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STORIA MODERNA- GIUSEPPE GALASSO, Appunti di Storia Moderna

L’insegnamento ricade tra le attività formative dei corsi di laurea triennali di Lettere, Beni Culturali e Filosofia, che consentono allo studente di affrontare un problema specifico nelle sue varie articolazioni e con uso coerente del linguaggio proprio.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 12/07/2018

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Scarica STORIA MODERNA- GIUSEPPE GALASSO e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! STORIA MODERNA LEZIONE 1 Si considera l’inizio della storia moderna il 1492. Perché avvenne qualcosa di così importante nella storia dell’umanità da cui dipesero gli avvenimenti futuri. Non tutti i mutamenti posteriori dipesero da questo avvenimento. La scoperta dell’America fu anch’esso il prodotto di una serie di mutamenti che avvennero in Europa. Quindi il 1492, come ogni altra data “spartiacque”, ha un valore essenzialmente indicativo e costituisce e un punto di riferimento e non vuole suggerire una frattura nel corso della storia. “Storia moderna”- “moderna” è un aggettivo che deriva dal latino “modo”, un avverbio di tempo che significa “ora, adesso”. In altri termini la storia moderna è la considerazione di un tempo ce viene sentito tuttora presente, contemporaneo. Nella tradizione storica moderna si distingue: età antica, età medievale, età moderna. Questa tripartizione fu introdotta nel 400 e riguardò essenzialmente il campo della letteratura e delle arti. Sembrò allora che si fosse visetti un lungo periodo di oscurità, per 1000 si ci era allontanati dalle vette dell’età antica. Il medioevo lo consideravano terminato e i moderni (dal 400 i poi), sentivano di ristabilire l’eccellenza culturale e artistica dell’età antica. Già nel mondo cristiano c’era stata una divisione: prima di Cristo e dopo Cristo. Ma anche tra i musulmani Il tempo è diviso con un criterio religioso in due parti. Adottare come avvenne nel secolo XV, come criterio di divisione del tempo non un evento religioso ma l’attività della cultura e delle arti, significava introdurre nella partizione del tempo, elementi specificamente laici. Quindi l’inizio della modernità inizia con un laicizzazione del senso del tempo, che prelude ai grandi mutamenti e innovazioni, fatti registrare nell’età moderna nel campo die valori. Nel giro di un paio di secoli la contrapposizione tra l’età moderna e il medioevo si allargò ad altri campi, non più alla cultura e alle arti. Nel medioevo si visse nel feudalesimo, invece la restaurazione dello stato venne a costituire un carattere fondamentale della modernità. La tripartizione è una divisione nata nell’ambito della civiltà e ha i suoi elementi di validità nell’ambito della storia europea. Sarebbe impossibile applicare la stessa tripartizione alla storia di altre civiltà, a cominciare proprio da quelli islamici. Se manteniamo la divisione è per funzioni pratiche e perché l’Europa è diventata nel corso dell’età moderna il centro del mondo e per lungo tempo anche la dominatrice del mondo. Nel mondo essa ha portato e diffuso le sue idee e progressi. Questo è accaduto anche grazie a svolgimenti drammatici. Ciò nonostante questo ha segnato una europeizzazione del mondo e per questa ragione la tripartizione non è un elemento che abbia interesse solo per gli Europei, è invece un elemento che interessa tutto il mondo. Perché distinguiamo tra storia moderna e contemporanea, una volta appurato che sono termini equivalenti? La modernità proclamata nel 400, dura ormai da 5 secoli ed un lasso di tempo troppo lungo, per non sentire il bisogno di dividerlo in varie fasi. Si tiene tuttavia lo spartiacque del 1492, perché si crede che il mondo si muova anche nella scia dei mutanti che ebbero inizio allora con la scoperta dell’America. Quindi la storia contemporanea è considerata come il periodo verso la fine dell’età moderna, quindi quella che va dalla metà del 800 e che consiste grossomodo nella storia del 900. Sull’umanesimo e il rinascimento c’è una lunga e molto articolata discussione, che ne ha dibattuto le più varie discussioni. Per umanesimo si intende innanzitutto il movimento culturale che tra la fine del 300 e la seconda metà de 500 portò al recupero di gran parte del patrimonio culturale della Grecia e di Roma antiche, andato disperso nei secoli del medioevo a data della caduta dell’impero romano. Portò al ristabilimento della conoscenza del greco che purtroppo si era perduto da molti secoli, portò alla riadozione del latino come lingua letteraria per cui si riprese a riscrivere in latino, portò alla considerazione degli artisti antichi come modelli insuperabili di bellezza e di stile che si potevano solo imitare. A sua volta con il termine “Rinascimento”, si intese già allora un fenomeno di questa ripresa di conoscenza della civiltà antica e di adozione di questi artisti o scrittori come classici, ossia come scrittori o artisti di classe superiore, tali da dover fungere da modello. Tuttavia né la nozione di rinascimento né quella di umanesimo rimasero in questi confini artistici letterari. L’Umanesimo era innanzitutto il culto delle Humanae Literae, e delle Artes Liberales, in quanto culto della forma e della bellezza, dell’ equilibrio, ma anche rielezione dell’ordine dell’universo, come ordine di armonia. L’arte e le lettere permetta no di accedere al significato intimo dell’universo, quindi l’umanesimo coltivava un ideale che non era soltanto estetico ma coltivava un ideale che coinvolgeva tutta una concezione del mondo e dell’uomo. Per l’ordine cosmico l’uomo rappresentava il punto di saldatura tra l’inferiore e le cose celesti. Un microcosmo che era immagine e sintesi del macrocosmo, cioè dell’intero universo. La bellezza era quindi una guida alla verità, l’arte era una sorella della ragione e la ragione che si manifestava nell’ordine razionale dell’universo, doveva anche manifestarsi nella personalità storica dell’uomo, nella sua vita civile. Non è un caso che nell’umanesimo la dimensione morale si affacciasse con quella estetica. L’antichità classica aveva inteso tutto questo e perciò si ci rivolgeva ad essa come un modello e l’imitazione di essa come modello insuperabile fu la regola della nuova epoca. In questa professione di esemplarità degli antichi erano contenute implicazioni importanti, la civiltà antica si era eclissata, se si tornava ad essa, voleva dire che i modelli vivevano nel tempo, poteva decadere e risorgere, obbedivano cioè ad una logica storica e accanto a questo esile ma chiaro filo storicistico, c’era un’altra implicazione: la perfezione classica era stata realizzata dagli umanisti perché anche gli antichi avevano avuto a loro volta un modello, gli umanisti avevano gli scrittori classici. Gli antichi avevano avuto il modello della natura, come forma bella ma anche razionale ed armonico. Il riferimento al modello classico era dunque un riferimento al modello ultimo, cioè un modello naturalistico. Non tutte queste prospettive furono svolte a fondo, ma l’effetto storico dell’umanesimo fu molto importante e fu una parte essenziale della svolta segnata dal rinascimento. 1440. Lorenzo Balla. “Della falsa e bugiarda donazione di Costantino” (latino), dissolse il fondamento del celebre, quanto falso documento con cui Costantino guarito dalla lebbra a opera del Papa Silvestro, avrebbe donato al papato la parte occidentale dell’impero romano. Qui si rileva un esplicito percorso umanistico, cioè accanto al potenziale storicismo e naturalismo, anche un sostanziale laicismo, già rivelatosi con una periodizzazione storica. Da Petrarca ad Erasmo (i due nomi di inizio e conclusone dell’umanesimo), questo movimento umanistico dispiegò tutta la sua capacità innovatrice, apparve un nuovo tipo di intellettuale, che non era più il chierico medievale ma agiva da laico, e doveva la sua posizione ai ruoli che era in grado di esercitare nella società civile. Quindi da un lato questo filone umanistico rinascimentale sfociò nell’utopia e fu anzi proprio allora che l’inglese Tommaso Moro, scrisse “Utopia”, e coniò questo termine. Moro descriveva una società perfetta che si collocava in un “non luogo” (u topos), descriveva una società perfetta non ritrovabile nella realtà, d’altra parte ci fu Macchiavelli, con la sua affermazione di un’autonomia concettuale ideale della politica, la politica come attività che non nega la morale ma norme e valori propri non riducibili alla morale e altrettanto validi nella loro specificità. Inoltre c’è uno sviluppo scientifico nel rinascimento. Sia con la teoria di Copernico sul sistema solare, sia con i progressi derivati dagli stessi interessi artistici rinascimentali (prospettiva lineare centrica), o gli studi di anatomia, necessari per la rappresentazione del corpo umano. Perfino pseudo scienze, come l’alchimia e l’astrologia, concorsero a numerosi progressi da cui poi nacquero le scienze moderne. Dello spirito razionalistico e scientifico del Rinascimento, fece parte anche la scoperta clamorosa dell’America ad opera di Cristoforo Colombo. Il viaggio di Colombo nel 1492, fu un’assoluta novità. Quel viaggio non fu il solito viaggio delle esplorazioni umane, ossia uno spostamento in aventi per vedere che cosa vi fosse più in là. Colombo partì proprio da un’ipotesi scientifica e il suo viaggio fu proprio la conferma di questa ipotesi. (Se la terra è sferica andando a occidente si arriva in oriente). Quindi dalla Spagna si doveva raggiungere le indie nell’Asia. Colombo non giunse in India, ma solo perché tra la Spagna e l’India, vi era uno spazio di mare molto più ampio di quello calcolato da Colombo e nel mezzo di esso si trovava l’ignota terra americana. Poche anni dopo si ebbe il viaggio di Magellano e così fu completata l’audace scoperta di Colombo. Venezia era indubbiamente il più potente degli stati italiani, e da due secoli si era andato costituendo un grande dominio in veneto ed in Lombardia che mirava continuamente ad ampliare. Sconfitta nel 1509, Venezia potè salvare ciò che possedeva ma dovette ridimensionare le sue mire espansionistiche. Un altro stato perdeva importanza dopo Firenze, Napoli e Milano. Ostacolato dai francesi nella ricostituzione dello stato Pontificio, Giulio II promosse contro di loro la lega Santa (Aragona, Venezia, Inghilterra e svizzera). I francesi, pur Vittoriosi nel 1512 dovettero abbandonare Milano, mentre i Medici tornavano a Firenze. Morto poi Giulio II, fu eletto Papa un Medici, Leone X, e nello stesso tempo, Francesco I successe a Luigi XII sul trono di Francia, che con l’auto di Venezia riconquistò Milano. Si giunse alla pace di Noyon nel 1516, la Francia ottenne Milano, gli svizzeri il Canton Ticino, gli aragonesi Napoli, Venezia alcuni porti pugliesi e il papa conservò Parma e Piacenza. Il secondo periodo vide un radicale mutamento della scena. I superstiti stati italiani (Venezia, Firenze e Roma), avevano un ruolo subalterno sia nel quadro europeo sia su quello italiano. Contro la Francia non si trovavano solo gli Aragona ma anche l’altro reame iberico di Castiglia (quella che poi sarà la Spagna moderna). I due remai spagnoli erano già stati avvicinati dal matrimonio di Ferdinando d’Aragona con i Isabella di Castiglia, morta Isabella nel 1504, Ferdinando aveva assunto il governo di Castiglia. Morto lui nel 1516, gli successe il nipote Carlo D’Asburgo. Nel 1519 muore Massimiliano I d’Asburgo, il nipote Carlo d’Asburgo, già re di Castiglia e d’Aragona, viene eletto imperatore del sacro romano impero. Per allora l’opinione europea riteneva ancora la Francia il maggiore pericolo per l’equilibrio continentale. Come nipote da parte di madre di Maria di Borgogna, Carlo V (D’Asburgo), rivendicava il possesso del ducato di Borgogna, di cui Luigi XI, il padre di Carlo VIII, si era impadronito nel 1467, lasciando a Maria solo la parte di esso denominata “franca contea di Borgogna”. Nel 1517 era cominciato il Germania il movimento protestante. Nel 1521 ripresero le ostilità. Carlo V, in alleanza con gli inglesi e i veneziani, potè perdere Milano che fu restituita ad uno Sforza. Tornata all’offensiva la Francia di Francesco I, costrinse l’esercito spagnolo a chiudersi in Pavia che egli cinse di assedio, ma fu proprio sotto le mura di Pavia che sopravvenuto un altro esercito di Carlo V, Francesco I subì non solo una grande disfatta, ma venne addirittura preso prigioniero. Portato a Madrid dove accettare nel 1526 un pesante trattato con il quale riconosceva a Carlo V, Napoli, Milano e la Borgogna. Aveva però firmato il trattato di Madrid con la riserva della sua registrazione da parte del parlamento di Parigi. La registrazione non vi fu e la guerra ricominciò. Questa volta era chiaro che la maggior potenza Europea era la Spagna. Gli stati italiani (Venezia, Milano, Roma, mentre Firenze, dove di nuovo nel 1527 furono espulsi i Medici tornati nel 1523 sul trono Pontificio con Clemente VII, dopo la morte di Leone X), seguirono la Francia e l’Inghilterra nella lega di Cognac. Ad opera d un servito imperiale di Carlo V, composto in gran parte di protestanti nel 1527 ci fu il SACCO DI ROMA, a stendo il papa Clemente VII scampa all’assedio in castel Sant’Angelo. Quando i francesi decisero di condurre con maggiore impegno la guerra in cui avevano lasciato soli gli italiani, fallirono completamente. Un loro esercito riuscì a raggiungere Napoli ma fu disfatto da una grandissima epidemia di peste, mentre la flotta genovese che li aveva aiutati nella spedizione cambiava campo perché dal 1528 in poi, Genova di schierava, sotto consiglio di Andrea Doria, a favore di Carlo V e della Spagna quindi. Si giunse alla pace di Cambrai. Carlo V rinunciava a rivendicare la Borgogna. La Francia venne completamente esclusa dall’Italia. Milano fu data a Francesco II Sforza, Venezia perse i porti pugliesi che aveva guadagnato nella spartizione del regno di Napoli tra Ferdinando il Cattolico e Luigi XII. Il Papa conservò Parma e Piacenza. Con Papa Clemente VII, Carlo V si accordò l’anno seguente 1530 a Bologna. Papa Clemente VII incorona Carlo V re d’Italia e imperatore. Fu l’ultima coronazione di un sovrano del sacro romano impero per mano di un pontefice. L’imperatore accettò d restaurare i Medici in Firenze che cadde dopo un assedio di vari mesi e nominò Alessandro de’ Medici, duca di Firenze, a cui fu data in sposa la sua figlia naturale Margherita d’Austria. Dopo la scoperta dell’America, un grande impero spagnolo andava a formarsi nel nuovo mondo. Nello stesso tempo però un’altra grandissima potenza si era andata formando nel mediterraneo orientale. Dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, gli ottomani avevano proseguito la loro azione espansiva, sotto il sultano Solimano il Magnifico dal 1520-66 regnò varie regioni del Caucaso, la penisola arabica, la Siria, l’Egitto, l’isola di Rodi, vari possidenti veneziani nell’Egeo e nello Ionio, l’intera penisola balcanica, furono ridotte sotto la sovranità turca. Nel 1526 fu sconfitto il re d’Ungheria e anche questo paese passo per 4/5 in mano dei turchi. L’impero turco si delineava come una grandissima potenza militare per mare e per terra, che non poteva far sentire il suo peso, come infatti accadde nelle lotte di potenza in Europa. La potenza equivalente nel mondo fuori europeo agli inizi del 500 poteva essere considerata soltanto la Cina che dal 1368, era sotto la dinastia del Ming, ai quali fu dovuto lo spostamento della capitale a Pechino e la definizione della grande muraglia a protezione delle frontiere del nord, contro i nomadi turco- mongoli al di là dei confini cinesi. Nonché il collegamento di Pechino con il grande canale che metteva in comunicazione i bacini del fiume giallo e del fiume azzurro e quindi le comunicazioni tra il nuovo centro politico insediato a Pechino e le regioni più produttive del paese che si trovavano nella sua parte meridionale I Ming favorirono inoltre, come non era nella tradizione cinese, le esplorazioni marittime che giunsero attraverso l’oceano indiano fino al mar rosso, e che però non ebbero mai il carattere economico e, come con Cristoforo Colombo, scientifico di quelle europee, tanto che nessuna comparazione è possibile da questo punto di vista tra le esplorazioni e scoperte geografiche europee e le corrispondenti attività cinesi. Isolato viveva il Giappone, nella sua struttura feudale, benché in intensi rapporti economici con la Cina. Nello spazio indiano, il sultanato musulmanato indiano di Deli si era molto indebolito e se ne erano staccate varie regioni, tra cui il Bengala. Nella parte indù dell’India fiorivano vari regni regionali senza grande importanza. In Persia invece, l’impero fondato da Tamerlano, tra il 300 e il 400, fu rovesciato della nuova dinastia dei Safavidi agli inizi deo 500, che andavamo via via ricostituendone il potere. Nell’africa a su del Sahara, organizzazioni politiche simili non sembrano potersi riscontrare. Nelle ignorate Americhe, due grandi poli di potenza politica dominanti su veste aree e su molte popolazioni, erano agli inizi del secolo XVV ancora in grande fioritura e cioè gli Aztechi in Messico e gli Incas nel Perù e nelle regioni vicine. Questo è il quadro del mondo extra-europeo. In generale in nessuna parte del mondo agli inizi del XV si registra lo stesso impulso dinamico che contraddistingue l’Europa. LEZIONE 4 La reazione della chiesa al movimento protestante, dà un un po’ l’impressione di essere stata lenta. Lutero fu scomunicato abbastanza tempestivamente nel 1520 a 2 anni dalla affissione delle sue 95 tesi alla porta del castello di Wittemberg (Germania). Nei successivi anni 20 si avvertirono nel mondo cattolico fermenti che non possono essere visti in relazione diretta con la riforma ma rivelano un intensificarsi di quelle manifestazioni di sincero fervore religioso e di ansia di rinnovamento che nel mondo cattolico, prima della riforma non erano affatto mancate. Non solo l’esperienza del Savonarola o quella dell’oratorio del divino amore (nel 1497 venne fondato a Genova dal laico Ettore Vernazza questa confraternita, l quale scopo era di radicare e piantare nei cuori l’amore di cristo, cioè la carità), ma si può anche ricordare la fioritura di santi predicatori nella seconda metà del 400 come Francesco di Paola, Bernardino da Siena, Giovanni da Capistrano, Vincenzo Ferrer. Santi, che denunciano con il loro successo un’ansia indubbia di rinnovamento. A tutte queste manifestazioni non aveva però arriso il successo aveva arriso un successo soltanto parziale ed è anche questo un motivo perché si possa mancare il termine di controriforma per indicare il movimento con il quale la chiesa di Roma rispose alla riforma protestante, piuttosto di usare il termine riforma cattolica. Termine che appare sconsigliabile anche perché una decisa azione di rinnovamento della chiesa non ebbe inizio che in risposta al protestantesimo e non immediatamente. Negli anni 20 del 500, fiorì tutta una serie di iniziative cattolichine nel campo degli ordini religiosi. Tra i francescani, ce erano in corso, già dalla seconda metà del 400 varie spinte, miranti al ripristino e all’osservanza della regola dell’ordine nella sua originaria interezza. Già sotto Leone X si ebbe il riconoscimento di qualcuna di esse. Nel 1525 in questo stesso solco nacquero i cappuccini, non meno importante fu l’insorgere dei chierici regolari, ideati come comunità di preti legati ai voti senza obbligo di liturgia. Quindi con la possibilità di dedicarsi interamente all’assistenza, all’insegnamento, all’apostolato e ad altre opere pie. Nel 1535 le Orsoline, un ordine femminile, iniziarono a sviluppare l’insegnamento femminile. Importantissimo fu infine che negli anni 30, durante il pontificato di Papa Paolo III Farnese, un gruppo di alti esponenti del clero di formazione erasmiana occupasse. Questo portò ad un colloquio con i protestanti. Benché nello stesso periodo, quasi tutta la Germania avesse aderito al luteranesimo salvo la Baviera e alcune terre ecclesiastiche e benché forte fosse la diffusione del luteranesimo anche fuori dalla Germania, l’obbiettivo di una conciliazione appariva ancora possibile. Infatti i luterani proclamavano di voler solo riportare la chiesa alla sia purezza e semplicità evangelica e si appellava o ad un concilio da convocare per definire le questioni di fede e di disciplina. Il grido di Lutero era stato un po’ attenuato dalla sua poca considerazione dell’organizzazione ecclesiastica e della liturgia, per non parlare dalla parte da lui riconosciuta in questo campo allo stato e al potere civile, così in ambito protestante si ebbe la forte reazione calvinistica. I tentativi di conciliazione sembrarono avere successo. Un accordo si delineava anche sul problema più spinoso, ossia il problema messo in atto da Lutero per la “giustificazione per fede”. Impossibile risultò invece trovare una qualsiasi forma di conciliazione sul punto del primato del Papa e di Roma. Fu quanto si dovette constatare nel 1541. La svolta si ebbe con Paolo III e il suo pontificato (1534-1549) segna l’inizio della controriforma. Nel 1540 approva la costituzione della compagnia di Gesù. Nel 1542 istituisce la congregazione del sant’Uffizio dell’inquisizione e nello stesso anno convoca il concilio di Trento. La compagnia di Gesù (Gesuiti) fu la creatura dello spagnolo Ignazio di Loyola. Non solo i gesuiti contribuirono ad arrestare il diffondersi del protestantesimo nell’Europa centrale, ma già durante la vita di Ignazio intrapresero anche un’intensa attività missionaria noi paesi poco scoperti. Ignazio vene in italia e da Paolo III ottenne l’approvazione della compagnia di Gesù da lui fondata nel 1537. Come il nome di compagnia già rivela, Ignazio pensò il nuovo ordine come una milizia a servizio di Dio e della chiesa e ad essa impose la regola di una disciplina assoluta in obbedienza al padre generale della compagnia eletto a vita dai rappresentanti dei membri della compagnia stessa. L’intera compagnia doveva questa stessa obbedienza al Papa, in quanto capo della chiesa. L’obbedienza assoluta al capo della chiesa era un terzo vuoto che si aggiungeva a quelli di castità e di povertà. Il successo della compagnia fu clamoroso. Alla fine del 500 in Europa si articolava in 500 case e collegi. La particolare cura e il lungo tirocinio con cui i gesuiti era preparati al loro compito, secondo le linee degli esercizi spirituali di Ignazio, garantiva un non comune livello di qualità dell’ordine, soprattutto nel campo dell’educazione e dell’apostolato. In breve tempo le loro scuole divennero le preferite dei giovani delle classi più agiate è più alte. Il loro sistema di studio prevedeva di base il latino e lo studio dei classici, una severa disciplina nel comportamento, un’emulazione che spronasse le capacità e lo spirito di iniziativa degli alunni. Questo ruolo nella formazione scolastica delle classi dirigenti, facilitò la scelta sempre più frequente dei gesuiti come confessori e consiglieri di sovrani e di grandi famiglie aristocratiche e borghesi. Consentendo all’ordine di svolgere una funzione sempre più importante anche nella vita politica e sociale. Furono la punta di diamante della controffensiva cattolica. Non meno importante fu la parte dei gesuiti nell’apostolato, specialmente nella loro attività missionaria, che si svolse, sia nelle terre del nuovo mondo Americano, che in Asia (in particolare Il fattore principale era stato quello ereditario. Il sovrano, nato a Gand nel 1500, era figlio di Filippo d’Asburgo detto il Bello, e di Giovanna d’Aragona detta la Pazza. Il padre Filippo era figlio a sua volta dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo e di Maria di Borgogna. Mentre Giovanna d’Aragona era figlia di Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia. Il caso aveva voluto che Maria rimanesse unica erede dei duchi di Borgogna, essendo il padre morto nel 1477 combattendo contro gli svizzeri. Un caso ancora più fortuito aveva voluto che morisse l’unico figlio maschio dei re cattolici, sicché Giovanna d’Aragona si trovò unica erede delle due corone dei suoi genitori. A Giovanna d’Aragona a causa delle sue condizioni, non era permesso di sostenere il peso di qualsiasi responsabilità pubblica. Quando nel 1504, morì la madre Isabella, potè succedere a lei al trono di Castiglia, solo perché fu il marito Filippo a reggere il governo del paese contro la volontà del padre Ferdinando il cattolico. Ferdinando, morto Filippo, in nome della filia, aveva governato anche la Castiglia oltre che Aragona. Deceduto anche Ferdinando, Carlo venne associato alla madre Giovanna come re di Castiglia e d’Aragona. Carlo era succeduto al padre Filippo per il governo dei territori borgognoni. Era stato educato nello spirito della brillante ed eletto civiltà borgognona che congiungeva gli ultimi valori del medioevo, cavalleresco e aristocratico con le raffinatezze umanistiche e il vigoroso classicismo del Rinascimento. Il nonno Ferdinando d’Aragona avrebbe voluto evitare una successione asburgico-borgognona sui due troni spagnoli e avrebbe voluto che tal successione spettasse al fratello minore di Carlo, ossia Ferdinando d’Asburgo, che egli aveva fatto venire presso di lui e aveva educato alla spagnola. Nel 1516 il governo di Bruxelles era riuscito ad associare Carlo alla madre, con il pretesto dell’inabilità di quest’ultima. Non erano mancate le difficoltà al nuovo sovrano, soprattutto perché con lui giunsero in Spagna i suoi consiglieri fiamminghi che fecero grande incetta di cariche e benefici di grande importanza. Nel 1519 morì l’altro nonno Massimiliano I, Carlo gli succede nella corona del sacro romano impero. I Spagna si diffuse la preoccupazione di pretese dell’impero sui reami spagnoli. Il disagio ispanico esplose nella grande rivolta dei comuneros, esasperati anche dall’esagerata pressione fiscale del nuovo governo. La rivolta, guidata dal ceto medio, puntò al ristabilimento delle autonomie cittadine contro l’accentramento regio e la preminenza feudale ma fu del tutto schiacciata. Carlo, tronato nel 1522 dalla Germania, ebbe la prima percezioni del problema che gli poneva i suoi domini spagnoli. Nella sue mani si erano riunite 4 sedie di corone: quella Borgogna che metteva nelle sue mani i Paesi Bassi, cioè la regione più avanzata d’Europa dopo l’Italia centro-settentrionale; i domini asburgici ereditari, con la corona imperiale; la corona di Castiglia, che grazie alla spedizione di Colombo finanziata da Isabella di Castiglia, aveva esteso il suo dominio sui territori americani, dalle quali provenivano enormi risorse di minerali preziosi; infine la corona d’Aragona, comprendente i territori della Sicilia, Sardegna e Napoli. Per Carlo V, Erasmo aveva composto nel 1516 il trattato sul educazione del principe cristiano in cui, quasi a contrasto del “principe” di Machiavelli si affermava l’irrinunciabile connessione tra morale e politica. Il suo precettore fu Adriaan Florenszoon, che divenne poi Papa Adriano VI. Adriano partecipava alla religiosità innovatrice ispirata al pensiero di Erasmo e contribuì fortemente a radicare nel suo allievo il senso cristiano della vita. Nella sua cancelleria era venuto Mercurino Arborio di Gattinara, che fondeva idee dantesco- medievali e umanistico-erasmiane nella concezione dell’impero e della missione dell’imperatore, come guida universale della cristianità. Dagli stessi Paesi Bassi inoltre, gli derivava l’idea cavalleresca, di un’aristocrazia dell’onore e del valore anch’essa dai contorni cristiani, quale i duchi di Borgogna avevano delineato con l’istituzione dell’ordine del Toson d’oro che richiamava il mito classico di Giasone e della sua ricerca del vello d’oro. Carlo perseguì con convinzione l’ideale imperiale e si fece carico delle esigenze spagnole e in particolare della Castiglia. Carlo per evitare rivolte, allontanò il fratello dalla Spagna e lo inviò a governare i domini austriaci degli Asburgo. Carlo V sposò la principessa portoghese Elisabetta. Nel 1527 nasce l’erede Filippo. Il congresso di Bologna nel 1530 aveva segnato un evidente successo dopo la pace di Cambrai per Carlo V. Le vicende della riforma protestante in Germania davano un nuovo risalto all’imperatore. Carlo V rimase sempre fermissimo nella sua scelta cattolica, ma la necessità di salvaguardare il già debole potere imperiale, gli fece tenere una linea sempre tendente ad un accordo con i protestanti per cui appoggiò decisamente l’idea del concilio. Negli anni 30 non fu tuttavia sola la Germania ad attirare l’attenzione dell’imperatore, dopo la pace di Norimberga con i protestanti, egli sembra rimettersi fiduciosamente alla riuscita di quella conciliazione tra cattolici e protestanti alla quale lavorava. Vi fu in questo certo parallelismo con la linea della curia romana nel quale prevalevano negli stessi anni, le stesse linee di una ricerca di un accordo ad opera di cardinali come il Contarini. Il pensiero dell’imperatore si volse soprattutto alla lotta contro i turchi e alla cura die suoi maggiori domini mediterranei. Gli anni 30 furono innanzitutto gli anni della lotta contro i turchi nel mediterraneo. Nel 1535 con la conquista di Tunisi, questa lotta sembrò avviata ad un deciso successo. Se non che proprio in quell’anno riardeva la guerra con Francesco I che sospesa con la tregua di Nizza del 1538, riprese nel 42 e si concluse con la pace di Crepy nel 1544. Un’occasione per la ripresa della guerra fu data dalla completa occupazione spagnola del ducato di Milano operata da Carlo V facendo valore come imperatore, i diritti dell’impero sulla città lombarda. Una ripresa della lotta tra Carlo e Francesco era fatale sia perché si faceva via via maggiore il primato di Carlo V con la riunione di tanti titoli e paesi nelle sue mani, sia perché il re di Francia, non solo si sentiva, sempre in possesso di forze ragguardevoli ma scorgeva anche una nuova possibilità di compensare la superiorità dimostrata dall’avversario grazie alla costituzione del blocco protestante in Germania e grazie agli ulteriori progressi della potenza turca. Fu allora che si definì quella che sarebbe stata per i due secoli seguenti la linea constante della politica francese contro la potenza degli Asburgo, e cioè il ricorso da un lato, all’appoggio dei protestanti in Germania dall’altro all’intesa con i turchi alle frontiere orientali degli Asburgo e soprattutto nel mediterraneo. Francesco I stipulò con Solimano il magnifico, le capitolazioni (accordi che regolavano la posizione degli stranieri nell’impero ottomano), che sarebbero rimaste a base della forte presenza francese nel levante fino al secolo XX. La tregua di Nizza del 1538 consentì a Carlo V, oltre che di reprimere nel 1539 la rivolta di Gand, uno dei centri più potenti e prodighi dei Paesi Bassi, di rivolgere anche le sue forze contro i turchi, in alleanza con Venezia e con il Papa. L’esito di questo scontro fu però infausto. La flotta ottomana e barbaresca batté quella veneto-pontificio-spagnola alla Prèvesa, nel 1538 e assicurò una lunga prevalenza turca nel Mediterraneo. Un esito egualmente infelice sortì pure lo sforzo di Carlo V nel 1541 per conquistare Algeri e abbattere così il maggiore covo della potenza barbaresca, come aveva fatto con Tunisi nel 35. Il sovrano di Algeri, detto Barbarossa, vassallo del sultano e capo della flotta turca alla Prévesa, potè addirittura saccheggiare nel 1533 Nizza. Gli insuccessi contribuirono a far tornare le attenzioni dell’imperatore sulle questioni europee. In Italia, egli si trovava di fronte non solo dell’occupazione francese dei sabaudi e quindi anche del Piemonte, ma inoltre si trovava di fronte anche alla crisi interna di Firenze, nel 1537, prodotta dall’assassinio del duca Alessandro de’ Medici, il quale in assenza di eredi diretti, gli successe Cosimo de’ Medici, di un ramo collaterale della famiglia. A sua volta era evidente l’agitazione di papa Paolo III Farnese per assicurare un principato al suo primogenito Pierluigi. Lo stesso imperatore nel 1540, aveva deciso di assegnare il ducato di Milano al figlio Filippo, investendolo quindi, di uno degli stati italiani più importanti. La ripresa della guerra con Francesco I non portò tuttavia ad alcun risultato. Carlo V, dopo il fallimento del colloquio di Ratisbona, si era ormai orientato ad affrontare con le armi, la questione protestante in Germania. La situazione era diversa rispetto dieci anni prima dato il consolidamento protestante. Con uno sguardo retrospettivo, gli anni 30 possono apparire anni perduti ai fini della lotta al protestantesimo, sia per l’impero che per la chiesa. Intorno al 1540, Carlo V non era più sulle posizioni culturali ed ideologiche che ne sorreggevano l’azione imperiale. Certamente si era consolidata in lui la convenzione del dovere dell’imperatore di conservare e garantire l’unità religiosa della cristianità, attorno alla chiesa di Roma, ma le influenze sia medievali, sia umanistiche sembrano ormai ridotte; sembra farsi strada l’idea più semplice di una forte ripresa dell’autorità imperiale in Germania all’insegna della missione cattolica attribuita all’imperatore, analoga all’egemonia conseguita in Italia. Sembra farsi inoltre strada, l’idea di una maggiore integrazione tra le forze dei molti e disparati domini dell’imperatore e le forze Castigliane appunto affluirono in questo periodo in Germania. Il successo non mancò. Nella battaglia di Muhlberg del 1517, Carlo V ottenne una completa vittoria tra i principi protestanti. Nel 1548 potè imporre ad essi L’interim di Augusta, una formula dottrinaria più vicina alle posizioni cattoliche. La potenza di Carlo V sembrò allora al suo massimo ed egli pensò di avvalersene cercando di assicurare la successione al figlio Filippo anche alla corona imperiale, oltre che agli altri suoi domini. Il tentativo fallì per l’opposizione del fratello Ferdinando, appoggiato dalla loro sorella Maria, si fece riconoscere il diritto di succedere a Carlo nella loro corona dell’impero. Ferdinando era ormai una potenza autonoma non solo governava per il fratello i poteri austriaci ereditari, ma era diventato per conto proprio, re di Ungheria e di Boemia. Nel 1526, Maria, rimasta vedova del re Luigi d’Ungheria, caduto contro i turchi, aveva fatto in modo che le corone ungherese e boema, passassero al fratello Ferdinando. Nasceva così a Vienna una seconda dinastia asburgica, per nulla trascurabile, anche se allora i turchi occupavano i 5/6 dell’Ungheria. Gravi complicazioni si ebbero in Italia. A parte gravi agitazioni a Napoli, Lucca e Genova, una grave situazione di conflitto si creò con il papa Paolo III. Questi aveva deciso di staccare nel 1535, Parma e Piacenza dallo stato della chiesa e di investirne il figlio Pierluigi Farnese, con il titolo di duca. Nel 46 una congiura di nobili piacentini aveva assassinato Pierluigi, per istigazione di Ferrante Gonzaga, governatore di Milano per contro di Carlo V. Paolo III, ne concepì un odio violento per l’imperatore al quale attribuiva la responsabilità per l’assassinio del figlio e di nuovo avocò alla chiesa Parma e Piacenza, scontrandosi a sua volta con il nipote Ottavio, figlio di Pierluigi, al quale dopo la morte di Alessandro de’ Medici, era andata in sposa Margherita d’Austria, la figlia naturale di Carlo V e che voleva conservare il neocostituito ducato padano. L’interim di Augusta aveva inoltre scontentato sia i cattolici che i protestanti. Al grande trionfo di Muhleberg non ne seguirono altri. Nel 1549 Carlo V potè ancora ingrandire i Paesi Bassi, emancipare gli stessi Paesi Bassi, da ogni dipendenza feudale dal re di Franca per la loro parte meridionale e organizzarli in 17 province, formanti un tutto unico e assicurare così alla sua dinastia, l’ampliamento e l’autonomia di uno dei suoi più importanti domini. Dové proseguire la guerra contro i protestanti, con i quali il nuovo re di Francia Enrico II, succedo al padre Francesco I, stipulò un trattato che gli assicurava l’occupazione di tre città imperiale, Metz, Toul e Verdun. I cosiddetti te vescovadi, chiavi strategiche ai confini tra Francia ed impero. Nel 1552, Carlo falliva sia nell’assedio di Innsbruck che in quello di Metz. Dové allora autorizzare il fratello Ferdinando a firmare la tregua di Paussau, trasformata poi nella pace di Augusta. Con questa pace si riconosce la divisione della Germania in due confessioni cristiane: la cattolica e la protestante. I principi tedeschi decidevano la religione del loro stato e chi non lo accettava doveva emigrare. I beni ecclesiastici secolarizzati fino al 1552 venivano disconosciuti ai loro possessori e i principi stessi, e non l’impero, garantivano queste condizioni. Una pace che prendeva atto realisticamente della irreversibilità del mutamento prodottasi in Germania. Ma anche una pace gravemente lesiva sia delle posizioni cattoliche che del potere imperiale. Proseguiva inoltre la guerra contro al Francia, con l’occupazione francese dei tre vescovadi e nello stesso anno in Italia(1552), Siena si schierava contro l’imperatore e ne subiva l’assedio. Carlo V nel 1555-56 abdicò. Egli lasciò al figlio Filippo le due corone spagnole con le loro dipendenze italiane, Napoli, la Sicilia e la Sardegna e con i loro domini extra europei. Inoltre il ducato di Milano, i Paesi Bassi e la loro appendice della franca contea. Al fratello di Carlo Ferdinando, furono riconosciuti i Paesi austriaci ereditari e la corona imperiale. Toccò quindi a Filippo II, di concludere la guerra con la Francia e di affrontare in italia una nuova guerra contro papa Paolo IV che mirava a scacciare gli spagnoli da Napoli non senza grandi mire nepotistiche. Nel 1588, il re Enrico III fece assassinare Enrico di Guisa. Questo provocò che l’anno dopo i cattolici per vendetta uccidessero lo stesso Enrico III e si verificò allora la condizione per cui Enrico di Borbone poteva aspirare legittimamente al trono di Francia, la condizione cioè per cui la monarchia francese poteva diventare una monarchia protestante. Quindi dal 1560 al 89, la Francia vide totalmente eclissarsi la sua stella del firmamento di grande potenza europea e Filippo II potè avvantaggiarsi di questo nei primi anni del regno. Egli tuttavia si trovò di fronte a sua volta, a gravi difficoltà interne. La maggiore delle quali fu la rivolta dei Paesi Bassi. Questa rivolta conobbe due motivi di sollecitazione; da un lato la diffusione del protestantesimo, dall’altro l’aumento della pressione fiscale. Entrambi i motivi urtavano con i pilastri della politica di Filippo II, che da un lato proseguiva quella del padre, nella difesa rigida dell’unità cattolica, dall’altro pur avendo enormi risorse finanziarie, si trovava sempre di fronte a difficoltà finanziarie proibitive a causa dell’enormità delle spese che comportava il tenere in piedi un enorme impero. Comunque la ragione fiscale contò meno di quella religiosa. Fu resa discriminante dalla rapida diffusione del protestantesimo, già nel 1566, ci fu un’aperta rivolta anticattolica. Filippo mandò allora nei Paesi Bassi, per reprimere l’agitazione, il duca d’Alba e la repressione colpì alcuni dei maggiori esponenti della nobiltà dei Paesi Bassi, a stento sfuggi a quella sorte Guglielmo d’Orange, detto il taciturno che doveva diventare lui il capo della rivolta. In realtà al momento Guglielmo d’Orange era cattolico e infatti aderì al calvinismo solo pochi anni più tardi, ma egli appoggiava i rivoltosi, perché nella repressione operata dal re attraverso l’esercito, vedeva messe in discussione le autonomie tradizionali dei Paesi Bassi. Inoltre questa violenta azione di repressione, fece sì che i ribelli si dedicassero alla guerriglia anche sul mare e acquistassero una maggiore coscienza delle loro forze tanto che nel 1572 nominarono un loro statolder (governatore) delle province ribelli, proprio nella persona di Guglielmo d’Orange. A questo punto era chiaro l’insuccesso del duca d’Alba, Filippo II lo richiamò ma nemmeno il richiamo del duca d’Alba valse a sedare la situazione. Nel 1576 il saccheggio di Anversa ad opera delle truppe spagnole a cui non erano state corrisposte le loro paghe, provocò un’accentuazione del risentimento della popolazione dei Paesi Bassi, contro l’azione della dinastia. Se ne vide subito un effetto perché nello stesso 1576, addirittura i cattolici e i protestanti dei Paesi Bassi chiedevano al re il ritiro delle truppe spagnole e il ritorno al regime anteriore alla repressione operata dal governo. La pacificazione di Gand, tra cattolici e protestanti durò poco, ormai la divisione tra le due parti del paese era netta. La parte meridionale si avviava sempre di più a diventare la roccaforte della resistenza cattolica, mentre la parte settentrionale la roccaforte dell’espansione protestante e proprio su questa divisone religiosa del paese di fondò l’azione di Alessandro Farnese, duca di Parma, che Filippo II inviò nel paese dopo il sacco di Anversa e la pacificazione di Gand e si vide subito il frutto dell’abile azione di Alessandro Farnese che nel 1579 promosse l’unione di Arras tra le province cattoliche con il fine di difendere la fede tradizionale. Risposero i protestanti con l’unione di Utrecht, che aveva il fine di promuovere la causa protestante. Nel 1581 le 7 province settentrionali dei Paesi Bassi, riunire nell’unione di Utrecht proclamarono la decadenza della sovranità di Filippo II su di esse e si eressero in repubblica delle sette province unite. Filippo II, aveva a che fare anche con grandi problemi nella stessa Spagna. Uno di questi problemi fu il contengo della popolazione mora (musulmana), che ancora era presente in Spagna dopo la riconquista. Era cospicua, si trattava non meno di 300000 persone. Costituivano una minoranza religiosa, stridente con la maggioranza cattolica. Si ebbe una violenta azione di repressione dei Moriscos spagnoli. Quello che si temeva era che la popolazione musulmana in Spagna potesse far causa comune con i nemici esterni musulmani della corona ove se ne fosse determinata l’occasione. Per la verità proprio in quel torno di tempo una tale eventualità non sembrava affatto remota. Un campanello d’allarme fu segnato dalla conquista di Cipro da parte dei turchi (che apparteneva a Venezia). La risposta cattolica fu in una grande lega tra il Papa, Venezia e la Spagna. Quindi si formò una grande flotta e fu proprio questa flotta a sconfiggere nelle acque di Lepanto nel 1571, la flotta turco-barbaresca. Questa vittoria di Lepanto non era in sostanza risolutiva, oltretutto nel giro di qualche anno , i turchi ricostruirono la loro flotta e poi sussisteva una debolezza dell’alleanza anti turca perché Venezia aveva sempre di fronte lo scopro di ricacciare indietro i turchi dalle loro posizioni almeno dai Balcani e nell’Egeo, mentre invece la Spagna si accontentava di contenere la potenza turca. Quindi nel 1573 Venezia stipulò una pace separata con i turchi e nel 1578 anche la Spagna stipulò con i turchi non una pace ma una tregua che ebbe però una durata lunghissima. Nonostante questo è difficile non sottolineare l’importanza di Lepanto che segna una data nel gioco dell’equilibrio della potenza nel Mediterraneo e tra il mondo musulmano e quello cristiano. Esso dimostrò che ove i Turchi si fossero spinti oltre ad un determinato limite la reazione cristiana sarebbe facilmente uscita vittoriosa. Il fatto è che dopo di Lepanto la politica dei Turchi si orientò piuttosto verso le espansioni in oriente, cominciarono una serie di guerre con la Persia, ed essi sarebbero ritornati attivi nel Mediterraneo soltanto una settantina di anni dopo. Quindi la tregua del 1578 tra Spagna e Turchia aveva un fondamento reale di interesse, sia per i turchi che si rivolgevano in Oriente sia per Filippo II sempre più preoccupato dalle vicende dei Paesi Bassi e soprattutto dallo spicco sempre maggiore che l’Atlantico e le questioni della politica oceanica assumevano nel quadro della geografia politica ed economica del tempo. Si delineavano anche sviluppi impreveduti, per esempio sotto il regno di Elisabetta I, l’Inghilterra cominciava a profilarsi una rivale seria della potentissima Spagna sul mare. Cominciava proprio allora a trasformarsi da paese agricolo e pastorale a paese mercantile, marinaro, manifatturiero, come sarebbe diventato per eccellenza nei secoli seguenti. Fu in quel periodo che in Inghilterra vennero istituite varie compagnie per il commercio con i paesi lontani più importanti. Fu costituita nel 1600 la compagna delle indie orientali che si sarebbe col tempo rivelata la più importante di tutte. Furono anche incentivate le esplorazioni. Uno dei grandi marinai inglesi di questo periodo, Francis Drake, compì tra il 1577 e il 1580, la seconda circumnavigazione del globo, dopo quella di Magellano. Nel 1585 Walter Raleigh stabilì una colonia inglese a quella che in onore della regina sarebbe stata la colonia inglese chiamata “Virginia”, perché la regina Elisabetta I era denominata la Vergine regina. Inoltre le nativi inglesi si affacciavano anche nel mediterraneo mentre all’interno la regina riusciva non solo a ben controllare la chiesa di Inghilterra ma anche a tenere anche un certo equilibrio con il parlamento che era ormai un problema principale del governo interno dell’ Inghilterra. Tanto più è ammirabile il successo di Elisabetta nei suoi rapporti col parlamento in quanto nei suoi 45 anni di regno (1558-1603), ella convocò il parlamento soltanto 13 volte. In considerazione di queste cose non sorprende che intorno al 1580 la politica di Filippo II, sposti il su asse di attenzione dal mediterraneo all’Atlantico. Proprio in questi anni 80, Alessandro Farnese coglie i frutti della sua sagace politica nei Paesi Bassi, assicurando il mantenimento della corona nella parte meridionale la permanenza nella fede cattolica, anche se l’assassinio di Guglielmo d’Orange nel 1584, non ebbe gli effetti che ci si attendeva da esso, anche perché il suo posto venne subito occupato dal figlio Maurizio mentre lo slancio dello stesso Farnese andava un po’ esaurendosi un po’ dinanzi all’altrettanto sagace resistenza dei ribelli protestanti i quali a loro volta proprio nel breve giro di pochi anni andavano trasformando le province unite, in particolare l’Olanda in una grande potenza marinara ed economica. Proprio nel 1580 inoltre, vi fu una grande affermazione di Filippo II, e fu la rivendicazione della corona portoghese, quando si estinse la dinastia del Portogallo e Filippo potè far valere i suoi diritti a quel trono. Fu appunto in quegli stessi anni 80 che Filippo II iniziò a rivolgersi in Inghilterra con una particolare attenzione, attenzione coagulata poi da una condanna a morte di Maria Stuart, già regia di Scozia, condannata da Elisabetta di Inghilterra e fu un evento ritenuto scandaloso e crudele da parte di tutta l’opinione cattolica europea e fu questo un po’ a sollecitare l’azione del re di Spagna contro l’Inghilterra. Azione che si concretò nell’allestimento di una grande flotta la “invincibile armata”, che avrebbe dovuto raggiungere le coste inglese, sbarcarvi un esercito ed iniziare la guerra all’Inghilterra. Ci furono però terribili tempeste e l’audace azione delle piccole ma più abili navi inglesi rispetto alle pesanti anche se più potenti navi spagnole, fecero in modo che l’invincibile armata si concludesse con un grande disastro. Nello stesso tempo non riusciva neanche un’azione dell’esercito spagnolo su Parigi nella fase culminate delle guerra di religione in Francia. Per giunta nel 1591, il re dovette affrontare anche una grave crisi in Aragona e dovette condurre un’azione di repressione anche nel suo stesso paese, ossia in Spagna. Mentre Maurizio d’Orange riusciva a riprendere nei Paesi Bassi anche una parte delle città che Alessandro Farnese aveva recuperato alla corona. Fu un momento questo di particolare difficoltà della politica di Filippo II, dalla quale egli uscì verso il 1590/92, in contemporanea con la fase conclusiva delle guerre di religione in Francia. Nel 1589 ci fu il diritto di Enrico di Borbone al trono francese, la difficoltà era costituita dalla fede protestante di Enrico che però nel 1593, per la seconda volta, abiurò alla sua fede protestante e quindi 94, potè entrare in. Parigi e porre fine alle guerre di religione e ristabilire l’autorità della monarchia francese nel paese. Di fronte a questo stabilizzarsi di questa posizione interna della Francia, che consentiva a quel paese un ritorno alla politica di grande potenza si avviò un processo di riflessione politica dall’una e dall’altra parte che si concluse nel 98 con la stipulazione della pace di Vervins tra Spagna e Francia. Nello stesso anno Enrico IV promulgò l’editto di Nantes, con il quale si rinnovava ai protestanti la vecchia concessione dell’esercizio del loro culto fuori delle città e si aggiungeva l’assegnazione ai protestanti di ben un centinaio di piazzeforti. Ancora nel 1598, poco dopo la pace di Vervins, moriva anche Filippo II. Il bilancio del suo regno non è facile. Al passivo va messo in evidenza l’allontanamento della parte settentrionale dei Paesi Bassi dalla sovranità spagnola, che per giunta si tradusse con la crescita di uno dei grandi rivali della Spagna, segnando la nascita dell’Olanda moderna. Inoltre ha scritto l’insuccesso totale nell’interferenza delle guerre di religione in Francia, sia l’insuccesso toltale tentativo di contenere, l’espansione e il consolidamento della nascente potenza inglese. Si aggiunga che a Filippo II sono stati assegnati tradizionalmente i tratti di un sovrano autoritario, nemico della libertà e della libera espressione delle energie umane. Si può anche sottolineare che è proprio con Filippo secondo che comincia la decadenza della Spagna e tuttavia non si può disconoscere la serie di successi del re, in primo luogo l’unione della corona portoghese a quella spagnola, in secondo luogo l’esercizio del primato spagnolo in Europa. LEZIONE 7 La lotta delle grandi potenze e la formazione del sistema degli stati europei tra la fine del 400 e o primi anni del 500,si accompagnano a profondi mutamenti nella struttura e nell’organizzazione degli stati europei. I compiti dei poteri politici allora sulla scena, ponevano agli apparati pubblici responsabilità inedite e nuove. Si può affermare che la politica di potenza degli stati europei è stata uno dei fattori di accelerazione della trasformazione strutturale dello stato. In ogni caso si trattava di uno sviluppo già in corso da tempo. Non è uno sviluppo che si avvia solo in coincidenza con questa fase della politica di potenza degli stati europei. È anche un processo di cui vediamo chiaramente il significato nel rafforzamento dei poteri centrali dello stato a detrimento delle forze particolaristiche e locali. Tra queste forze particolaristiche e locali si indica la feudalità, che storicamente era l’antagonista massima della monarchia, ma anche corporazioni, centri ecclesiastici, realtà territoriali e provinciali varie, organismi giuridici e sociali di più vario tipo che formavano un groviglio quasi insuperabile, di grave impaccio alla esplicazione dell’azione del potere sovrano. Dall’altra però questo groviglio, da un lato ostacolava il potere sovrano, dall’altro determinava una conflittualità permanente tra questi stessi poteri locali settoriali e faceva sentire vivissima l’esigenza di un potere che assicurasse ordine, tranquillità, normalità, credibilità alla vita sociale oltre che efficenza della vita sociale. L’affermazione del potere sovrano non dipende soltanto dalla sua rete di alleanze, la crescita del potere sovrano è parallela alla crescita di una società più moderna, più differenziata, più progredita nelle sue basi tecniche ed economiche e con nuove esigenze morali e normative. Questa è la società europea come appariva ristrutturata una volta uscita dalla grande crisi iniziata a metà del 300 ed entrata dagli ultimi anni del 400 in una nuova fase di espansione materiale. Una fase che quindi accresceva il bisogno di una razionalizzazione di potenziamento delle strutture pubbliche. Naturalmente, struttura del potere- struttura sociale, questa equazione è imprescindibile e quindi questa affermazione dello stato moderno corrisponde ad anche una evoluzione della società. La formazione di classi che forniscono al re i quadri e le competenze necessarie alla sua politica, amministratori, intellettuali, finanzieri, giuristi, tecnici di vari rami della vita civile e militare sono reclutati in gran numero, per una struttura statale in costante espansione e le necessità che portano a questa espansione della burocrazia sono talmente evidenti che neppure vale la pena sottolinearle. D’altra parte le fortune e i redditi che gli impieghi pubblici possono assicurare nei loro detentori appaiono allettanti. Sono uno delle principali vie di affermazione sociale, favorita anche da quella confusione di poteri e di competenza propria dell’amministrazione dello stato moderno nella sua prima fase. La convenienza delle carriere pubbliche e il prestigio che esse conferiscono rendendo possibile al potere sovrano di trasformare gli uffici in un profitto finanziario attraverso l’incremento dell’amministrazione statale. Proseguendo una pratica non nuova, gli uffici statali sono venduti a color che vogliono acquistarli, anche con la facoltà di trasmetterli ereditariamente. La venalità degli uffici fu in tal modo una risorsa finanziaria per il sovrano che era quindi incoraggiato da questo ad aumentare il numero degli uffici per poter ricavare maggiori proventi dalla loro vendita. Fu anche una via di promozione e di consolidamento sociale per quelli che li acquistavano e fu anche un investimento reputato ed economicamente redditizio, tanto è vero che c’era sempre una gran folla di acquirenti intorno agli uffici che venivano messi in vendita. In particolare acquisirono rilievo i ceti degli alti funzionari dello stato che si videro aprire la strada non solo ai massimi organica dello stato, ma in alcuni casi anche nei consigli sovrani. In alcuni casi acquistarono grande importanza anche i ceti dei grandi mercanti e finanzieri ai quali lo stato ricorreva per l’esercizio sue necessità di finanziamento della propria politica. Il rafforzamento dei ceti dei magistrati, degli alti burocrati, dei grandi e finanziari e mercanti e dall’altro lato il declino delle fortune della nobiltà feudale. Abbiamo quindi, nella formazione di questi ceti di alti magistrati, burocrati ecc. la formazione di quella che noi intendiamo per borghesia. Dobbiamo dire che tutto ciò non toccò la struttura e il regime di privilegi su cui si reggeva la società del tempo, e quindi per quanto grande diventasse la ricchezza dei nuovi ceti borghesi, il privilegio sociale dell’aristocrazia di ceto rimase in piedi e non si trattava di un privilegio nominale ma un privilegio effettivo. Questo lo si afferma in base all’esperienza della ricostruzione storica e lo affermiamo anche perché la prova migliore id quanto in piedi restasse i regime di privilegio ci è dato proprio dalle fortune dei nuovi ceti borghesi, i quali hanno come loro massima aspirazione la promozione alla condizione nobiliare, l’ingresso nei ranghi della nobiltà. Coloro che entravano nel ceto della nobiltà si procuravano un’affermazione sociale concreta che non era solo un’affermazione di rango e di prestigio ma era un’affermazione concreta di vantaggi materiali e di vantaggi sociali concreti. Solo nel limite di questa considerazione generale che possiamo tuttavia affermare che la nobiltà di toga, (i magistrati, funzionari, burocrati ecc.), riuscì a condizionare il potere del sovrano molto più di quanto non vi fosse riuscita la nobiltà di sangue e di spada. Lo vediamo proprio in Francia dove alla metà del 600, ci sono due rivolte contro il potere sovrano, la fronda parlamentare e la fronda aristocratica, parlamentare perché in Francia c’era il parlamento costituito dagli stati generali e tuttavia le due fronde furono egualmente represse. Ma quella parlamentare riuscì a condizionare quella sovrano in maniera diversa da quella aristocratica. MODELLI STATO MODERNO EUROPEO Il primo modello fu quello rappresentato dalla monarchia francese, in particolare sotto il regno di Luigi XIV, che giunse addirittura all’impianto di una nuova amministrazione del territorio, con la nomina degli intendenti che scavalcavano i governatori tradizionali delle province, però i governatori erano legati alla parte di rappresentanza formale del potere mentre gli intendenti, erano il canale diretto dell’esplicazione della volontà del re e quindi anche il canale diretto dell’esercizio del potere da parte del re. Un re singolare di grand personalità, che impone il potere regio e la massima affermazione del potere regio nella Francia moderna, circondandosi del fasto della reggia di Versailles che diventa il centro dell’universo francese e con un personalismo protagonistico del sovrano, espresso anche in forma pittoresca, dall’appellativo di “re sole”, che gli fu subito conferito nei primi anni dell’esercizio personale della sua autorità e da frasi e detti che gli vengono attribuiti come “lo stato sono io”. Nel caso della Francia quindi vediamo un protagonismo della monarchia e una capacità direttiva della monarchia nei confronti della società che sono particolarmente evidenti. Diverso è il modello spagnolo della monarchia presente. Non perché non vi sia un eguale affermazione assolutistica ma per altre ragioni. Innanzitutto per il ruolo che nella monarchia spagnola prende la figura del “valìdo”, sicché dopo Filippo II, è raro l’esercizio diretto , personalmente del potere sovrano da parte del re. Però la monarchia spagnola dispone effettivamente di grandi strumenti. Le grandi risorse finanziarie assicurate dalle colonie americane, la capacità di aggregare il consenso del paese, in particolare attraverso i grandi ordini cavallereschi (soprattutto di Calatrava, di Santiago e di Alcàntara). La monarchia spagnola aveva inoltre a sua disposizione l’inquisizione spagnola, usata anche come polizia politica e infine una particolarità del governo spagnolo era quella dei consigli, che erano competenza riunite e affidate ai vari consigli della monarchia. Il cuore del sistema era nel consiglio di stato e nella persona del re e del Valìdo. Un modello del tutto diverso è quello inglese. Il modello inglese è caratterizzato dall’equilibrio che si crea tra il parlamento e il sovrano. Elisabetta stette attenta a garantire questo equilibrio. Questo equilibrio si ruppe sotto Carlo I Stuart, tra il 1628-29, questo sovrano addirittura sciolse il parlamento dopo la seduta del 2 marzo 1629 e non lo convocò più fino al 1640. Per scioglierlo di nuovo nello stesso 1640,dove il conflitto tra re e parlamento raggiunse l’acme e portò ad una lunga guerra civile e a quello che fu detto “lungo parlamento”, perché la guerra civile fu sostenuta soprattutto da questo parlamento che resisteva al re. L’esito della guerra civile fu nettamente sfavorevole al sovrano, anzi neo 1649, Carlo I, per la prima volta in un’Europa, venne decapitato, l’Inghilterra si trasforma in repubblica e lo stato inglese assume il nome di Commonwealth” e si impone la grande personalità di Oliviero Cromwell che diventa il protettore del Commonwealth. Nel 1660 fu richiamata monarchia, ascese al trono Carlo II Stuart, per breve tempo perché nel 1688, di nuovo vi fu un’accentuazione del conflitto tra la monarchia e il parlamento. Si concluse con la cacciata della dinastia degli Stuart e la successione a Maria Stuart (un ramo cadetto), e di suo marito Guglielmo d’Orange, un principe olandese. Si ebbe un assestamento del regime parlamentare inglese, sancito nel 1689 dalla dichiarazione dei diritti. LEZIONE 8 Nella metà del 400 si può già notare in Europa una forte ripresa dalla lunghissima crisi dell’economia europea che aveva colpito il continente alla metà del 300. Nel 500 questo movimento di ripresa economica assume un carattere molto più generale è più intenso e rapido. Si calcola ad esempio che tra la metà del 400 e gli inizi del 600, la popolazione europea si è nel complesso raddoppiata, passando da 50/55 milioni di abitanti a più di 100 milioni di abitanti. Il periodo maggiore di crescita è quello dei decenni centrali del 500, quelli tra il 1530 e il 1570/80. In alcune aree la crescita fu particolarmente intensa ma nell’insieme poche furono però le variazioni nei rapporti fra la popolazione nelle varie parti del continente. Un dato più importante è costituito dal fatto che la massima parte della popolazione europea continuò a vivere nelle campagne. Solo in qualche regione, in cui le città avevano una più lunga e forte tradizione, la popolazione rurale scendeva al di sotto del 70 %. Così accadeva per esempio nell’Italia padana e toscana, ma quasi ovunque la stessa popolazione rurale superava addirittura l’80% della popolazione totale e in molte regioni addirittura il 90%, specialmente nell’Europa Orientale e come non cambiò il carattere rurale della popolazione, così non cambiò nemmeno la durata media della vita e non vi furono sostanziali miglioramenti tra i livelli dell’epoca precedente alla grande crisi del 300, quando la durata media della vita, di rado supera i quarant’anni. Sulla durata media della vita, incideva fortemente la mortalità infantile: 1/3 dei bambini periva entro il primo anno di vita, un altro terzo era a forte rischio di non superare il primo decennio di vita, e alto era pure sempre l’esposizione delle donne alla morte per il parto a causa delle condizioni igieniche e sanitarie. Tutto ciò significa qualcosa di importante. Significa che la grande crescita demografica del 500, non fu una rivoluzione demografica, fu soltanto una delle grandi oscillazioni plurisecolari a cui l’umanità era abituata da sempre. Nei periodi di espansione vi era una crescita anche rilevante, poi si raggiungeva un massimo al cui livello non si era più in grado di far fronte alle necessità alimentari della popolazione e gli inconvenienti igienici e sanitari si facevano sentire fortemente. Sopravvenivano così cilci di epidemie e di carestie che si sollecitavano a vicenda, nel senso che la carestia comportava l’epidemia e l’epidemia comportava la carestia. Una popolazione indebolita dalla scarsezza di risorse alimentari o dalle epidemie era infatti meno in grado di coltivare la terra o di lavorare per produrre. L’abbassamento della produzione provocava una minore disponibilità alimentare e una maggiore esposizione a malattie e a vari rischi sanitari e questo determinava a sua volta, una diminuzione della popolazione e una ancora minore capacità produttiva e un’ancora minore resistenza sanitaria. Questo circolo vizioso si interrompeva soltanto quando la popolazione si abbassava fino ad una soglia sulla quale il rapporto con le risorse alimentari disponibili diventava molto vantaggioso e la popolazione residua era quella fisiologicamente più selezionata. Allora lentamente si riavviavano più o meno insieme sia il ciclo demografico, che il ciclo produttivo e si giungeva prima o poi ad una nuova crisi di saturazione demografica. In generale questi grandissimi cicli nel loro ritmo prima di espansione e poi di contrazione, duravano tre o quattro secoli, ma non erano escluse durate più lunghe o durate più corte. Il 500 è appunto la fase espansiva del ciclo apertosi con la ripresa della seconda metà del 400. Una fase espansiva che dura fino ai primi decenni del 600 per cui su parla di un lungo 500. Un lungo 500 vi fu nello stesso tempo anche per l’economia. Nell’economia a differenza che nella struttura demografica, vi furono novità importanti. Accanto alla ripresa demografica vi fu infatti la grande novità dell’ampliamento della navigazione e dei commerci prodotta per L’Europa, dalle scoperte geografiche che si susseguirono dalla fine del 400 in poi. Nacque allora un circuito mercantile mondiale nel cui quadro, dal punto di vista europeo, il mediterraneo venne gradualmente a perdere di importanza. Vi fu pure una innovazione produttiva, in particolare nell’agricoltura per i nuovi prodotti di origine specialmente americana che entrarono a far parte dell’economia agricola europea e potenziarono quindi il quadro produttivo di questa stessa agricoltura europea. Un’altra conseguenza importante degli stessi fenomeni, fu a sua volta il sorgere di una marina oceanica. Una marina formata da navi più grandi e più robuste delle navi mediterranee e inoltre azionate unicamente a vela. Cominciò così l’epoca di grandi velieri, che finirono con il sostituire anche nel mediterraneo la tradizione millenaria delle galee mosse a remi. Si segnò, allo stesso tempo una nuova geografia produttiva e in generale economica. Lentamente l’Inghilterra cominciò a trasformarsi da paese caratterizzato prevalentemente da floridi allevamenti ovini e dalla grande produzione di lana, in un paese manifatturiero e soprattutto mercantile e marinaro. La Francia rafforzò la sua tradizionale struttura di economia forte e pressoché autosufficiente, che migliorò ancora con l’introduzione di nuove attività, come quella della seta che dalla fine del 500 in poi fu importata e imitata dall’Italia, tradizionale grande produttore mediterraneo in questo settore. Un secolo di prosperità economica, sempre nel 500, fu pure attraversato dalla Castiglia, i cui i grandi allevamenti ovini e le varie produzioni manifatturiere e agricole, solo dalla fine del 500 in poi cominciano a mostrare una certa decadenza. In catalogna l’andamento del secolo fu invece meno positivo che in Castiglia, mentre in generale in tutta la Spagna, l’espulsione della popolazione mora fra il 1609 e il 1613, produsse una certa flessione dell’agricoltura più intensiva a cui quella popolazione era dedita da secoli. Il commercio e le attività die paesi baltici presero anch’essi un maggiore sviluppo in correlazione con la spinta e il sorgere di un grande commercio atlantico diede alle ragioni atlantiche dell’Europa settentrionale, tra le quali lo spicco particolare acquistarono le provincie unite, ossia l’Olanda, che tra il 500 e il 600 superarono nettamente le province meridionali dei Paesi Bassi, corrispondenti più o meno all’attuale Belgio, fino ad allora maggiore centro dell’economia Europea , insieme all’Italia settentrionale. Ogni civiltà ha il suo secolo d’oro: per l’antica Grecia l’età di Pericle, per l’antica Roma l’età augustea, per l’Italia il Rinascimento, per la Spagna il siglo de oro è appunto quello che investe il 500 e buona parte del 600. Basti pensare a Cervantes o a Velazquez. Effettivamente la Spagna rivelò in questo periodo una grande capacità organizzativa dell’enorme impero su cui regnavano i suoi re, fu definitivamente affermato sotto Filippo II, e avremmo modo poi di vedere che questa sistemazione conseguì sostanzialmente poi i suoi risultati. Diverso poi è il discorso per l’Italia, dove la crisi economica del 600, corrisponde effettivamente anche ad un indebolimento della sua vita civile e della sua partecipazione al movimento della società e della cultura europea. Era un’Italia dominata gran parte dalla Spagna, quasi la metà dell’Italia apparteneva alla Spagna che vi possedeva Milano, Napoli, la Sicilia, la Sardegna, una serie di piazzeforti sulla costa toscana, che assicuravano le comunicazioni tra sud e nord della penisola. Per consolidare questa comunicazione, nel 1598 gli spagnoli acquistarono il marchesato di Finale sulla costa ligure. Ma l’egemonia spagnola in Italia non si limitava ai domini diretti della Spagna. Altri stati italiani dipendevano in effetti alquanto strettamente dal sovrano di Madrid, dal condizionamento spagnolo. Così i ducati padani, di Ferrara, di Parma, di Mantova, le repubbliche di Lucca e di Genova e anche Savoia e Firenze. In realtà solo Roma e Venezia, rimasero ad una condizione di vera autonomia politica. Venezia non riuscì né a modernizzare sufficientemente il suo regime e la struttura del suo dominio di terraferma né a difendere con reale successo la perdita dei suoi possedimento d’oltre mare contro i turchi. Malgrado molte pagine di rilievo che i veneziani scrissero ancora nella storia del mediterraneo dopo Lepanto. Roma, ossia il papato, assunse una sua fisionomia di indipendenza che si mostrò in particolare nel poggio dato da Clemente VIII ad Enrico IV, di conservare, mediante la conversione del sovrano francese, il trono di Francia, in condizione di potenza tale da bilanciare la strapotenza spagnola. Lo stesso Clemente VIII nel 1598, essendosi estinta la linea legittima della case d’Este, rivendicò al papato a Ferrara, un feudo pontificio a Ferrara di cui gli estensi erano stati investiti. Ferrara passò allo stato della chiesa e all’ultimo erede legittimo Cesare d’Este, fu lasciata Modena. Nonostante l’egemonia spagnola, almeno nell’epoca di Filippo II, ossia nella metà del 500, negli stati italiani non mancò un certo dinamismo. Quella che noi siamo soliti chiamare “decadenza italiana”, si avverte per tutto il 500, come una perdita di importanza politica nel quadro europeo e mediterraneo e come assoggettamento ad un’egemonia straniera. In ogni caso la vita culturale e artistica proseguirono il periodo rinascimentale (estate di San Martino per l’economia italiana). E questo slancio rinascimentale si avverte nelle sue più tardi ondate anche per tutto il 600. Benché con contorni e forme diverse che nel rinascimento e soprattutto in forme che nella metà del 500 appaiono sempre più influenzati dalla controriforma. Il duca di Firenze Cosimo I de’ Medici riuscì ad ottenute nel 1569 dal papa il titolo di granduca di Toscana. Ma furono soprattutto i Savoia ad assumere le iniziative più importanti, trasportando la capitale dei domini sabaudi da chambery in Savoia a Torino in Piemonte e quindi dando una prospettiva italiana della loro potenza, delineando quella politica di oscillazione tra le maggiori potenze Europee e le maggiori potenze presenti in Italia che per allora ebbe scarsissimi risultati, data a straordinaria preponderanza spagnola ma rimase poi la politica tradizionale dei Savoia, li avrebbe guidati ad essere poi nella seconda metà del 800 re d’Italia. Nella stessa epoca di Filippo II, la Germania visse nell’equilibrio determinato dalla pace di Augusta nel 1555. I principi germanici rafforzarono il loro potere. All’ombra di tale condizione la controriforma tridentina vi fu applicata con grande energia e conseguì grandi successi. Gli imperi succeduti a Ferdinando I, cioè Massimiliano II e Rodolfo II, oltre che a rafforzare i domini della casa d’Austria, e a mantenere stretti i rapporti con i loro cugini di Madrid, dovettero badare soprattutto a combattere la pressione turca in Ungheria. Disegnarono inoltre un nuovo indirizzo premendo a loro volta su Venezia e suscitando contro di essa l’iniziativa delle popolazioni slave del litorale dalmata e del suo interno, come avvenne in particolare per i pirati croati che tennero molto agitata venezia in quel periodo. Nell’Europa orientale la Polonia, alla cui corona dal 1386 si era unita la corona di Lituania, raggiunse nel corso del 500 il culmine delle sue fortune. Il re non era ereditario ma era elettivo. All’estinguersi della dinastia degli Jagelloni, si ebbe un’accentuazione del potere della nobiltà a cui era affidata l’ammissione del re e la gestione dello stato. Il parlamento, dominato dalla grande nobiltà terriera, aveva ottenuto nel 1502 il potere legislativo. Nel 1572 ottenne di essere convocato ogni due anni e di affiancare il re con un consiglio di senatori e da allora in poi, la struttura dello stato prese ad indebolire fortemente. Soprattutto con la condizione dell’unanimità richiesta nel parlamento per tutte le questioni, a cominciare dall’elezione del re. Mentre in Russia, con il rafforzamento dell’autorità del sovrano, lo zar, “cesare”, a rivendicazione programmatica dell’impero di Costantinopoli, rivendicata dai sovrani di Mosca, specialmente sotto Ivan IV, il terribile nel 1547/84, si andò preparando la forza che non solo in Europa orientale avrebbe fatto sentire un enorme peso, la forza degli zar, che riuscirono nel giro di un secolo, a concentrare intorno a sé un enorme potenza anche militare. LEZIONE 9 I primi anni del 600, furino caratterizzati dalla grande politica europea, dalla diffusa impressione che sotto Enrico IV, la Francia andasse rapidamente riacquistando il suo grado di grande potenza dopo l’eclissi del periodo delle guerre di religione. Con la collaborazione di un esperto e fidato ministro, Massimiliano di Béthune, duca di Sully, Enrico provvide a risanare e a migliorare lo stato interno del paese e andò anche delineando intese di principi protestanti germanici e con il duca di Savoia, per una grande azione contro la Spagna. Era questo il grande disegno di Enrico IV, in cui politica interna e politica estera si saldavano organicamente tra loro. Il rafforzamento dello stato all’interno doveva servire ad una migliore base per una grande politica estera e viceversa, una grande politica estera doveva confortare e consolidare l’autorità del sovrano all’interno. Questi sviluppi furono interrotti molto precocemente dall’assassinio di Enrico IV ucciso nel maggio 1610 da un fanatico monaco cattolico, Francesco Ravaillac, che voleva così vendicare l’offesa fatta a parare suo e di molti cattolici francesi, alla religione tradizionale della monarchia di Francia con le concessioni ai protestanti contentate nell’editto di Nantes. Maria de’Medici (la seconda regina di Francia, della stessa casa fiorentina, dopo Caterina dei Medici), come la sua predecessora della stessa casa, svolse anche lei analoghe funzioni di reggenza. Ella assunse la reggenza per il figlio Luigi XIII, ancora minorenne e la sua fu una politica di prudenza verso l’interno, con un meno energico atteggiamento del potere regio verso le forze particolaristiche, rispetto a quanto aveva fatto Enrico IV e un atteggiamento di prudenza anche verso l’estero con un atteggiamento più remissivo rispetto a quello contrario di Enrico IV, verso il tradizionale rivale spagnolo. Anche per questo, dopo gli insuccessi di Filippo II negli ultimi anni, la posizione spagnola andò riprendendosi nei primi anni del 600. Alla pace con la Francia nel 1598, tra Filippo II ed Enrico IV, si ebbe seguito la pace con l’Inghilterra e nel 1609 una tregua lunga di 12 anni con i ribelli olandesi. Sia in Castiglia che nei domini della monarchia, si tentò inoltre di migliorare la prassi di governo, regolarizzando innanzitutto la struttura della spesa pubblica che era il principale fattore di disordine delle finanze spagnole. Sotto il nuovo re Filippo III e con il suo ministro favorito, il duca di Lerma, la potenza spagnola potè quindi apparire al suo culmine. Sono proprio questi anni del 600 a dare l’impressione del culmine della potenza spagnola in Europa. Nel 1609, fu presa la grave decisione di espellere i moriscos, i circa 300000 musulmani, rimasti nel paese dopo il completamento della reconquista, che erano stati obbligati a convertirsi al cristianesimo e la cui conversione al cristianesimo appariva più che dubbia. Mentre appariva sempre da temere un loro eventuale collegamento con gli ottomani. Questa fu una perdita secca per la Spagna. Una perdita secca per la parte che i moriscos svolgevano, nella migliore agricoltura e in molte manifatture spagnole. Ma la grandezza imperiale della corona di Madrid e della corona di Lisbona (perché dal 1580 le due corone erano unite), occultava questo così come occultava altri elementi di debolezza e della crisi potenziale della grande monarchia. Quindi ci spieghiamo che proprio in questi primi decenni del 600si insistette di più al paragone tra la Spagna moderna e Roma antica e si esaltò l’impero spagnolo come maggiore di quello romano. Intorno al 1620, in coincidenza cronologica con la crisi economica di cui si è parlato nella lezione precedente, la grande politica europea entrò comunque in una fase di grande agitazione, quale non aveva più attraversato dai tempi di Carlo V, considerato che anche le guerre di Filippo II erano state piuttosto limitate territorialmente. Allo scadere della tregua del 1609, la Spagna riprese nel 1621, la guerra con i ribelli olandesi, mentre proprio nel 1621, Filippo III moriva e il figlio Filippo IV gli succedeva sul trono. In Francia nel 1617 giunto alla maggiore età, Luigi XIII, assunse personalmente il potere e ne allontanò la madre, Maria de’ Medici, il cui ministro fiorentino Concino Concini, fu eliminato e poco dopo, il nuovo re Luigi XIII, assunse come proprio ministro Armando di Plessis, duca di Richelieu, al quale nel 1622, lo stesso re, procurò la nomina a cardinale e nel 1624, l’ingresso al consiglio della corona, che gli valse l’effettiva direzione della politica francese, che tenne poi Richelieu fino alla sua morte nel 1642, con un programma di ampia affermazione del potere della monarchia all’interno e di radicale contestazione del primato spagnolo in Europa. Insomma una ripresa in grande, del disegno di Enrico IV interrotto dalla morto di questo sovrano. Già nel 1620, quando i cattolici della Valtellina che dipendevano dal cantone svizzero dei Grigioni, con l’appoggio degli spagnoli, massacrarono i protestanti locali, si parlò del “sacro macello di Valtellina”,la Francia fu pronta ad intervenire. Il disegno spagnolo di occupare la Valtellina e assicurare così un migliore passaggio oltre le alpi fallì e nel 1623 la Valtellina, tornò sotto il controllo dei Grigioni. Intanto mutamenti importanti si verificarono nell’area del baltico, con l’ascesa al trono del re Gustavo Adolfo nel 1611, anche la Svezia avviò infatti un suo grande disegno, di cui fu interprete, insieme con il re, il suo ministro. Lo stato di libertà della popolazione contadina, che faceva eccezione tra i paesi dell’Europa settentrionale e orientale, dove era generalmente diffusa la servitù della gleba, consentì al sovrano svedese, di formare, anche con un certo ricorso al costrizione obbligatoria, un esercito di tipo moderno, esercito che fu un grande fattore della sua politica, mirante a emancipare il paese dalla superiorità delle due grandi potenze baltiche, la Danimarca e la Polonia, dall’altro. E anzi a sostituire un predominio svedese a queste due potenze nello stesso mar Baltico e intanto nel 1617, in questa ottica di espansione baltica, Gustavo Adolfo, costringeva la Russia a credergli la Carelia e L’Ingria, che furono unite alla Finlandia, domino svedese già da più secoli. Nel 1621, fu poi sottratto ai polacchi, l’importante porto baltico di Riga e così il disegno Baltico svedese cominciò effettivamente a prendere forma. A sua volta, la Russia, pur costretto a cedere alla Svezia, la Carelia e l’Ingria, aveva superato nel 1613, con le elezione a zar di Michele III, iniziatore della dinastia dei Romanov, la crisi del cosiddetto periodo dei disordini e aveva fatto pace con la Polonia, a cui lasciò la regione di Smalensk, ma ne ricavò in cambio di potersi avviare ad una fase di raccoglimento e di riordinamento, che non si esplicarono soltanto nel rafforzamento interno dello stato russo, ma si esplicarono anche all’esterno e fu infatti allora che iniziò la prodigiosa marcia russa verso oriente che già era iniziata prima della metà del 500, ma che si fece molto più intesa e rapida e portò già prima della fine del 600, quindi in meno di un secolo, alla conquista della Siberia, fino al pacifico, con la nascita quindi, di quella enorme Russia, che si è conosciuta poi come una delle grandi protagoniste dell’Europa moderna. Fu tuttavia nell’Europa centrale, in Germania e per iniziativa degli Asburgo di Vienna che si ebbero i grandi sommovimenti della politica europea del 600. Dopo un lungo periodo di pace succeduto agli accordi di Augusta nel 1555, il contrasto tra cattolici e protestanti a poco a poco, assunse di nuovo in Germania, sotto il regno dell’imperatore Rodolfo II, un carattere molto acceso. Questo non accadeva solo per il vivissimo sentimento cattolico dell’opera stesso imperatore Rodolfo II, in realtà nel periodo del suo regno, si urtarono tra loro l’ultima ondata espansiva, di un protestantesimo ancora in fase ascendente, specialmente nella sua versione calvinista, e l’ormai matura versione della controffensiva cattolica. Abbiamo già del resto accennato che questa seconda metà del 500, segna già una ripresa cattolica in grande stile. La stessa Svezia sembrò prenderne atto e sembrò che a sua volta si disponesse alla pace. L’intervento spagnolo era stato determinante. Esso sembrava dare ragione al conte di Olivares, ministro di Filippo IV fin dal suo avvento al trono nel 1621. Olivares aveva un’ampia idea della potenza spagnola e del potere del re. Il suo governo si aprì all’insegna della lotto contro il lusso e la corruzione dell’amministrazione a tutti i livelli del potere, mirando contemporaneamente da un lato al risanamento delle finanza della monarchia e dall’altro all’affermazione centrale del re e del suo governo contro i particolarismi e le resistenze della monarchia stessa e contro i poteri che ad essa di opponevano. Appariva impossibile ad Olivares, che una monarchia così grande e con tante risorse come quella spagnola, non riuscisse a mobilitare queste enormi sue risorse in misura sufficiente ad acquistare quella completa egemonia europea che era sfuggita a Carlo V e a Filippo II. Nel 1626 Olivares aveva perciò presentato a Filippo IV un progetto di Union de las Armas dell monarchia, mirante a costituire un grande esercito spagnolo puramente di 140000 uomini al quale contribuissero in proporzione tutti i domini della monarchia e non più soprattutto la Castiglia com’era accaduto fino ad allora. Era quello di Olivares, ancora una volta, un grande disegno assolutistico, centralistico, imperiale che non per caso scaturiva da un tipico esponente dell’alta nobiltà castigliana, ossia della classe più legata al trono spagnolo e alla potenza della monarchia, I successi ottenuti dalle due corone asburgiche di Madrid e di Vienna e la temuta accessione della Svezia alla pace, spinsero però il Richelieu nel 1635, all’aperto intervento francese nel grande conflitto in corso fin dal 1618 del quale si avvia allora la quarta ed ultima fase, la fase francese. Per qualche anno, Spagna ed Austria tennero bene il campo e ancora nel 1638, gli spagnoli vinsero gli spagnoli a Corbie. Il fronte avversario, Francia, Svezia, province unite, principi protestanti della Germania, era formidabile. La mobilitazione imperiale tentata dall’Olivares, non solo non conseguì i suoi effetti, ma suscitò una reazione fortissima, sia nel suo aspetto fiscale, sia nel suo aspetto centralistico e castigliano. Per cui nel 1640 Portogallo e Catalogna insorsero contro Madrid aprendo una falla gravissima nel sistema imperiale spagnolo. Già nel 1639, la flotta olandese aveva annientato quella spagnola nella battaglia delle dune. Nel 1642 si spense il cardinale di Richelieu ma non si spensero gli effetti della grande opera di governo da lui svolta e che fu continuata dal un “allievo”, cioè il cardinale Mazzarino, il nuovo ministro francese. Una svolta decisiva fu poi segnata dalla disastrosa sconfitta degli spagnoli nella battaglia di Rocroi nel 1643, ad opera dei francesi. Battaglia che concluse la lunga fase di preminenza delle armi spagnola, apertasi con Ferdinando il cattolico e con Carlo V. Filippo IV licenziò allora Olivares e insieme con Ferdinando III, succeduto a Ferdinando II, avviò i negoziato che portarono nel 1638 alle paci di Vesfalia. Nel 1637 alle rivolte del Portogallo e della catalogna si unirono le rivolte di Palermo e quella molto più grave di Napoli. Si giunse così a queste paci. Paci, perché esse furono segnati in due località diverse. Per separare le paci dai paesi protestanti ai paesi cattolici. Ci fu un riconoscimento dell’indipendenza olandese e il passaggio dei tre vescovati (Metz, Toul e Verdun) alla Francia, varie zone della Germania settentrionale e del baltico alla Svezia, la Pomerania orientale al Brandeburgo, che cominciò così a delinearsi come la più forte potenza della Germania settentrionale, l’indipendenza dei principi tedeschi di pace, di guerra o alleanze senza il consenso dell’impero. Rimasero soltanto aperte la guerra tra Francia e Spagna e la questione delle rivolte di Catalogna e Portogallo, quella di Napoli era stata domata nel 1648. Nel 1652 sottomisero anche la Catalogna e fecero poi pace nel 1659 con la Francia e con l’Inghilterra che si era associata alla Francia. La Francia ottenne Rossiglione e Artois e l’Inghilterra ottenne Dunkerque e la Giamaica. Poi la Spagna riconobbe anche la potenza portoghese e si spensero così gli ultimi effetti del lungo periodo della guerra dei trent’anni. LEZIONE 10 La prima metà del 600 è stata occupata dalle figure di grandi ministri, come Olivares in Spagna, Richelieu e Mazzarino in Francia ecc. È sembra che questi ministri abbiano relegato in secondo piano le figure die sovrani dei quali solo qualcuno, come Gustavo Adolfo di Svezia e l’imperatore Ferdinando II, sembra assumere il rilievo che nell’età precedente avevano avuto, Filippo II, Elisabetta d’Inghilterra, Enrico IV di Francia. Indubbiamente anche nella seconda metà del 600 noi troviamo grandi figure di statisti e di ministri. Però è altrettanto indubbio che la scena europea è occupata nella seconda metà del secolo, dalla personalità di un grande sovrano, dal quale prende nome il secolo stesso, cioè Luigi XIV, del quale abbiamo visto la linea accentratrice all’intero del paese ma dobbiamo ora trattarne la politica di grande protagonista europeo per oltre mezzo secolo. Egli alla morte di Mazzarino nel 1661, assunse personalmente il governo della Francia e lo tenne con mano salda fino alla sua morte fino al 1715. Il quadro europeo nel quale Luigi XIV si trovò ad operare era il quadro venuto fuori dalla guerra dei trent’anni e dai suoi strascichi. Il primato spagnolo in Europa era finito, l’Olanda si era affermata, non solo come paese indipendente dopo la lunga a lotta contro la Spagna, ma anche come grande potenza imperiale, marittima e mercantile. Sulla stessa stessa strada si era ormai posta l’Inghilterra che però appare in questo momento ancora in seconda posizione rispetto all’Olanda. Grandi progressi ci sono però proprio per l’Inghilterra dal governo di Cromwell, al quale si deve l’atto di navigazione, con il quale nel 1651 riservava alla marina inglese il commercio di importazione nei domini britannici. L’Olanda si oppone ma viene sconfitta nella guerra che ne consegue. Con la pace di Westminster, l’Olanda accetta l’atto di navigazione che nel 1660 viene rinnovato è rafforzato. Poco dopo, nel 1665 si aprì una seconda guerra anglo-olandese per la stessa ragione e questa volta si ebbero brillanti successi olandesi, finché di giunse alla pace di Breda. Con cui ci fu una rinuncia degli inglesi ai due atti di navigazione nei confronti degli olandesi che cedono la colonia di nuova Amsterdam (New York e New Jersey). Ciò consentiva agli inglesi di riunire le loro colonie nordamericane che avevano ormai una grande consistenza. L’Inghilterra era chiaramente sulla via di sopravanzare le province unite, tuttavia la restaurazione della dinastia cattolica degli Stuart e l’opposizione alla Spagna, la trattenevano ancora a fianco della Francia. Anche se nella gara coloniale le si contrappone nettamente. Al contrario di questi paesi in fiore come l’Inghilterra e le province unite, la Germania era uscita esausta dalla terribile prova della guerra dei trent’anni che ne aveva fatto diminuire la popolazione, devastata in ampie zone, dissolto quasi tutto quello che restava del vincolo unitario del sacro romano impero con l’indipendenza quasi riconosciuta dei principi tedeschi nelle paci di Vestfalia. Nella depressione segnata dalla Germania imperiale aveva per altro preso maggiore spicco l’Austria, che ora (seconda metà 600) aveva conseguito una completa autonomia da Madrid e si era dimostrata capace di grandi sforzi militari. Solo che essa si trovava di fronte al ritorno offensivo dei turchi che fin quasi alla metà del 600 avevano impiegato le loro energie in oriente contro i persiani e ora invece si volgevano di nuovo ne Mediterraneo e nell’Europa. Nel mediterraneo iniziarono la conquista dell’isola di Creta che ancora apparteneva ai veneziani e la tolsero a Venezia dopo una lunga guerra di 25 che terminò nel 1669. Per questa ragione nella seconda metà del 600, gran parte delle energie austriache dovettero essere destinate alla lotta contro i turchi che nel 1683, giunsero ad assediare nuovamente, dopo un secolo e mezzo, (lo avevano già fatto nel 1529 e nel 1532) la stessa Vienna. Liberata, in quel frangente del 1683, grazie all’intervento della Polonia. Fu proprio nelle guerre di questo periodo contro i turchi che gli Asburgo d’Austria, guadagnarono la loro posizione definitiva di grande potenza europea. Nel Baltico invece il predominio acquisto dalla Svezia, fu rafforzato dopo che nel 1654, la regina Cristina, figlia del grande re Gustavo Adolfo e succeduta al padre, si convertì al cattolicesimo e cedette il trono al cugino Carlo X. Fu Carlo X a muovere guerra alla Polonia a favore della quale intervennero il Brandeburgo e la Danimarca. La guerra si concluse nel 1660, con la pace di Copenaghen, per cui la Danimarca perse alcune province norvegesi, e soprattutto il controllo dello stretto del Sund, cioè il passaggio dal Baltico all’atlantico e dei relativi diritti doganali che erano l’aspetto più importante della questione del controllo degli stretti. Successivamente la Polonia e la Svezia, conservarono le loro posizioni precedenti, ma il Brandeburgo ottenne un grande risultato, nel sento che i suoi domini prussiani furono esentati dal vassallaggio nei riguardi della Polonia. Quindi la Prussia cessò di essere un feudo dipendente dalla Polonia e divenne dominio autonomo degli elettori del Brandeburgo stesso. Come sappiamo dalla storia medievale, la Polonia era unita alla Lituania fin dal 1386. Essa aveva raggiunto il massimo della sua potenza sotto la dinastia degli Jagelloni, mentre nel 1569 fu anche dichiarata la fusione della corona lituana e di quella polacca, per cui non si ebbero più due stati distinti, ma un solo organismo statale. Il re tuttavia era elettivo e non ereditario, questo era fonte di gravi inconvenienti. All’estinguersi del 1572 della dinastia degli Jagelloni, si ebbe una accentuazione del potere della nobiltà, a cui era affidata l’elezione del re (ecco i gravi inconvenienti). In pratica non solo l’elezione del re era affidata alla nobiltà, ma direttamente la gestione dello stato in larghissima misura. Il parlamento polacco dominato dalla grande nobiltà terriera, aveva già ottenuto nel 1502, quindi in pieno periodo della dinastia Jagellone, il potere legislativo. Nel 1572 quando gli Jagelloni si estinsero ottenne di essere convocata ogni due anni e di affiancare il re né biennio di una convocazione e l’altra del parlamento con un consiglio di senatori. Da allora la struttura dello stato prese ad indebolirsi e la condizione della unanimità richiesta per tutte le grandi questioni a cominciare nell’elezione del re nei lavori del parlamento, accentuò l’indebolimento. Già intanto emerge in questa fase storica in Russia, con il rafforzamento dell’autorità del sovrano, il sovrano portava il titolo di zar (cesare, a rivendicazione programmatica dell’eredità dell’impero di Costantinopoli occupata dai turchi), emergeva una nuvola forza che non solo in Europa che non solo in Europa orientale avrebbe fatto sentire un enorme peso. E fu dunque in questo quadro europeo che si svolse la grande politica imperiale di Luigi XIV. Già appare finora che non si può ridurre l’azione politica di Luigi XIV, solo sotto questo aspetto bellico e diplomatico né solo al suo indirizzo assolutistico e accentratore. La verità è che oltre gli aspetti sopracitati, corrisponde una posizione non meno rilevante del re Sole per lo sviluppo materiale del suo paese. Fondamentale fu a questo riguardo, la chiamata di Jean Baptiste Colbert, alla guida delle finanze e dell’economia francese. L’economia e il commercio interno ed esterno della Francia ne furono potentemente stimolati. Fu proprio allora, sotto il governo di Luigi XIV e grazie alla sagace intuizione del Colbert, che l’economia francese si inserì con quella inglese ed olandese, nel settore avanzato dell’economia europea e acquisì un’importanza notevole anche sul piano marinaro e nell’economia e nei traffici transoceanici. La politica economica di Colbert è stata poi coinvolta nel giudizio negativo che è stato dato nel mercantilismo. (Il mercantilismo fu una politica economica che prevalse in Europa dal XVI al XVII secolo, basata sul concetto che la potenza di una nazione di accresciuta dalla prevalenza delle esportazioni sulle importazioni, in termini economici di uso comune si parla di surplus commerciale). Tuttavia che volendo fare del mercantilismo tutta la critica che si volesse, non è possibile assorbire in questa critica tutti i risultati concreti che nel caso della Francia il mercantilismo produsse, dotando il paese di grandi manifatture, in settori produttivi importanti di grandi infrastrutture con la costruzione di strade, ponti, canali, porti e di servizi che furono molto potenziati, come il servizio postale. Nonché di organizzazioni moderne, come le compagnie commerciali, costituite per le indie occidentali (che sarebbero le Americhe), costituite per l’India vera e propria, per il nord Europa e per il mediterraneo. Né si possono ignorare i controlli pubblici della qualità della produzione che allora furono introdotte che furono un altro fattore dello sviluppo economico. Anche il colonialismo francese fu pratico alla luce i questa politica economica e andò nascendo in America, nel Canada, nella Louisiana (parte dell’America così denomina dal re Luigi XIV) nelle Antille e in India. Andò sorgendo un impero che giovò non poco al consolidamento della struttura economica francese. Infine non si può trascurare l’opera del sovrano per quanto riguarda lo sviluppo delle istituzioni e della vita culturale che non furono un fattore secondario di aggregazione del grande consenso interno che il re raccolse intorno alla sua figura. Tutto ciò considerato non c’è dubbio che la grande politica europea, soprattutto , fu il campo in cui la personalità di Luigi XIV assunse, anche agli occhi dei contemporanei maggiore rilievo. A base della politica estera del re vi fu il potenziamento della struttura militare francese, con la formazione di un esercito permanente, quale non si era più visto in Europa dai tempi dell’impero romano. Questo fece la Francia la prima potenza militare del continente. l’azione del governo che nei primi anni vide dominare la reggente, per Carlo II ancora minorenne, la regina madre Maria Anna d’Austria. Nel 1669 e nel 1676 vi furono tuttavia aperte insurrezioni contro questo assetto del potere egemonizzata dalla reggente, ad opera di don Giovanni d’Austria, figlio illegittimo di Filippo IV e fratellastro di Carlo II, cosi come l’omonimo vincitore di Lepanto, il don Giovanni d’Austria di un secolo prima, era stato il fratellastro di Filippo II, essendo entrambi figli di Carlo V. I pretendenti all’eredità spagnola non erano pochi, date le molte parentele degli Asburgo e la delicatezza del problema era accresciuta dal fatto che i pretendenti maggiori maggiori e provveduti di più titoli erano da un lato la Francia e dall’altro gli Asburgo di Vienna. Più volte gli Asburgo di Madrid e i re di Francia si erano imparentati tra loro con matrimoni che avevano il fine dichiarato di consolidare la pace tra i due paesi e di rasserenare i rapporti reciproci. Luigi XIV si trovava ad essere figlio di una principessa spagnola e marito di un’altra principessa spagnola, se non lui direttamente certo i figli suoi e di Maria Teresa d’Austria potevano vantare una legittima aspettativa di succedere agli Asburgo sul trono spagnolo anche se nei patti matrimoniali tra le due case reali, era contenuta la clausola specifica di una rinuncia della corona francese ad ogni pretesa ereditaria sul torno spagnola. A loro volta gli Asburgo di Vienna, non solo vantavano i loro diritti di ramo cadetto della casa regnante in Spagna, ma anche i diritti nascenti dai molto matrimoni allacciatisi come tra Parigi e Madrid così anche tra Vienna e Madrid. Nonostante però l’indubbia consistenza dei rispettivi diritti, la pretendenza francese e quella austriaca al trono spagnolo, in sostanza si evadevano in un certo senso a vicenda, entrambe postulavano la formazione di una potenza intollerabile per tutte le altre grandi potenze europee. La Francia avrebbe unito il suo rango di prima potenza Europea a quello del rango della Spagna a quello di prima potenza mondiale coloniale, l’Austria avrebbe costituito ancora più ingrandito l’impero di Carlo V. Erano soprattutto le potenze marittime, l’Olanda e l’ormai potentissima Inghilterra ad essere contro una soluzione austro-spagnola, quanto e ancor più ad una soluzione franco-spagnola della successione spagnola. Era inoltre in gioco il destino delle vastissime colonie spagnole il cui commercio era con poche eccezioni riservato alla potenza imperiale da cui essa dipendeva cioè alla Spagna e su di esse in particolare si appuntava l’attenzione sia delle potenze marittime che della Francia, ossia dei tre Paesi Europei commercialmente più potenti. In Spagna poi si temeva che in un’unione o con la Francia o con l’Austria si sarebbe perduta l’autonomia spagnola e si sarebbe finiti per dipendere da Vienna o da Parigi. Fu anche per questa ragione che Carlo II preferì designare come suo erede il figlio Giuseppe Ferdinando del duca di Baviera. Senonché nel 1699 il piccolo principe bavarese che era anche nipote dell’imperatore Leopoldo I e quindi anche imparentato con casa d’Austria morì e fu allora che la diplomazia francese, convinse Carlo II a designare come suo erede Filippo di Borbone, secondo genito del delfino di Francia e nipote di Luigi XIV, guadagnando il sostegno dell’aristocrazia spagnola persuasa che l’appoggio della prima potenza europea avrebbe potuto assicurare stabilità e forza alla decadente potenza spagnola. Luigi XIV esitò alla morte di Carlo II, a fare accettare il testamento al nipote, ben consapevole delle reazioni europee che questo avrebbe provocato. Poi vinsero sul re sole, le considerazioni della grandezza dinastica che il nonno salutò con fervore e favore il nipote che si istallava su uno dei maggiori troni europei. Ma com’era facile prevedere ci fu una guerra di successione spagnola. Intanto egli stessi anni era a lungo divampata nell’Europa orientale balcanica. Qui si era avuto una ripresa del conflitto austro-turco, che culminò nell’assedio turco di Vienna del 1683. L’aiuto polacco valse a far svanire il pericolo turco e iniziò una grande guerra in cui gli Asburgo d’Austria ebbero a loro fianco Venezia e poterono contare su Eugenio di Savoia. Nel 1699, i turchi da questa alleanza austro-veneziana furono costretti ad accettare la pace di Carlowitz, con la quale l’Austria guadagnò l’Ungheria e la transylvania che i turchi avevano occupato fin dal 1526 e Venezia guadagnò il Peloponneso e sembrò di conseguenza rimettersi in una condizione di potenza da cui da tempo aveva decampato e poi però si rivelerà effimera ancora una volta. LEZIONE 11 Per le ragioni viste precedentemente sarebbe stato difficile evitare la guerra di successione spagnola. Dei due principali rivali, tra le potenze interessate, non solo Luigi XIV di Francia ma anche l’imperatore Leopoldo I, poteva vantare di essere figlio di una principessa spagnola e al contempo sposo di un’altra principessa spagnola. Gli Asburgo di Vienna, in quanto della stessa famiglia di quella regnante in Spagna e in quanto i patti per il matrimonio di Luigi XIV comportavano un’esplicita rinunzia ad ogni pretesa francese della corona spagnola, potevano ritenere di avere una preminenza ulteriore ma la Francia era allora ad un livello tale di potenza da non lasciar credere che in una questione decisiva per l’equilibrio non solo europeo ma anche mondiale, potesse accettare una riduzione dei diritti, che comunque la casa di Borbone, poteva vantare per la propria parentela con gli Asburgo di Spagna. L’esitazione di Luigi XIV, nell’accogliere il testamento di Carlo II a favore di suo nipote Filippo, proveniva anch’essa da un calcolo di potenza. La sua decisione positiva prova che, nonostante la battuta d’arresto segnata dalla guerra della lega d’Augusta, il re riteneva che le sue forze, appoggiate ora da quelle spagnole fossero ancora in grado di far fronte alla prevedibile coalizione che si sarebbe formata con l’avvento di Filippo V di Borbone sul trono di Spagna e il determinarsi così di più stretti rapporti tra Parigi e Madrid. Fu però proprio questo allacciamento di più stretti rapporti tra le due corti borboniche non il fatto in sé della successione di Filippo II a provocare la guerra. Giunto a Madrid agli inizi del 1701 e incoronatovi re, Filippo di Borbone fu infatti riconosciuto da tutte le potenze Europee tranne la sola Vienna, ma uno dei suoi primi provvedimenti fu l’apertura delle colonie spagnole al commercio francese, e questo spinse le potenze marittime, ossia l’Inghilterra e l’Olanda, l’Inghilterra dove Guglielmo III continuava nella sua radicale avversione a Luigi XIV e l’Olanda dove gli umori antifrancesi certo non erano calati nel frattempo, ad unirsi all’impero con la maggior parte dei principi tedeschi, tra cui l’elettore Brandeburgo, che in cambio del suo appoggio, ottenne nel 1701, il titolo di re di Prussia, quindi una parte dei suoi domini. Si ebbe così una grande alleanza stipulata all’Aia il 7 settembre 1701, ad un anno quasi dalla morte di Carlo II. La guerra cominciò sotto lieti auspici per Luigi XIV ma i successi iniziai dei francesi, ben presto si esaurirono dinanzi alla potenza finanziaria e marittima inglese ed olandese, dinanzi al costituirsi di una potente armata terrestre inglese, al comando di uno dei migliori capitani dell’epoca e alla rafforzata potenza militare austriaca che continuava sempre a poter contare sul genio militare di Eugenio di Savoia. Sconfitti sul Reno e nelle fiandre, i francesi videro gli anglo-olandesi penetrare nel 1708 nei loro territori e minacciare addirittura Parigi. Mentre gli inglesi fino al 1704 avevano occupato Gibilterra, guadagnando quindi una formidabile posizione strategica per il controllo del mediterraneo. Intanto a loro volta nel 1706/07 gli austriaci cacciano gli spagnoli dai loro domini italiani di Milano e Napoli con l’aiuto di Vittorio Amedeo II Duca di Savoia. Inoltre riportavano contro i francesi una grade vittoria a Torino e acquistavano così il controllo dell’intera penisola italiana. Inoltre gli austriaci si erano presentati nella stessa Spagna con il loro candidato al trono di Madrid, il duca Carlo, secondo genito dell’imperatore Leopoldo I e quindi fratello minore di Giuseppe I,l’imperatore succeduto al padre Leopoldo, defunto nel 1705. Filippo fu quindi accasciato da Madrid, dove nel settembre 1706, l’arciduca Carlo, fu proclamato re con il nome di Carlo III e intanto nel 1703, anche il Portogallo aveva aderito all’alleanza antifrancese, anzi si era legata all’Inghilterra, con un trattato destinato ad una lunghissima durata che praticamente portava il Portogallo nell’orbita non solo della politica ma anche del commercio e dell’economia inglese. Con la perdita dell’Italia, dei Paesi Bassi e di gran parte della Spagna e con la Francia aperta all’invasione degli eserciti nemici, le sorti francesi sembravano volgere addirittura al disastro. Luigi XIV dové rivolgere al paese un appello chiedendo il massimo appoggio per evitare alla Francia e al suo re l’onta della sconfitta e il disonore di dover abbandonare Filippo V al suo destino. Tra il 1709/1710 la situazione militare fu migliorata dai francesi fermando i nemici alle frontiere della Francia e riconquistando la Catalogna dove Carlo III aveva trovato il maggiore appoggio. Decisiva per le sorti della guerra non fu comunque l’andamento delle armi, quanto la morte nel 1711 del nuovo imperatore Giuseppe I, al quale successe il fratello che si trovava così a realizzare appieno il disegno di riunire nella casa d’Austria, l’eredità spagnola e quella asburgica. Dinanzi quindi alla prospettiva di vedere rinnovate in maniera più unitaria sotto un Carlo VI un impero già di Carlo V, le potenze marittime si raffredda no verso i loro alleati austriaci e attenuare la loro ostilità alla Francia. Prese allora definitivamente corpo l’idea di una spartizione dei domini della monarchia spagnola, ossia la soluzione alla quale erano più restii la grande nobiltà spagnola e nei loro rispettivi interessi m sia i francesi che gli austriaci. Una soluzione, quella della spartizione, alla quale le potenze marittime e alcune potenze minori guardato fin dall’inizio della questione della successione spagnola, come la soluzione che avrebbe potuto rispondere di più e meglio agli interessi diversi delle molte parti e proteggere meglio l’equilibrio Europeo. Si giunse ala pace con una serie di trattati. Filippo V fu riconosciuto come re di Spagna e alla Spagna furono conservati i domini americani a Carlo VI furono riconosciuti i Paesi Bassi e i domini italiani già della Spagna (Milano, Napoli e la Sardegna) tranne la Sicilia che passo col titolo di re ad Amedeo di Savoia, così come alcune terre lombarde. L’Inghilterra conservò non solo Gibilterra ma anche Minorca e ottenne dalla Spagna, varie facilitazioni commerciali, tra cui L’ “Asiento”,cioè il diritto alla tratta dei negri dall’Africa in America che era fonte di enormi guadagni. La Francia dovette cedere all’Inghilterra Terranova in Canada e dover riconoscere agli olandesi i diritti di tenere loro guarnigioni in alcune città dei Paesi Bassi. Una sorta di appendice della guerra di successione spagnola fu a questo punto il tentativo di Madrid di rimettere piede in Italia secondo una spinta che su Filippo V esercitava la sua seconda moglie, Elisabetta Farnese, che aveva procurato la nomina a ministro del re di un suddito Farnesiano, il cardinale Giulio Alberoni, Nel 1717 l’Alberoni promosse l’invasione della Sardegna e avviò con fortuna la riconquista della Sicilia. A quel punto però gli inglese distrussero nel 1718 la flotta spagnola in Sicilia, mentre si formava all’Aja una quadruplice alleanza, Inghilterra, Olanda, Francia ed Austria per imporre il rispetto delle paci da poco stipulate. (Contro la Spagna). Così infatti avvenne con la pace dell’Aja che Filippo V, licenziato nel 1719 dové sottoscrivere nel 1720 e vi fu tuttavia una novità importante, in quanto Vittorio Amedeo II, dové cedere agli austriaci la Sicilia, ottenendo in cambio la Sardegna. Un cambio svantaggioso per i Savoia, ma Vittorio Amedeo II non aveva certo la forza né gli appoggi necessari per opporsi. Si era intanto conclusa negli stessi anni una nuova guerra austro- turca veneziana. Grazie ai successi riportati da Eugenio di Savoia, Vienna poté guadagnare nuove importanti province, Venezia invece perse il Peloponneso che aveva guadagnato con la precedente pace di Carlowitz e vide esaurirsi quell’accenno di ritorno ad una rinvigorita condizione di potenza che allora sembrava essere stata annunciata. La potenza austriaca toccò allora il massimo, titolari della corona imperiale, padroni dei Paesi Bassi, di gran parte dell’Italia con Milano, Napoli e la Sicilia, forti della liberazione dell’Ungheria e della Transilvania dal dominio turco e dei guadagni del 1718, gli Asburgo di Vienna avevano visto più che raddoppiarsi nel giro di mezzo secolo i loro domini. Anche l’opera di governo di Carlo VI si rivelò sagace ed incisiva. Era pur sempre un coacervo di domini quello degli Asburgo di Vienna, di domini diversi ore le loro condizioni storiche, come già lo erano stati quello degli Asburgo di Madrid. Indubbiamente però Vienna riuscì a dare a questo coacervo di terre diverse una qualche maggiore coesione. Notevole fu pure la politica economica di Carlo VI che sollecitò la formazione di compagnie commerciali, lo sviluppo di varie istituzioni, il potenziamento dell’agricoltura, lo schema tipico cioè del mercantilismo che abbiamo già visto attuato in Francia, sotto il governo di Colbert. Il regno di Carlo VI fu turbato dalla preoccupazione del sovrano dello stesso Carlo VI per la propria successione e perciò troviamo che già nel 1713 Carlo VI cerca di stabilire con una programmatica sanzione, ossia con un provvedimento che da un lato dichiarava indivisibili ed inalienabili i domini asburgici e dall’altro prevedeva che nel caso si assenza di figli maschi subentrassero le femmine, stabilità da parte del sovrano una regola per il caso temuto della sua successione. Furono però sopratutto i contrasti europei a decidere quel rovesciamento delle alleanze che portò nel 1756 la Francia e l’Austria ad allearsi tra loro e i poi anche con la Russia e la Spagna, contro la Prussia, ormai ascesa con Federico Il a potenza di prim’ordine. Rovesciamento delle alleanze perché la Francia e Austria erano tradizionalmente rivali e perché le potenze marittime, Inghilterra e Olanda erano tradizionali alleate dell’Austria contro la spinta egemonica francese e invece adesso, essendo l’Austria alleata con la Francia non la possono più assecondare. Federico II fu certo messo in grande difficoltà dalla forte coalizione, e nonostante le sue doti di capo militare, attraversò momenti difficilissimi. La guerra fu tuttavia un vero trionfo per l’Inghilterra, guidata negli anni cruciali del conflitto, da William Pitt. Fu in un certo qual modo la guerra dei sette anni la prima guerra veramente mondiale della storia, essendosi combattuta in più continenti e sul mare, con grandi azioni belliche, in più parti del mondo. In Europa poi, l’alleanza tra le tre dame, com’era stata definita quella tra :l’Austria di Maria Teresa, la Russia della zarina Elisabetta e la Franca di madame di Pompadour, la favorita di Luigi XV, fu incrinata dalla morte di Elisabetta di Russia, poiché il suo successore, Pietro III, fervido ammiratore di Federico II, si ritirò dall’alleanza. Si giunse così alla pace Hubertusburgh che nel 1763, lasciò in Europa, le cose com’erano prima della guerra, e alla pace di Parigi che nello stesso anno, chiuse il conflitto, anglo Franco spagnolo, con l’acquisto inglese delle colonie inglesi del Canada e del Mississippi, nonché della Florida spagnola, mentre .a Spagna fu compensata della Florida con la Louisiana francese e all’Inghilterra passò anche il Senegal, colonia francese di grande importanza per il commercio degli schiavi africani. Infine le colonie francesi in India passarono egualmente alla Inghilterra,salvo cinque insediamenti. Ai francesi fu proibita ogni attività nel bengala e cioè in una parte molto imperante del mondo indiano. Del primo impero coloniale francese rimasero soltanto alcuni frammenti. La Spagna aveva salvato un po’ meglio le sue posizioni. L’Inghilterra sempre più padrona del Mari e potenza coloniale ormai più dinamica di ogni altra, aveva anche realizzata con la guerra dei sette anni, il suo disegno di equilibrio in Europa,avendo appoggiato costantemente la potenza ritenuta più debole. Prima l’Austria in ultimo la Prussia, con quella ritenuta meno minacciosa per le sue mire egemoniche, com’era la Francia in questo Periodo. Il passaggio del sistema degli stati europei, da una struttura bipolare, (Spagna e Francia, oppure Austria e Francia ) ad una struttura multipolare con molte grandi potenze, Francia, Austria, Spagna, Inghilterra, Olanda, Russia, Prussia, ci fu un questo periodo.In realtà però la stabilità acquista in Europa occidentale si contrapponeva, all instabilità dell’Europa orientale. Questa instabilità dell’Europa orientale, era dovuta essenzialmente alla crisi in cui nel corso del 700 appaiono gradualmente cadere i due grandi complessi imperiali della Polonia e della Turchia. Dopo la pace di Belgrado nel 1739 era evidente che se i turchi non erano più una minaccia per l’Europa, l’Austria, neppure con l’Unione dell’Ungheria, era a sua volta in grado di attentare più in là al Doimo turco di Balcani. Più forte appariva la spinta anti turca dei russi, ma anche i russi avevano dovuto arrestarsi sotto Pietro I, con la restituzione di Azov, e la rinuncia ad una marina nel mar nero. La spinta tuttavia riprese subito concilio Caterina II quando i turchi avvertirono come una minaccia la crescente influenza russa in Polonia. Essi presero l’iniziativa di una guerra che si concluse con un loro completo insuccesso. EL 1774 la pace di Kucuk Kainargi, faceva passare alla Russia, come potenza sovrana in Crimea, vari possedimenti. Poiché Pietro I aveva sottratto alla Persia nel 1722/23 le coste occidentali e mediterranee del mar Caspio, ciò significava che la Russia si avviava al controllo politico del mar nero, tanto più che essa ottenne libertà i navigazione del mar nero e libero acceso al mediterraneo. Infine ottenne il riconoscimento di potenza protettrice dei cristiani ortodossi viventi nell’impero ottomano e questa era la cosa che permetteva agli zar, un costante pretesto di intromissione delle questioni interne dell’impero turco e quindi era anche l’elemento di maggiore preoccupazione delle potenze europee. Nel 1784 Caterina II si annesse l’intera Crimea,e nel 1787 iniziò una nuova guerra alleata con l’Austria con lo scopo ormai chiaro di spartire l’impero ottomano. I successi russi furono numerosi, ma gli austriaci fallirono e furono battuti dai turchi. Nel 1791 ci fu la pace tra Austria e Turchia e nel 1792 ci fu la pace tra Russia e Turchia, dove si riconobbe alla Russia tutta la Crimea, nonché il litorale del mar nero. Era nata così la questione d’Oriente, il problema c’è dell’uomo malato che ormai nella grande politica Europea era la Turchia. La protezione francese non era bastata a Costantinopoli, l’influenza francese risaliva al 500,ma ormai anche l’Inghilterra si interessava al mediterraneo e quindi la protezione francese era ancora meno valida a garantire da sola una Turchia molto più debole che nel secolo precedente. Molto più rapido comunque della crisi dell’impero turco fu la crisi della Polonia, specialmente dopo la guerra di successione. Questa crisi portò ad una ripetuta spartizione della Polonia, tra Russia, Prussia ed Austria che fece scomparire la Polonia dalla carta geografica Europea,a aprì un grande problema nazionale, perché la nazione polacca, non era caduta come il suo impero. Ma almeno adesso si limitava alla sola Turchia la questione d’Oriente. LEZIONE 12 Abbiamo già visto quello che possono essere considerati i principali aspetti della storia economica europea tra il 500 e il 700. Si tratta di sviluppi fondamentali per comprendere le trasformazioni della società oltre che dell’economia: la rivoluzione dei prezzi, la formazione di un circuito commerciale a scala mondiale e in particolare euro-americana, la crisi generale del 600; i riflessi economici della formazione di grandi imperi come innanzitutto Spagna e Portogallo e poi Inghilterra, Olanda, Francia, i grandi movimenti finanziari richiesti dalla politica di potenza connessa alla nascita del sistema moderno degli stati europei e alle relative necessità di grandi armamenti e di grandi forniture e altri numerosi, analoghi fenomeni non potevano restare senza importanti conseguenze nella vita sociale. L’effetto principale di questi svolgimenti economici era quello della formazione di nuove classi sociali o del rafforzamento di determinati gruppi sociali rispetto ad altri. In particolare vennero ad occupare della società un posto di sempre maggiore rilievo, i ceti emergenti nel settore dell’attività commerciali, finanziarie, marittime, manifatturiere; il predominio della terra, quale massima risorsa capitale e fonte di reddito, rimase indiscutibile e di conseguenza grandi e piccoli proprietari terrieri, contadini, braccianti, continuarono a dominare il panorama sociale. È indubbio che il peso dei ceti emergenti si fa sentire sempre più in tutta Europa, e naturalmente in misura maggiore nei Paesi caratterizzati da più profonde trasformazioni economiche. Allo stesso modo che si afferma questo periodo una nuova geografia economica europea, si afferma pure una nuova geografia sociale del continente e in paesi leader della trasformazione economica, diventano pure paesi dove è più accentuato il dinamismo sociale, che sono poi soprattutto Inghilterra, Olanda, Francia. A misura che si va verso l’Europa orientale e verso l’Europa meridionale la struttura sociale appare meno moderna e meno dinamica. I Paesi che erano stato i più avanzati nel periodo precedente, cioè l’Italia centro-settentrionale e i Paesi Bassi meridionale, quindi l’attuale Belgio, rallentano ora di molto il loro ritmo e ne risente anche la loro struttura sociale, che specialmente in Italia vede un forte ritorno alla terra come patrimonio e come campo di attività. Nei Paesi Bassi meridionali, lo stesso fenomeno dell’Italia ebbe dimensioni più contenute e non è un caso che questi Paesi Bassi meridionali abbiano varcato a suo tempo la soglia della rivoluzione industriale, prima delle regioni italiane più avanzate. Non a lungo durò la fortuna economica di paesi come la Spagna e il Portogallo. Investiti nel secolo XVI, specialmente la Spagna, dalla grande onda d’urto delle scoperte geografiche che assicurarono all’uno e all’altro paese grandi risorse. Sappiamo che queste risorse defluirono in gran parte verso altri paesi europei, mentre nei due paesi iberici non si tradussero in una spinta decisa alla trasformazione economica. Non sorprende perciò che la società portoghese e soprattutto spagnola del secolo XVI, appaia molto più viva di quella del secolo XVII, quanto la struttura sociale dei due paesi va assumendo una fisionomia alquanto più statico e lenta e lì si passano rapidamente ad una condizione dia accentuata dipendenza dalle grandi forze economiche che intanto si erano attivate sulla scena europea. Il Portogallo cade anzi, in una dipendenza anche politica dell’Inghilterra già agli inizi del 700. Possiamo quindi dire che la storia sociale coincide in gran parte con la storia economica di questi secoli e ne è l’eco fedele. Non bisogna assolutamente credere che la storia sociale si risolva Interamente in quella economica e che le vicende dell’economia determinino fatalmente le vicende della vita sociale. I gruppi sociali, le lotte di classe si svolgono sempre anche con una loro autonomia che influisce sul corso dell’economia, non meno di quanto il corso dell’economia influisca su di essi. Si spiega così che paesi a struttura economica uguale o simile, presentino un corso tutto diverso delle loro vicende nel campo sociale e viceversa. Un altro punto molto importante è che, così come ogni altro aspetto, anche per la storia sociale i paesi europei seguono percorsi diversi fra loro. Questo rende le loro vicende molto particolari e specifiche. Bisogna guardarsi dall’Errore di credere che questo modo vario di svilupparsi impedisca una declinazione di caratteri generali, da cui dedurre il senso generale del periodo. Occorre tenere presente che nella considerazione storica, in generale e in particolare non si elidono a vicenda e vanno tenuti strettamente presenti e legati tra loro. Ciò premesso si può dire che due fenomeni soprattutto primeggiano nella storia sociale dei paesi europei nel 500 fino al 700: da un lato la permanenza di un regime di privilegi e dall’altro la formazione agli inizi di quella che chiamiamo borghesia. Abbiamo già avuto modo di accennare al regime dei privilegi. Il privilegio significava una divisione in classi che avevano diritti e doveri diversi a seconda della loro qualificazione sociale. Come sappiamo in Europa si distinguevano fondamentale tre ordini: clero, nobiltà è tutto il resto della società. Ma in realtà ciascuno di questi ordini si articolava poi in una molteplicità di classi e di ceti pur essendo fermo che nobiltà e clero, erano gli ordini privilegiati. Il privilegio della nobiltà significava un diverso trattamento giudiziario e tributario. Ad esempio in caso di condanna a morte, i nobili venivano decapitati e non impiccati, nelle cerimonie religiose dei funerali, la loro bara poggiava direttamente sul pavimento della chiesa, mentre quella dei non nobili veniva appoggiata su un catafalco. Sui nobili inoltre, non gravavano le imposte personali che gravavano invece su gli altri ecc. Una parte della nobiltà, e precisamente la nobiltà feudale, era inoltre caratterizzata dal possesso di feudi e dall’esercizio di vari diritti giurisdizionali, nonché dalla percezione di redditi connessi ai titoli feudali. Il feudo era un’eredità medievale dell’epoca in cui il potere centrale dello stato non era in grado di esercitare in pieno la sua sovranità e aveva riconosciuto promosso la partecipazione a questa sua sovranità da parte di coloro ai quali, il suo potere veniva delegato, ossia i feudatari, nell’ambito dei loro feudi. Da quando nel 400 o più tardi nel 500, il potere sovrano aveva ripreso forza, l’antagonismo regio con la nobiltà feudale, riluttante a cedere le sue prerogative di partecipazione e di esercizio di potere sovrano, si era fatto più forte. In generale lo scontro finì a favore del potere centrale perciò le vicende della nobiltà feudale, confluirono in quelle della formazione dello stato moderno. Le monarchie europee non soppressero il regime feudale, anzi non solo mantennero l’impianto feudale sul territorio e così connesso l’esercizio di poteri dal percezione di diritti connessi ai titoli feudali, ma in molti casi ampliarono gli onori e i privilegi riservati alla nobiltà. Ci si accontentò quindi di estendere la competenza e l’attività dell’amministrazione centrale in modo che nascesse una rete politico-amministrativa molto più forte di quella feudale o di qualsiasi altro potere feudale. Inoltre si sollecitò lo spezzettamento dei grandi feudi in feudi più piccoli, il che riduceva la potenza dei feudatari e consentiva di fare entrare nei ranghi della feudalità o per vendita o per concessione di titoli feudali e nobiliari da parte del sovrano, nuovi elementi legati al sovrano per questa loro ascesa. Quindi di aprire un canale di soddisfazione delle aspirazioni di ascesa sociale, di ceti, di gruppi e di famiglie emergenti. Il trono attrasse poi, a sé la nobiltà feudale, anche potenziando il ruolo della corte, a cui la nobiltà faceva corona, valendosi dell’accesso ad ordini cavallereschi legati al sovrano, concedendo pensioni e rendite anche molto consistenti, riservando ai nobili, funzioni sociali di prestigio, comandi militari, ambascerie ecc. Non era solo il motivo ideologico che rendeva ancora impensabile un ordine sociale senza la calle nobile a trattenere la monarchia, ma c’era il fatto che in molti paesi la nobiltà feudale aveva solide radici sul territorio e contava su una rete fitta di relazioni sociali. : non poteva alienare il patrimonio di famiglia, doveva provvedere alle doti e al mantenimento dei fratelli e sorelle ecc. Quindi da un certo punto di vista, anche l’erede unico diventava soltanto l’usufruttuario dei Beni di famiglia che a sua volta doveva trasmettere integri ai suoi successori. Si spiegano così anche le strategie matrimoniali della nobiltà che non solo potevano contemplare matrimoni con persone di famiglie ricche ma non nobili, ma studiavano attentamente le alleanze e le parentele con altre famiglie nobili, a seconda delle loro ricchezze, della loro potenza, delle loro tradizioni, delle loro relazioni, con criteri in cui la salvaguardia o il potenziamento dei patrimoni era una preoccupazione prioritaria. Il fatto che i vincoli del fedecommesso imponessero usi e impegni più convenienti dei Beni di famiglia o creassero problemi in momenti di difficoltà o per rispettare le condizioni dello stesso fedecommesso, questo fatto portò invero a richieste sempre più frequenti di esenzione dai vincoli dello stesso fedecommesso. Ma il fatto che l’istituto resistesse per tutta la durata dell’antico regime ci dice a sua volta, che esso rispondeva ed era funzionale ai suoi fini fondamentali di difesa di un’identità e di una posizione sociale e culturale e che non fu un caso che se ad avvalersene furono soprattutto i ceti superiori e la nobiltà in primo luogo. Ancora maggiore che in seno alla nobiltà era la varietà di condizioni e di ceti che si ritrovava nel terzo stato, ossia nell’amplissima parte della società che non apparteneva né alla nobiltà né al clero. Perlopiù i nobili si aggiravano per numero all’ 1/2 % della popolazione, il clero ha qualche piccola cosa in più, anche se in alcuni paesi le percentuali dei nobili e del clero potevamo essere alquanto più alte, in generale il terzo stato raggruppava dunque più del 95 % della popolazione. Ma al suo interno si passava con fortissimi squilibri dai livelli della maggiore ricchezza e potenza delle grandi famiglie borghesi e dei grandi operatori economici e finanziari ai livelli più modesti di queste stesse condizioni economiche si passava agli artigiani, ai commercianti, ai medi e piccoli proprietari terrieri, coltivatori o non coltivatori diretti che fossero, si passava agli operai, si passa ai contadini più poveri, si passava ai braccianti, fino si mendicanti fino si più bisognosi, con la sola esclusione al terzo stato, dei servi della gleba, ai quali non si riconosceva alcuna qualificazione sociale, ma che nei Paesi dell’Europa occidentale, già nel 500 erano una eccezione e solo nei Paesi nell’Europa centrale od orientale, gran parte de mondo germanico, in Polonia, nei Paesi slavi, formavano una parte consiste numerosa della popolazione rurale. È all’interno di questa vastissima costellazione sociale rappresentata dal terzo stato, che si forma la borghesia moderna. La borghesia moderna, ossia la classe sociale che esercita le attività economiche, commercio, finanza, manifatture, la classe che esercita le attività professionistiche, come m magistratura, avvocatura ecc. La classe che segue con assoluta tempestività, anzi è essa stessa quasi sempre o almeno in gran parte, pronta a promuovere il progresso economico, tecnico e scientifico. Il progressivo irrobustimento di questi ceti borghesi è un dato sempre più evidente nella storia sociale dal 500 in poi ed è per la verità un incremento irresistibile, sia la formazione dello stato moderno che la grande espansione del 500, le articolazioni della stessa crisi generale del 600e soprattutto l’intensificarsi della produzione e dei traffici con l’avvio della formazione di un circuito economico mondiale, dopo le grandi scoperte geografiche, sollecitano in tutti i modi la formazione dei ceti borghesi. Già sotto il regno di Luigi XVI, un grande memorialista aristocratico di quell’epoca, il Saint Simon, parla di quel regno come “regno della spregevole borghesia”, frase in cui si esprime il senso di superiorità della nobiltà, ma si esprime anche lo sviluppo imponente che vanno raggiungendo i ceti borghesi. Nel 700 la Borghesia, che è la classe che più risparmia e accumula le sue ricchezze, diventa ancora più forte. La formazione della borghesia è anche una grande rivoluzione culturale. Come c’è un certo rapporto tra storia sociale ed economica, c’è anche un cero rapporto, tra cultura in generale e storia sociale. I valori borghesi, il lavoro, la ricchezza che il lavoro produce e il denaro rappresenta, il tempo concepito come destinato essenzialmente a lavoro, la proprietà come frutto del lavoro, le qualità personali misurate dal lavoro e dall’impiego del tempo, l’intraprendenza e L’ ingegno come valori del successo. Questi valori sono totalmente opposti ai valori della nobiltà, cioè il sangue, la ricchezza come patrimonio, il tempo senza lavoro, gli onori e il prestigio indipendenti dal successo. Da questo punto di vista, la storia sociale dell’età moderna può essere ritenuta contraddittoria, da un lato perpetua e consolida l’aristocrazia, come in forma più aulica o in senso più ristretto viene pura definita la nobiltà e dall’altro lato sviluppa e potenzia in ben altra misura la borghesia e soprattutto l’alta borghesia. Per molto tempo la borghesia subisce il richiamo del modello aristocratico e l’aspirazione massima è l’entrata nella nobiltà. Tra alta Borghesia ed aristocrazia si determinano molte alleanze, naturali tra gruppo sociali dominanti che hanno anche grandi interessi comuni di dominio. Si accumula anche una serie di tensioni culturali e sociali che come l’esperienza avrebbe dimostrato nel giro di qualche centinaia d’anni, non erano tutte tensioni pacificamente risolvibili e potevano fornire in determinate circostanze l’occasione di rotture violente e totali.
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