Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Storia moderna, Aurelio Musi, Appunti di Storia Moderna

Riassunto del manuale di Aurelio Musi + appunti presi a lezione. Il file è completo per l'esame di storia moderna con il prof Tinè. Anno 2022/2023

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 21/01/2024

maria-tomagra-1
maria-tomagra-1 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Storia moderna, Aurelio Musi e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! STORIA MODERNA – ORALE I LIMITI DELL’ETÀ MODERNA Quando gli storici utilizzano il termine età moderna, si riferiscono a un periodo che si estende per circa quattro secoli, dal Cinquecento all’Ottocento. Lo storico francese Le Goff si interroga sull’utilità e sulla legittimità delle periodizzazioni soffermandosi sulla frattura fra Medioevo e Rinascimento dalla quale convenzionalmente si fa cominciare l’età moderna  la parola periodizzazione indica una suddivisione del processo storico in epoche che si ritiene di poter distinguere per le loro caratteristiche, sulla base di una concezione generale della storia o rispetto alle trasformazioni che hanno prodotto in un ambito specifico. Nessuna periodizzazione è mai neutra, ognuna predispone sempre un’interpretazione, un punto di vista particolare che coglie alcuni aspetti dello svolgimento storico ma ne trascura altri. Il concetto di moderno Bisogna considerare anche che lo stesso concetto di moderno ha subito una trasformazione, il che rende più complicati i riferimenti a quella categoria.  Il termine modernus comparve fra fine del V e inizio del VI secolo come derivazione del verbo modo, che significa “recentemente, or ora”. Quando comparve erano passati pochi decenni dal 476 d.C. (caduta dell’Impero Romano d’occidente) e si era fatta strada la consapevolezza che il mondo antico era tramontato e nasceva l’esigenza di un termine per indicare l’attualità.  Nella concezione cristiana poteva esserci un solo momento periodizzante, ossia la nascita di Cristo e da questa parte ancora oggi nella maggior parte dei paesi occidentali la misurazione del tempo.  Furono gli umanisti che nel XV secolo manifestarono la convinzione della nascita di una nuova età, con la ripresa dei modelli dell’antichità (greco-romani), dopo un’età di mezzo che ne aveva deformato i valori. Nasce così la divisione tra storia antica, storia medievale e storia moderna. Il programma dell’umanesimo presupponeva un’idea di progresso ciclico, come rinascita della grandezza dell’epoca antica. Quindi il termine moderno aveva una connotazione positiva. “antico” ha ancora una connotazione positiva, a differenza di “vecchio”. Va sottolineata anche la differenza tra “moderno” e “nuovo”, quest’ultimo identifica un qualcosa che prima non c’era, di appena nato.  Un ulteriore passo si fece nella disputa avvenuta tra fine Seicento e inizio Settecento tra antichi e moderni; il dibattito sancì l’affermazione della superiorità dei moderni. Nello stesso periodo si pongono le basi per una separazione definitiva tra storia sacra e storia profana. Era la premessa per l’affermazione dell’idea di progresso che dall’illuminismo assume un carattere lineare: fiducia nell’avanzamento illimitato della civiltà. In questa prospettiva il termine moderno assumeva una connotazione positiva in virtù del fatto che esso incarnava il nuovo rispetto al passato. Periodizzazione e quadro generale L’inizio della storia moderna viene fatto risalire convenzionalmente al 1492, anno della scoperta dell’America. Però più che a una data specifica il punto di partenza dell’età moderna (terminus a quo) deve essere ricondotto a un periodo a metà tra Quattrocento e i primi del Cinquecento. Il problema del punto di arrivo (terminus ad quem) si è posto quando dal tronco della storia moderna si è staccata la storia contemporanea e al di là delle varie posizioni il passaggio dalla storia moderna a quella contemporanea può essere posto fra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento. Nel periodo dal Cinquecento al Settecento maturano tutta una serie di processi che portano ad eventi fondamentali come la guerra di indipendenza americana, la rivoluzione francese e la prima rivoluzione industriale. Questi eventi rappresentano una sorta di cesura, in quanto imprimono una forte accelerazione alle questioni politiche e sociali: così, quando entriamo nell’Ottocento tutti questi processi avviati nel corso dei tre secoli precedenti conoscono ora un salto di qualità e un loro giungere a piena maturazione. Quali sono le questioni che caratterizzano l’avvio dell’età moderna e che dunque portano la società europea in una fase nuova rispetto all’età medievale? Possiamo individuarne quattro in particolare. 1) In primo luogo: una nuova concezione dell’individuo e del suo ruolo nella società. Il mondo medievale è infatti un mondo sostanzialmente statico, in cui tutto sembra rispondere a un ordine già dato e dunque immutabile. A partire dal Rinascimento, nel Cinquecento, si afferma invece l’idea che il singolo individuo sia al centro del mondo, nel senso che può cambiare il mondo intorno a sé. Questa impostazione porta a due conseguenze che hanno dunque la stessa radice: Da un lato viene messo in discussione l’ordine sociale medievale, fondato su due presupposti: il primato della nobiltà; il primato della comunità rispetto al singolo. Rispetto a questa concezione, comincia invece ad emergere con sempre più forza la classe sociale della borghesia, che ha come valori fondanti: il merito – che scalza l’idea di un ordine immutabile dato dall’eredità di sangue -; l’individualismo e dunque del primato del singolo rispetto alla comunità. In altri termini, l’idea che l’individuo possiede dei diritti naturali che nessuno gli può negare. Dall’altro lato vediamo invece l’emergere di una mentalità scientifica che porta nel Seicento alla cosiddetta rivoluzione scientifica, ovvero una profonda rottura culturale caratterizzata dall’idea che la natura vada studiata nei suoi dati oggettivi, misurabili – appunto scientifici – e che grazie a questo studio la natura sia modificabile, non più dunque immutabile. Questi due processi convoglieranno nel Settecento nello sviluppo dell’Illuminismo, ovvero in un filone culturale secondo il quale l’uomo, tramite la ragione, può assicurarsi sia un progresso scientifico che sociale. 2) Secondo grande tema è quello della fine dell’unità del cristianesimo cattolico. Uno dei perni del mondo medievale era infatti l’unità del mondo cattolico e dunque della Chiesa romana. A partire invece dalla riforma luterana che inizia nel 1517, si avvia un processo di riforme protestanti che portano alla divisione del cristianesimo europeo in una serie di chiese differenti. In una prima fase questa rottura produce aspri conflitti religiosi e una diffusa intolleranza. Questa intransigenza si comincia a superare poi dalla seconda metà del Seicento, quando si comprende l’impossibilità di tornare alla piena unità cattolica e si comincia dunque a diffondere il concetto di tolleranza. 3) Terza questione è la nascita dello stato moderno. Nel medioevo non esiste uno stato centralizzato, ma esistono tante istituzioni feudali che producono tante forme di autorità alternative anche dentro allo stesso regno. Dal Cinquecento inizia invece un processo che porterà appunto al cosiddetto stato moderno, ovvero uno stato in cui esiste un solo soggetto politico che esercita la sua sovranità sulla popolazione. Questo processo è molto lungo e si caratterizza dal tentativo dei monarchi di sopprimere i poteri autonomi, tanto che il modello la possibilità di imporre la signoria portoghese sui territori africani con il semplice atto della scoperta e dell’occupazione. Spagna L’espansione spagnola prima di Colombo diede luogo all’occupazione delle isole Canarie. Essa fu il tramite che collegò la Reconquista (guerra contro i mori nella penisola iberica) all’espansione castigliana e aragonese verso la conquista dell’America, le Canarie furono la base di partenza dei 4 viaggi di Colombo. Trattato di Alcasovas 1479  tra Portogallo e Spagna, segna la prima tappa della spartizione del globo tra questi due stati. Il principio che giustificava l’occupazione dei territori era la fede, la guerra contro gli infedeli. L’impresa delle Indie di Cristoforo Colombo In questi stessi anni chiese udienza al sovrano portoghese Cristoforo Colombo nella speranza di ottenere un finanziamento per l’impresa che aveva concepito. Colombo aveva una notevole esperienza marinara, stabilitosi a Lisbona si appassionò all’idea di sfruttare la forma sferica della Terra per raggiungere le indie orientali partendo dalle coste atlantiche dell’Europa (raggiungere l’Oriente navigando verso Occidente). Questa idea era stata avallata fin dal 1474 dall’umanista fiorentino Paolo Toscanelli; tuttavia, se l’idea era giusta vi erano dei presupposti errati – la Terra è molto più grande rispetto a quella immaginata da Colombo – e una previsione mancata – la presenza del continente americano. Colombo fu ricevuto da Giovanni II che però decise di non finanziare il suo progetto. Trovò invece un clima un po’ più favorevole (nonostante il primo tentativo fu vano) nella Spagna dei re cattolici impegnati nell’assalto finale al regno di Granada. È il 17 aprile 1492 che viene firmata la capitolazione di Santa Fè che concede a Colombo il titolo di ammiraglio e governatore delle terre eventualmente scoperte. La sua prima spedizione parte il 3 agosto 1492 e viene effettuata con due caravelle, la Nina e la Pinta, e una caracca, la Santa Maria. Dopo una tormentatissima navigazione e con l’equipaggio decimato, Colombo il 12 ottobre crede di aver raggiunto la Cina o il Giappone, in realtà arrivò a San Salvador, nelle Bahamas. Tornato in Spagna Colombo ricevette un’accoglienza trionfale tanto da essere spinto a intraprendere altri tre viaggi: - nel 1493 scoprì nuove isole, la corona aveva aspettative enormi tanto da mandarlo insieme a 1500 uomini e 17 navi. Erano tutti uomini che speravano di arricchirsi in modo rapido, cambiare il proprio status sociale. - nel 1498 arrivò finalmente nell’America Meridionale. Scambiò questi territori per le isole del Giappone e rimase convinto di trovarsi nelle Indie. Nelle terre scoperte si potevano ricavare solo schiavi e non le ricchezze che si sperava di trovare. Nel frattempo, la gestione della conquista iniziava a farsi sempre più difficile in quanto Santo Domingo, la base più importante nel Nuovo Mondo era in ebollizione tra violenze, disordini ed epidemie. Colombo venne accusato di corruzione e rimandato in Spagna in catene. - Grazie all’intervento della regina Isabella di Castiglia Colombo poté partire per la sua ultima spedizione nel 1502, nella quale raggiunse l’America centrale. Già dopo la prima spedizione di Colombo si posero due problemi: la legittimazione della conquista e l’esigenza di rinegoziare il trattato di Alcasovas. I sovrani Ferdinando e Isabella ottennero attraverso la mediazione di papa Alessandro VI la stipula del trattato di Tordesillas nel 1494 con il Portogallo  questo prevedeva una vera e propria spartizione dei territori attraverso la creazione di una linea immaginaria corrispondente al 46° parallelo: i territori a est sarebbero spettati al Portogallo, quelli a ovest alla Spagna. Il Brasile in questo modo era nell’orbita portoghese. Gli altri stati europei La legittimità delle bolle papali e del trattato ispano-portoghese fu contestata degli Stati che ne erano stati esclusi e che furono spinti dall’impresa di Colombo a promuovere viaggi di esplorazione. Nel 1497 l’italiano Giovanni Caboto, al servizio del re d’Inghilterra, tentò di raggiungere le Indie attraverso una rotta più settentrionale, raggiunse le coste dell’America del Nord convinto anch’egli di essere giunto in Asia, e rivendicò quelle terre alla sovranità della corona inglese. L’anno seguente partì per un secondo viaggio da quale probabilmente non tornò. Anche il re di Francia Francesco I si interessò ai viaggi di esplorazione e finanziò la spedizione di Giovanni da Verrazzano che raggiunse nel 1524 la costa dell’America settentrionale. Il mondo nuovo Nel 1499-1500 e nel 1501-1502 Amerigo Vespucci prese parte a due spedizioni, una organizzata dalla Spagna e una dal Portogallo, che esplorarono le coste atlantiche dell’America meridionale e comprese che era un nuovo continente. La lettera divulgata a suo nome nel 1503 rese esplicita questa intuizione, che fu raccolta da Waldseemuller, il quale in una carta stampata nel 1507 pose alle nuove terre il nome di Americhe. Il Portogallo dopo il trattato di Tordesillas Il Portogallo a seguito del trattato può concentrarsi sui suoi obiettivi riguardanti la via delle Indie orientali e la progressiva scoperta e conquista del Brasile. Per quanto riguarda le Indie nel 1497 Vasco da Gama ripercorse il viaggio di Bartolomeu Dias, doppiò il capo di buona speranza e compì la prima circumnavigazione dell’Africa arrivando a Calicut, in India, e ritornando con un enorme carico di spezie, in tal modo il Portogallo poteva contrastare il predominio veneziano sul mercato. Un altro importante viaggio fu quello compiuto da Ferdinando Magellano tra il 1519 e il 1522, grazie al quale si confermò la sfericità della terra poiché egli partendo dalla penisola iberica riuscì a circumnavigare il globo terrestre arrivando nelle Filippine, dove però morì a seguito di alcuni scontri con le popolazioni locali. Con il viaggio di Magellano l’era delle grandi esplorazioni era di fatto conclusa. Cominciò allora l’epoca della conquista e della colonizzazione delle terre che erano state scoperte. Il Portogallo si concentrò sul Brasile e questo suo interesse portò allo spostamento del centro di gravità dell’impero portoghese verso occidente, verso l’economia derivata dalle piantagioni di zucchero e della sua commercializzazione attraverso il porto di Lisbona. La Spagna dopo il trattato di Tordesillas e la Conquista Le terre scoperte chiaramente non furono sempre terre disabitate, tra le più note civiltà precolombiane troviamo sicuramente quelle dei Maya, Aztechi e Incas. Nella penisola dello Yucatan gli spagnoli trovarono la civiltà maya, civiltà molto antica ma anche evoluta con importanti conoscenze matematiche e una solida organizzazione sociale. Per quanto riguarda gli Aztechi essi erano collocati sull’altopiano del Messico, anche loro avevano un’organizzazione statale simile a quella dei Maya, all’arrivo degli spagnoli essi erano sotto il regno di Montezuma II. Gli Incas, infine, controllavano un impero molto vasto che occupava la costa atlantica del sud America. Iniziò fra il 1519 e il 1550 l’epopea dei conquistadores, degli avventurieri senza scrupoli che distrussero queste civiltà precolombiane. Il primo fu Hernan Cortés: egli ricevette dal governatore di Cuba l’incarico di verificare la veridicità delle voci sull’impero azteco e nel febbraio 1519 partì dall’isola. I conquistadores avevano quasi un potere assoluto essendo molto lontani dal controllo della madre patria, tanto che Cortés riuscì con un inganno ad imprigionare l’imperatore azteco e a trarre molti vantaggi personali arrivando ad ottenere il controllo della capitale azteca Tenochtitlan nel 1521. Negli anni seguenti tutti i territori dell’impero furono sottomessi. Straordinaria fu anche la caduta dell’impero Inca per mano dello spagnolo Francisco Pizarro che nel 1533 prese la capitale Cuzco e fece strangolare l’imperatore. L’impero spagnolo Fino alla metà del XVI secolo una schiera di conquistadores, partiti alla ricerca del mitico el Dorado, assoggettò alla corona spagnola un vasto territorio. Formalmente non si trattava di una colonia, ma di un regno. Il sovrano era affiancato a partire da un Consiglio delle Indie e il regno dipendeva amministrativamente dalla corona di Castiglia. Alle dipendenze del Consiglio fu posta la Casa de contractacion di Siviglia che dal 1503 controllava i flussi di merci e persone fra la madrepatria e il nuovo mondo. La struttura amministrativa fu ricalcata sulle istituzioni spagnole: furono creati i vicereami della Nuova Spagna e del Perù. L’amministrazione della giustizia fu affidata alle audiencias. La colonizzazione si realizzò attraverso la fondazione di città, strumenti di controllo modellate sullo stile della madrepatria. L’altra istituzione fondamentale dell’America spagnola fu l’encomienda, che esportò al di là dell’Atlantico un modello di derivazione feudale. Per indurre la nobiltà spagnola a impegnarsi nella guerra contro i mori i sovrani permettevano loro lo sfruttamento dei territori che avrebbero occupato. In America le terre e i popoli conquistati erano proprietà della corona, ma il re li concedeva in usufrutto a un encomendero il quale poteva esigere dagli indios dei servizi personali, prestazioni di lavoro o tributi; in cambio era tenuto a proteggerli e a istruirli al cattolicesimo. Alla morte del titolare si aveva la trasmissione dell’encomienda ai suoi eredi, ma rimase il principio della proprietà della corona. I diritti delle popolazioni sottomesse Furono pochi coloro che si mossero contro le violenze sulle popolazioni indigene, tra questi ricordiamo il frate domenicano Bartolomé de Las Casas, il quale grazie alla sua opera “la storia generale delle Indie” ottenne da Carlo V la promulgazione di nuove leggi che proibivano la riduzione degli Indios in schiavitù e l’abolizione delle encomiendas. Milano alla Francia. Questa pace porta ad un breve periodo di equilibrio perché il crescente potere di Carlo V in realtà rimette in gioco tutti gli equilibri europei. L’impero di Carlo V Grazie alla politica matrimoniale di Massimiliano d’Asburgo, Carlo V si ritrova ereditario di un impero su cui non tramontava mai il sole. Massimiliano d’Asburgo (Germania) era sposato con Maria di Borgogna (un territorio tra Francia e Germania). Loro figlio Filippo (arciduca d’Austria) aveva sposato Giovanna La Pazza (la figlia di Ferdinando e Isabella). Carlo V, figlio di Filippo e Giovanna, con la nomina nel 1519 di imperatore ad Aquisgrana realizza il sogno del nonno Massimiliano di creare un impero universale. La Francia si sente pertanto minacciata dal nuovo imperatore, iniziano allora una serie di lotte che si protrarranno dal 1521 al 1559, anno della pace di Cateau-Cambresis. Possiamo delineare questo conflitto in 3 fasi fondamentali: 1) 1521-1529  caratterizzato dalla lotta per il controllo di Milano. In questa fase gli stati italiani si schierano a favore della Francia di Francesco I formando la Lega di Cognac nel 1526 alla quale partecipa anche il pontefice Clemente VII. La partecipazione del papa rappresenta un duro colpo per Carlo V poiché il suo vasto impero aveva una forte connotazione cattolica, per questo motivo nel 1527 egli invia a Roma un esercito di mercenari luterani, i lanzichenecchi. Questa prima fase si conclude con le paci di Barcellona e di Cambrai nel 1529 che segnano la vittoria di Carlo V. 2) 1535-1538  in questa fase la Francia si allea con i più potenti nemici della Spagna: i turchi di Solimano I e i principi luterani tedeschi (Lega di Smalcalda). Carlo V si trova a dover partecipare ad un triplo conflitto: quello con la Francia, quello portato avanti dalla Riforma Protestante e la minaccia dei Turchi che si muovono verso l’Austria. Le ostilità in questa fase si chiudono con la Pace di Nizza del 1538 in base alla quale Milano va alla Spagna e la Francia ottiene il Ducato di Savoia. 3) 1538-1559  adesso il conflitto si estende in tutta Europa: il successore al trono francese Enrico II continua le strategie politiche del padre, l’imperatore Carlo V è costretto ad accettare la pace di Augusta del 1555 che sancisce il principio “cuius regio cuius religio” secondo cui i sudditi erano obbligati a seguire la confessione religiosa del proprio sovrano; attraverso questa pace si sancisce ufficialmente la divisione di fatto della Germania tra luterani e cattolici. L’anno dopo la firma di questa pace Carlo V abdica lasciando al fratello Ferdinando I il controllo dell’area tedesca soggetta al pericolo turco e all’avanzamento della riforma protestante e al figlio Filippo II il controllo dei territori cattolici. Sarà Filippo II poi a firmare la pace di Cateau-Cambresis sancendo definitivamente la sconfitta della Francia in Italia, concedendo alla Spagna il controllo dei possedimenti italiani. LA RIFORMA PROTESTANTE Premesse Quello della riforma protestante fu un vero e proprio movimento europeo che arrivò a coinvolgere anche quei paesi con una forte e consolidata tradizione cattolica come la Francia, la Spagna e l’Italia. Le cause che scatenarono questo evento sono sicuramente legate alla corruzione del clero, in particolar modo alla dottrina della vendita delle indulgenze portata avanti da papa Leone X che garantiva allo Stato della Chiesa l’accumulazione di denaro e ricchezze e veniva utilizzata in modo opportunistico dai vari membri del clero, generando anche un senso di confusione teologica. Per risolvere tale confusione si chiedeva un vero e proprio ritorno alle fonti, coerentemente anche alla cultura umanista del periodo, in modo da portare avanti anche una riforma morale con una dottrina che fosse chiara e certa. Il successo che ebbe la riforma si deve anche ad un intreccio tra religione e politica: i vari capi di stato avevano un forte interesse a secolarizzare i beni ecclesiastici. Martin Lutero Papa Leone X promosse una forte campagna di vendita delle indulgenze in Germania in accordo con Alberto di Hohenzollern, il quale ambiva a ottenere l’arcivescovato di Magonza: il ricavato secondo i patti doveva essere utilizzato per finanziare la costruzione di San Pietro a Roma. Lutero probabilmente non conosceva i termini di questa operazione finanziaria, ma, quando vide la spregiudicatezza con la quale i predicatori cercavano di convincere la popolazione ad acquistare le indulgenze, prese posizione con la redazione in latino di 95 tesi che affisse alla porta della cattedrale di Wittenberg alla vigilia di Ognissanti nel 1517. I predicatori promettevano ai fedeli non solo la remissione delle pene ma anche il perdono dei peccati. In realtà la denuncia di questi abusi era condivisa da molti, ma la presa di posizione di Lutero aveva radici più profonde: egli condannava le indulgenze perché creavano nel cristiano un atteggiamento sbagliato, lo incitavano a intraprendere una scorciatoia per sfuggire alle sue colpe. Le tesi di Lutero non erano rivolte solo alla pratica delle indulgenze, ma criticavano tutti gli aspetti dottrinali e la moralità della chiesa stessa. Queste idee hanno un successo sorprendente, vengono appoggiate da molti teologi e diffuse rapidamente in tutta la Germania anche grazie all’avvento della stampa. Gli aspetti messi in discussione da Lutero sono: - L’affermazione del sacerdozio universale  egli sostiene invece che ciascun credente debba avere un rapporto diretto con le sacre scritture, senza la necessità di mediazione della Chiesa, per questo motivo sprona anche la traduzione della Bibbia dal latino al tedesco; - Le opere buone ai fini della salvezza individuale  secondo Lutero la salvezza dell’anima non dipende dalle opere buone ma esclusivamente dall’intervento di Dio che ne fa dono all’uomo, il quale è assolutamente passivo: è la grazia divina che lo rende giusto e lo chiama alla vita eterna. - I sacramenti  Lutero ammette solo il battesimo e l’eucarestia perché sono gli unici due sacramenti presenti nelle Sacre Scritture. La posizione di Lutero viene poi appoggiata anche dai diversi sovrani europei impegnati nella costruzione dei regni nazionali, essi trovano infatti nel luteranesimo uno strumento teologico per sostenere le proprie rivendicazioni autonomistiche (in particolar modo ricordiamo i principi tedeschi che si uniscono nella Lega di Smalcalda che poi porterà Carlo V ad accettare la pace di Augusta). La situazione in Germania dopo l’elezione di Carlo V era esplosiva; egli inizialmente cercò di mantenere un’unione religiosa convocando Lutero nel 1521 alla dieta di Worms, il quale però ribadì le proprie idee riformiste e per questo venne messo al bando, trovò protezione presso Federico di Sassonia, il quale lo condusse al castello di Wartburg dove rimase nascosto per circa un anno e si impegnò nella traduzione della Bibbia in tedesco. Sconvolgimenti in Germania La nuova dottrina proposta da Lutero fece esplodere importanti tensioni nella società tedesca, in particolar modo i cavalieri e i contadini cominciarono a ribellarsi: Per i cavalieri era giunto il momento di mettere le mani sulle proprietà ecclesiastiche, nel 1522 uno di loro, Franz von Sickingen, tentò di conquistare di sorpresa il principato ecclesiastico di Treviri ma fu sconfitto dai principi di vicini. Più importanti furono gli sconvolgimenti provocati dalla guerra dei contadini fra il 1524 e il 1525  essi subivano ancora i resti delle gravi crisi del ‘300, il loro lavoro era sempre più sfruttato dai signori feudali, il livello demografico cresceva insieme ad una richiesta di generi alimentari e i bisogni erano stroncati dall’aumento del prezzo del grano. Thomas Muntzer, un discepolo di Lutero, elabora 12 articoli in cui collega la riforma protestante a un rinnovamento sociale che prevede l’uguaglianza e l’abolizione della proprietà privata. Tuttavia, anche questa rivolta venne sedata e lo stesso Thomas fu ucciso. La polemica con Erasmo Nel 1524 Erasmo attacca Lutero nella sua opera De libero arbitrio, Lutero l’anno successivo risponde con un’altra opera, De servo arbitrio. Erasmo attaccò Lutero nel punto in cui l’umanesimo e la riforma differivano di più: la concezione dell’uomo - Erasmo riteneva che ci fosse un equilibrio tra le grazie di Dio e la volontà umana, all’uomo è concessa la libertà di scegliere il bene e rifiutare il male; - Lutero invece ripropone la sua idea di salvezza attraverso la fede e l’assoluta impotenza della volontà umana. Per lui vi era un’assoluta distanza tra Dio e l’uomo in quanto quest’ultimo era condizionato e dipendente da Dio. Per Erasmo inoltre era importante non staccarsi dalla chiesa di Roma, egli promuoveva una riforma interna alle istituzioni ecclesiastiche. La riforma in Svizzera: Zwigli e Calvino Le idee di Lutero arrivarono anche in Svizzera grazie a Zwigli che operò a Zurigo e Calvino a Ginevra. Zwigli si immette nella corrente della Riforma luterana concentrandosi sull’antitesi tra carne e spirito, in particolar modo egli arrivò a criticare l’eucarestia e la transustanziazione, ovvero la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Egli parlava infatti di consustanziazione, ritenendo l’eucarestia un rito simbolico. Da Zurigo, la Riforma di Zwigli si diffuse in molte città della Svizzera e comportò un conflitto tra i cantoni protestanti e quelli rimasti cattolici, questi ultimi ebbero la meglio nella battaglia di Kappel nel 1531 e con la morte di Zwigli la Riforma protestante della Svizzera tedesca si arrestò. L’opera di Calvino, invece, vede anche un coinvolgimento della dimensione economica insieme a quella religiosa. Il suo pensiero è incentrato sul principio dell’onnipotenza di Dio, ciò lo porta alla formulazione della teoria della predestinazione secondo la quale Dio crea solo pochi preordinati alla salvezza mentre destina la maggior parte dell’umanità alla perdizione eterna. L’elezione è allora un atto di misericordia, per il quale i prescelti non possono vantare alcun merito. Un aspetto importante del calvinismo è il fatto che questo crea una vera e propria etica anche nel mondo del lavoro  il confronto tra le due fazioni era impossibile poiché i luterani rifiutavano di partecipare ad un concilio in cui il papa aveva la pretesa di determinarne i risultati. Ad aprire il concilio fu papa Paolo III Farnese, esponente di quella fazione religiosa intransigente nei confronti dei protestanti, considerandoli eretici. Il concilio viene aperto il 13 dicembre 1545 e si concluderà dopo 18 anni, il 4 dicembre 1563. Questo può essere distinto in tre fasi: 1) 1545-1548  fase in cui i padri conciliali riconfermano la validità delle dottrine elaborate dalla chiesa cattolica, riconfermando la tradizione ecclesiastica. In particolar modo viene data importanza al principio secondo cui la salvezza dell’anima è ottenuta attraverso il buon operato del cristiano, non solo attraverso la grazia divina. Non si accetta inoltre la riduzione proposta da Lutero dei sacramenti da 7 a 2. 2) 1551-1552  il Concilio venne riaperto da papa Giulio III del Monte, ma venne sospeso a causa della ripresa del conflitto franco-asburgico tra Carlo V e Francesco I. Dal punto di vista dottrinale venne comunque riaffermata la dottrina della transustanziazione. 3) 1555-1563  l’ultima fase del concilio fu guidata da papa Paolo IV, il quale diede alla politica del papato un orientamento antispagnolo; egli era favorevole a una dura repressione dell’eresia, per questo proseguì una politica di accentramento e di rafforzamento del primato del papa, fondato sulla centralità del tribunale dell’Inquisizione. Paolo IV promulgò nel 1559 anche il primo Indice dei libri proibiti: ciò rappresentò una vera e propria rottura tra la chiesa e la cultura Rinascimentale, in questo indice vennero incluse le opere di Erasmo, Giordano Bruno o Galileo Galilei. Dalla crisi religiosa del Cinquecento la Chiesa di Roma uscì con una struttura verticistica e gerarchizzata, della quale il papa era il monarca assoluto. Al vertice della struttura furono istituite 15 congregazioni cardinalizie dipendenti direttamente dal papa, alcune dedicate all’amministrazione dello stato e altre alla direzione dell’azione missionaria per la conversione dei popoli non cristiani. Lo Stato della Chiesa si dotò di una macchina burocratica votata ad amministrare insieme i problemi temporali e spirituali, congiunti nella figura del pontefice, insieme sovrano di uno Stato e capo della cattolicità. Filippo II Quando Carlo V abdica nel 1556 lascia al figlio Filippo II il controllo della Spagna e di tutti i domini cattolici anche nel nuovo mondo. Per controllare un così vasto territorio egli sposta la capitale da Valladolid a Madrid, adesso centro politico del regno. Una caratteristica fondamentale di Filippo II è la sua alleanza con la chiesa cattolica, durante tutto il suo regno che va dal 1556 al 1598 egli si impegna nella difesa dell’ortodossia cattolica, avendo come obiettivo fare del cattolicesimo il centro della sua politica. È in questo periodo, infatti, che iniziano le forti persecuzioni contro gli ebrei (marranos) e contro i musulmani (moriscos) attraverso il crescente potere del tribunale dell’Inquisizione. Sul piano della politica estera egli aderisce alla Lega Santa del 1571 proposta da papa Pio V per fermare l’avanzata dei musulmani nel Mediterraneo, la quale avrà una grande vittoria nella celebre battaglia di Lepanto (1571). L’interesse di Filippo II riguardava l’economia spagnola sul Mediterraneo. La rivolta dei Paesi Bassi La lotta contro coloro che non aderiscono al cattolicesimo continua anche in altre realtà geografiche: nei Paesi Bassi si scatena una rivolta nel 1579, quando le province settentrionali (quelle economicamente floride e di religione protestante) rivendicano la propria autonomia dalla Spagna cattolica. Queste regioni sono appoggiate da Elisabetta I d’Inghilterra, la quale è impegnata nel sostegno dell’anglicanesimo. Nel 1581 a seguito della vittoria protestante viene proclamata la Repubblica delle sette Province Unite con a capo Guglielmo d’Orange, convertito al calvinismo. Situazione in Francia Alla morte di Enrico II nel 1559 iniziò l’indebolimento della monarchia a causa di una crisi dinastica in quanto i suoi tre figli, Francesco II, Carlo IX ed Enrico III, erano tutti di minore età, quindi affidati alla reggenza della madre Caterina de Medici. A ciò si aggiunse il problema della divisione religiosa: in Francia si erano formate comunità di calvinisti, chiamati ugonotti e al di là dell’effettiva sincerità di queste conversioni sicuramente la religione riformata fu per la nobiltà francese un’occasione per approfittare della debolezza della monarchia per riconquistare spazi di iniziativa politica e consolidare il proprio primato sociale. I protagonisti di questa fase politica sono la famiglia dei Guisa – cattolici – e la famiglia Borbone – protestanti ugonotti. A Enrico successe il figlio maggiore Francesco II sposato con Mary Stuart; in questo periodo il governo fu nelle mani del duca di Guisa. Alla morte di Francesco dopo solo un anno, salì al trono Carlo IX, il fratello di dieci anni, per cui il potere fu assunto da Caterina dei Medici. Caterina dovette destreggiarsi fra le varie fazioni della nobiltà, desiderosa di riprendersi il potere ai danni della corona e perseguì una politica di concordia religiosa. A tal fine concesse ai calvinisti il culto privato entro le mura urbane e quello pubblico fuori delle città (editto di San Germano 1562). Il provvedimento suscitò la reazione dei cattolici culminata nel massacro di Vassy (1marzo 1562), questo fu l’atto di inizio delle guerre di religione che durarono 36 anni che si svolsero in 8 fasi. Nella tormenta della guerra civile, Caterina cercò di barcamenarsi fra le fazioni in lotta in attesa della maggiore età del figlio che avrebbe rafforzato il potere della monarchia. Per bilanciare il forte potere dei Guisa fece delle concessioni agli ugonotti, venne anche concordato il matrimonio fra la sorella del re, Margherita, e il calvinista Enrico di Borbone, re di Navarra. Tuttavia, il potere ugonotto stava aumentando sempre più anche grazie all’influenza che Coligny aveva su Carlo IX spingendolo ad una politica estera antispagnola. Si sviluppò così la reazione dei Guisa: la situazione degenera quando il 24 agosto 1572, la notte di San Bartolomeo, più di 3000 ugonotti presenti a Parigi per le nozze vengono uccisi dai cattolici, probabilmente appoggiati da Caterina De Medici. A questo punto i 3 Enrichi, Enrico III di Valois, Enrico di Guisa e Enrico di Borbone, si scontrano per il trono francese. Nel 1588 Enrico di Guisa viene fatto assassinare da Enrico III in accordo con Enrico di Borbone; tuttavia, anch’egli venne successivamente assassinato da un frate dominicano. Prima di morire, però, indicò come successore Enrico di Borbone, a patto che egli si convertisse al cattolicesimo. Enrico di Borbone divenne re di Francia con il nome di Enrico IV e nel 1598 emana l’editto di Nantes  sancisce il principio della libertà di culto per gli ugonotti (evoluzione della pace di Augusta). Scontro tra Spagna ed Inghilterra Il sostegno dato da Elisabetta ai ribelli olandesi e agli ugonotti in Francia determinò una crescente tensione con Filippo II e lo scontro tra la Spagna cattolica e l’Inghilterra protestante è ormai inevitabile, soprattutto a causa del controllo del commercio nelle rotte atlantiche: per ordine della regina Elisabetta, i corsari inglesi (tra i quali ricordiamo Francis Drake o John Hawkins, i cosiddetti sea dogs) erano autorizzati ad assaltare le navi spagnole di ritorno dall’America. Nel 1587 Elisabetta decise di condannare a morte Mary Stuart. Fu questo un ulteriore motivo che indusse Filippo II a promuovere l’attacco decisivo contro l’Inghilterra al quale da tempo pensava. Il piano prevedeva che una flotta, la cosiddetta Invincibile Armata, prendesse il controllo del canale della Manica, per poi sbarcare in Inghilterra sotto la guida di Alessandro Farnese. Ma a causa di condizioni metereologiche avverse, nel 1588 la flotta fu dispersa e facilmente attaccata dalle navi inglesi, più piccole e veloci. Dopo questa sconfitta si assiste al declino dell’impero spagnolo a favore dell’ascesa inglese, ma anche ad uno spostamento decisivo di interesse verso l’area atlantica a discapito di quella mediterranea. Il declino della Spagna L’indipendenza delle Province unite, l’affermazione della monarchia di Enrico IV in Francia e il fallimento dei tentativi di sconfiggere l’Inghilterra resero evidente il mancato raggiungimento dei principali obbiettivi della politica estera di Filippo II. Grave era anche la situazione finanziaria, come dimostra l’ennesima bancarotta del 1596. Ma soprattutto pesavano negativamente le condizioni dell’economia. L’agricoltura non era in grado di assicurare il fabbisogno di cereali, che era necessario acquistare all’estero. L’industria tessile dei pannilani e della seta conobbe un irreversibile declino. Pesavano negativamente in tal senso l’imposizione fiscale e soprattutto il debito pubblico. Negli ultimi anni del suo regno una serie di carestie e pestilenze concorse a delineare un quadro molto negativo delle condizioni della Spagna. Quando Filippo II morì, nel settembre 1598, pochi mesi dopo aver firmato la pace di Vervins con Enrico IV, in molti ambienti castigliani appariva chiaro che la stagione della Spagna imperiale era tramontata e che occorreva cambiare rotta per preservare ciò che restava della grande potenza spagnola. IL SEICENTO: UN SECOLO DI TRANSIZIONE Un secolo di crisi? Nel secondo dopoguerra la storiografia ha considerato il Seicento come un’epoca segnata da una crisi generale, che avrebbe interessato tutta la società europea e si sarebbe manifestata in ogni ambito. Lo storico marxista inglese Eric Hobsbawn interpretò i problemi economico-sociali e politici che caratterizzarono il XVII secolo come le conseguenze del processo di transizione dal sistema feudale al modo di produzione capitalistico. Altri studiosi hanno posto l’accento sul conflitto fra le politiche di accentramento proseguite in modi diversi dalle monarchie, che comportarono un enorme aumento del carico fiscale sulla società, e le resistenze di poteri e gruppi sociali colpiti da queste tendenze assolutistiche. L’attenzione degli storici si è concentrata anche sull’addentrarsi di ribellioni e rivoluzioni intorno alla metà del secolo. Con il progredire delle ricerche l’idea stessa di una crisi generale della società europea è apparsa sempre più inadeguata: se crisi vi fu, differenti furono i tempi e i modi nei quali essa si è manifestata e le soluzioni che a essa si cercò di dare. Per quanto concerne la demografia e l’economia sicuramente nei primi due decenni del XVII secolo si esaurì la crescita che aveva caratterizzato il secolo precedente. Riguardo la demografia evidentemente i vuoti provocati da guerre, epidemie e carestie furono rapidamente colmati. In economia, dopo lo sviluppo del XVI secolo, vi fu a partire dagli anni Venti del Seicento e fino alla metà del secolo una recessione generale. Gli effetti di questa crisi furono diversi nelle varie parti del continente. Da uno sguardo complessivo all’andamento demografico ed economico del continente si nota una tendenza che sarebbe proseguita nel secolo seguente: la marginalizzazione dell’area mediterranea e un parallelo spostamento dei traffici e dello sviluppo verso l’Europa atlantica. Nel complesso si può dire che il Seicento fu una fase di transizione, nella quale maturarono cambiamenti nelle condizioni economiche, politiche e culturali-sociali, in un quadro d’insieme ricco di contraddizioni. l’unità religiosa. Le forze cattoliche erano animate dalla volontà di riconquistare gli spazi perduti. Furono queste le premesse della guerra dei Trent’anni, un conflitto dalle molteplici caratteristiche: 1- Si scontrarono due civiltà e due credi religiosi: la Boemia, appoggiata dagli stati germanici (protestanti) e dall’altro gli stati germanici della lega cattolica e gli Asburgo d’Austria, tentati a eliminare l’eresia protestante e a uniformare trono e altare. 2- La guerra dei 30 anni rappresenta uno dei primi modelli di guerra che, partita da un conflitto su scala locale, produsse un mutamento degli equilibri sull’intero continente europeo. 3- Troviamo anche l’emergere di nuovi protagonisti sulla scena europea, le potenze del Nord (Danimarca e Svezia). Lo scontro inizia con il passaggio sul trono di Boemia di Ferdinando d’Asburgo nel 1617, il quale mette in atto una politica di restaurazione cattolica in un regno radicalmente protestante. Come conseguenza, gli Stati di Boemia si autoconvocarono per esprimere la loro protesta, ma i loro rappresentanti non furono ricevuti da Ferdinando a Vienna. Allora una loro delegazione invase il 23 maggio 1618 il castello di Praga e gettò dalla finestra due dei legati imperiali ed il segretario che però riuscirono a fuggire incolumi. La defenestrazione di Praga fu l’atto di inizio della guerra dei Trent’anni. È opportuno seguire la periodizzazione tradizionale e dividere la guerra in 4 fasi: 1) Fase boemo-palatina 1618-25 2) Fase danese 1625-29 3) Fase svedese 1630-35 4) Fase francese 1635-48 5) Molti storici riconoscono l'esistenza di un quinto periodo oltre ai quattro canonici: il "periodo italiano" (1628-1631), corrispondente alla guerra di successione di Mantova e del Monferrato. Iniziata come una guerra tra gli Stati protestanti e quelli cattolici, progressivamente si sviluppò in un conflitto più generale che coinvolse la maggior parte delle grandi potenze europee, perdendo sempre di più la connotazione religiosa e inquadrandosi meglio nella continuazione della rivalità franco-asburgica per l'egemonia sulla scena europea. Questa lunga guerra vedrà coinvolte le varie potenze europee: Gli Stati protestanti del nord, indignati per la violazione dei loro diritti acquisiti con la pace di Augusta, si unirono formando l'unione evangelica. L'impero contrastò immediatamente questa lega, percependola come un tentativo di ribellione, suscitando le reazioni negative di tutto il mondo protestante. La Svezia intervenne nel 1630, lanciando un'offensiva su larga scala nel continente. La Spagna, intenzionata a piegare i ribelli olandesi, intervenne con il pretesto di aiutare il suo alleato dinastico, l'Austria. Temendo l'accerchiamento da parte delle due grandi potenze degli Asburgo, la cattolica Francia entrò nella coalizione a fianco dei territori protestanti tedeschi per contrastare l'Austria. Il conflitto si concluderà con la pace di Vestfalia nel 1648: ciò rappresenta il fallimento dei sogni egemonici degli Asburgo sia in Europa che in Germania; si ha il riconoscimento delle monarchie nazionali e l’antico impero di Carlo V viene definitivamente smembrato (la divisione era già iniziata dopo l’abdicazione di Carlo V e la divisione del suo impero al figlio e al fratello). Sul piano religioso questa guerra rappresenta anche la fine del sogno controriformistico  con la pace di Vestfalia viene riconfermata la pace di Augusta e quindi il principio di tolleranza religiosa nei confronti dei calvinisti. Da un punto di vista politico si vede anche l’affermazione della potenza francese su quella spagnola: con la pace dei Pirenei nel 1659 la Francia consolida il proprio potere in Europa ottenendo il controllo dei Pirenei. LA PRIMA RIVOLUZIONE INGLESE L’avvento della dinastia Stuart Quando nel 1603 Elisabetta I morì senza eredi diretti, Giacomo, figlio della cugina cattolica Maria Stuart, divenne il nuovo re d’Inghilterra. Giacomo era già re di Scozia, prendendo adesso il potere come re d’Inghilterra e Signore d’Irlanda poté riunificare i tre troni inglesi, regnando su di essi fino alla sua morte nel 1625. L’eredità elisabettiana Sotto il regno di Elisabetta I l’Inghilterra aveva conosciuto una forte crescita demografica e economica. Durante il XVI secolo le enclosures avevano rotto l’economia di villaggio fondata sugli open fields e ampliato i pascoli a beneficio della manifattura laniera. Elisabetta aveva anche sostenuto la crescita della flotta e favorito lo sviluppo dei commerci attraverso compagnie privilegiate. Sul piano istituzionale, Elisabetta aveva mantenuto buoni rapporti con il Parlamento, ma lo aveva convocato di rado. Il Parlamento era formato da due camere: la Camera dei Lord e la Camera dei Comuni. Nel corso del Cinquecento i Comuni erano intervenuti più volte nei problemi politici e religiosi e avevano acquisito crescente rilievo rispetto alla Camera dei Lord. Sul piano religioso, durante il regno di Elisabetta la Chiesa anglicana aveva raggiunto un suo equilibrio, anche se precario. I 39 articoli approvati nel 1563 davano alla dottrina anglicana un’impronta protestante ma si ispiravano a un prudente sincretismo, che fondeva diversi aspetti della Riforma senza esprimere una precisa scelta confessionale  la liturgia era rimasta cattolica, e la struttura ecclesiastica era imperniata sui vescovi. Ciò che premeva a Elisabetta era l’unità religiosa: erano tollerate anche posizioni diversificate sul piano dottrinale a patto che si prestasse obbedienza alla sovrana, il capo della Chiesa. Nella seconda metà del Cinquecento si erano sviluppate correnti religiose che tendevano al superamento di questo compromesso e auspicavano a un’evoluzione della Chiesa anglicana verso una piena adesione del calvinismo: erano chiamati puritani. Il movimento puritano presentava al suo interno diverse posizioni dottrinali e politiche. Quanto ai cattolici, detti “papisti”, furono sempre visti con sospetto perché fedeli a un sovrano straniero, il papa, che aveva dichiarato illegittimo il regno di Elisabetta. La politica di Giacomo I Giacomo I Stuart avrebbe voluto creare una monarchia assoluta sul modello della monarchia del Re Sole. Per questo motivo egli innanzitutto sposò la religione anglicana, in quanto secondo questo orientamento il re era riconosciuto anche capo della Chiesa e ciò non faceva che rafforzare il suo potere sulla società inglese; in secondo luogo, egli cercò di diminuire o addirittura annullare il potere del Parlamento. Tali iniziative, però, attirarono le critiche dei - Cattolici, i quali speravano che il figlio di Maria Stuarda avrebbe finalmente appoggiato il loro culto; - Calvinisti puritani, che preferirono emigrare in quelli che poi sarebbero diventati gli Stati Uniti d’America; - Borghesi, ormai abituati a far valere le proprie idee in Parlamento. A ciò si aggiunse anche un senso di estraneità tra la corte, chiusa in sé stessa, e la società civile  sotto Giacomo I infatti non ci fu niente di simile al culto della Vergine Regina. L’unione di questa serie di elementi contribuì alla formazione di tendenze antimonarchiche; la prima manifestazione di questo malcontento fu la cosiddetta congiura delle polveri del 1605, un complotto progettato da un gruppo di cattolici inglesi. Il piano era quello di far esplodere la Camera dei Lord e di uccidere il re durante la cerimonia di apertura del Parlamento che si sarebbe tenuta il 5 novembre 1605. Il piano fu però svelato da una misteriosa lettera presentata al re e la notte del 4 novembre Guy Fawkes, uno degli ideatori, venne trovato in possesso di 36 barili di polvere da sparo, arrestato, torturato e giustiziato ferocemente. Carlo I e la rivoluzione Alla morte di Giacomo I nel 1625, il figlio Carlo I oltre alla corona ereditò dal padre l’impopolarità: egli impose immediatamente nuove tasse impopolari tra i sudditi e senza il consenso del parlamento e sposò la cattolica spagnola Enrichetta Maria  questo fu per i suoi sudditi una prova della sua arroganza e delle sue tendenze autocratiche. Il malcontento nei confronti del sovrano sfociò in una serie di tre guerre, conosciute come la guerra civile inglese. La prima fu la cosiddetta Bishop’s War: Carlo I aveva nominato William Laud, leader di un movimento che prevedeva più disciplina e più autorità per i vescovi, come arcivescovo di Canterbury. Laud cercò di far accettare al kirk scozzese la stessa organizzazione della chiesa anglicana e per questo motivo gli scozzesi insorsero contro l’Inghilterra nel 1638. Carlo aveva condotto una politica molto impulsiva, aveva già sciolto ben due parlamenti governando da solo per ben 10 anni, adesso però era costretto a convocarlo in quanto aveva bisogno di aiuto nel raccogliere fondi per la guerra contro la Scozia. Il Parlamento acconsentì a condizione che, una volta chiamato, il re non potesse più scioglierlo  questo fu l’inizio del cosiddetto Long Parliament, poiché il Parlamento rimase stabile dal 1640 al 1660. Il Parlamento a questo punto aveva come obiettivo quello di sbarrare la strada al tentativo assolutistico di Carlo. Intorno al 1641 inviò al re un elenco di rimostranze sui misfatti che il sovrano aveva compiuto dalla sua salita al trono; Carlo, irritato, decise di marciare con l’esercito verso il parlamento per arrestare coloro i quali erano considerati responsabili della missiva e accusati di tradimento. I parlamentari però erano già fuggiti, Carlo aveva perso il controllo del Parlamento e della City di Londra, lasciò la capitale e si rifugiò a Nottingham dove sollevò un esercito contro il Parlamento. Anche il paese si divise e si formarono due eserciti: i royalists che ottennero anche l’appoggio dei cattolici e della nobiltà e i parlamentarians sostenuti dalla middle class e dai protestanti. Iniziarono due guerre civili che furono devastanti per gli inglesi. Gli anglicani e la camera dei Lord sostennero il re, cavaliers; il parlamento aveva l’appoggio dei puritani e della città di Londra, roundheads. 1642- 1646: prima guerra civile  Carlo sperava nell’appoggio dei vari monarchi europei, ma nessuno sarebbe stato imminente, per questo decise di istituire un Parlamento alternativo ad Oxford. L’istituzione monarchica, il rapporto tra la chiesa anglicana e lo stato, durante il regno di Carlo II Stuart (1660-85) erano restaurati ma dovevano fare i conti con il ruolo esercitato dalla camera dei comuni. Fu grazie ad essa che dopo il 1660 non si ebbe una pura e semplice restaurazione dell’assolutismo monarchico. ASSOLUTISMO IN FRANCIA – LUIGI XIV Dopo la morte di Luigi XIII nel 1643, prende il potere il figlio Luigi XIV di soli 5 anni, essendo lui troppo piccolo il governo francese viene retto dalla madre Anna d’Austria e soprattutto dal primo ministro Giulio Mazzarino, il quale riprende la politica di Richelieu. Quest’ultimo aveva infatti posto le basi dell’assolutismo regio di Luigi XIV agendo in tre direzioni:  aveva abbattuto la potenza militare degli ugonotti, togliendo loro con la forza le piazzeforti e i privilegi militari concessi dall’Editto di Nantes; culmine di questa lotta fu la presa di La Rochelle, dopo un lungo assedio, nel 1628;  aveva imposto la supremazia dell’autorità reale, frenando le spinte centrifughe della grande nobiltà, e aveva esercitato un più stretto controllo sull’amministrazione provinciale grazie agli “intendenti”, commissari di nomina regia dotati di pieni poteri, inviati nelle varie parti del regno per riscuotere i tributi, amministrare la giustizia e mantenere l’ordine;  aveva aumentato la tassazione, per fare fronte alle spese crescenti richieste dalla costruzione della flotta e dalla partecipazione alla guerra dei Trent’anni, reprimendo duramente le sollevazioni antifiscali che ne erano derivate. Le Fronde 1648-1653 La politica di accentramento di Richelieu fu portata avanti dal suo successore, il cardinale Giulio Mazzarino (1602-61), ma le forti ostilità che essa aveva già provocato si ripresentarono in diversi ceti sociali, complice anche la giovane età di Luigi. Ne scaturì una stagione di instabilità e di lotte contro la monarchia che è passata alla storia con il nome di Fronda. A innescare queste contestazioni fu il Parlamento di Parigi, coadiuvato dalle altre corti sovrane della capitale (come la Camera dei conti, il Gran consiglio e la Corte degli aiuti), che costituivano il baluardo della nobiltà di toga. Nel maggio 1648 il Parlamento rifiutò di ratificare sette nuovi editti fiscali voluti da Mazzarino e si riunì insieme alle altre corti cittadine per deliberare alcune riforme fiscali e giudiziarie. Tra giugno e luglio furono così elaborati ventisette articoli che subordinavano l’approvazione di nuove tasse al veto parlamentare e pretendevano la revoca degli intendenti. In un primo momento, la reggente e il cardinale dovettero piegarsi alla volontà del Parlamento, ma alla fine di agosto, tentando di riguadagnare il terreno perduto, i due reali fecero arrestare alcuni capi del partito parlamentare. Per tutta risposta la popolazione e le milizie borghesi di Parigi insorsero ed eressero delle barricate, costringendo la corte ad abbandonare la città e a riparare a Saint-Germain. Dopo alcuni infruttuosi tentativi di mediazione, all’inizio del 1649 si giunse allo scontro armato. Parigi, favorevole al Parlamento, fu assediata duramente da gennaio a marzo e costretta a patire la fame e i rigori dell’inverno, finché agli inizi di aprile le forze parlamentari e la corona trovarono un accordo di compromesso. Fu però solo una tregua. La sollevazione della capitale mise in subbuglio anche le province e la debolezza della corona, alla quale sembrava possibile strappare delle concessioni, stimolò nuove rivendicazioni da parte dei nobili. Dalla fronda parlamentare (1648-1649) si passò così a quella aristocratica (1650-53), animata soprattutto dal principe di Condé, il quale aveva in precedenza sostenuto militarmente Mazzarino contro il Parlamento senza però ottenere i benefici sperati. Molti principi aderirono alla fronda e la Spagna, perennemente in guerra con la Francia, non fece mancare il proprio sostengo ai frondeurs. Nel marzo 1651, dopo alterne vicende, Mazzarino fu costretto a fuggire dalla Francia, mentre Luigi e la reggente restarono in balia del Parlamento parigino, che aveva avanzato nuove pretese, e di Condé. Lo strapotere di quest’ultimo gli alienò però il sostegno di molti: Condé stipulò allora un accordo con la Spagna, promettendole sostegno nella conquista di alcune piazzeforti francesi in cambio delle risorse economiche che gli servivano a portare avanti la sua lotta personale contro la corona. Ne seguì un altro anno di assedi e scontri militari: il maresciallo Turenne, che aveva messo la sua spada al servizio di Luigi, ebbe la meglio sulle truppe di Condé e anche Parigi, i cui principali notabili desideravano ormai la pace, fu costretta a piegarsi. Così, nell’ottobre 1652 il re poté rientrare nella capitale, dove fece decadere i titoli di Condé e promulgò un atto che vietava da allora in poi alle corti sovrane di inserirsi nelle questioni relative all’amministrazione dello Stato. A suggellare la vittoria della monarchia, nel febbraio 1653 Mazzarino tornò trionfalmente a Parigi. Luigi XIV e le riforme amministrative Raggiunta la maggiore età (all’epoca, tredici anni) nel 1651 e solennemente incoronato a Reims nel giugno 1654, Luigi XIV essendo cresciuto nella convinzione che il governo del paese dovesse restare nelle mani del sovrano e dopo l’esperienza delle due Fronde teme molto il potere parlamentare, decide di porre fine all’epoca dei ministri e porre direttamente nelle proprie mani le redini del governo: alla morte di Mazzarino, nel marzo 1661, decise di non rimpiazzarlo e di abolire del tutto l’incarico di primo ministro. Da quel momento in poi, tutti i ministri sarebbero stati scelti solo dal sovrano, avrebbero dovuto dipendere da lui e rispondere solo a lui. Luigi XIV s’impegnò anche ad accentrare e verticalizzare l’amministrazione dello Stato, di cui il re doveva essere il centro pensante e dirigente; sotto di lui i ministri, riuniti nel Consiglio, recepivano e attuavano le sue disposizioni, mentre a livello locale il suo potere e la sua presenza erano rappresentati fisicamente dagli intendenti. Come il Sole dava luce e moto a tutti i pianeti, così il Re Sole (in francese, le Roi Soleil) doveva essere la fonte prima e unica del potere, dettando la sua volontà ai ministri e ai loro satelliti, assimilabili ai pianeti che vi ruotavano intorno. Fino ad allora il re era stato soprattutto giudice, legislatore e condottiero; con le nuove disposizioni il re diventava anche il supremo amministratore dello Stato. Con Luigi XIV il re non si limitava più a regnare, ma governava, e, nella fusione di queste due funzioni, risiedeva il cuore dell’assolutismo monarchico. Costruire l’assolutismo: la reggia di Versailles Per poter realizzare il suo ambizioso progetto, Luigi XIV doveva vincere le resistenze dell’aristocrazia. La Fronda nobiliare aveva mostrato quanto fossero stretti i rapporti tra le grandi casate e i loro possedimenti in provincia: i nobili non erano dei semplici proprietari terrieri, ma dei sovrani in miniatura ed era a loro, prima che al re che andava la fedeltà e l’obbedienza delle popolazioni locali. Per spezzare il legame tra popolo e aristocrazia, Luigi XIV amplificò enormemente il potere attrattivo della corte. Essa doveva diventare il simbolo dello splendore e della potenza della monarchia: decise di costruire nel 1664 una reggia enorme e sontuosissima a Versailles che sarebbe diventata la reggia più sfarzosa d’Europa. Luigi XIV fece di Versailles un enorme centro di divertimenti e svaghi e obbligò gli aristocratici a risiedervi, qui li mantenne lussuosamente concedendo loro rendite e titoli altisonanti ma allo stesso tempo privandoli di ogni potere politico. L’economia nel segno di Colbert Per poter realizzare una simile opera, Luigi XIV aveva bisogno di molto denaro, per questo si affidò a Jean-Baptiste Colbert, il quale era convinto che la ricchezza di un paese dipendesse dalla quantità di moneta, cioè di metalli preziosi, che circolava e si conservava al suo interno; bisognava quindi far affluire quanta più ricchezza verso la Francia, favorendo il più possibile le esportazioni e diminuendo le importazioni. Per raggiungere questi scopi, Colbert varò un vasto programma economico-commerciale (che passerà alla storia come “colbertismo”), incentrato sul protezionismo e sull’interventismo statale. Da un lato, innalzò i dazi doganali, dall’altro, cercò di stimolare in ogni modo il commercio, costruendo nuove vie di comunicazione interne. La politica religiosa del Re Sole Lo stesso sforzo di accentramento che fu esercitato sul piano amministrativo ed economico, interessò anche la sfera religiosa.  Se gli ugonotti avevano già perso da tempo l’indipendenza politico-militare che garantiva loro l’Editto di Nantes, restavano comunque una minoranza numerosa e soprattutto sospetta agli occhi del re. La loro visione religiosa era infatti fondata sul libero arbitrio e le loro comunità erano governate secondo principi sostanzialmente democratici: entrambi questi aspetti mal si conciliavano con la devozione totale che il monarca assoluto esigeva dai suoi sudditi. Con l’Editto di Fontainebleau (15 ottobre 1685), Luigi XIV revocò l’editto di Nantes e abolì la libertà di culto, facendo del cattolicesimo l’unica religione della Francia. Iniziarono una serie di persecuzioni che spinsero circa 200.000 ugonotti ad emigrare in Germania, Inghilterra, Olanda e Svizzera. Le guerre di Luigi 1667-1714 Dopo aver stabilito l’ordine interno, il sovrano può dedicarsi al suo progetto di predominio in Europa, tanto più che le sue due principali rivali asburgiche, la Spagna (crisi dinastica) e l’Impero germanico (impegnato a fermare l’avanzata degli Ottomani) versavano in cattive condizioni. Nel 1667, a meno di dieci anni dalla Pace dei Pirenei, si aprì così una nuova stagione di guerre che si sarebbe protratta, con qualche breve pausa, per un cinquantennio. Il primo conflitto del periodo fu la guerra di Devoluzione (1667-68). Dopo la morte di Filippo IV (1665), Luigi rivendicò in nome della moglie, figlia del re defunto, i Paesi Bassi spagnoli e la Franca Contea; non potendo ottenerli diplomaticamente, li occupò militarmente. Il suo intervento allarmò però la vicina Olanda che si schierò con Inghilterra e Svezia a fianco della Spagna. Luigi XIV preferì allora venire a patti e firmò il Trattato di Aix-la-Chapelle (conosciuto anche come Trattato di Aquisgrana, 2 maggio 1668), accontentandosi di qualche piazzaforte nelle Fiandre. Nel 1672 Luigi XIV dichiara guerra all’Olanda, in quanto questa costituiva un ostacolo alla politica mercantilistica di Colbert e lo fa alleandosi con l’Inghilterra, la Svezia e alcuni principati tedeschi. L’Olanda fu quasi interamente occupata dalle truppe francesi, ma Guglielmo d’Orange (1650-1702), che prese il comando politico e militare della repubblica olandese, aprì le dighe e allagò il suo stesso territorio per fermare l’avanzata nemica, ingaggiando una resistenza accanita e disperata. La Spagna e l’Impero si schierarono allora al fianco dell’Olanda e il conflitto L’ILLUMINISMO È il più importante movimento intellettuale del 700, esso si basa sulla ragione, la quale ha il compito di illuminare la conoscenza umana. Questo movimento trae le sue origini dalla filosofia di John Locke ed ebbe il suo sviluppo più intenso in Francia a partire dagli anni ’30 del ‘700; secondo Franco Venturi (uno dei più importanti studiosi del 700) l’età dell’illuminismo è più o meno quella che va dalla fine delle guerre nel 1763 fino al 1789. L’illuminismo è poi composto da diversi orientamenti che coinvolgono diversi paesi, ma si possono comunque trovare degli aspetti comuni: - L’esaltazione della ragione: l’illuminismo si basa su una fiducia completa nella ragione, ma ciò non significa che questa sia una fiducia cieca; molti illuministi, infatti, rifiutarono la filosofia razionalista di Cartesio che faaceva della ragione l’unica fonte di conoscenza, anzi a partire dalla filosofia di Locke che confutava l’innatismo (l’esistenza di idee innate) si sviluppò l’empirismo  la ragione doveva essere applicata all’esperienza, si seguiva il metodo scientifico sperimentale di Galilei e Newton. - Critica ad ogni principio di autorità: l’illuminismo si caratterizza anche per una denuncia all’oscurantismo (= atteggiamento ostile nei confronti dell’istruzione, progresso e indipendenza di giudizio) del passato attribuendone la responsabilità alle religioni positive, le cui verità inducono al fanatismo. - Infatti, la maggioranza degli illuministi aderisce ad una religione naturale: quella religione fondata sulla ragione e non sulle verità delle Sacre Scritture; ricordiamo l’opera di Kant La religione entro i limiti della semplice ragione. Questa religione prevedeva l’esistenza di un Dio ma solo in quanto architetto del mondo, non si concepiva la possibilità di un suo intervento nelle questioni umane e inoltre rivendicava il principio di tolleranza religiosa poiché – come affermava Pierre Boyle – dall’intolleranza deriva il disordine di uno stato. - Potente critica della società e impegno a trasformarla: ciò emerge anche dalla Risposta alla domanda che cos’è l’Illuminismo? Di Immanuel Kant, l’illuminismo è per Kant l’uscita dell’uomo dal suo stato di minorità, dove per minorità si intende la capacità di avvalersi del proprio intelletto. - Fiducia nel progresso e la concezione di storia come progresso: nella battaglia per il progresso ha un ruolo fondamentale l’intellettuale, chiamato a educare gli uomini all’esercizio della ragione per combattere l’ignoranza fornendo anche tecniche e modelli di organizzazione dello Stato più giusti ed efficaci. - Un’altra battaglia è quella contro le ingiustizie dell’Ancien Regime: in particolar modo contro i privilegi; per gli illuministi, dal momento che tutti gli uomini posseggono la ragione, essi devono essere considerati uguali. Da ciò ne deriva anche un’ideale di cosmopolitismo, l’uomo viene considerato cittadino del mondo. Questo movimento conosce quindi un intenso sviluppo in Francia, grazie alla nascita di nuovi luoghi di diffusione di idee come salotti o caffè ma anche attraverso l’intenso utilizzo dei pamphlets (= opuscoli dal tono satirico in cui si mettono in discussione i valori tradizionali). È questo anche un intenso periodo di attività per i philosophes francesi, i quali sviluppano importanti riflessioni sul piano etico, politico, estetico e anche giuridico. Sicuramente una delle opere più importanti che promuove le idee illuministe ed educa gli uomini all’uso della ragione è l’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert, quest’opera combatte per il principio secondo il quale sapere e libertà coincidono. Quello dell’Illuminismo è anche un periodo di intenso sviluppo per le arti in generale, ciò contribuisce a creare una cultura di opposizione all’assolutismo di Luigi XIV; diversi gruppi come gli ugonotti, i giansenisti (seguaci di Giansenio e frequentatori dell’abazia di Port-Royale) e libertini creano un vero e proprio movimento di critica all’assolutismo. I maggiori esponenti dell’Illuminismo furono: - Montesquieu: nella sua opera L’esprit des lois del 1748 sostiene che per creare uno stato equilibrato e porre un limite al potere del sovrano era necessario distinguere tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario e affidare questi poteri a tre diversi organi in modo tale che ogni organo potesse controllare l’altro. - Voltaire: è autore di un’importante opera storica intitolata Il secolo di Luigi XIV e di alcuni romanzi filosofici come Candido e Micromega in cui smaschera i pregiudizi radicati nella società. Egli è uno dei maggiori critici dell’oscurantismo e un grande difensore del cosiddetto dispotismo illuminato (ovvero il fatto che i sovrani attuino riforme statali ispirandosi agli ideali promossi dall’illuminismo). - Jean-Jacques Russeau: egli assume delle posizioni radicali, innanzitutto critica la visione illuminista della storia come progresso, affermando che questa in realtà sia un processo di degenerazione. Nella sua opera Discorso sull’origine e i fondamenti della diseguaglianza fra gli uomini egli individua la causa di questa degenerazione nell’introduzione del concetto di proprietà, sconosciuto nello stato di natura dove tutti gli uomini erano uguali fra loro; attraverso l’introduzione della proprietà si formano le diseguaglianze in quanto l’uomo cerca così sempre un vantaggio rispetto ai suoi simili, vantaggio che però può essere ottenuto solo a discapito degli altri. Pertanto, se nello stato di natura l’uomo viveva bene perché autosufficiente e uguale agli altri, nello stato politico la situazione cambia perché l’uomo dipende sempre da qualcun altro per soddisfare i propri bisogni, i quali sono creati artificialmente dal progresso scientifico e dalla suddivisione dei beni. Allora, nella sua opera Contratto sociale, per ripristinare la situazione iniziale introduce il concetto di democrazia diretta dove la legge è espressione della volontà generale e il potere è quindi completamente in mano al popolo, inoltre la legge deve valere per tutti allo stesso modo e i cittadini obbedendogli non fanno che obbedire a loro stessi. Russeau è fondamentale poi per una nuova concezione dell’educazione infantile  nella sua opera l’Emilio il bambino non è più visto come un uomo in miniatura, ma come un soggetto che necessita un’educazione adeguata alla sua età. - Immanuel Kant: con la sua Critica alla ragion pura dove pone la ragione di fronte al tribunale della ragione stessa. - Cesare Beccaria: nella sua opera Dei delitti e delle pene 1764 apre un dibattito importante riguardante la pena di morte - Antonio Genovesi: contribuisce al rinnovamento degli studi in campo economico con la sua opera intitolata Lezioni di commercio. - Giambattista Vico: propone una filosofia di tipo storicistico nella sua opera La Scienza nuova, dando molta importanza alla riflessione filosofia riguardo la storia. Durante il periodo dell’Illuminismo nascono nuove discipline come l’antropologia culturale o l’etnologia, grazie a queste la storia viene “rinnovata” dal momento che non si pone più l’attenzione sulle guerre e i problemi dinastici ma sulla storia laica e il modo di vita dei diversi popoli nel tempo. Dispotismo illuminato (o assolutismo illuminato) Con assolutismo illuminato si fa riferimento ad una serie di riforme attuate durante la seconda metà del ‘700 da sovrani assoluti, i quali erano influenzati dal movimento illuminista. Tra le aree maggiormente coinvolte troviamo l’Austria di Maria Teresa (figlia di Carlo VI) la quale mette in atto una serie di riforme tra il 1765-1790. Come prima cosa riorganizza l’apparato statale, tassando i nobili e favorendo l’istruzione; si dirige inoltre verso una laicizzazione dello Stato diminuendo i privilegi del clero. Il figlio di Maria Teresa, Giuseppe II, continua la politica della madre, attuando lui stesso delle riforme di stampo illuminista: - Sopprime la tortura e la pena di morte; - Abolisce la servitù della gleba; - Abolisce le discriminazioni nei confronti dei protestanti; - Introduce il matrimonio civile e la libertà di stampa. Attua anche una politica giurisdizionalista, volta alla distinzione dei poteri tra stato e chiesa, che venne definita “giuseppinismo”. Le azioni di Giuseppe II non vengono però continuate dal fratello Leopoldo, il quale cede alle richieste alle richieste della nobilità ponendo così un freno ai piani riformatori del fratello e della madre. Il dispotismo illuminato coinvolge anche la Prussia di Federico II il Grande, il quale intrattenne molti rapporti con diversi filosofi, fra i quali anche Voltaire, e si impegnò nella promozione intellettuale-artistica. Tra le altre sue riforme di stampo illuminista troviamo: - L’introduzione di un nuovo Codice penale e civile; - La formazione di una magistratura di carriera alla quale va il potere giudiziario; - Istituisce l’istruzione elementare obbligatoria già nel 1763 (cosa che in Italia avverrà solo nel XX secolo) Anche la Russia di Caterina II viene coinvolta dal pensiero illuminista; le sue riforme innanzitutto colpirono la chiesa ortodossa, a cui furono confiscate le proprietà per risanare le finanze dello stato; - Forma poi una commissione consultiva a cui affida il compito di redigere un nuovo codice di leggi seguendo i principi illuministici  quindi libertà di stampa, condanna della servitù, istruzione… Tuttavia, la politica riformatrice in Russia venne ostacolata dalla nobilità, che addirittura obbligò la sovrana ad andare nella direzione opposta. Anche in Italia si hanno alcuni esempi di assolutismo illuminato in Lombardia (sotto il controllo di Maria d’Austria) o in Toscana (sotto il controllo del figlio Leopoldo). Ma anche a Napoli, dove Carlo III di Borbone realizza delle riforme di stampo illuministico tra il 1734-1759 aiutato dal ministro Bernardo Tanucci. 4- Un profondo mutamento nelle forme stesse di organizzazione del lavoro che riuniva tutte le fasi del processo produttivo all’interno della fabbrica Vediamo ora le ragioni del primato inglese, ossia l’insieme delle circostanze favorevoli alla creazione di un ambiente adatto al dispiegarsi della rivoluzione industriale: - La presenza di un mercato interno in continua espansione grazie alla crescita demografica e alla rivoluzione agricola, come abbiamo già detto.  - Il possesso di vasti domini coloniali e di una potente flotta che assicura l’approvvigionamento di materie prime. - Una natura insulare che assicura all’Inghilterra la protezione dalle devastazioni delle guerre nel continente. Inoltre, grazie alla linea costiera, ai porti naturali e ai numerosi corsi d’acqua navigabili viene eliminata la necessità di trasporti terrestri, che sono più difficoltosi e costosi rispetto a quelli su acqua. - Una grande disponibilità di manodopera, costituita dai contadini disoccupati dopo l’introduzione delle enclosures. - La disponibilità di capitali e imprenditori disposti al rischio per realizzare innovazioni che portino profitto. - La fiducia nel quadro politico e legislativo: con la Gloriosa Rivoluzione la monarchia inglese ha ormai abbandonato ogni tentativo di assolutismo e promuove invece su una leale collaborazione con il Parlamento, espressione dei principali interessi economici del paese. Inoltre, vi è una particolare fiducia nella tutela dei diritti di proprietà sulle merci e sulle innovazioni tecnologiche, con l’introduzione dei primi brevetti già con Giacomo I (1566-1625) e poi Anna d’Inghilterra (1665-1714).  L’industria del cotone e siderurgica Il primo settore a registrare le innovazioni dell’industria moderna è stato quello del cotone. Il suo sviluppo a partire dagli anni Ottanta del Settecento è vertiginoso. Le ragioni di questo successo sono molteplici: una materia prima abbondante e a basso prezzo proveniente dalle colonie, l’invenzione della sgranatrice meccanica inventata dall’americano Eli Whitney (1765-1825), la maggiore resistenza del cotone alla trazione rispetto alla lana e quindi una maggiore facilità nella lavorazione a macchina, un mercato più ampio e diversificato rispetto ai filati di lana non particolarmente adatti ai climi caldi. Tutto ciò ha fatto sì che quella del cotone divenne la prima industria inglese a meccanizzarsi su larga scala, presentandosi come il settore di punta della prima fase della rivoluzione industriale (si parla appunto di “età del cotone”) e come modello del sistema di fabbrica che si va progressivamente estendendo anche ad altre lavorazioni.  Le esigenze di un settore tessile sempre più in espansione contribuiscono a determinare alcuni decisivi passi avanti nel campo della tecnologia. Due innovazioni di cardinale importanza vanno ricordate: - Il procedimento della fusione del metallo ferroso con il carbon coke al posto del carbone da legna. Il carbon coke si ottiene come residuo della distillazione a secco del carbone fossile, fuso in forni ad alte temperature in assenza di ossigeno. - L’invenzione della macchina a vapore che sostituì i mulini ad acqua e a vento come fonte inanimata di energia.  Nel primo caso, a cavallo tra Settecento e Ottocento la produzione di coke raddoppia, permettendo rese molto più alte rispetto al carbone da legna, in quanto il coke è depurato dalle scorie. Questo fatto, unito all’abbassamento dei costi di trasporto, ottenuto grazie alla costruzione di una fitta rete di canali navigabili, dà forte impulso allo sviluppo dell’industria siderurgica. La domanda di ferro infatti è in continuo aumento, in conseguenza sia dell’espansione agricola sia dei progressi dell’industria tessile. Inoltre, si va affermando una nuova lega formata da ferro, carbonio e altri elementi molto più resistente e adatta alla lavorazione: la ghisa. Tutto questo non avrebbe potuto svilupparsi senza il ricorso a fonti di energia inanimate che sostituiscono a poco a poco la forza umana e animale. I primi tentativi per sfruttare l’energia del vapore sono messi a punto tra Seicento e Settecento da Thomas Savery (1650-1715), che inventa un macchinario per prosciugare i pozzi più profondi delle miniere di carbone. Successivamente Thomas Newcomen (1663-1729) brevetta una sicura e più potente macchina a vapore che alcuni storici hanno definito “il fattore principale per lo sfruttamento delle ricchezze minerarie britanniche, attraverso il quale furono poste le fondamenta dello sviluppo industriale del paese”. Infine, nel 1769 con l’invenzione della macchina a vapore di James Watt (1736-1719) si ha il vero e proprio salto di qualità che porta all’applicazione massiccia dell’energia del vapore nell’industria e, in seguito, ai trasporti, rivoluzionati dal treno e dalle ferrovie.  Le trasformazioni conseguenti alla rivoluzione industriale La prima rivoluzione industriale in Inghilterra trasforma drasticamente il panorama economico, sociale e politico dell’epoca. Per prima cosa nasce lo stabilimento industriale moderno, dato che le nuove macchine, di funzionamento più complesso delle precedenti, sono di dimensioni talmente grosse da non poter essere impiegate nella tradizionale industria a domicilio. Questo nuovo edificio raggruppa numerosi macchinari azionati dalla forza motrice della macchina a vapore. Per questo motivo, ossia la presenza di una nuova forza inanimata che ha sostituito l’impiego dei mulini ad acqua, le grandi industrie ora sorgono non più nei pressi dei corsi d’acqua, bensì vicino a quelli che stanno diventando i grandi agglomerati urbani, dove si concentra pure la nuova forza-lavoro del mondo industriale. Si va così imponendo il nuovo modello del sistema di fabbrica basato sulla divisione del lavoro e sulla cooperazione dei singoli addetti in un unico processo produttivo. Come abbiamo visto, in un primo tempo l’industrializzazione coinvolge la produzione di beni materiali come i tessuti e di energia come la macchina a vapore, per poi interessare i trasporti e le comunicazioni, stimolando sempre più la tecnologia nella ricerca di nuove soluzioni e miglioramenti. Infine, viene creato un mercato più vasto con la conseguente circolazione crescente di denaro che dà impulso al sistema bancario. In questo nuovo panorama economico si configura una nuova figura di imprenditore caratterizzata dalla disponibilità a investire e a rischiare il proprio capitale nella produzione di merci. Il denaro viene ora investito nei fattori della produzione, come ad esempio le materie prime e i nuovi macchinari, allo scopo di ricavare profitto dalla vendita delle merci. Questo viene poi a sua volta reinvestito in un ciclo continuo di guadagno-investimento  questo meccanismo di accumulazione di capitale che prende il nome di capitalismo. Quest’ultimo porta a un cambiamento radicale di ogni aspetto della vita economica, favorendone lo sviluppo. Dall’altra parte, però, questo nuovo sistema mostra in breve tempo anche il risvolto della medaglia. A intervalli regolari si riscontrano delle crisi (nel 1825, 1836, 1847, 1857) Importante appare capire come si tratti di un tipo di crisi nettamente diversa rispetto a quelle del passato che erano legate a degli squilibri tra le risorse alimentari e la popolazione. Con la rivoluzione industriale ci troviamo di fronte a una crisi legata a uno squilibrio tra la domanda e l’offerta o in altre parole a un eccesso di produzione rispetto alla capacità di assorbimento del mercato. Altri importanti cambiamenti sono riconducibili al settore dei trasporti e delle comunicazioni. La locomotiva a vapore e le rotaie di ferro segnano il XIX secolo più di qualsiasi altra innovazione tecnologica. Grazie alle ferrovie si riesce ad ovviare il problema delle inadeguate strutture di trasporto che inibivano lo sviluppo dell’industrializzazione. Il primo tratto ferroviario a essere inaugurato è la Liverpool-Manchester nel 1830. Da qui in poi la rete ferroviaria britannica conosce un vero e proprio boom passando dai 2 mila km di ferrovie nel 1840 agli oltre 32 mila alla vigilia della Prima guerra mondiale. L’espansione della rivoluzione industriale dall’Inghilterra all’Europa continentale La rivoluzione industriale con il suo carico di innovazioni dall’Inghilterra attraverserò la Manica per imporsi anche sull’Europa continentale con tempistiche e modalità differenti. Importante è allora vedere le analogie e le differenze tra due modelli di industrializzazione. Da una parte abbiamo il modello britannico che ruota intorno a una consolidata mentalità imprenditoriale che fa della ricerca del profitto il proprio obiettivo e che vede nel mercato il fattore più importante nella regolazione dell’economia. Cardine di questa mentalità è la libertà di iniziativa economica per chiunque volesse rischiare i propri capitali in un quadro che vede come compito principale dello Stato quello di rimuovere gli ostacoli all’attività imprenditoriale. Tutto ciò si basa sulle teorie del pensiero economico liberista, che culmina in Gran Bretagna nel 1846 con l’abolizione da parte del parlamento inglese dei dazi sui cereali introdotti dalle Corn Laws. Così facendo si impone in Gran Bretagna una politica di tipo liberista che vede nella abolizione di ogni vincolo sugli scambi commerciali il proprio obiettivo principale. Dall’altra parte abbiamo il modello continentale che si caratterizza per il contributo determinante dato dalla Stato al decollo industriale. In questi Stati vengono adottate politiche economiche di stampo protezionistico con lo scopo di proteggere le nascenti industrie nazionali dalla concorrenza straniera. Inoltre, i governi provvedono a finanziare in prima persona le varie imprese economiche.   Facciamo ora un passo indietro e vediamo più nel dettaglio il processo di sviluppo industriale sul continente. Nell’Europa continentale l’agricoltura nel XIX secolo è ancora l’attività dominante dando impiego a ben oltre il 50% della popolazione attiva. Tuttavia all’inizio dell’Ottocento l’agricoltura registra anche sul continente, come abbiamo già visto per l’Inghilterra, alcuni progressi significativi come un ampliamento della superficie coltivata e la diffusione di moderni metodi di coltivazione. Questi si ripercuotono sul piano dei rapporti sociali vigenti nelle campagne europee: - innanzitutto, sparisce la servitù della gleba (che sopravvive solo in Russia fino al 1861); - parte del patrimonio ecclesiastico viene confiscato e messo in vendita; - la tradizionale distribuzione della terra si modifica a favore di medi e grandi proprietari e affittuari borghesi, disposti a investire i propri capitali nell’ammodernamento delle tecnologie. Belgio, Francia e Germania sono le prime nazioni che, in forme diverse, si pongono in scia alla Gran Bretagna nel moto di industrializzazione. principi, membri della più prestigiosa nobiltà, alti prelati, funzionari di rango per ottenere il consenso. Tuttavia, una volta riuniti, i notabili ritennero che misure di tale portata richiedessero l'approvazione della vera rappresentanza nazionale: gli stati generali. Gli stati generali L’assemblea degli stati generali era composta dai rappresentanti del clero, della nobiltà e del Terzo Stato. Secondo le volontà del Parlamento di Parigi del settembre del 1788 i tre ordini avrebbero dovuto sedere e deliberare separatamente: in questo modo clero e nobiltà avrebbero avuto sempre il sopravvento nelle delibere. All’indomani della convocazione degli Stati generali venne espressa nell'opinione pubblica la necessità che gli Stati generali si assumessero il compito di dare alla Francia una nuova costituzione. Allora, nel gennaio del 1789 il regolamento elettorale degli Stati generali dispose il raddoppio della rappresentanza del terzo stato, il quale era rappresentante della maggioranza dei francesi. Non si stabilì nulla, però, riguardo alle modalità del voto se per ordine (= un solo voto per ognuno dei tre corpi) o per testa (= un voto per ogni presente all’assemblea). Tutti i francesi dovevano comunque far pervenire al trono le loro richieste redigendo degli elenchi, detti cahier des dohleances, da affidare ai deputati dei rispettivi ordini nel corso dell'assemblea elettorale. Nel frattempo, le condizioni economiche andavano peggiorando: il cattivo raccolto del 1788, l'aumento dei prezzi e la disoccupazione portarono a sommosse in molte località e nella stessa Parigi, in questo clima il 5 maggio 1789 si riunirono gli Stati generali. Alla proposta del terzo stato di riunire gli Stati generali in una sola assemblea, il re, solidale con la nobiltà, oppose un rifiuto. I deputati del terzo stato si rinominarono assemblea nazionale costituente e radunatisi in un altro locale, la sala della pallacorda, il 20 giugno giurarono di non separarsi più fino alla conclusione della stesura della costituzione. La presa della Bastiglia e l’inizio della rivoluzione Il re, apparentemente accomodante, nel frattempo preparava un colpo di forza contro l'assemblea facendo affluire attorno a Parigi reggimenti composti da mercenari stranieri. Gli elettori parigini del terzo stato reagirono deliberando la formazione di una milizia borghese. Fu allora che il popolo, esasperato dal carovita, si mobilitò il 14 luglio di fronte alla Fortezza della Bastiglia, la prigione di Stato, invadendone i locali. Vista la gravità della situazione, Luigi XVI ordinò la ritirata dei reggimenti stranieri. In tutta la Francia si costituirono spontaneamente nuovi organismi fedeli alle direttive dell'assemblea nazionale e nel frattempo si armarono milizie che presero il nome di guardia nazionale. Estate 1789: la “grande paura” Accanto alla rivoluzione parigina scoppiarono disordini nelle campagne, che portarono al saccheggio di numerosi castelli, si svilupparono ondate di panico dalla circolazione di voci riguardo invasioni dall’estero o riguardo la presenza di briganti assoldati dai nobili per portare via il grano e affamare il popolo. Il carattere antifeudale delle rivolte contadine costrinse l'assemblea nazionale ad affrontare il problema dei diritti signorili, i quali vennero aboliti il 4 agosto; inoltre, il 26 agosto l'assemblea nazionale elabora una dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino  una solenne affermazione delle libertà fondamentali: libertà di pensiero, di parola e di stampa; dell'uguaglianza di tutti i cittadini maschi di fronte alla legge; e di principi quali la divisione dei poteri e la sovranità popolare. Luigi XVI non era però disposto a concedere la sua sanzione per i decreti in questione; il suo atteggiamento evasivo unito ad alcuni movimenti di truppe da lui ordinati e dall'emigrazione di molti nobili compresi alcuni membri della famiglia reale, spinse i patrioti a un'altra prova di forza. Così, il 5 ottobre, una folla composta in prevalenza da donne che chiedevano soprattutto pane, marciò su Versailles, seguita dalla guardia nazionale. Il re fu costretto ad accettare i decreti e, a seguito dell'invasione degli appartamenti reali, si convinse a trasferirsi nella Capitale. Le riforme dell’assemblea nazionale Riforma amministrativa  Tra le riforme più importanti dell'assemblea vi fu la divisione del territorio nazionale in 83 dipartimenti, comprendenti ciascuno vari distretti, ripartiti a loro volta in cantoni e in comuni. A ogni livello vi erano consigli elettivi, autorità esecutive e la guardia nazionale. Riforma giudiziaria  un'altra riforma di rilievo venne elaborata in materia giudiziaria nell'agosto 1790: i giudici divennero tutti elettivi, fatto che realizzava la completa separazione del potere giudiziario dal potere legislativo ed esecutivo e metteva fine al sistema della venalità delle cariche. Riforma finanziaria  in materia finanziaria assemblea aveva già confiscato i beni della Chiesa nel novembre 1789, decidendo l’emissione di “assegnati”, ovvero buoni del tesoro utilizzabili per il loro acquisto che però alimentarono l'inflazione. Le vecchie imposte furono sostituite da una tassa proporzionale sulla terra, da un'imposta sulla ricchezza mobile e da una patente per l'esercizio di professioni, arti e mestieri. Furono soppresse le corporazioni di mestiere e vennero proibite le associazioni operaie. Di fronte all’effervescenza delle campagne si decise di non abolire gli usi collettivi del suolo né di togliere il divieto all'esportazione di cereali Riforma religiosa  sul piano religioso invece nel luglio 1790 venne approvata la costituzione civile del clero: la chiesa francese fu riorganizzata secondo gli 83 dipartimenti; i vescovi divennero elettivi, mentre i parroci erano designati dalle assemblee elettorali dei distretti; i religiosi divennero funzionari statali in quanto precettori di uno stipendio. Molti ecclesiastici rifiutarono però il giuramento alla rivoluzione, fatto che – unito ai diffusi sentimenti conservatori tra la popolazione delle campagne – sarà motivo di inquietudine e di spinte controrivoluzionarie. La fuga di Varennes e la Costituzione del 1791 Uno degli elementi più sconvolgenti della prima fase rivoluzionaria fu la fuga del re nel giugno 1791 attraverso la frontiera orientale, essa fu però bloccata a Varennes è il re obbligato a tornare indietro sotto scorta. Il mito della regalità aveva ricevuto un colpo mortale nell'animo dei francesi. Nel frattempo, il 4 settembre 1791 l'assemblea emanava la Carta costituzionale documento che rendeva operativi gli intenti contenuti nella dichiarazione dei diritti. L’impianto del testo manteneva alla monarchia il potere esecutivo, che però consisteva quasi unicamente nella facoltà di nominare i ministri, diplomatici e generali; inoltre, i poteri del re in politica estera erano limitati dall'obbligo di sottoporre i trattati e le dichiarazioni di guerra o pace al voto dell'Assemblea. La nuova assemblea legislativa fu gradualmente egemonizzata dalla sinistra, essenzialmente per tre ragioni: 1- Era meglio organizzata, disponeva di elementi abili e prestigiosi ed era spalleggiata all'esterno dal club dei giacobini. 2- La diffusione delle sommosse popolari causate dall'aumento dei prezzi ne aumentarono il consenso 3- L’atteggiamento intransigente della sinistra verso le potenze straniere che parevano minacciare l'intervento negli affari interni della Francia. Il 20 Aprile 1792 l’Assemblea approva la proposta reale di dichiarare guerra al nuovo re di Boemia e d’Ungheria, l'imperatore Francesco II. Tuttavia, il fallimento dell'offensiva francese (dovuta anche alla fuga dei nobili e dei vertici militari dopo la rivoluzione) non fece altro che accrescere i contrasti nell'assemblea e le accuse di tradimento rivolte alla Corte e agli aristocratici. Durante l'estate altri fattori contribuirono ad esasperare la tensione: - la programmazione della patria in pericolo - la leva di nuovi battaglioni di volontari - l'arrivo di federati da varie parti della Francia - il manifesto del duca di Brunswick, comandante delle truppe nemiche (austro-prussiano) in cui si minacciava la distruzione di Parigi nel caso di oltraggi alla famiglia reale. Il culmine si raggiunse nella giornata del 10 agosto 1791  fu creata la nuova municipalità parigina, la Comune insurrezionale e venne preso d'assalto il Palazzo delle Tuileries. L’assemblea legislativa votò la deposizione del monarca e il riconoscimento della comune insurrezionale, fu creato un consiglio esecutivo provvisorio in attesa di una nuova assemblea. Per la prima volta dal 1789 la rappresentanza nazionale era stata sopraffatta da una sollevazione popolare. La Repubblica, la Convenzione e il “Terrore” 1792-1794 La deposizione di Luigi XVI nell’agosto del 1792 non risolve i gravi problemi della Francia rivoluzionaria; l’Assemblea e la Comune parigina adottano anzi misure di rigore (l’arresto degli elementi “sospetti”; l’espulsione dei preti “refrattari”; il sequestro dei beni dei nobili emigrati; la requisizione dei grani per le città; la leva a Parigi e nei dipartimenti circostanti), mentre i sanculotti si abbandonano a violenze e soprusi e le truppe prussiane vengono bloccate dal nuovo esercito rivoluzionario. Il nuovo organo, la Convenzione, una volta abolita la monarchia, è oggetto della contesa tra girondini, montagnardi e “Pianura”, che si dividono sulla sorte da riservare a Luigi XVI: I girondini erano più propensi a soluzioni di compromesso, mentre i montagnardi consideravano il re un nemico della nazione, e quindi da punire con la pena capitale, come poi in effetti avvenne, nel gennaio 1793.  Nel frattempo, la guerra continuava e si andava allargando la coalizione antifrancese, oltre a ciò, scoppia anche la rivolta interna dei contadini vandeani, ostili alla politica antireligiosa dei rivoluzionari. Ai disordini la Convenzione reagì varando alcune misure eccezionali:  - L’istituzione di un Tribunale rivoluzionario per il processo sommario dei sospetti; - la formazione di Comitati di sorveglianza in tutti i comuni; - il Comitato di Salute pubblica, incaricato di vigilare sull’operato del Consiglio esecutivo. Questo, egemonizzato dai “montagnardi” Robespierre, Saint- Just e Couthon e dalla sinistra radicale governa in maniera pressoché dittatoriale iniziando un vero e proprio “periodo del Terrore” Asburgo e l’Austria. Le due armate principali (guidate da due dei più importanti generali della rivoluzione, Jourdan e Moreau) avrebbero dovuto penetrare in Germania puntando direttamente su Vienna, mentre un terzo esercito meno numeroso e peggio armato doveva impegnare parte delle truppe nemiche sul fronte italiano agendo da diversivo. Lo svolgimento dei fatti non andò come previsto: le armate francesi in Germania si ritrovarono bloccate sul Reno, mentre l’armata d’Italia procedeva di vittoria in vittoria. A guidarla era Napoleone Bonaparte.  Nato ad Ajaccio, in Corsica, nel 1769 da una famiglia di piccola nobiltà, Napoleone poté studiare grazie alle sovvenzioni del governo monarchico francese (nel 1768 la Corsica era stata ceduta da Genova alla Francia) e diventò ufficiale di artiglieria sotto l’antico regime. Nel 1793 fu costretto a lasciare l’isola (dove vi era stata un’insurrezione guidata dal corso Pasquale Paoli e appoggiata dagli inglesi che costrinse i francesi ad abbandonare l’isola) e a emigrare nella Francia continentale. Qui, una volta accostatosi ai giacobini, ottenne la promozione a generale di brigata grazie alle doti dimostrate nello strappare Tolone ai federalisti ribelli. Nel 1794 comandò l’artiglieria nell’armata d’Italia durante l’occupazione francese di Oneglia. La svolta di Termidoro sembrò oscurarne la stella, in quanto ritenuto seguace di Robespierre. Per un breve periodo, infatti, fu anche imprigionato. Grazie però alla conoscenza di Barras riuscì a risollevare le sorti della propria carriera: in un primo momento gli fu affidata la repressione della sollevazione monarchica (ottobre 1795), in secondo luogo fu nominato generale in capo dell’armata d’Italia. (marzo 1796).  Trentaseimila uomini male armati e male equipaggiati si ritrovarono agli ordini di Bonaparte, il quale fu in grado di ristabilirne la disciplina e rinvigorirne il morale. La condotta politica e militare dei francesi in Italia dopo aver suscitato in un primo tempo l’entusiasmo dei patrioti italiani, si rivelò in tutta la sua crudezza: saccheggio sistematico di città, chiese, musei, opere d’arte portate in Francia, pesante e pressione fiscale, guerra di conquista e non di liberazione. Le contraddizioni del comportamento di Napoleone nei confronti del giacobinismo italiano e delle sorti dell’Italia emergono nello svolgimento delle trattative per la firma dell’armistizio di Cherasco (28 aprile) dove le sorti della prima repubblica giacobina italiana (la repubblica d’Alba) furono subordinate alla ragione di Stato della nazione guida. Il movimento giacobino in Italia aveva assunto proporzioni abbastanza importanti, considerando che si trattava di un movimento clandestino, ancor prima della discesa di Napoleone nella penisola. Inoltre, era riuscito a reclutare consensi anche tra le masse popolari e non solo nei ceti borghesi. In Italia c’erano molti fattori che avevano favorito l’avanzata delle idee rivoluzionari francesi: una classe media istruita che era a conoscenza e condivideva i principi dell’Illuminismo, un diffuso malcontento nei confronti della dominazione straniera, malcontento contadino. Il movimento giacobino italiano si ispirava però all’ala più radicale di quello francese comprendendo nel proprio programma proposte come l’istruzione obbligatoria e gratuita, l’imposta progressiva sul reddito e la distribuzione ai meno abbienti dei beni confiscati alla Chiesa. Per queste richieste di tipo egualitario e democratico entrarono in contrasto con i francesi durante la prima campagna d’Italia, i quali scelsero come collaboratori esponenti moderati, più in linea con la politica francese dopo la svolta di termidoro. Successivamente alla vittoria contro gli austriaci presso Lodi e la presa di Milano (15 maggio), una volta ottenuta la firma papale al trattato di Tolentino, Napoleone risalì l’Italia settentrionale intenzionato a puntare direttamente su Vienna, arrivando fino a Leoben nell’aprile 1797. Nel frattempo, a Verona scoppiò una rivolta antifrancese (conosciuta con il nome di "Pasque Veronesi", in quanto cominciò il lunedì di Pasqua). Questa, unita alla presenza di truppe austriache, fece sì che le truppe francesi penetrassero nel territorio di Venezia, impadronendosi della Serenissima, nonostante la sua proclamata neutralità. Contro il parere dello stesso Direttorio Napoleone procedette al riassetto dei territori conquistati: sul finire del 1796 i territori della Lombardia liberati dalla presenza degli austriaci vennero a costituire la Repubblica Transpadana, a cui si aggiungeranno i territori veneziani di Bergamo e Brescia; le città di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia costituirono le Repubblica Cispadana (proclamata dai deputati di queste città riunitisi in congresso a Reggio Emilia per volontà di Napoleone); queste due entità vennero poi aggregate nella Repubblica Cisalpina nel maggio 1797. Nello stesso periodo veniva promossa la formazione della Repubblica ligure che trasformava i propri ordinamenti in senso democratico; nei territori veneziani nasceva la Repubblica democratica veneta dove fu lo stesso patriziato di Venezia a deporre l’ultimo doge. Napoleone voleva ora chiudere velocemente la guerra per tornare vittorioso a Parigi: il 17 ottobre 1797 firmava con l’Austria la pace di Campoformio con la quale cedeva agli Asburgo il Veneto, l’Istria e la Dalmazia in cambio del riconoscimento della Repubblica cisalpina e della ratifica dell’annessione del Belgio e della riva sinistra del Reno alla Francia. Questa pace inflisse un durissimo colpo ai patrioti italiani (basti pensare alle prime pagine delle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo) che avevano visto nei francesi la volontà di liberare l’Italia e che ora dovevano fare i conti con la ragion di Stato che aveva fatto si che la secolare indipendenza di Venezia fosse sacrificata: Napoleone appariva ora non più come liberatore, ma come conquistatore. La pace di Campoformio aveva mostrato chiaramente le contraddizioni e le ambiguità del rapporto tra la Rivoluzione francese e l’Italia. La Francia appariva ora non più come la nazione liberatrice dei popoli oppressi, bensì come potenza che conduceva una politica finalizzata ai propri interessi. Nonostante questo e nonostante la partenza di Napoleone dall’Italia, l’influenza della Rivoluzione francese nella penisola continuò e i patrioti italiani continuarono a vedere nei francesi i portatori delle nuove idee rivoluzionarie. Nel 1798 le truppe francesi occuparono i territori dello Stato pontificio, imprigionando Pio VI e proclamando la Repubblica romana. Nello stesso anno il Piemonte veniva occupato dai francesi e annesso allo Stato transalpino. Il re di Napoli Ferdinando IV decise di attaccare le truppe francesi, le quali però reagirono costringendo i Borbone alla fuga, entrando a Napoli nel gennaio 1799 e proclamando la Repubblica partenopea. Infine l’esercito francese si diresse verso la Toscana occupandola militarmente. Alla Repubblica cisalpina si aggiungevano altre repubbliche sorelle della Francia. In questo modo, escluso il Veneto, tutta l’Italia continentale era sotto il dominio diretto o indiretto dei francesi. Le isole della Sicilia e della Sardegna erano diventate il rifugio dei Borbone e dei Savoia ed erano protette dagli inglesi, ormai l’unica potenza rimasta in campo contro la Francia rivoluzionaria. Napoleone abbandonò quindi l’Italia, entrando da trionfatore a Parigi. Nel 1798 propose al Direttorio il suo progetto di occupazione dell’Egitto per colpire l’Inghilterra nei suoi interessi economici. La campagna d’Egitto (composta da 300 navi e da una commissione di scienziati e archeologi) iniziò con la battaglia delle Piramidi dove le truppe francesi sconfissero le truppe dei mamelucchi. Le cose però si complicarono presto per Bonaparte che venne sconfitto dagli inglesi dell’ammiraglio Nelson ad Abukir, dove si ritrovò bloccato. Nel mentre, in Italia, le nuove repubbliche procedevano nel loro cammino di cambiamento: adottarono costituzioni che riprendevano quella francese del 1795 (che prevedeva un organismo collegiale a capo del potere esecutivo e due camere teoricamente elette, praticamente nominate dalla Francia a gestire il potere legislativo) e furono amministrate da uomini di tendenze moderate scelti dai francesi. In tutti i territori venne abolita la feudalità e incamerati i beni della Chiesa, nonché introdotti i principi rivoluzionari di uguaglianza e libertà. I giacobini italiani vennero presto estromessi dal potere in quanto le loro richieste entravano ora in contrasto con il corso politico impostosi in Francia. Questi governi non riuscirono a conquistare il consenso delle masse popolari che li vedevano come complici dell’occupazione francese, caratterizzata dall’imposizione di tasse onerose e requisizioni sistematiche. Inoltre va ricordata l’ostilità dei contadini molto religiosi, che si sentivano minacciati e offesi dal laicismo dei patrioti. (Nel 1799 moti sanfedisti e legittimisti in Piemonte, Marche, Lazio, Umbria e Toscana).  Nel frattempo, i nemici della Francia si erano riorganizzate e le truppe austro-russe della seconda coalizione antifrancese discesero in Italia nella primavera del 1799. Una dopo l’altra caddero le varie repubbliche giacobine. La sorte più tragica toccò alla Repubblica partenopea: in Calabria il cardinale Fabrizio Ruffo organizzò un esercito di contadini che sotto il simbolo della Santa Fede marciò verso Napoli abbandonata dalle truppe francesi. Ferdinando IV Borbone venne restaurato sul suo trono. I patrioti meridionali diedero avvio alla resistenza che finì repressa nel sangue. Si concludeva così l’esperienza del triennio repubblicano in Italia. La sconfitta derivava dall’incapacità dei patrioti italiani di far leva sulle masse e di soddisfare i bisogni del popolo. Tuttavia, iniziava a sedimentarsi quel sentimento nazionale che caratterizzerà le successive vicende della penisola. Napoleone al potere. Il consolato (1799-1804) Mentre Napoleone e l’esercito francese da lui comandato si trovavano bloccati in Egitto, le potenze europee si riorganizzavano contro la Francia rivoluzionaria: il nuovo zar di Russia Paolo I siglava con l’Inghilterra una nuova alleanza, la seconda coalizione antifrancese (dicembre 1798), a cui aderirono anche Austria e Turchia. L’andamento delle operazioni militari iniziò a volgere contro i francesi, che in breve tempo persero i territori italiani dove le giovani repubbliche filofrancesi caddero una a una (nell’autunno 1799 i francesi conservavano solo Genova) all’avanzare delle truppe austro-russe che arrivarono a minacciare le stesse frontiere della Francia. Queste disfatte screditarono il Direttorio e ne accelerarono la caduta. Le difficoltà in cui si trovava il Direttorio avevano riaperto degli spazi sia all’opposizione neogiacobina che a quella monarchica. La borghesia francese si sentiva minacciata da queste forze politiche e iniziava ad avvertire che le proprie conquiste di classe dirigente andavano salvaguardate. L’esercito appariva come il solo che fosse in grado di assolvere questo compito. La situazione si presentava quindi favorevole a chi avesse saputo presentarsi come garante di un governo forte capace di tutelare l’ordine sociale e di promuovere la stabilità politica. Nel frattempo, Napoleone aveva deciso di far ritorno in Francia data la situazione senza sbocchi in cui si era arenata la campagna d’Egitto. Il 9 ottobre 1799, riuscendo a sfuggire ai controlli della flotta inglese, sbarcò a Fréjus.  Il 18 brumaio 1799 e la nuova Costituzione È in questo clima che maturò il colpo di Stato del 18 Brumaio. Sieyès, che era entrato a far parte del Direttorio, si accordò con Bonaparte, il quale aspirava a presentarsi alla nazione come salvatore della patria in pericolo, in modo da poter provare a conquistare il potere. Il 18 Brumaio dell’anno VIII (9 novembre 1799) i consigli vennero fatti trasferire forzatamente a Saint-Cloud sotto la minaccia di una congiura giacobina. Con l’aiuto del fratello di Napoleone, Luciano, presidente del Consiglio dei Cinquecento, venne fatta occupare l’aula assembleare dai militari. Intanto tre direttori, Sieyès, Ducos e Barras si dimettevano. I deputati contrari al colpo di mano vennero dispesi dai soldati. A conclusione della trama cospiratoria i deputati rimasti votarono per la formazione di un governo provvisorio, in attesa di una nuova costituzione, formato da tre consoli: Sieyès, Ducos e ovviamente lo stesso Napoleone.  flotta organizzata da Napoleone con forze francesi e spagnole venne però distrutta presso Trafalgar (21 ottobre 1805) dagli inglesi al comando dell’ammiraglio Nelson. Contemporaneamente dal fronte terrestre arrivarono delle importanti vittorie per i francesi: contro gli eserciti austro-russo ad Ulm e a Austerlitz (2 dicembre 1805). Vienna si vide costretta a firmare la pace di Presburgo (26 dicembre 1805) con la quale cedeva al Regno d’Italia il Veneto, l’Istria e la Dalmazia, oltre al pagamento di una cospicua indennità di guerra. Approfittando della debolezza degli avversari all’inizio del 1806 Napoleone discese nuovamente in Italia dove occupò il Regno di Napoli affidandone il trono al fratello Giuseppe Bonaparte. Anche parte della Germania venne occupata dalla truppe di Bonaparte che diede vita alla Confederazione del Reno (luglio 1806), un’associazione di Stati tedeschi alleati alla Francia. Finiva così anche formalmente l’esistenza del Sacro Romano Impero. Con l’Austria praticamente fuori gioco fu la Prussia ad assumere il ruolo di principale antagonista di Napoleone promuovendo la quarta coalizione antifrancese con Inghilterra e Russia. Questa veniva subito sconfitta a Jena e Auerstadt (ottobre 1806), con il conseguente smembramento dello Stato di Federico Guglielmo. A restare in guerra contro la Francia sul continente rimaneva la Russia, che veniva sconfitta a Friedland. Iniziavano così i colloqui di pace tra Napoleone e lo zar Alessandro I che si conclusero con la firma del trattato di Tilsit (giugno 1807) con il quale lo zar si impegnava a appoggiare la Francia contro l’Inghilterra nel caso quest’ultima non avesse firmato la pace. Fu la Prussia a riportare le spese più gravose: si vide infatti privata dei suoi territori in Germania che costituirono il Regno di Vestfalia e di quelli polacchi che diedero vita al Granducato di Varsavia.  Rimaneva quindi da sconfiggere la Gran Bretagna. Preso atto dell’impossibilità di sconfiggere la flotta britannica e quindi minarne il dominio sui mari, Napoleone decise di tentare di piegarla ricorrendo all’arma economica. L’Inghilterra era stata così posta in “stato di blocco”: era proibito ai sudditi dell’impero e ai paesi alleati della Francia ogni commercio con le isole britanniche. Al blocco continentale aderirono Russia, Prussia, Danimarca e Spagna. Per riuscire a costringere l’Inghilterra alla resa colpendola nei suoi interessi economici vitali il blocco continentale avrebbe dovuto essere veramente efficace controllando tutte le coste europee. Il contrabbando non venne mai sconfitto, il Nuovo mondo non poteva essere sottoposto al blocco e inoltre Napoleone si vide costretto a concedere licenze per alcuni prodotti di importazione fondamentali per le industrie francesi. La Gran Bretagna anche se colpita da una grave crisi economica riuscì a resistere. Per tentare di rendere il blocco totale Napoleone decise di invadere il Portogallo, storico alleato degli inglesi. Fallito questo tentativo Napoleone si rivolse verso la Spagna segnata dai conflitti all’interno della famiglia reale. Spodestò Carlo IV e proclamò re il fratello Giuseppe. A contrastare l’espansionismo napoleonico ci fu la reazione popolare della Spagna che sfociò in una logorante guerriglia contro l’invasore francese e “Bonaparte l’anticristo”. Questo fenomeno faceva leva sul forte sentimento religioso degli spagnoli offeso oltre che dall’invasione straniera anche dal trattamento riservato al Papa. Nel gennaio 1808, infatti, le truppe francesi avevano occupato lo Stato Pontificio annettendolo all’impero. Inoltre il Papa Pio VII che aveva scomunicato Napoleone venne imprigionato a Savona. La guerriglia spagnola, finanziata dagli inglesi, continuava a costituire gravi perdite per Napoleone sia dal punto di vista economico che di risorse umane. Questo spinse l’Austria alla creazione di una nuova coalizione antifrancese, la quinta, con la Gran Bretagna. Napoleone passò subito alla controffensiva entrando per la seconda volta a Vienna e sconfiggendo duramente gli austriaci a Wagram (luglio 1808). Con la pace di Vienna (14 ottobre 1808) l’Austria fu costretta a cedere la Galizia al Granducato di Varsavia e alla Francia La Carinzia, la Croazia, Lubiana, Gorizia, Tireste e Fiume che andranno a formare le Province illiriche direttamente annesse all’impero francese.  La potenza di Napoleone era al suo apice ora che aveva sconfitto tutte le potenze continentali. Ciò che mancava era una discendenza di rango. A tal fine sposò Maria Luigia d’Asburgo, figlia dell’imperatore d’Austria  (aprile 1810). Tutto sembrava far presagire un lungo futuro all’impero bonapartista. Le sue fondamenta però iniziano a scricchiolare: la Spagna si era trasformata in una spina nel fianco, la pacificazione religiosa era compromessa, le ostilità inglesi non cessavano, il sentimento nazionale dei paesi occupati iniziava a crescere e anche all’interno della Francia il malcontento per una guerra infinita cominciava a salire. Vediamo ora come a seguito delle conquiste napoleoniche fu l’intera carta geografica dell’Europa occidentale a essere riscritta. Il sistema continentale messo a punto da Napoleone presentava tre diversi tipi di situazione per i paesi conquistati: - vi erano i territori direttamente annessi alla Francia (Belgio, Olanda, riva sinistra del Reno), - Stati separati dalla Francia ma sottoposti alla sovranità di Napoleone (regno d’Italia) – e gli Stati vassalli affidati ai membri della sua famiglia (Spagna, regno di Napoli).  Questa dominazione ebbe conseguenze rilevanti così sintetizzabili: - semplificò la geografia politica italiana e tedesca, - promosse la modernizzazione delle strutture statali profondamente rinnovate grazie all’introduzione della legislazione francese e dei codici napoleonici, - creò un mercato economico integrato nell’Europa continentale, - consentì alle borghesie locali di affermarsi all’interno dell’apparato statale e nell’esercito.  Per quanto riguarda la penisola italiana nello specifico, Napoleone procedette a una riorganizzazione politico-territoriale. L’Italia centrosettentrionale costituita in Repubblica Cisalpina dopo la vittoria di Marengo, fu trasformata in Repubblica italiana (1802) e poi in Regno d’Italia (1805) di cui Napoleone stesso divenne sovrano. Il Regno di Napoli entrò, come abbiamo già visto, nell’orbita francese nel 1806 e fu assegnato prima a Giuseppe Bonaparte e poi dal 1808 a Gioacchino Murat, cognato di Napoleone e suo compagno d’armi.  Liguria, Toscana, Umbria, Lazio vennero direttamente annesse alla Francia. Al di fuori del sistema napoleonico rimanevano Sicilia e Sardegna, rifugio rispettivamente dei Borbone e dei Savoia. Conseguenze di questo dominio e del nuovo assetto politico imposto alla penisola furono: - una semplificazione del frazionamento che l’aveva caratterizzata fino a questo momento, - la fine dell’antico regime con l’abolizione dei privilegi feudali di nobiltà e clero, - la razionalizzazione e il rinnovamento del sistema giudiziario e giuridico, - l’ammodernamento dell’amministrazione statale, - un ricambio delle classi dirigenti italiane con la partecipazione della borghesia moderata alla gestione del potere. Il crepuscolo del potere napoleonico: il crollo dell’Impero e Waterloo L’impero di Bonaparte alimentò in tutta Europa il sentimento nazionale. Erano state le stesse armate francesi, in quanto rappresentanti degli ideali rivoluzionari, a incoraggiarlo, ma ora il sogno dell’autodeterminazione si ritorceva contro la dominazione napoleonica. L’arma ideologica usata dai francesi contro le monarchie di antico regime ora veniva usata contro di loro, alimentata anche dalla propaganda inglese che prometteva indipendenza e libertà. Alcuni focolai di crisi iniziarono a minare le basi del sistema egemonico francese. In Spagna, come abbiamo già visto, la guerriglia popolare poteva ora contare anche sull’appoggio dei britannici guidati dal duca di Wellington. Sul suolo iberico la rivolta antifrancese aveva assunto il carattere di resistenza alla rivoluzione anticristiana portata dalla Francia e aveva unito in un unico fronte il popolo e i ceti privilegiati. Dopo l’occupazione dell’Andalusia da parte inglese le Cortes spagnole riunite a Cadice approvarono nel marzo 1812 una costituzione di tipo liberale sul modello di quella francese del 1791. In Germania la reazione antinapoleonica contribuì alla nascita del movimento romantico che esaltava la tradizione nazionale in opposizione alla cultura illuministica degli invasori francesi. Inoltre la politica del blocco continentale finì per alimentare non pochi scontenti. L’interruzione dei commerci con la Gran Bretagna causò a diversi paesi europei perdite economiche di grave portata, la decadenza dei loro porti marittimi, la difficoltà negli approvvigionamenti di materie prime e la grande diminuzione delle esportazioni. A essere danneggiati da questa politica non erano solo i commercianti e gli imprenditori europei, ma anche quelli francesi. Nel frattempo l’alleanza franco-russa andava indebolendosi. A partire dal 1809 lo zar Alessandro I aveva ripreso una politica d’espansione conquistando la Finlandia e annettendo la Bessarabia, la Georgia e l’Azerbaigian. Inoltre lo zar decise di riprendere i contatti commerciali con l’Inghilterra dal 1810. Questo provocò l’ira di Napoleone che decise di giocare in anticipo e rispondere al tradimento russo con una nuova guerra. Nella primavera del 1812 Napoleone allestì una possente armata formata da quasi 700 mila uomini (reclutati in tutta Europa, e di cui solo la metà erano francesi) e nel giugno dello stesso anno varcò il fiume Niemen. Il grosso dell’esercito russo si ritirò ordinatamente evitando lo scontro diretto e adottando la tecnica della “terra bruciata”, ossia distruggendo raccolti e qualsiasi cosa potesse essere utili ai francesi in modo da privare il nemico dei rifornimenti necessari. Napoleone continuò ad avanzare in territorio nemico per alcuni mesi allontanandosi sempre più dalle proprie basi di approvvigionamento. Il 14 settembre i francesi entrarono a Mosca. Un grosso incendio rese ancora più difficile la sopravvivenza dell’esercito, mentre Napoleone decideva di aspettare invano che lo zar avviasse le trattative di pace. Il 19 ottobre con l’inverno alle porte e privo di rifornimenti Napoleone dovette ordinare la ritirata. Costrette a ripercorrere il cammino dell’andata in una campagna devastata, le truppe francesi andarono incontro a una catastrofe: le perdite raggiunsero il mezzo milione di uomini e la cavalleria praticamente scomparve.  La disfatta di Napoleone in suolo russo convinse Prussia, Austria, Gran Bretagna e Russia a unirsi nella sesta coalizione antifrancese per sbarazzarsi definitivamente dell’imperatore dei francesi. Federico Guglielmo III nel 1813 proclamò la guerra di liberazione. La battaglia decisiva, ribattezzata “Battaglia delle nazioni”, si ebbe a Lipsia tra il 16 e il 19 ottobre 1813, dove le armate della coalizione numericamente superiori ebbero la meglio. Napoleone si vide costretto a ripiegare sul Reno, mentre Germania, Svizzera e Olanda si ribellavano al suo dominio. Nel giro di pochi mesi i governi napoleonici crollavano uno a uno. In Spagna le truppe francesi furono costrette a evacuare e perfino il re di Napoli Gioachino Murat trattava con l’Austria. Il 31 marzo Parigi accolse gli alleati antifrancesi. Il 3 aprile su pressione delle potenze vincitrici il Senato francese proclamava la decadenza di Napoleone, il quale accettava di firmare l’abdicazione in cambio della sovranità dell’isola d’Elba. Lo stesso giorno il Senato richiamò dall’esilio inglese il fratello di Luigi XVI per insediarlo sul restaurato trono reale di Francia con il nome di Luigi XVIII. La Francia fu costretta a firmare la pace di Parigi (maggio 1814) che le imponeva il ripristino delle frontiere del 1789. Il nuovo assetto dei territori europei era affidato a un congresso da tenersi a Vienna. L’ultimo atto della vicenda di Napoleone doveva ancora compiersi. Napoleone infatti riuscì a scappare dall’isola d’Elba e a entrare a Parigi il 20 marzo 1815. Qui venne accolto con gioia da molti francesi che dopo l’iniziale sollievo per il ritorno della pace ora temevano una restaurazione dei diritti feudali e una rivendicazione da parte degli emigrati dei beni confiscati. Il 25 marzo si era già formata la settima coalizione antifrancese. L’esercito francese subiva il 18 giugno Tra gli esponenti degli Spatafora che si impegnarono nella politica religiosa troviamo Annibale Spatafora, il quale prese i voti spinto dalla famiglia ma comunque condividendone l’interesse, e sicuramente il caso emblematico rappresentato dalla vocazione di Bartolomea Spatafora. Bartolomea prese i voti nel monastero di Santa Maria dell’Alto, è probabile che accanto ad una sincera vocazione sia confluito nella fanciulla un forte desiderio di autorealizzazione e di affermazione del proprio rango: era appena adolescente, ma sapeva già che il ruolo tradizionale di moglie e madre non era quello che faceva per lei e già a 14 anni rifiutò qualsiasi proposta di matrimonio fattale dai fratelli e prese i voti, a 23 anni divenne poi abbadessa. Non siamo a conoscenza del grado di istruzione raggiunto da Bartolomea, ma sicuramente possedette conoscenze non frequenti in una monaca, come è testimoniato da una lettera di protesta da lei inviata all’abbate Pietro Ansalone, nella quale ella mostrò non solo la sicurezza di chi era abituato a dare ordini, ma anche nozioni di diritto canonico che dovettero provenirle dalla lettura approfondita di testi giuridici. Nella lettera, la Spatafora protestava contro l’abuso di potere esercitato dall’abbate nei confronti del monastero, poiché egli aveva predisposto l’allontanamento di alcune monache da Santa Maria dell’Alto senza il preventivo consenso dell’abbadessa. Il suo abbatissato si concluse nello stesso periodo della chiusura del concilio di Trento nel 1563. Conclusioni La famiglia degli Spatafora, quindi, deve la sua grande importanza alla propria abilità nel riuscire ad affermarsi nelle città, partecipando alle magistrature urbane, pur continuando (grazie anche ad un’accorta politica matrimoniale) a mantenere e ampliare i propri possedimenti feudali. Come abbiamo visto, poi, anche l’occupazione di importanti cariche ecclesiastiche permise ai membri della famiglia di far risaltare la propria personalità di spicco e far sì che essi siano ancora oggi ricordati tra la più antica nobiltà siciliana. RIVOLUZIONE FRANCESE La Rivoluzione francese fu un periodo di sconvolgimento sociale, politico e culturale estremo, avvenuto in Francia tra il 1789 e il 1799 (anno in cui Napoleone viene proclamato console), poi allargatosi in Europa. Fu un evento assai complesso e articolato in varie fasi. Le sue principali conseguenze immediate furono: - L'abolizione della monarchia assoluta e la rapida proclamazione della repubblica; - L'eliminazione delle basi economiche e sociali dell'Ancien Régime, il sistema politico e sociale precedente, ritenuto colpevole della disuguaglianza e povertà dei suoi sudditi; - La stesura della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, fondamento delle costituzioni moderne. Premesse La Francia verso la fine del 1700 era una monarchia assoluta governata ancora secondo il modello dell’Ancien Regime da Luigi XVI, il quale concentrava tutti i poteri dello stato nelle sue mani. In questo periodo, poi, la situazione finanziaria della Francia non era affatto buona: le casse dello Stato a erano vuote a causa di un sistema fiscale inefficace e ingiusto, ed erano anche gravate da debiti per sostenere le costosissime spese di Corte per finanziare le guerre e i debiti di gioco del re oltre che i capricci della regina Maria Antonietta. La situazione economica era inoltre peggiorata da una carestia che aveva ridotto notevolmente i raccolti, costringendo alla fame una larga parte della popolazione più povera a causa della scarsità e del costo elevato del cibo. Quindi, la rovina finanziaria dello Stato, la carestia e l'immensa miseria del popolo furono le cause immediate della Rivoluzione francese. Convocazione degli Stati Generali I tentativi di Luigi XVI di riforma fiscale furono oltretutto resi vani dall'ostilità dei nobili e della Corte, allora il ministro delle finanze Necker, di fronte alla gravità della situazione, nel 1788 indusse il re a convocare gli Stati generali (non più convocati dal 1614) per cercare di risolvere la gravissima situazione finanziaria. Gli stati generali disposero anche il raddoppio della rappresentanza del Terzo stato, così da avere un numero di rappresentanti proporzionalmente più corrispondente alla popolazione francese. Gli Stati generali si adunarono a Versailles il 5 maggio del 1789 e furono caratterizzati da un aspro dissidio fra i tre ordini sul modo di votazione: i rappresentanti del clero e della nobiltà sostenevano la necessità di votare per ordine, così da assicurarsi la maggioranza di due contro uno; mentre i rappresentanti del Terzo Stato, numericamente superiori, sostenevano la necessità di votazione per testa. Dopo un mese di dissidio i rappresentanti del terzo stato, il 17 giugno 1789 costituirono l'assemblea nazionale e poiché il re, per impedire all'assemblea nazionale di riunirsi, fece chiudere la sala delle adunanze, essi occuparono la sala dove si giocava la pallacorda. Luogo in cui fecero il giuramento della pallacorda con il quale si impegnarono a non separarsi fintanto che non avessero dato alla Francia una costituzione. La presa della Bastiglia Pochi giorni dopo, di fronte all'atteggiamento risoluto del terzo stato, si costituì l'assemblea nazionale costituente che aveva il compito di dare alla Francia una costituzione; ai primi di luglio si sparse la notizia che il re voleva far intervenire l'esercito per disperdere l'assemblea e ristabilire il proprio governo, per questo il popolo il 14 luglio 1789 si pose in difesa dell'assemblea costituente e assalì la Bastiglia, una vecchia prigione di Stato considerata come il simbolo dell'assolutismo monarchico dove il re rinchiudeva gli oppositori politici. La presa della Bastiglia il 14 luglio 1789 dette inizio alla Rivoluzione francese. Le riforme dell’assemblea Nell’agosto del 1789 l'assemblea costituente abolì i diritti feudali, il 26 agosto votò la dichiarazione dei diritti dell'uomo ispirata in parte dalle idee illuministe di Rousseau come uguaglianza, libertà di pensiero, sovranità popolare, e in parte suggerita dalle analoghe dichiarazioni dei diritti inglese e americana. Il 5 ottobre un corteo, in gran parte composto da donne disperate e affamate, si diresse a Versailles al grido du pain! e dopo aver assalito le guardie penetrò fin nell'appartamento della regina che a stento riuscì a porsi in salvo, dopodiché i reali furono costretti ad abbandonare Versailles e a risiedere a Parigi. I beni della Chiesa, per decisione dell’Assemblea costituente, furono nazionalizzati per stabilizzare il bilancio e al clero fu imposto di giurare fedeltà alla costituzione. Queste riforme miravano a staccare la chiesa francese da Roma e suscitarono una forte opposizione che aprì nel paese un'era di disordini e lotte civili; in questo clima di cambiamento molti membri della nobiltà, tra i quali anche i fratelli del re, si diedero alla fuga, e lo stesso re travestendosi da servo tentò di scappare con tutta la famiglia reale ma a Varennes fu riconosciuto e ricondotto a Parigi. La costituzione del 1791 Nel 1791 l'assemblea approvò la prima costituzione separando i tre poteri dello Stato: - il potere esecutivo era esercitato dal re che divenne il re dei francesi delegato della nazione e non più il re di Francia per grazia di Dio, sancendo la fine della monarchia assoluta; - il potere legislativo era esercitato da un'assemblea che durava in carica due anni; - il potere giudiziario veniva assegnato ai giudici del tribunale civile, del tribunale penale e della Corte di Cassazione. I cittadini che potevano votare dovevano avere un certo reddito, i più poveri venivano esclusi dalle elezioni: questa distinzione violava apertamente la dichiarazione dei diritti. L'assemblea legislativa era composta: a) A destra dai foglianti che erano moderati e fedeli alla monarchia; b) Al centro dagli indipendenti che erano moderati ma non monarchici - detti anche, per disprezzo, la palude per la poco chiara ideologia di appartenenza; c) A sinistra i girondini che erano repubblicani moderati d) e i giacobini o montagnardi perché sedevano sui banchi più alti, erano repubblicani più radicali. Una caratteristica dell'abbigliamento dei rivoluzionari fu l'abbandono dei pantaloni corti, le culotte, tipicamente usati dall'aristocrazia, in favore dei pantaloni lunghi e per questo motivo i rivoluzionari vennero chiamati anche sanculotti. La campagna d’Egitto La campagna d’Egitto fu intrapresa contro la Gran Bretagna, la quale possedeva una micidiale flotta navale comandata dall'ammiraglio Nelson. Napoleone ideò la strategia di colpire l'avversario interrompendo il commercio inglese tra il Mediterraneo e l'India: per realizzare questo doveva costruire una base in Egitto, che era formalmente in mano ai turchi. Napoleone salpò da Tolone nel maggio del 1798 e sfuggendo alla vigilanza della flotta inglese sbarcò ad Alessandria; giunto in Egitto e proclamatosi come liberatore dei paesi dalla tirannide, nel luglio del 1798 sconfisse nella famosa battaglia delle piramidi i mamelucchi, una casta di origine turca che dominava l'Egitto. Pochi giorni dopo, gli giunse la notizia che la sua flotta nella rada di Abukir, sul Delta del Nilo, era stata distrutta dalla flotta di Nelson; Napoleone non si perse d'animo e come prima cosa andò incontro l'esercito turco di Siria – che nel frattempo era stato preparato dagli ottomani – e lo sconfisse nella battaglia del Monte Tabor; tornò poi in Egitto, dove era appena sbarcato l'esercito turco che distrusse proprio nella rada di Abukir. Nel frattempo, le conquiste fatte in Italia in Europa, a causa della seconda coalizione erano andate perdute e la Francia era in pericolo. Napoleone abbandonò l'ora l'Egitto per ritornare in madrepatria. Napoleone torna a Parigi – colpo di stato del 18 brumaio Giunto a Parigi trovo una situazione di estrema difficoltà e il 18 brumaio (cioè il 9 novembre 1799) prese il potere con un colpo di Stato. Sciolse i consigli e il direttorio e creò un nuovo governo facendosi nominare primo console  in tal modo accentrò nelle sue mani poteri eccezionali: potendo nominare ministri, emanare leggi e difendere gli interessi della nazione. Il governo instaurato da Napoleone fu di tipo autoritario perché limitò la libertà di opinione e di stampa, aumentò inoltre il controllo della polizia per sopprimere il dissenso, e centralizzò tutte le funzioni dello Stato nelle sue mani.  Sul piano amministrativo nominò lui stesso i prefetti e i sindaci della città, controllandone direttamente l'operato.  Sul piano economico creo la banca di Francia, introdusse il Franco d'argento e il Napoleone d'oro per contrastare l'inflazione; promosse l'agricoltura, l'industria e il commercio.  Sul piano culturale istituì i licei e riorganizzò l'università e il Politecnico.  Sul piano sociale fece redigere un nuovo codice civile chiamato appunto codice napoleonico che confermò le conquiste rivoluzionarie.  Sul piano religioso, nel 180, firmò un concordato che riconosceva la libertà religiosa e stabiliva il cattolicesimo come “della maggioranza dei francesi”; la chiesa, dal canto suo, accettava le passate confische e riconosceva la legittimità della Repubblica. Ripresa delle operazioni militari in Italia Nel frattempo, le manovre militari non erano cessate e nella primavera del 1800 Napoleone riprese le operazioni militari in Italia: - Sconfisse gli eserciti austriaci a Marengo - Ricostruì la Repubblica cisalpina che venne ribattezzata Regno d'Italia: il Piemonte e il Belgio furono annessi alla Francia. Forte dei suoi successi militari, Napoleone si fece eleggere nel 1802 console a vita attraverso un Plebiscito. Due anni più tardi, il 2 dicembre 1804, mediante un altro Plebiscito, si fece nominare imperatore dei francesi nella cattedrale di Notre Dame a Parigi, ponendosi la corona sul capo da solo e non per mano del pontefice  volendo sottolineare così la superiorità della propria autorità su quella della Chiesa. La nuova monarchia Con questo gesto fu ristabilita la monarchia assoluta. L'anno seguente si fece incoronare il re d'Italia e ponendosi sul capo la corona ferrea pronunciò le famose parole: Dio me l'ha data guai a chi la tocca. La terza coalizione antifrancese La terza coalizione antifrancese, composta da eserciti di Gran Bretagna, Austria, Russia, Svezia e Regno di Napoli, fu fatta per contrastare la minaccia di Napoleone. La prima battaglia avvenne in mare vicino allo stretto di Gibilterra e vide la disfatta della flotta francese per opera dell'ammiraglio Nelson, che però perse la vita nel combattimento. La seconda battaglia fu combattuta ad Austerlitz, in Moravia, nell'attuale Repubblica Ceca, e fu vinta dai francesi che ottennero dall’Austria il Veneto, l’Istria e la Dalmazia, annettendole al Regno d'Italia. Sconfisse e cancellò il sacro romano impero germanico che esisteva dal 962. L’embargo continentale Per indebolire la Gran Bretagna impose un embargo continentale impedendo agli inglesi di commerciare in Europa.  Invase la Spagna che si rifiutava di applicare il blocco. Qui insediò sul trono suo fratello Giuseppe, ma la Spagna si ribellò ed ebbe inizio una guerriglia.  Il Portogallo si rifiutò di applicare il blocco e fu a sua volta occupato.  Anche lo stato pontificio si rifiutò di applicare il blocco e fu anch'esso occupato, e a causa di ciò Napoleone venne scomunicato. La distruzione della quinta coalizione antifrancese La distruzione della quinta coalizione i francesi segnò l'apogeo della potenza napoleonica; infatti, Napoleone sconfisse nuovamente l'Austria e prese in moglie Maria Luisa, figlia dell'imperatore stesso, dalla quale ebbe l'erede che prese il nome di Napoleone II. La campagna di Russia Napoleone, sempre per imporre il blocco dei commerci, intraprese la campagna di Russia: con 400.000 soldati e senza molte difficoltà arrivò a Mosca, la città fu abbandonata dai russi e tutto fu dato alle fiamme per privare di viveri, riparo e sostentamento l'esercito francese. Per via della strategia della terra bruciata, nell'ottobre del 1812 Napoleone capì che l’inverno sarebbe arrivato implacabile e ordinò la ritirata, ma il freddo, la fame e le malattie, le diserzioni e l'inseguimento dei cosacchi fece sì che rientrassero in Germania solo 25.000 dei soldati dei 400.000 partiti. La sesta coalizione antifrancese La sesta coalizione segnò il declino di Napoleone; infatti, gli eserciti di quasi tutte le nazioni d’Europa si scontrarono a Lipsia nel 1813, in quella che fu chiamata la battaglia delle Nazioni. A seguito di numerose defezioni e tradimenti, Napoleone fu sconfitto e costretto a ritirarsi. La Francia fu invasa e furono liberati tutti i paesi occupati dai francesi; venne restaurata la monarchia e Napoleone fu quindi costretto ad abdicare in favore di Luigi XVIII, fratello di Luigi XVI, e a ritirarsi sull'isola d'Elba. Il governo dei 100 giorni Nel febbraio del 1815, Napoleone fuggì dall'isola d'Elba e sbarcò in Francia; acclamato dalla folla si diresse a Parigi facendo fuggire il re, ma il suo governo durò pochi mesi, un periodo noto come i 100 giorni. Gli Stati europei non erano più disposti a tollerare il ritorno di Napoleone e organizzarono settima coalizione antifrancese e il 18 giugno 1815 a Waterloo egli fu sconfitto definitivamente dalle truppe inglesi e prussiane. Sul trono di Francia tornò ad esserci Luigi XVIII e Napoleone fu esiliato sull’isoletta di sant’Elena, in mezzo all'atlantico, dove morì il 5 maggio 1821.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved