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Storia moderna dalla riforma alla guerra, Schemi e mappe concettuali di Storia Moderna

Riassunto breve dei momenti salienti delle varie epoche della storia moderna Manuale Ago e Vidotto

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 12/07/2023

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chiara-grassi-2 🇮🇹

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Scarica Storia moderna dalla riforma alla guerra e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! GUERRE D’ ITALIA E FORMAZIONE DEGLI STATI TERRITORIALI La PACE DI LODI del 1454 avrebbe dovuto inaugurare un’epoca di tranquillità ed equilibrio tra i diversi Stati italiani. In realtà si aprì un periodo di congiure destinato a degenerare dopo la morte di papa Innocenzo VIII e Lorenzo de´Medici. A capo della Chiesa fu eletto lo spagnolo Rodrigo Borgia, che prese il nome di ALESSANDO VI→ Costui era dotato di grandi ambizioni e il principale obiettivo della sua politica fu di costituire uno Stato territoriale per il figlio Cesare. Ma fattori di instabilità erano anche la Repubblica di Venezia, e Ludovico il Moro, signore di Milano. Alle mire egemoniche del Papa, di Venezia e di Ludovico il Moro, bisogna poi aggiungere le pretese dinastiche che questo o quel sovrano straniero potevano vantare su molti dei piccoli Stati italiani. Gian Galeazzo Sforza, per esempio, aveva sposato una nipote del re di Napoli Ferrante di Aragona, il quale si riteneva interessato alla successione del Ducato di Milano. A sua volta il re di Francia Carlo VIII avanzava pretese sul trono di Napoli, dal quale gli Angioini erano stati cacciati nel 1442. Le rivendicazioni dei due monarchi si inserivano nella concezione patrimoniale del potere: il sovrano si sentiva investito di diritti di proprietà sui suoi domini e intendeva farli valere per sé e i propri eredi, così come avrebbe fatto per qualsiasi altro bene appartenente al suo patrimonio. ➔ Alle ragioni dinastico-patrimoniali si aggiungevano quelle dell’onore. La gloria militare faceva parte integrante della cultura cavalleresca, di cui tutti i nobili, e i sovrani per primi,erano profondamente imbevuti: principi e re non esitavano a scendere personalmente in battaglia, e con Giulio II si vide persino un Papa cavalcare alla testa delle sue truppe. Ciascuno per le sue ragioni, Ludovico il Moro e la nobiltà napoletana premettero dunque su Carlo VIII per convincerlo a intervenire in Italia. l re di Francia iniziò dunque la sua spedizione, che fu rapidissima. Giunse a Milano, dove fu accolto con tutti gli onori, poi puntò su Firenze, e infine su Napoli, che conquistò quasi senza combattere. Fu l’inizio di una serie di sconvolgimenti politici e militari che devastarono l’Italia per più di un cinquantennio. L’esercito di Carlo VIII si trattenne solo un anno in Italia: sconfitto in battaglia da un’alleanza di Stati, dovette tornare rapidamente in Francia. Riuscì a conservare il controllo sul Ducato di Milano, ma non quello sul Regno di Napoli. E a Firenze la signoria medicea, che gli aveva aperto le sue porte, fu rovesciata da un governo repubblicano ispirato alle idee di Girolamo Savonarola, un frate rigorista il cui obiettivo era di dare vita a una società improntata a costumi ascetici e sostanzialmente egualitaria. In breve tempo la situazione in Italia fu però nuovamente rimessa in gioco. Nel 1498 morì Carlo VIII e il nuovo re Luigi XII volle proseguire la politica di espansione del suo predecessore. ➔ L’Italia era ricca, la regione forse più ricca d’Europa, e la prospettiva di trarne tributi si aggiungeva alle rivendicazioni dinastiche. Le molte corti italiane erano inoltre raffinate, all’avanguardia nel campo artistico e culturale e conquistarne il dominio politico significava ricavarne anche grande prestigio. Questa volta l’azione militare fu preceduta da un’intensa attività diplomatica. Se l’obiettivo di Luigi XII era il trono di Napoli, egli pensò di ottenerlo accordandosi con Ferdinando il Cattolico, a scapito del legittimo sovrano Federico III. L’accordo prevedeva la spartizione del regno tra i due sovrani stranieri: il re di Francia avrebbe ottenuto la Campania e l’Abruzzo, mentre al re d’Aragona sarebbero andate la Calabria e la Puglia. Il trattato però non resse e la guerra che ne seguì si concluse con la sconfitta di Luigi XII, che dovette riconoscere la sovranità di Ferdinando il Cattolico su l’intero Regno di Napoli. Nel frattempo il Papa era riuscito a investire il figlio Cesare Borgia della signoria delle Marche e della Romagna, ma fu un potere effimero. Tentò di approfittarne Venezia, conquistando la Romagna, ma contro di essa si costituì immediatamente una lega, formata dal nuovo Papa, Giulio II della Rovere, e da tutti i più potenti sovrani europei: la Repubblica di Venezia fu sconfitta. A Firenze una prima svolta si era avuta con l’arresto e la condanna al rogo di Savonarola, e l’instaurazione di un regime repubblicano sempre più oligarchico. Nel 1512 questo fu a sua volta sconfitto da un’alleanza guidata dal Papa e fu restaurata la signoria dei Medici. Alla morte del bellicoso Giulio II, il suo successore Leone X cambiò politica, e la pace di Noyon, stipulata nel 1516 tra tutte le parti in conflitto, sembrò porre fine a un ventennio di guerre. Ma già qualche anno dopo nuovi eserciti stranieri invasero l’Italia. CARLO V E L’IDEA IMPERIALE= Al momento della pace di Noyon del 1516, tutti i principali protagonisti delle vicende italiane erano cambiati. A Giulio II era succeduto, Leone X de´ Medici, ma anche Luigi XII e Ferdinando d’Aragona erano morti, e al loro posto erano saliti al trono rispettivamente Francesco I di Valois e Carlo I d’Asburgo. Quest’ultimo tuttavia regnava su territori ben più vasti di quelle del suo predecessore. Infatti Carlo non ereditava solo i domini aragonesi di Ferdinando, ma anche quelli castigliani di Isabella, che comprendevano i nuovi possedimenti americani. Da suo padre Filippo d’Asburgo gli veniva inoltre il dominio dei Paesi Bassi, della Franca Contea (Francia orientale) e di altri territori che erano appartenuti al Ducato di Borgogna. Il giovane sovrano si trovava così a regnare su una molteplicità di territori, diversissimi tra loro per lingua, costumi, istituzioni e per di più senza continuità territoriale. A ciò si aggiunga che da circa un secolo la casa di Asburgo era riuscita a monopolizzare la carica di imperatore del «Sacro Romano Impero della nazione tedesca». Al trono imperiale non si accedeva per diritto dinastico, ma si era eletti da un collegio di sette principi elettori (il re di Boemia, i principi di Brandeburgo, Palatinato e Sassonia, e i vescovi di Colonia, Magonza e Treviri). Grazie all’appoggio finanziario di potenti banchieri tedeschi come i Fugger, Carlo poté letteralmente comprare i voti e fu dunque eletto all’unanimità, sbaragliando gli avversari. Il giovane si trovò così a regnare su un enorme impero, che sembrava riportare in vita quello di Carlo Magno. L’idea che i contemporanei e lui stesso si fecero dei suoi poteri e delle sue responsabilità fu profondamente influenzata da questo paragone, che gli addossava il compito di guidare la cristianità, mantenendola unita nella giustizia e nella fede. L’esercito potente e bene armato e il crescente apparato burocratico, indispensabili al perseguimento di quel progetto, avevano bisogno di essere finanziati, e l’oro e l’argento americani non bastavano. Il drenaggio di risorse cui furono pertanto sottoposti i vari territori dell’Impero, e i dispositivi di controllo che furono messi in piedi a questo scopo, non tardarono a generare tensioni e ribellioni. ISTITUZIONI STATALI NEL ‘500= I Sette principi elettori, che godevano del diritto ereditario di eleggere l’imperatore, erano solo alcuni fra i tanti signori territoriali della Germania del ‘500. Questa era infatti suddivisa in centinaia di Stati, staterelli, città-Stato indipendenti gli uni dagli altri e sottomessi solo all’autorità dell’imperatore. oggi siamo abituati. In materia fiscale la corona godeva dell’importante diritto di imporre un’imposta diretta sulla terra senza dover passare per l’approvazione degli Stati generali. Ciò non toglie che le risorse finanziare fossero cronicamente insufficienti, tanto da suggerire ai sovrani l’idea della venalità degli uffici, vale a dire l’iniziativa di vendere cariche pubbliche: i magistrati delle alte corti di giustizia e di altri importanti tribunali compravano il loro ufficio, versando cospicue somme nelle casse della corona. Questo conferiva loro un diritto patrimoniale, permanente, sul proprio ufficio. Nelle province esistevano gli Stati provinciali, che decidevano la ripartizione dei tributi. La suprema carica militare e civile delle province, quella di governatore, era inoltre appannaggio ereditario di grandi casati feudali. I poteri locali erano dunque assai forti e la monarchia poteva far valere la propria supremazia solo in accordo con essi. Il fattore più importante di unità era costituito dal re stesso e dal carisma che gli veniva dal fatto di essere stato consacrato (si pensava che la consacrazione gli conferisse il potere taumaturgico di guarire certe malattie). Parigi era la capitale del regno, ma il re aveva molte residenze, e i suoi spostamenti dall’una all’altra erano sempre accompagnati da fastose cerimonie. Anche la cultura cavalleresca offriva risorse in questo senso: i tornei e le giostre in onore del re conobbero una grande fortuna proprio nel corso del ‘500, e furono scientemente utilizzati per accrescere il prestigio del sovrano. In materia religiosa, grazie al concordato del 1516, il re di Francia godeva, ancor prima di quello di Spagna, del diritto di nomina ai benefici ecclesiastici e quindi di una notevole influenza sulla Chiesa francese. Come tutti i sovrani contemporanei, anche Francesco I non concepiva una politica indipendente dall’unità religiosa, e cercò quindi di opporsi alla penetrazione delle idee luterane. Malgrado questo la Riforma continuò a fare proseliti, soprattutto con la dottrina calvinista. Di pari passo si intensificarono le persecuzioni, in difesa dell’ortodossia. Parola Chiave:STATO Il termine «Stato», con il quale molte lingue europee indicano la specifica forma di ordinamento politico all’interno del quale viviamo, deriva dal latino status. Lo status era la «condizione». L’evoluzione dall’accezione del termine latino a quello attuale della parola «Stato» fu lenta e graduale, di pari passo con l’affermazione dei princìpi Che oggi consideriamo costitutivi di uno Stato: - la territorialità dell’obbligazione politica e - l’impersonalità del comando politico. Gli Stati cinquecenteschi erano ben lontani dal conformarsi a questo modello. Il processo di formazione dello Stato fu inoltre assolutamente non lineare. Non si trattò di una crescita costante e nemmeno della naturale evoluzione di una struttura imperfetta verso forme meglio definite. Il sistema politico della prima età moderna funzionava secondo princìpi e meccanismi semplicemente diversi da quelli di oggi e le trasformazioni che subì, furono il risultato delle ripetute occasioni di scontro e tensioni, da una parte, e di alleanze e collaborazioni, dall’altra, tra il potere monarchico e tutti gli altri poteri, con i quali dovette confrontarsi.
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