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Riforma Protestante in Europa: Lutero, Zwingli, Calvinista, Anglicana e Chiesa Cattolica, Sbobinature di Storia Moderna

La Riforma Protestante in Europa, con un focus su Lutero, Zwingli, Calvinista e l'Anglicana. Vengono trattati i consigli civici di Zwingli e Calvin, la separazione della Chiesa dallo Stato, la forte disciplina imposta dalla Chiesa Calvinista, il ruolo di Carlo V e la nascita del termine 'Protestante'. Inoltre, vengono discusse le differenze tra eretici e scismatici, la formazione di nuovi ordini religiosi e le critiche al giansenismo.

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

Caricato il 26/09/2022

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Scarica Riforma Protestante in Europa: Lutero, Zwingli, Calvinista, Anglicana e Chiesa Cattolica e più Sbobinature in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Capitoli manuale storia moderna per storia delle donne CAPITOLI 11-14-26-30.10 Capitolo 11: la Riforma Protestante Da tempo si vuole la fine della corruzione della chiesa, con lo Scisma d’Occidente (1378-1417) risolto al Concilio di Costanza (1414-1417) con l’elezione di Martino V, ma un nuovo problema con le “Dottrine Conciliaristiche” che vedono i Concili superiori al Papa. Nel 1400 i papi fanno un processo di centralizzazione con un malcontento dei fedeli: lusso, mondanità, e con l’umanesimo tra laici e chierici c’è il desiderio di “Rinnovamento Spirituale” con la ripresa di un modello evangelico, tornare alle origini, questo anticipato da Erasmo da Rotterdam (precursore di Lutero). - Martin Lutero Nasce in Turingia (Germania) nel 1483, studiava giurisprudenza quando nel 1507 prese il sacerdozio: la sua vita religiosa è ossessionata dalla salvezza, dove la vita è una lotta contro il demonio che tenta l’uomo. Studiò i testi biblici e di teologia all’università di Wittenberg, quando trova la rivelazione “il giusto vivrà in virtù della fede”, da qui parte la dottrina luterana: la “giustificazione per sola fede”. Per Lutero le opere meritevoli (carità, penitenze, pellegrinaggi) sono corrotte dal peccato, visto che Dio non da valore a opere compiute per paura della punizione per desiderio di un premio. La salvezza è un dono di Dio, l’uomo ha un ruolo passivo in questo, è la grazia divina che infonde la fede e rende giusto l’uomo concedendo la salvezza, non si sa chi viene salvato. Egli ha paura di Dio come giudice, ed è per questo che si avvicina alla Scrittura. Lutero critica la teologia scolastica per ricollegarsi alla “Patristica” (teologia dei padri della Chiesa). La vendita di Indulgenze è ciò che indusse la presa di posizione e l’inizio della Riforma → Lutero si avvia verso la riforma per motivi teologici, non perché pensasse che il papato fosse corrotto. Indulgenze = inizia lo scandalo nel 1515 con Papa Leone X con una grande campagna di vendita di Indulgenze (ridurre peccati e pene con un pagamento) al fine di finanziare la costruzione della Basilica di San Pietro a Roma. Per questo Lutero redige in latino le 95 tesi che appese alla porta della cattedrale di Wittenberg il 31 ottobre 1517. La pratica delle Indulgenze si basa sulla “teoria del tesoro dei meriti dei santi” per cui con la mediazione della chiesa per compensare parzialmente/totalmente le pene di persone vive o morte da scontare in Purgatorio c’è un’offerta di denaro. I predicatori inoltre promettono ai fedeli la remissione delle pene ma anche il perdono dei peccati (pentimento sincero o no), cosa che fa solo Dio, e con la moneta l’anima vola dal Purgatorio al Paradiso. Per Lutero le indulgenze fanno prendere una scorciatoia al fedele, ognuno deve sentire un profondo pentimento e accettare le pene. I Santi, secondo la Chiesa, avevano lasciato dei Meriti che potevano essere acquistati dai peccatori. Per Lutero i Santi non esistevano e quindi non esistevano neanche le indulgenze. Non solo le indulgenze vengono attaccate da Lutero, ma anche la stessa Chiesa romana, in quanto sfruttatrice delle chiese tedesche, anche in modo finanziario. ~ Prefazione all’epistola ai romani di Paolo di Tarso. Elementi: uomo è per natura malvagio, solo avvicinandosi a Dio si può purificare. Solo Dio sa chi salvare. Ci si salva grazie alla fede (che è un dono di Dio ad alcuni uomini, non a tutti). Ritorno alle fonti: sola Scrittura; solo grazie ad essa si può raggiungere Dio e la salvezza. - Rottura con Roma Lutero voleva solo una disputa teologica, non una ribellione da Roma, ma le tesi tradotto in tedesco e stampato provoca consenso, soprattutto grazie alla Stampa che raggiunge tutti gli strati della popolazione. Anche le immagini ritraggono Lutero come difensore della Germania oppressa da Roma e il Papa come il demonio. Lutero elabora la sua dottrina, formando 3 scritti nel 1520, nei quali nega l’autorità del Papa e come guida la “Chiesa di Cristo”, quindi c’è un ritorno alle origini promosso dall’umanesimo (Erasmo da Rotterdam) sul piano linguistico, culturale e artistico. La dottrina si basa sulla “Sola Fide” e sulla “Sola Scriptura”, si stabilisce un rapporto diretto tra Dio e il fedele senza alcuna intermediazione della chiesa o sacerdote. Lutero abolisce tutte le innovazioni prodotte dalla Chiesa: il monachesimo, il celibato dei preti, i sacramenti (solo battesimo e eucarestia) e il Purgatorio (nato nel XII secolo). Nacque il “principio del sacerdozio universale” dei credenti, nessuno status per distinguere laici e chierici. C’è un ritorno ad Agostino e ai padri della Chiesa. La reazione di Roma giunge nel 1520 con una bolla di minaccia di scomunica per Lutero, ma egli la bruciò (diritto canonico = atto simbolico). L’imperatore di Germania Carlo V ricevette Lutero il 17 aprile 1521, a cui è chiesto di ritrattare gli scritti, Lutero non accetta e viene scomunicato e messo al bando dell’impero, ma il Duca di Sassonia lo aiuta e lo nascose in un castello dove tradusse la Bibbia in tedesco. - Risultati in Germania Arrivano le tensioni della nuova dottrina: “guerre dei contadini” (iniziativa pacifica, ma poi violenta) principalmente di Svevia 1524-1525, e le rivendicazioni sono redatte in articoli nel 1525: riduzione decima, ripristino delle prerogative delle comunità rurali tolte dai signori laici e ecclesiastici (diritti caccia e pesca, 1 taglio legna), canoni di affitto e prestazioni giusti. Questa forza nel rivendicare è dovuto dal sentimento di giustizia e coesione con richiami al vangelo. Lutero è contro le pretese contadine e la violenza e si mostra favorevole ad una loro repressione: questo per il suo ideale, dove la libertà del cristiano è solo interiore, la realtà terrena non deve interessarlo, quindi si deve rispettare il potere politico, in quanto stabilito da Dio per mantenere l’ordine (posizione conservatrice). La “chiesa Luterana” divenne una “Chiesa di Stato” amministrata da commissioni di laici e ecclesiastici che rispondono al principe territoriale o governo cittadino. - Polemica di Erasmo Nel 1524 Erasmo discusse con Lutero, anche se hanno molto in comune (ritorno al cristianesimo evangelico). Si contesta la concezione dell’uomo: al pessimismo di Lutero, Erasmo contrappone la libertà di scelta dell’uomo (libero arbitrio) che, anche se intaccata dal peccato, esiste ancora (anche se passiva nella salvezza, non è utile informare il popolo). Erasmo ritiene utile la confessione che trattiene dal commettere il male, ma alle posizioni elitarie di Erasmo, Lutero dice che la Riforma ha “carattere popolare”, quindi necessario informare il popolo, e contro la confessione (ci si confessa per paura dell’inferno, o desiderio di premio, non onesto). Carattere elitario dell’umanesimo = Erasmo pensava che “É meglio non rivelare certe verità al popolo”. Erasmo ha una visione più moderata, causata da un mondo cristiano già molto diviso dai conflitti, mentre per Lutero le spaccature mostrano la rinascita del vero spirito cristiano. Quindi Erasmo è accusato da protestanti di non rispettare le teorie del cristianesimo evangelico e da Roma per aver creato le basi teoriche delle teorie protestanti. Erasmo scrisse il “Libero arbitrio” mentre Lutero gli rispose nel “De servo arbitrio”. Erasmo non diventò mai protestante a causa dei disguidi sul libero arbitrio, e rimase cattolico. - Riforma in Svizzera Ulrich Zwingli = più importante riformatore nella svizzera tedesca, cappellano della cattedrale di Zurigo, anche lui vuole il ripristino della semplicità evangelica, e nel 1519 Lutero lo spinge alla Riforma. Con il Consiglio civico (gruppo dirigente città) Zwingli smantella la Chiesa cattolica e mette quella riformata, con spunto all’umanesimo e alle teorie di Erasmo. Quindi nega l’eucarestia (transustanziazione) in quanto ricordo dell’ultima cena. Si diffonde la Riforma da Zurigo generando conflitti con cantoni cattolici, dove muore Zwingli nel 1531. - Calvino Nasce in Francia nel 1509, formazione umanista che lo porta ad aderire alla Riforma. Nel 1534 scappa a causa delle persecuzioni di Francesco I, andando a Basilea (1536 pubblica la sua opera), poi alla corte di Ferrara, e Ginevra dove consolida la Riforma. Ginevra vuole sottrarsi al signore feudale (vescovo) aiutato dai Duchi di Savoia. Il governo cittadino resiste e lo esilia nel 1538 ma poi richiamato nel 1541, visto che l’oligarchia patrizia a capo della città vede necessaria la sua guida spirituale. Fino alla sua morte nel 1564 la sua azione riformatrice si identifica nella città, che vuole trasformare nella nuova Gerusalemme. Dottrina di Calvino ⇢ si concentra sull’onnipotenza di Dio, sovrano del creato che governa secondo il suo disegno. Da qui deriva la sua dottrina della “Doppia predestinazione”: Dio crea solo alcuni prescelti alla salvezza mentre gli altri condannati alla perdizione eterna, queste decisioni divine sono incomprensibili all’uomo e indiscutibili. I prescelti non posso vantarsi e i dannati lamentarsi. Questa dura visione diventa “fonte di energia positiva”, non ci si preoccupa della libertà individuale ma ci si sottomette alla volontà divina, serve fiducia, vera fede, che spinge il fedele a dare il massimo nella sua esistenza. Calvino riprende l’idea di Lutero della “Chiesa Invisibile degli eletti”, composta solo dai pochi eletti (disegno invisibile). Ci sono però dei segni dell’appartenenza: l’appartenenza alla chiesa e attuare la propria vocazione che Dio assegna a ciascuno. Anche Calvino pensa alla Transustanziazione (nega presenza reale di sangue e corpo nell’eucarestia), ma pensa che è un momento essenziale nella conciliazione con Dio. Il concetto di “Vocazione": ciascuno ha un suo dovere da compiere deciso da Dio, e chi lo compie in ogni atto ha un valore religioso, e da qui nasce “l’Attivismo Calvinista” (opposto a Lutero, vita terrena poca importanza), dove la storia è segno della Provvidenza Divina. Secondo Calvino = l’uomo deve compiere il dovere datogli da Dio. Il calvinista, a differenza del luterano non aspetta che si compia il suo destino ma agisce e cerca di compiere i compiti assegnati ad esso. La chiesa Calvinista è una “Chiesa militante” nella storia per realizzare i disegni divini. Nel saggio del sociologo M.Weber di inizio ‘900, si dice che la vocazione calvinista spinge a interpretare i profitti delle proprie attività come prova del favore divino, contribuendo alla mentalità capitalista (Calvino acconsente ai prestiti con tassi di interessi). La visione di Weber non è storica o economica ma sociologica, individuando nella mentalità calvinista il modello tipico di mercante che considera il guadagno come benedizione divina, utilizzato per investimenti o per aiuto ai poveri. Ginevra: nel 1541 Calvino mette le basi della struttura della sua chiesa secondo il modello del Nuovo Testamento, istituisce 4 ordini: pastori o ministri (per culto e predicazione), dottori (educazione e difesa ortodossia), diaconi (assistenza malati), 12 anziani laici=presbiteri (scelti dal consiglio cittadino, vigilare sui cittadini nei 12 distretti). Anziani e pastori formano il Concistoro, che controlla gli aspetti della vita morale e 2 • Duca di Savoia, pace dell’Aia (1720) [guerra della quadruplice alleanza] = deve scambiare la Sicilia, data all’Austria, con la Sardegna, conservando il titolo regio. • Spagna di Carlo di Borbone, pace di Vienna (1738) [guerra di successione polacca] = ottiene i regni di Napoli e di Sicilia (conquistata nel 1734). • Austria, pace di Vienna = ottiene il Ducato di Parma e Piacenza. • Filippo di Borbone, pace di Aquisgrana (1748) [guerra di successione austriaca] = ottiene il Ducato di Parma e di Piacenza. La sostituzione dell’impero d’Austria alla Spagna favorì una rinascita delle posizioni ghibelline e dell’anticurialismo, che contestava l’autorità assoluta del Papa. Vittorio Amedeo II da duca di Savoia a re di Sardegna → Lo Stato sabaudo comprendeva feudi e territori uniti dal legame dinastico nei confronti della famiglia dei duchi di Savoia. A differenza degli Stati italiani, avevano un carattere cittadino, esso manteneva una natura signorile-feudale, ed era composto di 4 domini principali, che avevano istituzioni e tradizioni distinte: il Ducato di Savoia, la contea di Nizza, il Ducato di Aosta e il principato del Piemonte. Quando salì al potere Vittorio Amedeo II (1684-1730) dovette affrontare il problema con la Francia. Nel 1686 Luigi XIV, che aveva abrogato l’editto di Nantes, gli impose di colpire la comunità valdese, che fu massacrata. Nel 1696 lo Stato sabaudo ottenne dalla Francia la restituzione di Pinerolo. Nella guerra di successione spagnola egli pensò di espandersi verso lo Stato di Milano. Vittorio II, ispirandosi al modello francese, stabilì nelle province dei rappresentanti del potere centrale, gli intendenti. Per potenziare l’esercito, riorganizzò le finanze e la riscossione delle imposte e avviò un nuovo catasto delle proprietà fondiarie. Tra il 1723 e 1729 furono emanate le costituzioni, una raccolta ordinata delle leggi vigenti con l’obiettivo di unificare la legislazione. Vittorio II riservò le più alte cariche dell’esercito alla nobiltà, di solida tradizione militare, ma nell’amministrazione impiegò funzionari di origine borghese. Grazie ad una riorganizzazione dei feudi, furono distribuiti a funzionari e amministratori dei territori, in modo da creare una nobiltà di servizio. Per quanto riguarda la Chiesa = adottò un rigoroso giurisdizionalismo, rivendicando il diritto di nomina dei vescovi e intervenendo in attività come l’istruzione e l’assistenza, gestiti in genere dal clero. Inoltre promosse il rinnovamento dell’università di Torino e creò la prima rete di scuole secondarie in Italia. Il regno di Sardegna = solo Stato italiano ad avere un esercito in grado di competere con le grandi potenze europee. Grazie a esso il figlio di Vittorio, Carlo Emanuele III (1730-1775), fece ampliamenti dei confini ai danni dello Stato milanese. A parte l’abolizione della feudalità in Savoia nel 1771 e il ridimensionamento del potere dell’aristocrazia feudale e della Chiesa in Sardegna, egli non adottò una politica riformatrice. Il papato → Dopo aver contrastato agli inizi del Settecento gli attacchi del giurisdizionalismo, la chiesa assunse un atteggiamento più moderato e accettò di fare delle concessioni nei concordati stipulati con i regni di Sardegna, di Napoli e con la Spagna. Nel 1740 l’elezione di Papa Benedetto XIV (1740-1753) sembrò aprire una fase di apertura al pensiero europeo. In questo clima si colloca l’opera di Muratori, un archivista e bibliotecario dei duchi di Modena, che si dedicò a diversi lavori di storia e a favorire il rinnovamento del gusto letterario. Sul piano religioso, Muratori si ispirò a un cattolicesimo illuminato, moderato e fedele alla dottrina della Chiesa. In un’opera del 1747, più volte rielaborata per evitare una condanna da parte di Roma, egli auspicò che nel popolo si stabilisse una fede semplice e pura, e criticò gli eccessi della religiosità controriformistica, per es. la devozione per i Santi e per la Vergine, nel culto delle reliquie e delle immagini sacre… Le speranze suscitate dall’elezione di Benedetto XIV andarono esaurendosi nel corso del suo pontificato. La seconda metà del Settecento fu per la Chiesa cattolica un periodo difficile: per gli attacchi della cultura illuministica e per le politiche giurisdizionalistiche messe in atto da tutti gli stati italiani. Molti sovrani rivendicarono il diritto di nominare i vescovi, proibirono l’ulteriore accrescimento delle proprietà inalienabili della Chiesa vietando nuove donazioni, e colpirono o limitarono le immunità di cui godeva il clero: immunità reale (l’esenzione fiscale delle sue proprietà), immunità personale (il diritto dei suoi membri di essere giudicati da un tribunale ecclesiastico), immunità locale (la giustizia civile non poteva arrestare i delinquenti che si fossero rifugiati in luoghi sacri). L’ostilità generale si riversò contro i gesuiti, perché avevano fatto un voto di sottomissione al Papa che li sottraeva all’autorità dei vescovi, e per la funzione di educatori dei figli delle classi alte. La chiesa dovette anche fronteggiare le critiche del giansenismo che, diffuso nel Settecento dalla Francia e dai Paesi Bassi in Olanda, in Germania e anche in Italia, lasciò sullo sfondo le tematiche teologiche alle quali erano legate le sue origini e sostenne: una concezione rigida della morale cristiana + contestò l’autorità assoluta del Papa e della curia rivendicando l’autonomia e la centralità dell’azione pastorale dei parroci e dei vescovi. Primo Stato a espellere i gesuiti = Portogallo (1759) , seguito dalle corti borboniche: Francia, Spagna, regno di Napoli e il Ducato di Parma. Questi Stati fecero pressioni sul Papa per ottenere lo scioglimento della Compagnia, decretata nel 1773 da Clemente XIV. La Compagnia rinacque nel 5 1814. Il provvedimento obbligò gli Stati a prendersi cura dell’istruzione per colmare il vuoto lasciato dall’ordine. Prevalse nella Chiesa un atteggiamento di difesa del centralismo romano e di chiusura al mondo moderno, culminato nella condanna di tutta la cultura illuministica. Come sovrani temporali, i papi non promossero importanti riforme. Lo Stato rimase arretrato sul piano amministrativo e finanziario; sul piano economico-sociale alle zone più progredite si opponeva il Lazio, dominato dai latifondi delle grandi famiglie aristocratiche. Pio VI (1783-1788) portò a compimento la bonifica delle paludi pontine, già avviata da Benedetto XIV, ma gli effetti di questa furono vanificati dall’assegnazione di queste terre a speculatori e proprietari assenteisti. Carlo III di Borbone → salì sul trono nel 1734 e subito avviò un processo di riforme: fece tassare i beni ecclesiastici, migliorò la giustizia civile e penale e fu avviata la redazione di un catasto. Molte delle riforme promosse fallirono a causa della resistenza dei poteri colpiti, es. i baroni e le comunità locali. Nel 1759 Carlo partì da Napoli per assumere la corona di Spagna (re Carlo III) e lasciò al figlio Ferdinando IV il regno di Napoli. Riprese la politica giurisdizionalista, espellendo i gesuiti nel 1767 e stabilendo altri vincoli alla proprietà degli enti ecclesiastici, ma non diede continuità ai suoi interventi. Ferdinando VI → fu molto influenzato dalla moglie Maria d’Austria, figlia di Maria Teresa, che tentò di rafforzare il legame della corte con l’impero d’Austria. Importanti risultati ottenne l’azione del viceré D.Caracciolo in Sicilia, che abolì l’Inquisizione (1782). Terremoto del 1783, provocò migliaia di morti e gravissimi danni in Calabria e in Sicilia = con i beni confiscati agli enti ecclesiastici della Calabria si istituì una cassa con l’intento di favorire i contadini, ma la maggior parte della terra finì nelle mani di notabili locali. Le riforme cercarono anche di sciogliere quel nodo che bloccava il progresso della società e dell’economia, cioè il fatto che gran parte della popolazione era sottoposta alla giurisdizione feudale, schiacciando i contadini. Riforme nella Lombardia austriaca → Guerre di successione = per due volte i governatori austriaci furono costretti a lasciare Milano, occupata dagli eserciti nemici (1733 dai franco-piemontesi; 1745 dagli spagnoli di Filippo di Borbone, poi duca di Parma), e a rifugiarsi a Mantova. Alla pace di Aquisgrana lo Stato milanese, unito nel 1736 al Ducato di Mantova a formare la Lombardia austriaca, era dimezzato rispetto al periodo spagnolo. L’impulso delle riforme venne dalla volontà della monarchia austriaca di promuovere una profonda trasformazione dell’amministrazione e delle finanze. All’inizio le riforme = aspetto tecnico- burocratico: riorganizzazione delle imposte e dei dazi comportò un guadagno per le casse dello Stato; per la gestione del debito statale fu creato un banco pubblico; le cariche pubbliche non furono più vendute, ma attribuite ai più capaci; fu portato a compimento il catasto dei terreni e dei fabbricati. Il catasto, entrato in vigore nel 1760 (da quell’anno ci fu una seconda fase di riforme portata avanti da Maria Teresa), riorganizzò su basi razionali il sistema finanziario, stabilendo un’imposta fondiaria proporzionale al valore delle terre. L’amministrazione delle comunità locali fu affidata a proprietari sotto il controllo di funzionari nominati dal governo. Progressivamente la riscossione delle imposte venne effettuata dagli organi statali, esautorando i gruppi privati. Fu attuata anche una politica giurisdizionalistica: legge sui possedimenti ecclesiastici, attribuzione della censura a una commissione statale, limitazione dell’Inquisizione fino alla sua cancellazione. Rinnovata anche la pubblica istruzione e le università. Illuminismo milanese → La cultura illuministica che si affermò a Milano prese il nome di “Accademia dei pugni”, dato loro dagli avversari, perché esprimeva con efficacia il loro spirito di ribellione contro la vecchia società e la vecchia cultura. Pietro Verri fu l’ispiratore e la guida del gruppo, che comprendeva anche Alessandro Verri e C.Beccaria. Pietro fu l’esponente più lucido e consapevole della cultura illuministica in Italia. Loro fondarono nella metà del ‘700 la rivista “Il Caffè”, che, ispirandosi al giornalismo inglese, si batté per un profondo rinnovamento della tradizione letteraria e linguistica, nell’intento di aprire la vita intellettuale italiana alla nuova cultura europea. Dal gruppo emerse nel 1764 il trattato “Dei delitti e delle pene” di C.Beccaria, il quale ebbe un grande successo anche in Europa. Beccaria affermò che la legislazione deve tendere a realizzare la maggior felicità possibile per il maggior numero possibile, e criticò, in nome dei diritti dell’umanità, le pratiche della giustizia penale, che prevedevano tortura ed esecuzioni capitali, decise in processi a rito segreto e privi di qualsiasi garanzia per gli imputati. Egli rifiutava la pena di morte, che non è utile alla società e non può essere prevista dal contratto sociale in quanto nessuno può cedere allo Stato il diritto di togliergli la vita; proponeva in sostituzione i lavori forzati. Giuseppe II d’Austria → Con il suo avvento si ebbe una radicalizzazione delle iniziative riformatrici. Anche nei suoi domini italiani, egli diede molta attenzione alla politica ecclesiastica, nell’intento di creare una Chiesa nazionale sottoposta al controllo dello Stato = soppresse l’immunità reale del clero e l’immunità personale. Politica radicale nei confronti dei privilegi nobiliari = abolì il Senato (1786), simbolo del potere dei patrizi. In economia = promosse lo scioglimento delle corporazioni, unificando il mercato con l’eliminazione delle dogane interne e adottando la libertà di commercio dei grani. Nel 1786 accelerò la creazione di scuole elementari basate sul metodo già adottato in Austria, che prevedeva l’insegnamento collettivo e non individuale. A causa dei malcontenti che queste riforme generarono → Leopoldo II (1790) 6 dovette cancellare molti provvedimenti del fratello e restituire a magistrature e patriziati locali gli spazi di influenza che gli erano stati tolti. Reggenza Lorenese in Toscana → l’iniziativa riformatrice fu promossa dalla nuova classe dirigente guidata da Francesco Stefano di Lorena. Questo, che diventò imperatore (1745), fece ritorno a Vienna lasciando il governo della Toscana nelle mani di un consiglio di reggenza. Anche qui = riorganizzata la riscossione delle imposte e fu applicata una politica giurisdizionalista. Un editto sulla stampa tolse all’autorità ecclesiastica la censura sui libri, limitando il suo intervento alle sole questioni di carattere religioso, un secondo editto vietò agli enti ecclesiastici ogni acquisto di terre senza l’autorizzazione delle autorità statali. Pietro Leopoldo Granduca di Toscana → La svolta avvenne con il figlio di Francesco Stefano, Pietro Leopoldo. Egli si occupò della situazione economica, colpita da una grave carestia. Pietro Leopoldo: stabilì la completa libertà di commercio dei grani, sciolse le corporazioni, unificò il mercato interno; avviò anche la bonifica della Maremma, cercando di sviluppare la piccola proprietà attraverso la concessione ai contadini di lotti di terreno. Quest’azione non ebbe però successo: i contadini preferirono vendere questi lotti ai grossi proprietari, per cui si stabilì anche in quella zona la mezzadria. Pietro Leopoldo fu il primo sovrano ad abolire la pena di morte e la tortura (1786). Politica ecclesiastica = nel 1782 abolì l’Inquisizione e sostenne alcuni programmi di orientamento giansenista, che aspiravano a un ridimensionamento del centralismo papale in nome dell’autonomia dei vescovi di Roma. Pietro Leopoldo lasciò Firenze nel 1790 per succedere al fratello Giuseppe II sul trono austriaco. Stati minori → Ducato di Modena = entrato nell’orbita di influenza dell’Austria. Un centro pieno di iniziative riformatrici e di diffusione del pensiero illuminista fu il Ducato di Parma, dove Filippo di Borbone (1748-1765) fece espellere i gesuiti e nel 1769 abolì l’Inquisizione. Il suo successore cancellò le sue riforme. Nel ‘700 esistevano ancora alcuni Stati repubblicani: Genova e Venezia, ben lontane dalla ricchezza e dalla potenza di un tempo. Queste oligarchie governavano adottando sul piano interno un sostanziale immobilismo, volto a mantenere inalterati gli equilibri istituzionali sui quali si fondava il loro potere. Nei rapporti internazionali scelsero un atteggiamento di neutralità rispettò ai conflitti europei. Loro debolezza = nell’incapacità di riformare le strutture economiche e gli apparati amministrativi. Nel corso del '700 apparvero sempre più evidenti i segni del declino della Repubblica di Venezia. Al calo demografico del patriziato provocato dall’estinzione di diverse famiglie (alla fine del XVIII secolo i membri del maggior consiglio erano circa 1000, a fronte dei 2500 del XVI secolo), si accompagnò la formazione di un gruppo di patrizi poveri. Ciò portò alla concentrazione del potere nelle mani di pochissime famiglie più ricche e influenti, che controllavano le magistrature, le quali avevano un peso decisivo negli equilibri istituzionali. Per rinvigorire il corpo del ceto di governo sarebbe stato necessario aprirlo al patriziato di terraferma, riequilibrando il rapporto fra Venezia e le città suddite. Tutti i tentativi di correzione della costituzione furono sconfitti. Il porto di Venezia risentì della concorrenza di Trieste, a cui gli Asburgo diedero lo status di porto franco nel 1719 (esente da diverse imposte e dazi). Nel 1713, durante la guerra di successione spagnola, Genova riuscì ad acquisire dall’Austria il marchesato di Finale. La Repubblica restava tuttavia esposta alle mire del regno di Sardegna. Quando nel 1743, durante la guerra di successione austriaca, Maria Teresa, per indurre il re di Sardegna a entrare nel conflitto al suo fianco, gli promise di cedere i suoi diritti sul marchesato di Finale, la Repubblica abbandonò la neutralità e si schierò con Francia e Spagna. Le truppe franco-spagnole, dopo i primi successi che le portarono nel 1745 a occupare Milano, furono sconfitte e costrette ad abbandonare la penisola, per cui Genova si trovò senza alleati. I patrizi arrivarono a consegnare la città agli austriaci. Il popolo genovese insorse il 5 dicembre 1746 e, dopo cinque giorni di combattimenti, costrinse gli austriaci a lasciare Genova. Tradizione = ragazzo, soprannominato Balilla, a dare avvio alla rivolta. Nel 1768 Genova cedette alla Francia i suoi diritti sulla Corsica. Le guerre di successione combattute in Italia ebbero conseguenze gravi per la popolazione, colpita dalla crisi economica. Solo a partire dal 1740 l’economia italiana uscì dalla lunga fase di depressione e la ripresa si fece più rapida dopo il 1760. La crescita della produzione agricola, il miglioramento delle condizioni di vita e la scomparsa della peste favorirono l’aumento della popolazione, giunta nel 1800 a 18 milioni di abitanti. Il quadro della società italiana rimase nel complesso statico, caratterizzato da una forte concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani dell’aristocrazia e della Chiesa. La gestione di queste terre si basava sullo sfruttamento del lavoro contadino, attraverso rapporti consolidati come per esempio la mezzadria, diffusa soprattutto nell’Italia centrale, o la relazione tra proprietari terrieri e gabellotti al sud e nelle isole. Attraverso i giornali, le accademie, i salotti, i teatri si creò una rete di relazioni sociali che ridusse il distacco tra la nobiltà e l’alta borghesia. Per contro, l’influenza del clero consolidò nei fedeli una cultura popolare che parlava dialetto e non comprendeva l’italiano, lingua delle classi colte. 7 zar, Napoleone preferì accordarsi (giugno 1807). Alessandro garantì sostegno a Napoleone contro l’Inghilterra se avesse continuato la guerra. Napoleone fu uno dei generali affermatosi nel corso delle guerre della rivoluzione. Alla base dei suoi trionfi = svolta organizzativa e strategica determinata dalla leva di massa e dall’avvento della nazione in armi. La forma del combattimento e l’organizzazione non cambiarono molto rispetto al periodo rivoluzionario. Napoleone fu l’interprete più geniale della nuova strategia imposta dalle guerre della rivoluzione; sua abilità: saper disporre e manovrare con rapidità i corpi d’armata, grazie anche alla straordinaria capacità di movimento delle sue unità, in grado di coprire in tempi brevi distanze enormi. La forza dei suoi soldati fu sempre legata alla sopravvivenza dello spirito rivoluzionario, che si esprimeva nel patriottismo e nella valorizzazione dei meriti individuali. L’Inghilterra, sola contro la Francia, proclamò il blocco delle coste francesi per controllare le navi, soprattutto statunitensi, che commerciavano con la Francia. Sotto la presidenza Jefferson (1801- 1809) erano migliorati i rapporti tra Usa e Francia. Si sviluppò così fra Inghi e Usa una crescente tensione che sfociò in guerra (1812-1814). Napoleone = vietò ogni commercio fra il continente e l’Inghilterra. Il blocco mirava a obbligare Londra a chiedere la pace. La prima conseguenza di queste misure fu la radicalizzazione del conflitto: non era più possibile restare neutrale, in quanto non aderire al blocco equivaleva a schierarsi contro la Francia. Per contrastare il contrabbando di merci, Napoleone fu costretto a ripetuti atti di forza nell’intento di sottoporre al suo diretto controllo le coste. Egli decise di annettersi la Toscana; anche il Papa fu costretto a sostenere il blocco. Nel 1807 i francesi occuparono le Marche, poi annesse al regno d’Italia, e l’Umbria e il Lazio. Il blocco continentale fu alle origini dell’intervento in Spagna. Napoleone si accordò con la Spagna, dove regnava Carlo IV di Borbone (1788-1808), per occupare il Portogallo, alleato dell’Inghilterra e snodo centrale del commercio inglese. Lisbona fu occupata dai francesi nel novembre 1807. In quel periodo, in Spagna = crisi dinastica per cui Carlo IV fu costretto ad abdicare in favore del figlio Ferdinando VII (1814-1833). Napoleone ne approfittò per imporre nel maggio 1808 la corona al fratello Giuseppe. I sovrani spagnoli furono esiliati in Francia. Il brutale intervento provocò la reazione della popolazione che fu repressa dai francesi con le fucilazioni. Napoleone tentò di avviare un processo di modernizzazione, ma la massa della popolazione rifiutò questa prospettiva e diede vita a una violenta sollevazione antifrancese, animata dalla difesa della religione e dall’odio per lo straniero. Napoleone riuscì a entrare a Madrid e il 4 dicembre 1808 a ripristinare il potere del fratello ma, chiamato in patria dal pericolo di un attacco austriaco, non poté ottenere vittorie risolutive. Il Portogallo, dove era sbarcato un gruppo di soldati inglesi, si ribellò al dominio francese. La rivolta spagnola, sostenuta dagli inglesi, continuò sotto forma di guerriglia e aprì nel fianco della Francia una piaga destinata a non chiudersi più. L’insurrezione, chiamata in Spagna Guerra d’Indipendenza, fu sostenuta dall’aristocrazia e dal clero ma non riuscì a creare un forte coordinamento regionale. Nel 1812 le Cortes formarono una costituzione liberale, modellata su quella francese del 1791, che però Ferdinando VII, ritornato sul trono nel 1814, annullò per ripristinare la monarchia assoluta. Con Napoleone impegnato in Spagna, l’Austria si unì all’Inghilterra nella Quinta Coalizione Antifrancese e passò all’offensiva in Baviera. La risposta di Napoleone fu fulminea. Il 12 maggio entrò ancora a Vienna. L’Austria con la pace di Vienna (14 ottobre) dovette cedere Salisburgo alla Baviera, la Galizia settentrionale al Granducato di Varsavia e quella orientale alla Russia. Anche la Francia ottenne diversi possedimenti tra cui Gorizia e gran parte della Croazia con Fiume e Trieste; questi territori furono uniti alla Dalmazia per formare le Province Illiriche dell’impero. Il Trentino passò dalla Baviera al regno d’Italia. Il nuovo ministro degli esteri austriaco, il conte Metternich, ritenendo che era impossibile in quel momento contrastare la potenza francese, convinse la corte di Vienna a concedere a Napoleone la mano di una principessa asburgica. Napoleone sposò il 2 aprile 1810 la figlia dell’imperatore Francesco I, Maria Luisa, che l’anno successivo, il 20 marzo 1811, gli diede l’erede, Napoleone Francesco, che prese il titolo di re di Roma. Napoleone, istituendo una nuova nobiltà, pensò di staccare il suo potere dall’investitura popolare e di radicarlo in una élite culturale-sociale che fosse anche il più solido fondamento della dinastia. I titoli, dati in cambio di servizi resi allo Stato, non implicavano alcun privilegio, erano conferiti alla persona, non alla famiglia. Questa nobiltà aperta a tutti si reclutò fra militari, funzionari, notabili, che costituivano la vera base sociale del regime; Napoleone cercò di ottenere l’adesione anche della vecchia aristocrazia. Il disegno di Napoleone fallì: la rinascita della nobiltà apparve a molti un tradimento dei principi rivoluzionari, e non diede il radicamento della dinastia che l’imperatore sperava. Scuola, i licei e le università = messi sotto il controllo statale; mentre l’istruzione elementare e l’educazione delle fanciulle fu lasciata agli enti religiosi. Venne potenziato e rafforzato l’apparato poliziesco che controllava ogni aspetto della vita culturale e sociale. I giornali, portavoce dell’autorità, furono ridotti nel 1811 a uno per dipartimento (4 a Parigi). Totale fu la sottomissione del clero, che fu obbligato a inculcare la riconoscenza verso l’imperatore, l’obbedienza al governo, il dovere di rispondere alla coscrizione militare e di pagare le imposte. Nel giugno 1800 Napoleone scese per la 2° volta in Italia, situazione politica = molto diversa rispetto al 1796. Gli eventi del 1799 avevano dimostrato che il progetto dell’unificazione nazionale non era ancora 10 maturo a causa dell’arretratezza culturale e civile della popolazione. Si sviluppò nei gruppi politici e intellettuali una riflessione critica sull’esperienza del triennio 1796-1799. La Repubblica era caduta perché sorta da una rivoluzione “passiva”, cioè non nata da un moto spontaneo di popolo ma dalle armi francesi. Essa poi si era basata su idee e istituzioni derivate dalla Rivoluzione francese. Per decidere l’assetto della Repubblica Cisalpina Napoleone convocò una Consulta che nel 1802 approvò una costituzione ispirata ai principi di quella francese dell’anno VIII ed elesse sé stesso presidente della Repubblica, che prese il nome di italiana. La costituzione poneva come organo della sovranità nazionale 3 collegi elettorali composti da centinaia di possidenti, commercianti e dotti, i quali furono nominati da Bonaparte. I collegi eleggevano il corpo legislativo, che approvava le leggi predisposte da un consiglio legislativo nominato dal presidente. La Repubblica italiana fu governata dal patrizio milanese Francesco d’Eril (1753-1816), nominato vicepresidente da Bonaparte. Con la proclamazione dell’impero la Repubblica italiana si trasformò in regno: nel marzo 1805 una delegazione italiana a Parigi offrì all’imperatore la corona di re d’Italia, che egli assunse formalmente in una solenne cerimonia svoltasi nel Duomo di Mi il 26 maggio. Napoleone, messo in disparte d’Eril, affidò il governo del regno d’Italia, con il titolo di viceré, al figliastro Eugenio. Con la nascita del regno d’Italia, l’assetto costituzionale approvato nel 1802 conobbe un’involuzione autoritaria parallela a quella della costituzione imperiale: il corpo legislativo, l’unico organo che esprimeva la voce dell’opinione pubblica, fu abolito nel 1805; i progetti di legge, preparati da un Consiglio di Stato, erano approvati in seduta segreta da un Senato. Pur formalmente autonomo, il regno d’Italia fu sottomesso all’autorità di Napoleone. Grazie alle vittorie, i confini del regno furono ampliati nel dicembre 1805 con il Veneto, l’Istria e la Dalmazia cedute dall’Austria e poi nell’aprile 1808 con le Marche tolte al Papa. Nel 1809 anche il Trentino e l’Alto Adige furono annessi al regno, che dovette rinunciare però all’Istria e alla Dalmazia, unite alle province illiriche. Nel 1809 il regno: 24 dipartimenti e 6,5 milioni di abitanti. L’altro stato formalmente autonomo si formò nel 1806 sul territorio del regno di Napoli, retto da Giuseppe Bonaparte. Nel 1808, quando questi divenne re di Spagna, il regno di Napoli passò a Gioacchino Murat (1767-1815), un generale di cavalleria che aveva sposato la sorella di Napoleone, Carolina. Sotto il regno di Giuseppe, gli inglesi occuparono Capri e Ponza, riconquistate poi da Murat, e sbarcarono in Calabria, con conseguente insurrezione popolare. Tutti gli altri territori della penisola, ad eccezione della Sicilia della Sardegna, entrarono a far parte in tempi diversi dell’impero francese: nel 1802 il Piemonte e il Ducato di Parma e Piacenza, nel 1805 la Liguria, dal 1809 il Lazio e l’Umbria. Toscana → nata in all’inizio come Stato formalmente autonomo (regno di Etruria), entrò a far parte dell’impero francese nel 1807. Il Principato di Piombino fu affidato nel 1805 da Napoleone alla sorella Elisa (1777-1820). In Sicilia gli inglesi imposero nel 1812 ai Borbone la concessione di una carta costituzionale, che faceva balenare agli italiani, in contrasto con l’autoritarismo napoleonico, la prospettiva di un regime di libertà ed indipendenza. Le conseguenze positive e durature della dominazione napoleonica nella penisola sono l’organizzazione amministrativa e la legislazione. L’introduzione del modello francese portò alla formazione di un’organizzazione finanziaria regolare ed efficiente e di un apparato burocratico uniforme e razionale, ordinato gerarchicamente intorno alla figura del prefetto. Punto di vista legislativo, la condizione dei due regni formalmente autonomi non fu molto diversa da quelli dei territori sotto la diretta amministrazione francese. L’entrata in vigore del codice civile cancellò tutti gli istituti che garantivano il rango e il patrimonio delle casate aristocratiche o patrizie. Attraverso il pieno riconoscimento della libertà economica e l’eliminazione di tutti gli ostacoli all’iniziativa privata, si affermò un nuovo concetto di proprietà, destinato a favorire lo sviluppo e l’ascesa della borghesia. Nel regno di Napoli fu importante l’entrata in vigore ad agosto 1806 di un provvedimento che abolì la giurisdizione feudale e tutte le prestazioni di carattere personale. Gli eserciti del regno d’Italia e del regno di Napoli rimasero subordinati alle esigenze militari della Francia e non costituirono mai unità autonome. Essi furono coinvolti in tutte le guerre napoleoniche, anche nella campagna di Russia, ne tornarono solo pochi. La formazione di una forza militare italiana rappresentò un potente fattore di educazione nazionale: dalle file degli ufficiali napoleonici uscirono molti dei patriotti protagonisti dei primi moti del Risorgimento. Economia = la penisola fu subordinata agli interessi della Francia. In Italia l’interruzione delle relazioni commerciali con l’Inghilterra ebbe gravi conseguenze sull’industria cotoniera; difficoltà nell’approvvigionarsi le materie prime. Anche il regno di Napoli fu penalizzato dalla chiusura di ogni sbocco per i suoi prodotti di esportazione. Generale fu la rovina dei porti. Alcuni settori dell’industria furono avvantaggiati grazie alle forniture dell’esercito, es. metallurgiche e cuoio. Base sociale del sistema napoleonico, come mostrano i 3 collegi elettorali della Repubblica italiana era costituito dai notabili, cioè coloro che avevano conseguito una posizione di prestigio e di autorità nella società. In un paese prevalentemente agricolo, era soprattutto il possesso della terra a determinare la gerarchia sociale. L’amministrazione francese, valorizzando conoscenze, competenze tecnico-scientifiche e capacità professionali, aprì un canale di promozione sociale per strati significativi di piccola e media 11 borghesia intellettuale. Non cambiarono molto le condizioni delle classi popolari, che conobbero un certo peggioramento a causa dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari e della tassazione. Malcontento fu generato anche dalla coscrizione militare, un obbligo sconosciuto prima in quasi tutta la penisola, che pesava sui più poveri; i ricchi potevano sfuggirvi pagando un sostituto. Il malessere delle masse popolari, cui condizioni di vita si fecero drammatiche tra 1810-1811, esplose più volte in ribellioni. Sollevazione della Calabria → i contadini, sostenuti dagli inglesi, combatterono fra 1806-1810 una guerra contro l’esercito francese. Il regime napoleonico impiantò nella penisola un sistema di istruzione pubblica, anche se con risultati diversi nei vari ambiti territoriali, ed ebbe il merito di avviare una scuola elementare gratuita e obbligatoria. Stampa, cultura e vita artistica = le autorità imposero con la censura un conformismo rispetto agli orientamenti del regime. Milano si affermò in questo periodo come la capitale culturale dell’Italia; essa ebbe un importante ruolo nell’educazione della nazione, che mirava a porre le basi del futuro Rinascimento politico dell’Italia. I primi dell’800 furono caratterizzati da un moto di rivalutazione della storia, della cultura e della lingua italiana. Nel 1812 Napoleone dominava un impero comprendente 144 dipartimenti e controllava attraverso la rete degli Stati vassalli o sotto protettorato larga parte del continente. La Confederazione del Reno comprendeva tutti gli stati tedeschi, tranne l’Austria e la Prussia, le quali furono più volte sconfitte e costrette a fornire a Napoleone contingenti militari per l’attacco alla Russia (1812). Stati vassalli = Confederazione elvetica e il Granducato di Varsavia, ma soggetti alla sua autorità erano anche gli stati affidati a membri della sua famiglia (la Spagna, Napoli, Vestfalia) o retti da sovrani alleati (Baviera, Sassonia…). Anche Danimarca e Svezia dovettero conformarsi alle direttive napoleoniche. In questa fase iniziarono ad evidenziarsi nel grande impero napoleonico le prime crepe. All’endemica insurrezione spagnola si aggiunse nel 1809 la rottura con la Santa sede. Quando Pio VII lo scomunicò, Napoleone diede l’ordine di deportarlo nel palazzo vescovile di Savona. Pio VII resistette alle pressioni per fargli firmare un nuovo concordato e, rifiutandosi di consacrare i vescovi nominati da Napoleone, provocò una paralisi della Chiesa francese. Il 23 febbraio 1812 Napoleone dichiarò di considerare abrogato il concordato, ma la Chiesa francese rifiutò di separarsi dal pontefice. Il clero e il mondo cattolico divennero un importante fattore di opposizione al regime. Il cattolicesimo riacquistò la sua influenza sulla società. Altro fattore di crisi = blocco continentale che provocò una depressione economica a causa delle difficoltà dei rifornimenti di materie prime per l’industria tessile. Il blocco alimentava il malcontento degli Stati. Il re Luigi Bonaparte si fece interprete di questi interessi e si mostrò riluttante a un’efficace applicazione del blocco. Richiamato più volte dal fratello, fuggì in Austria (1810); il regno di Olanda e tutto il litorale furono annessi all’impero. Il progetto di costringere l’Inghilterra alla resa con l’arma economica era irrealizzabile. Le esportazioni inglesi sul continente erano inferiori rispetto a quelle con i mercati orientali e statunitensi. Altro fattore di crisi del dominio napoleonico = rinascita dello spirito nazionale e del desiderio di indipendenza negli stati soggetti alla dominazione francese. Dopo la sconfitta di Jena nell’ottobre 1806, la Prussia avviò un processo di riforme e di modernizzazione, rinnovando soprattutto l’esercito e l’istruzione. La Prussia si pose alla guida della guerra di liberazione antifrancese: nel 1814 molti volontari accorsero a combattere sotto le sue bandiere. Lo zar Alessandro I mise in atto una politica espansionistica che lo portò a strappare la Finlandia alla Svezia nel 1808 e altri territori all’impero ottomano e alla Persia nel 1812. La sua intesa con Napoleone si era logorata. Danneggiata dal blocco continentale, la Russia fu anche colpita dalla rinascita della Polonia e dall’espansione francese sul Baltico. Il 24 giugno 1812 Napoleone si diresse verso la Russia. I generali russi per evitare lo scontro in campo aperto si ritirarono distruggendo ogni risorsa disponibile. L’esercito francese avanzò nel territorio fra le difficoltà di approvvigionamento. Quando giunse a Mosca il 14 settembre l’esercito francese era decimato dalle perdite e dalle diserzioni. Napoleone si trovò in una situazione critica, dato che Alessandro non rispose alle sue richieste di trattativa. Fu costretto perciò a metà ottobre a ordinare la ritirata, che si trasformò in un calvario poiché i russi obbligarono i francesi a ripercorrere la stessa via dell’andata, dove non vi erano più risorse. Nel gelo dell’inverno russo l’armata fu decimata dal freddo, dalle malattie, dalla fame, dalle diserzioni e dai prigionieri. Intanto la Germania si stava sollevando contro il dominio francese e il re di Prussia si alleò con lo zar Alessandro, lanciando la guerra di liberazione. Napoleone riuscì a sconfiggere le forze prussiane e russe ricacciandoli al di là dell’Elba. Il ministro degli esteri austriaco Metternich in agosto si schierò con Russia, Prussia, Svezia e Inghilterra nella Sesta Coalizione Antifrancese. Questo esercito ottenne una vittoria decisiva a Lipsia, nella battaglia delle nazioni, fra 16-19 ottobre 1813. L’impero francese cominciò a cadere: la Svizzera si dichiarò neutrale; in Olanda un’insurrezione scacciò le truppe francesi; in Spagna gli insorti riportarono sul trono Ferdinando VII. G.Murat (per salvare il suo trono) accettò di collaborare con gli austriaci nell’offensiva contro il Regno d’Italia. Attaccato anche dalla frontiera spagnola dagli inglesi, Napoleone si difese con grande abilità. Intanto, il ministro degli esteri inglese rafforzò 12
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