che rendevano possibile uno scambio al contempo commerciale e fiscale. Tuttavia, una rottura significativa fu segnata dalla conquista vandala della Tunisia (439), che interruppe l’asse fiscale che collegava Roma a Cartagine che garantiva il rifornimento cerealicolo. Lo scambio si ridusse a scambio commerciale: Roma continua a rifornirsi di questo grano, ma il rifornimento si fa più oneroso e più piccolo ma, a causa della diminuzione della domanda, anche le produzioni nordafricane si riducono drasticamente. 3 La produzione Per indagare il quadro produttivo, è necessario porre attenzione alla domanda delle élite, che sono in generale più povere rispetto alle aristocrazie romane dei secoli precedenti. A prescindere dalla struttura produttiva agraria di base (grano, olio e vino) ci sono molte differenze tra regione e regione, che portano ad una progressiva frammentazione, dovute a: o La specializzazione produttiva che diventa un fattore di debolezza in una situazione di isolamento economico o Diverse ricchezze dell’aristocrazia da regione a regione o Diversi danni provocati dalle guerre o Il sistema fiscale che in alcune regioni si conserva di più che in altre Nel complesso, nel Mediterraneo orientale si conservò una rete di scambi ampia e fondata sull’azione statale che servì a mantenere sia la capitale che gli eserciti posti sul limes, questo sistema NON resse invece nella parte Occidentale, che si caratterizzò invece più come scambio su base regionale. 4 La condizione dei contadini I contadini rappresentavano circa il 90-95% della popolazione e a causa dell’abbondono delle città si assistette ad un aumento relativo, ossia in proporzione, della popolazione rurale. Se le condizioni di vita die contadini non mutarono sensibilmente, è vero che l’autonomia contadini è inversamente proporzionale alla ricchezza aristocratica: più gli aristocratici possiedono terre più i contadini sono ridotti a lavorarle come servi. Dunque, dato che nei primi secoli del Medioevo l’aristocrazia era in generale più povera, il controllo sui contadini era meno opprimente che in precedenza. 4.2 Le ambizioni universali dell’Impero di Giustiniano - la nascita di una capitale: Nel corso del IV secolo la parte orientale dell’impero gravita sempre di più intorno a Costantinopoli, fondata nel 324 da Costantino. Nel V secolo divenne capitale dell’Impero e si pose al centro di un dominio che prendeva gran parte del Mediterraneo orientale e meridionale. Proprio lungo il V secolo Costantinopoli si pose in continuità con l’Impero cristiano del secolo precedente, soprattutto per tre aspetti: 1) La successione al trono: non ci fu mai un’eredità definita , ma il consenso popolare era fondamentale. Il trono era spesso in discussione e chiunque poteva ambire a conquistarlo, anche i cittadini più poveri. Fino al X secolo guerre civili per la presa del trono si susseguirono creando grande instabilità. 2) Burocrazia ed esercito: la burocrazia al contrario della politica era fortemente stabile e mandava avanti tutto l’apparato. Dal punto di vista amministrativo lo Stato viveva sulla relazione tra la corte imperiale (capitale) e le province. La grande distinzione era tra gli eserciti, limitanei (che stavano sul limes) e comitatenses (affiancavano l’imperatore) 3) La continuità fiscale: il sistema burocratico gestiva anche il prelievo fiscale. In continuità con l’Impero precedente si prelevavano tasse regolari sulle persone e i beni come l’annona. La burocrazia per la gestione del sistema era enorme e scoraggiò diversi popoli germanici a proseguirla. Questo mantenne saldo l’impero, inoltre in oriente la moneta circolava più fluidamente rispetto che in occidente. - Il rinnovamento del diritto, corpus iuris civilis Questa organizzazione richiedeva la presenza di corsi di formazione scolastica (Roma, Costantinopoli e soprattutto Beirut) per istruire studenti. Questo sistema di alta formazione giuridica fu alla base della grande riforma legislativa di Giustiniano (imperatore dal 528 al 565) che si espresse nel corpus iuris civilis. Per prima cosa Giustiniano riordinò le tante e disordinate leggi romane nel CODEX, una raccolta delle principali norme dall’età di Adriano fino al 529. In seguito i giuristi di corte redassero il DIGESTO, una raccolta selettiva di scritti di giuristi e le INSTITUTIONES, testi destinati all’insegnamento universitario del diritto. Infine furono pubblicate le NOVELLAE, nuove leggi imperiali e arrivate a seguito del codex. - le premesse dell’espansione militare: Giustiniano voleva ricomporre l’Impero e avviò campagne militari di successo riconquistando: La Tunisia, l’Italia e parte della Spagna. Queste campagne militari furono possibili perché il limes persiano dava meno problemi, il rinnovamento del diritto col corpus iuris civilis diede più risalto alla figura dell’Imperatore e la politica fiscale diede nuova prosperità. Per prima cosa venne riconquistata l’Africa, nel 533 il generale Belisario sconfisse facilmente i Vandali e riportò all’Impero le grandi produzioni africane. Più difficili furono le guerre in Spagna (contro i Visigoti) e in Italia contro gli Ostrogoti. Le truppe di Belisario conquistarono facilmente dalla Sicilia a Ravenna, costringendo i goti ad un patto di spartizione. La presa del trono italico da parte di Totila però scombinò i piani, i goti tornarono ad attaccare. Giustiniano sostituì Belisario con il generale Narsete e inziò una campagna via terra partendo dalla Dalmazia, nel 553 l’Italia era conquistata. Giustiniano rese Ravenna capitale d’Italia e lasciò Roma sotto il controllo del vescovo. - La conquista Longobarda: la debolezza dell’Impero in Italia si vide quando nel 568 i Longobardi valicarono le Alpi e attaccarono l’esercito. I Longobardi fecero un azione disorganizzata, prendendo prima il Friuli e poi allargandosi nella Pianura Padana (dura lotta per Pavia) ma non si avvicinarono mai a Ravenna. Dalla Pianura Padana i Longobardi organizzarono diverse campagne contro un esercito imperiale stanco dalla guerra contro i Goti. - due Italie: si crearono due Italie: quella dei Longobardi che controllavano la Pianura Padana, la Tuscia e i ducati di Spoleto e Benevento. E l’Italia imperiale che aveva : il Lazio, Ravenna, Marche, Liguria, gran parte del meridione, la pianura veneta e le isole. L’eredità militare di Giustiniano fu fragile: l’Africa rimase romana per un secolo prima della conquista araba, la Spagna la forza dei visigoti non lasciò spazio ai romani e l’Italia subì l’immediata conquista Longobarda. 4.3 Dibattiti teologici e identità locali Tra il V e il VI secolo il dibattito teologico si sposta dal piano trinitario al piano cristologico: come possono convivere due nature, divina e umana, in una sola persona? È necessario che Cristo sia pienamente Dio per garantire l’efficacia salvifica dell’incarnazione, ma dev’essere pienamente uomo perché solo così gli si può riconoscere una sofferenza reale. Tentativi di soluzione: - Nestorianesimo Nestorio, divenuto vescovo di Costantinopoli, sosteneva la presenza di Cristo in due persone distinte e, di conseguenza, rifiutava a Maria il ruolo di Madre di Dio , sostituendolo con quello di madre di Cristo, ossia Gesù congiunto con il Figlio. Questa posizione venne condannata nel concilio di Efeso (431): NON fondava in maniera solida il coinvolgimento del Figlio (natura divina) nella sofferenza e nella morte di Cristo. È un dibattito che vede l’opposizione di sedi patriarcali importanti: Antiochia VS Roma e Alessandria. Il Nestorianesimo si conservò nell’impero persiano dei Sassanidi oltre il VII secolo - Monofisismo Umanità e divinità si fondono a dare vita ad una sola natura, che sia in grado e di soffrire come uomo e di operare la redenzione in quanto Dio. perché offuscava le due nature, cancellandone la specificità. - Diofisismo Presenza di due nature distinte e integre unite in modo indissolubile nella presenza di Cristo. Questa posizione fu sostenuta da Roma, Antiochia e Costantinopoli ( centralità di Costantinopoli) provenienti da lì fossero molto richiesti dalle coste del nord. Si crea così un nuovo sviluppo insediativo, ossia l’emporium, ossia un centro abitato organizzato attorno ad un porto con finalità specificatamente commerciali. CAPITOLO 2: NUOVI QUADRI POLITICI, IL REGNO LONGOBARDO 2.1 Longobardi in Italia I regni di Vandali e Ostrogoti vennero spazzati via militarmente dall’espansione dell’Impero, il regno dei Franchi si consolidò in Gallia e Visigoti nella penisola Iberica. Nella penisola italiana invece si affermarono i Longobardi: il loro fu un regno romano – barbarico di seconda generazione, condivise molti problemi degli altri regni ma lo fecero in un contesto mutato, con i Franchi che controllavano gran parte d’Europa. I Longobardi rispetto all’Impero erano situati all’estrema periferia, non del tutto separati da questo mondo ma con contatti rari e influssi deboli. Occupavano le zone della Pannonia (attuale Ungheria). Avviarono i contatti con l’Impero agendo da soldati mercenari (senza mai integrarsi), la loro migrazione nacque sia dall’accentuarsi delle tensioni militari con gli Avari sia perché l’Italia offriva grandi bottini. I Longobardi erano un popolo – esercito, ogni uomo libero era anche un soldato, la loro non fu soltanto una conquista militare ma la vera e propria migrazione di un popolo intero. Erano guidati da re Alboino, molti popoli videro nella loro avanzata la possibilità di arricchirsi e di accumulare bottini, ma una volta unitisi alla campagna divennero ufficialmente cittadini Longobardi, accelerando il processo di etnogenesi e di formazione del popolo Longobardo. Alboino riuscì ad attivare un circolo virtuoso: il progetto di conquista dell’Italia offriva ottime prospettive e questo attirò nel suo seguito nuovi gruppi armati che rafforzarono l’esercito Longobardo migliorando le prospettive della spedizione. Alboino valicò le Alpi nel 568 e iniziò una lunga e violenta conquista. Conquistarono la pianura padana, la Tuscia e i ducati di Spoleto e Benevento. Il confine tra Longobardi e Romani era una trama fitta e complessa, quasi ogni punto del territorio italiano era nei pressi del confine. - Struttura potere: Il re non era l’unico potere in carica tra i Longobardi. I Longobardi erano formati da uomini – liberi che componevano l’esercito ed erano chiamati farae. Le farae erano gruppi uniti da una solidarietà militare e attivi soprattutto quando il popolo-esercito si muoveva. A capo delle Farae troviamo i duces (duchi): guide militari e che dunque guidavano e comandavano anche il popolo Longobardo. I duchi avevano ampia autonomia dal re e questo si vide nella conquista dell’Italia: alcuni di loro si spinse in autonomia a conquistare dei territori (Spoleto e Benevento) senza la coordinazione di re Alboino. In Italia i duchi scelsero delle dimore fisse, non furono mai capoluoghi definiti dal regno ma l’espressione diretta e autonoma dello stanziamento dei singoli duchi e del loro seguito armato. Gli spazi tra le sedi ducali non erano ben definiti ed il potere di un duca si estendeva fino a dove non andava a scontrarsi con il potere di un altro duca. Anche il re era prima di tutto una guida militare, scelto grazie alla sua grande forza fisica e alla sua bravura come guerriero. Il re longobardo era elettivo, scelto in teoria dai Farae ma concretamente dai duchi. Durante i primi decenni del regno longobardo in Italia emergono alcuni cambiamenti importanti: Re Alboino venne ucciso nel 572 da una congiura e gli succedette Clefi, che rimase in carica 2 anni prima di essere ucciso. Dal 574 al 584 i Longobardi rimasero senza re perché finita l’espansione militare i duchi ritennero che la figura del re fosse solo un intralcio dato che il potere era nelle loro mani. Nel 584 tornarono a nominare un re perché le esigenze militari lo richiedevano: i Franchi pressavano sul territorio Longobardo e serviva una guida per l’esercito, venne eletto Autari, figlio di Clefi. Dal 584 in poi i Longobardi ebbero sempre un re e spesso fu anche dinastico, Teodolinda e Agilulfo avviano la dinastia Longobarda. Tra VII e VIII secolo venne anche identificata una capitale: (pratica per niente scontata). Fu scelta Pavia. 2.2 Longobardi e Romani L’identità Longobarda era molto fluida, Teodolinda e Agilulfo non erano di origine Longobarda ma la loro adesione alla comunità li portò a diventare regina e duca. Venne scritto l’Origo gentis Langobardorum: un racconto delle vicende del popolo longobardo dalle origini fino alla costruzione del regno in Italia. Questo è stato un modo per rafforzare l’identità e la coesione. È evidente che un secolo dopo lo stanziamento in Italia i re longobardi volevano consolidare la coesione etnica longobarda (forse indebolita da un processo di assimilazione con i romani). Nella convivenza tra longobardi e romani alcuni passaggi furono fondamentali: al momento dell’invasione gli aristocratici romani persero grande potere e territori a favore dei longobardi e furono esclusi dal potere nel regno che si concentrò nelle mani dei duchi longobardi. Inizialmente la divisione tra i seguaci di re Alboino e chi era già stanziato in Italia era netta, ma col passare degli anni andò sfumando: la convivenza, i matrimoni misti e l’assimilazione degli stili di vita tolsero rilievo alla distinzione etnica lasciando maggiore peso alle differenze politiche, alla dipendenza al re longobardo o all’Imperatore. La debole romanizzazione dei longobardi si vide quando si convertirono al cristianesimo ariano. Non si delineò una distinzione tra romani cattolici e longobardi ariani ma intorno all’arianesimo i longobardi crearono la loro identità di distinzione dai romani. Le due comunità religiose erano affiancate all’interno dell’Italia: spesso nelle città convivevano rappresentati religiosi delle due fazioni. Questa fluidità longobardo-ariana si vide soprattutto con la regina Teodolinda: lei era di religione cattolica mentre suo marito Agilulfo era ariano: ciò nonostante acconsentì a battezzare suo figlio Adoloaldo. Questo non fu l’inizio di una conversione dei re o dell’intero popolo longobardo al Cattolicesimo. Questo processo di conversione fu molto lento e contrastato. L’identità ariana e la lenta conversione al Cattolicesimo misero in cattiva luce i longobardi agli occhi del vescovo di Roma, inoltre questa ostilità aveva anche carattere territoriale visto che longobardi e romani dividevano lo stesso territorio. Questa forte tensione religiosa non fu mai superata neppure quando i longobardi furono totalmente cattolici. Nel frattempo si innalza la figura di Gregorio Magno: Gregorio era un nobile vescovo di Roma. Prese atto che ormai l’importanza di Roma era relativa (schiacciata tra Costantinopoli e i longobardi) ed iniziò ad operare come se fosse un sovrano verso i romani. La debolezza dell’Impero in Italia era un problema ma per i vescovi di Roma anche un’opportunità interessante. I vescovi erano molto ricchi e persone di cultura, era normale che i cittadini facevano riferimento a loro per le loro esigenze. Gregorio utilizzò il ricchissimo patrimonio vescovile per garantire il regolare afflusso di grano in città e così fecero anche gli altri vescovi. Gregorio nonostante fosse vescovo aveva i tratti del politico, trattò anche con i longobardi per definire forme di equilibrio tra le due popolazioni. Gregorio Magno e i suoi successori si proposero come vertici politici dell’Italia centrale, che sostituivano un potere imperiale lontano e assente. Oltre a Roma e Ravenna anche la Sicilia era un’area di particolare rilievo: l’espansione araba sottrasse all’Impero i territori dell’Egitto e della Proconsularis (principali fornitori di grano) e la Sicilia sostituì questi territori. Il poco potere imperiale in Italia si accentuò in diverse fasi come quando l’Impero dovette affrontare le pressioni degli Avari, Bulgari e Arabi che portarono ad una crisi militare con le perdite del Medio Oriente e del Nordafrica e anche quando Costantinopoli venne assediata dagli arabi nel 717. Oltre a questi fattori nel secolo successivo si ebbe una profonda divisione religiosa: l’orientamento iconoclasta della corte imperiale si differenziò dalla cultura occidentale. Questa ostilità di matrice religiosa ebbe un’incidenza significativa nell’orientamento papale a favore dei Franchi come protettori della Chiesa. 2.3 crescita e fine del regno Rotari accrebbe il potere regio grazie: all’editto che porta il suo nome, grazie ad un’estensione del dominio longobardo verso alcune aree imperiali (Liguria e parte del Veneto) e togliendo progressivamente potere ai duchi. La scrittura delle leggi longobarde riprende il modello romano ed è un segno di mutamento importante nei funzionamenti politici del regno. Rotari ricorda il passato ma vuole intervenire sul presente: l’Italia longobarda era una società impoverita e prevalentemente rurale, l’unica fonte di ricchezza erano le terre. Era un mondo dominato da un’elite militare e politica gestita grazie all’uso della fedeltà personale. Compaiono i gasindii, persone al servizio dei duchi con compiti specificatamente militari. L’unica distinzione giuridica che contava però era quella tra liberi e schiavi. Su questo contesto provò ad imporsi il potere regio che rivendicava il proprio potere legislativo e nell’editto affermò la propria autorità giudiziaria, la propria capacità di regolare i conflitti interni alla società con forme regolate di compensazione pecuniaria per chi subiva danni fisici. Da Rotari in poi l’attività legislativa divenne un’azione normale dei re. La politica espansionistica di Rotari fu proseguita da Grimoaldo (662-671) che ampliò il dominio longobardo sul Veneto e si spinse fino in Puglia. Il quadro politico italiano si polarizza sui longobardi e sul papato visto l’assenza dell’Impero. Il potere regio deve però ancora bilanciarsi con quello ampio dei duchi. La tendenza dinastica nei re era ormai evidente ma non fu abbastanza forte da prevalere sui meccanismi tradizionali e sul potere dei duchi che mantennero il controllo sulla corona. Il regno di Liutprando fu lungo (30 anni) e questo gli permise di incidere su diversi piani: militarmente Liutprando agì sul panorama italico nella prospettiva di costruire un dominio longobardo su tutta l’Italia: sottomise i ducati di Spoleto e Benevento e per un breve periodo conquistò Ravenna, insediando anche Roma. Liutprando oltre alle azioni militari ebbe grande rilievo anche sul piano legislativo: intervenne sull’editto di Rotari con ben 150 nuovi articoli e fa emergere una chiara ideologia cattolica del regno. Infatti si impegnò a protezione delle chiese (non è solo un fatto di conversione religiosa ma di trasformazione dell’ideologia del potere regio); tuttavia non bastò a costruire un rapporto solido con il papato dopo le lunghe tensioni religiose e militari. Il regno longobardo non ebbe mai sostegno economico, politico e culturale dalla chiesa. Liutprando inoltre istituì i gastaldi: funzionari col compito di gestire il patrimonio regio; inoltre essendo sparsi sul territorio costruirono un contrappeso al potere dei duchi. Oltre ai gastaldi istituì i gasindii regi: legati alla persona del re con un profondo legame di fedeltà, divennero rappresentati dei re, cosa che i duchi non furono mai. Alla metà del secolo VIII i longobardi si era consolidato al suo interno con un crescente potere regio sui duchi e si era anche integrato completamente con i romani, senza più distinzioni etniche. Su queste basi i Longobardi sembrarono costruire un regno forte eppure erano le premesse per la loro fine: negli anni centrali dell’VIII secolo l’equilibrio tra Franchi, Longobardi e papato si ruppe definitivamente. La dinastia dei Pipinidi / Carolingi si affermò nel regno Franco grazie anche all’azione papale. Questa nuova alleanza si consolidò definitivamente quando il papato vide nei Franchi il popolo che meglio li avrebbe protetti visto che ormai l’Impero in Italia era troppo debole. Le ambizioni Longobarde sul centro Italia erano evidenti ed in soccorso del papato arrivarono due spedizioni franche: la prima nel 754 con Pipino il Breve che sconfisse re Astolfo e tolse ai longobardi Ravenna. Pipino però non la riconsegnò all’impero ma la diede alla Chiesa di Roma. La seconda spedizione fu organizzata nel 774 dal figlio di Pipino, Carlo Magno. Carlo depose il re Longobardo Desiderio segnando la loro fine e annettendo l’Italia centro – settentrionale al regno franco. La conquista franca pose fine al regno Longobardo ma non alla loro storia: Carlo Magno si nominò rex Francofum et Langobardorum, Pavia continuò ad essere la capitale e i Longobardi vissero nel ducato di Benevento in autonomia (nonostante i continui tentativi franchi di annetterli). Solo nell’XI secolo i Normanni ricostituirono l’unità politico territoriale dell’Italia del sud. CAPITOLO 3: IMPERO CAROLINGIO, ECCLESIA CAROLINGIA Con i Carolingi si compì la più alta simbiosi tra potere regio e potere sacerdotale, si aprirono orizzonti culturali e commerciali prima assenti. 3.1 dal regno all’impero Tra VII e VIII secolo nei regni merovingi si affermò un nuovo gruppo parentale: i Pipinidi che seppero costruire un potere egemone sull’intero mondo franco grazie a diverse azioni politiche: l’iniziativa militare, la costruzione di una rete clientelare nell’aristocrazia d’Austrasia, l’occupazione della carica di maestro di palazzo nei diversi regni franchi, la protezione offerta alle azioni missionarie del monaco Wynfrith. Una data chiave per questo processo è quella del 751, quando Pipino III depose il re Childerico III, ma questo è solo il punto d’arrivo del processo. I passi specifici dell’incoronazione di Pipino non sono facili da cogliere perché le vicende sono tramandate via narrazione in alcune chiese vicine al potere Pipinide. Il ruolo più sfuggente è quello del papato: l’intervento papale arrivò solo in seguito a legittimare la presa del potere di Pipino III e non per suo ordine diretto. Il colpo di stato si attuò rinchiudendo Childerico III in un monastero, gli venne tagliata la folta chioma (fonte di potere) e procedendo al rito dell’unzione del nuovo re Pipino da parte del monaco Wynfrith. Il nesso tra papato e Pipinidi divenne rilevante nel 754 quando il nuovo papa Stefano II prese atto che la minaccia Longobarda fosse seria e che l’impero bizantino non era più in grado di proteggerli. Stefano II chiese dunque aiuto al nuovo re franco e con un’azione inedita per un papa incontrò Pipino a Saint-Denis: lì ripetè l’unzione su di lui e sui figli Carlo e Carlomanno ( a legittimare anche il potere dinastico). Papa Stefano non cercava solo un alleato contro i Longobardi, ma un vero e proprio protettore della Chiesa di Roma. Durante l’incontrò di Saint-Denis Pipino fu nominato patricius (protettore della Chiesa di Roma), ciò impegnò i Franchi ad un impegno permanente nella protezione della Chiesa, inoltre si pianificò l’attacco ai Longobardi e al loro re Astolfo; nel frattempo Pipino ne approfittò perché aveva troppo bisogno che il suo potere fosse ancor più legittimato, questo avvenne con: la nuova unzione per lui e per i figli Carlo e Carlomanno fatta da Stefano II, l’alleanza stabile con Roma (la chiesa più prestigiosa d’occidente) e la costruzione di un racconto dell’ascesa al trono orientato a legittimare la deposizione di Childerico III. La conseguenza più immediata dell’incontro fu la spedizione nel 754 di Pipino in Italia contro i Longobardi. La discesa in Italia di Pipino non fu una missione di conquista ma tendente a frenare le ambizioni territoriali dei Longobardi e a bloccare la loro pressione sul papato. Pipino sconfisse Astolfo, restituì le terre al papato e tornò in Gallia. Non si creò tensione tra Franchi e Longobardi, anzi in seguito si allearono. Carlo e Carlomanno avviarono una politica matrimoniale con Longobardi e Bavari alla morte di Pipino, però questo equilibrio durò pochi anni. Dopo la morte di Carlomanno nel 771, Carlo ruppe questa Imperatore perché era il primogenito, fu nominato dal padre Ludovico il Pio ed essendo in Italia tutelava la Chiesa di Roma. I figli governarono in modo simile al padre Ludovico il Pio ma ciò che cambiò fu l’Impero, non più unito e basato su rapporti di coordinamento unitario, si costituirono forme di organizzazione di politica regionale con l’aristocrazia intorno ai diversi re. La seconda metà del IX secolo vide la centralità assunta da Carlo il Calvo nella famiglia Carolingia, venne nominato imperatore nel 875. Nell’888 un figlio di Ludovico il Germanico, Carlo il Grosso (che aveva unito formalmente il dominio carolingio ma senza un reale controllo dei territori) segnò con la sua morte la fine della dinastia. Negli anni successivi i carolingi tornarono a tratti sul trono dei singoli regni ma non furono più la dinastia dominante e soprattutto non unirono più i territori dell’Impero. CAPITOLO 4: IL MEDITERRANEO BIZANTINO E ISLAMICO 4.1 le origini dell’Islam La penisola araba nel tardoantico ruotava attorno a due poli: la città di La Mecca (più importante dal punto di vista commerciale e grazie al pellegrinaggio per la Ka’ba) e quella di Yathriba (città più rurale, futura Medina). Sul piano religioso prevaleva il politeismo con rare forme di monoteismo ispirate da Ebraismo e Cattolicesimo. In questo contestò iniziò a muoversi Muhammad, nato a La Mecca nel 570. Dopo alcune visioni si convinse di essere un inviato di Dio: dall’idea di declamazione (qara’a) nasce al Qur’an ovvero il Corano, il libro sacro dell’Islam che riporta direttamente la parola di Dio di cui Muhammad è solo portavoce. Nel 622 Muhammad fugge a Yathriba dopo l’isolamento politico riservatogli a La Mecca: i clan qarashiti di La Mecca vedevano minacciato il loro potere e la loro ricchezza nei pellegrinaggi verso la Ka’ba dalla nuova religione predicata. Yathriba dopo la venuta di Muhammad prende il nome di Medina, ovvero città del Profeta. La fuga del profeta (Egira) è considerata un momento fondativo tanto da segnare l’inizio del calendario islamico. Lo spostamento a Medina non mutò il messaggio religioso di Muhammad ma il contesto; si avviò un’organizzazione attorno al Profeta di una comunità politico-militare a base religiosa, senza limitazioni etniche. Muhammad e il suo monoteismo salvifico divennero un collante per le diverse tribù arabe. Nel 630 Muhammad rientra a La Mecca dove seppe coinvolgere i gruppi quraishiti più potenti mantenendo e valorizzando il pellegrinaggio alla Ka’ba che venne purificato da ideali politeisti e trasformato in senso islamico. Muhammad muore nel 632 e la religione islamica era ormai diffusa in tutta la penisola Araba. Questa ideologia diede forza politica per avviare azioni militare che nel giro di pochi decenni diedero agli arabi un territorio enorme. Sotto la guida dei primi califfi (successori di Muhammad) gli Arabi cancellarono l’Impero persiano e ottennero vittorie ai danni di Bisanzio: conquistarono la Siria e la Palestina e soprattutto il Nordafrica, fondamentale per le coltivazioni dell’Impero Bizantino. L’espansione si arrestò nel 717-718 con la conquista della Spagna e il fallimento di un nuovo attacco diretto a Costantinopoli. In pochi decenni si costituì un quadro territoriale ampissimo che andava dall’Atlantico fino ai confini dell’Impero cinese. L’azione politico-militare dei califfi fu però segnata da fratture legate alla successione di Muhammad, nacquero 3 correnti: - I Sunniti: si rifacevano alla sunna (tradizione) credevano che il califfo dovesse essere eletto sulla base del consenso degli anziani, all’interno della tribù di Muhammad - Gli Sciiti: seguaci di Alì (cugino e genero di Muhammad) che davano la massima importanza al carisma familiare e ritenevano che il califfo dovesse essere scelto all’interno della famiglia del profeta - Kharigiti: ritenevano che il califfo dovesse essere scelto per merito indipendentemente dalla sua origine La rottura avvenne nel 661 con l’uccisione di Alì. Nella maggioranza del mondo islamico prevalse l’orientamento sunnita e presero il potere la dinastia degli Omayyadi. In questi anni nasce il conflitto presente ancora oggi tra sunniti e sciiti. Gli Omayyadi posero fino al califfato elettivo e mantennero il potere fino al 750. All’ interno del mondo arabo esistevano due contrapposizioni: tra islamici e non islamici e tra Arabi e islamici di origine non Araba. La prima non si tradusse in forme di persecuzione (avevano rispetto per le altre religioni) però chi praticava un’altra religione pagava una tassa ed era in una posizione giuridica inferiore. Nella seconda contrapposizione i nuovi fedeli potevano integrarsi solo legandosi come clienti a una tribù araba. Gli Omayyadi posero il proprio centro a Damasco e questo portò ad una marginalità politica della penisola araba, La Mecca e Medina si ridussero solo a centri religiosi. Dopo aver posto a Damasco il centro di potere iniziarono a sistemare il sistema religioso: il Corano fu soggetto di una profonda opera di interpretazione che costituì la base di riferimento per l’Islam nei secoli successivi, si integrarono tradizioni culturali delle nuove popolazioni sottomesse. Il secolo omayyade fu segnato da un lento processo di affermazione del carattere universale dell’Islam e di superamento della sovrapposizione tra identità religiosa islamica e identità etnica araba. 3.2 Bisanzio: crisi e riorganizzazione di un Impero Nel giro di un secolo e mezzo l’impero romano d’oriente subì l’effetto dell’affermarsi di due nuove dominazioni: l’espansione dell’Islam sottrasse all’Impero ampi territori del Mediterraneo senza più le ricche produzioni del nord Africa; mentre in Europa si affermò l’impero Carolingio che si pose in diretta concorrenza con l’impero Romano sul piano ideologico attribuendo a Carlo Magno il titolo di Imperatore e protettore della Chiesa. I mutamenti di questo periodo portarono l’Impero verso il nome di Bizantino (anche se mantenne Romano per tutta la sua durata). Le ambizioni di Giustiniano hanno lasciato effetti negativi: le conquiste militari furono effimere e svuotarono le casse dell’Impero, i soldati erano irrequieti e i conflitti religiosi con i cristiani d’occidente non si placavano. Sul piano militare si ebbe una svolta con il regno di Eraclio (610-641): eliminò definitivamente l’impero Persiano ma questo spianò la strada agli Arabi. Sotto il suo regno l’impero si modificò sul piano militare e civile, introducendo l’ordinamento tematico. Inizialmente l’impero Bizantino mantenne aveva conservato alcune scelte dell’età romana ma la riduzione territoriale e la costante pressione militare suggerirono agli imperatori di concentrare in specifiche regioni truppe e attribuire ai comandanti militari pieni poteri. Si abbandonò il sistema provinciale di Costantino organizzando dei temi: ovvero una struttura istituzionale militare e giurisdizionale di una piccola regione. La difesa venne affidata a dei militari professionisti che però non erano mantenuti da stipendio ma con la donazione di terre e di esenzioni fiscali. Questo sistema fu avviato da Eraclio e concluso dai suoi successori, fu reso necessario dalle conquiste arabe. Con l’ordinamento tematico cambiano alcuni cardini romani: la riunione dei poteri militari e civili nelle stesse mani e l’abbandono del pagamento degli stipendi ai soldati. Un ulteriore momento di rottura fu rappresentato dal movimento iconoclasta: fu un orientamento religioso che riteneva necessaria, per un culto più puro, la distruzione delle immagini religiose. Le immagini potevano indurre a forme di politeismo e idolatria e potevano solo rappresentare la natura umana di Cristo e non quella divina. Si contrapponevano agli iconoclasti gli iconoduli che erano favorevoli alle immagini e rispondevano che il concilio di Calcedonia aveva ribadito che le due nature di Cristo avevano conservato le loro caratteristiche, dunque era lecito raffigurare la natura umana di Cristo. Nel 730 l’imperatore Leone III vieta la venerazione delle immagini; questo creò conflitti all’interno e all’esterno dell’Impero: interno perché l’adorazione delle immagini era importante per il culto di monaci e laici; esterno perché questa scelta poneva Bisanzio in diretta contrapposizione con la Chiesa di Roma. La scelta degli imperatori iconoclasti era sia per avere una religione più austera ma anche per ridare importanza alla figura dell’imperatore come principale mediatore tra il mondo e Dio. Questa urgenza di riaffermare la figura imperiale era connessa alle pressioni militari che richiedevano una piena coesione intorno all’imperatore. La politica iconoclasta raggiunse il suo culmine nel concilio di Hierea del 754 quando Costantino V ottenne la condanna del culto delle immagini (messe subito in discussione dato che al concilio mancavano i rappresentanti delle chiese occidentali e dei patriarchi orientali). Negli anni successivi i monaci furono promotori della resistenza all’iconoclasmo e furono oggetti di persecuzioni. Con Leone IV e soprattutto con sua moglie Irene la politica iconoclasta abbassò i toni. Il concilio di Nicea del 787 riaffermò il culto delle immagini senza però porre fine al conflitto tra le due posizioni. L’iconoclasmo fu riaffermato con toni più moderati durante il concilio di Costantinopoli dell’815: il potere dei monaci era ridotto, l’imperatore aveva nuovamente un ruolo divino e le minacce militare si erano placate: il movimento iconoclasta andò così ad indebolirsi una volta esaurite le sue funzioni politiche e fu condannato dal concilio di Costantinopoli dell’843. Fu però motivo di allontanamento tra le due chiese di Bisanzio e Roma. 3.3 Le articolazioni del mondo islamico e bizantino Nel 750 si compì un cambio di potere ai vertici del califfato: gli Omayyadi furono deposti dagli Abbasidi. Gli Abbasidi restarono al potere fino al XIII secolo e segnarono subito un cambiamento importante spostando la capitale a Baghdad; questo fu segno di una trasformazione della natura del califfato, che perse le caratteristiche arabe per divenire più islamico. Nell’età abbaside presero potere gli Emiri (delegati del califfo al controllo di ampie zone) e sganciarono il proprio dominio dal controllo califfale. Nell’800 iniziò la conquista della Sicilia terminata nel 917. mentre nel X secolo si rese autonomo l’Egitto grazie all’iniziativa della dinastia dei Fatimidi (che rivendicarono il titolo califfale). In Europa invece gli arabi erano presenti nella penisola iberica dall’VIII secolo; un principe omayyade prese il potere formando l’emirato di al- Andalus: un regno arabo all’interno della penisola che convogliò diverse etnie e convisse a lungo con i regni cristiani. Questa grande capacità di governo permise all’emirato di porsi come una delle grandi potenze del X secolo e gli emiri di Al Andalus presero il titolo califfale nel 929 in concorrenza con Fatimidi d’Egitto e Abbasidi di Baghdad. Il dominio arabo rimase unito per tutto il X secolo, poi si frammentò in diversi territori fino ai movimenti di riconquista cristiani (Reconquista). Dopo la conquista della Sicilia gli interessi dei Fatimidi si spostarono verso l’Egitto lasciando spazio di potere a dinastie locali fino alla conquista dei Normanni dell’XI secolo. Anche per l’Impero bizantino bisogna ragione per complessità territoriale: Nell’867 salì al potere Basilio I i cui discendenti segnarono un rafforzamento per Bisanzio ampliando l’Impero e costruendo reti di fedeltà con le dominazioni confinanti. La divisione tra Roma e Costantinopoli (e le relative Chiese) continuò: sul piano ecclesiastico si raggiunse un compromesso alla fine del IX secolo con il riconoscimento di una superiorità formale di Roma ma sul piano teologico nasce una nuova grande divisione, quella del filioque: Il Credo elaborato a Nicea nel 325 recitava che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio posizione ritenuta inaccettabile dal clero orientale che affermava che lo Spirito Santo procedesse unicamente dal Padre. I due Imperi cercarono di consolidare la loro potenza nell’Europa orientale, oggetto delle pressioni furono in particolare gli Slavi: un insieme di popoli con alcuni caratteri culturali e linguistici comuni. Due sono le dominazioni da ricordare, 1) i Bulgari che esercitarono una pressione militare sui confini imperiali lungo l’VIII secolo per poi subire un processo di assimilazione; nei decenni successivi tornarono a pressare militarmente l’Impero fino ad un trattato di pace a loro ampiamente favorevole: la figlia del khan Simeone fu promessa in sposa all’imperatore Costantino VII che era minorenne, questo avrebbe dato formalmente i poteri imperiali a Simeone. Il trattato saltò per l’arrivo di un nuovo imperatore: Romano Lecapeno. Il potere dei Bulgari declinò dopo la morte di Simeone. 2) La Grande Moravia: ricopriva gli attuali territori di Germania, Boemia e Ungheria, arrivò a coordinare molte popolazioni slave e si dissolse nel X secolo. Le popolazioni slave si orientarono verso il Cristianesimo, i principi slavi cercavano la conversione ma temevano poi di essere sottomessi ad uno dei due imperi: spesso si orientavano verso il patriarcato a loro più lontano e meno minaccioso. La chiave del successo di Bisanzio fu l’opera di due missionari (Cirillo e Metodio) che erano esperti della lingua slava e fecero un’opera di evangelizzazione in quelle terre.La pressione di Bisanzio non arrivò però in Italia: Basilio dovette arrendersi agli islamici in Sicilia e mai si avvicinò ai territori carolingi e Longobardi (Benevento). Basilio rinsaldò il suo potere in Puglia e Calabria. CAPITOLO 5: SOCIETA’ E POTERI NEL X SECOLO 5.1 I mutamenti dei poteri comitali L’impero Carolingio non crollò sotto colpi militari ma mutò natura al suo interno. L’Impero fu anche colpito da attacchi militari ma questi erano solo una conseguenza della crisi dell’Impero, non la causa. Si altera l’equilibrio tra i re e la grande aristocrazia: sotto Carlo Magno i rapporti vassallatici e incarichi funzionali erano profondamente diversi, ma col tempo si fusero perché la capacità distributiva del re si era ridotta parecchio, non riusciva più a ricompensare i servizi forniti dai vassalli e dall’aristocrazia. I continui conflitti resero fondamentale l’apporto militare dell’aristocrazia, dunque si invertirono i ruoli: ora era il re ad avere bisogno dell’aristocrazia e non più il contrario. Lungo il IX secolo la carica di conte di conseguenza divenne molto più lunga ed ereditaria grazie anche al capitolare di Quierzy dell’877. La lunga durata dell’incarico dei conti e la loro trasmissione ereditaria mutarono le politiche di queste dinastie, favorendo il loro radicamento nelle regioni governate, l’aristocrazia divenne regionale; ma questo comportò un ulteriore cambiamento: le zone controllate dal conte non erano tutte uguali, in alcune aveva interessi (castelli, proprietà, chiese) ma altre zone del territorio erano in mano ad altre dinastie, sul lungo periodo questo portò alla formazione di poteri locali, i territori divennero parte del patrimonio personale del conte e non più per delega del re. Un ulteriore elemento di diversificazione del territorio (soprattutto in Italia) fu la formazione dei poteri vescovili sulle città grazie a: la convergenza dei cittadini verso di loro, le concessioni regie in loro favore, la difficoltà di controllare comunità complesse da parte dei re. Questa evoluzione fu fondamentale per la storia della Chiesa e mostra come il potere dei conti fosse discontinuo con aree di forza e di debolezza. L’esito generale fu un cambiamento strutturale tra il regno e le realtà locali. Tutte queste evoluzioni mostrano chiaramente un indebolimento del controllo del re sul territorio e sui propri funzionari ma anche una discontinuità del controllo dei conti sui loro territori. Dal punto di vista militare è tramontata la capacità di difesa omogena da parte del re e del suo apparato. 5.2 Minacce esterne: le incursioni di Saraceni, Ungari e Normanni Carolingi (figure deboli ma simbolicamente forti) evitò di affermare la sua superiorità sugli altri principi evitando così lotte interne. L’ascesa dei Robertini culminò nel 987 quando il nipote di Ugo il Grande, Ugo Capeto salì al trono dando vita alla stirpe dei capetingi che mantenne la corona fino al 1328. 5) AI margini del mondo Carolingio: In inghilterra si ebbero molti regni frammentati fino al VI e VII secolo quando si ridussero di numero. Nel IX secolo ci furono due processi: le continue incursioni Normanne che poi si trasformarono in insediamenti stabili tra i territori della Mercia e dell’East Anglia e dall’altro lato una crescente egemonia nel Wessex che riuscì a mantenersi autonomo dall’espansione normanna. Alfredo il Grande (871-899) sottomise la Mercia e arrivò a controllare tutti i regni inglesi fuori dal dominio normanno ma non segnò l’inizio di un dominio stabile e unitario. Alla morte di Alfredo prese il regno suo figlio Edoardo (899-924) che però dovette riconfermare il dominio sulla Mercia ma si trattò di nuovo di un’unione precaria, Mercia e Wessex si separarono di nuovo. Fu solo all’inizio del XI secolo che si costituì un regno inglese unitario con il re norvegese Knut (Canuto) che nel 1016 partendo dai domini normanni inglesi arrivò ad affermare il suo controllo sul Wessex, Knut controllava anche i regni di Danimarca e Norvegia. Questo enorme potere non ebbe seguito ma i regni del mare del nord ebbero a lungo periodo una profonda integrazione con stili di vita simili. La mancata rottura nel mare del nord dopo il regno di Knut portò a diverse contese per la corona, in particolare dopo la morte di Edoardo nel 1066 a contendersi il regno furono: Harold Godwinson duca del Wessex, Harald re di Norvegia e Guglielmo di Normandia: Harold fu nominato re ma attaccato da Harald e Guglielmo. Harald fu sconfitto e ucciso ma Guglielmo nella battaglia di Hastings del 14/10 si prese la corona. La battaglia di Hastings è vista come un momento di svolta fondamentale della storia inglese, si afferma sul territorio l’aristocrazia normanna con l’integrazione dunque tra aristocrazie normanne ed inglesi e la nascita di una nuova centralità del potere regio. In Spagna invece dopo la conquista araba ai danni dei visigoti, il regno era diviso tra dominazioni arabe (emirato di Al-Andalus) e dominazioni cristiane. La loro convivenza fu segnata da tensioni di fondo, intrecci politici. I cristiani provarono ad infiltrarsi nei territori arabi che però erano più forti militarmente. Nel X secolo i mondi arabi e cristiani non erano separati e non necessariamente erano in conflitto, fu un equilibrio dinamico e conflittuale rotto solo alla fine dell’XI secolo con i movimenti di Reconquista. 5.4 Modelli di ordine sociale La fine dell’Impero carolingio fu segnata dal complesso insieme di mutamenti come le nuove forme dell’azione locale degli ufficiali regi, un’intensa mobilità militare che dai confini dell’Impero penetrò fino alle aree centrali, la formazione di nuovi regni con nuovi equilibri tra re ed aristocrazia: ora non si lottava per avvicinarsi al re ma per impadronirsi del suo potere. Ora il re controllava un territorio non più grande di quello degli aristocratici e ha perso la sua centralità. I protagonisti della vita politica erano le grandi dinastie, le chiese vescovili e monastiche e i nuovi nuclei signorili. Gli intellettuali (chierici, vescovi e monaci) cercano un nuovo modello di ordine pubblico: uno di questi è quello delle 3 funzioni elaborato da Adalberone di Laon e Gerardo di Cambrai: il corpo sociale deve essere diviso tra chi pregava (oratores), chi combatteva (bellatores) e chi lavorava (laboratores). Tutte le categorie erano caratterizzate da reciprocità, chi pregava proteggeva l’anima di tutti, chi combatteva garantiva la sicurezza di chi lavorava e chi lavorava assicurava il sostentamento. Un modello diverso fu quello delle “paci di Dio”: un sistema cerimoniale ideato da alcuni vescovi del sud della Francia che convocarono grandi assemblee di chierici e laici destinate a ristabilire la pace in una regione, erano momenti a forte impatto cerimoniale. Queste norme non erano nate dalla volontà regia ma da quella delle persone guidate dai vescovi. La tripartizione durò più a lungo e la figura del vescovo era centrale; le Paci di Dio ebbero un forte impatto sulla società e la figura centrale era quella della popolazione guidata dal vescovo. 5.5 Nuove chiese, nuovi poteri Le chiese accompagnarono la transizione dall’Impero carolingio al sistema dei poteri locali: un processo di trasformazione delle chiese e del loro ruolo nella società su due piani: 1) il profondo rinnovamento del monachesimo, prima con l’affermazione di Cluny e poi con nuove forme di vita religiosa a più chiaro orientamento eremitico; 2) un nuovo coinvolgimento dei vescovi nelle strutture del potere locale. Nel 909/10 il duca Guglielmo d’Aquitania fondò l’abbazia di Cluny: era una prassi comune, molti nobili incaricarono la costruzione di monasteri da affidare ad abati di fiducia. Cluny risulta diversa perché il duca rinuncia ad esercitare qualsiasi forma di controllo sulla vita successiva di Cluny e i monaci poterono scegliere liberamente i nuovi abati e la protezione del monastero era affidata al vescovo di Roma direttamente. I cluniacensi diedero una nuova interpretazione alla Regola ponendo al centro la preghiera e la liturgia e in pochi decenni acquisirono grande fama all’interno e all’esterno della Francia. Il connotato più specifico e innovativo del monachesimo cluniacense fu la costituzione di una rete di monasteri coordinati dall’abbazia borgognona. In questi nuovi enti monastici l’abate non c’era perché l’unico abate era quello di Cluny. Molti aristocratici dell’XI secolo quando volevano un ente monastico che garantisse con le sue preghiere la salvezza delle loro anime, non scelsero di creare un’abbazia autonoma ma di compiere una donazione a Cluny perché venisse creato un priorato, sottoposto all’abate di Cluny; i priorati cluniacensi si diffusero in larghi settori d’Europa. Il punto massimo raggiunto da Cluny fu raggiunto nel 1088 con l’elezione come papa di Oddone priore di Cluny che assunse il nome di Urbano II e fautore della prima crociata. Fin dall’età carolingia i vescovi erano un elemento strutturale del potere regio sia a corte che nelle singole diocesi, erano consiglieri dei re. Con la fine dell’Impero si affermò il loro pieno controllo politico e sociale sulle città, fondato su profondi legami: sulla società cittadina, sull’allontanamento dalle città dei funzionari regi e sulle concessioni regie. Nei casi di conflitti locali e di difficili rapporti tra il re e le dinastie comitali, un re forte poteva intervenire non cacciando il conte, ma riducendone l’autorità in favore del vescovo. Il vescovo costituiva un potere affidabile per il re, che sapeva di poter contare su una rete di vescovi fedeli e se anche qualcuno si fosse ribellato non poteva avere eredi legittimi e quindi alla sua morte il re avrebbe nominato un successore più affidabile. Affidare ampi poteri ai vescovi permetteva ad un re di avere un controllo indiretto della società locale. I vescovi erano uno strumento di potere efficace grazie ai loro profondi legami con la città e i suoi ceti eminenti. PARTE 3: POTERI LOCALI E POTERI REGI TRA L’XI E IL XIII SECOLO CAPITOLO 1: LE ISTITUZIONI DELLA CHIESA E L’INQUADRAMENTO RELIGIOSO DELLE POPOLAZIONI FRA XI E XII SECOLO 1.1 Per una riforma della Chiesa: vescovi, imperatori e papi nella prima metà dell’XI secolo Durante l’XI secolo i vescovi si impegnarono al recupero delle sostanze e dei benefici sui quali avevano perso il controllo o che erano stati usurpati dai laici. Gli esperimenti di vita comune del clero e una maggiore attenzione alla difesa del patrimonio delle chiese contribuirono a ricostruire un apparato istituzionale delle chiese locali dove i vescovi si posero come guide della società. In questa fase della riforma il papato fu sostenuto dall’imperatore e dalla sua curia formata dai principali vescovi del regno di Germania. L’imperatore Enrico III si pose come garante di un processo di riforma della Chiesa estendendo questa azione di controllo anche al papato di Roma. Quando Enrico III venne in Italia erano stati eletti 3 papi nello stesso momento; l’imperatore fu spinto dai suoi consiglieri a risolvere il problema, a Sutri nel 1046 depose i 3 papi e impose come unico papa il vescovo di Bamberga che prenderà il nome di Clemente II. Fu l’inizio di una lunga serie di papi tedeschi scelti direttamente dall’Imperatore a lui fedeli. Vescovi e pontefici iniziarono una dura lotta contro le eresie come la simonia (chi comprava le cariche ecclesiastiche) ed il matrimonio e concubinato dei prelati. La vendita delle cariche era diffusa lungo tutto l’alto medioevo, era uso comune donare denaro alle autorità laiche o ecclesiastiche quando si riceveva una carica importante. Pagare la carica era una forma di ringraziamento per chi l’aveva assegnata e di investimento per chi l’aveva ricevuta, lo sapevano i vescovi e anche i riformatori. Criminalizzare la simonia per i riformatori era fondamentale per garantire la funzione salvifica della Chiesa. Per il celibato del clero: dopo aver preso gli ordini non ci si poteva sposare, ma se un uomo sposato prendeva gli ordini il matrimonio sopravviveva; il concubinato (avere una donna fuori dal matrimonio) era ancor più diffuso, questa prassi fu censurata dall’imperatore e dai riformatori con il concilio di Pavia del 1046 e quello pubblico di Reims del 1049, dove i vescovi accusati furono deposti e il papa di Roma iniziò a gettare le basi del suo primato scegliendo le sorti dei vescovi. Il papato riformatore affrontò anche il ruolo del papa stesso: il primato di Roma andava rinforzato verso l’esterno (con la netta separazione da Costantinopoli) e verso l’interno (il papa doveva essere protetto dai pretendenti al suo ruolo). Nel 1053 si pose la questione dell’unità della Chiesa dopo una nuova diatriba con il patriarca di Costantinopoli: per il papa le altre chiese erano “serve” di Roma mentre Bisanzio ammetteva come proprio capo solo Gesù e non Pietro. Il patriarca di Costantinopoli venne scomunicato e si formalizzò la separazione delle due Chiese, i cristiani orientali prendono il nome di Ortodossi. La rottura fu un atto importante dell’autorappresentazione del papato: fornì argomenti a favore della tesi dell’unicità della chiesa di Roma come guida della Cristianità e rafforzò la convinzione che solo il vescovo di Roma (il papa) fosse degno dell’eredità di San Pietro. Qualche anno dopo lo scisma si aprì la questione dell’elezione del papa che senza procedure certe poteva essere contestata: Niccolò II durante il concilio di Roma del 1059 stabilì che solo i cardinali e i vescovi potevano votare per l’elezione del papa, questo tolse l’approvazione imperiale e contribuì a dare un ruolo universale al papato. Fu in questo contesto che si svolse il pontificato di Ildebrando di Soana ovvero Gregorio VII. 1.2 Il momento del conflitto. Il pontificato di Gregorio VII Il pontificato di Gregorio VII ha rappresentato un momento particolare nella definizione del ruolo della Chiesa nella società cristiana, si raggiunse la fase di massimo conflitto tra la Chiesa di Roma e i poteri laici. Gregorio inseguiva un obiettivo altissimo: un inquadramento della società e dei poteri laici ed ecclesiastici in una gerarchia unica con al vertice il papa di Roma. Il papato veniva rappresentato come fulcro della cristianità e la cristianità come sinonimo di società. Gregorio venne eletto papa nel 1074 e continuò con le sue opere rigide di riforma della chiesa suscitando però resistenze accanite. Davanti a queste ostilità Gregorio rispose attaccando il clero ribelle: durante il concilio di Roma nel 1075 colpì i vescovi disubbidienti impedendo le nomine e le concessioni da parte di un’autorità laica ad un vescovo. Gregorio cambiò radicalmente il significato dell’investitura condannando l’intervento dei laici e punendo i vescovi. Gregorio rivendicò per la Chiesa di Roma un’onnipotenza senza rivali con il Dictatus papae, ovvero una lista di 27 testi che elencavano i poteri riservati solo al papa come guida spirituale e politica della Chiesa: solo il papa poteva deporre un vescovo e riconciliarlo, emanare nuove leggi, dividere e unire episcopati, spostare i vescovi dalle diocesi, usare le insegne imperiali, essere omaggiato dai principi con il bacio del piede e scomunicare e deporre gli imperatori. Nessuno poteva giudicare il papa e modificare le sue decisioni, la Chiesa di Roma comprendeva tutti i veri cattolici e chi non ne faceva parte non era considerato cattolico. Gregorio depose il vescovo di Milano, il simoniaco Goffredo e nominò Attone. L’imperatore Enrico IV rispose nominando Tedaldo, da qua nasce un contenzioso lungo e violento. Nei due anni successivi Gregorio ed Enrico usarono tutti (e gli stessi) strumenti a loro disposizione per delegittimare l’avversario. Nel concilio di Woms del 1076 Gregorio fu deposto dai vescovi riuniti sotto l’Impero e nel sinodo romano dello stesso anno Gregorio scomunicò e depose Enrico IV. Enrico IV nominò come nuovo papa l’arcivescovo di Ravenna Guiberto (antipapa per Roma). Dopo una tregua nel 1077 Enrico chiese perdono e Gregorio lo concesse ma poi il conflitto riprese più violento di prima. Nel 1080 nel concilio di Roma Gregorio scomunica nuovamente l’imperatore che questa volta scende a Roma insediando Guiberto e facendosi nominare imperatore nel 1081. Gregorio assediato fu salvato dai Normanni e morì in esilio a Salerno. Da questi scontri entrambe le autorità uscirono indebolite sul piano simbolico: deporre un imperatore e far decadere un papa non si erano rivelate azioni difficili. Nei laici si affermò una nuova coscienza sulla loro importanza di intervenire sulla natura e la trasmissione del potere religioso. I papi successivi continuarono a sostenere la visione rigorista di Gregorio: Urbano II nel 1095 impose il divieto ai chierici di giurare fedeltà ad un laico, Pasquale II eletto nel 1099 raggiunse un accordo con Francia e Inghilterra che rinunciarono a eleggere i vescovi con anello e pastorale limitandosi alla conferma dell’eletto. In Germania le cose andavano diversamente: i vescovi italiani e tedeschi protestarono ed Enrico V sconfessò il patto con il papa. Pasquale II sospese l’incoronazione dell’imperatore ma fu arrestato e dopo 2 mesi di prigionia riconobbe al re il potere di investire con anello e pastorale i vescovi. Questo sollevò proteste dalla parte romana, Pasquale fu costretto ad annullare questo privilegio. Era chiaro che i due piani dovevano coesistere: Nel 1122 a Woms Enrico V e il papa Callisto II trovano un accordo: al papa spetta l’investitura con anello e il pastorale, al re l’investitura con lo scettro. In Germania le elezioni dei vescovi e degli abati erano fatte alla presenza dell’imperatore. 1.3 Pretese universali e definizione istituzionale della Chiesa Il papato esce dal conflitto fortemente indebolito (più anitpapi che papi, pochissimi papi risiedono a Roma e per brevissimo tempo), tuttavia il papa di Roma alla fine dell’XI secolo si presentava come un’istituzione nuova, un centro di potere spirituale e politico che poteva influenzare e condizionare la politica dei regni europei. Infatti, il suo ruolo di guida delle anime andava aldilà dei confini territoriali e si sovrapponeva alle fedeltà locali e aveva un esercito vastissimo di fedeli-sudditi dal momento che comprendeva tutti gli essere protetta da un potere che ormai è venuto a mancare con la caduta dell’Impero Carolingio: vengono rispolverate le Paci di Dio ovvero riunioni di vescovi che sospendevano l’uso delle armi in nome di Dio. Questa volta però le paci di Dio vennero modificate con l’introduzione di usare la violenza e la guerra solamente nei casi in cui fosse giusto farlo. Non sono più una condanna della violenza ma una difesa dei beni della Chiesa, nei concili si affermava la presenza di un’autorità laica legittima che doveva amministrare la giustizia, far rispettare la pace e proteggere le chiese. 2.2 La sacralizzazione della guerra e le prime crociate Questa violenza militare regolata da un controllo ecclesiastico stringente aprì la strada dell’inserimento della guerra nella vita religiosa. La guerra veniva intesa come difesa della fede e strumento di espansione della religione cattolica. Insieme alla riforma della Chiesa si sviluppò un’intensa campagna bellica per conquistare o liberare regioni in mano agli infedeli. I papi riformatori sostennero attivamente queste guerre concedendo ai cavalieri che ne prendevano parte privilegi spirituali (l’apertura delle porte del Paradiso) e la nomina di soldati di Cristo. Sotto Leone IX bande furono radunate contro i Normanni, nel 1063 con Alessandro II si combatterono i musulmani in Spagna ma fu con Gregorio VII che l’attività bellica aumentò: nel 1074 combattè ancora i Normanni (poi diventati alleati del papa), invitò i principi cristiani a liberare la Spagna, sollecitò alla resistenza il vescovo di Cartagine contro i Saraceni e inviò cavalieri a soccorrere i cristiani di Costantinopoli. 2.3 Le spedizioni in Terrasanta La morte in una guerra santa meritava una ricompensa spirituale, questo modello già attivo fu ripreso da Urbano II per i pellegrini che partivano per la Terrasanta. I pellegrinaggi ebbero uno straordinario successo nell’ XI secolo soprattutto: San Giacomo di Compostela in Spagna (attirò l’attenzione di cavalieri francesi che in spedizioni benedette dal papa tra il 1060 e il 1080 lo liberarono dai mori) e quello di Gerusalemme. Il viaggio verso Gerusalemme era pericoloso e l’utilizzo di cavalieri a protezione della spedizione era molto diffuso. Nel 1095 nel concilio di Clermont, Papa Urbano II lanciò l’appello di un pellegrinaggio a Gerusalemme che fu raccolto con entusiasmo. Il papa era tornato sul tema dell’inutile guerra fra cristiani incitandoli a combattere i nemici della fede. Il papa offriva l’indulgenza plenaria a tutti i pellegrini intenzionati a partire, questo fu il primo atto ufficiale di quelle che, secoli dopo, furono chiamate le crociate; infatti nella sua bolla papa Urbano II utilizzò materiali già ampiamente usati, niente di innovativo: pellegrinaggio come penitenza, remissione dei peccati, proteggere i pellegrini con le armi e la liberazione dei luoghi sacri dagli infedeli. Quello che fu inaspettata fu l’ampia risposta all’appello del papa: una prima armata fatta di laici violenti e poco esperti si disperse dopo aver massacrato gli ebrei incontrati lungo il percorso; una seconda armata guidata da nuclei scelti di cavalieri normanni e francesi riuscì ad arrivare a Gerusalemme. Le armate in realtà erano 4 e tutte autonome: i lorenesi guidati da Goffredo di Buglione, i cavalieri della Francia meridionale condotti dal conte di Tolosa e dal vescovo Ademaro de Puy, i fedeli del duca di Normandia e i Normanni dell’Italia del sud partiti dalla Puglia. Tutti rispondevano allo stesso obiettivo: riaprire il pellegrinaggio verso il santo sepolcro reso difficile dall’avanzata dei Turchi, obiettivi religiosi e militari nella stessa missione. Dopo un lungo viaggio gli eserciti arrivarono a Costantinopoli e spinti dall’imperato di Bisanzio (che li vedeva come uno strumento per riaffermare il suo potere in territori ormai musulmani) iniziarono una discesa verso la Palestina. Conquistarono numerose città importanti: Nicea nel 1097, Antiochia nel 1098 e qui i gruppi militari si divisero: alcuni scoraggiati dalle condizioni si ritirarono, altri stabilirono il loro potere nei territori conquistati e altri proseguirono verso Gerusalemme. Dopo 5 settimane di assedio il 15 luglio 1099 conquistarono Gerusalemme dopo un massacro dei musulmani ed ebrei incontrati, il pellegrinaggio aveva lasciato spazio ad una conquista militare senza regole e limiti. Baldovino di Boulogne si fece incoronare re di Gerusalemme il 25 dicembre 1099 e i territori conquistati in precedenza furono organizzati in principati autonomi e indipendenti dall’Europa (contee di: Edessa, Tripoli principato di Antiochia e regno di Gerusalemme). La prima crociata impose una presenza cristiana in medio oriente. Le successive spedizioni non ebbero lo stesso successo: dopo la caduta di Edessa nel 1144 Luigi VII di Francia organizzò una seconda spedizione con la benedizione del papa Eugenio III e il concorso dell’Imperatore Corrado III. Non aveva uno scopo preciso (a metà tra pellegrinaggio e conquista) questa spedizione finì in un nulla di fatto. Peggio ancora fu la terza spedizione successiva alla dura sconfitta inflitta ai latini ad Hattin nell’1187 dal Saladino. Saladino era diventato visir e dominava un vasto territorio tra Egitto e Siria, la vittoria di Hattin gli aprì le porte della Palestina e la conquista di Gerusalemme e degli altri stati Cristiani. La caduta di Gerusalemme spinse i re ad organizzare una terza spedizione che fu un’ecatombe: l’imperatore Federico I morì attraversando un fiume, un’epidemia decimò i crociati davanti ad Antiochia, il re di Francia abbandonò la spedizione e gli altri capi scesero a patti col Saladino che permise loro di concludere il pellegrinaggio a Gerusalemme e ai mercanti italiani di commerciare negli Stati della costa. Negli anni delle crociate in armonia col processo di espansione armata della cristianità presero vita alcuni ordini monastici di natura militare. I più famosi ed efficienti furono i Templari fondati in Terrasanta nel 1119. Otto cavalieri giurarono di difendere i cammini per la Terrasanta, di osservare il voto di castità, povertà e obbedienza. Si distinsero per la loro abilità nel combattere e ebbero successo anche in occidente dove controllarono le decime per la crociata che ammontavano a cifre enormi. La trasformazione da cavalieri a banchieri fu una delle ragioni del loro successo ma anche della loro rovina, come dimostra lo scontro con il re di Francia Filippo il Bello. Ora che la guerra santa era legittima restava il problema di coordinare un ceto militare laico molto fluido che rispondeva agli appelli religiosi ma viveva in un mondo dove i rapporti sociali e politici rispondevano a logiche diverse da quelle immaginate dagli ecclesiastici. 2.4 da guerrieri a cavalieri: la disciplina del ceto militare I capi di questa schiera di fedeli armati (conti, duchi, principi) tentavano di tenere legati a sé i vassalli e i cavalieri. Tuttavia, la fluidità delle clientele armate rivelava l’esigenza di una disciplina della fedeltà e dell’attività bellica, che era ormai entrata in crisi. Due sono le vie che si sono tentate: 1. Inserire i membri della milizia in una rete di rapporti di fedeltà tendenzialmente gerarchica nel tentativo di limitare l‘attività bellica ad azioni decise dai superiori.  rapporto coordinato fra l’attività armata e la fedeltà vassallatiche. 2. Imporre un modello di autolimitazione della violenza in basa a un’etica del cavaliere . Viene così creata l’immagine letteraria del cavaliere ideale a cui si accompagna una ritualità specifica del mondo cavalleresco. È il tentativo di trovare dei tratti unificanti di un ceto al cui interno sussistono differenze sociali ed economiche importanti. Per quanto riguarda il primo punto, quest’esigenza deriva da una crisi della fedeltà che attraversa l’XI e il XII secolo. Infatti, - La fedeltà militare veniva messa in secondo piano rispetto ai disegni di affermazione personale dei cavalieri. Dunque, il servizio dato spesso era proporzionale al feudo ricevuto  gerarchia di impegni del vassallo - La fedeltà poteva essere concessa a più signori contemporaneamente - Riserve di fedeltà : il vassallo NON avrebbe combattuto contro signori a cui aveva precedentemente giurato fedeltà  Aggiungendo il fatto che l’aiuto militare era a tempo ed in genere durava 40 giorni, diventava estremamente difficile per il signore contare su un appoggio dei propri fedeli, in quanto radunarli significava mettere insieme i pezzi di un puzzle - il beneficio veniva percepito dal vassallo come un bene proprio , che poteva essere trasmesso ai figli in eredità. Questa stabilità dei benefici è sancita anche da Corrado II che mediante un editto stabilisce il divieto di sequestrare i benefici dei vassalli senza una giusta colpa + possibilità di trasferire il beneficio in eredità per via maschile - tendenza ad alienare i benefici con una vendita o una sotto-infeudazione che sottraeva al signore la scelta del nuovo concessionario  totale rottura del legame di fiducia Da questa crisi ne usciva compromessa l’efficacia dell’esercito regio. Nell’XI secolo vengono allora emanate alcune regole di protezione dei diritti del signore nel tentativo di inquadrare i vassalli entro una rete di fedeltà garantite: - commise , ossia il sequestro del feudo in caso di disobbedienza. Questa prativa permetteva di intervenire in maniera coercitiva contro i vassalli infedeli, ma causava numerosissimi conflitti armati. - Feudo ligio ¸ ossia una fedeltà privilegiata che si doveva ad un signore in particolare ( tentativo di gerarchizzare la fedeltà) - Clausola di riserva negativa , ossia il giuramento del vassallo di non combattere contro il proprio signore 2.5 L’ideale cavalleresco e la socialità di corte Al tentativo di frenare l’attività guerresca risponde anche l’invenzione letteraria di un’etica della cavalleria. I romanzi cavallereschi, che si diffondono nel XII secolo, mostrano un’immagine idealizzata del cavaliere, che si sceglie nemici forti e prepotenti, violatori delle chiese e persecutori dei deboli, e per combattere si addentra in luoghi impervi, in terre sconosciute e pericolose, avviando al contempo un percorso di ricerca della propria identità. Una serie di riti di entrata e modelli di comportamento che vengono codificati nel XII secolo e tra cui il più importante è l’addobbamento, ossia l’entrata nella cavalleria. Questa prevedeva: consegna delle armi da parte di un signore superiore, giuramento, veglia in chiesa. Questo passaggio aveva però anche conseguenze politiche concrete: l’individuo riceveva la propria legittimità come erede, ossia la capacità di difendere e rivendicare con le armi il diritto su un possesso. Tuttavia, dal momento che le questioni di eredità scatenavano spesso guerre di successione, la cerimonia pubblica dell’addobbamento era volta a mostrare l’entrata del giovane in una rete di alleati potenti coordinati da un signore, il quale poteva così legare a sé il giovane armato, mostrando pubblicamente da chi questo aveva avuto la possibilità di difendere il proprio onore (da honor, terra, feudo, patrimonio). Altri rituali che il cavaliere doveva seguire erano l’esaltazione del valore personale e della forza, che veniva sfogata in momenti ludici. Questi sono i tornei che, inizialmente, erano visti come un possibile rimedio alla guerra, in quanto si tratta di combattimenti ristretti a pochi campioni, ma presto diventano una rappresentazione ritualizzata della battaglia in occasioni pubbliche, allo scopo di: - Possibilità per il cavaliere di mostrare il proprio valore - Aumentare la socialità interna al gruppo , fungendo da punto di incontro dei cavalieri - Possibilità per il signore di affermare la capacità di coordinare le forze militari Tutti questi riti non sono in realtà che forme di inclusione, dal momento che la comune appartenenza ad un gruppo era vista come rimedio ad un ceto estremamente mobile ed instabile. Infatti, aldilà dei tratti comuni, la cavalleria era un gruppo estremamente composito: se lo strato superiore era occupato dai grandi aristocratici discendenti dalla dinastia carolingia, lo strato inferiore era un gruppo sociale molto variegato (vassalli minori, custodi di castello, giovani scudieri, funzionari), che potevano svolgere altre funzioni oltre a quella militare.  Cavalleria NON coincide ancora con nobiltà . CAPITOLO 3: IL DOMINIO DELLE SIGNORIE 3.1 Un potere senza delega: terre, castelli e clientele I protagonisti del cambiamento furono i signori (dinastie e chiese). I poteri signorili contraddistinguono questa fase storica , le basi dei nuovi poteri signorili sono: 1) Le Terre: essere ricchi significava avere tante terre. La circolazione monetaria era debole e le terre avevano funzioni economiche e sociali, serviva per mantenere uno stile di vita aristocratico (cavalli, armi, abbigliamento) ma anche per legare a sé una clientela di fedeli, con le donazioni di terra si esprimeva la propria devozione alla Chiesa. La terra assunse un’ulteriore rilevanza quando il nominare nuovi abati) e doveri (protezione del monastero) e questi diritti e doveri passavano per eredità, il monastero diventava così un elemento costitutivo dell’identità familiare. 3.4 Produzione e prelievo in età di sviluppo Durante l’XI secolo i contadini divennero sudditi e dunque i signori esercitarono su di loro un potere pienamente pubblico: controllo efficace + un pesante prelievo: i signori usavano la loro forza armata per togliere ai sudditi la maggior quantità di prodotti e denaro  sostenere l’ economia signorile , che era un’economia di spesa: i laici spendevano somme enormi per armi, cavalli, armatura, fortificazioni e per lo stile di vita aristocratico. Tuttavia, non si trattava di uno sperpero di denaro, quanto piuttosto di mezzi per costruire il proprio potere, ossia le spese servivano per consolidare la capacità militare del signore, la sua forza politica, il suo controllo sulla piccola aristocrazia. Donare era un dovere sociale per gli aristocratici. Proprio tra l’XI e il XIII secolo, i signori poterono trarre vantaggio da una congiuntura di crescita demografica e crescita economica . La popolazione europea aumentò: le famiglie contadine poterono fare più figli e sostenere più familiari, aumentarono i flussi migratori e gli spostamenti di popolazione, vennero creati nuovi centri urbani e si spinsero molto avanti i confini delle terre coltivate  necessità si “sistemare” gli uomini, ossia aumentò notevolmente il numero di soggetti da governare. Oltre ad una crescita demografica, si assiste anche ad una economica, reso possibile da un investimento sull’agricoltura, che divenne redditizio in gran parte d’Europa, e ad un generale mutamento delle condizioni di lavoro. Venne innalzata la qualità degli strumenti tecnici a disposizione, come l’aratro a versoio. In generale, si lavorava sempre di più la terra con uno scopo economico: si produceva di più per scambiare o vendere di più. Tuttavia, queste ricchezze non rimasero nelle mani dei contadini, perché ci fu un drastico aumento del prelievo signorile: - Prelievi di origine pubblica: o Fodro, mantenimento dell’esercito o Albergaria, mantenimento dei costi dell’alloggiamento del re - Prelievi di natura signorile: o Taglia, contributo alla difesa che gravava su tutti i residenti o Focatico, che gravava sui nuclei familiari - Prelievi per il mantenimento del territorio: o Ripatico, per l’uso dei fiumi o Boscagio, per i boschi o Acquatico, per l’acqua o Telonei, una serie di pedaggi  Nel XII secolo il prelievo signorile si concentra più sui pagamenti in natura, soprattutto denaro. 3.5 L’inquadramento delle popolazioni rurali e l’azione politica contadina Sotto i signori e i loro vassalli la maggioranza della popolazione delle campagne era costituita da contadini. Non erano tutti uguali, c’era un’ampia varietà creata dalle condizioni economiche, dal bracciante al medio proprietario terriero c’erano di mezzo diverse sfumature di contadini. Anche nel mondo dei contadini i più deboli dipendevano dai più forti dunque la diversificazione prese anche un lato politico oltre che economico perché alcuni contadini riuscivano ad instaurare rapporti diretti con il signore e alle chiese. I contadini più ricchi si legavano ai monasteri facendo loro donazioni in cambio di preghiere e i signori avevano bisogno di contadini locali per svolgere compiti come: riscuotere i censi, controllare il rispetto dei confini e gestire i mulini, i forni, ecc. Questi contadini più ricchi hanno dunque incarichi politici e sociali, sono più ricchi e hanno rapporti diretti con il signore e le chiese locali, sono un elite che forma i comuni rurali, ovvero quei casi in cui la popolazione di un villaggio si organizzava, agiva collettivamente sul piano politico e si dava una piccola struttura istituzionale. Questo mostra che il potere signorile non era assoluto e fondato unicamente sulla forza e la violenza ma in qualche misura sempre contrattato. I testi di riferimento che testimoniano questo sono chiamate franchigie, dove signori e sudditi scrivevano i propri diritti e doveri. Alla rivoluzione agricola si accompagnò anche una rivoluzione insediativa nel XII secolo, si creano possibilità di avere nuovi centri abitati (con condizioni rese favorevoli ai contadini per invogliarli a popolarli). In questo contesto nascono i centri urbani dell’Europa medievale: Città e signorie. CAPITOLO 4: LE CITTA’ NELL’EUROPA MEDIEVALE 4.1 Le basi dello sviluppo urbano La città sia come centro urbano che come organo politico non è un oggetto definito che si sviluppa secondo tappe precise ma un processo di trasformazione continua di più elementi materiali e culturali: popolazione, diritti, rapporti di potere, scambi economici, attività produttive, mentalità e rivendicazioni di autonomia. I fattori che hanno determinato maggiormente le vicende dello sviluppo urbano nell’Europa medievale sono: 1) Il legame con il territorio 2) la capacità di trasformare le condizioni degli abitanti 3) l’impulso dei signori territoriali alla promozione di centri urbani 1) Il legame con il territorio è di natura economica e demografica: un aumento delle migrazioni e dell’attività agricola in grado di mantenere una popolazione in crescita hanno favorito lo sviluppo delle città; le città grandi avevano un raggio di reclutamento molto ampio. La città inoltre non si manteneva da sola, il centro urbano mantenne sempre un legame con il suo territorio perché si riforniva di prodotti agricoli e materie prime che redistribuiva come prodotti finiti. Il territorio dunque ha la funzione fondamentale di rendere la città un centro redistributivo di prodotti finiti. A metà Secolo XI la dipendenza degli abitanti con i signori era ancora molto forte, spesso il suolo dove si costruivano le case era di proprietà del signore e gli abitanti pagavano un censo. 2) Sia i vecchi abitanti che i nuovi tendono a riconoscersi come membri di un insieme sociale nuovo, che condivide diritti e doveri derivanti dalla comune appartenenza alla città. Li univa una comune aspirazione all’autonomia delle proprie attività economiche, alleggerite dai controlli del signore. Il principale processo di trasformazione riguarda la costruzione di una nuova identità politica degli abitanti , fondata sul riconoscimento di uno statuto giuridico condiviso da tutti i residenti nelle città: una relativa libertà estesa anche ai ceti meno abbienti, una solidarietà per raccogliere le richieste collettive da mandare al signore e il bisogno di uno stato di pace che salvaguardasse le persone e le cose dei cittadini. Alcuni signori accettarono volentieri queste condizioni a patto di non mettere in discussione l’assetto generale dei poteri locali ma non sempre fu una legittimazione facile da ottenere. 3) È un elemento politico: i rapporti tra i centri urbani e i poteri signorili della regione. In alcuni casi furono di collaborazione immediata come i duchi normanni che sostennero la fondazione di nuovi centri come Caen, i conti di Fiandra che sostennero nuovi centri urbani e sedi mercantili (Lille, Bruges, Gand, St.Omer e Ypres). In queste città i cittadini ottennero la proprietà dei suoli abitativi (spesso si pagava un affitto al signore, non era scontato l’acquisto).; in tal modo i residenti delle città divennero proprietari indipendenti e con possibilità di lascito ereditario. Privilegi simili si trovano anche in Germania (Colonia, Woms); la famiglia Zahringen fondò città come Friburgo e Berna promuovendone il popolamento e applicando uno schema urbanistico a croce impostato su una strada-mercato principale, collegata alle porte della città. Anche il duca di Sassonia fece una politica simile fondando Monaco, Hannover e Lubecca. Nelle città-mercato si creò una nuova popolazione di abitanti-proprietari con una debole relazione di dipendenza dai signori. Non sempre le cose andarono in questo modo: in molte regioni della Francia la nascita di nuove collettività furono represse nel sangue dai vescovi come a Le Mans, Cambrai e Laon. Nonostante l’opposizione le città si mantennero e negli anni i vescovi dovettero arrendersi alla volontà sociale dei cittadini. Questi scontri erano più frequenti nelle città antiche gestite da autorità ecclesiastiche. Le città per nascere avevano comunque bisogno dell’autorizzazione dall’autorità superiore: nel sud della Francia nascono le città consolari gestite da un governo collegiale di cittadini, coadiuvato da un consiglio che poteva contare anche un centinaio di membri. Nonostante questa forza interna i consoli dovevano sempre essere riconosciuti dall’autorità superiore, si creò in queste città una doppia natura con la convivenza tra consoli e autorità locali. 4.2 Le città tra XII e XIII secolo: unificazione e differenziazione sociale: Dalla metà del secolo XII in poi il fenomeno urbano si assestò. Le città erano formate da: borghi, citè, castello, chiese (tutte in mano ad autorità diverse) furono riunite in un’unica realtà territoriale urbana. Vennero costruite nuove mura in pietra molto più ampie (con torri di guardia, porte e camminamenti per la difesa). La superficie era di 2-3 volte superiore rispetto a prima e comprendeva anche campi coltivabili con vigne e orti. La costruzione delle mura fu il primo caso di fiscalità urbana, ogni cittadino doveva contribuire economicamente alla loro costruzione e segnarono un confine più netto con il territorio esterno che alimentò una coscienza civica maggiore. Le città erano contraddistinte dal riconoscimento della libertà per i cittadini e questo riconoscimento era scritto, erano inserite saldamente nella gerarchia del regno (divennero ottimi contribuenti del fisco regio) e giocarono un ruolo fondamentale per la formazione dello Stato. Lo sviluppo economico tuttavia acuiva le differenze sociali: non tutti erano liberi allo stesso modo, nacque una nuova elitè composta da commercianti che poterono ampliare i guadagni della città tramite i loro commerci. Queste nuove famiglie borghesi grazie al denaro liquido che portavano nella città sconvolsero le gerarchie consolidate e nel corso del 200 acquisirono potere controllando la vita economica e politica della città. Esisteva anche un frastagliato mondo artigianale che andava dal maestro di bottega (ricco e riconosciuto) agli infami. Lavoratori senza diritti e senza reputazione, senza nessuna rappresentanza politica e la cui parola non riconosciuta nei tribunali. Queste stratificazioni artigianali nel 300 si trasformano in continui movimenti di rivolta. Però ora la città aveva strumenti di governo di impronta mercantile. CAPITOLO 5: I REGNI E I SISTEMI POLITICI EUROPEI FRA XI E XIII SECOLO 5.1 Limiti dei regni nei secoli XI e XII Le monarchie del XII secolo dopo la dissoluzione del regno carolingio mostrano delle debolezze strutturali che si traducono in limiti alla capacità di azione del re: 1. Dinastie deboli, in quanto sono il frutto di alleanze matrimoniali e dunque estremamente mobili: si tratta di un’unione temporanea, talvolta solo nominale (assommarsi di più titoli in un’unica persona solo sposando qualcuno). È una trama debole, che veniva meno al primo mutare delle alleanze tra famiglie 2. Quadri territoriali mobili, che variavano rapidamente con il variare delle alleanze matrimoniali 3. Difficoltà di distinguere i regni dai principati, che spesso erano vicini e più potenti degli stessi regni. Ad esempio, il caso del regno di Francia, ridotto ormai alla zona intorno a Parigi, a cui si opponevano le contee di Blois e di Champagne, i ducati di Normandia e Borgogna e il principato di Aquitania. I regni si configurano come principati a tendenza egemonica o regioni inquadrate in sistemi di alleanza con al vertice il re. 4. Difficoltà di coordinare la gerarchia feudale, che era ancora una gerarchia orizzontale: il re era un signore “parziale” di grandi vassalli, che avevano a loro volta propri vassalli. Questi ultimi NON erano legati al re, ma avevano obblighi solo verso il proprio signore: il vassallo di un vassallo del re non è vassallo del re. Dunque, al re sfuggivano tutte le reti di fedeltà locali che avevano vita propria. 5. Assenza di un vero apparato di funzionari pubblici. Infatti, i grandi uffici regi erano in mano all’alta nobiltà, che però oltre a servire il re spesso rafforzava le proprie posizioni, alternando favore e ostilità. Esisteva sì un apparato burocratico di corte in mano ad ecclesiastici di grande levatura ma si occupava della corte regia sul piano culturale e politico, non poteva diventare strumento di governo dei singoli territori. Un’entità statale faticò a mostrarsi ancora nel Duecento e quando si mostrò compiuta se decompose con molta rapidità: tutti gli stati monarchici si dissolsero nel XIV secolo. 5.2 L’Inghilterra dalla conquista al Duecento Guglielmo il Conquistatore divenne re d’Inghilterra partendo dalla Normandia e sconfiggendo re Harold ad Hastings (1066). I baroni normanni sostituirono immediatamente l’aristocrazia inglese e fondarono su una base di istituzioni pubbliche già esistente e conservarono molte caratteristiche dell’epoca precedente, questo servì a frenare l’ambizione dei baroni normanni e guadagnare consenso presso la popolazione inglese. Prima della conquista il regno d’Inghilterra era diviso in circoscrizioni di origine militare e fiscale (shires) assegnate ad ufficiali pubblici (ealdormen). Sotto gli shires esistevano circoscrizioni minori (centene) formate da thithing (gruppi di dieci famiglie). Queste unità avevano ampia autonomia organizzativa e avevano come fine principale l’amministrazione della giustizia per il mantenimento della pace (questione fondamentale e più volte ripresa anche dai successivi monarchi con leggi. La pace del regno divenne compito del re). Guglielmo riprese questa tradizione e nel suo giuramento c’erano molti elementi del tradizionale patto tra il re e il popolo: Guglielmo si impegnava a mantenere i diritti delle chiese e a spedizione alla quale Filippo non partecipò inizialmente. Il conte di Tolosa venne accusato da papa Innocenzo III di eresia e sfruttando questo motivo Filippo si inserì nella battaglia acquisendo la contea. La grande abilità di Filippo Augusto fu quella di tenere insieme alleati riottosi e di accumulare grandi risorse economiche in uno stato di guerra perenne. Le entrate di Filippo erano composte da rendite agricole, tasse sulle città e dalla giustizia e Filippo riuscì a creare una superiorità economica sui rivali anche grazie alle tasse feudali, Filippo chiese somme enormi per riassegnare il feudo in caso di morte del vassallo. Istituì anche la figura del balivo: un ufficiale pubblico responsabile della giustizia e della fiscalità in una zona circoscritta. La sua figura garantì entrate sicure e stabili. 5.4 I regni spagnoli La Spagna dell’XI secolo era divisa in numerose contee con aspirazioni monarchiche, relegate nella parte settentrionale della penisola mentre la maggior parte del territorio era in mano musulmana. Nel corso dell’XI secolo un regno cristiano inizia una fase di riconquista dei territori verso sud chiamata Reconquista. La visione della Reconquista è trionfalistica, i regni spagnoli non erano regni ma più contee di dimensione regionale, la loro esistenza fu intermittente fra unioni dinastiche e separazioni successive. Navarra e Aragona furono unite fino al 1134 per poi avere due regni diversi, il conte di Barcellona divenne governante dell’Aragona e una maggiore stabilità fu raggiunta nel 200 avanzato quando Castiglia e Aragona definirono meglio la loro natura territoriale. Anche l’identità etnica delle popolazioni era incerta, la lunga permanenza araba aveva dato origine ad una popolazione nuova lontana dai Visigoti che solo dopo la fine del dominio musulmano si riconobbe come ispanica. La separazione fra il mondo cristiano e quello musulmano non era così netta e furono numerosi i casi in cui collaborarono. La Reconquista fu una celebrazione in termini epici di un processo molto lungo che si aprì solo con la crisi all’interno della dominazione almoravide, senza di essa la Spagna musulmana non avrebbe cessato di esistere. È vero tuttavia che la guerra all’infedele era un motivo da tempo ricorrente nei linguaggi retorici dei regni spagnoli usati soprattutto dai sovrani di Castiglia e Aragona – Catalogna che si legittimarono come re liberatori (Alfonso VI di Castiglia con la conquista di Toledo del 1085 e Aragonesi con presa di Baleari e Saragozza 1118) anche se si trattò sempre di vittorie passeggere e soggette alla riconquista degli Almoravidi. Nel 1133 la spedizione di Alfonso VII a Cordova e Cadice ottenne successo ma si trattò di razzie e non conquiste. La possibilità di uno scardinamento del sistema di governo musulmano fu aperta solo dalla crisi interna al regno almoravide: la rigidità dei costumi, la differenza linguistica e culturale dell’elite e un regime fiscale opprimente resero il loro governo ostile alla popolazione andalusa. La reazione agli Almoravidi partì addirittura dal Marocco dove una setta fondata dal profeta Muhammad ibn Tumart chiamata Almohadi riuscì a conquistare il Marocco ed espandersi in Andalusia. Nel 1144-47 anche le maggiori città spagnole passarono dalla parte degli Almohadi che elessero Siviglia come capitale. Per la Reconquista questi cambiamenti segnarono una battuta d’arresto, nel 1195 ad Alarcos l’esercito musulmano sconfisse l’esercito di Alfonso VIII di Castiglia. La reazione partì nel 1211 con la proclamazione di una crociata antimusulmana proclama da Innocenzo III. Con la vittoria a Las Navas nel 1212 la penetrazione cristiana nei regni fu più veloce ed entro il 1240 i territori cristiani raddoppiarono conquistando le regioni dell’Estremadura e dell’Andalusia; il regno catalano-aragonese conquista invece le Baleari e il regno di Valencia aprendosi una strada sul Mediterraneo. Insieme alla Reconquista si avviò un processo di ripopolazione, nelle terre conquistate si incentivavano i contadini e i piccoli cavalieri a viverci con la donazione di lotti di terreno. Furono i re ad autorizzare l’insediamento, la divisione di terre e le forme di autonomia che tali comunità conservarono. 5.5 la Germania e l’Impero La Germania dell’XI secolo presente un quadro più stabile rispetto agli altri regni. I 4 ducati tradizionali (Sassonia, Baviera, Franconia e Svevia) erano saldi nelle mani delle grandi famiglie aristocratiche che comandavano un grande numero di conti che non avevano grande autonomia. I territori dell’est subirono grandi ondate di migrazioni dovuti alla grande crescita demografica. L’Impero continua ad avere un funzionamento intermittente, l’imperatore era eletto dai grandi principi a capo dei ducati maggiori e poteva contare sul ducato di Franconia oltre ai possedimenti personali come base di potere, una base che non superava quella dei grandi principi elettori e concorrenti dell’imperatore. Già nei primi decenni dell’XI secolo il problema principale dei sovrani fu quello di resistere alla ribellione dei vassalli in Germania e in Italia. Corrado II cercò di regolare i conflitti interni accentrando nelle mani dell’imperatore il giudizio ultimo in caso di conflitto. Per aiutare i vassalli minori protesse la stabilità del feudo e la trasmissione ereditaria dei loro benefici; due azioni che se le avesse compiuti verso i vassalli maggiori avrebbero sconvolto gli equilibri dell’Impero. Inoltre la crisi dei rapporti con il papato e lo scontro violento contro Gregorio VII colpirono duramente il prestigio dell’Impero sotto Enrico IV (1050-1116) e fu anche eletto un altro re da parte papale (Rodolfo di Rheinfelden) come a dire che il principio dinastico poteva essere messo in discussione, e così accadde con i vari successori di Enrico V: Lotario III (1075-1137) e Corrado III (1093-1152) appartenenti ad una casata diversa dalla precedente e scelti dai principi elettori. Sul lato della fedeltà militare gli imperatori tedeschi soffrirono molto: le grandi famiglie ducali basavano il loro potere su ampie terre di proprietà che trasmettevano in eredità e li rendeva poco servili all’imperatore, che non aveva grande autorità a richiamarli in caso di conflitto. In questo contesto di debolezza iniziò il regno di Federico I di Svevia, chiamato Barbarossa. Federico riuscì a rendere unita la Germania dei grandi ducati (temporaneamente) combattendo e sottomettendo le casate più riottose. Fece propria la funzione di pacificatore del regno ordinando una pace generale, in seguito fece ricorso al diritto feudale per confiscare i ducati ai principi ribelli: dura lotta contro Enrico il Leone esponente della casa di Welfen, Federico gli tolse il territorio nel 1180 ma Enrico gli rimase ancora oppositore a lungo. La lotta tra le frazioni dei Welfen e dei Weiblingen vennero italianizzate col nome di guelfi e ghibellini. Ogni volta che Federico entrava in possesso di un territorio lo divideva creandone due, così diminuiva la sua forza. Fece così per la Baviera tolta a Enrico il Leone e per la Sassonia. Creò inoltre due nuovi ducati in Austria e in Stiria affidandoli ai suoi alleati. Nella dieta (assemblea dei grandi) di Roncaglia del 1158 aveva stabilito che ogni potere di origine pubblica dovesse provenire dal re e rinnovò il divieto di vendere o dividere feudi o di giurare fedeltà a più signori. La dieta di Roncaglia riguardava soprattutto il regno d’Italia, dove l’opposizione di alcune città lombarde, aveva provocato la dura reazione di Federico. Le guerre italiane misero a dura prova la struttura imperiale perché Federico per ogni spedizione doveva chiedere aiuto ai grandi dell’Impero che non sempre erano disposti a restare in Italia per più tempo di quello pattuito. La struttura imperiale resse anche dopo la non vittoria contro i comuni italiani sancita dalla pace di Costanza del 1183, resta però l’impressione di una fedeltà legata al carisma di Federico e non alla dinastia. Lo provano i dissidi che scoppiarono sotto il regno di Enrico VI, figlio di Federico che aveva cercato di imporre il diritto di successione dinastica all’impero togliendo il criterio elettivo ai principi (che rifiutarono). Enrico VI guadagnò comunque una posizione di forza grazie al suo matrimonio con l’ultima erede dei re normanni, Costanza d’Altavilla dalla quale ebbe Federico Ruggero (Federico II). Nonostante le ribellioni in Sicilia Enrico VI entrò a Palermo nel 1194 e fu eletto re di Sicilia. Il figlio Federico si trovò così a ereditare sia il titolo imperiale che il titolo di re di Sicilia. 5.6 il regno di Sicilia Intorno al 1013-1016 scesero in Italia meridionale i cavalieri normanni, che si posero al servizio dei principi longobardi come mercenari, stabilendosi prima ad Aversa ed impossessandosi poi del principato di Capua. Altri gruppi si insediarono invece in Campagna, Calabria e Puglia ponendo le basi di un potere locale. Il loro controllo fu particolarmente violente: chiedevano di più e imponevano obblighi maggiori. Così, l’aristocrazia longobarda e latina venne presto sostituita al potere dai cavalieri normanni, sebbene non avessero un vero e proprio ordinamento gerarchico al proprio interno. Una vera dinastia si affermò solo con gli Altavilla intorno al 1040, diventando un punto di riferimento per i territori conquistati: - Drogone diventa conte di Puglia - Suo fratello Umfredo diventa duca di Puglia - Roberto il Guiscardo insieme con il fratello Ruggiero conquistarono Bari e poi Palermo in seguito ad una campagna contro i mussulmani nel 1072  Appoggio papale : Ruggiero viene nominato legato apostolico con la possibilità di eleggere i vescovi, controllare le finanze della Chiesa e dirimere le controversie ecclesiastiche - Ruggiero II, figlio di Ruggiero I, tentò di impostare un disegno monarchico, favorita dalla nomina a re da parte di papa Anacleto II in cambio di una dipendenza vassallatica verso la Chiesa di Roma Tuttavia, il tentativo di esportazione del controllo regio sul continente causò moltissime sollevazioni  NON è causa del sistema feudale: il regno normanno non era feudale. Infatti, non ci fu una redistribuzione sistematica delle terre, ma queste vennero acquisite dai cavalieri mediante azioni militari durante la conquista delle regioni meridionali. Dunque, spesso si manteneva un legame di fedeltà con il condottiero che aveva ottenuto la terra, ma non si tratta di fedeltà vassallatica.  Catalogo dei baroni, un censimento dei cavalieri normanni del regno e del loro potenziale militare-fiscale Davanti all’instabilità del ceto militare i re normanni ricorsero ad alcuni strumenti di governo: - Sfruttamento delle terre demaniali , che erano di pertinenza regia  Creazione di nuovi ufficiali pubblici e dunque di un apparato locale di controllo che garantiva dei gettiti fiscali più regolari  Nuove forme signorili di sfruttamento del lavoro contadino - Proclamazione della pace del regno , ossia il divieto di guerre private in favore della giustizia del re + obbligo di fedeltà per i baroni  sforzo di affermare la superiorità regia 5.7 La successione imperiale e il regno di Federico II Federico II, figlio di Enrico IV e Costanza d’Altavilla, alla nascita ereditò subito il regno di Sicilia dalla madre, mentre per il titolo imperiale la questione era più complicata. Infatti, i pretendenti alla corona imperiale erano Filippo di Svevia e Ottone di Sassonia, mentre papa Innocenza III fungeva da arbitro tra i due, appoggiando prima l’uno e poi l’altro. tuttavia, Innocenza III era anche tutore legale di Federico, futuro pretendente al trono. Tuttavia, se egli fosse diventato imperatore, ottenendo così anche il regno d’Italia, avrebbe accerchiato i territori papali. Pochi anni dopo la situazione sfugge di mano: - 1214 Innocenzo III appoggia Federico nominandolo re di Germania - Inseguito alla battaglia di Buovines Federico viene eletto re dei Romani - 1220 papa Onorio III lo incorona imperatore Oltre al titolo imperiale, Federico ha allora tre regni da governare: - Regno di Germania in cui tenta un rafforzamento dei suoi domini nelle regioni meridionali, recuperando i beni della sua casata e del regno, anche grazie all’appoggio dei ministeriali , ossia i cavalieri di basso rango. Inoltre, incrementò le forme di governo diretto con ufficiali pubblici. Tuttavia, risiedette poco in terra tedesca e cercò da lontano di mantenere la pace  nel 1220 concede ampie concessioni di privilegi ai principi ecclesiastici di Germania, concedendo loro moltissima autonomia giurisdizionale. - Regno di Sicilia, dove tentò un recupero dei beni usurpati durante il regno della madre, anche grazia alla formazione di un consiglio di giuristi, che era incaricato di elencare tutte le possessioni del re e di fare un inventario dei beni sottratti alla corona. Federico chiesa a tutti i possessori di presentare i privilegi emanati dal padre e dalla madre e tolse i diritti a coloro che non presentavano titoli validi. Inoltre, nel 1231 emanò il Liber consistorium, un importante atto legislativo in cui l’ideologia regia riceveva spessore culturale - Regno d’Italia, in cui però l’inquadramento regio fu debole  divisione in distretti cittadini largamente autonomi 5.8 Conclusioni Il processo di costruzione di apparatici monarchici nazionali nel Duecento fu un processo interrotto. Il re aveva un potere limitato: i potenti regionali potevano essere messi al servizio del re nei momenti di necessità, ma non appartenevano al re come depositario di un potere unico. Più che altro, il re era un’autorità legittimata a: - Ricomporre un quadro unitario dei poteri dispersi Chiesa che non si era mai posta il problema per i suoi possedimenti enormi, il papato prima isolò i minori, poi vieta le teorie più estreme ed infine nel 1319 li emina bollandoli come eretici. 1.3 I mendicanti e l’inquadramento dei fedeli Gli ordini mendicanti ebbero un successo straordinario e un gran numero di seguaci, ottenendo anche la possibilità di svolgere la funzione di pastori di anime (possibilità di predicare e confessare, celebrare la messa per accogliere i morti). Il loro successo era dovuto alla capacità di presa sulla realtà cittadina: provenendo dal ceto medio, potevano avere una conoscenza diretta dei problemi, dei punti deboli, delle aspirazioni delle classi artigianali e mercantili. Applicarono allora una predicazione per esempi, ossia brevi storie edificanti che illustravano un singolo aspetto della vita religiosa dei fedeli in maniera narrativa. Utilizzavano un linguaggio piano, semplificavano i problemi teologici e, attraverso l’uso delle emozioni, riuscivano a veicolare dei modelli eticamente positivi.  condanna al peccato di cupidigia , che porta al guadagno sterile e all’accumulo dei beni. Ma la radice di tutti i peccati venne identificata nella superbia, ossia la pretesa di decidere da soli il proprio destino, modificando la propria condizione sociale con tutti i mezzi senza tener conto della correttezza dei comportamenti adottati.  Penitenza come rimedio: era necessario riconoscere che le sorti umane dipendevano da Dio e dunque bisognava accettare la propria condizione sociale come parte di un disegno superiore che garantiva l’armonia della comunità. Era fondamentale riconoscere ed ammettere la propria debolezza. La penitenza era un passaggio obbligo verso la salvezza e questa avveniva in seguito alla confessione. La confessione era una sorta di piccolo processo, in cui era il prete che decideva la gravità della colpa e l’entità della pena. Infatti, spesso i fedeli non erano in grado di riconoscere di aver peccato. Tuttavia, i laici chiedevano ancora un ampliamento delle forme di partecipazione alla vita religiosa  creazione delle confraternite, istituzioni laiche approvate dalla Chiesa che si specializzavano in qualcosa (carità, assistenza ai malati, penitenza). Nel 1289 papa Niccolò IV dà vita ad un nuovo ordine religioso, il terz’ordine francescano. I mendicanti furono attivi anche nelle azioni di controllo e di esperienze religiose eterodosse, partecipando all’ufficio dell’Inquisizione in maniera stabile dal 1254. Innocenzo IV divide l’Italia in due province, affidandone una ciascuna all’azione di controllo degli ordini. Si tratta di una procedura inquisitio ex officio in cui gli accusati avevano una minima possibilità di difesa e venivano puniti per la frequentazione di un gruppo sospetto, l’aiuto indiretto o la semplice conoscenza. Veniva attaccata la rete sociale dell’eresia. Esistevano diverse tipologie di eretici: - Ribelli, che rifiutavano di convertirsi - Relapsi, che tornavano al loro credo dopo essersi pentiti - Fautori, che intralciavano l’Inquisizione ed erano a loro suddivisi in diversi tipi: una gerarchia che rispecchiava il grado di informazioni in loro possesso - Sospetti, che si rifiutavano di giurare fedeltà alla Chiesa Tutti i possibili sospetti dovevano rendere conto al giudice di quanto sapevano e per questo spesso venivano attaccati gli adepti più deboli della setta. L’Inquisizione seguiva poi una procedura standard: arrivati in un paese, dichiaravano un periodo di garanzia (a 15 ai 30 giorni), in cui venivano ascoltate tutti quelli che avevano qualcosa da dire ( strumento di vendetta per i conflitti tra fazioni) e, dopo questo periodo, iniziava il processo contro i sospetti. Queste persone venivano interrogate singolarmente con tanto di minacce fisiche e torture, che si intensificano man mano. Una volta capitolato, l’imputato poteva pentirsi o mantenere la propria fede. In quest’ultimo caso i ribelli subivano pene durissime che culminavano con la pena di morte. Mentre i pentiti venivano fatti sfilare in processioni pubbliche: l’obiettivo non era uccidere i ribelli, ma spingere al pentimento e all’abiura. 1.4 L’uso politico dell’eresia: re e pontefici alla ricerca del carisma Nel corso del Duecento l’eresia divenne un reato politico, in quanto questa colpiva anche l’Impero e l’ordine civile: la fedeltà politica doveva andare di pari passo con la fedeltà religiosa. È un reato che viene equiparato a quello di lesa maestà: si era eretici se ci si voleva ribellare ad un ordine civile voluto da Dio. Emblematico è il caso di Federico II, che dopo aver rotto con il papa, viene additato come eretico e come peggior nemico della Chiesa. O ancora il caso di Ezzelino da Romano, il maggior capo ghibellino, che viene descritto come un tiranno eretico, la personificazione terrestre del demonio, che vuole sterminare il genere umano rovesciando l’ordine naturale. Dell’eresia come strumento politico, dunque, se ne serve anche il potere temporale, in particolare il re di Francia Filippo IV il Bello , che lo sfrutta in due occasioni: - Conflitto con Bonifacio VIII Il conflitto verte sull’immunità della Chiesa dal fisco e dalla giustizia dei re. Non tenendo conto di questo, Filippo prima impone una tassa al clero in periodo di guerra e poi mette sotto processo un vescovo. La reazione di Bonifacio è violenta: lo richiama all’ordine, lo accusa di scomunica e riafferma in una bolla il potere assoluto del papa. La Chiesa era la guida unica, e dunque vi era una subordinazione del potere temporale a quello spirituale. Tuttavia, Filippo il Bello non si lasciò intimorire e, dopo aver accusa Bonifacio di essere un papa eletto illegalmente, inviò un suo cancelliere in Italia che fece prigioniero Bonifacio e lo costrinse a NON pubblicare la bolla di scomunica contro il re. Dopo un mese, Bonifacio muore ed inizia il processo contro di lui: viene accusato di nefandezze di natura sessuale, contatto con il demonio. Blasfemia ripetuta e idee eretiche. Era un papa eretico che minacciava la Chiesa. - Processo contro i Templari I Templari custodivano il tesoro regio e più volte negarono a Filippo prestiti ingenti. Questi allora iniziò contro di lui un’offensiva giudiziaria senza precedenti: fece arrestare i generali dell’ordine e tutti i templari del regno. I capi d’imputazione riguardavano il rituale d’entrata dell’ordine che univa eresia, culto demoniaco e doti sessuali illecite ( questo mix diventerà un modulo d’accusa molto frequente). Il re si presenta dunque come protettore della fede: condannava i templari perché erano eretici contro natura, nemici del patto sociale, che sovvertivano un ordine naturale e civile, che doveva dunque essere difeso dal re davanti ad un papa inerme.  La curia pontificia viene esiliata nel 1309 ad Avignone . Il settantennio avignonese (1309 – 1378) non fu una vera e propria cattività: dal punto di vista amministrativo, si assistette ad uno sviluppo delle pratiche amministrative. Tuttavia, dal punto di vista politico, vi è un predominio del potere temporale su quello religioso: il re di Francia ha rivendicato per sé la difesa della Chiesa e utilizza ormai strumenti religiosi. Quando il papato torna a Roma viene eletto il papa italiano Urbano VI, elezione che viene contestata dai cardinali francesi, che eleggono a loro volta Clemente VII, insediato ad Avignone.  divisione in due dell’Europa religiosa. C’è un corrente conciliarista che però, essendo troppo radicale, viene presto abbandonata. CAPITOLO 2: LA COSTRUZIONE DELLO SPAZIO POLITICO DEI REGNI EUROPEI Fra XIV e fine XV secolo in tutta Europa si consolidarono gli Stati. Il potere locale non sparì a loro favore, anzi, capì che far parte del regno non cancellava i loro interessi. Si organizzarono all’interno dello Stato prendendo una forma prima assente. 2.1 La difficile costruzione di uno spazio politico dei regni di Francia e Inghilterra Nel XV secolo l’esistenza delle monarchie è stata messa fortemente in discussione. Emerge però il fatto che la monarchia riesce ad assorbire tutte le difficoltà incontrate e a resistere. - Francia: Partiva avvantaggiata per la nascita di un regno nazionale grazie all’eredità di due grandi sovrani della seconda metà del 200: Luigi IX e Filippo IV il Bello. Con Luigi IX il territorio si espanse e il re riprese l’attività legislativa. Invece sotto Filippo Il Bello l’apparato centrale si fece più massiccio, le finanze furono rinnovate con aumento di carico fiscale sui sudditi, la giustizia rimase nelle mani del re che estese le sue pretese anche sulle persone e i beni della Chiesa. Sotto Filippo l’azione regia interna al paese sembra non avere limiti: messo sotto controllo il papa ormai relegato ad Avignone, il re si lanciò in speculazioni finanziare cambiando più volte valore alla moneta ufficiale, il risultato fu un disastro e suscitò numero opposizioni. Il malumore intorno alle pretese regie esplose sotto Luigi X. Nel 1315 fu costretto dai baroni a concedere ampie autonomie politiche tramite le carte di libertà presentate da alcuni principati che chiedevano il controllo della giustizia e della fiscalità a livello locale. La monarchia era a rischio anche perché si esaurì la dinastia Capetingia (1328) e con la nuova linea dei Valois si riaccese lo scontro con l’Inghilterra. L’Inghilterra avanzò pretese sul trono francese perché Edoardo III re d’Inghilterra era imparentato con i Capetingi: iniziò la Guerra dei Cento Anni che mise in luce tutte le difficoltà del sistema politico francese: un esercito pesante e lento, basato ancora sui cavalieri; una scarsa capacità di mobilitazione della popolazione, un sistema fiscale imperfetto, incapace di finanziare una guerra prolungata; una forte frammentazione territoriale. Già dal XII secolo le regioni atlantiche erano inglesi, parte della Borgogna si rivoltò alla Francia e alcuni territori del sud furono riassorbiti dalla Spagna: il regno di Francia nel 400 era piccolo e accerchiato. L’esercito francese fu sconfitto più volte da quello inglese: nel 1346 a Crecy , nel 1356 a Poitiers (dove il re Giovanni il Buono fu fatto prigioniero) e nel 1415 ad Azincourt dove l’esercito francese fu annientato. Oltre al problema inglese la Francia doveva gestire anche la guerra civile interna scoppiata nel 1392 quando si era aperto un conflitto fra due membri della corte che avevano provato a influenzare Carlo VI (re debole e impazzito): da un lato il duca di Borgogna Giovanni Senza Paura e dall’altra il fratello del re, Luigi duca d’Orleans. La scintilla dello scoppio della guerra civile fu l’imposizione di una tassa da parte di Luigi e subito contestata dagli altri principi. Presero forma due partiti: gli Armagnacchi fedeli al duca d’Orleans e i Borgognoni fedeli al duca di Borgogna (presero il controllo di Parigi e della Francia settentrionale). La resistenza alle tasse degli Armagnacchi fu una costante, quando nel 1418 i Borgognoni conquistarono Parigi per la 2 volta eliminarono tutte le tasse, in seguito i Borgognoni abbandonarono Parigi e la Francia settentrionale per spostarsi al centro e formare un regno itinerante chiamato regno di Bourges: per diversi anni non si seppe chi fosse veramente il re di Francia. Il conflitto sulla tassazione divenne un conflitto sulla monarchia: i sostenitori del re erano anche i sostenitori di un apparato pubblico centrale e potente e di un sistema fiscale pesante. Al contrario il partito dei Borgognoni era favorevole a un potere decentralizzato basato sull’autonomia dei territori e meno esoso sul piano fiscale. La situazione si complicò ulteriormente quando dopo la pace di Troyes con gli inglesi, il re d’Inghilterra Enrico V sposò Caterina, la figlia del re francese Carlo VI. Con questa mossa Carlo esautorò suo figlio Carlo (poi VII) dall’eredità al trono, legittimando le pretese di Enrico V. Alla morte dei due re (Carlo VI ed Enrico V) Enrico VI d’Inghilterra avanzò legittime pretese sulla Francia, il nodo dinastico si rivela ancora una debolezza. La minaccia di avere un re straniero fu sfruttata dagli Orleanisti che sostenevano Carlo VII mentre i Borgognoni sostenevano Enrico VI: per la prima volta l’ideologia nazionale e la politica confluirono in un grande processo di trasformazione dello stato francese. In questi anni si svolse anche la parabola di Giovanna d’Arco, donna condottiera che ispirata da voci divine guidò l’esercito francese a miracolose vittorie contro gli inglesi (difesa d’Orleans del 1429) e alla riconquista di alcune città occupate dagli inglesi. La figura di Giovanna fu usata come propaganda anche dopo la sua morte avvenuta al rogo per stregoneria per del vescovo di Rouen alleato dei Borgognoni. Una serie di campagne vittoriose tra 1449 1453 permisero a Carlo VII di riconquistare alcuni territori, la guerra si spense per le divisioni che investirono l’Inghilterra. Nel 1461 Luigi XI voleva riaffermare la sovranità francese su tutti i principati e gli si contrappose un fronte composto da: suo fratello Carlo, il duca di Borgogna e i signori di Armagnac, Alencon e Bourbon. Contro questi ultimi Luigi mise in atto una spietata repressione giudiziaria e li trattò come sudditi infedeli e non vassalli, il re infatti cercava di trasformare la natura dei rapporti con la nobiltà regionale. Sotto questo strato di eventi politici emergeva la costruzione istituzionale di un regno ormai radicato nelle sue funzioni di base: il crescente monopolio esercitato dal re sulle nobilitazioni portò ad un rafforzamento dello Stato e tra il 1460 e il 1490 le regioni più distanti e autonome furono attaccate al regno di Francia: nel 1461 il Delfinato, 1480 Angiò, 1482 parte del ducato di Borgogna, 1486 la Provenza e 1498 la Bretagna. - Inghilterra: teoria del trasferimento del potere dal popolo al signore era un po’ forzata. Come spiega il maggior giurista italiano del Trecento, Bartolo di Sassoferrato, il conferimento della podestà legislativa dal popolo al signore è valido solo quando questo avviene liberamente e non è costretto dalla forza. Cosa che NON avveniva nel caso dei Visconti, che mandavano sempre uomini armati a presiedere le assemblee cittadini. Inoltre, la costruzione dello stato regionale avveniva mediante l’acquisizione in blocchi separati di città , che pattuivano con il signore le modalità e le forme di entrata nel dominio. Si tratta perciò di acquisizioni successive frutto di contrattazioni reiterate ogni qualvolta si spezzava l’unità dinastica: il nuovo signore doveva costruire nuovamente la sua trama di fedeltà. Questo avviene con il ducato sabaudo, con lo Stato della Chiesa, lo Stato fiorentino, mentre il ducato veneto rappresenta una particolarità per la sua capacità di rispettare la precedente struttura comunale della città, integrando le oligarchie in un sistema di governo condiviso: aristocrazie cittadine + controllo del rettorato veneziano. L’ampliamento del dominio necessità la costruzione di una sorta di burocrazia centrale (cancelleria, segretari, camera dei conti), a cui si accompagnò una vasta promozione culturale, mediante la costruzione di università di prestigio e l’acquisizione di un personale tecnico  la fiscalità e il diritto vengono armonizzati in gran parte dei luoghi del dominio. In particolare, però, la chiave di volta di questi Stati regionali fu la capacità di assicurare il rapporto diretto con il centro e le comunità rurali del dominio, mediante l’uso di esenzioni, privilegi, patti. Inoltre, il signore si assicurava il controllo dell’area, mediante la scelta di magistrati esterni che venivano affiancati ai governi cittadini. Nonostante questo, però, il livello di autonomia della comunità rimase molto elevato. Si tratta di un particolarismo esasperato: piccolissime città chiesero agli Sforza di essere riconosciute come comunità autonome e separate.  progressivo inserimento delle signorie locali , soprattutto da parte degli Sforza, che si servirono dell’investitura feudale inserendo le signorie locali nello Stato. Questa aveva una duplice funzione: - Riconoscere i poteri signorili effettivamente operanti sul territorio - Far riconoscere ai poteri signorili la supremazia politica dello Stato  vassallaggio come soggezione politica Tuttavia, la debolezza di questi Stati è dovuta principalmente all’ instabilità dello Stato centrale, che non riusciva a concepire la successione come un elemento ordinario dello Stato. Per quanto riguarda la Sicilia, questa subisce un destino diverso dal resto del Mediterraneo (regno di Napoli), quando passa sotto il re d’Aragona, il cui governo era volto ad una valorizzazione delle realtà locali, baroni e città, a cui vennero concessi ampi privilegi, esenzioni e compiti di autogoverno. Inoltre, aumentarono il numero di cavalieri, concedendo loro molti feudi. Questo portò ad un rafforzamento dei baroni e di conseguenza all’instabilità del regno con un governo composto da 4 vicari che non riconoscevano il re. Una crisi simile fu attraversata dal regno di Napoli sotto la dinastia Angioina a causa di una lotta interna (Angiò di Provenza contro Angiò-Durazzo). Ma la più importante fu la guerra contro il re d’Aragona, Alfonso il Magnanimo , che nel 1442 sconfisse gli Angioni  annessione del regno di Napoli alla corona d’Aragona, che dominava ormai l’interno bacino del Mediterraneo, Barcellona, le Baleari, la Sardegna, la Sicilia e il regno di Napoli. In questi anni i baroni hanno comunque molta autonomia, tanto da creare degli Stati regionali semi-indipendenti: ma non venivano considerate forze “esterne” allo stato, bensì elementi di un’amministrazione condivisa della vita politica del regno. Si tratta di una compartecipazione al governo, sebbene nelle forme privatistiche del privilegio. Tutti i poteri attribuiti a questi baroni venivano considerate delle concessioni revocabili e date in funzione del governo regio. Alfonso il Magnanimo procede poi con una riforma del fisco, mediante la redazione di catasti per censire le proprietà dei sudditi e tassarli in proporzione ai beni. Per quanto riguarda gli stati repubblicani, a Firenze la repubblica si mantenne fino al XV secolo quando prevalse invece una nuova cultura politica, incentrata più sulla stabilità dello stato: viene instaurato un governo oligarchico, in cui vi era un vertice ristretto che prendeva decisioni e un’ampia base popolare che invece veniva esclusa. Uno degli strumenti più importanti della direzione fiorentina fu il monte delle prestanze, un istituto che stabilizzava il debito del comune: il comune aveva chiesto prestiti volontari ai cittadini e decise di non restituire più il capitale (somma data) ma solo gli interessi. I cittadini fiorentini accettarono e iniziarono a comprare cedole del debito pubblico: davano denaro in prestito per riceverne gli interessi  enormi quantità di denaro per finanziare lo Stato. Questo sistema venne applicato anche a Genova e Venezia, soggette ad uno sviluppo economico eccezionale. Per stabilizzare il governo venne scelto un doge, un capo supremo eletto a vita, che veniva coordinato da una serie di consigli. Venezia fu la città che meglio riuscì a stabilizzare gli equilibri di potere: nessuna istituzione aveva il pieno controllo della vita pubblica. Tutta l’aristocrazia poteva partecipare alla vita pubblica senza però arrivare a minacciare la città. Vennero creati poi degli elenchi fissi delle famiglie nobili che potevano partecipare al governo: solo i discendenti di queste famiglie avevano il diritto di sedere nel consiglio.  oligarchia chiusa. Ci fu tra i vari Stati d’Italia una violenta competizione fino alla pace di Lodi del 1454 siglata tra Milano e Venezia: questa pace era garantita dalla lega italica tra i maggiori stati italiani. CAPITOLO 3: SOCIETA’ POLITICHE DEL BASSO MEDIEVO. UN PROCESSO DI INTEGRAZIONE CONFLITTUALE 3.1 immagini e ideologie del re Fra 300 e 400 l’ideologia monarchica si sviluppò pienamente sia sul piano rituale della rappresentazione, dall’incoronazione all’immagine simbolica del re padre, sia su quello giuridico-istituzionale. L’ingresso di giuristi e teologi negli organi consiliari rappresenta uno stacco netto col passato: manuali, trattati, scritti di propaganda e storie ufficiali crearono un’immagine nuova del sovrano, potentissimo e quasi onnipotente. L’ingresso dei giuristi permise di frenare il potere assoluto del re (soprattutto in Inghilterra), il re doveva avere una causa necessaria per non rispettare la legge, in Inghilterra il re aveva il potere regale ma si confermava alla legge; altri però come i giuristi d’Orleans affermavano che questa causa era implicita e il re non era tenuto a dichiarare quando agiva oltre la legge. La figura del re e del regno si erano arricchite: la debolezza delle successioni e le fragilità dei re (uccisi, deposti o sdoppiati) favorirono la nascita di un concetto più astratto di regno che rappresentava l’istituzione scindendosi dalla persona del re. Questo percorso fu veloce in Inghilterra e più lento in Francia (solo nel 1361) e la monarchia ne uscì rafforzata perché non dipendeva più dalla figura del re. La guerra dei 100 anni inoltre aveva creato il pericolo di avere re stranieri e si sviluppò l’aggettivo naturale parlando della monarchia: naturale era il dominio che il signore esercitava sulla terra, naturale la trasmissione dell’eredità, naturale era l’esercizio del dominio sulla terra dove era nato e dove aveva i sudditi; le dominazioni di re stranieri erano innaturali e dunque possibili eresie. In Francia e Castiglia si sviluppa il concetto di un re quasi religioso: il potere del re era di origine divina e quindi i re non erano fedeli come gli altri ma persone sacre. In Francia il re fu chiamato cristianissimo; questa convinzione giustificava l’imposizione del potere regio sugli altri poteri, in particolare il papato come dimostra lo scontro tra Filippo il Bello e Bonifacio VIII. Anche i teologici a corte contribuirono a una nuova figura del re: recuperarono modelli religiosi di re giusti, elevando la giustizia come loro primo compito. Il re era giusto buono e misericordioso sui sudditi e la sua figura divenne oggetto di devozione religiosa. Le virtù attribuite ai re si trasformarono in poteri di governo: - La protezione dei poveri e deboli richiedeva un rafforzamento della giustizia pubblica contro i potenti arroganti che opprimevano il popolo - La misericordia del re si tradusse in potere di grazia - L’amore verso il re portava con sé una celebrazione religiosa - I fondamenti celesti del regno rafforzavano l’immagine della monarchia come scudo protettivo, guida naturale della nazione Celebrazione, propaganda e amministrazione facevano parte del medesimo sistema di governo. 3.2 L’amministrazione del regno: corti, ufficiali, fiscalità Si inizio a costituire un sistema burocratico a più livelli. Si ebbe da un lato il rafforzamento dell’amministrazione centrale e dall’altro la costruzione di una rete di ufficiali pubblici nei territori. Su questa base si impiantò il sistema fiscale per finanziare lo Stato e la sua politica di espansione. Lo sviluppo di una burocrazia pubblica nelle corti e nei territori fu importante per diversi motivi: - Favoriva la vita autonoma del regno che funzionava anche senza re grazie allo sviluppo di organi centrali. Gli organi centrali si svilupparono in parallelo alla formazione di una corte intorno al principe e all’individuazione di una capitale del regno. Le funzioni della corte erano 3: fornire al re un consiglio ristretto, assistere il re nelle funzioni di governo e amministrare le finanze. In Francia si sviluppò il Consiglio del re, un organo consultivo radunato dal re e dalla composizione variabile. Le funzioni della corte furono assegnate all’Hotel del re che comprendeva tutti i suoi ufficiali, tra loro spicca il cancelliere esperto nella scrittura degli atti firmati dal re. La registrazione dell’attività contabile fu svolta dalla Camera dei conti presieduta da un chierico e da un laico. Il Parlamento aveva compiti giudiziari. In Inghilterra assunsero più importanza i tribunali regi e lo Scacchiere che controllava la contabilità degli uffici locali. - Impiantò diversi ufficiali che rappresentavano il re nei territori. In Francia i balivi erano responsabili di territori ampi che comprendevano diversi prevosti a capo di territori minori. Nella Francia meridionale il compito dei balivi era svolto dai siniscalchi. Questi grandi ufficiali rappresentavano il re nei territori e riscuotevano le tasse. Rappresentare il re non era solo formale, erano sostenitori attivi della monarchia a discapito dei potenti locali che videro il loro potere messo in pericolo e furono sempre meno protetti dal re. - Permetteva la promozione del ceto intermedio urbano: la burocrazia pubblica divenne uno dei maggiori canali di ascesa. La necessità di reclutare in breve tempo migliaia di funzionari promosse gli esponenti più dinamici dei ceti urbani e università e scuole locali accelerarono questo processo. Fiscalità: I re avevano continuo bisogno di entrate. Nel 200 non esisteva un sistema di prelievo fiscale, i re sfruttavano le tasse sui vassalli. Il 300 cambiò le cose: il continuo stato di guerra e il sistema fiscale diventano il motore principale delle trasformazioni politiche dei regni. La fiscalità pubblica del basso medioevo aveva assunto due forme: una diretta e indiretta. - Indiretta: composta dalle impose sui beni di consumo, i dazi doganali sulle merci importate e esportate e le gabelle sui beni di prima necessità. Ricadevano sui consumatori in maniera indistinta e i redditi più bassi erano i più colpiti. La gran parte dei sistemi finanziari dei regni europei si basava su questo tipo di imposte. - Diretta: sui beni dei singoli individui o sui nuclei familiari. Erano una sorta di tassa straordinaria. Una volta deciso l’ammontare complessivo, la cifra veniva divisa per tutti gli individui in base ad un principio proporzionale, ossia in base alla ricchezza dei singoli. La divisione era delegata ai consigli cittadini e veniva favorita dai catasti, ossia l’elenco dei beni dei cittadini. L’impostazione fiscale oltre ad essere una questione economica era soprattutto politica. Due erano le questioni: in base a quale potere il re poteva imporre una tassa ed esigere dai sudditi il pagamento e quando era necessario il consenso dei sudditi alle richieste del re. Entrambe le domande toccavano la natura del potere regio. Imporre una tassa senza consenso implicava un potere di fatto assoluto, accettare il consenso significa che il potere del re anche se superiore era sempre limitato. Secondo le teorie assolutistiche francesi, il re era giustificato a prelevare le tasse senza il consenso del popolo, se era fatto per il profitto comune del regno. 3.3 Assemblee e parlamenti: la società locale nei sistemi monarchici Le frequenti guerre e dunque l’enorme necessità di denaro portava i regnanti a chiedere sempre più l’aiuto delle comunità. Si stabilisce così lo schema guerre-tasse-assemblee, le quali erano le rappresentanti dei diversi corpi del paese. - Inghilterra: Il Parlamento era diviso in una camera bassa dei comuni e una alta dei Lords - Francia: gli Stati generali erano composti da 3 ordini: Chiesa, nobiltà e borghesia. Stati provinciali invece discutevano di problemi locali da sottoporre al re o eleggevano i rappresentanti della regione per gli Stati generali. - Spagna: le Cortes in Castiglia escludevano i nobili e comprendevano le città. In Aragona le Cortes controllavano l’operato del re - Impero: le Diete avevano grande autonomia e composte dai 3 ordini (Chiesa, Nobiltà e borghesia). Potevano anche deporre l’imperatore ed eleggere nuovo regnante.
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