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Storia Moderna di Vittorio Criscuolo, Sintesi del corso di Storia Moderna

Sintesi adatta per l'esame di storia moderna

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 30/09/2020

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Scarica Storia Moderna di Vittorio Criscuolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! RIASSUNTO MANUALE STORIA MODERNA (Vittorio Criscuolo) Capitolo I: Eclissi della modernità Periodizzare è qualcosa che si è reso necessario dal punto di vista umano, periodizzare è una suddivisione del processo storico in fasi o eventi, è un qualcosa di convenzionale creato dall'uomo per cercare di comporre una suddivisione temporale all'interno della linea storica. Dobbiamo essere consapevoli che ogni periodizzazione presenta al suo interno un proprio punto di vista e una propria interpretazione la quale mette sotto la luce alcuni aspetti mentre altri inevitabilmente vengono oscurati o nemmeno presi in considerazione, quindi ogni periodizzazione non è mai neutra. Parlando dell'età moderna, convenzionalmente la data d'inizio è il 1492 ma anche qui ci sono varie interpretazioni, la comunità storica è d'accordo nel dire che l'inizio può essere posto tra la seconda metà del 400 e i primi decenni del 500 mentre per quanto riguarda il passaggio da storia moderna e storia contemporanea si prende in considerazione il periodo tra la seconda metà del 700 e i primi decenni dell'800 attraverso la prima rivoluzione industriale inglese e la caduta dell'ancienne regime le quali portarono uno stravolgimento all'interno dell'Europa occidentale sia dal punto di vista economico-sociale che politico che culturale. Il termine moderno nel latino classico non esisteva, comparve tra la fine del V e l'inizio del VI secolo in una lettera scritta da Cassiodoro in nome e per contro del Re ostrogota Teodorico il quale diede l'incarico a Simmaco di restaurare il teatro di Pompeo. Tra il V e il VI secolo comunque il termine moderno aveva ancora un valore neutro; questo valore cambiò all'inizio del XV secolo con gli umanisti i quali credevano che l'uomo dopo 1000 anni di oscurità e buio (dall'arrivo dei barbari sino al XV secolo) stava ricominciando a progredire (furono ripresi gli antichi modelli classici...). La periodizzazione dell'età moderna si affermò definitivamente nell'800 con lo storico svizzero JACOB BURCKHARDT il quale elaborò il concetti di RINASCIMENTO come l'alba della civiltà moderna, alla base di questa nuova prospettiva storica vi era la fiducia nel progresso di una borghesia europea trionfante, questo progresso però venne anche respinto... da chi? Papa pio IX subito dopo l'unificazione Italiana respinse le tesi di coloro che difendevano alcuni principi della civiltà moderna perché in ambito Cattolico erano visti come la reincarnazione del male assoluto. Possiamo affermare quindi che il CONCETTO di età moderna fu l'espressione di un punto di vista laico, anticattolico, incentrato sull'affermazione dell'individuo che aveva rivendicato la capacità di costruirsi un proprio destino e di conquistarsi la propria libertà di pensiero e conoscenza contro i dogmatismi che precedentemente ne avevano limitato / frenato lo sviluppo. Anche la storiografia negli ultimi anni ha intrapreso nuovi orientamenti: si è affermata la categoria della LONGUE DUREE ovvero la "lunga durata" la quale si focalizza su fenomeni come la vita quotidiana, l'alimentazione, la famiglia, la sessualità.. tutti quanti hanno un'evoluzione lentissimi e spesso impercettibile, quindi all'interno di questi contesti periodizzare non ha molto senso. La storiografia di ispirazione Marxista considera l'economia come il vero motore del processo storico, oltre a questo dobbiamo considerare che ormai è scomparso il pregiudizio che a lungo ha afflitto la storiografia occidentale nel considerare che i popoli dell'Africa e dell'Asia siano privi di storia; da qui nasce la WORLD HISTORY ovvero la "storia globale" che ha lo scopo di interpretare storia non solo dal punto di vista europeo ma anche Asiatico, Africano... Inoltre è importante dire che oggi ci troviamo d'innanzi alla crisi dello STATO NAZIONALE, quest'ultimo è messo in discussione da un lato per la formazione di organismi transnazionali e dall'altro dal rifiorire di piccoli stati i quali vogliono l'indipendenza Ex( Catalani ). In questa situazione si è fatta strada la sensazione di vivere la fine di un'epoca e di essere entrati in una FASE di TRANSIZIONE (quest'ultima venne definita prima come post-industriale per poi essere definita come post-moderna; il termine post non ha un vero significato cronologico sappiamo però che in questa età post-moderna cade definitivamente in concetto di progresso). Capitolo 2: La popolazione Demografia: termine introdotto per la prima volta dal francese Guillard nel 1855. Importante è sicuramente l'interpretazione e l'analisi di Malthus (1766;1834), formulò il problema del rapporto tra la popolazione e i mezzi di sussistenza, in base alla sua teoria la popolazione accresceva secondo una progressione geometrica: 1;2;4;8;16.. mentre le risorse aumentavano solo secondo una progressione aritmetica: 1;2;3;4;5.. Questo squilibrio tra popolazione e mezzi di sussistenza viene periodicamente corretto dai "freni naturali" come le guerre, le carestie, le epidemie. I primi CENSIMENTI relativi alla popolazione e all'economia comparvero nei primi anni dell'800 fra gli stati Europei (oggi si svolgono praticamente in tutti gli stati), in Italia i primi cominciarono dal 1861. Il compito della demografia è quello di ricostruire lo stato della popolazione in base alla sua struttura, entità, sesso, età.. a questo proposito sono molto importanti gli indici di natalità, mortalità e di matrimonio. Per le epoche più antiche c'è la mancanza di dati, si può solo arrivare a una stima approssimata degli abitanti; primi esempi di censimenti furono il DOOMSDAY BOOK del 1085 (catasto delle terre e degli abitanti in Inghilterra), o il catasto Fiorentino del 1427, in generale però i censimenti fatti prima del XIX secolo sono scarsamente attendibili. Ma quindi che fonti si possono utilizzare prima del XIX secolo? Le fonti da tenere in considerazione sono le registrazioni tenute dagli ecclesiastici, col decreto emanato dal Concilio di Trento del 1563 si rese obbligatoria la tenuta dei libri di battesimo e di matrimonio da parte dei parroci; i problemi si pongono nei territori dove eran presenti diverse confessioni religiose Ex: ( in Olanda già dal XVII secolo compaiono i registri della chiesa riformata mentre solo molto + tardi compariranno anche quelli della chiesa Cattolica). Per quanto riguarda la POPOLAZIONE MODIALE abbiamo due punti di svolta:  il primo coincide con la trasformazione della storia dell'umanità avvenuta nell'età neolitica attraverso lo sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento le quali consentirono all'uomo di ottenere con regolarità alimenti facilmente conservabili Ex( cereali) favorendo quindi la crescita della popolazione  a metà del XVIII secolo abbiamo la seconda rottura dell'andamento demografico globale: dall'inizio dell'era Cristiana sino al 1750 la popolazione aumentò in media dello 0.6%, dalla metà de XVIII alla metà del XX secolo si registra un incremento del 5.9 % con un picco del 19% dal 1950 sino agli anni 2000. Negli ultimi sessant'anni gli abitanti del pianeta sono triplicati, anche se il ritmo di crescita negli ultimi decenni è rallentato anche per le politiche di limitazione delle nascite messe in atto da Cina e India. Questo fenomeno è stato definito dagli studiosi come servaggio" più duro di quello che avevano conosciuto i contadini occidentali dell'XI secolo fu favorito dalla debolezza delle istituzioni statali. Per comprendere le caratteristiche dell'economia contadina bisogna innanzitutto dire che il suo modello fu sempre un'agricoltura di SUSSISTENZA ovvero mirava a produrre gli alimenti di cui la famiglia aveva bisogno e quindi il ricorso al mercato era limitato; anche tutto ciò che era necessario alla produzione era prodotto all'interno della stessa azienda familiare Ex: ( concime fornito dagli animali, attrezzi e utensili costruiti e riparati dagli stessi contadini...). Nella maggior parte dell'Europa occidentale le case contadine si trovavano riunite nei villaggi ed è per questo che si parla di un'agricoltura di tipo COMUNITARIA, prevaleva la coltivazione di cereali, frumento, segale e ogni anno veniva garantita la rotazione triennale delle colture per garantire al terreno il necessario riposo (MAGGESE). Nell'ambito dell'agricoltura l'età moderna non portò innovazioni significative tant'é che per far fronte all'aumento della popolazione nel 500 si effettuarono modifiche già viste precedentemente ( bonifiche; abbattimento di foreste..). Capitolo 4: La società preindustriale: manifatture, commercio e moneta Nell'età moderna fino alla rivoluzione industriale vi furono diversi progressi nella tecnologia ma non tali da determinare una svolta nella vita economica. Le innovazioni più importanti si erano registrate nel basso medioevo: IX sec. mulini ad acqua; XII sec. mulini a vento. Agli inizi dell'età moderna si ricordano due innovazioni di straordinaria importanza: 1. La STAMPA 2. La POLVERE da SPARO Non cambiarono molto le tecniche nel settore tessile, si ebbero novità importanti nella lavorazione del cotone, della seta, nel settore minerario e nella siderurgia. Per quanto concerne l'ENERGIA oltre la forza muscolare di uomini e animali le sole fonti disponibili erano l'acqua, il vento e il legname; quest'ultimo serviva oltre che per la cottura dei cibi e il riscaldamento per la fabbricazione di mobili, navi ma soprattutto per attività manifatturiere Ex( nella distillazione della birra, nelle tintorie...) si può quindi affermare che le società preindustriali si fondavano sul legno. Attorno al XVII sec. la crescita demografica, il disboscamento, l'incremento delle costruzioni navali e lo sviluppo industriale portarono a una sorta di crisi energetica; da qui si crearono le condizioni per sfruttare una nuova fonte energetica: il CARBON FOSSILE. In Inghilterra a partire dalla metà del XVI sec. furono aperte numeroso miniere per l'estrazione del carbone che progressivamente sostituì il legno. Nell'Olanda invece il combustibile più usato fu la TORBA formatasi nei secoli sul fondo delle paludi. Questo sfruttamento di un nuovo tipo di energia creava la premessa per l'avvento della rivoluzione industriale in Inghilterra, inoltre per la prima volta si passava da fonti rinnovabili a fonti non rinnovabili. Nell'800 si passerà ad un'altra fonte non rinnovabile: il PETROLIO. Per quanto riguarda il settore secondario non si può ancora utilizzare il termine INDUSTRIA per questi secoli (sino al XVIII sec.), preferiamo parlare di MANIFATTURA, termine che indica le attività, eseguite a mano o a macchina, per trasformare una materia prima in manufatto. Anzitutto bisogna ricordare che, soprattutto nelle campagne, la famiglia produceva da sé ciò di cui aveva bisogno; in questo caso il produttore è al tempo stesso il consumatore. Solo occasionalmente si ricorreva all'acquisto di oggetti in città. Nel tempo questo fatto appena descritto mutò, infatti già nel corso dell'età moderna la domanda di prodotti di lusso ampliò notevolmente, accrebbe soprattutto la domanda proveniente dallo stato per esigenze legate all'armamento e all'approvvigionamento degli eserciti e delle flotte. La maggior parte della produzione manifatturiera era localizzata nelle città ed era organizzata su base individuale o familiare, nella forma dell'artigianato; a partire dall'XI secolo i vari settori del lavoro artigianale erano organizzati nelle ARTI e CORPORAZIONI, membro di quest'ultima era il maestro padrone della bottega (aveva presso di sé uno o più apprendisti i quali pagavano per imparare il mestiere). Le funzioni principali delle corporazioni erano: difesa del monopolio della produzione da possibili concorrenti esterni, riduzione della concorrenza fra i membri in modo da garantire stabilità. Nel 700 gli illuministi criticarono queste corporazioni ritenute responsabili di ostacolare la libertà del lavoro frenando quindi lo sviluppo dell'economia. Nell'età moderna la crescita dell'economia determinò un aumento degli scambi commerciali e lo sviluppo di nuovi traffici marittimi; rimase prevalente il trasporto su acqua, più veloce e più economico rispetto al trasporto via terra. Ci furono migliorie della tecnica marinara e della cartografia, dal XV secolo venne perfezionata anche la bussola e l'uso del quadrante tant'è che resero possibili le navigazioni in mare aperto; questa capacità (navigare in mare aperto) segnò la netta superiorità Europea rispetto alle altre parti dl mondo. Ci furono molte novità nelle costruzioni navali, sino al XVII secolo rimase la galea per le flotte Genovesi, Veneziane e Ottomane; i paesi atlantici invece svilupparono le navi a vela e il veliero; l'evoluzione delle navi a vela fu: la CARAVELLA Portoghese, quest'ultima fu il mezzo ideale per i viaggi d'esplorazione ma non era adatta al commercio alla guerra. L'evoluzione del veliero fu il galeone dotato di un forte armamento fu ideato per e guerre e per il trasporto di merci. Uno dei rischi del COMMERCIO MARITTIMO era l'attacco da parte dei PIRATI, dalla pirateria va distinta quella senza un fine politico e la guerra di corsa la quale veniva esercitata su consenso del governo contro le navi dello stato nemico; venne definitivamente abolita nel Congresso di Parigi del 1856. COMMERCIO: all'inizio dell'età moderna il bacino mediterraneo rappresentava ancora un nodo centrale dei traffici commerciali fra l'Europa e l'Asia, le navi trasportavano cereali, prodotti agricoli, lana, rame, stagno, piombo, in particolare dalla Cina, dall'India e dall'Indonesia giungevano la seta e le SPEZIE (pepe, zenzero, chiodi di garofano..) Il traffico delle spezie era molto importante: erano portate dall'Oriente da mercanti musulmani attraverso il golfo Persico e il mar Rosso, giungevano a Tripoli, Beirut, Alessandria da dove venivano imbarcati su navi veneziane e genovesi; da qui venivano trasportate in Germania o attraverso il Rodano in Francia e nelle regioni del Nord Europa. In questo periodo si svilupparono molto i commerci nei mari del Nord, nel basso medioevo si era formata la potenza delle HANSA (lega che riuniva molte città sulla costa del mare del Nord e del mar Baltico), ma a partire dal XV secolo il suo ruolo fu man mano ridimensionato. LUBECCA tentò di difendere la sua supremazia economica ma venne sconfitta dalla Svezia nel 1535. Nel 600 i traffici di questi mari furono dominati dalle navi Olandesi, Russe e Polacche, dalla seconda metà del 600 ci fu la progressiva ascesa della marineria Inglese la quale in poco tempo rubò il primato agli Olandesi. L'età moderna però fu caratterizzata soprattutto dallo sviluppo dei traffici oceanici, i Portoghesi nel 1498 riuscirono a raggiungere l'India circumnavigando l'Africa, così poterono prendere le spezie direttamente dai produttori senza l'intermediazione Veneziana, tuttavia Venezia rimase per tutto il 500 LA potenza nei traffici mediterranei, il suo declino cominciò verso la fine del secolo con l'arrivo di navi Olandesi e Inglesi. In definitiva i commerci Mediterranei rimasero vivaci ma assunsero un posto sempre più marginale rispetto alle nuove rotte commerciali che si affermarono nell'età moderna. L'incremento degli scambi commerciali rese sempre più inadeguato un sistema basato su un'unica moneta (Carlo Magno VIII sec.), nella seconda metà del XIII sec. Firenze e Genova coniarono il fiorino e il genovino d'oro, seguirono poi Venezia con il ducato e la Francia con lo scudo. Si passò quindi dal monometallismo a un sistema di bimetallismo nel quale il valore della moneta era legato al valore dell'argento e dell'oro; questo sistema rimase in vigore sino alla fine del XVIII sec. L'Europa dunque non conobbe la carta moneta utilizzata invece fin dal XIII sec. in Cina. N.B.: le monete d'oro venivano utilizzate soprattutto negli scambi internazionali, nelle transazioni finanziarie e nel commercio all'ingrosso mentre le monete di piccola taglia servivano soprattutto per le compravendite quotidiane e per il pagamento dei salari. N.B.: Con l'afflusso dei metalli preziosi dalle colonie Spagnole nel XVI sec. si verificò un forte incremento della massa monetaria, Hamilton definisce l'economia Europea del XVI sec. come una vera "rivoluzione dei prezzi". Capitolo 5: La società di ordini: la gerarchia sociale Nella società di antico regime il posto di ciascun individuo veniva stabilito sin dalla nascita, in una scala gerarchica considerata perfetta perché stabilita dal volere divino. Fin al 1789 la società fu fondata sulla tradizionale suddivisione in tre ordini distinti: - coloro che pregano (clero), - coloro che combattono (nobiltà), - coloro che lavorano e che quindi producono i beni necessari alla sussistenza di tutti. La società di antico regime aveva quindi gli ordini cavallereschi, i corpi militari, gli ordini ecclesiastici, le corporazioni... con la rivoluzione francese tutto questo particolarismo venne cancellato e si crearono e premesse per una società eguale attraverso l'uguaglianza giuridica. Ritornando alle distinzioni caratteristiche nel vecchio regime non si basavano sulla situazione economica Ex( entità del patrimonio) ma sullo STATUS riconosciuto ad ogni persona dalla nascita. In generale era già chiaro ai quei contemporanei che la divisione nei tre ordini era ormai uno schema vuoto di contenuto infatti già dal basso Medioevo si era formata un'ELITE di mercanti, imprenditori, finanzieri, professionisti che per la loro ricchezza, formazione culturale e stile di vita si distinguevano dalla massa comune formando un gruppo intermedio tra nobili e popolo. Il CLERO comprendeva tutti gli ecclesiastici (venne criticato dalla riforma protestante), la chiesa deteneva ovunque una quota importante della proprietà fondiaria, si sa che il patrimonio fondiario della chiesa francese nel 1789 era del 10%, in Polonia del 9%, in Spagna del 15%, nella Lombardia austriaca circa 23%. La chiesa riscuoteva inoltre annualmente la DECIMA. volto a limitare le prerogative della nobiltà feudale, della Chiesa e a formare un apparato amministrativo e finanziario più solido ed efficiente; non a caso la stessa parola "stato" cominciò proprio allora ad affermarsi Ex( Machiavelli) mentre in precedenza si parlava di monarchia o di res publica. Tuttavia l'uso del termine "stato" stentò ad affermarsi nel pensiero politico, importante fu fra il XVI e il XVII secolo la definizione del concetto di SOVRANITA': nel medioevo il potere sovrano non aveva il carattere di assolutezza che avrebbe acquisito nel corso dell'età moderna; nel medioevo l'autorità del sovrano non si esercitava con un comando diretto ma doveva affermarsi attraverso un complesso sistema di mediazioni con i poteri subordinati. Questa visione venne superata con la rinascita nell'XI sec. del diritto Romano il quale impose alla cultura del tempo il concetto di IMPERIUM inteso come assoluta supremazia. Bodin indicò come principale caratteristica della sovranità il potere di dare leggi a sudditi senza il loro consenso ma lui stesso non pensava che il potere del monarca fosse illimitato; le sue decisioni infatti dovevano essere giuste, rispettose e inoltre non potevano derogare a quelle leggi che riguardavano la struttura stessa del regno Ex( legge salica introdotta nel 1328 sulla base di un'interpretazione forzata dell'antica legge dei Franchi Salii, che escludeva dalla successione al trono le donne). N.B.: Nel considerare l'istituto monarchico dobbiamo tener presente l'AURA DI SACRALITA' che si esprimeva in forme e simboli attraverso i quali il re si presentava ai sui sudditi. Ex:(cerimonia la SACRE ; guarigione malati di scrofole) I confini fra gli stati si presentavano in modo tutt'altro che chiaro e definito: un territorio apparteneva a un sovrano per diritto dinastico, acquisito per eredità o per cessione o attraverso un trattato. Solo dopo la rivoluzione Francese in CONFINE assunse il significato di limite della sovranità e per questo presentò una tipica forma lineare, con la funzione di separare due comunità nazionali ben identificate. Non è esatto definire come talora accadde, la Francia e l'Inghilterra come monarchie "nazionali" proprio perchè non si era ancora affermata la moderna idea di nazione . In definitiva, se si osserva il panorama politico dell'Europa agli albori dell'età moderna, si colgono con chiarezza alcune trasformazioni del potere, nelle sue strutture e nei modi del suo esercizio, tuttavia per l'età PRERIVOLUZIONARIA occorre utilizzare con molta prudenza i riferimenti allo stato moderno ed è opportuno parlare di stati di antico regime come forme intermedie fra la realtà politica medievale e lo Stato ottocentesco. Solo nel XIX secolo il concetto di Stato si impose. DUALISMO: alle soglie dell'età moderna i regimi di tipo monocratico prevedevano al vertice un caratteristico dualismo istituzionale: il sovrano, principe o monarca il quale era affiancato da ORGANI RAPPRESENTATIVI Ex( Stati generali in Francia, Parlamento composto da due camere in Inghilterra, Dieta in Polonia..). In generale queste assemblee erano formate dai rappresentanti dei tre ordini: clero, nobiltà e terzo stato, essi avevano il compito di assistere il re nei momenti di difficoltà e soprattutto di sostenerlo dal punto di vista finanziario approvando le imposte che egli proponeva di stabilire. Il dualismo fra il sovrano e i ceti esprime con chiarezza la natura di questo modello di Stato che si definisce a base cetuale. Il processo di rafforzamento del potere monarchico passò dappertutto attraverso il ridimensionamento del ruolo di queste assemblee che costituivano evidentemente un grave limite per l'esercizio della sua autorità. La CORTE: Nell'età moderna si affermò la tendenza dei sovrani, in precedenza spesso ITINERANTI fra i principali castelli del regno, a stabilire la propria dimora in un luogo che si poneva anche come centro della vita politica dello Stato: la CORTE; su questo spazio il sovrano viveva circondato dagli esponenti delle principali famiglie della nobiltà: cortigiani, ministri, funzionari e da una schiera di artisti, letterati... Nell'Italia tra l XV e XVI secolo le corti si affermarono come centri di raffinata coltura. Ma la corte era il centro simbolico del potere, non il luogo nel quale esso concretamente si esercitava, non a caso in origine sia la CANCELLERIA sia i SUPREMI TRIBUNALI che amministravano la giustizia nacquero per distacco dalla corte. La GIUSTIZIA: La funzione di sommo giustiziere rappresentò, anche sul piano simbolico - formale la prerogativa centrale del potere monarchico, che si esercitava attraverso la legislazione (creazione del diritto) e la giurisdizione civile e penale (applicazione del diritto). Nell'età moderna il re emetteva editti,ordinanze,decreti spesso su argomenti specifici ma non poteva stabilire norme dotate di validità generale perché trovava un limite nella pluralità di ordinamenti giuridici sanciti da statuti che regolavano tradizionalmente la vita della società di antico regime. Il diritto perciò era un accumulo secolari di fonti diverse: leggi romani, diritto canonico, statuti cittadini, una miriade di ordinanze e provvedimenti emessi in tempi diverse da varie autorità. La pluralità di ordinamenti giuridici determinava l'esistenza di una pluralità di giurisdizioni che limitavano le prerogative del potere sovrano, la giustizia era esercitata in molti casi da poteri periferici, magistrature cittadine, corporazioni di fatto autonomi rispetto al potere centrale anche perchè ancora non cera una chiara distinzione fra amministrazione e giurisdizione. Inoltre la giustizia regia incontrava un altro limite nella giustizia ecclesiastica, la quale aveva una propria competenza nelle cause concernenti i componenti del clero. I RAPPORTI CON LA CHIESA: La sacralità del potere monarchico, legata alla sua origine divina, si rifletteva sui rapporti con l'autorità ecclesiastica e in particolare nella volontà di accreditarsi come protettore della Chiesa e come baluardo della fede; è proprio qui che possiamo capire i titoli si "cristianissimo" o "re cattolici" attribuiti ai Re francesi e al Re spagnoli. In generale l'esigenza di limitare e controllare il potere della Chiesa, nei suoi aspetti istituzionali, giuridici ed economici, fu una componente imprescindibile del processo di rafforzamento del potere monarchico e della struttura statale. Le FINANZE: Tradizionalmente le IMPOSTE erano concepite come contributi straordinari, legati cioè a una situazione di emergenza. Le esigenze militari della politica estera, il mantenimento dell'apparato burocratico, la polizia (intesa allora come gestione degli affari interni) e l'amministrazione della giustizia agli stati sempre più risorse. Occorreva quindi stabilire un prelievo fiscale sistematico e continuativo: fu proprio questo l'obbiettivo principale degli stati di antico regime, a sostegno delle richieste del sovrano giocarono soprattutto le esigenze di difesa del territorio dai nemici esterni, ma anche per questo aspetto gli forzi degli stati di antico regime non furono in grado di superare ostacoli e vincoli che impedirono lo stabilimento di un sistema finanziario coerente e razionale. Non vi era un bilancio attendibile delle spese e delle entrate, non si arrivò mai a una effettiva centralizzazione amministrativa; si procedeva a far fronte alle esigenze del momento imponendo tasse occasionali o prestiti forzosi. Quanto al sistema fiscale non vi era uniformità, anche rispetto a una stessa imposta si registravano situazioni assai differenti: in Francia l'odiata GABELLA del sale era riscossa con modalità molto diverse nelle varie provincie e alcune di queste, fra cui la Bretagna, ne erano esenti. Nel 700 si ebbero i primi tentativi di razionalizzare il sistema: in molti stati si provvide a richiamare nelle mani dell'amministrazione la riscossione e si tentò di realizzare un'imposizione DIRETTA e REALE, tuttavia solo con la rivoluzione francese si posero le basi per un apparato finanziario uniforme, efficiente e nazionale. La POLITICA ESTERA: Furono gli stati militari dell'età umanistico - rinascimentale a porre le basi della DIPLOMAZIA MODERNA, prevedendo l'invio di un rappresentante permanente presso i governi stranieri;in particolare la repubblica di Venezia diede vita ad un corpo di AMBASCIATORI di primissimo ordine. Questo precoce sviluppo delle relazioni diplomatiche fu reso necessario dal sistema di EQUILIBRIO istauratosi fra i principali stati della penisola dopo la pace di Lodi del 1454. Agli inizi del 500 questo esempio fu seguito da tutti i principali paesi Europei. Grande importanza allo sviluppo della diplomazia diede il re di Francia Francesco I; anche lo Stato della Chiesa inviò suoi rappresentanti (NUNZI) presso le principali corti d'Europa. SVILUPPI DELLA TECNICA MILITARE: I progressi della tecnica militare, che lo storico inglese Parker ha definito "RIVOLUZIONE MILITARE" furono da un lato l'espressione delle trasformazioni sociali che caratterizzarono la transizione dal medioevo all'età moderna dall'altro una forte crescita delle esigenze finanziarie. Un aspetto centrale di questa evoluzione fu l'uso della polvere da sparo, già nota in Cina e utilizzata dai Mongoli nel XIII sec., arrivata in Occidente attraverso la mediazione del mondo musulmano agli inizi del XIV sec; tuttavia il perfezionamento delle armi da fuoco fu lento per cui gli effetti di questa scoperta si fecero sentire abbastanza tardi. Il primo elemento di novità fu la formazione di eserciti INTERARMI cioè accanto alla cavalleria pesante era prevista la presenza di balestrieri e arcieri, inoltre risultò decisivo per il tramonto della guerra medievale, l'avvento delle FANTERIE le quali si presentavano come una fitta muraglia di picche, lunghe anche più di 5 metri in formazioni compatte a forma di quadrato; questo schieramento poteva contare sino 6000 uomini e spesso si rivelò un ostacolo insuperabile per le cariche della cavalleria. La centralità della fanteria nella struttura degli eserciti impose una nuova forma di reclutamento: il re, mentre per mettere in campo la cavalleria pesante dipendeva dai più potenti signori feudali poteva ora liberarsi da questi vincoli e assicurarsi il monopolio delle forze militari assoldando fanterie, naturalmente poteva farlo solo attraverso un'imposizione fiscale stabile. Le fanterie SVIZZERE furono a lungo considerate invincibili per cui molti sovrani fecero a gara per assoldarli; non mancarono tentativi di imitazione all'ordine Svizzero Ex (lanzichenecchi, tercios i quali introdussero importanti innovazioni rispetto al modello Svizzero). Il predominio delle fanterie Svizzere durò fino ai primi anni del XVI sec, in quanto la crescente importanza delle armi da fuoco determinò la necessità di un'ulteriore evoluzione della tecnica militare; lo sviluppo della armi da fuoco fece scomparire dai campi di battaglia l'arco e la balestra; verso l'inizio 700 le picche scomparvero del tutto. Importante fu sul finire del XVII secolo l'introduzione della baionetta per il combattimento corpo a corpo, mutò anche il ruolo della cavalleria che, IL TEMERARIO, tentò di conquistare la Lorena ma si scontrò con la potenza militare svizzera e cadde in battaglia davanti alle mura di Nancy (1477). La fragile costruzione dei duchi di Borgogna si disgregò: il re di Francia, Luigi XI si impadronì della Borgogna mentre l’arciduca d’Austria Massimiliano di Asburgo, sposando la figlia di Carlo il temerario, Maria di Borgogna, ottenne i Paesi bassi. MASSIMILIANO D’ASBURGO: Divenuto imperatore nel 1493, Massimiliano I (1493-1519); egli riuscì a rafforzare la propria autorità nei domini ereditari, creando una più solida amministrazione finanziaria, ma a livello imperiale dovette scontrarsi con le resistenze dei principi territoriali riluttanti a rinunziare alle proprie prerogative. La legislazione e l’amministrazione della giustizia restarono prerogative condivise fra l’imperatore e i ceti. All’inizio del suo regno ottenne dal re di Francia Carlo VIII, l’Artois e la Franca contea, ma non riuscì a ripristinare l’autorità imperiale in Italia, e dovette rinunziare al tentativo di riportare all’obbedienza la confederazione elvetica. I maggiori successi vennero dalla sua politica matrimoniale. Si è detto del matrimonio con Maria di Borgogna, che gli consentì l’acquisizione dei Paesi bassi. Da questa unione sarebbe derivata in seguito, la straordinaria eredità del nipote di Massimiliano, Carlo. Nel 1515 Massimiliano organizzò anche il matrimonio dell’altro nipote Ferdinando con una sorella di Luigi Jagellone re di Boemia e di Ungheria, ponendo le premesse perché anche questi due stati fossero acquisiti dagli Asburgo. IL REGNO DI FRANCIA: La monarchia francese all’alba dell’età moderna presentava ancora un carattere feudale. Il re era il vertice di una gerarchia di vassalli legati a lui da vincoli personali. Un primo passo verso l’unificazione del regno fu la vittoria sui re inglesi, i quali nel 1453 persero tutti i loro possedimenti sul suolo francese conservando solo Calais. Eliminata la minaccia dello stato borgognone, con la morte di Carlo il temerario, la monarchia poté stabilire la sua autorità sulla Provenza e sull’Anjou. Quanto all’altro grande Stato feudale, la Bretagna, la figlia dell’ultimo duca, Anna, fu obbligata a sposare l’erede al trono francese che sarebbe diventato poi re col nome di Carlo VIII (e alla morte di questi il suo successore Luigi XII) (1498-1515) e così anche il territorio bretone fu incorporato nel regno. Ponendosi come garante dell’integrità del paese contro lo straniero, la monarchia poté realizzare progressivamente un rafforzamento del proprio potere. Carlo VII (1422-1461) per poter creare il primo esercito permanente destinato a combattere i sovrani inglesi impose nel 1439 la TAGLIA, tassa che gravava sui contadini; egli poi la rinnovò annualmente rendendola di fatto un’imposizione ordinaria. Nel contempo si accrebbe l’autorità del Consiglio del re e si consolidò l’apparato amministrativo. Grazie alla regolarità delle sue entrate, la monarchia francese poté liberarsi dalla necessità di ricorrere ai tre ordini riuniti negli Stati generali. Nel 1515, quando salì sul trono Francesco I di Valois il regno era lo Stato più popoloso, solido e coeso dell’Europa, pronto a ingaggiare il lungo conflitto con gli Asburgo per la supremazia in Italia e in Europa. Il nuovo sovrano conseguì subito il controllo della compagine ecclesiastica: con il concordato di Bologna del 1516 egli si vide riconosciuto il diritto di nominare tutte le principali cariche della Chiesa detta “GALLICANA” proprio a sottolineare la sua autonomia sul piano organizzativo- disciplinare da Roma. Al vertice dell’amministrazione giudiziaria si poneva il PARLAMENTO DI PARIGI. Oltre alle sue funzioni giudiziarie il Parlamento aveva il compito di registrare gli editti del re e per questa sua prerogativa assunse più volte un ruolo politico, ponendosi come il principale ostacolo all’assolutismo monarchico. In via di principio al Parlamento spettava solo un controllo formale della regolarità dal punto di vista giuridico degli atti Reali; spesso però manifestava la sua ostilità verso le decisioni del re. La resistenza del Parlamento apriva conflitti che, come vedremo, si ripeteranno più volte nel corso dell’età moderna. La struttura burocratica e l’amministrazione finanziaria, create per rafforzarle istituzioni centrali dello Stato, non cancellarono i corpi, le magistrature e i poteri territoriali, ma si sovrapposero a essi nel tentativo di controllarli e di regolarli. Nel 1542 Francesco stabilì delle circoscrizioni fiscali per la riscossione della taglia, ma nelle provincie di recente annessione Provenza, Borgogna era costretto a contrattare a Ferdinando annualmente l’ammontare dell’imposta con i tre ordini riuniti negli stati provinciali. Del resto le ordinanze emanate dal Consiglio del re non potevano dare un codice uniforme al paese poiché il regno era un mosaico di città e provincie ciascuna delle quali manteneva le proprie prerogative e franchigie, talora sancite da patti al momento della loro incorporazione nel regno. LA SPAGNA: Alla fine del 15esimo secolo, nella penisola iberica la presenza musulmana era ridotta ormai al solo regno di Granada. La nascita della Spagna moderna prese avvio dal matrimonio celebrato nel 1469 fra Isabella e Ferdinando eredi rispettivamente della corona di CASTIGLIA e di ARAGONA. La successione di Isabella sul trono castigliano nel 1474 fu contestata e provocò una guerra civile che durò fino al 1479 anno in cui si realizzò definitivamente l’unione dei 2 regni. Si trattò di un’unione personale, in quanto i due regni mantennero ciascuno le proprie leggi e le proprie istituzioni. Il regno aragonese composto di tre provincie: Aragona, Catalogna e Valencia per un totale di circa 1 milione di abitanti possedeva la Sicilia e la Sardegna e aveva installato un ramo della dinastia sul trono del regno di Napoli. Ben maggiore era il peso economico e demografico della Castiglia, che raggiungeva forse i 6 milioni di abitanti. La supremazia castigliana si manifestò fin dall’inizio nella decisione di Ferdinando di risiedere nel regno di sua moglie. La concorde azione dei 2 sovrani realizzò un notevole rafforzamento dell’autorità della monarchia in Castiglia, dove si poneva innanzitutto il problema di combattere la prepotenza nobiliare e la diffusa violenza. A tal fine la monarchia, riorganizzò le milizie urbane creando la SANTA FRATELLANZA. Anche in Castiglia la monarchia mirò a sottomettere al suo servizio le grandi casate aristocratiche escludendole dalle cariche politiche. Molto importante fu il controllo dei tre ordini religioso-militari di SANTIAGO ALCANTARA E CALATRAVA che erano egemonizzati dalla nobiltà e con il loro vasto patrimonio fondiario rappresentavano una sorta di Stato nello Stato. Ferdinando si fece nominare GRAN MAESTRO di tutti e tre gli ordini, che pose stabilmente sotto l’autorità della monarchia. Ferdinando e Isabella si preoccuparono anche di limitare il potere delle città nominando dei funzionari che avevano funzioni amministrative e giudiziarie ed esercitavano un controllo sulla vita. Per quanto concerne la Chiesa, i sovrani spagnoli già sul finire del 15esimo secolo si garantirono che il papa nominasse alle principali cariche ecclesiastiche le persone designate da loro. Sul piano finanziario essi accrebbero in notevole misura le loro entrate, grazie a un’imposta indiretta che colpiva tutte le transizioni L’ALCABALA per le CORTES del regno castigliano. Il potere fu ridimensionato. Ben diversa fu invece la situazione nel regno di Aragona dove le Cortes delle tre provincie difesero con successo le proprie prerogative e rappresentarono un cosante freno alla politica della monarchia. Nel 1492 Ferdinando e Isabella portarono finalmente a compimento la RECONQUISTA, ovvero la secolare lotta contro la presenza musulmana, occupando dopo un lungo assedio Granada. Alla cacciata degli ebrei, avvenuta immediatamente dopo la caduta di Granada, seguì un progressivo inasprimento della politica nei confronti dei musulmani che furono obbligati, per evitare di essere espulsi, a conversioni forzate proprio per controllare la sincerità delle conversioni degli ebrei fin dal 1478 Ferdinando e Isabella avevano ottenuto dal papa la creazione di un TRIBUNALE DELL’INQUISIZIONE estero poi all’Aragona, alla Sicilia e alla Sardegna. Questo tribunale,posto alle dirette dipendenze della monarchia, fu l’unica istituzione comune ai vari domini della monarchia ed ebbe una funzione decisiva nel preservare la purezza della fede cristiana e l’unità religiosa che erano il fondamento su cui poggiava la nuova Spagna. Di qui la costante ostilità nei confronti degli ebrei e dei moriscos: l’intolleranza religiosa rappresentò il marchio di origine della Spagna moderna. Ferdinando nel 1512 occupando il regno di Navarra portò a compimento l’unificazione della Spagna. L’INGHILTERRA: Uscito vincitore dalla guerra delle due rosa fra le famiglie di York e di Lancaster (1455-1485) Enrico VII Tudor si occupò innanzitutto di restaurare l’autorità della monarchia contro le violenze della nobiltà feudale e si guadagnò così il consenso degli abitanti delle città e della piccola e media nobiltà. In Inghilterra vigeva la COMMON LAW diritto consuetudinario che garantiva l’indipendenza dei giudici dal governo e costituiva un limite oggettivo per la legislazione regia. Enrico VII accrebbe anche il proprio patrimonio fondiario con le terre confiscate ai nobili ribelli e incrementò notevolmente le entrate finanziarie. Il Parlamento, composto di 2 camere, la CAMERA DEI LORD, nella quale sedevano i nobili titolare e i titolari delle alte cariche ecclesiastiche, e la CAMERA DEI COMUNI, formata dai rappresentati eletti dalle contee e dai borghi. Il distacco della Chiesa inglese da Roma nel 1534 rappresentò come vedremo una svolta decisiva anche negli equilibri istituzionali del regno, ponendo le basi per l’affermazione del ruolo centrale del Parlamento. GLI STATI DELL’EUROPA SETTENTRIONALE E ORIENTALE: Nel 1836 il regno di Polonia, la cui corona era elettiva, fu unito per matrimonio al granducato di Lituania. La Lituania, che adottò come religione ufficiale il cattolicesimo, era uno Stato molto esteso che comprendeva la Bielorussa e l’Ucraina e giungeva fino al mar Nero. La FEDERAZIONE LACCO-LITUANA rappresentava perciò all’epoca il più vasto Stato dell’Europa orientale. Sconfisse nel 1410 l’ordine dei cavalieri teutonici e acquisì nel 1466 la Prussia occidentale, ottenendo con Danzica uno sbocco al mare; la Prussia orientale rimase all’Ordine, che però dovette riconoscersi vassallo della corona polacca. La Polonia restava tuttavia uno Stato fragile soprattutto perché era dominata da una potente classe aristocratica. Il re già indebolito dal carattere elettivo della corona, era fortemente condizionato dalla Dieta formata da un Senato nel quale sedevano grandi latifondisti (i magnati) e i vescovi, e da una Camera dei deputati. Nel 1505 la Dieta impose al re Alessandro Jagellone una convenzione per cui senza il suo consenso non avrebbe potuto stabilire niente di nuovo nello Stato. LA RUSSIA: Il fondatore dello Stato russo fu IVAN III il grande (1462-1505) che occupò la repubblica di Novgorod e il suo vasto territorio, assumendo il titolo di sovrano di tutta la di invasione dei vicini stati musulmani e poi un attacco dell’impero ottomano, ma in seguito andò incontro a un progressivo decadimento. Alle soglie dell’età moderna si formò il regno Songhai; nel 1469 si impadronì della città di Timbuctu, snodo dei traffici carovanieri. Il regno del Marocco, l’unico nell’Africa settentrionale a non essere soggetto agli ottomani, nel 1591 sconfisse il regno Songhai provocandone la scomparsa. Vanno ricordati anche i regni islamizzati di Benin. Molto importante fu anche il regno del Congo nei territori delle attuali repubbliche del Congo e dell’Angola. LA CINA: La storia della Cina moderna inizia dalla caduta della dominazione mongola, travolta dalle rivolta contadine e da una insurrezione militare capeggiata da un ex monaco buddista. Questi prese il potere nel 1368 assumendo il nome di Hongwu e diede inizio alla dinastia MING durata fino al 1644. L’economia cinese si fondava su un’agricoltura che presentava caratteristiche molto diverse rispetto a quella europea. Fra le colture predominava il riso, tè, cotone e soia. Per la RISICOLTURA era necessario un sistema di irrigazione che richiedeva un costante impegno di manodopera. La densità della popolazione era alta. Rispetto all’agricoltura europea si utilizzavano pochi strumenti agricoli; nel periodo Ming vi furono un notevole sviluppo delle manifatture, in particolare della seta, dei tessuti di cotone e della porcellana, e una crescita dei centri urbani. L’andamento demografico della Cina presenta analogie con quello dell’Europa occidentale, in quanto anch’essa fu gravemente colpita dalla peste nella seconda metà del 14esimo secolo e conobbe una rapida ripresa della popolazione. Anche la Cina ebbe un forte incremento demografico nel Settecento ma nell’Ottocento, a differenza dell’Europa, non superò lo stato di arretratezza e patì conflitti e carestie che arrestarono la crescita. Il periodo Ming coincise con un rafforzamento del potere centrale. Hongwu eliminò la carica di primo ministro per governare personalmente. Riportò in auge il confucianesimo: non si trattava di una religione ma di un insieme di dottrine che rielaboravano principi e credenze dell’antica civiltà cinese e ponevano una serie di regole per il buon funzionamento della comunità, valorizzando il rispetto delle gerarchie sociali e l’obbedienza alle autorità. Se il confucianesimo non si poneva il problema del destino individuale, la salvezza dell’uomo era invece centrale nel taoismo e anche nel buddhismo sorto in India nel 6sto secolo a.C. e diffusosi in Cina a partire dal 3zo secolo d.C.. Infine si deve ricordare l’influenza limitata del cristianesimo, che fu introdotto a opera dei gesuiti e in particolare grazie a Matteo Ricci. A partire dal 1620 scoppiarono numerose rivolte contadine, provocate dal malcontento per il prelievo fiscale e da una serie di carestie. Nel frattempo i MANCIU’ un gruppo di tribù stabilite in Manciuria che da poco si erano unite e si erano date un’organizzazione statale, occuparono una parte del territorio cinese. Quando nel 1644 il capo di una delle rivolte contadine entrò a Pechino; l’ultimo imperatore si impiccò. In seguito i manciù si insediarono nella capitale, represse le ribellioni, diedero vita alla dinastia che chiamarono Q’ING destinata a regnare in Cina fino al 1912. In realtà il controllo dell’impero non era facile per i manciù, furono costretti perciò a servirsi della classe dirigente cinese e a mantenere la precedente struttura burocratica. La storiografia ha molto discusso negli ultimi anni sul paradosso della storia cinese: perché un popolo che aveva acquisito molto prima dell’Occidente risorse e conoscenze tecniche fondamentali come la carta, la stampa, la polvere da sparo, la bussola, non intraprese la via della modernizzazione? Anche sul piano della navigazione i cinesi non erano inferiori agli europei. Essi nel 15esimo secolo organizzarono una serie di spedizioni navali nell’Oceano indiano giungendo fino alla costa somala: avrebbero potuto circumnavigare l’Africa per raggiungere l’Atlantico ma non lo fecero, e anzi abbandonarono del tutto queste attività marinare. Causa di ciò potrebbe essere stata la necessità di concentrare gli sforzi nella difesa della frontiera terrestre costantemente minacciata dai Mongoli. IL GIAPPONE: Nel 1192 si affermò a Edo (oggi Tokio) lo SHOGUNATO: la carica di shogun (grande generale dell’esercito) divenne ereditaria e assunse il governo effettivo del paese. Tuttavia già nel 13esimo secolo lo shogunato perse buona parte della sua autorità in quanto i grandi proprietari delle province si trasformarono in signori fondiari di fatto autonomi che disponevano di guerrieri di professione legati a essi da vincoli di fedeltà. Ne derivò un lungo periodo di endemiche guerre civili. Nella seconda metà del 16esimo secolo in questa sorta di anarchia feudale si imposero due capi militari che posero le basi per una riunificazione del paese. TOKUGAWA si fece nominare dall’imperatore shogun e diede avvio così a una nuova lunga fase della storia giapponese fino al 1867. Sul piano istituzionale l’era di Tokugawa fu caratterizzata da un equilibrio fra TRE centri di potere: a Kyoto la corte imperiale, a Edo lo shogun e più di 250 signori feudali che di fatto erano signori assoluti nei loro territori. Gli shogun imposero un accentramento burocratico che permise loro di assumere di fatto la direzione politica del paese. Questo regime è stato definito un feudalesimo centralizzato. La religione nazionale era lo shintoismo che considera tutti i fenomeni naturali espressione di forze divine. Esso ha fortemente subito l’influsso di buddhismo e del confucianesimo. Lo shintoismo per altro ha avuto una funzione importante in chiave nazionale perché ha fornito la legittimazione del potere dell’imperatore, ritenuto fino al 1946 di natura divina in quanto discendente dalla suprema divinità scintoista, Amaterasi, la dea del sole. Quanto al cristianesimo, esso era stato introdotto a partire dalla metà del Cinquecento del gesuita Saverio, ma già sul finire del secolo si sviluppò una violenta persecuzione nei confronti dei cristiani. Il cristianesimo fu severamente proscritto come una pericolosa dottrina straniera. Questa svolta si inseriva nella politica del “PAESE CHIUSO” adottata dal regime Tokugawa. Nel 1635 fu vietato ai giapponesi di uscire dallo Stato e fu imposto ai residenti all’estero di tornare; quindi furono scacciati i mercanti stranieri. La società era fondata sulla divisione i 4 CLASSI: guerrieri, agricoltori, artigiani e mercanti; poiché questo ordine era considerato una legge naturale, ciascuno era vincolato alla propria condizione. Non mancò tuttavia un notevole sviluppo economico, grazie anche al miglioramento della rete dei trasporti, vi fu un aumento del commercio interno e si formò un mercato nazionale. Molte terre furono bonificate e fu intensificata la produzione del riso ma soprattutto furono incentivate colture come il cotone, la canapa, il gelso, il tabacco e il tè. Il Giappone era una delle nazioni a maggiore urbanizzazione; Edo nel 1700 sfiorava il milione di abitanti. La storiografia negli ultimi anni ha insistito sulla specificità del caso del Giappone, che avrebbe rappresentato il solo paese, nel mondo extraeuropeo, ad avviarsi autonomamente verso la forma di produzione capitalistica. La politica del “paese chiuso” favorì infatti lo sviluppo dell’economia e pose le premesse per il processo di industrializzazione che si sarebbe pienamente realizzato nella seconda metà dell’Ottocento con l’abolizione della struttura feudale e l’apertura alle tecnologie straniere. L’IMPERO SAFAWIDE DI PERSIA: Ismail I (1501-1524) riuscì a sottoporre al suo dominio gran parte del territorio persiano fino al golfo Persico e nel 1501 si proclamò primo SHAH dell’Iran, fondando così la dinastia dei Safawidi destinata a regnare fino al 1722. Fin dall’inizio lo Stato persiano ebbe come suo principale nemico l’impero ottomano, con il quale fu costantemente in lotta, in particolare per il possesso dell’Iraq. Ai motivi politico- territoriali di conflitto si aggiunse poi una contrapposizione di natura religiosa. In effetti mentre l’impero ottomano, come si è detto, si poneva come erede dell’ISLAM SUNNITA, i Safawidi imposero come religione nazionale l’ISLAM SCIITA, che considerava degli usurpatori i primi tre califfi, riconosceva come solo successore legittimo di Maometto il quarto, il cugino e genero Ali e negava il carattere elettivo del califfato, sostenuto invece dai sunniti. Un contributo decisivo al rafforzamento della dinastia venne dallo shah ABBAS I il grande (1587-1629) il quale, ottenne importanti vittorie sugli ottomani riconquistando il Daghestan, la Georgia e l’Azerbaigian. Data la natura prevalentemente montuosa del terreno, in molte regioni l’agricoltura era possibile solo grazie a un complesso sistema di irrigazione. La terra, era per lo più nelle mani di grandi proprietari. Abbassi impegnò a sviluppare l’agricoltura, ma la popolazione rimase formata in maggioranza da gruppi nomadi dediti all’allevamento di cavalli, cammelli e pecore. Abbas si sforzò anche di incentivare il commercio fondando nel 1623 sul golfo Persico un porto. Egli portò la capitale a ISFAHAN. Con Abbas l’impero raggiunse il suo massimo splendore. Dopo la sua morte l’impero si avviò a un lento declino, segnato dalla lotta con l’impero ottomano per il possesso della Mesopotamia. Nel 1722 l’impero fu travolto da un’invasione degli afghani, che occuparono la capitale Isfahan. Si mise in luce allora un avventuriero di umili origini NADIR (1736-1747) che sconfisse gli afghani e assunse egli stesso il potere e il titolo di Shah. In seguito egli occupò il territorio afghano e quindi invase l’India occupando Delhi (1739) e ponendo fine di fatto all’impero Moghul. Alla morte di Nadir la Persia piombò in un periodo di anarchia e di sanguinose guerre civili. L’IMPERO MOGHUL: Nel 13esimo secolo nella parte settentrionale del subcontinente indiano si era stabilito uno Stato musulmano, IL SULTANATO DI DELHI. Nel 1398 il sultanato era caduto in una condizione di anarchia, caratterizzata da ripetute frammentazioni del territorio e da frequenti insurrezioni e rivolte. Il processo di riunificazione di questi territori fu avviato da un capo militare afghano di stirpe turca e di fede musulmana, Zahir chiamato BABUR (tigre) che fra il 1526 e l’anno della sua morte il 1530 anche grazie all’uso delle armi da fuoco, conquistò Delhi creando nell’India nord- occidentale, un ampio dominio destinato a rappresentare il primo nucleo dell’Impero MOGHUL. Il consolidamento dell’impero fu opera del nipote di Babur, AKBAR il grande. Una delle cause della fragilità dell’impero era la sua eterogeneità: vi convivevano infatti popolazioni di etnie e di lingue diverse. Ma il fattore principale di divisione era la religione. La maggioranza della popolazione era legata all’insieme di credenze, di pratiche religiose, di regole sociali e di usi e costumi, risalenti in origine all’antica letteratura dei Veda, che gli inglesi nel 19esimo secolo designarono con il nome di INDUISMO. La religione induista non ebbe un fondatore e non forma una chiesa, è un modo di concepire la vita secondo l’ordine del cosmo. Parte essenziale di questo ordine, è la divisione della società in quattro CLASSI: i sacerdoti, i guerrieri o governanti, gli artigiani e mercanti, gli addetti ai lavori servili. Circa un quarto della popolazione aderiva invece all’Islam che si era diffuso l'idea che l'uomo dovesse partecipare attivamente alla vita politica della sua città. Si è parlato perciò di UMANESIMO CIVILE, soprattutto in relazione a FIRENZE, vera capitale del movimento umanistico ex(Leonardo Bruni). La crisi delle libertà comunali modificò il quadro nel quale si era affermato il primo umanesimo: nelle nuove condizioni politiche gli umanisti furono chiamati soprattutto a illustrare con le loro opere la figura dei signori o dei principi fra la fine del 400 e gli inizi del 500, il centro della vita artistica si spostò da Firenze a Roma, alla corte dei papi rinascimentali. La cultura umanistica si era progressivamente staccata dalle sue italiane e si era trasformata nel corso del 400, attraverso la circolazione degli uomini e delle idee, in un fenomeno europeo, che fece sentire la sua influenza fino in Ungheria, Boemia e in Polonia; fra gli intellettuali europei che ispirarono la loro attività ai canoni umanistici ricordiamo ex(Lefebvre, Budé, Reuchlin e soprattutto ERASMO da Rotterdam). Per realizzare il loro progetto di rinascita degli studi classici gli umanisti si dedicarono a una pazienta opera di ricerca di manoscritti nei monasteri di tutta l'Europa: importante fu la riscoperta del greco, generalmente ignorato dalla cultura occidentale dell'età di mezzo. Molti umanisti durante i loro viaggi in oriente si impegnarono nella ricerca di manoscritti greci, in tal modo fu recuperato quasi tutto il corpo della letteratura greca che oggi conosciamo, in particolare si impose all'attenzione della cultura europea la filosofia di Platone. In generale la rinascita della cultura classica promossa dall'umanesimo favorì un allargamento della circolazione dei testi latini e greci, dapprima attraverso il moltiplicarsi delle copie manoscritte e poi in misura più grande grazie alla rapida diffusione della stampa. CONTINUITA' O ROTTURA?: L'idea che la riscoperta dell'antichità classica abbia fatto segnare una rottura, o quanto meno un salto di qualità rispetto all'età precedente,è stata contestata a più riprese dagli studiosi dell'età medievale, i quali hanno in tal modo posto in discussione proprio il punto sul quale si è fondata la periodizzazione dell'età moderna. In un libro del 2014 Le Goff, ha ripreso il filo di questi dibattiti ricordando che nel corso dell'età di mezzo vi furono diversi momenti nei quali si tentò di far rivivere lo spirito dell'antichità e ha prospettato l'idea di un lungo medioevo che si sarebbe concluso intorno alla metà del XVIII secolo. Il medioevo certamente ammirò e amò il mondo antico, anche per quanto riguarda la cultura greca essa era stata ben presente nel pensiero nel pensiero medievale, tanto che la filosofia di Aristotele era diventata, a partire dalla metà del XIII secolo, la base dell'insegnamento universitario. Con il movimento umanistico cambiò però radicalmente il modo di studiare e interpretare quella straordinaria eredità: a segnare la differenza rispetto alla cultura medievale fu la FILOLOGIA ovvero l'analisi critica-storica del testo. Un esempio celebre del valore rivoluzionario del metodo filologico è offerto dallo scritto di Lorenzo Valla (1440), che dimostrò, sulla base di un'analisi linguistica, formale e storica, che il documento secondo il quale l'imperatore romano avrebbe donato nel 314 a papa Silvestro I la giurisdizione civile di Roma, sull'Italia e sull'Occidente conferendogli poteri pari a quelli dell'imperatore, era in realtà un falso, confezionato dalla curia romana fra l'ottavo e il nono secolo. L'abisso esistente tra la nuova cultura e quella medievale nel rapportarsi all'eredità classica si può misurare sul piano linguistico: gli umanisti considerarono con disprezzo il barbaro latino dei chierici e imposero come norma del parlare e dello scrivere l'imitazione della lingua latina dell'età classica. IL PREZZO DELLA MODERNITA': La conquista di una nuova dimensione, se liberava l'uomo dai condizionamenti religiosi che lo avevano vincolato durante il medioevo, rendendolo padrone del proprio destino, lo consegnava nel contempo a una insicurezza che l'età precedente non aveva conosciuto. La mentalità medievale assegnava a ogni uomo nella società un posto e una funzione stabiliti, riconducendoli in ultimo alla volontà divina; ora l'uomo rivendicava la propria dignità e la propria libertà di scelta nella vita terrena, ma questo lo caricava di una responsabilità prima sconosciuta. ERASMO DA ROTTERDAM: Il più importante esponente della cultura umanistica, Erasmo da Rotterdam persegui l'ideale di un umanesimo cristiano, nel quale la rinascita degli studi classici si coniugava con il ritorno del cristianesimo delle origini. Si dedicò per tutta la vita alla libera attività intellettuale che lo portò a viaggiare per tutta l'Europa. Erasmo acquisì una solida formazione umanistica, che integrò con l'apprendimento del greco . L'opera di rinnovamento culturale e religioso perseguita da Erasmo si espresse innanzitutto nel tentativo di applicare il metodo critico della filologia oltre che ai testi classici anche alle sacre scritture; Erasmo si fece fautore di un ritorno alle origini non solo per quanto concerne le fonti, ma anche nel sentimento religioso, che egli voleva semplice e puro, lontano da ogni esteriorità, egli criticò gli eccessi della devozione, il culto delle reliquie, i digiuni, i pellegrinaggi, insomma... insomma tutte quelle forme di religiosità esteriore che riteneva estranee al vero spirito del cristianesimo. Capitolo 10: Le scoperte geografiche e gli imperi portoghese e spagnolo L’ESPLORAZIONE DELL’AFRICA: Alla radice delle grandi scoperte geografiche vi furono innanzitutto esigenze di CARATTERE ECONOMICO, in particolare il desiderio di trovare una nuova via per raggiungere le Indie e mettere le mani sul lucroso commercio delle SPEZIE. Fu il Portogallo a dare avvio nel 15esimo secolo ai viaggi di esplorazione con una sistematica ricognizione della costa occidentale dell’Africa iniziata dal 1415 con l’occupazione della città commerciale di Ceuta. Negli anni successivi i portoghesi occuparono l’isola di Madera e le Azzorre, la Sierra Leone e il golfo di Guinea. Fin dall’inizio un ruolo notevole in queste imprese ebbe la dinastia di AVIZ, che regnava dal 1385: consapevoli delle limitate possibilità di sviluppo agricolo del Portogallo, i sovrani si appoggiarono sui ceti mercantili favorendo le attività commerciali e le costruzioni navali. In questa prima fase i portoghesi miravano esclusivamente a controllare i terminali del commercio TRANSAHARIANO che lungo le vie carovaniere portava oro, avorio e schiavi sulle coste occidentali del continente. Qui i portoghesi stabilirono una serie di scali commerciali che poi trasformarono in basi fortificate, a protezione dei loro traffici. La ricerca del METALLO PREZIOSO era particolarmente importante per il Portogallo che aveva gravi difficoltà nella monetazione; una svolta in tal senso si ebbe a partire dal 1471, quando i portoghesi arrivarono sulla costa dell’attuale Ghana. I papi Niccolò V e Callisto III con tre bolle (1454, 1455 e 1456) legittimarono queste spedizioni in quanto svolgevano la missione di diffondere la fede cristiana e concessero perciò ai portoghesi il diritto di sottomettere musulmani e pagani, vietando alle altre potenze di interferire nelle loro attività commerciali. UNA NUOVA VIA PER LE INDIE: Negli anni seguenti, in particolare per impulso del re GIOVANNI II (1481-1495). Maturò infatti la convinzione che fosse possibile circumnavigare l’Africa allo scopo di raggiungere le Indie via mare e acquistare le spezie direttamente dai produttori senza l’intermediazione veneziana; all’epoca si ignorava l’Africa sub sahariana per cui si riteneva che il continente fosse molto più corto e avesse una forma tondeggiante, facile quindi da circumnavigare. Per primo tentò l’impresa BARTOLOMEU DIAS che nel 1487 doppiò la punta meridionale dell’Africa, chiamata poi CAPO DI BUONA SPERANZA. L’IMPRESA DELLE INDIE DI CRISTOFORO COLOMBO: In questi anni chiese udienza al sovrano portoghese il genovese CRISTOFORO COLOMBO (1451-1506) nella speranza di ottenere un finanziamento per l’impresa che da alcuni anni aveva concepito. Stabilitosi a Lisbona, Colombo si appassionò all’idea si sfruttare la forma sferica della Terra per raggiungere, navigando verso Occidente, l’Oriente, ovvero il Giappone e il Catai dei quali aveva parlato Marco Polo. L’impresa apparve praticabile a causa di un errore nel calcolo della circonferenza terrestre, ritenuta molto minore di quella reale: Colombo pensava che ci fossero fra le Canarie e il Giappone solo 60 gradi di longitudine, mentre invece la distanza era tre volte maggiore. Il genovese fu ricevuto da Giovanni II che però decise di non finanziare il suo progetto. Colombo trovò invece un clima favorevole nella Spagna dei re cattolici impegnati nell’assalto finale al regno moresco di Granada. Furono firmante il 17 aprile 1492 le capitolazioni che stabilivano i termini dell’accordo: Colombo fu nominato ammiraglio del mare Oceano, viceré e governatore delle terre scoperte ed ebbe garantita una quota dei proventi dell’impresa. Il finanziamento fu assicurato in parte dalla corona spagnola, in parte da banchieri amici di Colombo. A bordo di due caravelle (la Nina e la Pinta) e di un veliero più grande, la Santa Maria, presero il mare il 3 agosto 1492 dal porto di PALOS 120 uomini. Effettuato un lungo scale alle Canarie, la spedizione iniziò ma dopo un mese, quando secondo i calcoli, si sarebbe già dovuto raggiungere il Giappone, l’equipaggio cominciò a dare segnali di nervosismo. Dopo 36 giorni di navigazione, fu raggiunta la terra, un’isola delle Bahamas che fu chiamata SAN SALVADOR. In seguito la spedizione toccò CUBA e HAITI. Avendo fatto naufragio la Santa Maria, ritornarono due sole navi che spinte da una tempesta giunsero a Lisbona dove Colombo fu ricevuto dal re Giovanni II. In Spagna, a Barcellona, dove si trovavano i sovrani, Colombo ricevette un’accoglienza trionfale. Dopo la prima spedizione Colombo fece altri tre viaggi: ma solo nel terzo viaggio toccò il continente americano, alle foci del fiume Orinoco in VENEZUELA. Egli scambiò questi territori per le isole del Giappone e fino alla fine rimase convinto di trovarsi nelle Indie. Colombo incontrò molte difficoltà nel far valere la sua autorità; accusato di malgoverno, fu arrestato e riportato in patria. Al suo arrivo in Spagna fu liberato ma fu privato del tutolo di viceré e governatore (1500). Morì deluso e isolato nel 1506. Nel 1493 Ferdinando e Isabella ottennero dal papa Alessandro VI … La legittimità delle bolle papali e del tratto ispano-portoghese fu ovviamente contestata dagli Stati che, come l’Inghilterra e la Francia ne erano stati esclusi e che furono spinti a loro volta dall’impresa di Colombo a promuovere viaggi di esplorazione. Nel 1497 l’italiano GIOVANNI CABOTO al servizio del re d’Inghilterra tentò di raggiungere le Indie attraverso una rotta più settentrionale. Egli raggiunse le coste dell’America del Nord, convinto veridicità delle voci sull’impero azteco e nel 1519 partì dall’isola con 11 navi, circa 500 soldati. Dopo avere costeggiato lo Yucatan, sbarcò sulla costa messicana e fondò la città di VERA CRUZ, quindi, dopo avere affondato le navi per evitare diserzioni, iniziò la marcia verso l’interno. A questo punto egli mutò la natura della sua missione e assunse la carica di capitano generale facendo riferimento direttamente al re di Spagna e scavalcando l’autorità del governatore di Cuba. Egli non incontrò resistenza, anzi fu accolto come un liberatore dai popoli sottomessi dagli aztechi e poté giungere così fino alla capitale TENOCHTITLÁN dove fu ben ricevuto dal sovrano MOCTEZUMA II. Con un inganno Cortés fece prigioniero Moctezuma e lo tenne in ostaggio, costringendolo anche a pagare un ingente riscatto in oro. Tuttavia di fronte alla brutalità degli spagnoli crebbe l’ostilità della popolazione indigena che esplose in una rivolta guidata da un fratello del sovrano. Moctezuma morì pochi giorni dopo. Il 30 giungo 1520 la rivolta degli aztechi costrinse gli spagnoli a una precipitosa fuga notturna dalla città. Cortés si rifugiò nella città di TLAXLOCO con la quale strinse alleanza e dopo alcuni mesi riorganizzate le sue forze ritornò nella capitale. L’attacco era sostenuto da migliaia di indios nemici degli aztechi. La resistenza di questi ultimi fu piegata anche dal diffondersi di un’epidemia di vaiolo. Tenochtitlàn capitolò il 13 agosto 1521. Negli anni seguenti tutto il territorio dell’impero fu sottomesso. Ciò che restava della capitale fu distrutto e sulle sue rovine fu edificata CITTA’ DI MESSICO. Non meno straordinaria fu la caduta dell’impero inca. Le prime informazioni sulla civiltà sviluppatasi nelle Ande furono raccolte dagli spagnoli nel 1522. Queste voci giunsero a Panama all’orecchio di PIZARRO (1475-1541); egli ottenne nel 1529 da Carlo V la nomina a governatore e capitano; partì nel gennaio 1531 da Panama con 180 uomini. Pizarro incontrò il 15 novembre 1532 ATAHUALPA che nel frattempo aveva risolto a suo favore il conflitto dinastico con il fratellastro nella città di CAJAMARCA e nonostante la presenza di migliaia di soldati inca, riuscì con un tranello a catturarlo. Egli tenne l’imperatore prigioniero per diversi mesi. In suo sostegno giunsero da Panama rinforzi guidati da DIEGO DE ALMAGRO. Gli inca tentarono di liberare Atahualpa pagando un grosso riscatto in oro, ma circostanze Pizarro, lo fece strangolare nell’agosto 1533. Nel novembre la presa e il saccheggio della capitale CUZCO segnarono la fine dell’impero. Nel 1535 Pizarro fece costruire LIMA. In seguito scoppiò un conflitto fra i due conquistadores per l’attribuzione dei territori occupati: Almagro fu sconfitto da Pizarro che lo fece giustiziare nel 1538; tre anni dopo il figlio di Almagro attuò la vendetta pugnalando a morte Pizarro. Anche Pizarro fu agevolato dalle divisioni interne alla nobiltà inca. LA DISTRUZIONE DELLE CIVILTA’ PRECOLOMBIANE: La storiografia si è lungo interrogata sulle cause che consentirono a un pungo di uomini di sottomettere popolazioni infinitamente più numerose. In una prima fase un impatto notevole ebbe sicuramente il terrore provocato dalle armature, dai cavalli e soprattutto dalle armi fuoco, che gli indigeni non avevano mai visto. Gli spagnoli sfruttarono inoltre con grande abilità l’ostilità verso gli aztechi dei popoli da loro sottomessi e sul conflitto dinastico che aveva diviso gli inca. L’elevata mortalità provocata dalle malattie portate dagli europei abbia notevolmente indebolito la capacità delle popolazioni indigene di opporsi alla conquista. Molto si è discusso anche dell’atteggiamento conciliante tenuto da Moctezuma nei confronti di Cortés. Alcuni studi hanno ipotizzato che abbia avuto un ruolo decisivo in tal senso un’antica leggenda adottata dagli aztechi; secondo questo mito il re-sacerdote Quetzalcoatl adorato come “il serpente piumato” dopo avere insegnato la metallurgia e la scrittura sarebbe partito verso Oriente con la promessa di ritornare; Moctezuma avrebbe interpretato l’arrivo degli spagnoli come il compimento della profezia. L’IMPERO SPAGNOLO: Fino alla metà del 16esimo secolo una schiera di conquistadores partiti spesso alla ricerca di un favoloso paese ricco di oro e di pietre preziose, il mitico EL DORADO, assoggettò alla corono spagnola un territorio immenso che andava dalla California e dalla Florida, fino al Cile. A Est il limite della sovranità spagnola era segnato dalla impenetrabile foresta amazzonica e dalle vaste pianure (PAMPAS); formalmente non si trattava quindi di una colonia ma di un regno con lo stesso status degli alti sottoposti alla sovranità della corona spagnola. Per il governo di quei territori il sovrano fu affiancato a partire dal 1524 da un Consiglio delle Indie. Il regno dipendeva amministrativamente dalla corona di Castiglia. Alle dipendenze del Consiglio fu posta la CASA DE CONTRATACION di Siviglia, che dal 1503 controllava i flussi di merci e di persone fra la madrepatria e il nuovo mondo. Furono creati 2 vicereami la NUOVA SPAGNA e il PERU’. L’amministrazione della giustizia fu affidata alle AUDENCIAS tribunali regi composti da giudici inviati dalla Spagna. La colonizzazione si realizzò innanzitutto attraverso la fondazione di città. L’altra istituzione fondamentale dell’America spagnola affermatasi fin dall’inizio della colonizzazione fu l’ENCOMIENDA già adottata durante la reconquista. Per indurre la nobiltà spagnola a impegnarsi nella guerra contro i mori i sovrani promettevano loro lo sfruttamento dei territori che avrebbero occupato. In America le terre e i popoli conquistati o scoperti erano proprietà della corona ma il re li concedeva in usufrutto a un encomendero, un conquistador il quale poteva esigere dagli indios dei servizi personali o prestazioni di lavoro o tributi; in cambio egli era tenuto a proteggerli e a istruirli nella fede cattolica e a servire militarmente il sovrano se questi glielo avesse richiesto. Naturalmente la corona spagnola fu sempre attenta a evitare la nascita di una NOBILITÀ di tipo FEUDALE sul modello europeo. Per questo motivo l’encomendero risiedeva in città. Non fu mai ammessa una ereditarietà di diritto. Secondo le stime più attendibili gli spagnoli emigrati in America nel 16esimo secolo furono circa 250.000. La composizione della popolazione fu determinata fin dall’inizio dai numerosi incroci fra i diversi gruppi etnici. Nel 1514 la corona spagnola autorizzò i matrimoni misti. L’ECONOMIA: Dopo che si fu esaurita l’affannosa caccia all’oro dei primi anni, l’economia fu caratterizzata soprattutto dallo sviluppo dell’allevamento di pecore, buoi e cavalli. Minore importanza ebbe invece l’agricoltura: si impiantò in alcune zone, accanto alla coltivazione di mais quella del frumento e della segale. Sulle Ande si introdusse la coltivazione della vite e l’olivo. Furono abbandonati i sofisticati sistemi di irrigazione dei campi. Nelle isole caraibiche si affermò la coltivazione della canna da zucchero. Dal continente americano furono invece portati in Europa prodotti agricoli divenuti poi essenziali nell’alimentazione: mais, patata bianca e patata dolce, zucchine e zucca gialla, pomodoro, ecc.. Dal nuovo mondo arrivò anche il tabacco che però si cominciò a coltivare su larga scala solo a partire dal 17esimo secolo. Mentre le spedizioni portoghesi avevano conseguito l’obiettivo che si erano posto, la Spagna non riuscì a raggiungere le Indie e dalla scoperta del continente americano non ricavò all’inizio le grandi ricchezze promesse da Colombo. La situazione mutò radicalmente quando con la scoperta di miniere di oro e di argento, i metalli preziosi divennero la risorsa più importante del nuovo mondo. Un impulso notevole alla produzione di argento venne in particolare dalla scoperta in Bolivia nel 1545 della ricchissima miniera di Potosì. Le quantità ricavate crebbero notevolmente anche grazie all’introduzione di una nuova tecnica messa a punto nel 1555, che utilizzava il mercurio per estrarre il metallo dalla roccia separandolo dalle scorie. Per lo sfruttamento delle miniera fu ripresa l’istituzione della MITA che consentì di impiegare il lavoro di migliaia di indios. Gli indios furono sottoposti a condizioni di lavoro durissime. Si e già più volte ricordata la drastica diminuzione della popolazione locale dopo l’arrivo dei conquistadores. Una vera catastrofe demografica, provocata dal brutale sfruttamento del lavoro degli indios, e dalle malattie portate dagli europei contro le quali essi non avevano alcuna difesa immunitaria. Per conto dell’America giunse probabilmente in Europa, una malattia venerea che si manifestò già nel 1495 nell’esercito francese di Carlo VIII durante l’assedio dei castelli di Napoli: la sifilide. L’EVANGELIZZAZIONE: Fin dall’inizio le spedizioni marittime dei portoghesi furono animate dalla volontà di diffondere la religione cristiana. L’espansione portoghese assunse quindi il carattere di una crociata contro l’Islam che stringeva l’Europa cristiana in una morsa fra l’impero ottomano che avanzava nel Mediterraneo e gli stati musulmani che occupavano gran parte dell’Africa settentrionale. Anche nella colonizzazione del continente americano si riscontra un legame indissolubile fra motivazioni economiche e religiose. I due stati iberici improntarono la loro missione religiosa ai principi e ai metodi che avevano caratterizzato la reconquista, propenso cioè all’uso della forza per ottenere la conversione al proprio credo. Come si è visto il papato legittimò il diritto di conquista del Portogallo e della Spagna proprio in virtù del loro impegno a diffondere la religione di Cristo fra i popoli che non la praticavano e non la conoscevano, e per questo concesse ai rispettivi sovrani il pieno controllo delle istituzioni ecclesiastiche nei territori occupati o scoperti. L’inquisizione istituita nel 1531 in Portogallo sul modello di quella spagnola fu estesa nel 1560 anche ai domini asiatici. La casa de contratacion di Siviglia aveva il compito di impedire la partenza per il nuovo mondo, oltre che degli stranieri anche di ebrei e sospetti di eresia. Quanto alla evangelizzazione affidata agli encomenderos fu spesso un paravento per giustificare lo spietato sfruttamento degli indios. Si ricorse spesso a battesimi di massa, ai quali gli indios non potevano sottrarsi. Accadeva perciò che i vecchi culti sopravvissero clandestinamente. Come era accaduto in Spagna nei confronti degli ebrei, anche in America l’Inquisizione fu stabilita per verificare la sincerità delle conversioni. L’IMPATTO DELLA SCOPERTA: Le esplorazioni geografiche cancellarono la concezione medievale di un blocco di tre continenti (Europa, Africa e Asia) posto nell’emisfero settentrionale e circondato dall’oceano. I moderni avevano superato le colonne d’Ercole che segnavano il confine del mondo antico e che con il Medioevo aveva posto come un limite oltre il quale non era possibile spingersi. Attraverso la scoperta si realizzò l’incontro fra due mondi rimasti sconosciuti l’uno all’altro: fu un evento straordinario unico nella storia mondiale. Con il tempo il confronto con la realtà sconosciute e completamente diverse fece maturare nel pensiero europea l’esigenza di una riflessione critica sulle proprie radici. Intanto occorreva spiegare l’origine di popolazioni che non erano contemplate nella genealogia disegnata dalla Bibbia. Ci si interrogò sulla natura degli abitanti del nuovo universale dei credenti, per cui tutti sono fratelli di Cristo, cadde l’idea di un clero dotato di uno status diverso rispetto ai laici: spariva il purgatorio la cui invenzione risaliva al 12esimo secolo. La reazione di Roma giunse nel luglio 1520 con la bolla EXSURGE DOMINE che minacciava la scomunica di Lutero se non avesse ritrattato le sue dottrine. Per tutta risposta il riformatore tedesco bruciò sulla pubblica piazza la BOLLA e il CODICE di diritto canonico, atto simbolico di rifiuto dell’intera istituzione ecclesiastica. Nel frattempo la situazione in Germania era esplosiva. Su pressione del dura Federico II il saggio di Sassonia, del quale Lutero era suddito, Carlo V acconsentì ad ascoltare il riformatore alla DIETA di WORMS il 17 aprile 1521. Lutero riassunse con chiarezza i fondamenti della Riforma. A questo punto si profilava per Lutero condannato come eretico, la stessa sorte che era toccata un secolo prima a Hus. Fu il suo principe FEDERICO IL SAGGIO a salvarlo, facendolo rapire da cavalieri mascherati che lo condussero nel castello della Wartburg, dove rimase nascosto circa un anno e tradusse la Bibbia in tedesco. Poco dopo esplosero nella società tedesca le tensioni occasionate dal diffondersi della nuova dottrina. I cavalieri ritennero che fosse giunto il momento di mettere le mani sulle proprietà ecclesiastiche, primo passo verso il ripristino della libertà tedesca. Più importani furono gli sconvolgimenti provocati dalla guerra dei contadini che fra il 1524 e il 1525 infiammò larga parte della Germania a partire dalla Svezia per giungere fino all’Alsazia. Le rivendicazione degli insorti sono sintetizzate nei DODICI ARTICOLI dei contadini di Svevia elaborati nel 1525: libera elezione dei pastori e riduzione della decima, ripristino delle tradizionali prerogative della comunità di villaggio usurpate dai signori laici ed ecclesiastici. La protesta voleva essere pacifica, ma non mancarono violenze contro chiese, monasteri e castelli. Fra i predicatori che nelle varie zone guidarono il movimento, si segnala la figura di MUNTZER, discepolo di Lutero che aveva collegato la riforma religiosa a un profondo rivolgimento sociale, che anche attraverso l’uso della forza, stabilisse il regno della giustizia e della pace. Egli predicava la comunione dei beni affinché la povera gente libera dai bisogni materiali potesse vivere la vera Chiesa spirituale. Alla rivolta pose fine nel 1525 la disastrosa sconfitta degli insorti nella battaglia di FRANKENHAUSEN in seguito alla quale Thomas fu condannato alla decapitazione. Naturalmente Lutero prese subito le distanze dalle rivendicazioni dei contadini. Questa reazione era la logica conseguenza delle sue convinzioni: la libertà del cristiano è solamente interiore, la realtà terrena non deve interessarlo più di tanto. Quindi il cristiano deve in ogni caso obbedienza al potere politico, qualunque esso sia, poiché è stabilito da Dio per mantenere l’ordine. Rimase sempre ben ferma in Lutero la distinzione fra la CHIESA INVISIBILE E CHIESA VISIBILE. Dalla prima nessuno poteva essere certo di far parte; quanto alla seconda, Lutero non le diede grande importanza, dal momento che è impossibile distinguere i essa i veri dai falsi cristiani, i sinceri dagli ipocriti. LA POLEMICA CON ERASMO: Nella crisi che spaccava la cristianità occidentale gli sguardi di tutti si volsero a Erasmo, che fu incitato da più parti a intervenire. Egli nel 1524 si schierò apertamente contro Lutero, egli attaccò Lutero proprio nel punto sul quale l’umanesimo e la Riforma si distinguevano in modo più netto: LA CONCEZIONE DELL’UOMO. Egli riteneva che se anche per ipotesi fosse vero che l’uomo nella propria salvezza ha un ruolo puramente PASSIVO, non sarebbe conveniente far giungere questa verità alle “orecchie sprovvedute” del popolo. Analogicamente egli giudicava utile la CONFESSIONE, ancorché forse non istituita da Cristo perché tratteneva molti dal commettere il male. In relazione alla confessione la replica di Lutero risultava particolarmente penetrante: astenersi dal male solo per il timore di doversi confessare o per paura dell’inferno non aveva ai suoi occhi alcun valore, serviva a fare degli ipocriti non dei veri cristiani. In realtà la prudenza e la moderazione di Erasmo erano il riflesso del suo disagio di fronte a una realtà nella quale egli non si riconosceva più. Erasmo si ritraeva intimorito da un mondo lacerato da conflitti sempre più aspri, che stavano spaccando, in modo forse irreversibile la cristianità. Nell’ultima replica a Lutero del 1526 Erasmo affermò con chiarezza i motivi che lo avevano indotto a non schierarsi con la Riforma. Questa ostinata volontà di non rompere con Roma non ebbe un esito felice: da un lato fu accusato dai protestanti di non aver saputo trarre le conseguenze dal suo cristianesimo evangelico; dall’altra egli rimase sempre per Roma un CRIPTO-ERETICO, colui che aveva deposto le uova che poi aveva covato Lutero, tant’è che tutta la sua opera sarebbe stata posta nell’Indice dei libri PROIBITI. LA RIFORMA NELLA SVIZZERA TEDESCA: ZWINGLI: Zwingli (1484-1531), cappellano della cattedrale di Zurigo, aveva maturato l'aspirazione a un ripristino della semplicità evangelica quando, nel 1519, l'esempio d Lutero lo spinse a mettersi apertamente sulla via della Riforma, che assunse ben presto caratteri originali rispetto a quella promessa dal riformatore tedesco. Intanto ben diverso era il contesto nel quale egli operò: Zurigo ed era governato da un'oligarchia patrizia che controllava il CONSIGLIO CIVICO. Fu proprio con l'appoggio di quest'ultimo che Zwingli, pezzo dopo pezzo, l'edificio della Chiesa cattolica e stabilire in città il culto riformato; tutti i principali aspetti della sua azione riformatrice si ricollegavano all'umanesimo di impronta erasmiana. Proprio perchè la fede è spirituale e deve prescindere dagli aspetti materiali, egli abolì le immagini sacre e la musica: il tempio zwingliano, come poi quello calvinista, si presenta austero, nudo; il razionalismo umanistico lo portò inoltre a negare ogni presenza reale nell'EUCARESTIA. Da Zurigo la Riforma si diffuse in molte città della Svizzera, fra cui Berna e Basilea, ciò comportò un inevitabile conflitto con i CANTONI originari (Uri, Schwyz, Unterwalden) rimasti cattolici. Il riformatore zurighese, per contrastare i cantoni cattolici e i loro alleati, il papa e l'imperatore, concepì una lega europea e tentò anche di stabilire un accordo con i luterani, che però si rivelò impossibile nel colloquio di MARBURGO (1529) proprio a causa della questione della presenza reale nell'eucarestia. Alla fine i cantoni protestanti dovettero combattere da soli contro quelli cattolici e furono sconfitti nella battaglia di KAPPEL (1531), nella quale perse la vita lo stesso Zwingli; per effetto di questa sconfitta l'espansione della Riforma nella Svizzera tedesca si arrestò, proseguì nella Svizzera francese grazie all'opera di Calvino. CALVINO: Calvino nacque a Noyon in Francia nel 1509. Il giovane ebbe una formazione umanistica e si sarebbe forse dedicato agli studi se non fosse intervenuta, a cambiare la sua vita, l'adesione a principi della Riforma. Nel 1534 fu costretto a lasciare la Francia per sfuggire alle persecuzioni lanciate contro gli eretici da FRANCESCO I. A Basilea, dove si era rifugiato, Calvino pubblicò nel 1536 la opera che, esponeva già la sostanza della sua dottrina; lasciata Basilea, si recò in Ginevra, decise di stabilirvisi per aiutare l'amico Farel nel suo tentativo di consolidare la recente adesione della città alla Riforma. Attraverso questa scelta Ginevra mirava a sottrarsi, al controllo del vescovo, signore feudale della città che, sostenuto dai duchi di Savoia, tendeva a imporre la propria autorità sulle magistrature comunali. Fin dall'inizio quindi l'azione di Calvino, che intendeva porre la Chiesa riformata al centro della vita cittadina, dovette confrontarsi con questi problemi politici; nel 1541 fu richiamato a Ginevra. LA DOTTRINA di CALVINO: Il pensiero di Calvino è incentrato sul principio dell'ONNIPOTENZA di Dio, sovrano assoluto di tutto il creato. Un rilievo centrale nella teoria di Calvino aveva il concetto di VOCAZIONE: Dio ha stabilito per ciascuno il dovere da compiere; era questa la matrice del tipico attivismo delle comunità calviniste e anche della sostanziale diversità del concetto di Chiesa di Calvino rispetto a quello di Lutero. Questi in effetti non aveva mai dato grande importanza alla realtà terrena, orientando tutta la vita del cristiano nell'attesa del regno di Cristo; Calvino riteneva invece che il corso della storia fosse governato dalla PROVVIDENZA DIVINA. GINEVRA CITTA' di DIO: Nel 1541, subito dopo il suo rientro in città, Calvino gettò le basi della struttura della sua Chiesa. Secondo il modello del Nuovo Testamento egli istituì quattro ORDINI: i PASTORI o ministri, responsabili del culto e della predicazione, i DOTTORI, ai quali era affidata l'educazione e la difesa dell'ortodossia, i DIACONI, che si occupavano dell'assistenza ai malati e dodici ANZIANI laici (presbiteri) scelti dal consiglio cittadino fra i suoi membri con il compito di vigilare sulla vita cristiana dei cittadini nei dodici distretti nei quali era divisa la città; gli anziani e i pastori formavano insieme il CONCISTORO. Diversamente da Lutero, Calvino garantì quindi l'indipendenza della Chiesa dallo Stato, che non poteva intromettersi nella vita della comunità riformata; a Ginevra non si stabilì una TEOCRAZIA, giacché il potere politico e quello religioso rimasero distinti. Calvino attraverso gli organi della sua chiesa impose una rigorosa disciplina, che tese a trasformare la città in una repubblica di santi: fu proibito il gioco della carte, furono vietati i nomi di battesimo non presenti nella Bibbia, gli abbigliamenti lussuosi... lo stato era responsabile, della realizzazione di questo grandioso progetto di rigenerazione cristiana. Vi era quindi una distinzione di compiti fra i due poteri, che erano chiamati ad agire di concerto, in tal senso si può parlare di BIBLIOCRAZIA, nel senso che la legge della Bibbia fu posta a fondamento di tutta la vita non solo religiosa, ma anche politica, sociale e economica della città. Calvino quindi attribuiva al potere politico il dovere di ispirare le sue azioni ala parola di Dio; non mancarono lungo tutto il corso della vita di Calvino polemiche e contrasti con le autorità cittadine: molti ambienti, manifestarono a più riprese malumore e aperte ostilità, nei confronti dell'austero modello di vita imposto dal riformatore. La progressiva identificazione di Ginevra con la fede calvinista influì in misura notevole anche sulla sua composizione demografica: molti cattolici furono espulsi mentre arrivò un consistente flusso di profughi fuggiti dalla Spagna, dalla Francia e dall'Italia per sottrarsi alla persecuzione. PROTESTANTESIMO - CAPITALISMO?: il sociologo tedesco Max WEBER affermò che il concetto di vocazione, avrebbe contribuito al sorgere della mentalità CAPITALISTICA. La tesi ha avuto molta fortuna e ha suscitato vivaci discussioni fra gli studiosi, tuttavia non ci sono negli scritti di Calvino indizi significativi per interpretare in chiave economica il suo concetto di vocazione; l'attivismo del calvinista si esplicava innanzitutto sul terreno con il nome di Alessandro VI lo spagnolo Rodrigo Borgia accusato di aver comprato i voti necessari per la sua elezione, noto anche per la sua scandalosa vita privata e per aver utilizzato il suo potere in favore dei figli. SVILUPPI CIVILTA' COMUNALE: La situazione politica dell'Italia centro-settentrionale all'inizio dell'età moderna era il risultato del processo di superamento degli ordini comunali che si erano affermati in questa parte della penisola tra la fine dell'XI e la prima metà del XII secolo. Il primo passo verso il superamento della cronica instabilità dei comuni fu l'esclusione delle classi popolari dalla partecipazione alla vita politica a favore di OLIGARCHIE composte da famiglie di mercanti e banchieri e da esponenti della nobiltà feudale integrati nel tessuto sociale urbano. Dal XIII sec. in poi in molte città il controllo effettivo del governo venne assunto da un SIGNORE, che riuscì poi a trasmetterlo ai suoi eredi, fondando una vera e propria dinastia. La signoria si trasformava quindi in un PRINCIPATO, agli inizi del 400 solo poche città conservavano ancora i loro ordinamenti REPUBBLICANI: Genova, Siena, Firenze e Venezia. Principati sorti dal declino dell'esperienza comunale erano il ducato di Ferrara, Modena e Reggio, retto dagli Estensi, e il marchesato (dl 1530 ducato) di Mantova governato dai Gonzaga. Altri stati avevano invece origini feudali: è il caso dei domini della famiglia Savoia, che ottenne nel 1416 il titolo ducale; si trattava di uno Stato per lingua, cultura e orientamenti politici più volto alla Francia che alla penisola. La capitale infatti era Chambery e solo nel secolo seguente la corte si sarebbe spostata a Torino. DUCATO di MILANO: Dall'evoluzione dell'esperienza comunale era nato anche lo Stato di Milano, che comprendeva NOVE province: Milano, Pavia, Lodi, Cremona, Como, Novara, Tortona, Alessandria e Vigevano. Passato a metà del XV sec. dai VISCONTI a Francesco SFORZA lo Stato milanese, nodo strategico per il controllo dei paesi alpini, fu la chiave della supremazia in Europa. REPUBBLICA di FIRENZE: Anche a Firenze si era manifestato dalla fine del XIV sec. un'evoluzione delle istituzioni comunali verso un regime oligarchico caratterizzato dal predominio di un ristretto gruppo di famiglie. In questa fase Firenze occupa PISA (1406), LIVORNO che le diede lo sbocco al mare (1421). Dal 1434 si affermò in città l'egemonia di una famiglia arricchitasi con l'attività bancaria, i MEDICI, che acquisì una sorta di signoria grazie all'abile opera di COSIMO il vecchio, il quale si garantì il controllo delle magistrature repubblicane escludendone gli avversari a vantaggio di uomini a lui fedeli. La sua opera fu proseguita dal nipote LORENZO il magnifico, protagonista della cultura umanistico - rinascimentale e abile garante dell'equilibrio politico fra gli stati Italiani. REPUBBLICA di VENEZIA: Conservava ancora le forme repubblicane Venezia, che si era data una solida struttura costituzionale con una serie di leggi definite con il nome di "SERRATA del MAGGIOR CONSIGLIO". Questi provvedimenti stabilirono che il maggior consiglio, l'organismo sovrano della costituzione veneziana, sarebbe stato composto da allora in poi dai maschi adulti delle famiglie che ne facevano parte in quel momento. In pratica queste famiglie, diedero vita a un PATRIAZIATO, ovvero a un ceto di governo ereditario e di fatto chiuso; il maggior consiglio eleggeva fra i suoi membri tutte le principali cariche dello stato. Le principali funzioni politiche e giuridiche erano delegate dal Maggior consiglio a organi più ristretti che si formavano al suo interno; fra questi vi era innanzitutto il Senato, nel quale si discutevano i grandi problemi politici e si prendevano le decisioni più importanti, unica carica vitalizia era quella del DOGE, capo e rappresentante dello Stato veneziano ma privo di veri poteri. Venezia conquistò nel 400 un ampio dominio di terraferma, occupando tutto il Veneto, il Friuli, Brescia, Bergamo e Crema. A questi territori si aggiungeva l'Istria, la Dalmazia, le isole Ionie e in oriente vari stabilimenti in Grecia, le isole di Creta e Cipro. L'AVVENTURA di CARLO VIII: Il precario equilibrio della penisola fu rotto improvvisamente dalla decisione del re di Francia Carlo VIII di far valere i diritti sul regno di Napoli della casa di ANGIO', Carlo VIII preparò accuratamente l'impresa garantendosi la neutralità della Spagna, alla quale cedette la CERDAGNE e il ROUSSILLON e dell'imperatore Massimiliano, al quale diede la FRANCA CONTEA e ARTOIS. Il suo tentativo fu incoraggiato da varie componenti della società italiana, che calcolavano di approfittare del suo intervento per conseguire i propri particolari obiettivi politici. Fra questi LUDOVICO il MORO, che reggeva lo Stato di Milano come tutore del nipote Gian Galeazzo; questi aveva sposato una principessa aragonese, per cui la dinastia al potere a Napoli era il principale ostacolo che impediva a Ludovico di usurpare il potere ai danni del nipote. Carlo VIII scese in Italia, a Milano fu ricevuto amichevolmente da Ludovico il Moro, quindi poté proseguire fino a Firenze, dove il figlio di Lorenzo il Magnifico, Piero de Medici, in cambio dell'incolumità della città gli consegnò le chiavi delle principali piazzeforti dello Stato. Questa decisione suscitò a Firenze una viva opposizione che costrinse Piero a fuggire. Fu ristabilito cosi il REGIME REPUBBLICANO; un ruolo decisivo in questa restaurazione repubblicana lo ebbe un frate domenicano Girolamo SAVONAROLA, che aveva acquisito un grande ascendente in città con le sue prediche apocalittiche nelle quali denunciava la corruzione della Chiesa, attaccando il papa simoniaco Alessandro VI; questa repubblica Fiorentina sopravvisse dal 1494 al 1512. Proseguendo la discesa Carlo VIII a Roma si accordò facilmente con il papa e quindi poté conquistare Napoli praticamente senza combattere, il re di Napoli ALFONSO di Aragona abdicò in favore del figlio Ferdinando II, detto FERRANDINO, che non potendo opporsi all'esercito Francese fuggì a Ischia, mentre Carlo entrava a Napoli ricevuto dai baroni, ostili alla dinastia aragonese (1495). Gli stati Italiani e lo stesso Ludovico il Moro compresero però che l'insediamento della Francia a Napoli rappresentava un grave minaccia, si formò cosi rapidamente una LEGA alla quale parteciparono Venezia, Milano, il papa, Ferdinando il cattolico e l'imperatore Massimiliano; Carlo dovette abbandonare Napoli e risalire la penisola. Con l'aiuto delle truppe spagnole, comandate da GONZALO da Cordoba, eroe della presa di Granada, Ferrandino poté ritornare sul trono di Napoli, ma dovette cedere a Venezia Brindisi. L'avventura di Carlo si era conclusa rapidamente senza lasciare cambiamenti, se non la nascita della repubblica fiorentina, ma aveva dimostrato in maniera evidente la debolezza del sistema politico italiano. IL DUCATO di MILANO al CENTRO DELLA CONTESA: Morto nel 1498 Carlo VIII senza lasciare eredi, la corona francese passò al cugino LUIGI XII (1498-1515) dal ramo VALOIS-ORLEANS, che riprese i progetti di intervento in Italia puntando però sul Milanese, sul quale poteva accampare diritti in quanto discendente di Valentina Visconti, che nel 1387 aveva sposato un Orléans. Egli si accordò con Venezia, alla quale promise il possesso di Cremona, con la Confederazione ELVETICA e con il papa Alessandro VI. Trovatosi completamente isolato Ludovico il Moro fu costretto a rifugiarsi presso Massimiliano d'Asburgo, che aveva sua nipote Bianca Sforza, egli tentò in seguito di riconquistare il suo stato ma fu sconfitto a Novara nel 1500. Quindi Luigi XII volse le sue mire sul regno di Napoli; per questo ritenne necessario accordarsi con il re di Spagna che, possedendo la Sicilia, non poteva consentire che la Francia acquisisse tutto il Meridione d'Italia. L'accordo fu stipulato con il trattato segreto di GRANADA (1500) che prevedeva a spartizione del regno fra la Spagna e la Francia. Il re di Napoli, Federico III, fu colto di sorpresa perchè pensava che le truppe spagnole di Gonzalo de Cordoba fossero sue alleate; quando comprese la verità, cedette i suoi diritti a Luigi XII senza combattere. Al re di Francia era dato nell'accordo il possesso di Campania e Abruzzo e il titolo di re di Napoli mentre alla Spagna sarebbero toccate Calabria e Puglia. Ma ben presto scoppiò fra i due alleati il conflitto che volse a favore della Spagna, la battaglia del Garigliano (1503) fu una vera disfatta per l'esercito di Luigi XII che fu costretto a stipulare l'armistizio di LIONE (1504) che sancì l'esclusiva appartenenza dal regno di Napoli alla Spagna. CESARE BORGIA: Grazie all'appoggio francese, Alessandro VI cercò finalmente di realizzare il suo obbiettivo di creare uno stato per il figlio Cesare. Questi nominato dapprima cardinale e con le forze messegli a disposizione da Luigi XII riuscì a crearsi un dominio personale fra la Romagna e le Marche eliminando, con l'inganno, numerosi signorotti che spadroneggiavano in quelle zone. Cesare Borgia riuscì con la sua azione a consolidare il dominio del papa in territori nei quali la sua autorità era puramente nominale, la morte improvvisa di Alessandro VI pose fine alla sua impresa. Fu eletto infatti papa con il nome di Giulio II proprio il grande nemico dei Borgia, Giuliano della Rovere (1503-1513). LA LEGA ANTI-VENEZIANA: Giulio II proseguì la politica del su predecessore cercando di ricondurre tutti il territorio dello Stato sotto il pieno controllo del governo romano, e infatti, guidando personalmente le truppe ristabilì la sua autorità sulle città di PERUGIA e BOLOGNA. Nel perseguire questo programma si urtò inevitabilmente con il più forte Stato italiano, VENEZIA. In effetti Venezia si era attirata con il suo espansionismo molte ostilità: essa infatti aveva preso i porti sull'Adriatico al regno di Napoli, Cremona e la Giara d'Adda allo stato milanese, ora controllato dalla Francia, Gorizia, Trieste e Fiume all'imperatore Massimiliano. Nella LEGA di CAMBRAI organizzata da Giulio II entrarono quindi Ferdinando il cattolico, Luigi XII, l'imperatore Massimiliano e vari principi italiani; nel 1500le truppe francesi inflissero a quelle veneziane una terribile sconfitta ad Agnadello, presso Crema: tutte le conquiste della terraferma andarono perdute e la stessa città sembrò minacciata. In uno dei momenti più drammatici, la repubblica con un'abile azione diplomatica fece leva sui contrasti fra il papa e la Francia per uscire dal suo isolamento e superare la crisi. Negli anni seguenti Venezia riuscì a recuperare i possedimenti di terraferma, ma le sue mire espansionistiche erano definitivamente tramontate. Da allora la Repubblica assunse un atteggiamento prudente, partecipando alle guerre d'Italia solo per difendere i suo territorio. l'oligarchia scacciò i Medici dalla città e instaurò la SECONDA REPUBBLICA Fiorentina (1527-1530). ANDREA DORIA e la REPUBBLICA di GENOVA: L'anno seguente Francesco I riprese l'offensiva inviando un esercito che, occupata GENOVA proseguì verso sud nell'intento di scacciare gli spagnoli da Napoli. La capitale fu cinta d'assedio mentre dal mare era bloccata dalla flotta dell'ammiraglio genovese ANDRE DORIA. Ma l'impresa fallì miseramente proprio per il passaggio di campo di quest'ultimo, che tolse improvvisamente il blocco navale di Napoli; privo di sostegno dal mare e colpito da un'epidemia di tifo, il corpo di spedizione francese dovette ritirarsi. Andrea Doria era un imprenditore della guerra, proprietario di una flotta che poneva al servizio del miglior offerente; la scelta di lasciare il servizio di Francesco I per passare dalla parte di Carlo V, fu dovuta anche a considerazioni di interesse personale, ma mirò soprattutto a realizzare un decisivo cambiamento della situazione politica della sua città. Porto naturale di Milano, Genova era stata coinvolta direttamente nella contesa franco-imperiale per il possesso di quello Stato e si era trovata perciò di volta in volta alla mercé del vincitore di turno; il 1528 Doria sbarcò a Genova e di fatto se ne impadronì, presentandosi come il restauratore della libertà cittadina. Da quale momento Genova rimase vincolata all'alleanza della Spagna, garante della sua indipendenza, Doria ispirò una riforma delle istituzioni cittadine, che diede vita a una REPUBBLICA oligarchica sul modello Veneziano. Al vertice c'era un DOGE eletto per due anni, non a vita come a Venezia. La guerra proseguì ancora ma alla fine, fallita anche l'ultima offensiva francese in Italia, si giunse nel 1529 alla pace di CAMBRAI, detta anche delle due DAME, perché negoziata dalla madre di Francesco I, Luisa di Savoia e dalla zia di Carlo V, Margherita d'Austria. La Francia rinunziava a ogni pretesa nella penisola, ma conservava la Borgogna; in precedenza Carlo V aveva raggiunto un accordo con il papa Clemente VII, il quale gli diede l'investitura del regno di Napoli e acconsentì a un'incorporazione nei domini asburgici dello Stato di Milano, dove intanto veniva mantenuto Francesco II Sforza, incorporazione che poi avvenne alla morte di quest'ultimo nel 1535. In cambio Carlo V si impegnò a restaurare il dominio dei MEDICI a Firenze, che era il principale obiettivo del papa; le clausole della pace delle due dame furono confermate nel congresso di BOLOGNA, durante il congresso il papa Clemente VII nella Basilicata di San Pietro incornò Carlo V imperatore e re d'Italia (1530). Questa fu l'ultima volta in cui tale cerimonia di ascendenza medievale si svolse in Occidente. Dopo un lungo assedio da parte delle truppe imperiali, Firenze, dovette arrendersi nel 1530; il potere fu dato ad Alessandro dei Medici, che ebbe da Carlo V il titolo di duca (1532). Così si realizzò anche a Firenze, l'ultima grande transizione dal regime repubblicano al principato. Capitolo 13: Il sogno imperiale di Carlo V DOMINUS MUNDI: principale consigliere di Carlo V e ispiratore del suo programma politico fu il piemontese Mercurio Arborio da Gattinara,gran cancelliere dal 1518 alla morte nel 1530. Subito dopo l'elezione imperiale del 1519. Gattinara riprese l'idea di impero come governo universale , risalente al diritto romano. LA SVOLTA DEL 1530 : la scomparsa di Gattinara nel 1530 fu in un certo senso veramente emblematica della chiusura di una fase dello scontro per la supremazia in Europa. Da allora Carlo V non si occupò più direttamente dei problemi specifici relativi al governo dei vari suoi domini e concentrò la sua attenzione sulla strategia del suo DISEGNO POLITICO. Nel 1531 egli fece eleggere re dei romani candidato alla successione imperiale, il fratello FERDINANDO al quale aveva già affidato il governo dei domini ereditari, e conferì la reggenza dei Paesi bassi alla sorella MARIA ,vedova di Luigi II Jagellone, per gli altri suoi domini delegò il governo a dei viceré. Dopo Gattinara non ebbe più un cancelliere , e fu circondato da comandanti e consiglieri , in buona parte spagnoli; i due più importanti Nicolas Perrenot , Francisco de los Cobos , non furono in fondo che degli esecutori delle sue direttive : egli divenne in un certo senso il cancelliere di se stesso. Con la pace delle due dame e con il congresso di Bologna, il conflitto franco- asburgico raggiunse un punto di equilibrio. Si stabilì allora il predominio spagnolo nella penisola che poi sarebbe stato sancito ufficialmente nella pace CATEAU CAMBRéSIS del 1559. Agì l'aggravarsi della minaccia dell'impero OTTOMANO sulla frontiera dei domini ereditari austriaci ; Carlo V riservò sempre maggiore attenzione anche all'area mediterranea dove imperversavano le incursioni dei pirati BARBARESCHI vassalli del sultano. Decisiva fu anche la conquista dei domini americani, che si compì interamente durante il suo regno. Oltre al prezioso apporto di oro e argento, conferirono al suo impero una dimensione planetaria. Infine la diffusione del PROTESTANTESIMO accentuò l'aspirazione di Carlo V a porsi come arbitro dei conflitti religiosi e come supremo garante dell'unità dell'Europa cristiana. GLI OTTOMANI ALLE PORTE di VIENNA: Fin dal 1520 gli Asburgo avevano dovuto fronteggiare sul confine orientale dell'impero la minaccia che l'impero Ottomano faceva gravare sul regno cristiano di UNGHERIA. Stato cuscinetto che separava i due rivali. Nel 1526 il sultano SOLIMANO il MAGNIFICO passò il Danubio e sconfisse l'esercito ungherese nella battaglia MOHACS nella quale morì il re LUIGI II JAGELLONE, che era re di Boemia. Solimano il Magnifico occupò gran parte del territorio ungherese ed entrò in Buda. Ferdinando il fratello di Carlo,che aveva sposato una sorella di Luigi II rivendicò i regni del cognato , ma mentre egli potè assumere senza problemi la corona di re di Boemia , in Ungheria la sua successione fu contestata da un partito nazionale ostile agli Asburgo.Ma a lui si contrappose la candidatura del Voivoda di Transilvania, GIOVANNI SZAPOLYAI, sostenuto da Solimano che intendeva fare dell'Ungheria uno stato vassallo dell'impero ottomano. negli anni seguenti l'esercito turco proseguì la sua offensiva e nel 1529 si spinse fin sotto le mura di Vienna. Alla fine le difficoltà logistiche dell'impresa, troppo lontana dalle sue basi di partenza, indussero Solimano a firmare la pace nel 1533. Per cui fu tenuto sul trono di Buda lo Szapolyai e a Ferdinando fu riconosciuto il possesso di una parte minore del territorio ungherese,la cosiddetta Ungheria Imperiale. Quando alla morte di Szapolyai nel 1540, il conflitto si riaprì il sultano con una spedizione militare occupò la maggior parte del territorio ungherese e le annettè direttamente all'impero ottomano. La Transilvania fu data a GIOVANNI SIGISMONDO, figlio di Szapolyai , come stato vassallo dei turchi. Questa situazione fu confermata dal trattato stipulato da Ferdinando e Solimano nel 1562. Fino alla fine del Seicento i domini asburgici si trovarono così a diretto contatto con l'impero ottomano lungo una linea di confine che distava pochi chilometri da Vienna, in tal modo l'impero asburgico divenne l'avamposto della cristianità di fronte alla minaccia islamica. il problema turco si poneva anche nel Mediterraneo, dove gli stati dei paesi berberi dell'Africa Settentrionale ( Tripolitania,Tunisia,Algeria) detti barbareschi nominalmente soggetti all'autorità del sultano, rappresentavano la base per scorrerie sulle coste spagnole e italiane. Proseguendo la lotta contro i musulmani, Ferdinando il cattolico aveva acquisito il controllo di diverse località sulla costa africana, e imposto un protettorato ad Algeri. Ma quest'ultima era stata conquistata nel 1529 dai corsari barbareschi, che trovarono in KHAIR AD DIN, detto BARBAROSSA, un capo abile e audace, che Solimano decise di nominare ammiraglio della flotta turca. Nel 1535 Francesco I, sempre animato dal desiderio di riaprire la partita in Italia, strinse un patto di alleanza con il sultano. Carlo V decise allora di preparare con un notevole sforzo finanziario una spedizione verso le coste africane alla quale volle partecipare di persona. le truppe di Carlo V occuparono Tunisi e riuscirono a conquistare la città, stabilendovi un protettorato spagnolo, ma il Barbarossa riuscì a sfuggire alla cattura rifugiandosi ad Algeri. Nel 1538 si riuscì ad organizzare una flotta cristiana formata da navi spagnole e veneziane, che si scontrò con quella KHAIR AD DIN ( BARBAROSSA) presso Prevesa, porto sulla costa dell'Epiro. Fu un grave insuccesso. Un ultimo tentativo di contrastare la potenza ottomana sul mare fu fatto nel 1541 , una flotta di circa 300 navi con 20.000 uomini fra i quali Hernàn Cortès parti dalle Baleari con l'obbiettivo di conquistare Algeri, il principale covo dei pirati. Ma una terribile tempesta distrusse metà della flotta e costrinse la spedizione a ritornare in Spagna. Fino alla battaglia di LEPANTO 1571 le potenze cristiane non furono in grado di contrastare la flotta ottomana. LA RIPRESA DELLA GUERRA FRANCO IMPERIALE: il segnale per la ripresa della guerra fu la decisione di Carlo V di occupare lo Stato di Milano nel 1535, alla morte del duca Francesco II Sforza. Francesco I penetrò nella Savoia e nel 1536 occupò Torino; Carlo V rispose attaccando in Provenza e nei Paesi bassi. Il conflitto si trascinò fino alla tregua firmata a NIZZA il 28 giugno 1538. Durò poco perché la ripresa delle ostilità nel 1542 da parte di Francesco I. I francesi non riuscirono ad occupare Nizza, appartenente al duca di Savoia. Fu piuttosto Carlo a ottenere importanti successi ampliando i suoi domini nei Paesi bassi. Si giunse così alla pace di CREPY 1544. Si prospettò allora una combinazione matrimoniale che avrebbe dovuto portare alla pacificazione con la Francia; il matrimonio fra il giovane duca di Orleans, terzo figlio di Francesco I, e una principessa asburgica. OPPOSIZIONI AL PREDOMINIO SPAGNOLO NELLA PENISOLA: nonostante l’acquisizione del dominio diretto del ducato di Milano nel 1535, la situazione italiana non era priva di ostilità nei confronti del predominio spagnolo. A Firenze nel 1537 il duca Alessandro fu assassinato. Successo ad Alessandro il figlio di Giovanni dalle Bande nere, COSIMO I, che avviò con mano ferma lo Stato verso il principato, ricevendo da Carlo V l’investitura come duca di Firenze e poi nel 1569 dal Papa il titolo di granduca di Toscana. Carlo V dovette fare i conti con la politica del Papa Paolo III Farnese 1534-1549, che tese essa si afferma: eretico è colui che in un dato momento storico viene giudicato tale da un'autorità ecclesiastica. Lutero riteneva che era stata la chiesa di Roma a tradire lo spirito del messaggio di Cristo. Dall'eresia si distinguono lo SCISMA, che implica la separazione(generalmente di un'intera comunità) dal corpo della Chiesa e l'APOSTASIA che comporta il rifiuto (individuale) dell'insegnamento cristiano. ASPIRAZIONI di RIFORMA: non c'è dubbio che molte voci si erano levate, ben prima della protesta di Lutero. Si è detto del profetismo di Savonarola. Conosciamo anche la grande influenza esercitata sulla cultura europea dell'umanesimo cristiano di Erasmo. Ma ance nella massa dei fedeli,provata dalle devastazioni delle guerre e dalle difficoltà dell'esistenza,furono vive in quegli anni l'aspirazione a una religiosità vicina allo spirito evangelico. nel concilio Lateranense V (1511-1516),convocato da Giulio II affermò l'urgente necessità di una riforma della Chiesa che avrebbe dovuto però interessare non la struttura è l'apparato dogmatico ma gli uomini, vale a dire la formazione e la qualità morale degli ecclesiastici. I NUOVI ORDINI RELIGIOSI: quanto diffuso e sentito fosse il bisogno di rinnovamento della Chiesa è dimostrato anche dalla nascita di molti nuovi ordini religiosi, sorti da iniziative spontanee, maturate nel corpo della cristianità e successivamente approvate dall'autorità ecclesiastica. Esempi gli oratori del divino amore, confraternite dedite a opere di carità e di devozione. Esempio nacquero nel 1528 i cappuccini che intendevano riportare in auge il modello di Assisi. I GESUITI: L'ordine più importante sorto nella prima metà del cinquecento, destinato ad avere un ruolo decisivo nell'età della Controriforma, fu la compagnia di Gesù fondata nel 1534 a Parigi dallo spagnolo Inigo di Loyola. Ai tre voti tipici della scelta monastica,povertà, castità e obbedienza, i GESUITI ne aggiunsero un quarto, l'assoluta obbedienza al Papa, quindi il capo dell'ordine dipendeva direttamente dal pontefice. I gesuiti furono attivi innanzitutto nell' istruzione: nei loro collegi, che alla fine del secolo erano già più di 500 in tutta Europa. I gesuiti ebbero anche un notevole peso politico in quanto furono spesso confessori e consiglieri di sovrani e principi. Infine essi si impegnarono nell'attività missionaria per la diffusione del cristianesimo. LA DIFFUSIONE DELLA RIFORMA IN ITALIA: Le dottrine riformate trovarono simpatie o adesioni in diverse città, ad esempio a Venezia, Lucca, Ferrara Napoli, e in tutti gli stati della società, fra gli ecclesiastici predicatori e monaci itineranti, ma pure fra intellettuali, studenti, mercanti, professionisti, e contadini. Un forte radicamento popolare ebbero le comunità ANABATTISTE, che si diffusero in particolare nel Veneto. Aderirono alla riforma del 1532 anche le comunità di seguaci dell'eresia valdese formatesi nel XII secolo. In un primo tempo la rottura non fu percepita come insanabile e molti speravano che si potessero ricomporre i dissensi sulla base di un rinnovamento della Chiesa che venisse incontro almeno ad alcune delle proposte avanzate dai riformatori. Si diffusero perciò posizioni non ben definite, e si manifestò la tendenza alla formazione di gruppi clandestini, inclini alla pratica del NICODENISMO. Molto importante fu l'opera dello spagnolo Juan de Valdes che, rifugiatosi in Italia per sfuggire all'inquisizione spagnola, si stabilì a Napoli dove fino all'anno della sua morte animò un cenacolo di formazione spirituale che influenzò molti dei protagonisti della riforma italiana. Valdes riteneva decisiva nella vita religiosa la diretta illuminazione divina, che trasformò la coscienza individuale liberandola e inducendola all'amore di Dio. LA CONGREGAZIONE DEL SANT'UFFICIO: Nacque nel 1542 la congregazione cardinalizia del sant'ufficio o dell'INQUISIZIONE, presieduta dal Papa, con il compito di riorganizzare e dirigere dal centro la rete dei tribunali inquisitoriali istituiti nel Medioevo. Questa decisione segnò una vera svolta: fu sempre più difficile assumere posizioni intermedie di mediazione o di compromesso. IL CONCILIO di TRENTO: Nel dicembre 1545si aprì a Trento il concilio tanto atteso, indetto da PAOLO III fin dal 1542 ma ritardato a causa della guerra. Si stabilì che avevano diritto di voto, oltre ai vescovi, anche i generali degli ordini mendicanti, mentre non votavano i teologi e i canonisti. Carlo V suggerì di non trattare per le prime questioni TEOLOGICHE ma di promuovere innovazioni a livello morale e disciplinare, nella speranza di un compromesso con le chiese protestanti. Questa linea era condivisa da alcuni vescovi, anche perche alcuni di essi non erano insensibili a molte tematiche proposte nella Riforma, a partire dal problema della giustificazione della salvezza. Ma queste posizioni furono sconfitte: il concilio decise già nella prima fase di affrontare le questioni teologiche e, condannando il principio della giustificazione per sola fede chiuse la porta ad ogni dialogo. La decisione di spostare il concilio a Bologna 1547, con il pretesto di un'epidemia di tifo fu un nuovo motivo di conflitto fra il Papa e Carlo V , che si aggiunse alla questione di Parma e Piacenza, di conseguenza i lavori, ai quali non parteciparono più i vescovi spagnoli, proseguirono stancamente ma senza risultati fino alla morte del pontefice nel 1549. Il concilio si riaprì a TRENTO nel 1551 sotto il nuovo papa Giulio III Del Monte 1550-1555, ma fu nuovamente sospeso nel 1552 per la ripresa della guerra. Nel 1555 il quadro mutò radicalmente con l'elezione a Papa con il nome di Paolo IV, egli diede alla politica del papato un orientamento decisamente antispagnolo;per quanto riguarda i problemi religiosi, era favorevole a una dura repressione dell'eresia a difesa dell'ortodossia. per questo egli si guardò bene dal riconvocare il concilio e perseguì una politica di accentramento e di rafforzamento del primato del papa, fondato in particolare sulla centralità dell'inquisizione, egli utilizzò il tribunale per avviare una resa dei conti con i prelati di orientamento riformatore: fece imprigionare nel 1557 con l'accusa di eresia il cardinale milanese Morone, e intendeva colpire anche il cardinale Pole che sfuggì alle accuse perchè si trovava in Inghilterra dove morì nel 1558. Paolo IV fu accolto con gioia dalla popolazione romana. Il nuovo papato del milanese PIO IV MEDICI 1559-1565 fece segnare una svolta rispetto alle linee del predecessore. Sotto il suo pontificato potè svolgersi fra il 1562-1563 l'ultima fase del concilio. come si e detto, già nella prima fase i decreti condannarono come eretiche le dottrine delle chiese protestanti e riaffermarono contro le tesi luterane, l'importanza della tradizione rispetto alla Scrittura come fonte di verità: per quanto concerne la Bibbia,il testo latino di Girolamo (la VULGATA) fu confermata come edizione ufficiale; il concilio ribadì la dottrina cattolica sulla natura e sulla validità dei sacramenti, e riguardo all'eucarestia confermò la TRANSUSTANZIAZIONE, cioè la trasformazione delle specie nel corpo e nel sangue di Cristo. Agli ecclesiastici fu mantenuto, attraverso il sacramento dell'ordine, uno status distinto rispetto al laicato; inoltre fu definita la dottrina delle indulgenze e furono ribaditi 'esistenza del Purgatorio e il culto dei santi e della Madonna. Oltre a queste prese di posizione sul piano dogmatico, il concilio provvide anche ad un rinnovamento morale e disciplinare della compagine ecclesiastica. Per la formazione del clero furono istituiti seminari, aperti anche ai figli dei poveri. I parroci, per i quali fu confermato l'obbligo del celibato e dell'abito, furono tenuti a registrare battesimi e matrimoni per controllare l'adempimento da parte dei fedeli dei precetti religiosi. Nella restaurazione della Chiesa un ruolo centrale fu riconosciuto ai VESCOVI, ai quali fu imposto il divieto di cumulare più benefici e l'obbligo di risiedere nella diocesi e di visitarla ogni due anni presentando una relazione dettagliata a Roma. Dalla crisi del cinquecento la Chiesa di Roma uscì con una struttura verticistica e rigorosamente gerarchizzata, della quale il Papa era il MONARCA ASSOLUTO; era aperta la strada che avrebbe portato alla dichiarazione di INFALLIBILITA del 1870. LA RIORGANIZZAZIONE DELLO STATO DELLA CHIESA: Il Sacro Collegio o CONCISTORO, allargato fino al numero di 70 cardinali, fu progressivamente privato delle sue funzioni di organo supremo del governo della Chiesa. Al suo posto al vertice della struttura di potere furono instituite le CONGREGAZIONI CARDINALIZIE dipendenti direttamente dal Papa, sei dedicate all'amministrazione dello stato ( ad esempio annona, strade, università) e nove addette al governo spirituale della Chiesa ( Sant'uffizio dell'inquisizione, concilio); nel 1622 si aggiunse la Congregazione DE PROPAGANDA FIDE che si occupava di dirigere l'azione missionaria per la conversione dei popoli non cristiani. il cardinale, posto al vertice della gerarchia ecclesiastica, si trasformò sempre più in un alto burocrate esperto di diritto canonico, impegnato nella gestione degli affari ecclesiastici e dei delicati equilibri politici della curia. lo Stato della Chiesa si dotò insomma in questo periodo di una complessa macchina burocratica votata ad amministrare insieme i problemi temporali e spirituali, che risultavano infatti congiunti, nella figura del pontefice, sovrano di uno Stato e capo della cattolicità. Il papato acquisì un notevole prestigio, come dimostra la riforma del CALENDARIO GIULIANO realizzata nel 1582 dal Papa Gregorio XIII. Il calendari Gregoriano fu adottato molto tempo dopo dai paesi protestanti e ortodossi ( in ultimo dalla Russia nel 1923). Tuttavia l'orbita d'azione dello Stato della Chiesa sempre più confinata nell'ambito della penisola come dimostra fra l'altro il processo di italianizzazione del personale della curia; dopo Adriano VI occorre arrivare al 1978 per trovare con Giovanni Paolo II un'altro Papa straniero. Di conseguenza il peso internazionale del papato andò progressivamente declinando. LA FIGURA DEL VESCOVO: Un segnale importante del rinnovamento cattolico fu l'affermazione di una nuova generazione di VESCOVI che si impegnarono a mettere in atto i principi approvati al concilio, ispirandosi al modello di CARLO BORROMEO. Tuttavia il centralismo papale impedì una piena realizzazione della centralità della figura del Vescovo, come pastore del gregge di Cristo dedito alla cura d'anime, della quale più volte si era parlato a Trento. In effetti la curia esercitò un penetrante controllo e ne limitò in vario modo la capacità di governo della diocesi, soprattutto la repressione dell'eresia da parte delle congregazioni cardinalizie dell'inquisizione finiva spesso per ridimensionare o vanificare il ruolo dei vescovi, ridotti al ruolo di esecutori delle direttive della curia. con Caterina d'Aragona; Maria che nel 1554 sposò il figlio di Carlo V, Filippo II, si impegnò in un tentativo di restaurazione cattolico e mandò al rogo molti di coloro che sotto il regno di Edoardo avevano appoggiato l'introduzione della Riforma, tanto da essere chiamata Maria la sanguinaria "Bloody Mary". Nel 1558 salì infine al trono la figlia che Enrico aveva avuto da Anna Boleyn, ELISABETTA (1558-1603); sotto il suo lungo regno la chiesa anglicana trovò finalmente un assetto stabile e si legò definitivamente al mondo protestante. LA FINE DELLA LOTTA PER LA SUPREMAZIA IN EUROPA: Toccò ai figli ed eredi di Francesco I e Carlo V portare a compimento la guerra per la supremazia in Europa interrotta nel 1556 dalla tregua di VAUCELLES. SI risolse nei Paesi Bassi dove l'esercito Spagnolo, comandato da Emanuele FILIBERTO di Savoia, ottenne nel 1557 a SAN QUINTINO una schiacciante vittoria. FILIPPO II, che pure poteva contare sull'appoggio dell'Inghilterra, retta dalla moglie Maria Tudor non fu in grado di sfruttare il successo a causa delle difficoltà finanziarie, che lo obbligarono in quello stesso anno a dichiarare bancarotta. Anche ENRICO II, che intanto riuscì a conquistare Calais, l'ultimo possedimento Inglese sul territorio Francese, doveva fronteggiare una situazione finanziaria pesantissima. La morte di Maria Tudor nel 1558 privò Filippo dell'appoggio inglese e favorì la pace che fu stipulata a CATEAU CAMBRE'SIS nel 1559. La Francia dovette confermare le rinunce a Milano e Napoli, restituire la Corsica a Genova e i suoi stati al duca di Savoia Emanuele Filiberto; Enrico II conservò i tre vescovati (Metz, Toul, Verdun) e mantenne il marchesato di Saluzzo. Filippo II aveva ormai il pieno controllo della penisola italiana dove tutti gli stati, tranne Venezia, erano legati alla potenza spagnola; oltre a Milano, Napoli e le isole maggiori la Spagna possedeva anche lo stato dei Presidi, comprendente alcune piazzeforti sulla costa toscana Ex(Porto Santo Stefano). A conferma dell'avvenuta separazione fra i due rami degli Asburgo, il fratello di Carlo V, Ferdinando I (1558-1564), imperatore e re di Boemia e di Ungheria, rimasto neutrale, non partecipò alle trattative. A garanzia della pace fu celebrate il matrimonio fra Filippo II e Isabella di Valois, figlia di Enrico II. IL RE PRUDENTE: Filippo II era molto diverso dal padre, lontano dalla tradizione Borgognona (dove si era formato il padre), egli acquisì la sua formazione in Spagna, il padre già in età precoce gli affidò diversi incarichi politici; caratteristica centrale della sua personalità fu una religiosità tanto sentita quanto chiusa e intollerante. Nel 1559, decise di spostare la corte a Madrid, piccola cittadina di nemmeno 10000 abitanti, posta esattamente al centro della penisola, da allora Filippo non si spostò più. Le sue scelte politiche furono spesso tormentate, anche a causa di scrupoli religiosi: convinto di dover render conto a Dio dei suoi atti, egli quando i problemi implicavano un caso di coscienza si consultava con i suoi confessori o con i teologi di corte, per questo motivo di usa nei suoi confronti l'appellativo di "Re prudente". Ha pesato molto sulla sua figura, fino a creare un'ingiusta leggenda nera la morte di suo figlio don Carlos, che egli fece imprigionare a causa dei vizi e dei difetti del suo carattere; il principe mori in carcere ma non fu avvelenato per volere del padre. La morte del giovane re Portoghese SEBASTIANO I, caduto nel 1578 nel folle tentativo di portare la crociata in Africa contro i musulmani in Marocco, aprì la strada a Filippo II per ottenere la corona Portoghese; nel 1580, Filippo intervenne in armi e si fece riconoscere come erede della corona AVIZ, anche in nome dei legami di parentela (portoghese era stata la sua prima moglie). In tal modo la Spagna acquisì anche il controllo dell'impero coloniale Portoghese, tuttavia, il Portogallo conservò la sua struttura istituzionale e le sue leggi. LA SPAGNA IMPERIALE: Benché la corona del sacro romano impero fosse passata al ramo austriaco della famiglia (Ferdinando I, fratello di Carlo), la vocazione imperiale che aveva segnato l'esperienza del padre rimase in eredità a Filippo II, ma non fu più legata al sogno universalistico dell'unità e della pace della cristianità, ma alla difesa della fede contro gli eretici e gli infedeli. Si parla perciò di SISTEMA IMPERIALE SPAGNOLO, anche in ragione della grande potenza militare e finanziaria, alimentata dal flusso dei metalli preziosi che arrivarono dal nuovo mondo. Filippo mirò innanzitutto ad accrescere la potenza della Spagna e non esitò a scontrarsi con il pontefice per difendere le prerogative dello Stato: egli si oppose alla pubblicazione della bolla di Pio V (1568) che minacciava la scomunica ai sovrani che non avessero rispettato le prerogative della Chiesa. I territori alla sovranità di Filippo II, la cui amministrazione era delegata a viceré / governatori conservavano le proprie identità giuridiche e istituzionali: ciò che li univa era la fedeltà alla dinastia regnante. La struttura di governo era imperniata sul sistema dei CONSIGLI; si trattava di organi collegiali, con funzioni consultive, che preparavano delle consulte in base alle quali il re prendeva le sue decisioni. Il più importante era il CONSIGLIO di STATO, competente per la politica estera e per gli affari di maggior rilevanza, di questi organi facevano parte soprattutto i LETRADOS, funzionari di origine non nobile che avevano studiato diritto nelle università. LE FINANZE: La Spagna poteva contare grazie alle miniere americane su un costante flusso di metalli preziosi. Questi però non coprirono mai più del 25% delle entrate; la parte restante proveniva da imposte dirette, delle quali era esente la nobiltà, dai contributi versati dalla chiesa e da imposte sulle transazioni commerciali. La lentezza della riscossione rendeva indispensabili il ricorso alle anticipazioni di banchieri e finanzieri (fiamminghi, tedeschi e genovesi) nella forma di prestiti a breve termine e ad alto tasso di interesse (15-20%), garantiti da future entrate. Si è detto della bancarotta del 1557; questa consisteva in pratica nella riconversione forzosa dei prestiti a breve in prestiti a lungo termine, che davano un interesse minore (5-7%); le bancarotte divennero una costante della storia spagnola: a quella del 1557 altre ne seguirono 1575,1596,1607... dopo i 1557 i principali finanziatori della politica Spagnola divennero i Genovesi. L'UNITA' DELLA FEDE: In una Spagna in cui coesistevano lingue, culture e realtà sociali assai diverse, l'unità religiosa era essenziale per dare coesione e solidità al sistema; garantire tale unità divenne perciò una vera ossessione. Di qui il ruolo centrale che assunse nel regno di Filippo II l'INQUISIZIONE. Già all'inizio del suo regno la scoperta di alcune comunità protestanti a Siviglia diede occasione di esecuzioni, in seguito la persecuzione si abbatté sui MORISCOS, musulmani che erano stati obbligati a convertirsi al cristianesimo, particolarmente numerosi nella regione di Granada. Nel 1568 esplose la rivolta: i moriscos si rifugiarono sui monti della Alpujarras combattendo con imboscate e improvvisi attacchi ai villaggi, nel 1609 furono tutti espulsi dal regno. Non meno intransigente fu l'atteggiamento nei confronti degli ebrei convertiti, l'inquisizione cercò ogni indizio che potesse far sospettare una falsa conversione; ma soprattutto prevalse il principio, di chiara impronta razzista, per cui non contava la fede religiosa ma il sangue. LEPANTO: Il Sultano Selim II (1566-1574), dopo aver tentato invano un assalto a Malta, nel 1570 attaccò l'isola di Cipro, possedimento di Venezia; nel contempo il bey di Algeri, vassallo del sultano, riconquistò Tunisi. Si formò allora una LEGA SANTA alla quale aderirono Venezia, il papa, l'ordine dei cavalieri di Malta, il duca di Savoia, Genova e Filippo II; le esitazioni di quest'ultimo ritardarono la risposta cristiana, per cui nel frattempo Cipro fu presa dagli Ottomani. A ogni modo la flotta cristiana, comandata da don Giovanni di Austria, un figlio naturale di Carlo V, nel 1571 riuscì a infliggere alla flotta turca una grave sconfitta a LEPANTO, 30000 Turchi furono fatti prigionieri e migliaia di schiavi cristiani liberati. Venezia e la Spagna firmarono due paci separate: la prima nel 1573 firmò con gli Ottomani una pace con la quale rinunziava a Cipro ma si garantiva i commerci con l'Oriente mentre la seconda stipulò la tregua nel 1578. LA RIVOLTA DEI PAESI BASSI: Si è detto dell'estraneità di Filippo II rispetto alla terra alla quale era legato il padre. Delle diciassette provincie chiamate PAESI BASSI,alcune appartenevano all'eredità borgognona, altre erano state acquisite da Carlo V, solo nel 1548 erano state formalmente unite, ma erano di fatto autonome: ogni provincia aveva un proprio governatore. Filippo II nominò governatrice la sorellastra MARGHERITA (figlia di Carlo V). In queste zone si erano formati nuclei di luterani e di anabattisti, e si era avuta una notevole diffusione del calvinismo. Durante il regno di Carlo V vi erano state diverse condanne di eretici senza che ciò suscitasse reazioni. I problemi insorsero con l'introduzione dell'inquisizione. La presenza di un tribunale straniero dotato di pieni poteri rappresentava una grave limitazione dei privilegi delle provincie, che tradizionalmente si governavano autonomamente. Di qui la reazione del 1566 un gruppo di nobili fiamminghi si presentò in armi al palazzo della reggente a Bruxelles per presentare una petizione che chiedeva l'abolizione del'inquisizione. In questa occasione qualcuno si lasciò sfuggire l'espressione (pezzenti); gli insorti adottarono orgogliosamente questo appellativo che divenne il loro distintivo. La reggente fu obbligata a sospendere le leggi contro gli eretici; approfittando di ciò nell'estate i calvinisti si abbandonarono in molte città ad atti vandalici contro le immagini dei santi e i simboli del cattolicesimo. Per tutta risposta Filippo II inviò le truppe comandate dal Duca D'Alba che promossero una durissima repressione. Fu l'inizio della rivolta, capeggiata da GUGLIELMO di ORANGE. Naturalmente i ribelli non erano in grado di contrastare sul campo il potente esercito spagnolo; efficace fu invece, l'azione della flotta corsara dei "pezzenti del mare" che, controllando le coste, obbligò gli spagnoli a rifornire l'armata per la lunga e costosa via di terra, da Genova attraverso lo stato di Milano e la Franca contea. Alla fine del 1572 comunque resistevano solo le provincie di ZELANDA e OLANDA, che nominarono governatore Guglielmo d'Orange. Questi l'anno seguente decise di convertirsi al calvinismo. LE GUERRE DI RELIGIONE IN FRANCIA: La morte di Enrico II nel 1559 aprì un lungo periodo di debolezza dell'istituzione monarchica a causa della giovanissima età dei suoi figli. A questo si aggiunse il problema della divisione religiosa. Da tempo in effetti si erano formate in Francia numerose comunità di calvinisti. Nonostante la repressione promessa da Enrico II, i calvinisti francesi si erano dati una solida organizzazione e proprio nel 1559 pose nuovamente l'assedio alla capitale, ormai l'intransigenza della capitale, ostile a ogni compromesso, non era più seguita nel paese, stanco della sanguinosa guerra civile, per cui acquisiva sempre più credito la posizione moderata dei politiques. Del resto Enrico si poneva ora non come il capo di una fazione ma come il difensore dell'unità del regno contro l'odiata Spagna. la decisione di convertirsi al cattolicesimo e la successiva cerimonia della consacrazione nel 1594, crearono le condizioni per la fine delle guerre civili: ora che il re non era più eretico cadeva la necessità di combatterlo. L'anno seguente fu riconosciuto anche dal Papa. Enrico poté così respingere l'intervento militare spagnolo e stipulare nel 1598 la pace di VERVINS che ribadiva le clausole del trattato di Cateau Cambrésis. Nello stesso anno il re emanò l'EDITTO di NANTES, che pose fine alle GUERRE di RELIGIONE; il cattolicesimo fu riconfermato religione dello Stato ma i calvinisti ottennero libertà di coscienza, libertà di culto in tutta la Francia, a eccezione di Parigi e i diritti civili; a garanzia di queste concessioni gli ugonotti si videro riconosciuto il possesso di un centinaio di piazzeforti, il che li rendeva una sorta di stato nello stato. L'INVINCIBILE ARMATA: il sostegno dato da Elisabetta ai ribelli olandesi e agli ugonotti in Francia determinò una crescente tensione con Filippo II, che invano propose alla regina di rinnovare attraverso un loro matrimonio il legame dinastico fra i rispettivi regni. Elisabetta si rifiutò e si impegnò nel consolidamento interno dell'Inghilterra. Importanti trasformazioni nell'agricoltura e un grande slancio nelle attività manifatturiere e commerciali, ponendo le basi della vocazione marinara che sarebbe stata la base della sua potenza. Un altro motivo di contrasto con la Spagna era il tacito sostegno dato da Elisabetta contro le navi spagnole; FRANCIS DRAKE, autore della seconda circumnavigazione del globo (1577- 1580),attuò ardite incursioni nei possedimenti americani della Spagna, assalì più volte i convogli che portavano i metalli preziosi a Siviglia. nel 1587 Elisabetta decise di condannare a morte Mary Stuart, accusata di aver continuato a tessere intrighi. Fu questo un ulteriore motivo che indusse Filippo II a promuovere l'attacco decisivo contro l'Inghilterra. Il piano prevedeva che una flotta prendesse il controllo del canale della Manica, per poi sbarcare in Inghilterra un corpo di spedizione che si stava preparando nelle Fiandre sotto la guida di Alessandro FARNESE. La flotta partì da Lisbona fu dispersa da una tempesta e attaccata dalle navi Inglesi. L'appuntamento con le truppe di Alessandro Farnese fallì e di navi spagnole ne tornarono solo 67. IL DECLINO DELLA SPAGNA:CRISI FINANZIARIE E DIFFICOLTA' DELL'ECONOMIA: L'indipendenza delle Province unite,l'affermazione della monarchia di Enrico IV in Francia e il fallimento dei tentativi di sconfiggere l'Inghilterra resero evidente il mancato raggiungimento dei principali obbiettivi della politica estera di Filippo II. Anche all'interno permaneva il problema del separatismo dei regni di Aragona e di Catalogna. Nel 1591 Filippo II dovette usare la forza per reprimere in Aragona una rivolta guidata dalla nobiltà. molto grave era anche la situazione finanziaria. L'afflusso di metalli preziosi quando arrivava in Spagna era già impegnato a garanzia dei prestiti ottenuti dai banchieri e finanzieri, oppure era dirottato a pagare le importazioni di prodotti di lusso o a finanziare le guerre. Ma soprattutto pesavano negativamente le condizioni dell'economia. L'agricoltura limitata nell'estensione dei pascoli gestiti dalla potente corporazione della Mesta, controllata dall'alta nobiltà, non era in grado di assicurare il fabbisogno di cereali, che era necessario acquistare all'estero. L'industri tessile conobbe un irreversibile declino. Negli ul timi anni del suo regno una serie di carestie e pestilenze concorse a delineare un quadro molto negativo delle condizioni della Spagna. Quando Filippo II morì nel 1598, pochi mesi dopo avere firmato la pace di Vervins con Enrico IV, in molti ambienti castigliani appariva chiaro che la stagione della Spagna imperiale era definitivamente tramontata. Capitolo 16: la guerra dei trent'anni LE PREMESSE: La Pace di Augusta (1555) e l’editto di Nantes (1598) erano concepiti dalle due parti contrapposte come tregue, non come soluzioni definitive dei contrasti confessionali. Si era realisticamente preso atto della necessità di tenere distinti gli assetti politici dalle divisioni religiose, ma restava la generale convinzione che non fosse possibile l’unità politica senza l’unità di fede. Le forze cattoliche in particolare erano animate dalla volontà di riconquistare gli spazi perduti. Furono queste le premesse per l’ultima, terribile guerra di religione, la guerra dei trent’anni. LA FRANCIA DA ENRICO IV AL CARDINALE RICHELIEU: Pacificata la Francia, Enrico IV (1589-1610) riordinò le finanze, riducendo il peso dell’imposizione fiscale, e rafforzò la struttura amministrativa, servendosi di commissari straordinari per limitare i poteri dei governatori, cariche provinciali detenute dall’alta nobiltà; inoltre incentivò l’agricoltura e lo sviluppo delle manifatture. In politica estera Enrico IV intendeva riprendere la tradizionale politica di alleanze in funzione antiasburgica ma la sua opera fu interrotta da un fanatico cattolico che lo assassinò nel 1610. Poiché il figlio LUIGI XIII (1601-1643), aveva solo 9 anni, la reggenza fu affidata alla moglie Maria dei Medici, nipote del granduca di Toscana. Furono i nobili a imporre alla reggente la convocazione degli Stati generali che si riunirono nel 1614-1615; fu questa l’ultima riunione di questa istituzione prima del 1789.Maria che nel 1616 affidò il potere a un favorito che l’aveva seguita dalla Toscana, Concino CONCINI, diede alla politica estera un indirizzo filospagnolo. Questa scelta era sostenuto del partito dei DEVOTI, esponenti della spiritualità cattolica che caratterizzò la società francese agli inizi del XVII secolo. A questa linea si opponevano quanti ritenevano invece indispensabile per gli interessi della Francia proseguire la politica antiasburgica abbozzata da Enrico IV prima di morire. In un clima di guerra civile a causa di un costante pericolo di una rivolta armata della nobiltà, luigi XIII, dichiarato maggiorenne nel 1614, decise di prendere le redini del potere sottraendosi alla condizione di isolamento nella quale lo avevano tenuto la madre e il suo favorito; nel 1617 fece assassinare il Concini e confinò Maria nel castello di Blois. In questa fase si impose sulla scena politica un giovane vescovo, Jean du Plessis duca di Richelieu che assunse il ruolo di mediatore nell’aspro dissidio fra il re e sua madre, guadagnandosi la fiducia di Luigi XIII. Nel 1622 ebbe il cappello cardinalizio e due anni dopo entrò nel Consiglio di stato, divenendo in breve il principale responsabile della politica francese. Richelieu pose fine all’opposizione della nobiltà feudale con diverse condanne a morte e si guadagnò il sostegno della città e dei ceti produttivi incentivando il commercio e avviando l’espansione coloniale della Francia. Richelieu proseguì l’opera di rafforzamento della monarchia già avviata da Enrico IV: a tal fine si servì di COMMISSARI, chiamati intendenti di giustizia e polizia, che avevano l’incarico temporaneo di eseguire nelle province le direttive del governo centrale su specifiche questioni. Infine affrontò il problema degli ugonotti i quali si sottraevano all’autorità regia, che ne risultava perciò fortemente indebolita. Contro di loro egli promosse una nuova campagna militare che culminò nel 1628 nella presa, dopo un lungo assedio, della fortezza di LA ROCHELLE. Luigi XIII confermò nel 1629 gli articoli dell’editto che concedevano la libertà del culto ai calvinisti, ma questi, senza le piazzeforti di garanzia, erano ormai una minoranza religiosa priva di una forza militare e politica. A partire dal 1630 Richelieu si impegnò nel conflitto europeo per contrastare l’egemonia degli Asburgo. Per sostenere i costi di questa aggressiva politica estera fu necessario aumentare la pressione fiscale: esempio la taglia (che costituiva circa il 60% dell’entrate regie e gravava sul mondo contadino mentre ne erano esenti il clero, la nobiltà e buona parte della città). L’inasprimento della pressione fiscale provocò una serie di rivolte, che coinvolsero sia i lavoratori delle città sia il mondo rurale. Fra le rivolte contadine ricordiamo quella dei CROQUANTS, nel (1636-1637) e quella dei nu-pieds, che si sollevarono in Normandia contro l’odiata gabella del sale. LA SPAGNA di FILIPPO III E FILIPPO IV: Filippo III (1598-1621), no fu all’altezza del padre Filippo II; con lui ebbe inizio la tendenza ad affidare l’esercizio del potere a un favorito (VALIDO) scelto di regola fra i membri dell’alta aristocrazia. Dal 1598 svolse questo ruolo il duca di Lerma, che si occupò soprattutto di arricchire se stesso e la sua famiglia. In questo contesto l’alta nobiltà, sempre tenuta a freno da Carlo V e Filippo II, riprese un ruolo centrale nell’esercizio del potere. Furono stipulate la pace con l’Inghilterra nel 1604 e una tregua di dodici anni con le Province unite nel 1609, ma il governo non seppe attuare provvedimenti di riforma efficaci. Si decise di farla finita con il problema dei moriscos che furono espulsi dal regno nel 1609. L’espulsione di 300.000 moriscos determinò un calo demografico e rappresentò un ulteriore colpo all’economia spagnola. A Filippo III successe il figlio Filippo IV (1621-1665), il quale delegò l’esercizio del potere a un altro valido, GASPAR de GUZMAN, conte di Olivares. Olivares era deciso a ripristinare il ruolo imperiale della Spagna, che lanciò infatti in una serie ininterrotta di avventure militari. Per affrontare questo ambizioso progetto egli riteneva che fosse necessario rafforzare del punto di vista politico-istituzionale l’unità fra i vari domini della monarchia, legando più strettamente alla Castiglia i regni di Aragona e Catalogna. Il primo passo in questa direzione fu il progetto proposto a Filippo IV nel 1626; si trattava di creare una forza militare di 140.000 uomini alla quale dovevano contribuire, tutti gli stati della monarchia. Naturalmente il progetto incontrò l’opposizione delle Cortes di Valencia, Aragona e soprattutto Catalogna che vedevano in esso un attentato alla loro autonomia. I PAESI BASSI MERIDIONALI: Dopo l’assassinio di Guglielmo il taciturno nel 1584, le sette province settentrionali dei paesi bassi, che avevano proclamato la propria indipendenza nel 1581, trovarono in suo figlio MAURIZIO di NASSAU (1567-1625) un capo militare di grande valore, che diede alle truppe un ordinamento efficace, migliorò la tecnica degli assedi e l’uso dell’artiglieria, e dimostrò sul campo grandi abilità di stratega. Con la tregua dei dodici anni tra Spagna e le province si determinò la definitiva separazione fra i due tronconi dei Paesi bassi, che seguirono strade divergenti sul piano economico, religioso e culturale. Alle province meridionali, corrispondenti all’incirca all’attuale Belgio, rimaste fedeli alla Spagna, fu concessa da Madrid una certa autonomia: faceva temere l’avvio di un processo di restaurazione del cattolicesimo, i principi protestanti diedero vita nel 1608 alla UNIONE EVANGELICA, GUIDATA DA Federico V; a essa si oppose l’anno seguente la LEGA CATTOLICA, della quale era a capo il duca Massimiliano I di Baviera (1598-1651). Contro l’offensiva cattolica si mosse anche la nobiltà boema che nel 1609 impose all’imperatore Rodolfo II la concessione di una lettera di maestà che garantiva libertà di culto a tutte le fedi. Rodolfo II morì nel 1613. LA GUERRA DEI TRENT’ANNI: LA PRIMA FASE (BOEMO-PALATINA): Eletto re di Boemia nel 1617, Ferdinando nipote di Rodolfo mise in atto la politica di restaurazione cattolica. Vedendo che le concessioni fatte da Rodolfo II nel 1609 erano in pericolo, gli stati di Boemia si autoconvocarono per esprimere la loro protesta, ma i loro rappresentanti non furono ricevuti da Ferdinando a Vienna. Allora una loro delegazione invase il 23 maggio 1618 il castello di Praga e sfogò la sua rabbia gettando dalla finestra due dei legati imperiali. La DEFENESTRAZIONE di PRAGA fu l’atto di inizio della guerra che fu chiamata in seguito dei TRENT’ANNI. La rivolta fu sostenuta dai ceti delle province del regno di Boemia ( Moravia, Slesia e Lutazia) e da quelli dell'alta e bassa Austria. Nel frattempo nel 1619 la Dieta elesse imperatore del Sacro romano impero Ferdinando II. Pochi giorni prima gli Stati di Boemia, animati dal desiderio di difendere la loro tradizionale autonomia oltre che dagli ideali di riforma religiosa, avevano dichiarato decaduto Ferdinando e offerto la corona boema a FEDERICO V, capo dell'Unione evangelica. A questo punto divenne inevitabile lo scontro con Ferdinando II. L'esercito imperiale e quello del Duca di Baviera sottomisero i territori austriaci e quindi sconfissero gli insorti nella battaglia della Montagna bianca, presso Praga nel 1620. Federico V fu costretto a fuggire nei Paesi Bassi e nel 1623 fu privato del suo stato e della dignità di principe elettore. Le province ribelli furono sottoposte a un processo di ricattolicizzazione forzata. Infine nel 1627 Ferdinando cancellò la tradizionale autonomia del regno di Boemia: la corona fu resa ereditaria e le prerogative degli stati furono drasticamente ridimensionate. LE GUERRE DI VALTELLINA E MONFERRATO: Nel 1621 con la salita al trono di Filippo IV la Spagna scelse di schierarsi al fianco dell'Austria nell'offensiva contro i protestanti. In quello stesso anno il conte duca di Olivares decise di non rinnovare la tregua di dodici anni con le Province unite e riprese la guerra per imporre la sovranità spagnola su quelle regioni. Inoltre assunse un atteggiamento aggressivo anche in Italia. L'occasione fu offerta dalla situazione dei cattolici della VALTELLINA, sottoposti all'autorità della lega dei Grigioni protestanti. Con l'aiuto del governatore spagnolo di Milano i cattolici si ribellarono e, le truppe spagnole occuparono la valle che aveva un'importanza strategica decisiva in quanto era il corridoio di passaggio fra il ducato di Milano e l'Europa del Nord; si formò allora una coalizione antispagnola fra Venezia, la Francia e il Duca di Savoia. Alla fine il trattato di MONCON (1626) lasciò il corridoio aperto e smilitarizzato e garantì la libertà religiosa dei cattolici valtellinesi. Poco dopo si riaprì un altro focolaio di conflitto per la successione del MONFERRATO, territorio anch'esso di importanza strategica per la Spagna, posseduto dai Gonzaga di Mantova. Nel 1627 morì Vincenzo II Gonzaga, l'ultimo della dinastia, che prima di morire nominò erede un membro di un ramo francese della famiglia, Charles Gonzaga. Poiché Mantova dipendeva dall'impero, gli asburgici contestarono questa successione. Al loro fianco si schierò il duca di Savoia deciso ad ottenere il Monferrato. Le truppe francesi occuparono Susa in Piemonte mentre quelle mantovane attaccavano lo Stato di Milano. La discesa in Italia di un esercito imperiale ribaltò la situazione. Le forze imperiali assediarono Mantova, che fu costretta alla resa nel 1630. Nella fortezza di Casale Monferrato i francesi resistettero all'assedio. La situazione di stallo sul piano militare e lo scoppio della terribile pestilenza descritta da Manzoni nei Promessi sposi indussero i contendenti a stipulare il trattato di Cherasco (1631), che pose fine alla guerra del Monferrato ma riconobbe l'alta sovranità imperiale mentre il duca di Savoia, ottenne Alba. LA SECONDA FASE (DANESE): La Sassonia decise di chiedere aiuto al re di DANIMARCA Cristiano IV luterano, che aveva titolo ad intervenire in quanto possedeva il ducato di Holstein. Nel 1625 egli passò il fiume Elba ma fu sconfitto dagli eserciti della lega cattolica. Decisivo fu il contributo di Albrecht von Wallenstein nobile boemo che si era convertito al cattolicesimo e si era posto al servizio degli Asburgo. Egli aveva ottenuto estesi territori confiscati ai protestanti dopo la vittoria della Montagna Bianca e aveva costituito nella Boemia settentrionale un proprio dominio. Sconfitto dal Wallenstein, Cristiano vide i suoi territori invasi anche dalle truppe bavaresi e dovette alfine firmare la pace di Lubecca. Anche la seconda fase della guerra si concluse con una vittoria cattolica. LA TERZA FASE (SVEDESE): A difesa della causa protestante ma soprattutto per perseguire il suo disegno di egemonia sul Baltico intervenne nel 1630 nel conflitto il re di SVEZIA GUSTAVO II ADOLFO, che ottenne l'alleanza della Sassonia e del Brandeburgo, e fu sostenuto dall'aiuto finanziario della Francia. Nel campo cattolico era uscito di scena Wallenstein; Gustavo Adolfo penetrato in Pomerania, ottenne una serie di straordinari successi con rapidi spostamenti delle sue truppe e attacchi fulminei al nemico. Mentre un esercito sassone occupava la Boemia, egli sconfisse a Breitenfeld 1631 le forze imperiali e occupò Magonza, Treviri e Colonia, quindi penetrò in Alsazia ed entrò a Monaco di Baviera costringendo il duca alla fuga. La Spagna inviò truppe a sostegno dell'esercito imperiale ma così facendo si espose all'offensiva delle Province Unite che ottennero importanti successi. Ferdinando II fu obbligato a questo punto a richiamare Wallenstein, che nominò comandante supremo con pieni poteri. Questi mise insieme un esercito di oltre 100.000 uomini, scaccio i sassoni dalla Boemia e affrontò Gustavo II Adolfo. Lo scontro avvenne nel 1632 a Lutzen, presso Lipsia, e si risolse in una vittoria Svedese. Nella battaglia però perse la vita Gustavo II Adolfo. La condotta ella guerra passò quindi nelle mani del cancelliere Oxenstierna, reggente in nome della figlia di Gustavo II Adolfo, Cristina, che aveva solo 6 anni. Intanto si acuiva a Vienna la diffidenza nei confronti di Wallenstein, accusato di svolgere una politica personale, ispirata più ai suoi privati interessi che alle direttive imperiali. Ferdinando II emise un ordine di cattura contro di lui per tradimento; Wallenstein fu assassinato nel 1634. Nel frattempo la guerra volse in favore degli eserciti imperiali e spagnolo, che il nel settembre del 1634 sconfissero a Nordlingen gli svedesi. A questo punto la Sassonia e il Brandeburgo decisero di uscire dal conflitto stipulando con l'imperatore la pace di PRAGA (1635). Restavano in armi sul suolo tedesco solo le truppe svedesi. Oxenstierna si accingeva anch'egli ad avviare trattative di pace quando la Francia decise di entrare direttamente nel conflitto (maggio 1635). LA QUARTA FASE (FRANCESE): L'intervento francese mutò decisamente la natura del conflitto: non si trattava più di una guerra civile tedesca per motivi di religione, ma di una ripresa dello scontro fra gli Asburgo e la Francia, decisa a impedire un rafforzamento della corona imperiale. Perciò Richelieu, pur essendo un cardinale della chiesa cattolica, non esitò ad appoggiare i principi protestanti. Al suo fianco combatterono la Svezia e le province unite. LA RIVOLTA DELLA CATALOGNA E LA SECESSIONE DEL PORTOGALLO: La Spagna, doveva fronteggiare le ricorrenti difficoltà finanziarie e fu costretta perciò a un ulteriore inasprimento della pressione fiscale. Nel 1640 il tentativo di Olivares di imporre alle Cortes una maggiore collaborazione alla guerra, provocò la rivolta dei catalani, i quali si consideravano una nazione distinta per lingua e cultura rispetto alla Castiglia e non intendevano rinunciare alla propria autonomia. Nel 1641 la Catalogna si pose addirittura sotto la protezione della Francia, pur conservando le proprie istituzioni. Negli stessi mesi anche la nobiltà portoghese, chiamata da Madrid a unirsi all'esercito che doveva marciare sulla Catalogna, insorse e proclamò l'indipendenza del Portogallo affidando la corona al duca di Braganza con il nome di Giovanni IV. In seguito il governo di Madrid dovette dichiarare una nuova bancarotta nel 1647 e fronteggiare anche le rivolte di Napoli e Palermo. Solo nel 1652 le truppe spagnole poterono rientrare a Barcellona, approfittando dei timori della nobiltà catalana. Quanto al Portogallo, la Spagna tentò a lungo di recuperarlo ma alla fine nel 1668 dovette riconoscerne l'indipendenza. LA PACE di VESTFALIA: Il corso della guerra divenne progressivamente sfavorevole agli Asburgo. Nel 1637 gli olandesi avevano ripreso Breda. Anche sul mare gli olandesi ottennero un'importante vittoria sulla flotta spagnola nella battaglia delle Dune nel 1639. Nel Maggio del 1643 l'esercito francese, comandato dal duca di Enghien, inflisse una grave sconfitta ai formidabili tercios spagnoli. Alla fine nel 1648 furono stipulati fra le varie potenze belligeranti dei trattati ( Francia e impero; Svezia e impero; Province unite e Spagna) designati nell'insieme come PACE di VESTFALIA. la Spagna riconobbe finalmente l'indipendenza delle province unite. La Francia mantenne i vescovati di Metz, Toul e Verdun in Lorena, parte dell'Alsazia e alcune piazzeforti sul Reno. La Svezia solo una parte della Pomerania, quella occidentale. Per quanto riguarda la situazione dell'impero, la guerra dei trent'anni segnò il fallimento del tentativo di Filippo II di rafforzare la corona imperiale, i principi si videro riconosciuto il diritto di fare alleanze e di promuovere guerre purché non rivolte contro l'imperatore. Questi non poteva fare guerra e stipulare paci, levare milizie e imporre tasse senza il consenso della dieta. Capitolo 17: la prima rivoluzione inglese L'EREDITA' ELISABETTIANA: Sotto il regno di Elisabetta I l'Inghilterra aveva conosciuto una forte crescita demografica, notevole era stato anche lo sviluppo dell'economia soprattutto nel campo nella manifattura laniera i cui prodotti rappresentavano circa il 75% delle esportazioni. Inoltre Elisabetta aveva sostenuto la crescita della flotta e favorito lo sviluppo dei commerci attraverso la creazione di compagnie privilegiate. Sul piano ISTITUZIONALE, Elisabetta aveva mantenuto buoni rapporti con il Parlamento, ma lo aveva convocato molto di rado. Il Parlamento inglese era formato da due camere: la drasticamente l'importanza dei Lord, i Comuni in quanto rappresentanti del popolo si ponevano come l'espressione della volontà del paese. LA PRIMA FASE DELLA RIVOLUZIONE: Alla fine della guerra civile il paese rimase in gran parte neutrale, in attesa di conoscere gli sviluppi degli avvenimenti. Carlo nel 1643 controllava tre quarti del paese, tuttavia il parlamento poteva contare sull'aiuto finanziario della City, disponeva della flotta (passata dalla sua parte) e nel 1643 strinse un'alleanza per sostenere la sua lotta. Il 2 luglio 1664 l'esercito parlamentare ottenne a Marston Moor una prima importante vittoria. Si distinse nella battaglia Oliver Cromwell; quest'ultimo nel 1645 insieme all'esercito pose la fine alla guerra con la vittoria di NASEBY. A Carlo non rimase che prendere atto della sconfitta, egli nel maggio del 1646 decise di arrendersi agli scozzesi, che l'anno seguente lo consegnarono al parlamento Inglese. LA SPACCATURA DEL FRONTE RIVOLUZIONARIO: A questo punto, poiché nessuno pensava che si potesse fare a meno della monarchia, si poneva il problema di un accordo con il re che stabilisse le rispettive prerogative della corona e del parlamento. Questo compromesso risultò impossibile sia a causa di Carlo I sia per le divisioni del fronte rivoluzionario: c'era una maggioranza parlamentare composta dai presbiteriani, calvinisti austeri e intransigenti, che, essendo stati aboliti i vescovi nel 1646, intendevano imporre una chiesa di stato, alla quale tutti avrebbero dovuto conformarsi e una minoranza composta dai puritani, i quali contrariamente ai primi erano favorevoli a un regime di tolleranza per le varie confessioni, salvo che per i cattolici. Inoltre si era formato, a partire dal 1646, un vero partito politico con una sua organizzazione, i LEVELLERS, radicati soprattutto nelle classi lavoratrici delle città; essi perseguirono un programma politico di netta impronta democratica: reclamarono misure per alleviare la miseria della popolazione (riduzione tasse, abolizione della decima, sussidi...); chiesero una riforma elettorale che concedesse il diritto di voto a tutti i maschi adulti liberi; sul piano religioso erano favorevoli a una completa libertà di coscienza (anche per i cattolici) e infine chiesero anche l'abolizione della camera dei Lord. Questo programma trovò un notevole consenso tra i soldati dell'esercito, tra i lavoratori delle città e tra i piccoli contadini; per questo motivo si aprì così la SECONDA FASE della rivoluzione, che vide contrapposti il parlamento, controllato dai presbiteriani e l'esercito il quale occupò Londra. In questo contesto di rivolte, Carlo riuscì a fuggire dalla prigionia; si accordò con gli Scozzesi, accettando il presbiterianesimo in cambio del loro sostegno e fomentò una rivolta realista nel Galles. Cromwell, resosi conto che ogni accordo con il re era impossibile, sconfisse realisti e Scozzesi nella battaglia di Preston; anche la spaccatura tra parlamento e esercito era insanabile, poteva essere risolto solo tramite un colpo di stato. Il 6 dicembre 1648 il colonnello PRIDE, agendo in nome del consiglio dell'esercito, arrestò 45 parlamentari; ciò che restava della camera dei comuni dopo questa epurazione, istituì, senza il consenso dei Lord, un'alta corte di giustizia che processò e condannò a morte Carlo I, che fu decapitato il 30 gennaio del 1649. Subito dopo il Parlamento abolì la camera dei lord e il 19 maggio proclamò la repubblica d'Inghilterra, Scozia e Irlanda. IL LUNGO INTERREGNO: la situazione politica dopo la condanna del re era comunque tutt'altro che stabilizzata; una parte notevole della popolazione era fedele al re, Scozia - Irlanda si ribellarono e infine il figlio di Carlo I venne riconosciuto da scozzesi e irlandesi come re, con il nome di Carlo II (venne incoronato a Edimburgo). Fra il 1649 e il 1650 Cromwell represse con eccessiva brutalità la rivolta dell'Irlanda: migliaia di irlandesi furono uccisi o costretti all'esilio e le terre confiscate furono assegnate a protestanti inglesi; con una ulteriore campagna militare egli riportò all'ordine la Scozia, costringendo Carlo II a fuggire in Francia. Sempre in questi anni, Cromwell promulgò l'ATTO DI NAVIGAZIONE (1651) con il quale stabilì che nei porti inglesi potevano attraccare solo navi inglesi o dei paesi dai quali provenivano le merci (con tale provvedimento colpì direttamente gli interessi degli Olandesi provocando infatti 3 guerre tra queste due). Concludendo, questo nuovo regime repubblicano non riuscì a consolidarsi nel paese e fu di fatto una dittatura militare, che assunse un volto sempre più autoritario e conservatore; non a caso questo periodo è passato alla storia con il nome di lungo INTERREGNO. Alla morte di Cromwell (1658), gli successe il figlio Richard che si rivelò incapace di governare e lasciò il potere dopo pochi mesi; lo sostituì il generale Monck che si recò a Londra dove restaurò la monarchia, anche il nuovo parlamento nel 1660 votò per il ritorno di Carlo II. Capitolo 18: il 600: un secolo di transizione Personaggi importanti del 600 furono: Kepler, Galilei, Giordano Bruno, Descartes (Cartesius).. IL PENSIERO POLITICO: il XVII secolo fu caratterizzato sul piano politico dall'affermazione dell'assolutismo. Il GIUSNATURALISMO afferma che esiste un diritto naturale, formato dall'insieme di norme di condotta che si ricavano dalla natura stessa dell'uomo, anteriore e superiore alle leggi poste dallo stato. L'Olandese Grozio pose le basi del diritto INTERNAZIONALE proprio nel diritto naturale. Il vero teorico del giusnaturalismo moderno è stato l'inglese Thomas Hobbes. La visione pessimistica dell'uomo induceva Hobbes a ritenere a differenza di Grozio, che gli individui non sono naturalmente portati a vivere in società, anzi al contrario sono guidati dall'egoismo e dalla cupidigia, dalla ricerca del proprio utile, anche a danno dei loro simili. Ricordati che il libro cita anche il MERCANTILISMO. L'ESPANSIONE EUROPEA: Nel Seicento l'Europa, attraverso l'espansione negli altri continenti, pose le premesse del predominio che avrebbe conquistato a livello mondiale nei secoli successivi. Questa espansione vide protagoniste le Provincie Unite, L'Inghilterra e Francia, desiderosi di scalzare Portogallo e Spagna dalla posizione di vantaggio che avevano acquisito. IL COLONIALISMO OLANDESE: le Provincie Unite tentarono di inserirsi nel lucroso commercio delle spezie cercando di rompere il monopolio che il Portogallo tentava di imporre; per tal motivo nacque nel 1602, su iniziativa del Gran pensionario la compagnia delle Indie Orientali. Quest'ultima ricevette il monopolio dei commerci al di là del capo di Buona speranza, con il potere di fare guerra e di contrarre alleanze, di fondare colonie e di costruire piazzeforti. Essa divenne una società per azioni, il cui capitale sociale era diviso in quote che ognuno poteva acquistare partecipando poi agli utili in proporzione del denaro investito. Gli olandesi si installarono fin dal 1607 a Celebes e presero nel 1641 Malacca; mirando solo ai profitti del commercio, gli olandesi non colonizzarono questo territori, l'unica colonia olandese fu quella del Capo di Buona Speranza, fondata nel 1652, la quale divenne un'importante base strategica e una stazione di rifornimento per le navi. Alla fine del XVII secolo il Portogallo conservava solo una parte del'isola di Timor, Macao in Cina e alcuni basi in India fra cui Goa e Diu (i proventi del commercio delle spezie si erano ridotti dell'80%). Nel 1621, allo scadere della tregua di 12 anni, le Provincie Unite crearono la compagnia delle Indie occidentali con l'obbiettivo di fare la guerra all'impero spagnolo; essa ricevette il monopolio commerciale nello spazio compreso fra la costa occidentale africana e la Nuova Guinea nel pacifico. Attaccarono più volte le isole Filippine spagnole ma quest'ultime resistettero a tutti i tentativi di conquista, inoltre gli Olandesi tentarono la conquista del Brasile e a partire dal 1630 riuscirono a occupare tutta la regione a Nord del rio delle Amazzoni, tuttavia, il Portogallo (dopo essersi reso indipendente dalla Spagna) riuscì comunque a riprendersi gran parte dei suo possedimenti e a scacciare definitivamente i neo arrivati nel 1654. Infine gli Olandesi parteciparono anche all'espansione dell'America settentrionale dove crearono lungo la valle del fiume Hudson la colonia della Nuova Olanda e fondarono la città di New Amsterdam; questo insediamento però dovette soccombere agli attacchi degli inglesi che nel 1644 presero la città ribattezzandola New York. Gli scarsi risultati e la cattiva amministrazione portarono nel 1674 allo scioglimento delle compagnie delle Indie occidentali. IL COLONIALISMO INGLESE: La compagnia Inglese delle Indie Orientali sorse nel 1600 sotto il regno di Elisabetta; anche gli Inglesi si posero l'obbiettivo di strappare ai portoghesi una parte dei lucrosi commerci delle spezie ma dovettero scontrarsi con l'ostilità degli olandesi. Non essendo in grado di competere con gli Olandesi, che disponevano di capitali molto maggiori, gli inglesi, si impegnarono soprattutto a stabilire relazioni commerciali con l'impero persiano e con l'impero Moghul (insieme ai Persiani nel 1622 strapparono ai portoghesi l'isola di Hormuz) . La compagnia stabilì anche molte basi in India: Surat, Calicut e Bombay; cosi facendo riuscì a diversificare il suo commercio dando spazio a molteplici prodotti (es. cotone, tè, caffè). La vera e propria colonizzazione si rivolse verso l'America settentrionale, raggiunta alla fine del XV secolo da Giovanni Caboto; i primi insediamenti stabili si ebbero sotto i regni di Giacomo I e di Carlo I (di tali colonie ne parleremo in seguito). IL COLONIALISMO FRANCESE: I primi insediamenti permanenti nell'America settentrionale, nell'attuale Canada, si ebbero sotto il regno di Enrico IV, con la fondazione di Québec (1608); nel 1635 vennero occupate due isole caraibiche (Guadalupa, Martinica), inoltre nel 1637 venne occupata la Guyana francese. In ogni colonia vi era un governatore militare assistito e controllato da un intendente. Capitolo 19: L'Italia sotto il predominio spagnolo ANDAMENTO DEMOGRAFICO E SVILUPPO ECONOMICO: dopo il trattato di Cateau Cambresis la penisola conobbe fino agli inizi del 600 un lungo periodo di pace, che favorì la crescita demografica e la ripresa economica, conseguenza dell'incremento demografico fu l'aumento sostanziale della produzione agricola. All'inizio del XVII secolo questa fase di crescita, si esaurì e si manifestò un periodo di crisi, a essere colpite furono innanzitutto le esportazioni di manufatti tessili e le attività di intermediazione finanziaria; nel settore Venezia si impegnò poco dopo nella guerra di Gradisca (1615-1617) con la quale riuscì a obbligare gli Asburgo a non sostenere più gli uscocchi, pirati slavi che agivano nell'adriatico. Ma al di là di questi successi, apparve ben presto che gli anni in cui Venezia era stata la regina del mare erano tramontati per sempre. Nel 600 buona parte delle forze finanziarie e militari di Venezia furono impegnate nella difesa dei suoi possedimenti in Oriente. Fra il 1645 e il 1669 la repubblica dovette affrontare una lunga guerra con l'impero ottomano a difesa dell'isola di CANDIA (Creta), anche se alla fine dovette cederla all'impero. I DOMINI DIRETTI DELLA SPAGNA: la Spagna governò con moderazione, rispettando le tradizioni e gli assetti istituzionali dei vari territori a lei soggetti, una volta garantita la suprema autorità politica e giurisdizionale del monarca e il suo diritto di prelevare le imposte, cercò costantemente una mediazione fra i propri interessi e le esigenze delle élite locali, che furono in vario modo associate alla gestione del potere. I rappresentanti del sovrano, il GOVERNATORE a Milano e i VICERE' nei tre regni, dovevano tenere conto del parere degli organi che erano espressione delle classi dirigenti italiane. Nel ducato di Milano questo ruolo fu esercitato da senato, supremo tribunale civile e penale; la maggioranza dei suoi membri erano laureati in giurisprudenza appartenenti al patriziato, composto da un ristretto numero di famiglie che avevano il monopolio delle magistrature cittadine. L'amministrazione spagnola lasciò ai patrizi il controllo delle istituzioni locali, ma intervenne a limitare il predominio esercitato dalle città sui contadi. Nel regno di Napoli il gruppo sociale più importante era la nobiltà, che si articolava in 2 diverse componenti: la NOBILTA' FEUDALE (dominava nelle provincie, esercitava nei suoi feudi la giurisdizione civile e criminale, disponeva di un incondizionato potere economico-sociale sui contadini e controllava il Parlamento) e la NOBILTA' MAGGIORE (controllava l'amministrazione della città di Napoli, formata da sei "piazze", cinque delle quali erano espressione delle famiglie nobili mentre una del popolo). Altra componente caratteristica della società napoletana, che proprio nel 500 acquisì maggiore forze e consapevolezza di sé, era il ceto dei "TOGATI", quest'ultimi furono i principali collaboratori delle autorità spagnole. Anche in Sicilia e in Sardegna esistevano diversi Parlamenti divisi in tre bracci (ecclesiastico, baronale, e demaniale) i quali votavano i donativi richiesti dal sovrano, erano egemonizzati dall'aristocrazia. LE RIVOLTE: la storiografia ha superato il giudizio negativo sulla dominazione spagnola, considerata a lungo una delle cause principali della decadenza della penisola dopo la splendida stagione del Rinascimento. Del resto la Spagna non governò con la forza dell'esercito: nel regno di Napoli fino alla rivolta del 1647 non vi furono mai più di 5000/6000 soldati. La situazione cambiò nella prima metà del XVII secolo a causa delle guerre nelle quali il governo di Madrid si impegnò nel tentativo di conservare la propria supremazia mondiale, gli enormi costi di questi conflitti provocarono un aumento della pressione fiscale che colpì soprattutto l'Italia meridionale. Per tal motivo maturarono le rivolte del 1647-1648, il primo moto scoppiò a Palermo ma, il più importante, fu la rivolta napoletana che iniziò nel luglio del 1647 con il rifiuto dei venditori di pagare la tassa sulla frutta fresca stabilita dalle autorità spagnole. A capo del popolo si pose un pescivendolo napoletano, Tommaso Aniello d'Amalfi, detto MASIANELLO (dietro di lui si muoveva l'avvocato Giulio Genoino). Masianello dimostrò una certa abilità politica ma si fece travolgere dal potere di cui disponeva e fu preda così delle trame dei suoi nemici. Quando la Spagna inviò nel golfo una squadra navale e tentò di reprimere con la forza la rivolta, gli insorti proclamarono la "repubblica napoletana" sotto la protezione della Francia; questa speranza tuttavia si rivelò ben presto vana in quanto la Francia mai si impegnò nello scenario napoletano. Senza supporti, nell'aprile del 1648 il moto si spense sotto i colpi dell'esercito spagnolo. Capitolo 20: L’età di Luigi XIV LA FRANCIA SOTTO IL GOVERNO DI MAZZARINO: Mazzarino era un abruzzese di modesta famiglia, che aveva intrapreso la carriera diplomatica al servizio del papa e si era fatto apprezzare per la sua abilità e intelligenza fino a diventare l’uomo di fiducia di Luigi XIII. In questo ruolo, Mazzarino proseguì la politica di Richelieu ma adottò un diverso stile, sostituendo alla durezza di questi una naturale propensione al compromesso. Egli assunse le sue funzioni in un momento difficile per la monarchia; infatti la reggente Anna d’Austri, sorella del re di Spagna Filippo IV, doveva fronteggiare intrighi e complotti dell’alta nobiltà. Anna agì sempre d’intesa con Mazzarino. Il problema più grave era come sempre quello finanziario: occorreva trovare le risorse necessarie a finanziare la guerra, che continuava nelle Fiandre, in Germania e in Catalogna. Gli espedienti ai quali ricorse Mazzarino, crearono un diffuso malcontento anche nelle classi agiate. Punto di riferimento e interprete di questo diffuso malcontento fu il Parlamento di Parigi che contestò a più riprese provvedimenti finanziari del governo. LA FRONDA: Quando Mazzarino propose un decreto che condizionava il rinnovo della Paulette, la (tassa che garantiva l’ereditarietà degli uffici), il Parlamento di Parigi prese un’iniziativa rivoluzionaria promuovendo una riunione comune con le altre tre corti sovrane. Da questa assemblea fu approvato nel 1648 un pacchetto di 27 articoli che limitavano i poteri della monarchia (ex illegittimità delle imposte non approvate dal Parlamento, garanzie per i sudditi contro gli arresti arbitrari). In pratica le corti sovrane, pur non essendo organi elettivi, si facevano interpreti del malcontento della società e ponevano una serie di principi che richiamavano le battaglie della Camera dei comuni in Inghilterra contro l’assolutismo degli Stuart. L’arresto dei capi dell’opposizione parlamentare, decretato dalla reggente e da Mazzarino, innescò la rivolta della popolazione di Parigi che eresse barricate per contrastale i movimenti delle truppe. Tal moto fu chiamato “Fronda parlamentare”. La reggente fu costretta ad accettare i 27 articoli elaborati dalle corti sovrane. Si giunse così alla pace di Saint-Germain (1 aprile 1649) che pose fine alla Fronda parlamentare. Permanevano però le ambizioni politiche dei nobili di spada, e in particolare del fratello di Luigi XIII, Gaston d’Orléans e di Luigi II di Borbone, detto il Gran Condé (il vincitore di Rocroi) i quali miravano a conquistare il controllo del Consiglio del re ai danni della reggente. Iniziò così la “Fronda dei principi”. Bandito dal regno per decisione del Parlamento, Mazzarino fu costretto a rifugiarsi presso l’arcivescovo elettore a Colonia, da dove continuò a intrattenere una nutrita corrispondenza con Anna d’Austria dandole consigli sulla condotta politica da adottare. Molto importante fu per Mazzarino il sostegno del generale Henri de La Tour d’Auvergne visconte di Turenne che nel 1653 riuscì a sconfiggere davanti alle mura di Parigi il Condé. Fra i ribelli vi erano rivalità e divisioni. Inoltre la popolazione, provata dalla guerra civile e anche dalla carestia provocata dai cattivi raccolti, vedeva ormai nella restaurazione dell’autorità monarchica la sola garanzia dell’ordine e della pace. Il ritorno a Parigi del re e poi quello di Mazzarino sancirono la fine di questo periodo. Nel 1654 ebbe luogo la cerimonia solenne della consacrazione di Luigi XIV a Reims. Tornato saldamente al potere, Mazzarino poté riprendere il processo di rafforzamento della monarchia e, grazie all’alleanza con l’Inghilterra di Cromwell, condurre al termine vittoriosamente la guerra contro la Spagna. La pace dei Pirenei (1659) garantì alla Francia il possesso dell’Artois, di diverse piazzeforti nelle Fiandre e di portare il proprio confine occidentale ai Pirenei. Il trattato prevedeva anche il matrimonio fra Luigi XIV e la figlia di Filippo IV, Maria Teresa. LA PRESA DEL POTERE DA PARTE DI LUIGI XIV: Alla morte di Mazzarino nel marzo 1661, Luigi XIV dichiarò immediatamente la sua volontà di assumere in prima persona il compito di governare la Francia. Non aveva avuto un’educazione particolarmente approfondita e si era formato soprattutto alla scuola di Mazzarino, che gli aveva trasmesso i principi dell’arte di governare. Egli prendeva le decisioni più importanti nell’Alto Consiglio al quale erano ammessi in genere soli i ministri delle finanze, della guerra e degli esteri. Luigi XIV tolse ogni effettivo potere politico ai nobili e scelse come ministri uomini fedeli e dipendenti esclusivamente dal suo favore: il ministro della guerra Le Tellier e quello delle finanze Jean-Baptiste Colbert (provenivano da famiglie di nobiltà di toga). Colonna portante dell’amministrazione erano gli intendenti che a differenza degli officiers erano revocabili e rispondevano direttamente al re. Erano circa una trentina e costituivano il braccio del potere centrale: inviavano resoconti sulla realtà locale, eseguivano le direttive del governo nelle province e sovrintendevano al pagamento delle imposte, all’amministrazione della giustizia e ai lavori pubblici. La storiografia ha molto sfumato la tradizionale concezione dell’assolutismo di Luigi XIV. Il mito del Re Sole fu opera in larga misura della rappresentazione di se stesso che Luigi XIV volle diffondere attraverso tutti i canali che aveva a disposizione: pittura, letteratura, teatro, musica. La realtà però era ben diversa dall’immagine che Luigi XIV si impegnò costantemente ad accreditare. La volontà Luigi XIV di imporre un’immagine altissima della propria regalità si espresse soprattutto nella grandiosa reggia di Versailles, eretta nei pressi di Parigi fra il 1661 e il 1689. Nella reggia egli si circondò di cortigiani, l’élite della nobiltà, di ministri, funzionari e servitori. In tal modo egli staccò la nobiltà dalla terra, sulla quale aveva fondato la sua potenza, e la obbligò a vivere sotto osservazione del sovrano. L’ECONOMIA: La politica economica di Colbert (ministro delle Finanze), fu un tipico esempio del modello mercantilistico, tanto che la versione francese di quest’ultimo viene definita “colbertismo”. La sua azione si concentrò innanzitutto sullo sviluppo delle manifatture. La produzione fu favorita con la creazione di manifatture “di Stato”, a capitale pubblico “reali” (su autorizzazione statale) e “privilegiate” (che godevano di esenzioni fiscali o monopoli). Per facilitare la circolazione delle merci Colbert migliorò la rete stradale e costruì canali (canale del Mezzogiorno), che attraverso la Garonna collegava l’Atlantico al Mediterraneo. Egli rafforzò anche la marina e diede impulso notevole all’espansione coloniale. Anche quest’ultima fu diretta e sostenuta dallo Stato. La politica economica di Colbert è stata criticata per la scarsa attenzione all’agricoltura. puntò su Vienna che pose sotto assedio, costringendo l’Imperatore a fuggire. Leopoldo fece appello alle potenze cristiane; in soccorso di Leopoldo giunse il Re di Polonia Giovanni III Sobieski, la repubblica di Venezia, e dal 1695 anche dalla Russia, che attaccò i turchi in Crimea (l’imperatore potè così occupare Buda 1686 e Belgrado 1688). La guerra volse a favore della lega cristiana grazie alla vittoria ottenuta nel 1697 a Zenta, dal generale Eugenio di Savoia. Nel 1699 con la pace di Carlowitz l’impero ottomano dovette riconoscere all’imperatore il possesso del regno di Ungheria e la sovranità sulla Transilvania, e cedere la Podolia alla Polonia. Leopoldo rese la corona ereditaria nella linea maschile degli Asburgo e impose l’abolizione del diritto di insurrezione. IL DECLINO DELL’IMPERO OTTOMANO: Dopo la sconfitta di Vienna del 1683, l’impero ottomano non rappresentò più una minaccia sul fronte orientale ed entrò in una fase di lento declino. Molti territori, come l’Egitto la Siria e gli Stati barbareschi dell’Africa settentrionale, allentarono i legami di dipendenza da Istanbul e furono soggetti a una sovranità nominale. Il governo centrale era sempre più debole a causa dell’instabilità dovuta ai frequenti intrighi e congiure di palazzo. LA LEGA DI AUGUSTA: Liberatosi dalla minaccia ottomana, Leopoldo potè impegnarsi a contrastare l’espansionismo francese, stipulando ad Augusta nel 1686 una lega difensiva con la Spagna, le Province unite e la Svezia. La formazione della lega di Augusta evidenziò l’isolamento diplomatico di Luigi XIV e segnò l’inizio della sua parabola discendente. Questi nuovi impegni militari richiesero un enorme sforzo finanziario; fu necessario instituire due nuove imposte, la capitazione (imposta su tutti gli uomini, anche sui privilegiati) e il decimo (imposta reale sul patrimonio). In tal modo il re ribadiva il diritto della monarchia di tassare i suoi sudditi, senza chiedere il consenso degli Stati generali. UN BILANCIO: Concludendo possiamo affermare che: la politica estera di Luigi XIV fu molto aggressiva e passò attraverso ripetuti atti di forza, manifestazione di una volontà di potenza che ebbe un costo enorme in perdite di vite umane e di risorse. La Francia del Re Sole impose un modello di politica assolutistica e un’immagine del potere che tutte le monarchie cercarono in modi diversi di imitare; ma quando egli scomparve già maturava in Europa un nuovo clima politico e culturale, del quale anche il potere monarchico avrebbe, in vari modi, dovuto tener conto, ponendosi l’obbiettivo di garantire la felicità dei sudditi. Capitolo 21: l’equilibrio europeo L’INGHILTERRA DALLA RESTAURAZIONE ALLA RIVOLUZIONE GLORIOSA: Con il ritorno della monarchia nel 1660, la Chiesa anglicana venne restaurata nella sua antica struttura, con i vescovi e con il monarca come capo supremo. In teoria si trattava di una Chiesa di Stato, alla quale tutti avrebbero dovuto conformarsi, ma di fatto vi fu tolleranza verso i dissidenti. Il Parlamento continuò a condizionare sul piano finanziario l’azione di Carlo II, che proprio per questo accettò i sussidi offertigli da Luigi XIV in cambio di una politica filofrancese. Sempre il Parlamento nel 1673 approvò il TEST ACT, che obbligava tutti i funzionari civili e gli ufficiali a giurare fedeltà alla Chiesa anglicana. Nel 1679 votò inoltre l’HABEAS CORPUS ACT, che mirava a impedire arresti arbitrari da parte del re stabilendo regole precise a garanzia di coloro che errano accusati di un reato. La preoccupazione del Parlamento si rivolgeva anche alla successione al trono, in quanto Carlo non aveva figli e il fratello Giacomo era notoriamente cattolico. Fu in questi anni che si diffusero i nomi di TORIES e WHIGS per designare i diversi orientamenti politici all’interno della Camera dei Comuni. I primi consideravano la monarchia sacra e di origine divina ed erano legati alla tradizionale struttura della Chiesa anglicana, i secondi invece rivendicavano la centralità del Parlamento ed erano favorevoli a un’ampia tolleranza nei confronti del non conformismo religioso di matrice protestante. Nonostante le discussioni, alla morte di Carlo II, ci fu l’ascesa al trono di Giacomo II (1685-1688) che aveva sposato in seconde nozze una principessa italiana, Maria Beatrice d’Este (Giacomo ebbe due figlie: Maria e Anna le quali si sposarono con due principi protestanti). Quando nel 1688, nacque a Giacomo un erede maschio, il futuro Giacomo III, che sarebbe stato allevato nella religione cattolica, lo spettro di una dinastia cattolica spinse i capi dei due partiti a rompere gli indugi. Quest’ultimi chiamarono lo statolder di Olanda Guglielmo d’Orange, marito della prima figlia di Giacomo (Maria), il quale sbarcò in Inghilterra nel novembre mentre Giacomo fuggiva in Francia. Il Parlamento considerò questa fuga come una rinunzia alla corona, dichiarò il trono vacante e chiamò a regnare insieme Guglielmo III e Maria. Il Parlamento approvò un Bill of rights (dichiarazione dei diritti) che i sovrani si impegnarono a rispettare: il testo rendeva impossibile la ripresa di una politica assolutistica, stabilendo che le leggi, la riscossione delle imposte e il reclutamento dell’esercito richiedevano il consenso del Parlamento e il TRIENNAL ACT del 1694 impose l’obbligo di eleggere un Parlamento almeno ogni tre anni. Si compiva così la seconda rivoluzione inglese. LA GUERRA DELLA LEGA DI AUGUSTA O DEI NOVE ANNI (1688-1697): Gli errori del Re Sole si evidenziano soprattutto nell’isolamento diplomatico in cui egli si trovò al momento della nascita della lega di Augusta. Quando, durante il conflitto per le regalie, il papa nominò vescovo di Colonia il candidato imperiale e non quello indicato da Luigi XIV, questi ruppe gli indugi e invase con le truppe il territorio del vescovato e il Palatinato (settembre 1688). Si formò allora un’ampia coalizione comprendente, oltre ai membri della lega di Augusta, Guglielmo d’Orange (divenuto ormai re d’Inghilterra), vari principi tedeschi e Vittorio Amedeo II duca di Savoia. In pratica la Francia era accerchiata e poteva essere attaccata su tutti i fronti; subì una grave sconfitta dalla flotta inglese nella battaglia navale di La Hogue (1692). Per alleggerire la pressione militare Luigi XIV decise di abbandonare il fronte italiano: nel 1696 restituì la fortezza di Pinerolo al duca di Savoia Vittorio Amedeo II e inoltre ridiede Casale al duca di Mantova. In mancanza di eventi bellici risolutivi si giunse alla pace di Ryswick (1697) con la quale Luigi XIV dovette restituire tutti i feudi e le città occupate, tranne Strasburgo. LA SUCCESSIONE SPAGNOLA: La pace di Ryswick fu avvertita da tutti come una tregua: proprio in questi anni si pose il problema della successione sul trono di Madrid. Potevano accampare diritti sulla corona spagnola sia l’imperatore Leopoldo I sia Luigi XIV, i quali avevano entrambi sposato una sorella del re: nel primo caso si sarebbe ripristinata la situazione del tempo di Carlo V, la seconda ipotesi si era contrastata da Olanda e Inghilterra, che non volevano che l’impero coloniale spagnolo finisse nelle mani della Francia. Mentre i negoziati fra le principali potenze prefiguravano una spartizione dei possedimenti spagnoli, la corte di Madrid, umiliata da questa prospettiva, chiese a Carlo II (re spagnolo del tempo) una soluzione che salvasse l’unità dell’impero; così poco prima della morte (1700) il re nel suo testamento nominò erede il pronipote di Luigi XIV, con il nome di Filippo V; in realtà apparve immediatamente evidente il disegno di Luigi XIV di porre la Spagna sotto la tutela della Francia, tant’è che truppe francesi comparvero a Milano e nelle Fiandre. Queste iniziative furono subito contrastate dall’Austria, che stipulò con Olanda e Inghilterra una nuova alleanza, alla quale si aggiunsero la Danimarca e molti principi tedeschi fra i quali l’elettore del Brandeburgo Federico III. A fianco della Francia e della Spagna si schierarono l’elettore di Baviera, il duca di Mantova e, in un primo tempo, anche il Portogallo e il duca di Savoia. La guerra fu dichiarata nel maggio 1702 e si combatté in Italia, nelle Fiandre, in Germania e nel Mediterraneo. Le sorti del conflitto volsero ben presto in favore degli alleati, sostenuti dalla superiorità marittima e dalla potenza finanziaria delle Province unite e dell’Inghilterra (la coalizione fu inoltre rafforzata nel 1703 dalla adesione del Portogallo e del duca di Savoia) I due grandi condottieri della coalizione, l’inglese John Churchill e il principe Eugenio di Savoia, ottennero a Bleshem una grande vittoria che portò all’occupazione della Baviera (1704). Una successiva offensiva imperiale portò alla occupazione di Milano, del ducato di Mantova, dei regni di Napoli e di Sicilia (1707). Delle sconfitte delle forze franco-ispaniche approfittò la Catalogna, che ancora una volta insorse, permettendo alle truppe anglo-austriache di insediare a Barcellona come re di Spagna, con il nome di Carlo III, il secondo figlio di Leopoldo. La situazione cambiò quando in Austria morì nel 1711 il primo figlio di Leopoldo, Giuseppe I (succeduto al padre nel 1705). Per questo motivo, il secondo figlio che già si era proclamato re di Spagna a Barcellona come Carlo III, divenne anche imperatore con il nome di Carlo VI. Di fronte al riproporsi dell’unione delle due corone come al tempo di Carlo V, Olanda e Inghilterra avviarono con la Francia le trattative che portarono alla pace di Utrecht (1713). L’imperatore proseguì la guerra ma non poté superare da solo la forza militare francese per cui l’anno seguente firmò il trattato di pace di Rastadt. In base ai trattati fu confermato l’avvento dei Borbone al posto degli Asburgo sul trono di Madrid. Molto notevole fu l’ingrandimento dell’Austria, che ottenne i Paesi bassi già spagnoli, e in Italia lo Stato di Milano, il ducato di Mantova., la Sardegna, il regno di Napoli e lo Stato dei Presidi. Il duca di Savoia ebbe la Sicilia e il Monferrato. La pace sancì soprattutto il trionfo dell’Inghilterra, che si garantì il possesso di Gibilterra e di Minorca, e in America ebbe dalla Francia l’isola di Terranova, importante per la pesca del merluzzo. Furono notevoli i vantaggi economici: Londra ottenne infatti dalla Spagna numerose concessioni commerciali, e inoltre l’ASIENTO, cioè il monopolio del lucroso traffico degli schiavi. Con le paci di Utrecht e di Rastadt si fece strada la comune convinzione che fosse necessario garantire in Europa una bilancia dei poteri che impedisse il ripetersi di aggressive politiche volte a stabilire l’egemonia di uno Stato. Si affermò così il principio dell’equilibrio, che rappresentò fino alla rivoluzione francese la base delle relazioni internazionali. IL RAFFORZAMENTO DELL’AUSTRIA: La decisione dell’imperatore di stabilirsi a partire dal 1617 a Vienna fu emblematica; ci fu uno spostamento del baricentro dei domini asburgici dall’ambito tedesco ai domini ereditari. Gli Asburgo possedevano all’interno dell’impero, i domini ereditari della casata, formati dal ducato di Austria, dai ducati alpini, dalla Contea del Tirolo e dal regno di Boemia. Fuori dei confini del Sacro romano impero seguì le classiche linee della politica assolutistica, limitando drasticamente i poteri della nobiltà e della Chiesa nell’intento di creare un solido apparato amministrativo. Per l’azione di governo istituì anche undici collegi composti da dieci funzionari e da un presidente, competenti per materia e divise il territorio in dodici estesi governatorati, incaricati di sovraintendere alla riscossione delle imposte. Impose anche un drastico cambiamento dei costumi: obbligò i nobili a radersi la barba e a vestire alla tedesca, adottò il calendario giuliano e prescrisse l’uso dei numeri arabi. Alle profonde trasformazioni nell’assetto interno corrisposero grandi successi in politica estera. Pietro si volse dapprima verso il mar Nero, conquistando nel 1796 Azov, (perduta 15 anni dopo). Ma il suo principale obiettivo era ottenere uno sbocco sul Baltico, che era controllato dalla Svezia. A tal fine nel 1700 egli attaccò insieme alla Danimarca e al duca di Sassonia (che era anche re di Polonia) il paese scandinavo dando inizio alla guerra del Nord (1700-1721). Il re di Svezia Carlo XII rivelò straordinarie doti di comandante militare: egli dapprima costrinse rapidamente alla resa della Danimarca, poi sconfisse nella battaglia presso il fiume Narva l’esercito russo (1700) e quindi mise fuori gioco il re di Polonia Augusto II. Mentre il re svedese conduceva la guerra in Germania, Pietro riorganizzò le sue forze e sulle coste del Baltico fondò nel 1703 la città di San Pietroburgo. Quando Carlo XII attaccò la Russia, Pietro ritirò metodicamente le sue truppe distruggendo tutte le risorse, finché non riuscì a Poltava nel 1709 a sconfiggere l’esercito svedese stremato dal freddo e dalla fame. Le paci di Stoccolma (1720) e di Nystadt (1721) sancirono la fine della potenza della Svezia, la quale cedette alla Russia tutta la costa baltica, alla Prussia la Pomerania e allo Hannover i porti di Brema e Verden. Capitolo 22: L’età dei Lumi UNA DEFINIZIONE: Con l’illuminismo l’uomo divenne adulto in quanto imparò a pensare con la propria testa, senza lasciarsi guidare da alcuna autorità. IL MONDO DEI LUMI: UN UNIVERSO COMPLESSO E DIVERSIFICATO: Naturalmente questa è solo una delle definizioni possibili: nell’illuminismo confluirono innumerevoli orientamenti culturali, che diedero alla nuova cultura un aspetto quanto mai ampio e differenziato. Intanto essa si presentò in forme diverse nei vari ambiti politici e culturali dell’Europa; trovò indubbiamente la sua massima espressione nella cultura francese, la quale impose l’espressione di (ETA’ DEI LUMI) per designare la nuova epoca. LE PREMESSE: Alle origini di questa rivoluzione intellettuale vi sono due opere apparse alla fine del XVII secolo: una di Newton e una di John Locke. Per il filosofo inglese non esistono idee presenti nell’uomo fin dalla nascita, le idee derivano esclusivamente dalle impressioni suscitate nell’uomo dalla realtà esterna (sensazione come il caldo) o dalla realtà interna (riflessione ad es. il dubbio). Su queste premesse si fonda la filosofia dell’empirismo, che considera l’esperienza l’unica fonte della conoscenza e il solo criterio di verità del quale dispone la ragione umana. Fra le premesse dell’illuminismo va ricordata anche l’opera dell’ugonotto rifugiatosi in Olanda Pierre Bayle il quale, criticò la cultura tradizionale, affermò con forza il principio della tolleranza in materia di fede e sostenne per la prima volta la possibilità di una società di atei. LA POLEMICA CONTRO LO SPIRITO DI SISTEMA: Gli illuministi concepivano la ragione come metodo di analisi. Di qui il carattere antisistematico della filosofia dei Lumi, ostile ai grandi trattati che affrontavano in maniera organica ed esaustiva tutti gli aspetti del pensiero. Se il dialogo era stato il modello letterario preferito dagli umanisti, la forma tipica della filosofia illuministica fu invece il saggio: componimento breve che analizza con metodo scientifico una singola questione, offrendo risultati provvisori, nella consapevolezza che gli sviluppi della ricerca modificheranno in seguito le conclusioni raggiunte, aprendo nuove prospettive di conoscenza. L’IDEA DI PROGRESSO: L’età dei Lumi fu animata da una profonda fiducia nello sviluppo della civiltà: secondo un’immagine centrale nel pensiero degli illuministi, la luce della ragione avrebbe scacciato le tenebre dell’ignoranza e della superstizione, che avevano dominato fino ad allora la storia dell’umanità. Maturò allora una decisiva evoluzione dell’idea del progresso: i philosophes, in quanto impegnati a favorire il progresso della civiltà si sentivano parte di una comunità universale di spiriti liberi, superiori alle distinzioni politiche o alle identità nazionali. Essi si impegnarono perciò a favorire la più am pia circolazione delle nuove idee, in vista della formazione di una opinione pubblica colta e illuminata. L’ECONOMIA: La capacità di osservare i fenomeni con spirito scientifico diede frutti importanti anche nell’analisi dell’economia, tant’è che proprio allora nacque l’economia politica. Il mercantilismo concepiva la crescita della ricchezza soprattutto come un mezzo per dare più forza allo Stato, il quale doveva perciò intervenire a controllare e regolare tutti gli aspetti della produzione e della circolazione dei prodotti. Nel Settecento questa visione fu respinta con forza in nome della necessità di garantire invece la massima possibile libertà alla vita economica, condizione indispensabile per il progresso. Queste posizioni si affermarono dapprima nella scuola francese della fisiocrazia e furono poi esposte in forma più matura dall’economista scozzese Adam Smith (1723-1790). La fisiocrazia riteneva che solo l’agricoltura fosse creatrice di ricchezza e del sovrappiù surplus. Secondo i fisiocratici, perché l’agricoltura raggiunga il massimo livello occorre che la terra sia coltivata in aziende compatte e ampie, gestite da un fittavolo che prende in affitto la terra dal proprietario e vi investe dei capitali (modello precapitalistico). I fisiocratici consideravano negativamente la piccola proprietà contadina, che non ha i mezzi e la capacità di apportare innovazioni e miglioramenti nell’attività agricola. Secondo i fisiocratici l’economia è retta da leggi naturali che lo Stato non deve assolutamente intralciare, in quanto esse, lasciate libere di agire, garantiscono necessariamente il raggiungimento del giusto prezzo e quindi dell’equilibrio. Quindi, lo Stato deve astenersi da ogni intervento nell’economia, limitandosi a garantire l’ordine e la difesa, e per il resto assicurare la libera circolazione dei prodotti. Smith evidenziava il valore positivo del desiderio di arricchirsi. Cercando il profitto, l’individuo è mosso dalla prospettiva di accrescere la propria ricchezza ma in tal modo favorisce senza volerlo la crescita dell’economia e quindi il benessere complessivo della società; è questo il meccanismo della cosiddetta “”mano invisibile”. LA SCIENZA DELLA POLITICA: LO SPIRITO DELLE LEGGI DI MONTESQUIEU: L’opera più importante di Charles-Louis di Montesquieu (1689-1755), L’Esprit des lois (Lo spirito delle leggi), pubblicata nel 1748, rappresentò un vero manuale della politica settecentesca. Montesquieu modifica la tradizionale teoria, formulata nel II secolo a.C. dallo storico greco Polibio, che distingueva le forme di governo in base al numero dei detentori del potere: ex. uno (monarchia), i migliori (aristocrazia), il popolo (democrazia), e prevedeva anche le rispettive degenerazioni: tirannide, oligarchia (governo dei pochi) e oclocrazia (governo della massa). Per Montesquieu invece i governi sono essenzialmente tre: il repubblicano, il monarchico e il dispotico. 1: il governo repubblicano, nel quale o il popolo (democrazia) o una parte di esso (aristocrazia) esercita il potere, trova il suo principio nella virtù, ovvero nella disposizione dei cittadini a sacrificare il proprio interesse individuale per garantire il bene della patria e l’interesse comune. Se viene meno la virtù, la repubblica non può più reggersi e inevitabilmente decade. La monarchia, nella quale uno solo governa, ma non arbitrariamente, dovendo rispettare leggi fisse e stabilite, si fonda sull’onore. Nel dispotismo invece uno solo regge lo Stato senza leggi né freni, a suo arbitrio; il regime dispotico si fonda perciò sulla paura, perché tutti i sudditi, uguali di fronte al potere immenso del despota, possono in ogni momento essere privati della vita o dei beni. I tre tipi di regime si differenziano anche per la dimensione territoriale: la repubblica è adatta a piccoli territori, la monarchia ai medi e il dispotismo alle grandi estensioni. JEAN-JACQUE ROUSSEAU: Se Montesquieu va considerato con Locke il capostipite della corrente di pensiero liberal-moderato, il ginevrino Jean-Jacques Rousseau (1712- 1778) fu il principale esponente del filone democratico-radicale. Il suo pensiero si può articolare in due fasi: nella prima fase Rousseau non criticava questo o quel regime, ma esprimeva un radicale rifiuto della stessa società, la quale aveva irrimediabilmente corrotto l’uomo, rendendolo egoista e malvagio. Alla civiltà dell’Europa settecentesca Rousseau contrapponeva i semplici costumi dell’uomo primitivo che, libero da ogni vincolo, anche familiare, non aveva che pochi bisogni ed era guidato solo dall’istinto. Rousseau negava quindi il valore positivo dello sviluppo delle conoscenze, delle scienze e delle arti: la vera filosofia era per lui la semplicità e la naturalezza dell’uomo primitivo, quella originaria virtù che aveva perduto unendosi ai suoi simili in una società fondata sulla proprietà, e quindi sulla disuguaglianza. Questa radicale critica della civiltà, che negava proprio l’idea di progresso, centrale nel pensiero dei Lumi, provocò la rottura dei suoi rapporti con gli illuministi. Nella seconda fase del suo pensiero politico, rappresentata in particolare dal CONTRATTO SOCIALE gli individui devono cedere tutti i loro diritti allo Stato, perché solo questa condizione garantisce l’eguaglianza. Gli individui divengono così cittadini, uniti dall’amore della patria comune: contro il cosmopolitismo illuministico. Rousseau non pensava però che si dovesse abolire la proprietà privata e stabilire una perfetta eguaglianza: occorreva solo che ciascuno fosse indipendente, avesse cioè i mezzi per provvedere alla propria sussistenza senza dipendere da altri, perché proprio questi legami di dipendenza corrompevano la società. Capitolo 23: lo sviluppo del commercio mondiale e la rivoluzione industriale LE PREMESSE DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: questo fenomeno, sviluppatosi Inghilterra fra il 1780 e i primi decenni dell'800, portò al superamento della società a base rurale e impose il settore secondaria come il più importante dinamico della vita economica. detenuta (per più del 75%) dalla nobiltà titolata; questa élite controllava di fatto le istituzioni parlamentari e ricopriva in gran parte le alte cariche dell’esercito, della marina e della Chiesa anglicana. I whigs invece si mostrarono più sensibili al mondo del commercio, della finanza e dei grandi traffici coloniali. Il periodo in cui Walpole fu al governo fu caratterizzato da un forte sviluppo del commercio e delle manifatture, favorito dalla riduzione del debito pubblico. A questo riguardo il Regno Unito godeva di una situazione molto più avanzata rispetto alle monarchie continentali grazie all’ampio ricorso al credito, favorito dalla creazione nel 1694 della Banca d’Inghilterra. In politica estera Walpole stabilì un’intesa con la Francia nell’intento di tenere la Gran Bretagna fuori dai conflitti, e svolse infatti un ruolo di mediazione durante la guerra di successione polacca. LA REGGENZA DI FILIPPO D’ORLEANS IN FRANCIA: Subito dopo la morte di Luigi XIV (I settembre 1715) il Parlamento di Parigi attribuì al duca Filippo d’Orléans la reggenza in nome del pronipote del re defunto, Luigi XV. La reggenza fu caratterizzata da una notevole libertà intellettuale contrariamente al periodo assolutistico di Luigi XIV; la vita culturale fu caratterizzata dalla diffusione clandestina di idee materialiste e libertine. Filippo d’Orléans si dimostrò un abile politico e si dedicò al problema più grave che doveva affrontare la Francia: il risanamento delle finanze schiacciate dall’enorme debito pubblico lasciato da Luigi XIV. Il reggente decise di adottare l’ardito programma propostogli dallo scozzese John Law che si ispirava al modello della Banca di Inghilterra e mirava a espandere la circolazione monetaria attraverso l’introduzione della carta moneta. Egli creò una Banca privata, la quale ebbe la facoltà di emettere banconote e fu chiamata nel 1718 Banca reale. DALLA REGGENZA AL MINISTERO FLEURY: La consacrazione di Luigi XV a Reims, nel 1722, e la dichiarazione della sua maggiore età nel 1723 posero fine alla reggenza di Filippo d’Orléans. Dal 1726 il re delegò la guida della Francia al cardinale de Fleury, il quale perseguì il più possibile una politica di pace, necessaria al risanamento delle finanze; questo periodo fu caratterizzato da un notevole sviluppo economico e da un forte dinamismo commerciale. LA GUERRA DI SUCCESIONE POLACCA: Gli sforzi del cardinale Fleury per mantenere la pace si infransero sulla questione della successione in Polonia, apertasi con la morte del re Augusto II nel 1733. La dieta elesse Leszczynski, suocero del re di Francia Luigi XV, ma Austria, Russia e Prussia si dichiararono in favore del figlio del defunto re, l'elettore di Sassonia Federico Augusto. La Francia a questo punto dovette entrare in guerra ma non potè opporsi all'intervento dell'esercito russo, che occupò Varsavia, assediò Danzica e infine imposero l'elezione di Federico Augusto. Risolta la questione polacca, la guerra si spostò in Italia, trasformandosi in un nuovo capitolo del conflitto franco-asburgico; la Francia formò una coalizione contro l'Austria con il re di Sardegna Carlo Emanuele III, al quale promise lo stato di Milano, e con la Spagna di Filippo V e di Elisabetta Farnese. Nel 1733 Carlo Emanuele entrò a Milano alla testa di un esercito franco-piemontese mentre l'anno seguente un esercito spagnolo, comandato dal figlio di Elisabetta, Carlo di Borbone, conquistò facilmente i Regni di Napoli e di Sicilia. Stabilizzatasi la situazione militare, nel 1735 furono avviate le trattative di pace; tramite il solito sistema del bilanciamento delle forze (tipico dei trattati settecenteschi), fu stabilito nella penisola fra Austria e Spagna un equilibrio, sancito dalla pace di Vienna del 1738. Lesczynski rinunziò alla corona polacca e ricevette in cambio il ducato di Lorena. Fu riconosciuta la sovranità di Carlo Borbone su regni di Napoli e di Sicilia, mentre l'Austria ricevette i ducati di Parma e Piacenza. Quanto al re di Sardegna, dovette accontentarsi dei territori di Tortona e Novara strappati allo stato di Milano. LA GUERRA DI SUCCESSIONE AUSTRIACA: la pace fu di breve durata perchè nel 1740, la morte dell'imperatore Carlo VI aprì la questione della successione sul trono austriaco. Il re defunto aveva negoziato con i principali Stati Europei sull'indivisibilità dei suoi domini, ma dopo la sua scomparsa il potere della sua- giovane figlia Maria Teresa (1740-1748) fu contestato da più parti. A prendere l'iniziativa fu il re di Prussia Federico II (figli di Federico Guglielmo I), egli decise di attaccare l'Austria senza dichiarazione formale d guerra occupando la Slesia che faceva parte del regno di Boemia. Nel 1741 la Francia e la Baviera lanciarono l'offensiva occupando la Boemia e la Moravia; nel gennaio del 1742 la Dieta elettorale elesse come imperatore Carlo Alberto di Baviera: si interrompeva cosi la tradizione che dal 1434 aveva visto la corona imperiale costantemente assegnata agli Asburgo. Al fianco della Francia si schierò anche la Spagna, che ambiva ai possedimenti austriaci in Italia. In questa situazione disperata Mari Teresa si rivolse alla nobiltà ungherese la quale, in cambio del rinnovo dei suoi privilegi (esenzione fiscale) fornì alla giovane sovrana un importante sostegno militare, inoltra Maria Teresa potè contare anche sull'aiuto dell'Inghilterra, dell'Hannover, delle Provincie Unite e del re di Sardegna. Nel 1745 le truppe franco-spagnole riuscirono a occupare Milano, ma la controffensiva Austriaca e Piemontese le ricacciò indietro. Nelle 1745 la Francia ottenne nelle Fiandre una grande vittoria sull'esercito inglese, che la portò a occupare Bruxelles e le Provincie unite. Il conflitto franco-inglese si svolse anche nelle colonie, dove prevalse la superiorità della marina Britannica. La morte di Carlo Alberto di Baviera nel 1745 e la conseguente elezione alla corona imperiale di Francesco Stefano (figlio di Maria Teresa), crearono le premessa per la fine del conflitto, sancita dalla pace di AQUISGRANA del 1748; ricorda che Federico II conservò la Slesia. LA GUERRA DEI SETTE ANNI (1756-1763): La ripresa del conflitto in Europa fu determinata dalla volontà di Maria Teresa di riconquistare la Slesia sottrattale nel 1740 dal re di Prussia Federico II. Questi per prevenire la minaccia austriaca stipulò nel gennaio 1756 con la Gran Bretagna il trattato di WESTMINSTER, con il quale i due contraenti si impegnavano a impedire il passaggio di truppe straniere sul territorio tedesco. In risposta il ministro degli esteri austriaco Kaunitz stipulò nel maggio 1756 a Versailles un trattato difensivo con la Francia Fu ancora una volta Federico II a dare inizio al conflitto invadendo, senza dichiarare la guerra, la Sassonia nel 1756. Scattò di conseguenza l'alleanza difensiva fra l'Austria e la Francia, alle quali si unì la figlia di Pietro il grande (la zarina Elisabetta), la Svezia e la Polonia. Federico II occupò facilmente la Sassonia e inglobò i suoi soldati nel proprio esercito. Costretto a combattere su più fronti, e poco sostenuto dall'alleato inglese, egli dovette subire l'occupazione della Slesia e della stessa Berlino, ma riuscì a superare il momento difficile e si difese con straordinaria energia, mostrando grandi qualità di stratega. Anche per la Gran Bretagna gli inizi del conflitto non furono favorevoli; cambiò decisamente nel 1757 con l'assunzione del ministero della guerra da parte di William Pitt, il quale concentrò i suoi sforzi sul fronte coloniale nell'intento di affermare il predominio inglese dei mari. Nel 1760, con la caduta di Montreal, conquistò l'intero Canada, in India sconfisse i francesi e il RAJAH del Bengala (alleato dei francesi). Grandi successi furono ottenuti anche nelle Antille, dove la Francia perse Guadalupa, e in Africa con l'occupazione del Senegal. Anche la Spagna, entrata in guerra nel 1762 a sostegno della Francia, fu sconfitta e perse Cuba e Manila nelle Filippine. Nel frattempo la situazione di Federico II, accerchiato dalla forze delle coalizione, si era fatta disperata; a salvarlo intervenne nel 1762 l'avvento al trono di Russia, dopo la morte della zarina Elisabetta, di Pietro III suo fervente ammiratore, che usci dal conflitto. La defezione della Russia creò le condizioni per i negoziati di pace, che portarono nel 1763 alla firma dei trattati di HUBERTUSBURJ fra Prussia e Austria e di Parigi fra Gran Bretagna e Francia. La Prussia conservò la Slesia, la Francia dovette cedere il Canada e anche varie isole nelle Antille agli Inglesi, mentre la Spagna, riottene Cuba e le Filippine ma perse in favore degli Inglesi l Florida. La presenza francese nell'America settentrionale era ormai ridotta solo alle Antille; la guerra dei sette anni è stata spesso definita, la PRIMA GUERRA GLOBALE: essa anticipò caratteri della guerra moderna, soprattutto per la sua dimensione planetaria. LA GUERRA NEL 700: Nel XVIII secolo prosegui il processo di rafforzamento degli apparati militari, con la formazione di eserciti permanenti già avviato nel secolo precedente. Questa corsa agli armamenti provocò l'emergere come potenze maggiori di Francia, Austria, Russia, Prussia e della Gran Bretagna che fondava la sua potenza sulla flotta. Gli stati medio-piccoli, come Spagna, Provincie Unite e Svezia furono relegati ad un ruolo di comprimari. In questi anni vi fu una marcata tendenza a nazionalizzare gli eserciti, stabilendo forme di coscrizione che obbligavano le comunità a fornire un certo numero di soldati. Di crescente importanza assunse l'ARTIGLIERIA, mentre sul piano degli armamenti, a parte la baionetta, che portò alla scomparsa delle picche, la novità più importante fu la sostituzione dell'innesco a ruota con quella della PIETRA FOCAIA. Nel 700 la guerra fu piuttosto statica, raramente caratterizzata da eventi decisivi. Era una guerra di manovra, condotta da soldati professionisti. Il FALLIMENTO DELLE RIFORME IN FRANCIA: Dopo la guerra dei sette anni, la grave sconfitta nel duello coloniale con l'Inghilterra, ripropose con forza l'esigenza di riforme volte a superare la cronica insufficienza della struttura finanziari. Dopo la morte di Fleury nel 1743, il re Luigi XV, decise di intervenire personalmente a guidare il processo di risanamento finanziario perseguito dai suoi ministri. La sua azione tuttavia, fu indebolita dall'opposizione dei parlamenti infatti, la preparazione di un CATASTO, che avrebbe dato una solida base alla riscossione delle imposte, fu vivacemente osteggiata dai parlamenti. Nel 1766, esasperato, Luigi XV affermò con parole durissime il proprio POTERE ASSOLUTO e i limiti delle prerogative dei parlamenti. Nel 1771 Luigi, tentò di liquidare definitivamente l'opposizione parlamentare con il cosiddetto "COLPO di STATO" del cancelliere Maupeou. Egli stabilì che i magistrati dovessero essere nominati e stipendiati dl re; soppresse il parlamento di Parigi e suddivise il vasto territorio della sua giurisdizione in 6 CIRCOSCRIZIONI, nelle quali operavano consigli superiori nominati dal re. La morte per vaiolo di Luigi XV vanificò gli sforzi di Maupeou; infatti il successore (Luigi XVI), decise I MUTAMENTI NEL QUADRO POLITICO ITALIANO: Agli inizi del Settecento, la guerra di successione spagnola sconvolse gli equilibri politici della penisola, provocando la fine del lungo dominio degli Asburgo di Madrid e l'affermazione dell'egemonia dell'Austria, padrona dello stato di Milano, del ducato di Mantova, dello stato dei Presidi, dei regni di Napoli e di Sicilia; la pace di Rastadt del 1714 diede la Sicilia ai Savoia, che nel 1720 furono però obbligati a cederle all'Austria in cambio della più povera Sardegna. La pace di Parigi che pose fine nel 1738 alla guerra di successione polacca, attribuì i regni di Napoli e di Sicilia a Carlo di Borbone. Questi cambiamenti portarono una ventata di rinnovamento: infatti proprio i nuovi sovrani protagonisti della politica di riforme che caratterizzò il lungo periodo di pace del quale l'Italia godette dal 1748 al 1792. VITTORIO AMEDEO II DA DUCA DI SAVOIA A RE DI SARDEGNA: Lo stato sabaudo, sorto nell'alto medioevo, comprendeva una serie di feudi e di territori uniti dal legame dinastico nei confronti della famiglia dei duchi di Savoia. A differenza degli stati italiani che avevano un carattere tipicamente cittadino (derivati dalla evoluzione della civiltà comunale), esso manteneva una natura tipicamente signorile-feudale, ed era composto di quattro domini principali, ciascuno dei quali aveva istituzioni e tradizioni distinte: il ducato di Savoia, la contea di Nizza, il ducato di Aosta, e il principato del Piemonte. Quando salì al potere, Vittorio Amedeo II (1684-1730) dovette innanzitutto affrontare il problema dei rapporti con il suo potente vicino, la Francia. All'interno, Vittorio Amedeo, ispirandosi al modello francese, stabilì nelle province dei rappresentanti del potere centrale, gli INTENDENTI, con il compito di eseguire le decisioni sovrane, di controllare e di limitare ceti privilegiati e i poteri locali. Nel 1717 furono istituiti il consiglio di stato, massimo organo di governo, e il consiglio generale delle finanze. Nel 1723 e poi, con alcune modifiche, nel 1729 furono emanate le COSTITUZIONI. Vittorio Amedeo riservò le alte cariche dell'esercito alla nobiltà, che vantava una solida tradizione militare, ma nell'amministrazione impiegò funzionari di origine borghese. Nei confronti della chiesa, Vittorio Amedeo, adottò un rigoroso giurisdizionalismo, rivendicando il diritto di nomina dei vescovi e intervenendo in attività come l'istruzione e l'assistenza, gestite in genere dal clero. Il regno di Sardegna fu il solo stato italiano ad avere un esercito in grado di competere con le grandi potenze europee. LUDOVICO ANTONIO MURATORI: Archivista e bibliotecario dei duchi di Modena, Muratori si dedicò a lavori di erudizione e di storia; sul piano religioso, Muratori si ispirò a un cattolicesimo illuminato, moderato e fedele alla dottrina della chiesa, ma sostenuto da una religiosità sincera e da una limpida coscienza morale. LO STATO DELLA CHIESA: Lo stato rimase arretrato sul piano amministrativo e finanziario; sul piano economico-sociale alle zone più progredite (Bologna, Ferrara, Romagna, Pesaro) si opponeva il Lazio, dominato dai latifondi delle grandi famiglie aristocratiche, utilizzati per l'allevamento e la cerealicoltura. Pio VI (1783-1788) abolì le gabelle interne e portò a compimento la bonifica delle paludi pontine, già avviata da Benedetto XIV. CARLO III DI BORBONE: Nel 1734 vi fu l'ascesa al trono napoletano di Carlo di Borbone (era figlio dei sovrani spagnoli). Non mancarono, in una prima fase, provvedimenti di riforma: con il concordato del 1741 si ottenne la possibilità di tassare i beni ecclesiastici, fu istituito un tribunale di commercio e fu avviata la redazione di un catasto. Nel 1759 Carlo partì da Napoli per assumere la corona di Spagna con il nome di Carlo III. L'ILLUMINISMO NAPOLETANO: Napoli, fu, con Milano, il centro della cultura dei Lumi in Italia. L'illuminismo meridionale si sviluppò a partire dall'opera e dall'insegnamento di Antonio Genovesi. Mostrando impietosamente le condizioni di arretratezza del regno, Genovesi sostenne un ampio programma di riforme, che individuava con chiarezza i principali ostacoli al progresso della nazione napoletana: interessi dei ceti parassitari che vivevano a spese delle casse statali, il potere politico e economico della chiesa, il regime feudale che schiacciava l'agricoltura e i contadini. Egli sostenne anche l'importanza dell'educazione nazionale. L'influenza del suo pensiero fu tale che si può parlare per tutto il movimento riformatore meridionale di "SCUOLA DI GENOVESI" L'ILLUMINISMO MILANESE: La cultura illuministica si affermò a Milano soprattutto grazie all'opera di alcuni giovani patrizi. Essi adottarono il nome di "Accademia dei pugni", perché esprimeva con efficacia il loro spirito di ribellione contro la vecchia società e la vecchia cultura. Pietro Verri fu l'ispiratore e la guida del gruppo, che comprendeva fra gli altri anche il fratello Alessandro Verri e Cesare Beccaria. Per iniziativa di questi giovani fu pubblicata fra il 1764 e il 1766 la rivista "il caffè", che, ispirandosi soprattutto al giornalismo inglese, si batté per un profondo rinnovamento della tradizione letteraria e linguistica. Dal gruppo che diede vita alla rivista uscì anche, nel 1764, il trattatello DEI DELITTI E DELLE PENE, composto da Cesare Beccaria, il quale, nonostante la condanna della censura ecclesiastica, lo scritto ebbe un grande successo in Europa e fu tradotto in molte lingue. Egli criticò, le feroci pratiche della giustizia penale, che prevedevano la tortura ed efferate esecuzioni capitali. Egli rifiutava la pena di morte, che non é utile alla società e non può essere prevista dal contratto sociale, in quanto nessuno può cedere allo stato il diritto di togliergli la vita, e proponeva in sostituzione i lavori forzati, ritenuti un deterrente più efficace. PIETRO LEOPOLDO GRANDUCA DI TOSCANA: Una svolta significativa avvenne con l'arrivo a Firenze nel 1765, alla morte di Francesco Stefano, del figlio diciottenne Pietro Leopoldo. Egli dovette occuparsi innanzitutto della situazione dell'economia, colpita proprio in quegli anni da una grave carestia. Adottando una linea liberista, Leopoldo stabilì la completa libertà di commercio dei grani, sciolse le corporazioni e unificò il mercato interno. Pietro Leopoldo fu il primo sovrano ad abolire la pena di morte e la tortura (1786). Perciò che concerne la politica ecclesiastica, egli nel 1782 abolì l'inquisizione e appoggiò il programma di riorganizzazione della chiesa elaborato dal vescovo di Pistoia, Scipione DE' RICCI. Questi, di orientamento giansenista, aspirava ad un ridimensionamento del centralismo papale in nome dell'autonomia dei vescovi da Roma, e auspicava una riforma del culto ispirata alla semplicità evangelica e tesa a favorire la partecipazione dei fedeli, grazie all'uso della lingua volgare. Nell'assemblea dei Vescovi riunitasi a Firenze nel 1787 la maggioranza si schierò contro la riforma e per questo il progetto fu abbandonato. GLI STATI MINORI: Fra gli stati minori ricordiamo il ducato di Modena (entrato nell'orbita di influenza dell'Austria), il ducato di Parma, dove Filippo di Borbone chiamò al governo il francese Tillot, che nel 1768 espulse i gesuiti e nel 1769 abolì l'inquisizione. VENEZIA: Nel corso del 700 apparvero sempre più evidenti i segni del declino, al calo demografico del patriziato, provocato dall'estinzione di diverse famiglie, si accompagnò la formazione di un cospicuo gruppo di patrizi poveri, i "BARNABOTI", la cui presenza era un motivo di degenerazione della vita politica. Si delineò così una tendenza alla concentrazione del potere nelle mani di una trentina di famiglie più ricche e influenti. Nel secolo della sua decadenza politica, Venezia, che era il primo centro editoriale della penisola, conobbe una stagione di straordinaria fioritura artistica e letteraria. CAPITOLO 27: La rivoluzione americana LE ORIGINI DELLE TREDICI COLONIE: Le tredici colonie inglesi, si erano formate fra gli inizi del XVII secolo e il 1732, anno di nascita dell'ultima di esse: la Georgia (così chiamata in onore di Giorgio I). Le colonie avevano origine e caratteristiche molto diverse, perché l'Inghilterra, di fatto lasciò largo spazio ai coloni nell'organizzazione dell'assetto interno degli insediamenti. Il primo insediamento stabile inglese fu GIAMES TOWN (Virginia). LA POPOLAZIONE: All'inizio del XVIII secolo, le colonie inglesi contavano già 250mila abitanti, che sarebbero diventati nel 1775 addirittura 2.5 milioni. Si trattava di una popolazione assai composita; fin dall'inizio le colonie avevano inglobato precedenti insediamenti olandesi, svedesi, ebrei portoghesi e ugonotti. L'eterogeneità della popolazione si accrebbe nel XVIII secolo quando nell'Europa arrivarono, oltre a inglesi e scozzesi, anche irlandesi, olandesi e tedeschi. Gli immigrati furono attirati soprattutto dalle opportunità di lavoro e dall'ampia disponibilità di terra che offriva il nuovo mondo. L'ECONOMIA E LA SOCIETA': L'incremento demografico si accompagnò a un notevole sviluppo economico. Al NORD le quattro colonie della nuova Inghilterra, esportavano rum, legname, pellicce, minerali di ferro e prodotti della pesca. Le città presentavano un articolato tessuto sociale comprendente lavoratori salariati, artigiani, professionisti, mercanti. Le colonie CENTRALI avevano una popolazione più composita in quanto avevano accolto molti immigrati non inglesi; le voci principali della produzione e dell'esportazione erano le stesse delle colonie settentrionali ma più intensa era l'attività commerciale e finanziaria, che rendeva queste colonie più ricche e urbanizzate. Le sei colonie MERIDIONALI erano: Virginia, Maryland, Delaware, Carolina del nord e del sud e Georgia. In queste regioni, si coltivavano cereali, riso, indaco e piantagioni di tabacco nelle quali lavoravano gli schiavi neri. Quest'ultimi vivevano in condizioni molto dure. LE ISTITUZIONI: Il parlamento di Londra dettava con le sue leggi le regole del commercio in tutto l'impero e quindi anche alle colonie americane. L'atto di NAVIGAZIONE del 1660 stabiliva che l'esportazione o l'importazione delle colonie di qualsiasi merce dovesse avvenire su navi inglesi e elencava i prodotti coloniali per i quali era lecito il commercio o lo scambio solo con la madre patria o con altre colonie inglese: zucchero, tabacco, cotone
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