Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Storia Moderna I - dalla prima espansione europea al Congresso di Vienna, Sbobinature di Storia Moderna

dalla prima espansione europea al Congresso di Vienna

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 28/04/2023

juliaf8
juliaf8 🇮🇹

3 documenti

1 / 86

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Storia Moderna I - dalla prima espansione europea al Congresso di Vienna e più Sbobinature in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! STORIA MODERNA Lezione del 27.09.2022 1.1 La storia Per definizione, la storia è una scienza non esatta (come la letteratura o la storia dell’arte), in quanto il documento che lo storico prende in esame è indecifrabile senza l’ interpretazione di quest’ultimo, che può essere differente da quella di un altro studioso. La storia, perciò, rientra in quella cerchia di scienze che non ammettono che alla domanda vi sia una sola risposta, in quanto la risposta è soggetta a essere ridiscussa e superata nel corso degli anni. Da ciò ne consegue che non esiste una verità assoluta, bensì la verità più attendibile in un determinato momento storico, con la consapevolezza che quella verità può essere superata e che perciò non ha un carattere dogmatico. Il fatto che la storia sia una scienza non esatta non significa che sia fallace. La storia è una scienza aperta, divisa in branche e fatta di documenti interpretabili attraverso la periodizzazione (basata sul principio periodizzare è uguale a interpretare). Le fonti storiche comunicano quello che era l’intento o lo scopo di chi le ha prodotte. Non esistono, quindi, fonti oggettive. 1.2 Storia e storiografia Lo storico diventa storiografo ogni volta che mette per iscritto l’interpretazione del documento e della fonte. Marc Bloch fu uno dei fondatori di Les Annales, una rivista francese che rivoluzionò il modo di fare e vedere la storia. Con loro la storia è diventata inscindibile dalla storiografia e dalle altre scienze storiche. 1.3 Storia e memoria Storia e memoria, pur avendo simili sembianze, sono diverse tra loro, in quanto la memoria fa parte dei ricordi individuali o collettivi. La memoria non è attendibile, perché è distorta dai sentimenti e dalle emozioni degli uomini che vivono i particolari eventi storici. Tuttavia, non per questo la memoria va rifiutata, perché in essa si trovano elementi importanti per lo storico (es. il modo di reagire di una comunità a un evento storico, il modo in cui la memoria viene manipolata dai vincitori politici). 1.4 La storia come flusso La storia non è magistra vitae perché non è un qualcosa di statico, bensì di fluido, in costante movimento. Braudel introdusse il concetto della Longue duree, che consiste nella tendenza a rendersi conto che la storia è un flusso continuo e non può essere studiata a compartimenti stagni. Sebbene vi siano dei fenomeni che sono caratteristici di un’epoca in particolare, non si può generalizzare, poiché la maggior parte delle tendenze sono trasversali. Gli eventi si somigliano, ma non possono essere sovrapposti perché ci sono delle variabili che cambiano e perciò non è possibile prevedere il futuro a partire da eventi passati e dai loro denominatori comuni. La storia non insegna a vivere ma dà degli strumenti per interpretare ciò che è accaduto e per vivere. 1.5 La storia oggi - Uno storico non può essere tale rispetto al presente (età di cui è partecipe, da cui non ha maturato una distanza critica), tantomeno rispetto al futuro (ogni evento/processo storico rappresenta un unicum: non si ripeterà con le stesse caratteristiche/modalità); - disciplina fondamentale per la maturazione della coscienza civile: il passato serve al presente (affinità, nessi e radici) anticorpo rispetto all’intolleranza, all’irrigidimento dogmatico (sviluppa il senso critico, forma una mente aperta e solidale); - le periodizzazioni e le categorie, coniate dagli storici nel tempo e per un determinato tempo (età antica/età medievale/etc., feudalesimo, assolutismo, rivoluzione, totalitarismo...) devono essere maneggiate con grande cautela (contenitori di eventi, fenomeni, movimenti, sempre suscettibili di essere rimessi in discussione); - una storia che (non per sua scelta, specie in riferimento ai curricoli scolastici) è ancora troppo eurocentrica (v. storia dell’Asia, delle Americhe, etc.). Lezione del 28.09.2022 1.1 L’età moderna L’età moderna è un periodo storico che va dalla fine del XV secolo fino all’età napoleonica. Nel corso del tempo, moderno ha assunto dei significati differenti. Nel VI secolo era sinonimo di recente (o diverso da antico), nel XVI secolo diviene sinonimo di nuovo, e con l’illuminismo di migliore. Non tutti gli storici credono che la storia moderna sia stata la storia della conquista di libertà e diritti. Alcuni, invece, (Marx, Foucault, Nietzsche) credevano che quella moderna sia stata l’età della coercizione, dell’imposizione di più ranghi, persino più coercitiva del medioevo. L’elemento che caratterizza l’età moderna è l’antico regime, la forma di stato che dominerà per gran parte del periodo, che diverrà sinonimo di assolutismo (termine introdotto con la rivoluzione francese). Il prototipo più importante di stato moderno furono le tre grandi monarchie nazionali: Francia, Inghilterra e Spagna, che nel medioevo non ebbero l’importanza che assunsero nell’età moderna. Anche tutti gli altri stati europei si modernizzano, ma lo fecero con caratteristiche e velocità diverse rispetto alle tre grandi monarchie. Questo avvenne perché gli stati, nel dettaglio, non sono uguali tra loro, e cambiano l’assetto interno. In età moderna, gli stati si evolsero in due categorie: monarchie o repubbliche (Olanda, Commonwealth di Cromwell e Svizzera, che diviene una repubblica federale dopo aver ottenuto l’indipendenza dagli Asburgo). Queste repubbliche, tuttavia, sono delle repubbliche oligarchiche, in cui il potere è concentrato nelle mani di un gruppo ristretto di individui, che detiene il potere (nel caso di Venezia esisteva la figura del doge, primus inter pares). L’unica repubblica democratica moderna è quella degli Usa, che nascono come stato federale, e in cui la sovranità è di tutti, sebbene solo apparentemente (neri, donne non hanno alcun potere). 1.2 Terminus a quo L’anno di inizio dell’età moderna è conteso tra: - 1453: caduta di Costantinopoli; - 1456: invenzione della stampa (ad opera di Johannes Gutenberg); - 1492: Cristoforo Colombo raggiunge il continente americano; - 1517: inizio della Riforma protestante (avvio della protesta luterana). Tutti questi eventi sono rivoluzionari, ma su piani diversi: politico, economico, sociale e culturale. 1.3 Terminus ad quem La fine dell’età moderna si identifica in due eventi: - la rivoluzione francese, che eliminò le istituzioni feudali della Francia e pose le basi per la trasformazione istituzionale e politica degli altri Stati moderni; - la rivoluzione industriale, che modificò per sempre il sistema produttivo, economico e dei trasporti, sociale e demografico. In particolare, con la rivoluzione francese viene abolito un sistema, quello feudale, che era nato con Carlo Magno, e che si era evoluto fino a divenire lo stato assoluto. Per Mayer, invece, i poteri dell’antico regime si preservarono fino alla prima guerra mondiale. Valla, Erasmo e Machiavelli furono contro l’idea ciclica della storia (viceversa sviluppo lineare e progressivo); il Protestantesimo affermò il principio della sola Scriptura (interpretazione letterale, personale del testo sacro); per Cartesio la storia non è dimostrabile; Spinoza afferma la natura non rivelata delle Sacre Scritture (la verità biblica ha fatto il suo tempo, assurdo imporla con la forza); per Bayle: l’ateo è virtuoso (ulteriore estensione del concetto di tolleranza religiosa); con terra. Dopo l'anno mille i signori feudali avevano superato il sovrano in importanza tanto da proporsi come giudici tra i vari ordinamenti, condizione che si ribalta quando il sovrano comincia a riacquistare i diritti e le ricchezze che aveva perduto nel tempo. In Italia la signoria fondiaria ed ecclesiastica rimarrà soprattutto al sud (con le dovute eccezioni: Amalfi), mentre nel centro nord prevarranno le città con i loro statuti, che tuttavia verranno soffocati dai domini stranieri. 1.2 La legge in età moderna In età moderna la legge non è uguale per tutti, in quanto ci sono almeno cinque leggi fondamentali, una per ogni ordinamento, il che significa che legge è divisa in strutture gerarchiche, in cui i diritti e i doveri sono specifici e diversi per ogni ordinamento. Questa differenza non vieta però agli uomini moderni di modificare il proprio ceto di appartenenza; tuttavia, i casi che attestano ciò sono pochissimi (nobiltà di toga, dove si può acquistare il titolo o ottenerlo per merito). La differenza tra la società moderna e quella contemporanea è che la prima è organicistica, e basa le proprie leggi sulle differenze di ordinamenti, mentre la seconda è economicistica, e la basa sul patrimonio di ciascuno, sebbene gli uomini siano considerati tutti allo stesso livello. 1.3 Il dibattito storiografico sullo stato moderno - per O. Hintze lo stato moderno si formò attraverso tre fasi, con la prima che terminò con la Rivoluzione francese e tra le cause vi fu la necessità di far fronte agli attacchi esterni; - per P. Anderson, lo stato moderno nacque per cessione di potere dalla nobiltà al sovrano, per la necessità di fare fronte a contrasti anche interni (rivolte contadine); - per O. Brunner - visione continuista - gli ordinamenti (di origine medievale) rimasero comunque forti in età moderna; - per J. H. Elliott si tratterebbe di monarchie composite costituite dalla sovrapposizione di numerosi ordinamenti e venute a patti con i contropoteri; - per M. Weber la caratteristica prima dello stato moderno è l’ereditarietà delle cariche; - per T. Ertman, se la pressione esterna si manifesta presto (Francia, Spagna e Stati italiani) si ha l’ereditarietà delle cariche, viceversa la condizione degli Stati tedeschi; - P. Prodi, vi è stata una confusione dei poteri: il papa aveva oltre al potere spirituale anche quello temporale (era dotato di eserciti e flotte) e i sovrani assunsero oltre al potere temporale anche quello spirituale; - per M. Caravale, gli Stati moderni furono un’evoluzione degli Stati medievali (con perfetta continuità). 1.4 L’espansione europea verso gli altri continenti Il 1492 è l’anno che tradizionalmente segna l’inizio dell’età moderna, poiché rappresenta il momento in cui il modo degli europei di guardare al mondo cambia profondamente. Con lo sbarco di Colombo sull’isola di San Salvador, ha avvio un graduale processo di globalizzazione (anzitutto dei consumi alimentari) che porterà anche alla traumatica fine delle civiltà indigene. Un errore frequente è quello di considerare l’espansione europea come una “scoperta”, errore che denota una visione eurocentrica degli eventi, in quanto le terre che gli europei colonizzarono erano già abitate da popolazioni più o meno sviluppate. Si parla, perciò, di prima fase di espansione europea verso gli altri continenti, un fenomeno che comincia nel medioevo, nel secondo ‘400, e si compie nei primi decenni del ‘500. Le due potenze protagoniste delle conquiste sono la Spagna e il Portogallo, due realtà diverse tra loro. Il Portogallo divenne intraprendente sul piano navale (cartografia e innovazioni tecnologiche) e dà avvio all’espansione. Le colonie portoghesi erano principalmente un punto d’approdo per i mercanti: piccole roccheforti o porti presidiati da militari, organizzati in modo snello e moderno (capitanati). La Spagna (Castigliani), erano invece dei guerrieri, e il loro obiettivo principale era quello di replicare il modello della madrepatria altrove. Tuttavia è il Portogallo a perdere per primo i suoi possedimenti coloniali, quando alla morte di Sebastiano I, il trono va a Filippo II di Castiglia, dopo che la corona portoghese era rimasta senza eredi. A partire dal 1640 la maggior parte dei domini portoghesi divennero olandesi. 1.5 Le motivazioni dell’espansione In passato, la via della seta, un’insieme di strade carovaniere, aveva rappresentato un importante punto di contatto e di scambio tra gli europei e gli asiatici. Molte erano le merci che giungevano in europea ( seta per la tappezzeria e spezie per conservare e insaporire il cibo), ma l’avanzata aggressiva dell’impero ottomano finì per bloccare questo scambio, costringendo gli europei a cercare nuove strade per raggiungere l’Asia. Colombo, a servizio della corona castigliana, era convinto di poter compiere un viaggio in nave, superando le colonne d’Ercole (questa decisione denota il suo coraggio e la sua modernità) per giungere in India, aggirando la minaccia ottomana. Ciò che Colombo non sapeva, e che comprese solo nel suo ultimo e (forse) quarto viaggio, è che egli non giunse mai in India, bensì nel nuovo mondo, in America (il cartografo Waldseemüller dà una fisionomia al continente). Questa convinzione spiega perché quelle nuove terre presero il nome di Indie, e i suoi abitanti di indigeni. 1.6 Il Mediterraneo dopo le esplorazioni Sebbene la via della seta fosse stata bloccata dall’avanzata ottomana, il Mediterraneo rimane conteso per lungo tempo, perciò non perse importanza rispetto all’oceano, in virtù del suo valore economico, politico e culturale; tuttavia il declino fu progressivo e inevitabile (nonostante ebbe nuova fortuna con il canale di Suez), si ruppe il monopolio economico che aveva detenuto fino a quel momento (economia-mondo di Wallerstein). 1.7 Gli accordi tra gli altri Stati europei La Spagna e il Portogallo si contendevano il Sud America e per mettere pace tra i due, con gli accordi de Tordesillas del 1494, papa Alessandro VI Borgia, scelto un meridiano arbitrario oltre Capo Verde, stabilì quelli che erano i possedimenti di una e dell’altra corona. Particolare fu il caso del Brasile, che finì per essere assegnato al Portogallo, pur rappresentando un territorio ben più vasto degli altri possedimenti coloniali dello stato. Alla Francia non rimase molto: la corona si appropria del nord America, con il Quebec (regione dalla quale importa pellicce, ma non oro o argento). Ferdinando Magellano (portoghese al servizio della Spagna) giunse in Patagonia e Filippine (dove fu ucciso nel 1521); nel 1529, Carlo V rinunciò alle isole del Pacifico; i confini con il Brasile (portoghese) erano ancora oggetto di controversia (fino al 1750-77, Trattati di Madrid e San Ildefonso). 1.8 L’organizzazione del nuovo mondo Dopo aver replicato la madrepatria nel nuovo mondo, la Spagna ha anche bisogno di amministrarla: nascono nuove oligarchie, ministeri, istituzioni che gestiscono questa immensità. Nasce la Casa de la Contractaciòn de Indias, che si occupa dei commerci, dei processi civili e penali, dell’amministrazione delle imposte e di gestire il tesoro. Nacque il Consejo de Indias (dipendenza regia), con una sua audencia. Viene introdotta l’encomienda (encomandar=affidare), che affida a ogni colono (conquistador o suo discendente, che prestava anche servizio militare) un determinato numero di indios. Egli si impegnava a evangelizzarli e otteneva in cambio lavoro forzato per i giuristi spagnoli. Ferdinando il Cattolico (Leggi di Burgos) stabilì che gli indios dipendevano dalla Corona (sudditi): tolleranza o blando paternalismo, a patto che accettassero il requerimiento, ossia la sottomissione al re e al pontefice. Per mezzo dell’encomienda, che costituiva un misto tra violenza, sfruttamento e cristianesimo, la Spagna si arricchì. Gli europei avevano, inoltre, una concezione lineare della storia, diversa da quella ciclica greca. Dall’affermazione della visione lineare e progressiva del cristianesimo (prima di Cristo, dopo Cristo), gli europei acquistano un vantaggio rispetto agli indigeni, i quali impiegano troppo tempo ad accorgersi che gli europei non erano divinità e non riescono a reagire. Il loro è un vulnus culturale: la caduta repentina e impari delle civiltà indigene si spiega anche attraverso questa visione ciclica. 1.9 L’economia e la demografia Fra 1519 e 1609, gli indios stanziati in Messico passarono da circa 11 milioni a circa 2, per via di una serie di violenze, dello sterminio, del desgano vital (gli indigeni perdono la voglia di vivere), del vaiolo, delle influenze e di altri virus (originari del Vecchio Mondo). I problemi, tuttavia, non mancarono neanche per gli europei: i conquistadores spesso si univano alle donne indigene (i loro figli prendono il nome di mestizi e si differenziano dai creoli, che pur essendo nati nel nuovo mondo hanno degli antenati castigliani) e, tornati in Europa, diffusero una nuova malattia, la sifilide, che fu sconfitta solo molti secoli dopo. La conquista fu, inoltre, per gli europei, uno strumento per rivoluzionare l’economia: oro, perle, coralli, argento venivano prelevati dalle colonie e venduti nel vecchio continente, portando a un forte aumento dei prezzi in Europa (nella prima metà del ‘500). Sebbene gli europei siano stati responsabili del genocidio di milioni di indigeni, è importante ricordare le parole di Bloch, che affermava che lo storico non giudica, a meno che per giudice non si intenda il gip (giudice indagini preliminari), ossia il magistrato che raccoglie le prove e istruisce il processo sulla base di queste per dimostrare la colpevolezza dell’accusato. 2.0 La Hacienda La Hacienda era un latifondo, un’unità base della produzione agricola e dell’allevamento nel Nuovo Mondo, basata sul lavoro forzato. Ha avvio una globalizzazione dei consumi: sementi e capi di bestiame di origine europea, colture europee (in origine asiatiche o africane) vengono introdotte in America, così come prodotti americani quali pomodoro, patata, peperone, fagioli, arachidi, ananas, cacao, manioca, vaniglia, china, tabacco, coca sono importati in Europa. 2.1 Il feudo imperfetto Nella prime fasi della conquista, il massimo titolo a cui un conquistador poteva aspirare era quello di adelantado (diritto di signoria e comando militare). In seguito nacque la figura dell’encomendero, ossia di colui che governa. L’encomienda è una realtà simile al feudo, perché riconosciuta dai sovrani castigliani, ma diversa in quanto mentre ottenendo un feudo si ottengono anche i titoli, i diritti e i poteri ad esso legati, nel caso dell’encomienda l’encomendero diviene proprietario di quel territorio solo come conseguenza del fatto che “possiede” chi vive in quello stesso, che deve essere evangelizzato e schiavizzato. È dall’obbligo di evangelizzazione che nasce la forma imperfetta di feudalesimo che è l’encomienda. 2.2 Il resoconto storiografico Sull’opposto versante, i domini coloniali improntati invece a nuove forme di ideologia universalistica (le colonie inglesi in Nord America) divennero uno dei pilastri dello sviluppo successivo (economico, sociale, politico; secoli XVIII-XIX). L’espansione francese si limitò a Louisiana e il Quebec (persi durante la guerra dei Sette Anni, 1757-63). L’espansione inglese in Nord America fu portata avanti dall’esploratore Caboto a Terranova (1497); dal primo ‘600, l’America divenne terra di confino e di esilio (per motivi religiosi, politici, etc.: il caso dei puritani): da quel momento in poi, la Corona inglese sostenne gli investimenti nel Nuovo Mondo (le speculazioni finanziarie della gentry). Come spiegato da De Montaigne, in seguito alle conquiste, l’Europa è costretta a fare i conti con il fatto che il mondo è più grande del previsto e che esiste il diverso, diverso di cui gli europei avranno sempre paura e che cercheranno di sconfiggere. In relazione a ciò, Paz affermava che gli indigeni furono popoli sconfitti dalla solitudine storica: essere rimasti ancorati alle loro visioni li ha condannati alla sconfitta, sebbene è innegabile che abbiano sofferto abusi e violenze. Infine, per Reinhard, il mondo come unità storica è conseguenza dell’espansione europea: questa espansione ha consentito di andare avanti e progredire, con i problemi che ciò ha comportato. VIDEOLEZIONI 1.1 Cristoforo Colombo Cristoforo Colombo nacque a Genova nel 1451. Il padre Domenico era un tessitore di lana e inizialmente viveva a Quinto con la famiglia. Tuttavia, quando i suoi commerci si fecero più fitti si trasferì a Genova. I dogi Giano, Domenico e Pietro Campofregoso gli affidarono la custodia della porta della torre di Olivella e corrente minoritaria, che aveva entrato in contatto diretto con gli indios e aveva denunciato le atrocità commesse dai conquistadores (stupri, violenze, cannibalismo) e credeva che le terre dovessero essere restituite agli indios. Carlo V e Filippo II chiesero ai teologi e ai dotti europei di pronunciarsi sul problema. Sul punto di vista teologico era necessario comprendere chi fossero gli indios e come bisognava comportarsi nei loro confronti. Alcuni affermarono che nelle sacre scritture la parola di dio era arrivata ovunque, anche nelle Americhe, ma gli indios l’avevano dimenticata e dovevano essere ri-evangelizzati, perché caduti nell’eresia e nel paganesimo. Altri, come de las Casas, affermavano che invece erano degli ingenui e dei puri, che non avevano mai ricevuto il vangelo e bisognava tutelarli. Lentamente, il pensiero di las Casas cominciò ad essere condiviso: la seconda fase dell’espansione fu comunque caratterizzata dall’evangelizzazione, ma la conversione avvenne con metodi più clementi. 1.2 I Gesuiti Durante la seconda fase dell’espansione, non furono più i domenicani e i francescani, ma i gesuiti (che nacquero dopo il concilio di Trento) ad occuparsi dell’evangelizzazione, divenendo maestri nell’arte di apprendere le lingue e la cultura indigene, talvolta fino ad assumere i tratti delle popolazioni conquistate. I gesuiti tradussero e plasmarono il Vangelo sulla cultura e sulle basi teologiche e culturali del luogo in cui si trovavano. Convertirono convincendo, non con la violenza e la forza. I gesuiti nacquero con Ignazio di Loyola e si specializzarono nell’ambito dell’istruzione e dell’opera missionaria. Giunsero nel Brasile e attuarono subito il loro metodo di evangelizzazione attraverso delle strutture che presero il nome di riduzioni. 1.3 Le riduzioni Le riduzioni somigliavano all’hacienda, con la differenza che con esse gli indios ebbero indietro una parcella del territorio che era loro, e il prodotto del lavoro tornava a loro. Furono creati dei laboratori di artigianato, delle scuole e dei piccoli ospedali. Era una città costruita sul proposito di evangelizzare. Il territorio che coltivano era di tutti, dopo che i gesuiti lo avevano ottenuto. Perciò, le riduzioni tolsero manodopera all’hacienda. Importante fu il caso del codice fiorentino, che i missionari donarono a Filippo II, il quale non gradì il dono in quanto metteva in luce il fatto che gli indios erano stati violentati e depredati. I missionari avevano messo in luce ciò che la conquista europea aveva cancellato: la cultura e la tradizione degli indios. Il sovrano, perciò, lo regalò al granduca di Firenze, con il quale era imparentato. 1.4 La letteratura fantastica Gerolamo Benzoni, autore dell’Historia del mondo nuovo, fu un seguace di de las Casas, e sostenne di essere stato nelle Americhe e di aver visto le violenze che gli indios subivano. Non sappiamo se abbia compiuto realmente il viaggio. Dalla sua vicenda, nacquero una serie di opere che fantasticavano intorno al tema del nuovo mondo: anche la letteratura venne influenzata (nascita dell’utopia). 1.5 Apogeo e declino del Mediterraneo All’inizio del ‘500, il Mediterraneo era ancora il centro economico principale (quadrilatero mercantile tra Genova, Venezia, Firenze, Milano); il suo declino cominciò dopo le conquiste nel nuovo mondo, ma fu un processo lento e graduale. Il Mediterraneo aveva e continuava a tenere unito il mondo (allora conosciuto), e da lì era giunto tutto ciò che aveva dato una svolta alla storia dell’umanità. A Venezia le potenze crearono i fondati per le merci (punto d’approdo anche per l’Oriente), per continuare gli scambi commerciali, così come fece Francesco I di Francia. Vi erano poi i pirati (ladri di mare) e i corsari (che erano invece pagati da terzi), che erano cristiani. Quando erano ottomani, provenivano dalla “barberia”, Tunisia e Algeria, covi dei pirati più spietati. Alcuni erano cristiani fatti prigionieri. Il mediterraneo era una frontiera fluida: vi furono dei momenti di scontro diretti, ma ebbero la priorità i momenti di scambi. Le frontiere non erano ben delineate: ai mercanti non interessava il combattimento o lo scontro, ma lo scambio. Fu un mare per il quale si continuava a combattere, segno del fatto che continuava ad avere un valore, come è dimostrato dalle guerre d’Italia e dallo scontro tra l’Europa cristiana e l’islam. Gli Ottomani commerciavano e lasciavano commerciare, ebbero una certa tolleranza religiosa nei confronti delle minoranze. Un caso fra i tanti fu quello di Scipione Cicala (convertito, divenne visir e ammiraglio della flotta ottomana). Fu ridimensionata anche la portata storica di Lepanto. il Mediterraneo non venne abbandonato ai Turchi (Braudel), i quali, peraltro, puntavano ormai soprattutto alla Persia. I veneziani e genovesi (in misura ben minore) non abbandonarono mai del tutto il Levante (continuità dei flussi commerciali con l’Egeo e la penisola anatolica). Nel Mediterraneo si trattava di viaggi costieri, per una questione di approvvigionamento. La nave da guerra mediterranea era la galea, con i remi, non il galeone, che si utilizzava nell’oceano, perché era richiesta una navigazione differente. 1.6 Le opinioni degli storici Secondo Benedetto Croce e Volpe, la decadenza del mediterraneo e dell’Italia fu dovuta al malgoverno spagnolo, una credenza errata, perché concorsero più cause, tra cui la conquista di nuove terre nell’atlantico. Braudel parlava di tradimento della borghesia: le borghesie (Genovesi, Veneziani e Fiorentini) smisero di essere mercantili e si dedicarono alla finanza, “tradendo” così il Mediterraneo. Romano parlò di rifeudalizzazione: i ceti mercantili si accontentarono di guadagnare di meno (smisero di commerciale) e iniziarono a vivere di rendita (acquistarono terre, specie nel sud). La loro ricchezza si cristallizzò e smise di generare progresso tecnico e culturale. La mercatura non conveniva più, perché i mercati internazionali erano ormai altrove; la finanza non conveniva più, perché il sovrano di Spagna non restituiva ciò che prendeva in prestito (denaro); quei capitali finirono perciò per incentivare la rifeudalizzazione. Ciò spiega perché l’Olanda e l’Inghilterra divennero i nuovi motori dell’economia, sia perché si trovavano sull’Oceano sia perché modernizzarono il mercato. Lì vi fu una rivoluzione agraria, una serie di conquiste politiche, lo sviluppo culturale e una tolleranza religiosa. 1.7 L’aumento dei prezzi L’aumento dei prezzi, che segnala la crisi che stava attraversando il Mediterraneo, fu spiegato inizialmente con le conquiste nelle Indie: la provenienza di oro e argento dalle colonie aveva “drogato” i mercati, portando all’aumento dei prezzi. In seguito si comprese che quell’oro e quell’argento non entrarono nelle casse dei sovrani spagnoli e francesi, poiché i mercanti genovesi li mettevano in circolazione fino a un certo punto, e gran parte lo conservavano in depositi bancari per investirlo in seguito. La vera causa dell’aumento dei prezzi fu l’aumento demografico, un elemento positivo fino al punto in cui la produzione agricola fu più in grado di sfamare la popolazione: quando le bocche da sfamare divennero troppe, i mercati non furono in grado di sostenere la domanda, e da ciò si svilupparono le guerre, le carestie e l’epidemie che caratterizzarono tutto il seicento. Lezione del 05.10.2022 1.1 Un Cinquecento che termina nel 1630 Alcuni storici ritengono che il Cinquecento sia terminato con la fine del 1630, con la fine di un fenomeno: l’aumento dei prezzi. I prezzi che salirono di più furono i cereali, principale fonte di approvvigionamento della maggior parte della popolazione, fenomeno a cui si aggiunsero le carestie e una fortissima inflazione. L’Europa mediterranea, al tempo, era ancora in buona salute ma presentava comunque segni di allerta che preoccupavano i regnanti. A ciò, nel 1630 si aggiunse una lenta decadenza: guerra, carestia ed epidemia. 1.2 Il tradimento della borghesia In questo scenario, il quadrilatero italiano mercantile Venezia – Firenze – Milano – Genova (borghesi: coloro che si sporcano le mani, termine dispregiativo da parte dei francesi e dei castigliani), dopo aver abbandonato la mercatura, si dedicarono alla finanza e dopo alla terra (convertirono i capitali in terre, che aumentavano di valore). Il feudo era venduto o dalla corona o da chi era squattrinato e vendeva il suo feudo per avere in cambio del denaro. Si parla di tradimento della borghesia perché questa tradì la sua origine mercantile, bloccando l’ingranaggio economico mediterraneo, che si stava avviando altrove, grazie alle conquiste nel nuovo mondo. Ai mercanti non conveniva più fare quell’antico mestiere, in quanto non garantiva più la stessa rendita. Si accontentavano di guadagnare di meno (vivere di rendita) e non rischiare nell’investimento, che poteva non andare a buon fine. 1.3 L’impero ottomano Nel XVI secolo si assistette all’avanzata turco-ottomana (Ottomani: dinastia turca, discendente di Othman o Osman, giunta al vertice dell’impero islamico) verso l’intero Mediterraneo e l’Europa balcanica/orientale. La massima espansione si ebbe con Solimano il Magnifico (dall’Ungheria al Golfo Persico): il loro interesse era arrivare in Asia attraversando l’oceano indiano, per acquistare la seta e le spezie. Con la battaglia di Mohács (1526) si assistette alla morte di Luigi II Jagellone d’Ungheria e in seguito a ciò, un terzo del regno cadde in mano ai Turchi, mentre la Boemia andò agli Asburgo d’Austria. L’impero ottomano era anche forte militarmente (giannizzeri erano corpi scelti) e politicamente guidati da un sultano, che rappresentava il vertice politico e religioso. Venezia era fino al 1509 una superpotenza mediterranea, perché aveva molti porti e isole, anche in Grecia. Continuò a conservare questo dominio, ma con le invasioni turche perse molti territori, tra cui Corfù e Cipro. La presenza ottomana si consolidò anche in Africa, dove vi erano i pirati, abbastanza indipendenti. Lì vi erano sia cristiani rapiti, sia europei che per scelta, si erano convertiti all’islam e avevano deciso di divenire pirati. A volte tornavano ad essere cristiani o a intrattenere rapporti con l’Europa cristiana (corrispondenza verbale o epistolare). Nell’utopia, qualcuno prese a modello l’impero ottomano (Campanella). L’impero fu motivo di ammirazione da parte degli europei. 1.4 La battaglia di Lepanto Quella di Lepanto fu una battaglia vinta dai cristiani, vincita che non significò la sconfitta ottomana: dopo due anni la flotta ottomana era già stata ricostruita e gli scambi con Venezia erano ricominciati. La versione che vedeva la sconfitta ottomana come disastrosa appartiene alla storiografia cristiana. Lepanto non fu una battaglia epocale perché ormai la priorità ottomana era la Persia, la strada più comoda per arrivare in oriente. Tra il 1627 e il 1628, Andrea Doria, un corsaro francese che passò al servizio di Carlo V, durante le guerre d’Italia, garantì la vittoria della Spagna nel 1559 (pace di Cateau Cambresis). Pochi anni prima di Lepanto (1563), nell’archivio segreto di Costantinopoli, è stato ritrovato lo scritto di un genovese (spia), che si definiva “amicissimo” con Ali Pascià, generale ottomano contro cui i genovesi combatterono. Ali Pascià, dopo la battaglia di Lepanto, fu ucciso e la sua testa appesa a una picca. Andrea Doria voleva festeggiare la vincita: fece liberare degli schiavi, si diede all’elemosina e a sostenere i poveri (il signore gli aveva mandato una grande fortuna e lui volle ripagarlo sostenendo chi era in difficoltà). Il de Futuris di Annio da Viterbo diede fortuna al genere della profezia della prossima fine dell’impero ottomano. Nella cappella del doge non c’è una rappresentazione della battaglia di Lepanto, a dimostrazione che i genovesi avrebbero preferito dimenticare la battaglia di Lepanto, ricordo scomodo, non era nelle glorie genovesi. Solo i Doria la celebravano perché era parte della loro identità. La Spagna aveva domini direttamente dipendenti e altri regni satelliti. Aveva la capacità notevole di influenzare culturalmente, politicamente (anche le elezione dei papi), economicamente l’Italia. Dalla fine delle guerre d’Italia al 1715 si parlò di Italia spagnola, influenzata o direttamente posseduta dalla Spagna. Non c’era intesa sul fronte cristiano. Una delle ragioni per cui Lepanto cadde fu che già dal momento in cui si pianificava la battaglia, nel fronte cristiano vi erano una serie di screzi (i cavalieri di malta che prima stavano a S. Giovanni a Gerusalemme, poi a Rodi, finché Carlo V non li assegnò a Malta). I cavalieri di malta furono i grandi attori della guerra, ma creavano grossi problemi perché nell’ordine di battaglia volevano La conclusione a cui giunse Lutero era che la giustizia di dio è di Dio solo, l’unico giudice. Dio decide in merito alla remissione dei peccati: l’uomo non può nulla. Nella tradizione cristiana cattolica, invece, a concorrere alla salvezza dell’anima c’erano da un lato Dio giudice, dall’altro l’operato umano che poteva in qualche modo influenzare la sua salvezza. A conferma del fatto che il clima culturale e spirituale dell’Europa del tempo tendesse nella direzione di Lutero vi fu il caso di Gasparo Contarini (forse morì avvelenato), uno degli uomini che fino alla fine tentò di trovare un accordo con i luterani pur non aderendo alla riforma. Da giovane si era ritirato sui colli Euganei ed era stato tormentato dallo stesso rovello di Lutero, e decise di mettere su carta le sue riflessioni, giungendo alla conclusione che non aveva alcun potere decisionale, che doveva abbandonarsi completamente a Dio e attraverso la bibbia, la parola non mediata, sperare nella salvezza che non è comunque garantita. Oltre a lui vi fu Francesco Guicciardini, protagonista del rinascimento, il quale affermò: “se non fossi questo rispetto, avrei amato Martino Lutero quanto me medesimo”. 1.7 La vendita delle indulgenze Sul piano dogmatico la chiesa riteneva di avere il potere di poter ridistribuire il sovrappiù di opere buone di cui la chiesa stessa era depositaria. Questo sovrappiù apparteneva ai santi, i quali avevano compiuto talmente tante opere buone da poter garantire non solo la propria salvezza, ma anche quella dei posteri. La chiesa, depositaria di questa salvezza, poteva vendere la salvezza in cambio di un contributo, in particolari occasioni (Giubileo, pellegrinaggio verso i loca santa: Roma, Santiago de Compostela, Loreto). Le indulgenze venivano acquistate sia per sé sia per i propri congiunti defunti. In cambio del contributo si otteneva un documento. Il primo Giubileo fu indetto da papa Bonifacio VIII per redimere i peccati. In origine era ogni cinquanta anni, poi ogni venticinque e prevedeva di recarsi a Roma, luogo vece di Gerusalemme (assediata dagli ottomani). Mentre i fedeli credevano che le indulgenze servissero realmente a garantire la loro salvezza, dall’altro vi era chi ne approfittava. Alberto di Brandeburgo era un principe vescovo che incoraggiò la predicazione delle indulgenze nei suoi feudi, perché si era indebitato e aveva bisogno di denaro. Roma invece le usò per la basilica di san Pietro. 1.8 Le 95 tesi di Lutero Per tesi, in passato, si intendevano delle affermazioni dogmatiche che lo studente, al termine dei suoi studi, discuteva con i suoi docenti. Lutero, diffondendo le sue tesi, tentò un ritorno a studente, che chiedeva di confrontarsi con le gerarchie superiori. Ad oggi non ci sono prove che testimoniano che Lutero abbia realmente affisso le tesi sulla porta della chiesa del castello di Wittemberg, ma ci sono prove del fatto che Lutero si mise al lavoro in ogni modo, anche con i suoi studenti, per DIFFONDERE le sue posizioni. A essere determinante nella diffusione fu anche la stampa. Le tesi erano scritte in lingua latina e in seguito furono tradotte in tedesco. Questo dettaglio aggiunge un elemento in più alla tesi che Lutero, in realtà, non affisse mai quelle tesi, perché molti di quelli che avrebbero potuto vederle o erano analfabeti o non conoscevano il latino. Il mito dell’affissione nacque da una serie di silografie che cominciarono a essere diffuse dopo la morte di Lutero stesso, non con l’intenzione di alterare i fatti, ma di comunicare con chi non poteva leggere. 1.9 L’argomento delle tesi Nelle sue tesi, Lutero riprendeva il curialismo, l’ignoranza dei sacerdoti (non conoscere il latino e distorcere la parola di cristo) e la corruzione (culto e mercato delle reliquie) a cui aveva assistito. Non si era limitato a contestare la posizione critica nei confronti di quelle realtà. Era andato oltre. Nelle tesi era condensata tutta la riforma. La bibbia, fino ad allora, era scritta in latino e solo chi conosceva il latino poteva comprenderla. Lutero si chiedeva come facessero i semplici a comprendere la parola di Dio. Permettere ai fedeli che non conoscevano il latino di avvicinarsi a Dio solo mediante il tramite del sacerdote (talvolta, per altro, ignorante) significava condannare le anime alla perdizione. Lutero chiedeva di tornare a una messa che fosse come nel presunto cristianesimo. La messa doveva celebrarsi in tedesco o nella lingua che poteva essere compresa da tutti. L’opera buona, inoltre, non poteva essere condizionata dal premio che si riceveva: la salvezza. Il buon cristiano era buono perché aveva compreso la parola di Dio. Si evince, in Lutero, un rigore filologico. I sacramenti realmente riconosciuti da Cristo erano: battesimo e eucarestia. Il matrimonio era un’invenzione (sacramento più ballerino, pieno di riti e varianti). La confessione avveniva direttamente con Dio. Il pastore deve sostituire il sacerdote, rimanendo guida, ma non l’unico depositario della parola di Dio. 2.0 I contrasti con Roma Nel 1518, Lutero entrò in forti contrasti anche con l’ordine agostiniano, e incontrò il cardinal Cajetano ad Augusta, al quale ribadì il suo sola Scriptura et sola fide. Il principe Federico di Sassonia, di cui Lutero era suddito, ottenne la celebrazione del processo a Lutero in Germania, anziché a Roma. Inizialmente Roma non diede molto peso a Lutero, considerandolo uno tra i tanti eretici senza seguito di cui sarebbe stato facile liberarsi. In realtà, il pontefice aveva sottovalutato non solo l’importanza delle affermazioni di Lutero, ma anche il suo seguito (il nunzio Aleandro lo scrisse chiaramente: ormai Lutero era diventato un eroe, era troppo tardi per fermarlo). Solo nel 1520, Leone X condannò 41 delle 95 tesi (con la bolla Exsurge Domine). La condanna non tardò ad arrivare: Lutero aveva negato l’infallibilità del pontefice, che poteva, con le chiavi, redimere, liberare, salvare tutte le anime. Fu convocata una Dieta (supremo organo politico dell’impero), a cui partecipava anche Carlo V (imperatore nel 1519), in seguito alla quale Lutero sarebbe dovuto essere condannato al rogo. In antico regime deviare sul piano religioso era un tutt’uno che deviare sul piano politico. L’eretico era anche un dissidente. Il neo imperatore Carlo V si recò per la prima volta in Germania, nel 1521, per la Dieta di Worms, e ottenne dai principi la firma di un editto contro Lutero per formalizzarne l’arresto (e il conseguente processo a Roma). Il monaco si trovava davanti all’imperatore e all’emissario del papa, ma egli non ritrattò. Federico di Sassonia intervenne in favore di Lutero e gli impose la segregazione nella Wartburg (castello- fortezza in Turingia) inscenando un rapimento, dove Lutero elaborò la Biblia germanica (nascita del tedesco letterario moderno; abbattimento analfabetismo). Il testo ebbe enorme fortuna, e fece di Lutero uno dei maggiori autori letti al mondo. Lezione del 11.10.2022 1.1 Ricapitolazione Riforma Leone X apparteneva alla famiglia Medici. Era il classico principe rinascimentale che godeva di molti lussi e divertimenti. A differenza di suoi predecessori, non aveva avuto figli, ma per Lutero e i suoi seguaci non era un papa migliore di altri. La riforma aveva fatto numerosi adepti sia tra le masse sia tra i principi o i ranghi più alti. Ciò rese più difficile per la chiesa fermarlo. Anche Carlo V si rese conto dell’importanza di Lutero ed egli, originario delle fiandre, non si sentiva suo agio nel mondo imperiale: era giovane, senza consenso e sapeva di essere stato eletto grazie al denaro. Nei colloqui del 1518 (precedenti all’elezione di Carlo V) e dopo, venne ribadita l’importanza del pontefice, del suo potere e della chiesa. Inizialmente il pontefice inviò i dotti (vescovi, arcivescovi e teologi) del tempo a parlare con Lutero. 1.2 Gli scritti di Lutero Federico di Sassonia aveva compreso l’importanza di Lutero, e ottenne da Roma che il processo fosse tenuto in Germania e non a Roma, con il fine di evitare l’ inquisizione. Lutero accettò la dieta di Worms perché era conscio dell’enorme successo che le sue parole avevano riscosso in Germania e non solo. Con la Dieta di Worms, Lutero pubblicò degli scritti in un tedesco chiaro, pulito, semplice e diretto, tra cui: - Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca, in cui chiedeva un concilio rivendicava il sacerdozio universale: tutti i fedeli sono sacerdoti di sé stessi. La figura del sacerdote era vista negativamente, in quanto mediava la parola di Dio e la rendeva incomprensibile o la spiegava male la parola di Dio; - Della cattività babilonese della chiesa, ribadì i due sacramenti istituiti da Cristo. Inoltre, alla transustanziazione (trasformazione miracolosa del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo) sostituì la consustanziazione; - Della libertà del cristiano, in cui polemizzò contro Erasmo da Rotterdam sull’arbitrio umano. L’uomo era libero di farsi servo di Dio e la libertà del cristiano non era una libertà sociale e politica. Rispetto a chi ha tentato di caricare il luteranesimo di tratti angosciosi, si è notato, con Adriano Prosperi, che il pensiero di Lutero non era cupo come è diventato nei secoli successivi. Tuttavia, il punto più controverso della dottrina luterana fu proprio il libero arbitrio. Anche grazie alla stampa, i suoi scritti (soprattutto le lettere) divennero importantissime. I tedeschi, nei secoli, raccolsero le lettere e il corpus di documenti divenne un monumento all’”Ercole germanico”. 1.3 Il dibattito sul libero e servo arbitrio Erasmo e Lutero entrarono ben presto in conflitto. Erasmo (in seguito dichiarato nemico tanto dai protestanti quanto dai cattolici) non poteva accettare che venisse meno una delle colonne portanti del cattolicesimo: il libero arbitrio. Secondo la dottrina tradizionale, Dio metteva alla prova il cristiano dandogli il libero arbitrio e lasciandogli la libertà di agire, di comportarsi bene o male. A ciò Lutero rispose con la pubblicazione del De servo arbitrio, in cui spiegava che l’unica libertà concessa all’uomo era quella di abbandonarsi a Dio. 1.4 La rivolta dei contadini e dei cavalieri Nel 1525, Lutero pubblicò “Contro le empie e scellerate bande dei contadini”. In Europa, pochi anni prima della riforma, imperversava una carestia che aveva prodotto delle rivolte contadine, che riguardavano l’impero tedesco e la Francia. A differenza del passato, i contadini accompagnarono alle falci le parole di Lutero. Utilizzarono Lutero per rivendicare dei diritti sociali e politici. Si trattava di una rivolta con un chiaro contenuto politico. Lutero, invece, nello scritto, chiese ai principi di uccidere tutti i contadini, i quali stavano strumentalizzando il verbo divino per ottenere dei diritti che non avevano a che fare con la libertà di cui parlava lui. È vero che Lutero fu un riformatore e un rivoluzionario, causando lo scisma (sebbene senza volerlo), ma rimaneva un uomo del suo tempo che credeva nel rispetto dell’autorità politica. C’era un ordine costituito, l’autorità politica voluta da Dio, ed era un reato muovere guerra all’imperatore o ai principi, e quindi i contadini rivoltosi erano dei nemici della fede (cospiratore = eretico). Egli ebbe parole dure anche contro gli ebrei. Per Lutero non bisognava riformare l’impero, ma la chiesa. La sua riforma era religiosa, non politica e sociale. Ma non furono solo i contadini a ribellarsi: al loro fianco combattevano anche i cavalieri, una nobiltà minore emarginata o impoverita (la cavalleria pesante stava decadendo) che traeva il suo potere dall’esercizio delle armi. 1.5 La lega di Smalcalda Dopo la rivolta dei contadini e dei cavalieri vi fu una seconda dieta, a Spira, nel 1529, che mise in luce l’incapacità di Carlo V di agire di fronte alla riforma (che interessava la Germania e quei paesi con gli stessi fondamenti culturali o linguistici). Il papa continuava a non voler raggiungere il compromesso con Lutero, a non convocare il Concilio, sebbene gliel’avessero chiesto sia Lutero sia Carlo V. L’imperatore sapeva che la riforma poteva causare uno scisma politico, perché parte dei suoi principi avevano aderito e gli si opponevano politicamente (equazione trasgressore politico = eretico). L’imperatore non poteva andare direttamente contro la riforma perché significava andare contro i suoi principi. Nel 1530, ad Augusta, i principi tedeschi che aderirono alla riforma, firmarono la confessio augustana, affermando di sostenere Lutero. Così il protestantesimo assunse un connotato politico. Nacque la lega di Smalcalda, un esercito di principi che osteggiavano l’imperatore. La parte protestante dei tedeschi andava militarmente contro la costumi, soppresse i conventi. Nel momento in cui Zurigo si diede la sua chiesa, si giunse all’irrigidimento dogmatico, e Zwingli morì combattendo (battaglia di Kappel); alleato con le cittadine che avevano aderito alla riforma, combatté contro le altre città svizzere cattoliche che cercavano di impedire l’attecchimento della riforma. 1.5 Calvino Calvino era un riformatore francese, figlio di un giurista, con una cultura influenzata dalla formazione giuridica. Il calvinismo si diffuse in Francia (con la variante degli ugonotti) e a Ginevra, agganciata sia politicamente sia culturalmente alla Francia. Calvino giunse in Svizzera invitato da un intellettuale a riformare sul piano religioso. Scrisse l’Istituzione della religione cristiana, considerato l’atto di nascita del calvinismo. Visitò l’Italia e lasciò delle considerazioni forti su di essa, accusando gli italiani di essere come Nicodemo, medico presente nel Vangelo che impartì le proprie cure a Cristo, anche se di nascosto: li accusò di codardia. Gli italiani erano convinti che la chiesa dovesse essere riformata, ma rimanevano in silenzio. Tornò a Ginevra nel 1544, quando Contarini stava combattendo per ricompattare lo scisma (colloqui di Ratisbona), e allora diede avvio alla sua riforma. Riconobbe gli stessi sacramenti di Lutero, i quattro ministeri (pastori, dottori, anziani, laici), concistoro (pastori e dottori) e amalgamò chiesa cittadina e governo cittadino (collaborazione tra chiesa e governo). Quando Ginevra giunse al suo dogma, vi fu un nuovo irrigidimento e l’eliminazione degli oppositori. Anche la Svizzera, che in un primo momento era stata tollerante, si rivelò tutt’altro che tale. I successori di Calvino ne svilupparono il pensiero, diedero al calvinismo una struttura più sistematica, attraverso il patto con Dio (la grazia in cambio del rispetto dell’ordine), la figura del ricco che coincide con quella dell’eletto, la tolleranza per gli esuli, i sinodi, istituti mediante i quali il calvinismo poté diffondersi in Olanda, Inghilterra con il puritanesimo, in Scozia con il presbiterianesimo, in Francia con gli ugonotti (significato: federati svizzeri), ben più del luteranesimo. 1.6 Differenze tra calvinismo maturo, cattolicesimo e luteranesimo La differenza tra le tre confessioni riguardava il problema della grazia (salvezza): - Nel cattolicesimo: l’operato dell’uomo (dotato di libero arbitrio, capace di preferire il bene al male) e grazia divina; - Nel luteranesimo: sola fide (solo per grazia divina, ad imperscrutabile giudizio di Dio, indipendentemente dalle opere); - Nel calvinismo: originariamente si tratta in effetti della stessa posizione luterana (provvidenza imperscrutabile, ma, a opera dei successori di Calvino, si sviluppò il dogma della doppia elezione); Il calvinismo maturo sviluppò la convinzione che l’eletto (colui che Dio salverà) sia un individuo che, già a partire dalla vita terrena, si dimostra superiore (particolarmente capace, dotato, vincente). Per questa strada le opere dell’uomo, durante la vita terrena, che vengono completamente svalutate nel credo luterano, tornano ad avere importanza con il calvinismo maturo. Non si tratta di un ritorno al dogma cattolico, però, perché nel calvinismo il rapporto causa-effetto risulta inverso rispetto al cattolicesimo. Psicologicamente la doppia predestinazione calvinista significava avere successo, divenire ricchi, dimostrare al prossimo di essere salvi. Per Weber (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo), c’era un nesso tra le civiltà mercantili, già orientate all’accumulo di denaro, e il capitalismo, che ha maggiormente attecchito in quelle regioni calviniste. Il calvinismo piaceva perché, a differenza del cattolicesimo, dava una speranza ai ricchi, che nel cattolicesimo erano condannati e costretti a donare tutto in punto di morte. Weber si riferisce allo "spirito" capitalistico, a quella disposizione socio-culturale che, correggendo la spontanea sete di guadagno, induce il calvinista a reinvestire i frutti della propria attività per generare nuove iniziative economiche. Lezione del 13.10.2022 1.1 L’anglicanesimo Mentre in Francia c’erano i cattolici e i calvinisti ugonotti e nell’impero, in Scozia, in Olanda, nel Brandeburgo i calvinisti, in Inghilterra si era diffuso l’anglicanesimo. L’anglicanesimo faceva parte della riforma, ma a differenza delle altre regioni riformate, si sviluppò non per ragioni dogmatiche (anche le donne potevano accedere al sacerdozio) bensì politiche. Il motivo per il quale l’anglicanesimo si originò fu perché Enrico VIII aveva un problema dinastico. Non aveva un erede legittimo maschio. La donna, sposandosi, portava in dono il regno, cosa che non accadeva con gli uomini, e nel fare ciò accadeva che le potenze straniere si impossessassero del regno. Con l’inizio della riforma, Enrico VIII aveva promesso di difendere il papa e aveva ricevuto il titolo di difensor fidei, ottenuto quando Lutero aveva diffuso le sue tesi. Ma a causa del problema dinastico, Enrico VIII dichiarò sciolto il matrimonio e spedì la moglie in convento per sposare Anna Bolena. Fu un sovrano che rischiò molto, ma non folle. Neanche Anna Bolena riuscì a concepire un maschio: al suo posto nacque Elisabetta, futura regina d’Inghilterra. L’erede maschio, Edoardo VI, giunse con Jane Seymour, ma era debole e morì troppo giovane. Con l’atto di supremazia del 1534 Enrico VIII si dichiarò capo supremo della chiesa d’Inghilterra, sebbene fu l’arcivescovo di Canterbury a mantenere realmente quel titolo. Edoardo VI fu responsabile del Book of Common Prayer, proseguì la riforma religiosa e accolse i calvinisti e gli esuli italiani. 1.2 La successione dopo Enrico VIII Inizialmente la chiesa anglicana non discusse il problema dottrinale. La sua era una questione politica: l’unico elemento di novità fu la secolarizzazione dei beni ecclesiastici. Il movente dello scisma fu politico e dinastico. Enrico sapeva che non poteva lasciare l’Inghilterra senza un erede maschio, dopo la guerra delle rose e di quella dei cent’anni. Aveva una figlia femmina che poteva divenire regina, perché le regole lo permettevano, ma l’erede maschio garantiva che il regno non fosse usurpato dagli stranieri. Elisabetta I era per molti un anticristo, perché figlia di Anna Bolena, e la maggior parte della popolazione, cattolica, non la vedeva di buon occhio. In realtà fu un’ottima sovrana. Morto Edoardo VI, salì al trono Maria I, cattolica e animata dal desiderio di vendicarsi e di ridare dignità al cattolicesimo e a sua madre. Il suo regno fu all’insegna della repressione nei confronti di tutto il mondo riformato. Non c’erano solo gli anglicani ma anche gli esuli che avevano trovano nell’Inghilterra e in altri paesi delle isole di tolleranza. Tutte queste categorie furono perseguitate. Non fu molto diversa la reazione di Elisabetta quando il papa la scomunicò: la sovrana reagì reprimendo i cattolici. Il marito di Maria I, figlio di Filippo II, tentò, alla morte di Maria, di sposare Elisabetta, la quale gli fece credere di volerlo sposare, quando poi non lo fece. Filippo, allora, tentò di prendere l’Inghilterra con le armi, ma fallì anche in quel caso. Elisabetta non si sposò pur di assicurarsi che l’Inghilterra sarebbe rimasta agli inglesi. Il rapporto tra Elisabetta e il padre era controverso: per la sovrana, il padre era un punto di riferimento, sebbene a causa sua, dopo la sua morte, lei fosse stata reclusa e la sorella Maria I avesse tentato di eliminarla. 1.3 La questione italiana L’Italia era un paese in bilico, a un passo dall’aderire alla riforma. Le idee circolavano e molti le condividevano (caso del mugnaio), ma gli italiani si comportavano come Nicodemo. Nella penisola era molto diffusa l’eterodossia (pensiero diverso da quello ortodosso), poiché questa era non solo capace di assorbire e rielaborare i diversi fermenti religiosi (pensiero erasmiano, luterano, spiritualista, anabattista) ma era anche capace di diffondere nel resto d’Europa visioni religiose del tutto sui generis. Molti italiani (ecclesiastici e non) che divennero esuli, perché considerati eterodossi e perciò eretici, sebbene si trattasse di personalità che si considerarono tutt’altro che eretiche in Italia (a volte l’accusa di eterodossia serviva solo a liberarsi di un individuo). Il confine fra ortodossia ed eterodossia fu particolarmente labile, confuso: morirono con lo stigma di eretico (e magari in terra straniera) pensatori che coltivarono le stesse idee di riforma spirituale-religioso di molti altri che, al contrario, non furono colpiti da alcun provvedimento repressivo (o seppero evitarlo, e magari continuarono a occupare un alto ruolo entro la gerarchia ecclesiastica). Tuttavia, solo chi poteva leggere e comprendere il messaggio di Lutero, ossia l’elite, si avvicinò alla riforma. Il lavoro di Delio Cantimori ha tracciato un sentiero di ricerca che in molti ancora percorrono, in quanto il vasto quadro dell’eterodossia nell’Italia del primo ‘500 non è stato ancora ricostruito nella sua interezza. 1.4 Gli esuli italiani Al di là dei casi semplici, l’adesione alla riforma in Italia andò di pari passo alla diffusione di circoli letterali. Molti furono gli esuli: - Bernardino Ochino fu generale dei cappuccini (nati nel 1536, da una costola dei francescani), senese, valente predicatore, entrato in contatto anche col cenacolo napoletano di Juan de Valdés; costretto alla fuga riparò in Svizzera, Germania, Polonia, etc.; - Pier Martire Vermigli fu generale degli agostiniani; costretto a fuggire, riparò in Inghilterra; - Pier Paolo Vergerio fu vescovo di Capodistria; riparò in Svizzera; - cenacolo di Juan de Valdés, erasmiano spagnolo (alumbradismo: obbedienza formale e illuminazione interiore), frequentato da Giulia Gonzaga, Vittoria Colonna (ebbe uno scambio epistolare con Michelangelo), Galeazzo Caracciolo, Pietro Carnesecchi; disperso nel 1541, con l’arrivo di un viceré che tentò anche di instaurare l’inquisizione nel regno di Napoli; - cenacolo di Reginald Pole, cardinale d’Inghilterra in esilio (Viterbo), raccolse gli esuli del cenacolo napoletano, fu il massimo oppositore di Gian Piero Carafa; - cenacolo del cardinal Gio. Gerolamo Morone, processato; - cenacolo di Renata di Francia (era figlia di Luigi XII e consorte di Ercole II d’Este), fu la protettrice di Calvino, e tornò in Francia alla morte del marito. Gli “eretici” italiani avevano un concetto largo di tolleranza ed erano contro la persecuzione religiosa. Questo fu uno dei motivi per cui dovettero emigrare. 1.5 Reginald Pole e la storiografia Reginald Pole era parente di Enrico VIII; fu esiliato, ma la madre, che morì nel tentativo di salvarlo, riuscì ad allontanarlo. Sulla via Appia c’è una cappella votiva, che Pole fece costruire dopo essere scampato ai sicari di Enrico VIII. Divenne il leader dello schieramento degli spirituali, che tentò fino alla fine di trovare un compromesso con il mondo riformato. Si ritirò a Viterbo e lì giunsero molti esuli di Napoli che produssero alcuni dei testi più eterodossi. Ai suoi si opposero gli zelanti di Carafa, che divenne papa. Gli zelanti, con il concilio di Trento, vinsero. Gli spirituali furono dispersi e vennero uccisi. I primi strumenti di cui i vincitori si dotarono fu l’inquisizione (tribunale, ministero che gestiva le opere di evangelizzazione). Cantimori definì eretici tutti coloro che liberamente interpretarono l’esperienza religiosa ribellandosi alle Chiese (cattolica, protestanti), non riconoscendosi (vale in specie per l’Italia) in alcuna di esse (uomini e donne accomunati anche da una spiccata tolleranza religiosa). Firpo vide la precoce diffusione dell’eresia in Italia per via del fatto che la Penisola era terreno fertile grazie alla grande sensibilità religiosa, al diffuso convincimento della bontà delle principali recriminazioni mosse dai riformatori e alla buona diffusione della stampa (Venezia). Menchi analizzò il mito di Erasmo attecchì in specie fra le élite italiane e influenzò in profondità la cultura italiana (anche di estrazione borghese). 1.6 L’inquisizione L’inquisizione esisteva nel medioevo, ma era caduta in disuso perché la chiesa aveva smesso di servirsene. Venne recuperata in Italia, mentre in Spagna era sempre stata autonoma e rispondeva al re (non al papa). L’ambito di azione dell’inquisizione non è limitato alle aree sotto il controllo pontificio. L’inquisizione giunse ovunque, tranne nei paesi dove era passata la riforma. Finì per essere uno strumento di persecuzione sia per chi era politicamente scomodo sia per chi era considerato un dissidente religioso. La struttura dell’inquisizione era ramificata e la sua presenza sul territorio fu capillare: vi era una sede centrale a Roma, e altre sedi sotto il controllo dei vescovi. Fu l’Italia a subire maggiormente la pressione dell’inquisizione, con l’eccezione di Venezia. Nei domini spagnoli c’era l’inquisizione spagnola, ma anche quella di Roma permeò difficile (ci si serviva di cavalli o buoi e in seguito della ruota), perciò se ne usavano pochi. A distinguersi in questa fase furono gli olandesi d’Orange, la famiglia che guidò i Paesi Bassi all’indipendenza dalla Spagna. 1.5 La terza fase di Parker Con la terza fase si assistette al ritorno della cavalleria, che recuperò il suo ruolo importante, sebbene fosse ormai una cavalleria leggera. Il cavallo e il cavaliere non avevano più le armature che avevano in passato. I massimi protagonisti di questa fase furono gli Svedesi. Durante la terza fase si assistette alla nascita della New model army, ideata e resa celebre da Cromwell, che giunse al potere anche grazie ad essa, caratterizzato da un minore numero di file di tiratori per il fuoco, da un maggior numero di soldati di professione. 1.6 La quarta fase di Parker Durante questa fase, nei quadrati di fanti, quasi tutti avevano l’arma da fuoco. C’era più rigore nell’ordine di schieramento e di attacco. Furono introdotte le uniformi per i soldati e le tende per accampamenti, tutte uguali e disposte in modo regolare. Questo tipo di attrezzatura, che fu resa disponibile anche per la fanteria, all’inizio dell’età moderna non esisteva. Da ciò si comprende perché l’esercito fosse tanto costoso: non solo doveva essere armato, addestrato e pagato, ma anche mantenuto (viveri). Per sfamare i soldati erano consentite le razzie in saccheggio: c’era chi moriva di fame perché veniva privato dei prodotti della terra che lui stesso coltivava, o villaggi che erano stati saccheggiati e che impiegarono decenni a riprendersi. Infine, per accendere il fuoco o riscaldare i cibi e i soldati, furono disboscati interi boschi. 1.7 La quinta fase di Parker e la condizione italiana L’ultima fase di Parker riguarda l’ulteriore organizzazione della fanteria leggera, la logistica e la cartografia: bisognava conoscere bene lo scenario della battaglia prima di scendere in campo (Napoleone). La rivoluzione militare ha riguardato non solo gli stati europei più grandi e potenti, ma anche quelle realtà più piccole, come l’Italia, frammentata. Infatti, non bisogna collegare la rivoluzione militare solo alla condizione di stato moderno, inteso come stato che progredisce a livello politico, economico, tecnologico ecc., poiché molte innovazioni (polvere pirica e esercito interarmi, composto da corpi diversi, ciascuno costituito da professionisti di quell’arma o di quella tecnica bellica) hanno all’origine una spiegazione culturale che si richiama alla tradizione italiana (terminologia militare pressoché italiana, così come anche i cognomi: alcuni richiamano una professione, uno schieramento politico, all’arte della guerra): molti italiani hanno contribuito a rendere realtà la rivoluzione militare, sebbene non l’abbiano fatto per il loro stato, ma per gli altri. Per questo motivo Pieri parla di rivoluzione militare mancata nel caso italiano. 1.8 La guerra ignobile All’inizio dell’età moderna, non c’era ancora la classificazione dei ruoli che ci fu alla fine. La distinzione si basava sulla differenza di ceto: i contadini non rivestivano ruoli importanti nell’esercito. Tuttavia, non era più la capacità personale del soldato a fare la differenza, ma l’avere o meno le armi più potenti. In questo paradigma, la guerra divenne, agli occhi della nobiltà di sangue, ignobile (meno nobile), perché quella nobiltà basava il suo valore proprio sulla guerra. Si giunse a una condizione simile a quella del desgano vital: la nobiltà non comprendeva più qual era il suo senso: si assistette a un crollo del valore culturale, sociale e politico da cui la nobiltà stessa discendeva, sebbene non volesse ammetterlo. 1.9 La guerra navale Per quanto riguarda la guerra navale, le innovazioni furono minori perché la massima parte delle battaglie d’età moderna non fu combattuta in mare. Anche in ambito di guerra sui mari la penisola italiana (l’Europa mediterranea, più in generale) vantava un importante know-how, che continuò ad essere messo a frutto in specie da genovesi e veneziani, con varia modalità (asientos di galere, guerra di corsa) come pure, in tempo di pace, in ambito di marina mercantile (di flotte commerciali, private o di stato). L’imbarcazione da guerra, era la galèa a remi, di lunghezza attorno ai 50 m, dotata di una prua snella e di una poppa più larga, di due o tre alberi a vele latine in ragione della sua stazza (una nave grande, pesante, non facile da manovrare), adatta solo alle acque del Mediterraneo (non agli Oceani; questa la ragione per cui l’Invincibile Armada ebbe la peggio nel canale della Manica, combattendo contro l’agile naviglio inglese). 2.0 Il saccheggio Si combatteva quasi solo con la bella stagione (l’autunno e l’inverno erano invece le stagioni della diplomazia: del confronto/della trattativa diplomatica). Il saccheggio era un evento consueto, specie nelle campagne (eserciti che si spostavano, e spesso per centinaia di chilometri, senza poter contare su approvvigionamenti alimentari): il saccheggio di una città poteva essere invece accordato come premio alle soldatesche (e di norma durava pochi giorni) o poteva divenire un modo per rispondere alla mancata resa dell’avversario. Anche prima dell’introduzione del diritto delle armi, le popolazioni civili (rurali o urbane) rimanevano estranee ai conflitti (per consuetudine/nel rispetto della religione). Lezione del 25.10.2022 1.1 Controriforma e Concilio di Trento La risposta del Concilio ebbe l’obiettivo di reprimere l’eresia e impedirne una nuova manifestazione da un lato, e riformare la Chiesa dall’altro. Le innovazioni introdotte dal Concilio, che hanno dato alla Chiesa il volto che conosciamo ancora oggi, devono essere analizzate su due piani: - su un piano dogmatico furono ribaditi tutti i fondamenti del cattolicesimo: i sette sacramenti (con l’eccezione del matrimonio, che assumeva importanza anche a livello politico ed economico grazie alla figura della donna e della dote che questa portava con sé), la combinazione di fede e opere buone, il valore delle Sacre Scritture e della loro interpretazione (messa in latino), tradizione ecclesiastica, culto dei santi e delle reliquie, pratica delle indulgenze e catechismo Romano (Credo); - sul paino disciplinare furono potenziate le funzioni dei vescovi (istituto delle visite pastorali, che implicava un ferreo controllo della propria diocesi, per impedire all’eresia di svilupparsi nuovamente), fu resa obbligatoria la residenza nella propria parrocchia o diocesi per vescovi e sacerdoti, restaurazione dell’Inquisizione e della Sacra Congregazione (l’Indice dei libri proibiti), l’istituzione dei seminari per i parroci, l’obbligo di redigere e conservare i libri parrocchiali (battesimi, morti, matrimoni e stati d’anime) e la nascita di nuovi ordini religiosi. Le innovazioni della Chiesa sul piano disciplinare ebbero delle ricadute sociali, politiche e culturali enormi: amplificando il potere delle autorità della chiesa, divenne impossibile per il potere temporale evitare il dialogo con le istituzioni ecclesiastiche. 1.2 I libri parrocchiali I libri parrocchiali non nacquero con il concilio di Trento, in quanto erano presenti già in tempi più antichi: il Concilio stabilì solamente che dovevano essere presenti in ogni parrocchia e annotare i cambiamenti demografici a livello locale. Tuttavia, non tutti i parroci e i vescovi si impegnarono a rispettare questa istituzione, o talvolta i parroci erano troppo ignoranti e commettevano degli errori nell’annotare. All’inizio dell’età moderna non esisteva un registro per segnare chi fosse nato, morto o si fosse sposato, e questi libri divengono perciò uno strumento fondamentale nelle mani degli storici d’arte o dei demografi per ricostruire le biografie di singoli o per stimare l’impatto di crisi, carestie o guerre sulla popolazione. Dai libri dei battesimi, ad esempio, si ricavano anche informazioni sui padrini e le madrine: in età moderna, il madrinaggio e il padrinaggio erano importanti perché fornivano protezione ai bambini, protezione che poteva avere delle conseguenze politiche, economiche e sociali sulla vita adulta; oppure, il fatto che il neonato fosse stato portato alla fonte battesimale dalla solo levatrice faceva intendere che questi era in pericolo di morte e che poco dopo lo stesso nome sarebbe stato ritrovato nel registro dei morti. 1.3 Gli stati d’anime Gli stati d’anime rappresentavano l’unica fonte che consentiva di stimare un fenomeno importante dell’antico regime, ossia la mobilità. Oltre a questo, gli stati d’anime furono uno strumento per impedire una nuova diffusione dell’eresia. Il vescovo doveva scrivere chi abitasse in ogni casa della sua diocesi, chi andava a messa e riceveva l’ostia almeno una volta all’anno. Qualora avesse riscontrato che in una casa abitasse qualcuno che non frequentava la chiesa o non apparteneva alla diocesi, allora poteva sorgere il dubbio che si trattasse di un eterodosso. Si comprende, perciò, come i vescovi e i parroci divennero gli strumenti di cui si servì il papa per controllare il territorio sotto la sua autorità. 1.4 I nuovi ordini religiosi Nuovi ordini religiosi, sia femminili sia maschili, si svilupparono già a partire dagli anni venti del XVI sec. (anche prima della riforma luterana), nascita di nuovi ordini, e costituirono uno degli aspetti più significativi della Controriforma: infatti, diedero nuovo slancio alla missione evangelizzatrice ed educatrice della Chiesa (cappuccini, teatini, scolopi, barnabiti, orsoline, oratoriani, gesuiti). Tuttavia, proprio per questo, alcuni ordini religiosi divennero scomodi, perché, occupandosi dell’educazione, quasi sempre dei rampolli delle famiglie aristocratiche, potevano influenzare l’atteggiamento di coloro che sarebbero divenuti i futuri governanti. Tra questi vi erano i gesuiti, che nel ‘700 furono soppressi, ma che riacquisirono in seguito il loro prestigio. A fondare l’ordine gesuita fu Ignazio di Loyola, un guerriero che diede un’impostazione militare all’ordine, poiché vedeva in esso un difensore della cristianità e del pontefice. La Controriforma, tuttavia, è segnata anche da pagine buie, tra cui il rogo di Giordano Bruno, i processi a Galileo, la carcerazione di Campanella (per ben 30 anni), e l’interdetto di Paolo V; 1.5 L’idea di guerra e di tolleranza Il Concilio di Trento segnò anche l’inizio del secolo di ferro, segnato da guerre di religione o da scontri politici, teologici o sociali che divennero violenti, portando a condanne a morte o alla persecuzione. Questo periodo di conflitto si concluse con la pace di Vestfalia (1648), cioè con la fine della guerra dei Trent’Anni. Questa guerra è divisa in quattro fasi, ed è più corretto indicare la prima fase come l’ultima guerra di religione della storia (fase boemo-palatina), poiché le altre tre furono a carattere esclusivamente politico. Tuttavia, si tentò di neutralizzare la guerra e ridurne la violenza o rendere più difficile per chi avesse l’intento muoverla riuscire a farlo (passaggio da guerra giusta a guerra legittima). Mutò, in epoca moderna, anche l’idea di tolleranza religiosa: tolleranza divenne sinonimo di accettare di convivere con qualcuno che professava un credo diverso rispetto al proprio. La concezione di tolleranza come “rispetto e difendo la tua visione religiosa sebbene sia diversa dalla mia” è un traguardo culturale, nonché politico-giuridico, che si formò solo in età contemporanea. È comunque importante sottolineare la differenza tra hostis, ossia il nemico in campo, e inimicus, che presuppone un contrasto anche sul piano ideologico (es.: discriminazioni razziali): diritto delle armi connesso a guerra legittima, con il tentativo di superare il principio della guerra giusta. 1.6 La Francia ugonotta La Francia era stata in bilico tra eresia e cattolicesimo, perché molti esponenti della casa reale avevano aderito al calvinismo (Renata di Francia). I calvinisti francesi si chiamavano ugonotti, termine che rappresenta una storpiatura di un vocabolo francese che significava “confederati”. Per anni vi erano stati sia scontri (guerra civile sostenuta da Elisabetta I, a favore degli ugonotti, e da Filippo II di Spagna, a favore dei cattolici) sia pacificazioni, che si risolsero, tuttavia, in un nulla di fatto. Lo scontro più violento si verificò con la notte di San Bartolomeo, organizzato dai Guisa, una famiglia spagnola imparentata con la corona francese. Il sovrano aveva una sorella, la quale fu data in sposa al re di Navarra (realtà feudale molto prestigiosa che aveva guadagnato il titolo regale), capo degli ugonotti, con il fine di rafforzare il legame con il mondo cattolico. Si pensava che per mezzo del matrimonio e dell’abiura di Enrico IV alla fede ugonotta, sarebbe giunta la pace. Invece, con l’arrivo a Parigi di tutti i capi ugonotti per il matrimonio, che durava molti giorni, nella notte tra 23 e 24 Agosto 1572 si compì il massacro. Molti hanno visto nella strage la responsabilità della corona francese, teoria poco probabile vista la debolezza del sovrano (che aveva anche problemi mentali) e la vicinanza dimostrata da parte della regina 1.6 La situazione dell’Inghilterra Anche l’Inghilterra, nel corso del primo ‘600, dovette affrontare la questione religiosa. Il periodo elisabettiano si era caratterizzato per lo splendore, dovuto all’abilità della sovrana che seppe evitare le guerre di religione. Tuttavia, quando il papa la scomunicò nel tentativo di indurre i suoi sudditi a non riconoscerla più come sovrana legittima, si dimostrò altrettanto spietata come la sorella Bloody Mary, perseguitando i cattolici. Finché Elisabetta regnò, nessuno contestò l’anglicanesimo (come religione di stato), ma alla sua morte salì al trono James I Stuart, il figlio di Mary Stuart, cugina di Elisabetta. Con la sua incoronazione, si presentò il problema religioso, che prese avvio con la congiura delle polveri: si ritenne che una setta di cattolici reazionari avesse attentato alla vita dei parlamentari, posizionando dei barili di polvere da sparo sotto al Parlamento; tuttavia, la congiura fu sventata e i responsabili giustiziati. Ma l’attentato fu un pretesto per risollevare la questione religiosa e accusare i cattolici. 1.7 Maria Stuart Inoltre, l’Inghilterra stava vivendo una crisi economica, che si risolse nella prima rivoluzione inglese, una sorta di guerra civile, perché portò una parte degli inglesi a combattere contro l’altra (l’elemento politico prevalse su quello religioso). La Scozia si era dimostrata contraria al fidanzamento tra Maria Stuarda e Enrico VI, che avrebbe significato la sua dipendenza dall’Inghilterra. Per evitare il matrimonio, Maria fu allontanata dal paese dai Guisa e condotta in Francia, dove sposò il delfino. Alla morte di questi, fu costretta a tornare in Scozia, dove ribadì la sua confessione cattolica. Dalla decisione di Maria di risposarsi e di condurre una campagna contro l’Inghilterra (era una legittima pretendente), si generò un’antipatia con Elisabetta, che la fece rinchiudere in una torre. 1.8 La guerra civile Il figlio di Maria Stuart, James I, venne cresciuto nella confessione anglicana, elemento che fece sì che la Scozia passasse in mano inglese (sebbene non rinunciò mai alla sua indipendenza né si convertì all’anglicanesimo): in Scozia attecchì il calvinismo, per un motivo politico; il calvinismo divenne lo scudo contro l’altro, ossia contro l’anglicanesimo inglese. Morto James I, salì al trono il figlio Carlo I, che dovette portare avanti la guerra contro la Scozia: fu costretto a convocare il parlamento, come prevedeva lo ius commune. Il parlamento (Short Parliament) chiese una serie di concessioni, ma il re si oppose e tentò di scioglierlo. Non riuscì nell’intento, perché il parlamento si riformò (Long Parliament) e si giunse alla guerra (1649). L’Inghilterra si divise: una parte rimase fedele al re, l’altra metà si alleò con il Parlamento, fondando la New Model Army, guidata da Oliver Cromwell, un piccolo nobile (gentry, classe molto attiva in età moderna) e parente di un importante ministro di Enrico VIII. Fu la gentry, servendosi delle enclosures, a svolgere un ruolo importante durante l’età moderna. 1.9 Oliver Cromwell Cromwell organizzò un esercito molto forte e preparato, con il quale sconfisse Carlo I, che fu processato e decapitato. Tuttavia, anche nella vicenda di Cromwell c’è una vena religiosa: Cromwell era di confessione puritana (così come i round head), ossia da anglicani molto vicini al calvinismo. Questa fase puritana, tuttavia, non durò a lungo. Dopo aver vinto contro il re, Cromwell instaurò la repubblica del Commonwealth, dove il capo era il Lord Protettore. Non si trattava di una repubblica oligarchica, ma di un tentativo di instaurare la dinastia di Cromwell e quindi l’Inghilterra, nella pratica, rimase una monarchia, sebbene, almeno formalmente, ebbe la sua parentesi democratica. Con la morte di Cromwell (il cadavere fu processato da Charles II e in seguito impiccato) e il tentativo fallimentare di operare la successione con il figlio Richard, in Inghilterra ritornarono gli Stuart, con Charles II, che operata una sanificazione del paese a livello politico, cercò di tranquillizzare i suoi sudditi anche a livello religioso, con l’Atto di Uniformità, con cui si stabiliva che solo l’anglicanesimo era la confessione ufficiale; l’Habeas corpus Act (legato all’editto di Nantes), invece, sanciva che chi fosse stato processato (processato doveva essere presente in aula) sarebbe stato giudicato da un correligionario. Questo, con l’editto di Nantes, denota che il clima era molto teso e fa comprendere come, in antico regime, la giustizia fosse spettacolarizzata: l’esecuzione avveniva pubblicamente nella piazza più importante e l’unica clemenza per il condannato poteva essere un’esecuzione privata. Giacomo II, con il Test Act, per 150 anni i cattolici erano stati estromessi dai pubblici uffici: la conversione al cattolicesimo del sovrano e la nascita di un erede maschio, misero in allarme il Paese. Lezione del 27.10.2022 1.1 The Glorious Revolution La gloriosa rivoluzione durò solo pochi mesi. Il motivo per il quale è detta gloriosa è perché non fu cruenta né comportò spargimenti di sangue e quindi non ebbe conseguenze drammatiche. Tuttavia, la svolta sul piano politico istituzionale fu notevole. Il parlamento inglese, davanti alla prospettiva del sovrano inglese che si era convertito al cattolicesimo e aveva represso l’anglicanesimo, elaborò il Bill of Rights, in cui erano elencate le diverse concessioni fatte ai sudditi dalla corona inglese nel corso dei secoli, un insieme di diritti che erano stati concessi a partire dal 1215 (Magna Charta) e che si ritrovavano nello ius commune, e furono sottoposte alla firma del sovrano che il Parlamento riteneva più adatto a sedere sul trono: non si trattava di James II, ma di Maria Stuart, che aveva sposato un anglicano convintissimo, Guglielmo d’Orange. In conclusione, con il Bill of Rights, si stabilì che per regnare in Inghilterra era necessario, per il sovrano, spartire il proprio potere con il parlamento: era nata la prima monarchia costituzionale, e in Inghilterra aveva cessato di esistere l’assolutismo (1689). Il parlamento si divise nella camera dei Lord (baronetti, conservatori) e nella camera dei comuni (whigs, liberali). Ancora oggi i sovrani inglesi sono tenuti a sottoscrivere il Bill of Rights. 1.2 An Allegory of the Reformation Il dipinto è un’allegoria dell’Inghilterra anglicana e rappresenta il momento in cui il papa indusse Elisabetta I a una svolta reazionaria, a ribadire la sua posizione. Nel dipinto sono raffigurati Enrico VIII, ammalato, che indica Edoardo VI (il futuro dell’Inghilterra, l’anglicanesimo: il figlio era anglicano come il padre); sono presenti, inoltre, il pontefice detronizzato (ricorda la silografia di Lutero), i francescani che fuggono, e delle frasi che rammentano il destino dell’uomo e l’importanza di compiere azioni giuste. Questo dipinto è il trionfo dell’anglicanesimo: sebbene l’autore sia sconosciuto, fu Elisabetta I a volerlo realizzare. È su questa linea che il parlamento si rifiutò di riconoscere come re James II e il figlio, e di compiere la rivoluzione incruenta. In questo clima, Locke scrisse le “Epistole sulla tolleranza”, spiegando che le persecuzioni religiose dovessero essere abolite in nome della tolleranza, sebbene da questa visione inclusiva lasciò fuori i papisti e gli atei (il loro giuramento non aveva valore). 1.3 La guerra dei Trent’anni La guerra dei Trent’anni è stata, nel complesso, la guerra più cruenta dell’età moderna. Si calcola che, tra feriti, morti e sfollati, ha significato oltre cinque milioni di morti. Ha riguardato principalmente l’Europa centrale (Germania), ma anche il versante italiano della Valtellina. La Boemia, che al tempo era una monarchia elettiva, in mano agli Asburgo d’Austria, si oppose all’incoronazione di Ferdinando d’Asburgo, e offrì la corona a Federico V del Palatinato, calvinista: i sudditi boemi chiedevano maggiore tolleranza religiosa. La guerra è distinta in quattro fasi: - la fase boemo-palatina (riguardò principalmente Praga e palatinato): la componente religiosa giocò un ruolo importante; - la fase danese, quella svedese e quella francese, in cui il movente religioso fu sostituito da quello politico. I due schieramenti in campo furono la Lega Cattolica (comprendente i due rami d’Asburgo, il pontefice e una serie di potenti italiani) e la Lega Evangelica (di stampo calvinista). Il motivo per cui la prima fase si chiama boemo-palatina è perché il principe del palatinato prese la guida della Lega. L’Inghilterra non prese parte alla guerra dei trent’anni perché aveva altri problemi. 1.4 La defenestrazione di Praga L’innesco della guerra fu la defenestrazione di Praga (dominio Asburgico, soggetto a libertà anche a livello religioso); di fronte all’irrigidimento imperiale, i boemi protestanti gettarono dalla finestra gli emissari dell’imperatore. Al castello di Hradčany, noto anche come "Castello di Praga", il 23 maggio 1618 alcuni rappresentanti dell'aristocrazia, galvanizzati dal conte Thurn, catturarono due governatori imperiali, e un loro segretario e li lanciarono fuori dalle finestre del castello. Questi caddero da una altezza di circa 15 metri, ma nessuno di loro si ferì gravemente, anche grazie alla pendenza del terreno che attutì l'impatto. La sopravvivenza dei tre delegati imperiali fu vista, in ambienti cattolici, come una grazia divina e il segno che la lotta cattolica era approvata da Dio. 1.5 Lo scontro tra le due Leghe La Francia si schierò inaspettatamente dalla parte della Lega Evangelica, perché il suo interesse era battere gli Asburgo di Spagna: si comprende come l’elemento religioso fosse venuto meno. La battaglia della Montagna Bianca (collinetta innevata nei paraggi di Praga) fu l’unica che i cattolici vinsero, in modo imprevedibile. Tuttavia, archiviato quell’episodio, la guerra proseguì, e le potenze della Lega Evangelica portarono una serie di vittorie: la grande vincitrice della guerra fu la Francia. Con la battaglia delle Ardenne, la Francia vinse, consegnano la vittoria a sé e ai suoi alleati. L’imperatore venne ridotto a un primus inter pares, l’impero si spezzettò e al suo interno acquistarono peso il palatinato, la Prussia e la Svezia, mentre la Spagna si rifiutò di firmare gli accordi di pace: la guerra continuò per altri dieci anni e si concluse con la pace di Pirenei. La superpotenza sulla terra, da quel momento in poi, non fu più la Spagna (che manteneva i suoi domini in Italia), ma la Francia, sebbene il suo potere non durò a lungo; sul mare, invece, il dominio andò all’Inghilterra. Il motivo per il quale il papato non intervenne contro la guerra fu perché quella del papato era ormai un’istituzione debole, dato che il potere temporale non aveva più alcun valore (la scomunica non sortiva alcun effetto). 1.6 Il Sacro macello di Valtellina In Valtellina si erano rifugiati un discreto numero di individui eterodossi (calvinisti, anabattisti, ecc.), che furono sterminati dai cattolici, guidati dagli spagnoli partiti da Milano, nel 1620. Il motivo per cui il massacro è definito “sacro” è che fu fatto in nome della guerra di religione. Tutte le stragi che si verificarono nel periodo furono portate avanti dai cattolici. In tutte le pinacoteche esistono delle raffigurazioni che ricordano la guerra dei Trent’anni e i suoi massacri (fuga di famiglie, incendi, violenze da parte dei soldati) che si verificarono nel corso degli anni. 1.7 La strage di Ottaggio Sul versante italiano della guerra dei Trent’anni c’era anche la guerra di Carlo Emanuele I, duca di Savoia, contro la repubblica di Genova; questi, alleato con la Francia (1624), tentò di conquistare Genova. Per la Spagna, l’alleanza con Genova era importante, perché le consentiva di arrivare a Milano, ma in un primo momento i genovesi dovettero arrangiarsi anche senza gli spagnoli. I franco-piemontesi persero, perché non riuscivano a muoversi nella zona, fatta di piccoli paesini. In una di queste piccole terre, Voltaggio, i franco-piemontesi, che cercavano di avvicinarsi a Genova, si accamparono, compirono le diverse stragi, e gli abitanti di Ottaggio (Voltaggio), nel tentativo di evitare l’eccidio, chiusero i bambini e le donne nel campanile del paese; ma poiché i francesi non riuscirono a prendere donne e bambini, diedero fuoco al campanile. I genovesi di Ottaggio fecero stampare un piccolo dossier in cui raccontavano gli eventi e lo diffusero: i francesi ne crearono uno con la loro verità. La versione da parte francese fu che il duca di Savoia aveva tentato ogni modo per evitare la strage, che fu un’invenzione dei genovesi. A portare ancora più infamia sul duca di Savoia vi fu l’insulto rivolto ai suoi soldati, dei mercenari eretici, che furono al suo capezzale quando morì di peste (la peste era, nella convinzione popolare, mandata da Dio ai plebei: in questo caso, il re eretico era stato punito da Dio). 1.8 Città e campagna Nel corso dell’età moderna, si assistette, in tutta Europa, a un progressivo inurbamento (passaggio da campagne a città). Quel processo, che era cominciato con la rinascita basso medievale (nascita o rinascita di nuove città e borghi) nella parte d’Europa che aveva subito la maggiore romanizzazione, divenne più con la sua mentalità imprenditoriale, si rese protagonista tanto della rivoluzione agricola quanto di quella industriale. 1.6 Gli ordinamenti Dallo ius commune (diritto comune delle genti) si generarono cinque ordinamenti fondamentali: uomini liberi, che non coincidevano con quei contadini che pagavano corvée; comunità locali; signoria fondiaria, feudale ed ecclesiastica. Dall’ultima categoria nacquero, nel corso del medioevo, i poteri di banno (o di comando): ciò spiega perché nessuno sceglieva di possedere allodi piuttosto che feudi, dato che in quel modo ottenevano dei privilegi che l’allodio non dava, con i dovuti limiti (alla morte o in seguito a tradimento il terreno ritornava all’autorità che l’aveva concesso). I principali poteri di banno erano (non tutti i feudatari li possedevano tutti, solo i più grandi): - potere giudiziario: si esercitava la giustizia nei tribunali feudali, talvolta anche giustizia penale (alta giustizia), che dava loro il potere di decidere sulla vita o la morte di un imputato; - diritto di conio: i più grandi signori (Navarra, Loira, ecc.) avevano il diritto di battere la propria moneta, fenomeno che fu ridotto quando i sovrani decisero di riacquistare i poteri e i diritti che avevano perduto con il fine di rafforzare il potere centrale. Il motivo per il quale molti volevano questo potere era perché era fonte di grande ricchezza per i signori stessi, in quanto affidava alla moneta un valore maggiore rispetto a quanto gli era costato realizzarla; - diritto di imporre tasse, di far pascolare i propri armenti su terre di un’altra autorità e di concedere il diritto di pascolo alle altre comunità locali, diritto di transito, diritto su eredità e vendite, diritto di esigere corvée; - diritto di sorveglianza e polizia: molti signori feudali che abusavano di questo potere e compirono crimini. L’atteggiamento dell’autorità superiore rispetto alla feudalità fu ambivalente: da un lato i sovrani dovevano recuperare beni e diritti e quindi indebolire la feudalità, dall’altro avevano bisogno di questa, in quanto si trovavano in cima ad essa (il re era essenzialmente il signore feudale più importante). A livello economico, al re conveniva avere come sudditi grandi proprietari terrieri, e non poteva fare a meno di difenderli (es. leggi suntuarie, o intervento per evitare che il feudo fosse perduto). Il sistema feudale fu definitivamente abolito con la Rivoluzione Francese, sebbene in alcune parti d’Europa, sopravvisse nelle forme. 1.7 Città e feudi ecclesiastici L’ordinamento delle comunità locali (città), aveva uno statuto, ossia una piccola costituzione, sottoposta all’approvazione dell’autorità superiore, e che regolava i diritti e i doveri di chi viveva in quel luogo (es.: Altamura, Bologna, che era riconosciuta come una repubblica). Tuttavia, si tentò sempre di modificare e contrattare i vari statuti. Anche chi apparteneva all’ordinamento ecclesiastico (secolare o regolare), era soggetto a un potere feudale simile a quello laico. I due principali diritti dei complessi ecclesiastici erano: la decima (diritto di esigere la decima parte del raccolto, che poteva essere pagata anche dai feudatari dei dintorni), l’enfiteusi (affitto a lunghissima scadenza) e manomorta (diritto di ritornare in possesso della terra data in gestione in caso di tradimento politico o di mancanza di eredi legittimi). 1.8 La nobiltà La nobiltà era distinta tra: - nobiltà di spada o di sangue (discendenti di qualcuno che deteneva il titolo, e che aveva combattuto in cambio di un feudo) e nobiltà di toga (aveva ottenuto per merito di servizio il titolo o l’aveva acquistata: giudici, tesorieri, consiglieri del sovrano); - nobiltà feudale (i signori feudali) e nobiltà generica/minore (la quale, che viva in campagna o in città, che possieda o meno grandi quantità di terra è comunque priva di un titolo feudale e anche dei relativi poteri di banno); - nobiltà di mercatura (legata ai commerci e all’esercizio e all’attività bancaria), che continuò a non considerare ignobile (lesivo dello status aristocratico), l’esercizio della mercatura grossa (dei traffici mercantili ad alto livello e della finanza). Questo tipo di nobiltà entrò spesso in conflitto con le altre due. Lezione del 03.11.2022 1.1 Le tipologie di nobiltà minore Il patriziato era un’insieme di aristocratici oligarchici che controllava e governava una città stato. Chi non era iscritto a quel ceto aristocratico era escluso dall’accesso alle massime magistrature. Questi individui si consideravano nobili, ma le nobiltà di sangue o spada non li riteneva tali. Fra i più importanti patriziati dell’Europa moderna vi sono quelli delle città svizzere, delle repubbliche come quella genovese, veneziana, olandese. La gentry inglese, che si ritrovava nella Camera dei Comuni, non in quella dei Lord, era una piccola nobiltà che nacque come nobiltà di campagna, ma con una mentalità imprenditoriale e molto dinamica sul piano politico (Oliver Cromwell fu un esponente della gentry). L’Hidalguía, sebbene fosse una nobiltà minore, era formata da aristocratici che avevano avuto, in origine, oneri militari. Questa nacque nel contesto della Reconquista (dalla necessità, cioè, di impiegare ogni sforzo nell’impresa di abbattere i regni musulmani che si erano costituiti in Spagna, durante il medioevo), ma con la fine di questa persero il loro posto e continuarono a portare avanti delle battaglie (senza fine) pur di preservare il loro prestigio. Il maggior rappresentante sul piano letterario di questa nobiltà fu Don Chisciotte. Anche la Polonia, monarchia elettiva, aveva avuto un’importante aristocrazia, molto coesa e attiva. Lo stesso si può dire anche per il Regno di Napoli. 1.2 La crisi del ‘600 Fino alla fine del secolo scorso, era radicata la convinzione che nel ‘600 l’Europa avesse perso il passo e fosse entrata in una spirale di guerre, carestie ed epidemie, che ne avevano bloccato l’economia, e la discussione fu imperniata sul trovare la causa che avesse scatenato ciò. Infine si comprese che quella fu una crisi economica, ma non politica o dei valori. Fu il fisiologico passaggio a un periodo di decadenza, in seguito allo sviluppo che aveva caratterizzato il secolo precedente. La genesi, quindi, fu sul piano economico, e da quel primo elemento ne scaturirono altri (crisi e carestia), ma non si può parlare di una crisi generale scaturita, contemporaneamente, da più piani. I pensatori del Seicento ritennero che fosse un problema patologico, ossia che l’Europa si fosse ammalata, che fosse intervenuto qualche nuovo fattore a mutare le cose, e si sforzarono di identificarlo; per la maggior parte di loro, poi, il problema era di carattere politico: qualcuno aveva attuato il sovvertimento dell’ordine politico. 1.3 Il dibattito storiografico Nel 1954, sulla Past and Present, Hobsbawn pubblicò un articolo in cui sosteneva che la crisi del ‘600 non era altro che l’ultima fase del passaggio dall’economia feudale a quella di mercato, in una visione marxista. Roper, a questa interpretazione, rispose che la crisi era nata dallo scontro fra corte (stato moderno nascente) e il resto del paese, scontro dal quale si era originata la crisi stessa. Mousnier, ancora, affermò che il potere delle spese fuori controllo non era da ricercare nella corte, piuttosto nella macchina militare; perciò, il vero movente fu lo scontro tra ciò che rappresentava la tradizione e ciò che rappresentava, invece, l’innovazione. Elliott spiegò che il problema era stato il tentativo dei sovrani di diventare del tutto assoluti (sciolti da ogni vincolo) senza però riuscirci in concreto. Per i demografi, infine, vi era stato un crollo demografico nell’Europa mediterranea a partire dagli anni venti del ‘600, fino al ‘700. Anche l’interpretazione di chi vedeva la causa principale nella PEG fu smentita, perché sebbene per alcune zone l’inasprimento climatico portò a un peggioramento su tutti i settori, in altre (Inghilterra) ebbe luogo una vera e propria rivoluzione agraria, che mirava a un adattamento al clima più rigido. La storia economica diceva che i due giganti del secolo erano stati Inghilterra e Olanda potenze atlantiche (con commerci di lunghissimo raggio e forti Compagnie commerciali), le uniche due ad avere avviato un processo di proto-industrializzazione: i banchieri inglesi e olandesi erano fortemente cresciuti rispetto agli altri (ebrei-portoghesi, genovesi, etc.). 1.4 Altri elementi Un’innovazione introdotta in questo periodo fu la rotazione quadriennale, che aumentava le possibilità di ottenere un guadagno (economico, alimentare) e limitava il rischio di perdere parte della produzione a causa di variabili imprevedibili (gelate o insetti che distruggevano le colture). La dogana delle pecore prevedeva il pagamento di una tassa per superare la dogana e consentire ai pastori di far pascolare le proprie mandrie dall’Abruzzo, più freddo l’inverno, fino alla Puglia. Il prodotto di ciò era la lana o il latte. Durante la crisi del ‘600, il numero di pecore che pascolavano diminuì drasticamente. I vascelli imperiali, toscani, spagnoli e francesi che transitavano a Livorno (isole di tolleranza anche per gli ebrei) diminuirono. Al contrario, quelli inglesi, svedesi e olandesi aumentarono significativamente. Tutto ciò avvenne come conseguenza della crisi del ‘600. L’anno in cui, dal punto di vista economico, la si giunse a un più equa distribuzione della popolazione tra settore primario e terziario fu il 1730, in Gran Bretagna (ultimi strascichi della crisi). 1.5 La crisi dal punto di vista sociopolitico Anche dal punto di vista sociale e politico, infine, mentre l’Europa mediterranea e quasi tutta l’Europa centro-settentrionale furono scosse da guerre, epidemie, rivolte contadine e persino rivoluzioni. Inghilterra e Olanda, che pure vissero un molto agitato Seicento ne uscirono più forti, anche sotto il profilo sociale e politico. L’Europa viaggiò a due velocità diverse durante tutto il Seicento. Inghilterra e Olanda furono le uniche ad avvantaggiarsi dalla crisi alla fine del XVII sec., il loro peso complessivo era molto cresciuto, in rapporto a quello degli altri Paesi europei; la Spagna, soprattutto, che all’inizio del Seicento era ancora la massima potenza europea, dopo la guerra dei Trent’Anni aveva ormai perso il suo primato a favore della Francia di Luigi XIV, per il piano continentale, di Inghilterra e Olanda per quello economico. Oggi abbiamo compreso che la crisi del Seicento non fu crisi generale; non si decifra affatto come un problema patologico e politico: si trattò semmai di una somma di fattori origine economica e di un problema fisiologico come ha spiegato, fra gli altri, lo storico economico F. Simiand, caratterizzata da un’alternanza tra fasi espansive e fasi recessive. Lezione del 08.11.2022 1.1 La rivoluzione militare Michael Roberts (1988 pubblicò The military revolution) coniò il termine di rivoluzione militare. Gli elementi della rivoluzione erano, anzitutto, un aumento di uomini impiegati in battaglia, organizzati in eserciti permanenti e sottoposti a una disciplina. Ciò portò a un ampliamento dell’apparato logistico, a un aumento delle finanze che, a loro volta, portarono a un ampliamento della macchina burocratica in particolare, e statale in generale. Il termine fu riferito a un periodo di tre secoli (1500-1800); ma rispetto a Roberts, Parker sottolineò l’uso di armi da fuoco, che sollecitò un nuovo modo di difendere le città o i castelli, l’addestramento e la disciplina (il tasso di diserzione era elevato e in tempo di pace si riduceva il numero dei soldati) e i vascelli armati d’artiglieria. 1.2 Il reclutamento militare nell’Impero Ottomano Il numero dei soldati, nel corso dell’età moderna, aumentò, spesso a causa di un’ideale di nazione, e del dovere del cittadino di difendere la propria patria in cambio di diritti. L’esercito ottomano, invece, era costituito dai giannizzeri (cristiani resi schiavi, portati a Istanbul dove venivano educati all’Islam per costituire un gruppo al servizio del sultano) e i marioli (fornivano la cavalleria). L’impero ottomano, a differenza degli europei, non utilizzava molto i mercenari, perché avevano un sistema capace di reclutare gruppi di uomini direttamente controllati dal sultano. Progressivamente, dopo il ‘600, le potenze europee lasciarono il posto ad altri Stati, tra cui l’Inghilterra. 1.3 Le innovazioni militari 20 a 130 unità). Forse, il contropotere che riuscì a tenere meglio a bada fu proprio il secondo stato, la nobiltà, sebbene non in toto, perché non riuscì a convincere i nobili di sangue a diventare nobili di mercatura. Con Versailles, Luigi XIV riuscì ad allontanare i grandi Francia dai loro feudi, rendendoli sempre più dipendenti dalle pensioni che lui elargiva. Piegarsi al sistema cerimoniale esprimeva in ogni singolo atto la sottomissione al re: anche gli atti effimeri si traducevano in avanzamenti o declassamenti di rango per i signori che ottenevano il privilegio di accompagnare più da vicino il re, fenomeni che avevano ripercussioni sul piano politico ed economico. 1.3 L’opinione degli storici Gli storici, dopo la Seconda Guerra mondiale, si sono domandati se nella storia sia realmente esistito uno stato moderno assoluto: la risposta è stata no, che l’assolutismo è stata solo una posizione ideologica, una linea di governo ideale perseguita dalla massima parte dei governi europei che, nella pratica, non ha avuto successo, perché ogni sovrano assoluto è dovuto venire a patti con i contropoteri che lo avevano sfidato e, alle volte, è stato anche sconfitto (Luigi XIV fu il più vicino a riuscire nel suo intento). La visione di questi studiosi, tuttavia, era influenzata dall’esperienza delle due guerre mondiali, che avevano portato all’odio nei confronti del totalitarismo, condizione che ha viziato la risposta negativa verso l’assolutismo; tuttavia, almeno rispetto all’età moderna, è sicuro che l’assolutismo non funzionò nella pratica. Sul piano teorico, l’assolutismo ebbe un enorme valore: tra i massimi teorizzatori dell’assolutismo vi fu Jean Bodin, che spiegò che il sovrano era assoluto solo nel caso in cui rispettava le leggi, gli Ordinamenti e i Parlamenti: doveva essere un sovrano che non doveva macchiarsi di crimini. Si tratta di una limitazione blanda. Il tratto assolutista si estremizzò con Hobbes e il suo Leviathan, con un’immagine che rende evidente che nella figura del sovrano rientravano gli ordinamenti e tutti i poteri. Il Leviatano tiene in una mano la spada (simbolo del potere temporale) e nell’altra il pastorale (simbolo del suo essere vertice della Chiesa inglese). Le dimensioni in cui concretamente si esplica il suo potere, sono rappresentate in basso (potere giudiziario, supremo comando militare, etc.). 1.4 Paolo Sarpi Di recente è stato ritrovato un codice in una biblioteca americana che apparteneva a una collezione inglese, il cui, sembra, sia un’opera incompiuta di Paolo Sarpi, il Principe Repubblicano, che difese le ragioni della Repubblica di Venezia rispetto al papa che rivendicava il diritto di giudicare da sé alcuni suoi conterranei che stavano per essere condannati da Roma per dei crimini: il papa decretò l’ interdetto nei confronti della città (la chiesa rimaneva chiusa nella città, non era possibile amministrare i sacramenti): in una società moderna non poter avere a disposizione tutto ciò che la religione rappresentava era destabilizzante, anche sul piano politico. Venezia resistette, ma dovette arrendersi. L’opinione di Paolo Sarpi, che credeva che il papa dovesse operare esclusivamente nella sfera spirituale, fu uno dei punti chiave in cui credeva Venezia stessa. Sarpi affermava che il principe delle città era un Leviatano Repubblicano, uguale al sovrano assoluto ma posto nel contesto repubblicano (Ragusa, Genova, Venezia, ecc.), che si costituiva come la somma dei magistrati cittadini del sistema repubblicano. Sarpi non portò a compimento il trattato perché si accorse di essere andato troppo oltre. Dopo la sua morte, la repubblica di Venezia continuò ad essere dominata dal gruppo di individui che avevano retto la città durante il periodo dell’interdetto: i libri di Sarpi dovevano essere requisiti sia per impedire al nunzio di spiare sia per portare avanti l’opera di Sarpi. A Genova, il potere si strinse attorno al doge e ad altre persone, tentando un’indipendenza anche da Roma: un assolutismo si tentò anche lì. Quindi, nella visione di Sarpi, l’assolutismo repubblicano ha un valore positivo, in quanto serve per staccare, rendere indipendente il potere politico da quello spirituale (ma anche temporale) del papa. Lezione del 10.11.2022 1.1 Società di ordini A differenza della società di età contemporanea, economicistica, la società del passato, tra cui quella di antico regime, era una società organicistica (i diversi ceti erano organi di un unico organismo). Gli ordini non erano solo i tre più grandi, ossia clero, nobiltà e terzo stato; infatti, molto dipendeva dai casi: la Polonia o la Francia ad esempio, erano varie al loro interno. Anche il caso italiano è particolare: la penisola era costituita da realtà geopolitiche diverse, al cui interno, in alcuni luoghi prevaleva la nobiltà di spada (Roma, Napoli) ed altri il principio della mercatura (Genova, Venezia). Anche la componente contadina era variegata al suo interno: da un lato c’erano i contadini che si erano liberati dall’obbligo delle corvee ed erano divenuti liberi, dall’altro c’erano i discendenti di quei contadini che lavoravano per le corvee e che, giuridicamente, non erano considerati uomini liberi. Queste differenze valevano anche sul piano giuridico e politico, non solo sociale: chi governava aveva bisogno che la distinzione esistesse per poter governare, altrimenti la società sarebbe stata ingestibile. Fu un esempio di ciò Cromwell che, di fronte alle proposte avanzate dai “Levellers” (rappresentanti di un movimento politico-religioso che si era sviluppato fra i soldati del New Model che chiedeva l’istituzione di una repubblica democratica -il suffragio universale- ponendosi il traguardo utopico di abbattere le altre classi sociali, a beneficio della sola borghesia), che chiedevano l’abolizione della distinzione tra i diversi ordini, rispose che non era possibile annullarla: la sua non poteva essere una repubblica democratica, doveva rimanere oligarchica. 1.2 L’opinione degli storici Le reazioni di molti europei davanti alla nascita degli Usa furono di sconcerto: nella teoria poteva valere il principio della repubblica democratica, ma non nella pratica, come dimostrò anche Tocqueville. Mousnier stimò che in relazione alla Francia di Luigi XIII fosse necessario parlare di ben nove ordini sociali che dovevano distinguersi anche per gradazione, non solo per tipo (la nobiltà annoverava al suo interno diverse sotto-categorie, tra cui i Grandi di Francia, la nobiltà di spada, la nobiltà di toga, etc.). Queste diverse sfumature sociali coesistevano tra di loro. Anche all’interno del clero vi era una stratificazione complessa, che rispecchiava quella dello stato: il regno di Napoli aveva molte diocesi di dipendenza regia, in quanto erano state fondate dalla corona: i vescovi venivano, quindi, eletti dal sovrano. Gli storici del diritto tendono ad esaminare l’antico regime in funzione degli ordini, e a interpretare i comportamenti secondo le regole di condotta riferite a ciascun ceto; dall’altro lato, gli storici sociali, lo analizzano secondo una prospettiva differente: non bisogna dare per scontato che un individuo appartenente a una classe si comporti come le norme del suo ceto prevedano: in realtà, spesso, gli uomini dell’antico regime erano capaci di aggirare le norme, e di rispettarle solo in casi di necessità o in forma apparente. In teoria, la legge era diversa per ogni ceto e ogni ceto doveva rispettare le norme e i comportamenti standard corrispondenti al proprio ordine, ma nella pratica ciò non avveniva sempre: queste regole di rango non erano fisse. La capacità di forzare le maglie valeva più per gli uomini che per le donne, per le quali era quasi impossibile decidere (rare eccezioni: vedova o ricca ereditiera). 1.3 La classificazione sociale e politica Ad ideare queste regole di condotta, che pur furono violate o aggirate, furono i supremi poteri politici, che si organizzarono in diversi modi, ad esempio con le leggi suntuarie. Il termine “leggi suntuarie” (che risalgono al mondo antico), deriva dal latino e indicano ciò che è legato ai lussi, ossia ai beni di consumo da parte di tutte le classi; erano immaginate sia per mantenere la separazione tra i diversi ceti sia per impedire ad alcuni di rovinarsi con delle spese eccessive. Un secondo esempio è rappresentato dalla “Tavola dei Ranghi”, elaborata da Pietro II il Grande negli anni venti del ‘700, prevedeva la suddivisione del corpo sociale in quattordici ranghi, suddivisione che riguardava anche gli esponenti dell’esercito. Quello di Pietro fu il tentativo di riplasmare la Russia in base a nuovi criteri: tuttavia, anche in questo caso, lo Zar dovette affrontare i contropoteri (i boiardi), che non accettavano questa nuova classificazione e la boicottarono. Nei provvedimenti suntuari di Cremona, infine, si stabiliva il modo in cui i diversi individui delle diverse classi sociali potevano vestirsi, banchettare, celebrare funerali, ecc. La suprema autorità politica, perciò, era fonte di classificazione sociale e politica. I tipi di atti che produceva l’autorità politica erano: - il riconoscimento di titoli nobiliari, esenzioni fiscali, ecc.; - la certificazione di funzioni prima dubbie; - la modifica di una denominazione (caso di Pietro II il Grande); - la creazione di nuovi titoli (patente di nobiltà, ottenuta per merito o pagando). 1.4 La limitazione politica e sociale Un altro tipico braccio di ferro fu quello che la suprema autorità politica ingaggiò con i suoi sudditi sul piano sociale: essa cercò costantemente di imbrigliare corpi e comunità locali entro spazi a sovranità determinata per limitarne il potere politico e il prestigio sociale, per definire l’uno e l’altro sia in rapporto ai suoi propri (potere e prestigio), sia in rapporto a quelli delle altre classi, secondo il principio del divide et impera. Corpi e comunità si sono però puntualmente ribellati o hanno cercato di aggirare quelle regole, perciò l’assolutismo non poté mai compiutamente realizzarsi perché i gruppi privilegiati lo contrastarono nel suo tentativo di organizzare la società. Ne fu un esempio il Re Sole con Versailles: una società di corte che egli fu impegnato a organizzare e dirigere, attento a rendere i grandi nobili di Francia sempre più dipendenti da lui e dalle sue pensioni, allontanandoli dai loro feudi e di conseguenza obbligandoli a sostenere spese sempre più elevate. 1.5 I provvedimenti sulla nobiltà di mercatura L’editto di Aumale (1540) prima e l’ordinanza di Orléans dopo (1560), stabilirono che la mercatura era incompatibile con il godimento dello status aristocratico, in accordo col paradigma culturale prevalente in Francia, quello della nobiltà di spada. In seguito, la mercatura grossa, in Francia, venne inclusa tra le arti liberali, e perciò poté essere praticata anche dai nobili, solo in delega (pena la perdita dello status aristocratico), vista l’espansione economica e militare a cui stava andando incontro lo Stato francese, mentre la manifattura e l’attività bancaria vennero rese derogabili. Con Luigi XIV, infine, fu stabilito che la mercatura non solo poteva, ma doveva essere praticata dagli aristocratici, perché il paese ne aveva bisogno e doveva avvicinarsi al modello inglese e olandese: ciò si risolse in un fallimento, per via delle sfumature all’interno delle diverse classi sociali. 1.6 La borghesia e la nobiltà L’autorità suprema, da un lato, doveva far apparire come disprezzabile per un nobile praticare la mercatura (necessaria per impedire il blocco economico), dall’altro doveva evitare che il concetto di nobiltà fosse associato alla spesa eccessiva (leggi suntuarie), che poteva portare alla rovina. Le borghesie, d’altra parte, consapevoli del loro grande e crescente peso economico, alzarono continuamente la voce, ovvero non vollero rinunciare alla possibilità del salto di status, e quindi ad avere una sicura strada di accesso alle aristocrazie, per mezzo delle loro ricchezze (delle loro attività). Adam Smith, con l’opera La ricchezza delle Nazioni, giunse a dividere nettamente le tre categorie in base al guadagno: chi viveva di rendita (nobiltà), chi di salario (plebe), e profitto (mercanti e banchieri). Gli uomini di età moderna, inoltre, si auto- normarono, si auto-definirono (sul piano identitario), ponendo paletti sempre più rigidi, al fine di impedire a individui provenienti da altre classi sociali di raggiungere il loro status (al fine di complicare, se non altro, l’impresa del salto di status). 1.7 I cerimoniali Anche i cerimoniali furono uno strumento attraverso il quale l’autorità politica tentò di regolamentare la società: alcuni cerimoniali erano particolarmente complessi (es.: i cerimoniali di corte a Versailles), e furono costante occasione di conflitto fra i ceti. Oestreich vide nell’antico regime il periodo in cui la storia è stata regolata dal disciplinamento. La definizione, tuttavia, deve essere maneggiata con cura, perché era comunque facile e probabile per molti aggirare le norme imposte rispetto alla classe di appartenenza. Anche il papa, per affermare la sua potestà, compiva dei cerimoniali ben precisi. La più importante cerimonia, di origine medievale, che diveniva un vero e proprio rito, era l’investitura del nuovo pontefice. Formalmente il papa diveniva tale solo nel momento in cui indossava l’anello e il copricapo papale, investitura che avveniva la termine della cerimonia di possesso (il papa prendeva possesso della città), durante la quale il pontefice attraversava la città (inizialmente in sella a una mula bianca) a bordo di una carrozza in un percorso che ricordava la cavalcata degli imperatori romani (partiva dal Quirinale o dai Palazzi Vaticani, in origine sede pontificia, e terminava in Laterano) a ritorno da una spedizione riuscita (passava sotto gli archi di trionfo). Ebbe termine nel 1870 (con la presa di Roma), venne brevemente formazione e l’educazione. La differenza fra Giordano Bruno e Galileo Galilei fu che, anzitutto, Bruno era un già stato accusato di eresia in gioventù, non ritrattò e non aveva la fama che aveva, invece, Galilei. 1.7 La crisi della coscienza europea Hazard parlò di crisi della coscienza europea: quando gli europei si resero conto del fatto che molte delle loro verità erano state smentite e che, a sostegno di quei falsi principi si erano scatenati processi, guerre, roghi, ecc., la coscienza europea entrò in crisi. La ragione europea vacillò, perché i pilastri fondanti della cultura europea stavano crollando. Si diffuse una nuova mentalità che cominciò a rifiutare le credenze e a portare avanti grandi battaglie sul metodo. Questa nuova mentalità rifiutava l’idea della Terra come piccolo e chiuso mondo e rifiutava l’idea della conoscenza come nozione incerta e pretendeva di giungere a conclusioni di valenza universale. Questa nuova mentalità riguardò anche la storia e il rapporto fra storia e religione (si fece strada la convinzione che le verità contenute nella Bibbia fossero cosa diversa dalle verità di ragione): la Bibbia non doveva più essere presa alla lettera, in quanto era stata scritta in un determinato tempo, per parlare agli uomini di quel tempo. 1.8 Il mercantilismo Il mercantilismo (che prevalse negli stati europei nel corso del ‘600) era una linea economica secondo la quale la ricchezza della nazione era proporzionale alla quantità di oro e argento che questa possedeva: per accrescere le riserve di metalli preziosi bisognava agevolare le esportazioni e porre dazi sui prodotti in entrata. Il mercantilismo francese prese il nome di colbertismo, dal nome del primo ministro francese in carica sotto Luigi XIV. Nel caso della Francia, il mercantilismo fallì perché la produzione riguardava principalmente i beni di lusso e perché i Grandi di Francia non avevano intenzione di investire nella nascita di nuove grandi compagnie. Lezione del 16.11.2022 1.1 La seconda espansione europea nel nuovo mondo Investendo negli oggetti di lusso c’era la convinzione che si stesse facendo il bene dello stato, si pensava che il prestigio del paese, oltre che del sovrano, sarebbe aumentato. Il lusso non era qualcosa di frivolo, ma una scelta politica: tuttavia, c’era il limite finanziario, perché non sempre i sovrani poterono permettersi di investire sul lusso (es.: Luigi XIV che lasciò il paese nella rovina economica). Il colbertismo, in Francia, non ebbe un buon esito, al contrario di quanto avvenne in Inghilterra e in Olanda. Cominciò la seconda espansione europea verso gli altri mondi, dopo questa riorganizzazione del mondo europeo, sebbene non più ad opera degli spagnoli, ma degli inglesi e degli olandesi (trazione atlantica). Nel 1640, negli anni vicini al crollo della Spagna, il Portogallo tornò indipendente dalla corona spagnola: dall’inizio del ‘500 fino ad allora, il dominio portoghese in America si era indebolito e aveva perso gran parte dei suoi territori, che erano finiti in mano all’Olanda (ma anche all’Inghilterra), non ancora indipendente. I fiamminghi si erano associati ai portoghesi, e così avevano acquisito non solo la padronanza delle rotte portoghesi, ma anche il loro know how. 1.2 Il papato dopo Westfalia Il papato, dopo Westfalia, comprese di non avere più la stessa rilevanza del passato, ma non rinunciò alle sue pretese universalistiche. Nel 1585, con la bolla Ex Pastorialis Officio, il papato impose che tutti gli ordini missionari diretti in oriente sarebbero dovuti passare attraverso Goa, un dominio portoghese, perché ancora in mano ai cattolici. Il papa, quindi, si mosse attraverso i nuovi ordini per mantenere il suo controllo completo. Nel 1622, nacque la Propaganda Fide, una nuova Sacra Congregazione, che pose il papa come primo missionario e mirava a dare al papato il monopolio dell’attività missionaria; anche in oriente nacquero nuove diocesi, tutte poste sotto il patronato portoghese. Sul piano disciplinare, dopo il Concilio di Trento, la potestas della Chiesa poté esprimersi attraverso diocesi e parrocchie, fenomeno che il papato portò anche in oriente, tra cui l’India e il Giappone (Funai); quindi, non si utilizzava più la spada per convertire, bensì la convinzione: i gesuiti entrarono nelle culture locali e impararono le tradizioni, per poi manipolarle e convincerle che la verità era quella dei Vangeli. A convertire furono principalmente i francescani e, soprattutto, i gesuiti. I più importanti gesuiti furono Francesco Saverio, che riorganizzò la diocesi di Goa, fondamentale perché da lì passavano tutti i missionari, e Roberto de Nobili, che si applicò soprattutto in India nel tentativo di tradurre la corte di Mogul (popolazione turca), dove tuttavia fallirono per il fatto che la società era divisa in caste, quindi il messaggio cristiano di uguaglianza non poteva attecchire. Quando gli europei giunsero in India, trovarono un paese ricco ma difficile da prendere e una condizione politica varia: il vertice politico era islamico, mentre la base era culturalmente e religiosamente eterogenea. 1.3 La cristianizzazione in Cina Anche in Cina la penetrazione gesuita fu all’inizio difficile, perché ostacolata dagli spagnoli delle Filippine (unico dominio spagnolo rimasto in Asia orientale), che convertivano con la forza contro la regola gesuita; al contrario, i portoghesi di Macao erano più tolleranti. Nella steppa asiatica si trovavano una serie di popolazioni nomadi molto forti sul piano militare che si spostavano in continuazione, e costringeva i popoli che incontrava sulla sua strada a spostarsi a loro volta: i cinesi, per arginarli, avevano costruito la grande muraglia. In Europa, nessuno aveva costruito la muraglia, ma Tamerlano voleva conquistare la Cina, ma morì prima di riuscirci. In Cina andò diversamente, perché il paese aveva sempre avuto dei rapporti con l’Europa mediterranea, a causa della via della seta (una diramazione partiva dall’India, l’altra andava in Cina): il tratto della via della seta più praticato era quello che collegava la Cina e l’Europa. Matteo Ricci (creò reti missionarie a Pechino e a Canton), quindi, riuscì a farsi accettare alla corte cinese (anche aiutando i dotti confuciani nella lotta contro il buddhismo) e a farsi benvolere: scalzò i grandi consiglieri confuciani del sovrano e prendere il loro posto. I gesuiti, quindi, giunsero a Pechino e divennero gesuiti di corte: i cinesi si accorsero che i gesuiti conoscevano molte lingue, e quindi potevano offrire una mediazione con la Russia che premeva, conoscevano la matematica (riformarono il calendario astronomico), le medicine, le armi e le tecniche militari più moderne, e divennero insostituibili, quindi anche la Cina trovò un guadagno nel contatto. Inizialmente ciò piacque a Roma, ma in seguito, per il fatto che i gesuiti si adattavano alle diverse culture che incontravano prima di evangelizzarle, finirono per non considerare più quella religione un cattolicesimo; neanche sul piano liturgico si comprendeva più cosa fosse quella nuova religione, così nel 1703 papa Clemente XI condannò i riti cinesi (commistione tra cristianesimo e cultura cinese), mentre dal 1758 al 1783 papa Clemente XIV ordinò il ritiro dei gesuiti dall’oriente e la soppressione dell’ordine, sebbene questi sopravvisse. 1.4 La VOC I mercanti olandesi parteciparono all’espansionismo portoghese tramite la Feitoria portoghese di Anversa (rappresentanza commerciale). Dopo il sacco di Anversa e l’unificazione del trono di Portogallo e di Spagna, i fiamminghi presero il posto dei portoghesi: gli Stati Generali olandesi, che rappresentavano le province del nord, decisero di fondare una grande compagnia commerciale VOC (compagnia delle indie orientali), che aveva diritti di monopolio e poteri politici e militari; questa aveva un consiglio di diciassette membri ed era una società per azioni: chiunque, anche investitori stranieri, potevano acquistare le azioni della VOC, ubicata a Giava. Furono i primi a giungere sulle coste australiane e nel 1669, il Trattato dell’Aja ratificò il monopolio commerciale olandese su quasi tutta l’India. Conquistarono anche alcune coste del sud America. Bombay, invece, venne data in dote a Caterina di Braganza, che sposò il sovrano inglese Carlo II, e divenne, di conseguenza, un possedimento inglese. La VOC era un’immensa flotta armata, che doveva, per conto degli Stati Generali delle Province Unite, difendere i territori che controllava (si trattava di uno stato nello stato). Luigi XIV mandò una sua spia a controllare i territori olandesi, sperando che ci fosse ancora della terra che la Francia poteva occupare, ma la risposta fu negativa, perché agli occhi della spia la VOC aveva il dominio sui mari; tuttavia, non avevano alcun interesse a convertire, a loro interessava solo l’espansione. Nel 1673 terminò la terza guerra anglo-olandese, innescata dalla competizione commerciale e nel 1690 la VOC cominciò a perdere dinamismo e potere, a beneficio degli inglesi e dei francesi (Colbert sfidò l’Olanda mediante tariffe commerciali e guerra di corsa e conquistò così alcune basi commerciali nei Caraibi e in India). 1.5 L’espansione francese e russa Prima della Compagnia delle Indie Orientali, voluta da Luigi XIV, le poche compagnie commerciali francesi erano state deboli organizzazioni private (di mercanti consorziati); la nuova Compagnia nacque invece sul modello portoghese e olandese e si trattò di un’istituzione controllata dallo Stato: Re Sole, a titolo personale, ne divenne uno dei principali finanziatori. Tra il 1688 e il 1789 la Francia e l’Inghilterra si scontrarono sul piano commerciale (guerra dei dazi), anche con la guerra di corsa in America e in Oriente: a vincere fu l’Inghilterra. Nel corso del secondo ‘600 anche la Russia cominciò ad affacciarsi sulla scena mondiale grazie ai molti fiumi navigabili; i russi raggiunsero le coste del Pacifico, aggirando il poco che rimaneva dell’impero mongolo. Nel 1689, i russi e i cinesi negoziarono per definire il nuovo confine fra i due imperi. In questo stesso periodo si svolsero le prime spedizioni verso lo stretto di Bering, sotto il regno dello zar Pietro il Grande: fu il danese Vitus Bering, per conto dei russi, a giungere in America dall’Asia, dimostrando che i due continenti erano stati in origine uniti. 1.6 I pirati e la East India Company Esistevano anche una serie di velieri di pirati e corsari (filibusta e filibustieri), che dominarono durante tutto il ‘600 i diversi passaggi più importanti solcati dalle grandi compagnie. I corsari erano autorizzati dai capi politici a trattenere i bottini in cambio di ostacolare i nemici politici: anche le repubbliche avevano i loro corsari, ma non li dichiaravano. Gli inglesi primeggiavano nella guerra di corsa, già da Drake e Cavendish; in Inghilterra tutti credevano e investivano nei commerci. Talvolta anche i corsari si trasformavano in pirati, così come i pirati, in caso di necessità, si mettevano sotto la protezione di un’autorità politica, per evitare di finire male. Anche la guerra di corsa fu disciplinata dopo Westfalia: si profilò uno ius piraticum, ossia un tentativo di gestire i pirati e i corsari. Il mimetismo di bandiera era una tattica in base alla quale si utilizzava una bandiera diversa di quella della propria nazionalità che doveva serviva per far viaggiare in sicurezza i convogli commerciali, ma poteva anche avere finalità militari, con le guerre di corsa. Nel 1600 nacque la East India Company, quando il regno di Elisabetta I era in fine. Si trattava di una compagnia privata, dove i capitali provenivano dai Lord inglesi; solo nel 1709, il Parlamento inglese accordò all’East India Company diritti di monopolio: il monopolio di stato avvenne in seguito, in quanto inizialmente si trattava di una compagnia privata, sebbene la corona coniò monete con la sigla, ma non la riconobbe come propria dello stato per lungo tempo, perché non era di nascita regia. Tra la fine del ‘600 e prima metà del ‘700 l’Inghilterra mise in atto la conquista commerciale dell’India, emporio di cotoni e di tè. 1.7 La situazione degli antichi Stati Italiani La seconda metà del ‘600 fu una fase storica importante anche rispetto al processo di sviluppo degli antichi Stati italiani, che evolsero verso la modernità a una velocità inferiore a quella dei grandi Stati nazionali europei, conservarono più a lungo alcuni caratteri medievali. La frammentazione politica, però, non fu sinonimo di decadenza (politica, economica, sociale, culturale): al contrario, gli antichi Stati italiani parteciparono attivamente alla gestione delle strutture statali europee (di quella spagnola, anzitutto) e resistettero per oltre due secoli, perché erano salde le loro fondamenta. Il denominatore comune degli antichi Stati italiani è quel sistema di patriziati, di elite molto forti, capaci di tessere profondi legami con le maggiori Case regnanti europee, coinvolte nel governo della penisola, e, specie nel caso dello Stato di Milano, rese partecipi dei processi decisionali della monarchia spagnola; la cultura italiana ha reso un importante contributo anche al Barocco e alla Rivoluzione scientifica (Galilei). la corona e il resto del paese. Ostile alla fisiocrazia fu invece Rousseau, contrario alla ricchezza privata e le sue devastanti conseguenze; Rousseau teorizzò la sopravvivenza della proprietà privata della terra solo come piccolo possesso contadino. 1.8 Il fenomeno delle enclosures Nel 1789, in Inghilterra, ebbe inizio la prima produzione industriale di aratri anche sul piano degli strumenti e delle tecniche. Aumentò in questo periodo il fenomeno delle enclosures, regolamentato mediante svariati Enclosures Act, perché molte terre comuni furono recintate, non sono in Inghilterra (dove si verificò maggiormente), ma in tutta l’Europa. Il settore primario fu grande protagonista del pensiero illuminista, già con le tavole dell’enciclopedia attente all’agricoltura (es.: aratro). L’enclosures favorirono l’accentramento della terra nelle mani di pochi: in Inghilterra questo fu un fattore positivo, grazia alla gentry; in Francia, invece, no. Le enclosures violavano i diritti dei villaggi (consuetudinari: pascolo, legnatico, spigolatura, etc.) e contribuirono all’inurbamento (esodo della popolazione rurale verso la città). 1.9 L’assolutismo in Austria e in Germania In Austria e in Germania, l’Illuminismo ebbe caratteri suoi tipici, in ragione della polverizzazione politica dell’Impero dopo la pace di Westfalia; della cultura protestante (luterana e calvinista) contrapposta a quella cattolica (specie in Baviera); della politica moderata di molti principi elettori (dispotismo illuminato di Federico II di Prussia); dell’ulteriore maturazione della cultura nazionale tedesca. A partire dal 1760 il cuore dell’Illuminismo tedesco divenne Berlino, capitale della Prussia, retta da Federico II il Grande, sovrano illuminato, riformatore. In Germania e in Austria, l’illuminismo fu più debole, soprattutto in Austria dove regnavano gli Asburgo, cattolici, sebbene i tentativi di Maria Teresa d’Austria e del figlio Giuseppe II di ostacolare i privilegi del clero, e si espresse nelle le figure di Kant e di Lessing, difensore delle libertà politiche e religiose. I luoghi in cui, tuttavia, fu meno fecondo sul piano teorico, ebbero uno sviluppo pratico maggiore. Vienna fu un centro alternativo cattolico, giusnaturalista, che influenzò molto la Lombardia, divenuta austriaca con la guerra di successione spagnola (1700-14). 2.0 L’illuminismo italiano La questione dell’illuminismo italiano è complessa: si trattava di un fenomeno di elite, molto diversificato, perché molti intellettuali erano grandi esponenti dell’aristocrazia milanese o napoletana, con le eccezioni di Parini e Beccaria. A Napoli l’illuminismo non ebbe delle ricadute pratiche, diversamente da quanto avvenne a Milano. I maggiori esponenti italiani furono Beccaria, con il De i delitti e delle pene (si ispirò a Rousseau e pose le basi del penale moderno), molto noto in Francia, Gian Battista Vico, un precursore, e Filangieri. Milano tentò, con il Caffè (andare al Caffè significava essere un riformatore, qualcuno che andava verso un sistema di libertà e voleva applicare i principi del liberalismo), di emulare l’enciclopedia, ma essendo un periodico non ebbe lo stesso valore dell’altra. Il Caffè fu fondato da Pietro Verri, si stampava a Brescia (Repubblica di Venezia), a causa della censura austriaca; si propose di abbattere le tradizioni, i pregiudizi sociali, letterari, scientifici e si trattarono temi economici, agronomici, di storia naturale, di medicina, etc. Nel mentre, la Milano austriaca avviò importanti riforme politico-amministrative, sociali ed economiche (il catasto teresiano). L’illuminismo italiano non riuscì a sortire alcun effetto, perché le masse italiane erano analfabete e perché erano poche le donne incluse nel circolo. 2.1 Altri sviluppi in Italia A Modena vi era un altro grande illuminista italiano, Ludovico Antonio Muratori, che applicò il metodo dei padri Maurini per lo studio delle fonti storiche, portando a un rinnovamento dell’idea di storia; fu inoltre responsabile di una straordinaria rivisitazione di tutti gli aspetti economico-sociali, culturali, giuridici, etnici e religiosi del Medioevo. A Napoli, Giambattista Vico, di modesta estrazione sociale, propose una nuova scienza della storia, possibile perché la storia è fatta dagli uomini; nel Della Natura, invece, si afferma che l’uomo continuerà a ignorare i meccanismi e dovrà contentarsi di studiarne le manifestazioni esteriori. Filangieri fu membro del Consiglio delle Finanze, massone attaccò il sistema feudale e ne chiese lo smantellamento. Ferdinando Galiani, antifisiocratico fu in stretto e diretto contatto con gli illuministi parigini. Antonio Genovesi fu filosofo, insegnò Commercio e Meccanica, sostenne l’idea della cultura come sola, grande forza civilizzatrice. 2.2 La massoneria L’Illuminismo non è riconducibile a un’unica matrice, in quanto ebbe molte articolazioni sul piano politico: esisteva un Illuminismo aristocratico che collaborò attivamente con i sovrani europei (con l’assolutismo illuminato/riformista) e un Illuminismo borghese che invece lavorò per abbattere l’assolutismo; si spiega così il fenomeno massonico (delle logge europee e nord-americane; le più antiche nate a fine ‘500, in Scozia e Inghilterra). Anche in questo caso, ci furono logge che rimasero legate al vecchio ordine, quelle conservatrici (Luigi XVI, fedeli all’assolutismo), e altre roussoniane, che divennero dissidenti (editoria clandestina, etc.), che, in ogni caso, non dialogavano tra di loro. Anche Mozart era massone roussoniano. Lezione del 23.11.2022 1.1 Il dispotismo illuminato Dispotismo è sinonimo di assolutismo, ma illuminato fa riferimento al fatto che lo stato avesse recepito gli elementi del movimento illuminista. Divennero despoti illuminati quei sovrani che misero in atto i dettami illuministi, pur continuando a regnare in modo assoluto e dispotico. Un sinonimo di dispotismo illuminato è riformismo settecentesco, perché i sovrani, infatti, attuarono delle riforme. Il termine riforma, ripreso dal linguaggio religioso, indicò gli interventi nella vita statale, che ebbero un forte impatto sulla società, sulle istituzioni ecclesiastiche e sulle istituzioni. Il dispotismo si pose tra il 1763 (fine della guerra dei sette anni) e il 1789 (rivoluzione francese). Il riformismo settecentesco può essere considerato una fase ulteriore dello stato assoluto; i sovrani, o i signori, si resero conto della necessità di ristrutturare il potere, e si improntarono al modello ideale del re filosofo, proposto dagli illuministi, e presente già nella trattatistica classica: si trattava di un capo politico che sapeva governare bene, che improntava la propria azione di governo alla saggezza e alla giustizia; ciò diede vita a un atteggiamento di paternage o maternage dei sovrani nei confronti del popolo: i sovrani si proponevano nei confronti dei sudditi come padri o madri; questo atteggiamento tendeva a cercare consensi nel bacino dei sudditi di rango minore (masse). Le riforme dei sovrani hanno avuto un denominatore comune: il nemico dell’assolutismo erano i privilegi del clero; non si trattò di togliere privilegi al secondo stato, perché a quello apparteneva anche il sovrano (il più nobile tra i nobili). Ciò non significava che i sovrani erano anticlericali, perché molti erano cattolicissimi e non intenzionati ad andare contro la chiesa. I privilegi che dovevano essere combattuti erano il controllo della formazione e dell’istruzione e, di conseguenza, della censura, e i privilegi fiscali (il clero era esente dal pagamento delle tasse e percepiva proventi, tra cui la manomorta e la decima), perché, nel caso in cui li avessero mantenuti, il rinnovamento dello stato sarebbe stato inutile, visto che i diritti e le risorse non sarebbero stati ridistribuiti. Si cominciò a dare qualcosa alla piccola borghesia, l’unica che pagava le tasse. 1.2 I conflitti in Europa L’Europa si trovava in una fase di relativo equilibrio, soprattutto dopo la fine della guerra tra Asburgo e Borbone. Vi furono comunque dei conflitti: - in armi: tre guerre di successione, guerra dei sette anni, spartizioni della Polonia; - giurisdizionali: i sovrani illuminati contro i privilegi del clero; - diplomatici: Spagna e Portogallo per il controllo della colonia in Brasile; - politico - ideologici: espulsione dei Gesuiti da molti stati europei (per volontà dei re o del papa); Si trattava di conflitti meno cruenti, deprivati del contenuto ideologico. 1.3 La riforma degli Asburgo Maria Teresa, giunta al trono giovanissima, trovava un problema nel regnare per il fatto che, nei domini d’Austria, le donne non potevano ereditare il trono: tuttavia, essendo l’unica erede, si modificò la legge salica di successione al trono; con la Prammatica Sanzione si impose l’accettazione della questione successoria a tutti i sette elettori, perché alle elezioni vincevano gli Asburgo: tuttavia, alla morte del padre di Maria Teresa, si ritrattò la sanzione; Maria Teresa salvò il trono, ma si decise che il marito, Francesco Stefano di Lorena sarebbe stato imperatore, e lei imperatrice consorte. Maria Teresa delegò la questione imperiale al marito prima, e dopo la sua morte, al figlio, così da potersi dedicare alla riforma dei domini ereditari, ossia di Austria, Boemia e Lombardia, insieme ai suoi validi ministri. Le sue principali riforme furono: - il rafforzamento dell’esercito, guardando all’esempio prussiano; - la riorganizzazione dell’apparato amministrativo ed economico; - la codificazione del diritto; - la riforma del clero, ispirata al giusnaturalismo; - la riforma del sistema dell’istruzione. I punti dell’agenda che ricorsero in molte aree europee furono due: la riforma del sistema dell’istruzione e di quello finanziario. Ne risultò uno Stato organizzato in diversi dicasteri (ministeri), tutti coordinati da un Consiglio di Stato (presieduta da Maria Teresa). 1.4 Giuseppe II d’Asburgo Giuseppe II accentuò le riforme cominciate dalla madre, tra cui la censura al clero (ormai non più in grado di esercitare la censura con l’indice), l’abolizione dei piccoli monasteri e della mano morta, l’apertura dei pubblici uffici agli esponenti di tutte le confessioni religiose cristiane, l’estensione dei diritti civili anche agli ebrei, la ristrutturazione dei seminari e delle parrocchie, la creazione di un sistema scolastico (alfabetizzazione: elementari obbligatorie, fino all’Università) coordinato dallo Stato su elementi già esistenti (istituti ecclesiastici), il catasto fondiario (censimento mappato dei beni immobili molto più documentato dei precedenti, con il fine di rendere omogeneo ed equo il sistema fiscale) e il nuovo codice penale, l’abolizione della servitù della gleba, attuazione di una politica economica, caratterizzata da elementi del mercantilismo, della fisiocrazia e del liberismo. Il riformismo diede buoni risultati finché regnò Giuseppe II, ma subì un cambio di rotta con la sua morte e la successione di Leopoldo II, che era stato granduca di Toscana (dominio austriaco sfruttato come “palestra” dei successori alla corona imperiale), per via delle pressioni che gli ungheresi stavano esercitando per garantirsi l’indipendenza. Suo figlio, Francesco II, si trovò, invece, a fronteggiare la Rivoluzione francese e Napoleone. 1.5 Federico II di Hohenzollern Federico Guglielmo I di Hohenzollern, detto il Grande, fu elettore del Brandeburgo e padre della Prussia; il figlio, Federico II, fu educato come un soldato, sebbene avesse un’indole diversa: amava le arti e la letteratura e fu grande amico di Voltaire. Si dedicò al rafforzamento dello stato, alla lotta ai privilegi del clero (protestante), all’istruzione pubblica (non estromise i Gesuiti, ritenuti ottimi insegnanti perché non influenzavano la società), alla riforma penale (abolizione tortura e quasi totale eliminazione della pena di morte); sostenne la massoneria e attuò un rinnovamento urbanistico. 1.6 Caterina II di Russia Caterina II, dopo la morte del marito, portò la Russia fuori dalla guerra contro Federico II. La corte non era più a Mosca ma a Pietroburgo, per avvicinare il paese all’Europa occidentale. Pietroburgo nacque con il timbro settecentesco: lì Caterina comprese che era necessario legare a sé l’aristocrazia (boiari). La zarina diede un forte impulso alla siderurgia e alla cantieristica navale, riprendendo il lavoro di Pietro il Grande; decise la nomina regia del Senato, ottenne una riduzione dei privilegi del clero ortodosso: confiscò le proprietà ecclesiastiche e ottenne che il clero fosse stipendiato dalla Corona. Caterina tentò a eliminare la servitù della gleba, ma rischiava di essere detronizzata, visto che l’economia della Russia si basava sulle corvee. L’istruzione, in questo caso, non fu né completamente gratuita né completamente obbligatoria. Portò avanti una politica espansiva: mosse guerra contro la Turchia (rivolta cosacca) e conquistò la Crimea. 1.7 La riforma in Spagna e Portogallo Anche in Spagna e Portogallo si tentò la riforma, ma in forma ridotta. Con Giuseppe I di Braganza, il Portogallo stimolò l’economia, rafforzò l’esercito, abolì i privilegi del clero, contrastò la riottosità nobiliare; La rivoluzione si svolse tra il 1765 e il 1787, ad opera delle 13 colonie britanniche del Nord America; nacque una nuova realtà statale indipendente, gli Stati Uniti d’America, destinata alla leadership globale (a partire dalla I guerra mondiale), per effetto di una crisi politico-istituzionale tutta interna all’impero coloniale britannico, il cosiddetto paradosso inglese: l’Inghilterra era stato leader sul piano del progresso politico (gloriosa rivoluzione, monarchia costituzionale) ed economico (rivoluzioni agraria e industriale). Peraltro, la Gran Bretagna era uscita vincitrice dalla guerra dei Sette Anni (1757-63): alleata della Prussia, aveva ottenuto il Quebec e la Louisiana. La Rivoluzione americana non fu il risultato di un programma politico, di un progetto elaborato da una società omogenea, coesa e determinata a raggiungere quell’obiettivo al contrario; si trattò di un processo molto magmatico, articolato in quattro fasi: protesta, resistenza, guerra, costruzione istituzionale. Rivoluzione, per quell’epoca, significava in ritorno al punto di partenza, un percorso che riportava allo stato iniziale, ma il concetto di rivoluzione cambiò con la rivoluzione americana. Molti dei protagonisti non l’avrebbero chiamata rivoluzione, poiché ancorati alla concezione di rivoluzione come ritorno al punto di partenza. Furono i posteri a cambiare l’accezione di rivoluzione sulla base di tali eventi. 1.7 Le quattro fasi La prima fase fu la protesta fiscale e politica, una fase che si caratterizzò per la resistenza accanita, al limite della guerra. La seconda fu quella di resistenza; la terza la guerra vera e propria, che gli americani non avrebbero mai vinto senza l’ausilio della Francia; la quarta quella della costruzione istituzionale: si ideò un nuovo modello istituzionale, di repubblica basata sul popolo, di tipo presidenziale (come l’Olanda) e federale. Si trattò di un insieme di forme che diede vita a una novità assoluta. Quando gli americani si ribellarono, l’obiettivo non era l'indipendenza (anche se furono lieti di ottenerla); la rivoluzione fu una lacerazione culturale, perché l’aristocrazia americana era legata alla madrepatria inglese (nel salotti aristocratici vi erano i ritratti del re). Tuttavia, rispetto all’Europa, era una società omogenea e più determinata. Le tredici colonie erano omogenee culturalmente, ma avevano anche tratti distintivi, soprattutto per la posizione geografica: dalla Virginia in giù prevalevano, per via del clima, le piantagioni (economia basata sull’agricoltura dei latifondi) e quindi si ebbe la necessità, nelle colonie del sud, di manodopera schiavile. Nel nord, invece, vi era prevalenza di cantieristica navale e siderurgica (l’economia era di tipo industriale). Il tasso di popolazione influenzò la nascita di nuove colonie (il numero aumentò progressivamente) quando si raggiungeva un numero elevato di abitanti si costituiva una nuova colonia. 1.8 Lo sviluppo delle colonie del Nord Tra il 1700 e il 1750, le colonie britanniche in Nord America conobbero uno straordinario sviluppo sociale, economico, politico e culturale; le colonie erano piuttosto popolate, diverse fra loro, economicamente e culturalmente dinamiche. Le diversità erano figlie anzitutto delle differenze geografiche, in un continente molto vasto, in cui si possono distinguere tre macroaree: nord, centro e sud. Nel nord vi sono le più antiche colonie del New England, a maggioranza puritana, poco popolate e costituite dalla piccola e media proprietà terriera, con una proto-industria e una produzione agraria (zucchero, pelli, legno) finalizzate all’esportazione cantieristica. Nel centro vi sono New York, New Jersey e Pennsylvania, colonie culturalmente variegate (olandesi, quaccheri, tedeschi, etc.), fortemente urbanizzate e popolate, con un grande commercio atlantico e maggiore modernità sociale, culturale e politica. Nel sud vi sono colonie come il South Carolina o la Georgia, meno urbanizzate e composite anche sul piano culturale e religioso (cattolici, anglicani, calvinisti, etc.), con vasti latifondi (piantagioni di canna da zucchero, cotone, tabacco etc.) in cui si adoperavano gli schiavi come manodopera. Nel complesso, risultava un quadro pieno di contraddizioni: alla modernità si contrapponeva il tradizionalismo, alla maggiore libertà culturale il conservatorismo della rigida morale puritana, e, infine vi era un alto grado di alfabetizzazione e vivacità degli strumenti d’informazione. 1.9 Le differenze con l’Europa Gli americani non facevano i conti con il peso della società di ordini e con quello degli ordinamenti che imbrigliavano la società europea di antico regime. Molti di loro, anzi, erano venuti in America proprio per sottrarsi a quel peso: fra loro, molti dissidenti politici o religiosi (i Padri pellegrini del Mayflower, ossia puritani e quaccheri - etimologia dal termine tremare, nei loro atti che sconfinavano in ascesi e digiuni e si inducevano a una condizione “tremolante”- , frange radicali del calvinismo estromessi dall’Inghilterra). In America non c’erano i grandi apparati monastici o ecclesiastici europei; c’era sempre stata, dunque, la tendenza a una nuova identificazione comunitaria, un sentirsi tutti coloni di una terra nuova, vergine, da scoprire e conquistare: una terra promessa (dono di Dio, non di un sovrano). In America non c’era lo sfruttamento delle masse contadine, anche se era stata importata dai coloni la schiavitù (specie nelle colonie del Sud) e la sopraffazione a danno delle popolazioni autoctone. I cosiddetti Indiani d’America erano popoli meno progrediti rispetto alle civiltà sorte nell’America istmica e meridionale: si trattava di tribù nomadi, dedite alla caccia, per lo più prive di sistemi di scrittura (Cheyenne, Apache, Cherokee, Comanche, Navajo, Sioux). Lezione del 30.11.2022 1.1 L’inquisizione Fino al 1542 erano attivi due tribunali dell’Inquisizione, quello spagnolo e quello portoghese; il primo aveva come obiettivo trattare casi relativi a ebrei e conversos. Nel caso dell’inquisizione romana, l’obiettivo era la lotta all’eresia. L’inquisizione romana fu re-istituita nel 1542 da papa Paolo III Farnese prima del concilio di Trento, richiesto da Carlo V, il quale voleva ricomporre la frammentazione nella cristianità. I diversi papi tentarono di evitare la convocazione del concilio, ma con Trento si comprese che ormai anche Roma riconosceva il problema. L’inquisizione spagnola agì anche in alcune aree italiane, anche se Milano e Napoli tentarono di evitarla: si trovò un compromesso con i vescovi e si stabilì un’inquisizione vescovile. Con l’espressione “giudici si fede”, perciò, non si intendevano solo gli inquisitori, ma anche i vescovi. Si crearono spesso dei conflitti di inquisizioni tra vescovi e inquisitori. I poteri dell’inquisizione romana andarono oltre quelli che erano appartenuti fino a quel momento ai vescovi (giurisdizione indiretta), perché venivano nominati direttamente dal pontefice (giurisdizione diretta), e superavano l’autorità degli altri (la congregazione dell’Indice fallì perché gli inquisitori l’avevano fagocitata). 1.2 L’opinione della storiografia La storiografia non ha sempre dato delle interpretazioni lucide sull’Inquisizione, perché a volte era troppo negativa, mentre altre ne sminuiva i tratti più oscuri; ad oggi, si ha una visione più chiara ed estranea da giudizi netti in positivo (chi ha sostenuto che i tribunali inquisitori erano all’avanguardia riguardo alla tutela degli imputati, che avevano un avvocato e non erano torturati senza una perizia medica) e in negativo. A differenza delle istituzioni laiche e civili nel contesto italiano, fu dotata di continuità: ciò costituisce un vantaggio dal punto di vista giuridico. 1.3 La struttura dell’istituzione Paolo III Farnese prese la decisione di tornare a servirsi dei tribunali dell’inquisizione, nominando sei cardinali inquisitori generali incaricati di tutelare l’ortodossia in tutto il territorio: nella pratica, l’estensione di questa tutela si concentrò sulla penisola italiana, con l’aggiunta di Malta e del sud della Francia. I cardinali avevano poteri di controllo illimitati, perché dovevano difendere la fede su tutti i piani: in Italia, vi erano delle questioni a Lucca, Venezia (centro di stampa di primo ordine), Napoli e Modena, che erano sospettate di eresia (eterodossia italiana). Nel caso di Modena si tentò di riportare l’ordine facendo firmare dei memoriali per reinserire gli eretici nella comunità, ma la maggior parte di questi si diedero all’esilio. 1.4 Il sospetto di eresia L’istituzione continuò ad agire nel corso dei secoli grazie alla categoria del sospetto di eresia, che divenne importante nel momento in cui non si poté parlare più di eresia formale, come veniva chiamata nei tribunali, perché ormai questi si occupavano di reati come la stregoneria, la magia, il possesso di libri proibiti ecc. Il sospetto di eresia, quindi, fu motivo della continuità storica dell’istituzione. Gli ebrei non potevano rientrare nei processi contro l’inquisizione perché non erano battezzati, ma venivano processati perché potevano entrare in contatto con i cristiani (es.: caso raro di un cristiano al servizio di un ebreo). Le penitenze date agli ebrei non erano le stesse date ai cristiani, perché di altra religione, perciò venivano spesso commutate in penitenze pecuniarie (es.: palazzo inquisitorio realizzato con il denaro di imputati ebrei). 1.5 Gli obiettivi dell’Inquisizione Gli obiettivi dell’Inquisizione nel corso dei secoli possono essere distinti in due fasi: la prima, dal 1542 al 1600, quando l’Inquisizione si occupò di eresie formali; la seconda, di assestamento e organizzazione, che coprì tutto il ‘600, riguardò più casi di stregoneria, superstizione, possesso di libri proibiti. Nel ‘700 e fino agli anni 70 e 80 del secolo, vi fu un allentamento della presa dell’Inquisizione (periodo del dispotismo illuminato, con i sovrani che tolsero terreno alla chiesa). Nella prima fase vi era un altro aspetto interessante, ossia una persecuzione interna alle categorie spirituali e zelanti. Vennero organizzati dei processi anche contro le gerarchie più alte della chiesa, come contro i cardinali, quindi non ci si limitava ad ammonirli: il sistema inquisitorio guardò sia all’esterno sia all’interno. Nella seconda fase vi fu la burocratizzazione: venne messa in secondo piano l’eresia formale e cominciò il grosso, dal punto di vista quantitativo, del lavoro dell’Inquisizione nei processi contro tutte le categorie. 1.6 L’organizzazione interna Per permettere il funzionamento del sistema si aveva bisogno di tribunali locali, che seguivano la divisione diocesana (inquisitori locali si impiantavano nelle sede vescovili o nelle parrocchie, ossia realtà già esistenti, che non eliminarono). Il vicario non poteva organizzare i processi, ma raccoglieva le denunce e le trasmetteva alla sede più vicina, che verificava se c’erano i presupposti per intentare un processo, e il tutto veniva comunicato a Roma: solo alcuni casi venivano sottoposti all’attenzione di Roma, mentre altri venivano gestiti a livello locale. Il processo accusatorio avveniva a partire dall’accusa, mentre l’inquisitio si apriva con un’indagine, alla quale seguiva la fase del processo vero e proprio, che poteva anche non esserci se ci si rendeva conto che l’accusa era troppo evidente oppure non sussisteva. Non poteva esserci un processo senza la fase informativa. 1.7 I tempi di grazia Il procedimento inquisitorio iniziava o con un esposto scritto o con una denuncia. L’inquisizione organizzava in maniera astuta (anche a livello di tempi) le denunce, istituendo i periodi detti “tempi di grazia”, in prossimità della Pasqua o ogni volta che un inquisitore locale veniva sostituito da un altro; in questi periodi erano emanati degli editti che prevedevano uno sconto di pena per chi si fosse autodenunciato (spontanea presentazione), pentito o avesse denunciato i complici (anche per casi gravi, come eresia, si ottenevano come penitenze atti di poco conto, come digiuni). Gli sconti, tuttavia, valevano una sola volta, perché nel caso in cui l’accusa di eresia sarebbe giunta una seconda volta, l’imputato sarebbe stato condannato come relapso e non avrebbe più avuto diritto a sconti di alcun tipo. I tribunali civili ripresero da quelli inquisitori la loro struttura: l’accusato poteva chiamare un suo difensore o poteva rimettersi alla volontà degli inquisitori, sperando nella loro clemenza, perché non sempre l’eccessiva volontà di difendersi era vista positivamente. 1.8 La tortura La tortura non veniva praticata in maniera indiscriminata, e si teneva conto delle condizioni dell’imputato (età, sesso e condizione fisica); veniva utilizzata in due casi distinti: per accertarsi della verità degli eventi (troppe differenze tra la dichiarazioni dell’accusato e dell’accusante) o per farsi fare i nomi dei complici. La tortura più comune prevedeva la slogatura delle spalle che veniva praticata con una corda connessa a una carrucola. In un caso, a una donna accusata di stregoneria si tentò di capire da dove fosse entrato il diavolo. Gli inquisitori erano convinti che la verità emergeva solo con la tortura, contrariamente a quanto affermato da Beccaria (esempio di Savonarola). 1.9 La sentenza e l’abiura Concludendo, la Costituzione americana riassume la serie di compromessi che fu necessario accettare per giungere a un grande risultato politico. Si stabilì un compromesso tra: - poteri locali e tendenza accentratrice: si istituzionalizzò la vecchia dialettica centro-periferia, eredità dell’età coloniale. Gli USA erano nati da un processo di dispersione della sovranità (dal centro alla periferia) ma poi, quando si dovette costruire e governare il nuovo Stato federale, si attuò il processo inverso, perché serviva un centro di potere; perciò, la soluzione federale si rivelò la più opportuna; - teoria e pratica: la sovranità popolare ebbe un’applicazione graduale, incompleta e contraddittoria da Stato a Stato. Si trattò di una rivoluzione priva di specifici obiettivi economici e sociali, la cui guida rimase nelle mani delle élite americane (a parte i rari di casi di fuga e confisca di beni, ai danni dei lealisti). I principi ispiratori, oltre a Rousseau, furono Locke e la cultura politica whig d’età augustea; il traguardo, in piena continuità con la tradizione del common law inglese, fu la repubblica più moderna al mondo (la prima teoricamente ‘democratica’), il più vasto sistema federale al mondo, l’uguaglianza di diritti civili e politici (diritti naturali imprescrittibili, che neppure il Parlamento poteva violare), la sovranità popolare, l’elettività delle magistrature, la separazione dei poteri (Montesquieu), il costituzionalismo, la tutela delle libertà individuali, la riforma dell’elettorato attivo e passivo, la distribuzione della rappresentanza, la segretezza del voto, la rotazione delle cariche, lo Stato laico, maggiori spazi di partecipazione politica anche per le donne. Gli americani si dotarono di istituzioni coerenti col tipo di società che si era creata in ambiente coloniale; il più forte controsenso fu il mantenimento della schiavitù (necessaria per l’economia degli Stati del Sud). 1.8 Tocqueville Tocqueville era un liberale non radicale, che aveva come modello l’Inghilterra (monarchia costituzionale); era un magistrato (nobile togato), che si recò negli Usa per studiare il sistema giudiziario del paese, e giunse alle conclusioni dell’intellettuale europeo e del giurista: affermò che si erano formate nuove élite il cui potere era basato sul controllo della ricchezza, ossia che attraverso l’aggressivo capitalismo le élite potevano condizionare le masse e portarle a votarle attraverso una parvenza di benessere, mentre, nella realtà, questi venivano privati dei loro diritti: la mentalità degli americani avrebbe portato all’espansione di questi caratteri altrove. Solo apparentemente la realtà americana era un sogno, ma bisognava stare attenti al funzionamento degli Stati Uniti, alla cui base c’era un’oligarchia potente quanto quella del vecchio mondo, ma più insidiosa. 1.9 La schiavitù Gli uomini di antico regime non avevano il concetto di razza, e i loro pregiudizi nei confronti degli indios e degli schiavi non erano fondati su un discorso razziale: la discriminazione era culturale. Il passaggio dal pressappoco al catalogato e preciso finì per riguardare anche l’umanità, la “razza” umana. La discriminazione dell’ottocento e del novecento era razziale, non culturale e religiosa, come era stato fino a quel momento (già da Aristotele). Il motivo per il quale gli europei preferivano servitori bianchi era per vicinanza culturale: nel momento in cui si scelsero quelli neri era per moda, non perché vi fosse una discriminazione fondata sulla razza. In età contemporanea, questo concetto non poteva più valere, e in questo contesto Lincoln fu un passo importante: nel momento in cui si batté per abolire la schiavitù non era solo mosso dalla questione economica (distruggere l’economia del sud) o dalla filantropia, ma soprattutto perché, pur riconoscendo gli indios come inferiori, si era reso conto che quella era una violazione della costituzione americana. Lincoln fu scelto come presidente perché l’America era in condizione di crisi, e in caso di esigenza sarebbe potuto essere sacrificato senza problemi, perché non avrebbe alterato alcun sistema. Lezione del 01.12.2022 1.1 La sacralità del dollaro Il dollaro americano, con l’effige di George Washington, è considerato un simbolo religioso: per alcuni l’elemento religioso si riferiva al dio denaro; in realtà, il tutto doveva essere inteso in senso letterale. Sul retro è presente la scritta “in God we trust”: non si tentava di sacralizzare la politica, ma si ammiccava al deismo (fase religiosa illuminista, massima parte dei padri fondatori vicini alla massoneria). La religione deista si applicava a chiunque avesse voluto praticarla, per via della credenza nella scienza. Altri simboli che stabiliscono l’identità americana sono l’aquila, simbolo di potere, che tra gli artigli stringe tredici frecce (simbolo di guerra) e gli ulivi (simbolo di pace); vi sono anche le stelle, sempre tredici; la piramide con tredici gradini; questi simboli furono indicatori del fatto che i nuovi oligarchi erano perfettamente capaci di comprendere che era necessario accelerare il processo di sacralizzazione della politica, ossia di conferire a sé stessi quegli attributi che erano stati, fino a quel momento, della corona inglese. Il loro culto era, infine, la patria, perciò non si può parlare di ateismo nel caso degli Stati Uniti. 1.2 Patria e Nazione Il termine patria deriva dal latino pater, e indica dove le radici del proprio essere portano; quello di nazione dal termine natio, che significa nascere, quindi indica l’appartenenza al luogo in cui si è nati: per queste definizioni, il termine patria è più incline a caricarsi di significato ideologico. Vi fu, nel corso dell’età moderna, un progressivo avvicinamento delle due definizioni, finché la rivoluzione americana, quella francese, i vari tentativi di indipendenza dell’800 e i totalitarismi del ‘900, hanno attribuito sacralità alla patria, portando a un qualcosa di pericoloso (guerra giusta: si è pronti a morire per la patria). Gli inni nazionali o la coniazione di moneta furono fenomeni che ebbero a che fare con la sovrapposizione dei due termini. Tutto ciò rientra nel concetto di sacralizzazione della politica: chi governa orienta, anche attraverso questi strumenti. Nel corso del ciclo rivoluzionario francese, tra simboli, immagini, la baionetta, la Marianna (figura di invenzione, Building Nation) e inni si tentò di orientare. Anche la bandiera doveva essere “inventata”, ma per chi ci credeva si caricava di significato, e doveva essere di immediata presa, rendere rapida l’immedesimazione in essa. La bandiera americana ha colori casuali, ma il numero di strisce e stelle non lo è, perché fa riferimento alle colonie e alla massoneria. Per altre teorie, si trattava di un’allusione all’East India Company: ma poteva non essere così, poteva trattarsi di un semplice ricordo di qualcosa che era familiare. 1.3 Gli inni nazionali L’inno nazionale più antico è quello britannico e appartiene, come genesi e concetto, al tipo di inno preghiera, ossia rappresenta a un’invocazione a Dio, al quale è chiesto di proteggere lo stato e il sovrano, garanti dell’ordine. In questo testo, sono elementi storici: “disperdi i suoi nemici”, in riferimento all’episodio della Manica; “dalle la forza di proteggere le nostre leggi” fa riferimento alla tradizione del common law. La marsigliese, invece, è un inno di guerra, ed è violento anche nel testo. 1.4 La rivoluzione francese La rivoluzione fu un evento importante (non era stato previsto da nessuno), su cui la storiografia dibatte ancora. La rivoluzione, come definizione minima, fu un decennio di ciclo rivoluzionario (1789-1799), diviso in tre fasi fondamentali: - liberale - borghese: portatrice delle istanze della borghesia, l’obiettivo era cedere più diritti al terzo stato. Con questa fase la Francia divenne una monarchia costituzionale; - giacobina (repubblicana sulla carta, nel pratico dittatura militare): in questo periodo furono i giacobini, radicali di sinistra (Robespierre) ad avere il controllo. In questa fase la Francia divenne una repubblica democratica nella teoria; - del direttorio: la Francia rimase una repubblica oligarchica (gli oligarchi erano giunti al potere durante il corso rivoluzionario, tra cui Napoleone), ma la fazione dirigente non erano più i giacobini, ma il direttorio. La rivoluzione non significò continuità e la Francia dovette rifiutare alcuni dei traguardi raggiunti in precedenza: alla fine, da monarchia assoluta si giunse a una monarchia costituzionale. Sebbene fu esportata altrove (questo era uno dei motti), la rivoluzione fu un prodotto esclusivamente francese, che ebbe conseguenze sul diritto e sulla società civile. Con la Rivoluzione Francese, il termine rivoluzione smise di essere un ritorno a un punto già toccato e cominciò a essere intesa come qualcosa che cambiava le cose in modo radicale. 1.5 Il dibattito storiografico Il dibattito storiografico ha riguardato tre aspetti: - le cause: Michelet, nell’800, vide nelle cause la povertà del popolo, mentre Jueres l’ascesa della borghesia, che aveva portato alla nascita e alla rinascita delle città, una forza che divenne il fulcro della rivoluzione; - gli effetti: la vulgata marxista guardò con estremo interesse alla rivoluzione, vedendo in questa la nascita del capitalismo con l’ascesa della borghesia, che ormai aveva assunto il controllo. Gli anti- marxisti (Furet), invece, videro in essa un freno alle ambizioni della borghesia e con essa si posero le basi del totalitarismo, in particolare quello sovietico; - il rapporto tra l’Illuminismo e la rivoluzione: Brissot (girondino della rivoluzione, protagonista della prima fase) affermò che la rivoluzione era la messa in atto del cinquantennio illuminista. Chartier, invece, ha ritenuto che la rivoluzione sia stata, per molti motivi, la negazione dell’Illuminismo. Infatti, il pensiero di Beccaria fu rinnegato con la ghigliottina e le uccisioni. Una parte della Francia andò contro l’altra: ne fu un esempio il caso della Vandea. 1.6 L’origine della rivoluzione La Francia era uno Stato di circa 28 milioni di abitanti, con un grande esercito permanente e una vasta burocrazia; uno Stato che da decenni attraversava una grave crisi finanziaria, che necessitava di riforme politiche (l’Inghilterra era stata il grande ‘mito’ degli illuministi -monarchia parlamentare- ma quello stesso mito era andato in crisi, per effetto della rivoluzione americana). La Francia era devastata sul piano finanziario: si tentò di tutto, ma tutti fallirono, perché era una spirale così profonda e ampia da non poter essere fermata. La Francia era troppo indebitata: con Luigi XV si spese troppo con la guerra, e ormai si era incapaci di attuare delle riforme efficaci (problema della nobiltà di spada che non voleva “sporcarsi” e che era depositaria della maggior parte dei capitali); accanto a ciò, si poneva il potere giurisdizionale: i parlamenti francesi avevano sempre esercitato opposizione alla corona e si era legata, invece, alla nobiltà di spada. Nelle campagne francesi, inoltre, si tornava a morire di fame: la Francia, infine, doveva sostenere l’America nella guerra di Indipendenza. 1.7 I tentativi di Luigi XVI Quando, nel 1774, salì al trono Luigi XVI vi era grande speranza, perché in gioventù piaceva al popolo. Nel suo governo, tuttavia, non fu aiutato sia dal fatto che preferiva dedicarsi a fabbricare serrature, sia perché aveva sposato Maria Antonietta, una ragazzina, non era interessata allo stato. Maria Teresa era a conoscenza di ciò, perciò la fece sorvegliare dal suo ambasciatore per evitare che facesse errori. Luigi, tuttavia, tentò di risollevare la situazione chiamando a suo ministro Turgot, convinto che le riforme dovessero partire dal settore primario: per fare ciò bisognava applicare una tassa fondiaria sui grandi detentori di terre: primo e secondo stato si allearono e tentarono di bloccare ciò e Turgot venne allontanato e sostituito da Necker, che eliminò tutte le spese superflue, ma in seguito pubblicò un bilancio truccato, in cui non si mostrava la reale condizione di crisi del paese: nel 1787 si può già considerare iniziata la rivoluzione (lit de justice, conflitto giurisdizionale: ribellione dei sedici parlamenti provinciali e di quello di Parigi). Arrivò un nuovo ministro, che dovette esiliare il parlamento di Parigi a Troyes e convocò gli Stati Generali, obbligato dalla crisi politica. Senza la convocazione era impossibile uscirne. Ciò implicò il ritorno di Necker, e in seguito a ciò si sommarono tre grandi proteste: la rivolta nobiliare, che non voleva la tassa, che si lega al primo, è quello dei club rivoluzionari, ossia di società in cui si faceva dibattito politico sebbene fossero extraparlamentari: il club giacobino in un secondo momento entrò nell’assemblea costituente. Tra i club più antichi vi erano la società degli amici della costituzione, formata da deputati eletti nella Bretagna e detti giacobini (i beni della chiesa erano stati venduti e alcuni erano rimasti in possesso dello stato, che aveva ceduto il convento di San Giacomo, utilizzato poi da questo gruppo); la società del 1789 rappresentò invece i patrioti; infine, i cordiglieri (riuniti in un convento francescano e i francescani chiudevano il saio con una corda), più radicali dei giacobini, erano guidati da Danton (estrazione basso borghese) ed ebbe un contributo alla rivoluzione, portando alla seconda fase, ma finì per scontrarsi con il vecchio alleato, Robespierre. 1.4 I simboli della rivoluzione Anche Parigi cominciò ad essere ristrutturata: si formarono ben 48 municipi; in questo contesto assunsero importanza i sanculotti, che si riunivano in alcuni luoghi di incontro (officine dismesse): i giacobini e Danton miravano a ottenerne il consenso. Nel frattempo continuava la stampa periodica, con il fine di coinvolgere, anche con le immagini, il popolo minuto. Un altro esponente dei giacobini fu Marat (medico e giornalista vicino ai cordiglieri, presidente del club giacobino). Nella prima fase rivoluzionaria il cappello frigio divenne l’elemento distintivo di chi aveva aderito alla rivoluzione (originario dalla Frigia, attuale Anatolia, utilizzato nel tardo antico dai liberti italiani: rientra nel contesto del Building Nation. Il colore rosso era per indicare le passioni profonde e la battaglia). Un altro simbolo della rivoluzione fu l’albero della libertà, addobbato con una serie di coccarde che rappresentavano l’adesione alla rivoluzione. Il tricolore includeva il bianco (continuità con i Borbone), blu e rosso perché erano i simboli della città di Parigi (proposta di La Fayette). L’ultimo simbolo era il fascio littorio, un attributo antichissimo che veniva dalla cultura classica e indicava la giustizia, le magistrature e chi le esercitava: in questo caso vi fu un richiamo alla fase repubblicana della Roma antica. 1.5 Gli eventi del 1791 Nel 1791 si intrecciarono la crisi economica, religiosa (clero francese spaccato) e politica. Il 14 giugno Robespierre ottenne il diritto di voto anche per i francesi delle colonie e la non rieleggibilità dell’Assemblea Costituente. Con la fuga di Varenne tra il 20 e il 21 giugno (venne intercettato al confine con il Belgio perché la carrozza era sospetta e i documenti erano falsi) i sovrani francesi non ebbero più possibilità di salvarsi. Fu compiuta un’ispezione agli appartamenti reali delle Tulierie e si comprese che il re era in contatto con l’Austria (Giuseppe II) per tentare di ripristinare la situazione con l’intervento esterno (i documenti trovati erano falsi): ciò fu giudicato come un tradimento alla nazione da parte del re, ritenuto ancora sacro, ma che aveva abbandonato non solo i potenti, ma anche e soprattutto i più povero. La monarchia si era infine alienata dalle poche simpatie che gli erano rimaste, tra cui Mirabeau e La Fayette, che non sapevano come difendere la corona. Il 16 Luglio il re venne costretto a mettere il berretto frigio e a giurare fedeltà alla Costituzione francese. Il 3 settembre venne votata la prima costituzione, firmata dal re dieci giorni dopo, in base alla quale la Francia era ormai ufficialmente una monarchia costituzionale, in cui il potere del re (il potere esecutivo gli rimaneva) era bilanciato da un potere legislativo che andava a un’assemblea legislativa, eletta su base censuaria (sanculotti non votavano per via del censo: ciò serviva per arginare la massa immane dei radicali) e un potere giudiziario, che andava ai nuovi tribunali. Venne eletta l’Assemblea il 1 ottobre 1791, evento che sancì la vittoria piena del terzo stato (rappresentati dai foglianti: La Fayette). 1.6 Le differenze con la rivoluzione inglese Le differenze tra il fenomeno rivoluzionario inglese e quello francese furono: - i tempi di azione, più rapidi e serrati in Francia; - lo scarso rilievo assunto dal popolo in Inghilterra; - Carlo I non era fuggito e aveva combattuto con il suo esercito per difendere il trono, mentre Luigi XVI non combatté mai e fuggì; - la rivoluzione francese ebbe una portata globale e riguardò i diritti di tutti gli uomini (Diritti dell’uomo e del cittadino), mentre nel caso inglese e americano le rivendicazioni riguardavano solo gli inglesi e gli americani. 1.7 La guerra Mentre i rappresentanti del Terzo Stato si dividevano in due correnti, girondini (borghesia moderata, guidati da Jacques Pierre Brissot) e montagnardi (popolo e piccola borghesia, giacobini di Robespierre), l’Austria, la Prussia e la Sassonia dichiararono la loro solidarietà a Luigi XVI (prigioniero dei rivoluzionari) e guerra alla Francia. I francesi presero coscienza che quel che era avvenuto in Francia riguardava anche il resto del mondo (cosmopolitismo rivoluzionario e opinione pubblica). Per Brissot la guerra era ormai inevitabile per difendere le conquiste della Rivoluzione e distruggere la rete di protezione di cui godeva il re; anche i monarchici tradizionalisti (realisti) volevano ormai la guerra, poiché speravano che avrebbe riportato ogni cosa al suo posto e cancellato le riforme rivoluzionarie. Solo Robespierre era contrario alla guerra, perché convinto che la Francia non fosse pronta e che a pagarla sarebbe stato soprattutto il popolo. Il 15 marzo 1792, Luigi XVI creò un governo guidato da Brissot, il quale dichiarò guerra all’Austria, alla Boemia e all’Ungheria (alla Corona asburgica); poco dopo anche la Prussia scese in campo contro la Francia. Si verificarono i primi insuccessi militari francesi e primi forti sospetti contro la regina Maria Antonietta (austriaca, figlia di Maria Teresa d’Asburgo). Si giunse a una crisi militare che costrinse il reclutamento di volontari. Divenne crescente l’odio verso la famiglia reale, e il 10 agosto 1792 il popolo assaltò la reggia delle Tuileries e l’Assemblea legislativa si vide costretta a porre agli arresti la famiglia reale. Nacque un nuovo organo, la Comune insurrezionale, che assunse il potere esecutivo e dichiarò decaduto il sovrano; l’esercito prussiano era vicinissimo a Parigi (Verdun). Si creò un Tribunale straordinario contro i nemici della Rivoluzione (processi e arresti): i sanculotti assaltarono le carceri (ora sì) parigine per liberare i detenuti e il 20 settembre 1792, a Valmy, l’esercito francese vinse. Lezione del 07.12.2022 1.1 L’assemblea nazionale Nel 1792, l’Assemblea legislativa si sciolse e si creò la Convenzione (assemblea nazionale), eletta a suffragio universale maschile (Robespierre e i suoi avevano avuto la meglio). Il 20% erano brissottini (girondini, moderati), il 35% montagnardi (seduti nell’aula in alto a sinistra) e il 45% era costituito dalla Pianura, che non aveva le idee chiare e sedeva nelle prime file in basso. Il 21 settembre 1792 venne dichiarata la repubblica democratica; cominciarono una serie di riforme notevoli: si smise di parlare di settimane e si utilizzò la decade e iniziò il processo al re. Il 21 gennaio 1793, Luigi XVI venne ritenuto colpevole di tradimento (tradimento anche a Dio, perché il re era ritenuto sacro) e ghigliottinato, perché sovvertito le leggi della nazione, compiendo qualcosa di vergognoso anche sul piano morale. La ghigliottina fu presentata come uno strumento della giustizia illuminista, perché era “indolore” e rapido, ed era più facile uccidere. Oltre a Luigi XVI, anche Maria Antonietta fu giustiziata, dopo un processo farsa. Non si trattò dello stesso fenomeno che riguardò Carlo I, perché nel caso di Luigi XVI fu giustiziato un re ritenuto sacro. 1.2 La condanna dei sovrani francesi Nell’inno i battaglioni sono cittadini: il termine suddito fu sostituito da quello di cittadino, che indicava coloro che erano difesi da una legge francese, che non era più il singolo statuto, diverso in ogni realtà. Il re, dopo essere stato accusato, fu portato nella prigione del Tempio, che non era più la prigione dorata, e lì visse con la moglie e i figli, separato dagli altri; la votazione per la condanna a morte del re fu vinta per un solo voto. Maria Antonietta era la più adatta al sovrano di Francia, perché molto bella. Quando poi fu processata era malata, e fu dipinta come una strega: il suo ultimo ritratto fu realizzato da David mentre questa veniva portata al rogo. Nei suoi confronti non vi fu tolleranza, perché non era il sovrano, non era sacra ed era austriaca. Fu inevitabile che questa figura fosse profondamente riletta e rivisitata nel corso degli anni. Luv u 1.3 La seconda fase La seconda fase fu quella repubblicana (giacobina): il 45% di indecisi dovette trovare un collocamento politico. La convenzione dichiarò che la rivoluzione era ufficialmente estesa a tutta Europa: la guerra era fatta per portare la libertà a tutti coloro che erano sopraffatti dall’assolutismo, perciò fu pervasa da un sentimento di fratellanza e soccorso. La Francia, tuttavia, era un paese pieno di debiti, assediato da una controrivoluzione. Si trattò di una guerra di conquista e di liberazione: la Francia doveva raggiungere le sue frontiere naturali (spazio vitale, Hitler), ossia doveva estendersi fino al Reno e alle Alpi. Occupò la riva sinistra del Reno, il Belgio e la Savoia, annettendo Nizza. Tra il febbraio e il marzo del 1793 gli stati italiani, quelli tedeschi, l’Inghilterra, l’Olanda e la Spagna si allearono contro la Francia. Si aggravava intanto la crisi finanziaria (carestia e abbandono delle campagne e delle attività produttive) e fu proclamata la coscrizione obbligatoria (300.000 uomini): per evitare l’arruolamento si poteva pagare per far combattere qualcuno al proprio posto; i rampolli delle famiglie nobili partecipavano alla guerra o per status sociale o per convinzione. In questo contesto si inserisce la rivolta della Vandea, scoppiata nel 1793, che diede avviò alla guerra civile. 1.4 La rivolta della Vandea Nella rivolta della Vandea presero parte i contadini, anche quelli delle zone limitrofe al centro in cui scoppiò, e affianco a loro combatterono anche il clero refrattario e quello che rimaneva dell’armata cattolica realista, rimasta fedele alla famiglia reale: andavano in guerra non solo con la bandiera borbonica, ma anche con un nuovo simbolo, il cuore e la croce vandeana (Dio era presente tra loro). La Vandea, storicamente, fu la rivolta: (la seconda Grande Paura, l’ultima, grande jacquerie della storia francese, v. VII lezione) si trattò del più importante episodio di contro-rivoluzione, all’interno del ciclo rivoluzionario francese; per l’intervento dell’Armata repubblicana (il nuovo esercito francese) si compì un massacro (almeno 150.000 morti). Lezione del 09.12.2022 1.1 I simboli Tra il 1840 e il 1858 in Francia si costituì un nuovo assetto: si trattò di un tentativo di ritorno al regime rivoluzionario. La Marianna fu un personaggio inventato (Building Nation): come attributi è una donna notevole, che attesta la necessità di dare rilievo all’impegno femminile rispetto alla rivoluzione (contro i virili ardori della Marsigliese), con il tricolore in una mano e una baionetta nell’altra, il cappello frigio e i seni scoperti che rappresentano la Francia prospera di idee e diritti (ascendenza classica). A parte una Parigi sullo sfondo, Delacroix aggiunge un bambino e un borghese, ma nel dipinto spicca il popolo. Si tratta del primo momento in cui si ripensa alla Rivoluzione, con tutti i suoi simboli e significati. In un secondo momento, si tentò una sacralizzazione delle figure dei sovrani, i cui corpi ghigliottinati erano stato gettati in una fosse comune, perché si temeva che potessero divenire oggetto di venerazione da parte dei nostalgici. Luigi XVI era stato sepolto, ma aveva mantenuto degli attributi che rendevano possibile il riconoscimento della salma (era comunque sacro), mentre Maria Antonietta fu riconosciuta per un attributo fisico, ossia i capelli lunghi. Luigi XVIII poteva tornare sul trono, perché anche i figli del vecchio sovrano morirono nella torre del Tempio, l’ultimo dei quali di stenti. 1.2 I provvedimenti di emergenza dei giacobini Nella primavera del 1793, i giacobini avevano il pieno controllo del potere esecutivo, ma il paese era ancora in guerra, e quindi il partito controllava anche l’esercito. Nacquero: - il tribunale rivoluzionario, dichiarato inappellabile; - il comitato di salute pubblica (salute = salvezza, era un organo che prendeva le decisioni fondamentali per la salvezza del paese, della rivoluzione e dei suoi ideali); - il calmiere dei prezzi, soprattutto dei grani (la massima parte della popolazione aveva una dieta basata sul consumo di farinacei, soprattutto nella città), che stabiliva un tetto massimo dei prezzi; fase significò importanti acquisizioni legislative (pubblica istruzione), un ampio accesso al voto, larga libertà di stampa e di associazione politica. La costituzione del 1795 fu avanzata, e a questa si ispirarono le Repubbliche Sorelle. Il potere esecutivo andò al Direttorio (organo di 5 membri eletti fra gli Anziani), quello legislativo a due Camere (Consiglio dei 500 e Consiglio degli Anziani, formate per 2/3 dai deputati uscenti dalla Convenzione). Vi fu una distribuzione dei poteri, una nuova Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (sparivano i diritti all’istruzione, all’assistenza e all’insurrezione) e fu pubblicata la Dichiarazione dei doveri (sottomissione alle leggi e le autorità costituite), fu mantenuta la libertà di stampa e associazione. Prima di sciogliersi, la Convenzione termidoriana dichiarò illegali i giacobini, ma non si fece l’errore di Robespierre e si preferì l’amnistia generale (non si poteva mandare al capitolo tutti i dissidenti), richiamò i deputati girondini, abolì il maximum sui prezzi, soppresse il Tribunale rivoluzionario e indebolì il Comitato di Salute pubblica. Continuavano gli episodi di controrivoluzione, il cosiddetto Terrore Bianco (bianco colore dei Borbone) e la gioventù dorata (fronda aristocratica). Vi erano comunque insurrezioni popolari (episodio di San Rocco: insurrezione parigina che dovette affrontare Napoleone, soffocata nel sangue prima della sua partenza per la campagna d’Italia). 1.9 Cosmopolitismo rivoluzionario Tra il 1795 e il 1799 la rivoluzione si espanse in Europa: si continuava a parlare di cosmopolitismo rivoluzionario. La Francia cercava alleati all’esterno, non nei sovrani ma nei loro sudditi. Si trattava di una questione di convenienza, ma vi era un esercito numeroso e l’azione fu meno azzardata. La macchina di creazione di un’ideologia dei “nuovi francesi” funzionava, perciò sulla base di questi strumenti teorici e pratici la Francia poteva permettersi di muovere guerra. In questo periodo si compì la campagna d’Italia. Tra il 1794 e il 1795 fu occupata Oneglia, dei Savoia, azione mossa da Buonarroti (massone, arrestato e deposto in seguito alla Congiura degli Eguali: un fallito colpo di Stato giacobino). Il termine Repubbliche giacobine è improprio perché ormai il giacobinismo era stato dichiarato illegale e le repubbliche si ispiravano alla Francia del Direttorio, non a quella di Robespierre. La Prussia aveva pesato molto militarmente ma fu sconfitta e accettò la perdita della riva sinistra del Reno; in Olanda nacque la repubblica Batava (prima repubblica sorella); la Spagna cedette solo Santo Domingo, mentre rimasero aperti i conflitti con Austria, Regno di Sardegna e di Napoli, che dovettero comunque cedere terreni a causa di Napoleone, che giunse nell’Italia settentrionale, fino a Milano. Napoleone cominciò ad essere scomodo, così il Direttorio lo mandò in Egitto. 2.0 La campagna d’Italia Quando erano caduti gli Este a Ferrara, il pontificio lo aveva annesso e ci aveva mandato un cardinale legato a comandare. Con il trattato di Tolentino, Pio VI dovette accettare la perdita delle terre che la Francia aveva conquistato (repubblica sorella cispadana, che crebbe sul piano territoriale divenendo cisalpina: la prima ad usare il tricolore italiano). Nel mentre, gli austriaci avevano perso la Lombardia, e terminarono di esistere per sempre la repubblica di Genova (aveva già perso la Corsica) e quella di Venezia (trattato di Campoformio: Austria riconosceva la repubblica cisalpina, e in cambio otteneva Venezia, Istria e Dalmazia). Anche a Roma si alzò l’albero della libertà con la nascita della Repubblica romana: cominciò la produzione di immagini e di simboli che derivavano dal laboratorio rivoluzionario francese. Nel regno di Napoli si costituì una repubblica partenopea, ma lì il processo cominciò dall’interno, e i francesi tentarono solo di intestarsi quei risultati, ma non giunsero in soccorso dei patrioti napoletani. Le repubbliche durarono poco perché tornarono i legittimi sovrani a governare. La Sardegna, come la Sicilia, divenne una zattera di salvataggio: lì si rifugiarono i Savoia (in Sicilia Ferdinando IV). A garantire la salvaguardia delle aree di confino fu la flotta inglese. Ormai tutta la penisola era ‘francese’, tranne: il Veneto (Austria), Parma e Piacenza (lasciate a Ludovico di Borbone, per via dei suoi legami con i Borbone di Spagna e Sicilia), Sicilia e Sardegna, San Marino, che non fu toccata dall’esercito di Napoleone perché era una repubblica molto antica e non dava fastidio a nessuno: a livello di immagine sarebbe stato negativo abbatterla. 2.1 Il tricolore italiano e i lazzari Nell’ottobre del 1796 nacque, forse con i cacciatori delle Alpi, il tricolore italiano, quando Napoleone, capo dell’Armata d’Italia, costituì la Legione Lombarda (circa 3.700 soldati), prima unità militare a fare uso del tricolore. Non sappiamo come e perché sia nato, ma si ragionò per affinità nella scelta dei colori: al blu della bandiera francese si sostituì il verde (scelta casuale o perché il verde era associato alla speranza nell’antico regime). A Napoli il bianco del tricolore francese fu sostituito dal giallo perché così si riprendeva il giallo dei Borbone di Napoli. I lazzari (importanti nella rivolta di Masaniello), erano la parte più umile della società napoletana, che nella mitologia della rivolta di Masaniello viveva nella piazza del mercato perché troppo povera per permettersi una casa. Masaniello indossava il cappello frigio, elemento ripreso dai francesi (colore rosso della rivoluzione). Quando si giunse alla repubblica partenopea, il termine lazzaro fu sostituito da quello di lazzaroni (pezzenti) e questi personaggi ritornarono in scena che si schierarono dalla parte reazionaria: questo cambio di posizione si spiega con un fattore di convenienza. I viaggiatori che affermarono di aver visto i lazzaroni (descritti come i lazzari) erano convinti di ciò, ma non si trattava dell’evoluzione del lazzari: questi guardavano a quel mondo con gli occhi dei viaggiatori del passato (prima di partire leggevano i testi dei loro predecessori). La moneta della repubblica partenopea è una figura femminile con il cappello frigio e il fascio littorio. Nell’immagine, la flotta era costituita da galere con i remi, mentre gli inglesi avevano i vascelli d’alto bordo. Lezione del 10.12.2022 1.1 La campagna d’Egitto Napoleone era ormai scomodo per il Direttorio, perché divenuto potentissimo (sempre più autonomo), amatissimo ai suoi soldati, da gran parte dei Francesi e persino degli Italiani (era già nato il ‘mito’ di Napoleone); era capace di passare con rapidità da uno scenario di guerra all’altro: nel 1798, con la Campagna d’Egitto, Napoleone fu mandato in Egitto, con il fine di creare disturbo agli inglesi e ai loro interessi, che ormai si erano concentrati nell’estremo oriente: l’Egitto era un cuneo per fare ciò. Vi erano difficoltà climatiche e logistiche, e la campagna non andò bene, perché Napoleone fu battuto dall’ammiraglio Nelson (morì a Trafalgar, altra grande vittoria) ad Abukir, nonostante fosse riuscito a sconfiggere i mamelucchi. Si formò una seconda coalizione contro la Francia, costituita da Russia, Prussia, Sicilia e Austria: caddero una dopo l’altra le Repubbliche Sorelle; vi furono delle insurrezioni ultra-realiste nel meridione per il ritorno dei Borbone (i francesi erano stati costretti al ritiro dall’Italia). Alla fine della campagna d’Egitto, gli inglesi eliminarono la flotta francese, e Napoleone non riusciva a tornare in Francia. 1.2 Il colpo di stato Riuscito a rientrare dall’Egitto, Napoleone sbarcò in Provenza e compì un colpo di stato (18 brumaio, aiutato dal fratello Luciano), con cui dichiarò decaduto il Direttorio: neutralizzò il consiglio dei 500, ricattò il capo della polizia e ottenne la collaborazione di Murat, che con le abilità militari aveva fatto carriera e anche grazie a lui si convinse il Direttorio che era pericoloso rimanere a Parigi: i 500 vennero spostati nel castello di Saint Claude, ma i cavalieri di Murat entrarono nel castello e convinsero il consiglio ad attribuire i pieni poteri a un triumvirato (due fantocci - Sieyès e Ducos - , a comandare era solo Napoleone); di questo consolato, Napoleone divenne, grazie a un secondo colpo di Stato, primo console; nel 1804, Napoleone divenne imperatore dei francesi: nella teoria la Francia rimaneva una repubblica oligarchica, ma nella pratica era una monarchia. Napoleone promosse un plebiscito (non tutti votavano e vi erano comunque i brogli). Con il colpo di stato del 18 brumaio si concluse la rivoluzione francese e cominciò l’età napoleonica. 1.3 Le principali interpretazioni storiografiche Edmund Burke vide il traguardo inglese (glorious revolution) come superiore a quello francese: questa tesi aprì la querelle storiografica sugli effetti della Rivoluzione francese. La lettura cattolica coinvolge il savoiardo Joseph de Maistre, per il quale la Rivoluzione francese è stata la punizione di Dio per le colpe degli uomini e l’abate Augustin Barruel, per il quale si è trattato di un diabolico complotto illuminista- massonico contro trono-altare. La lettura liberale include Tocqueville, che si soffermò sulle illusioni della democrazia, ritenendo che non ci fosse stata grande differenza fra i sovrani-despoti e i despoti giacobini e Benjamin Constant, per il quale la prima fase è stata positiva, la seconda (giacobinismo) un’aberrazione; su questa stessa linea si è posta la maggior parte del successivo pensiero liberale: Germaine Necker (Madame de Staël). La lettura repubblicana include Jules Michelet, per il quale la causa della rivoluzione è stata la povertà del popolo e il popolo è stata la forza che ha realizzato tutto. La lettura socialista-marxista vide nel movimento socialista un erede della Rivoluzione, poiché allora si posero le basi per la lettura sociale della Rivoluzione come borghesia contro feudalità che poi divenne l’interpretazione classica marxista (una rivoluzione epocale, assieme alla rivoluzione industriale, che rappresentò il trionfo della borghesia). La lettura politica prevalente nel secondo ‘900 pose più attenzione al significato politico. Furet (anti-marxista) osservò che il nesso fra Rivoluzione francese e affermazione del capitalismo era da respingere, perché solo il 10% della proprietà terriera venne ridistribuita e solo il 5% finì in mano borghese (il restante 5% in mano a contadini ricchi). La lettura culturale coinvolse Daniel Roche, Robert Darnton e Roger Richet, storia della socialità accademica, dell’alfabetizzazione (Lumi e Rivoluzione, stile impero: variante interna del neoclassismo). 1.4 Le conclusioni Da molti decenni è in atto un forte ripensamento sui significati e gli effetti della Rivoluzione francese: non fu un blocco unitario di eventi e di posizioni programmatiche; semmai fu un insieme confuso di fatti e fenomeni, diversi nel tempo e nello spazio, che coinvolse i Francesi in vario modo (anche silenzi e passività), la nobiltà e la borghesia, che si comportarono in modo non uniforme. Fu, in tutta Europa, un momento di emancipazione contadina (abolizione del feudalesimo), dunque molto positivo sul piano economico e sociale (a differenza del riformismo settecentesco che, per Carlo Capra, non giovò affatto ai contadini, privati delle elemosine e dell’assistenza ecclesiastica). La Rivoluzione francese generò una nuova concezione della politica: destra e sinistra, rappresentanza nazionale, partiti, democrazia rappresentativa e referendaria, diritto di voto, modalità elettorali, potere civile-militare, colpo di Stato, divisione dei poteri, garanzie costituzionali (ovvero si passò dal contrattualismo al costituzionalismo); quanto ai tre principi cardine della Rivoluzione (eguaglianza, libertà e fratellanza) non hanno torto gli storici che hanno ricordato: la Rivoluzione francese, in realtà, non è mai terminata (Albert Soboul e Daniel Roche). 1.5 La Costituzione del Consolato Il colpo di Stato compiuto da Napoleone a novembre del 1799 fu una cesura di grande importanza per la storia della Rivoluzione e per le sue conseguenze, perché pose fine all’instabilità politica del Direttorio e recuperò l’esperienza del dispotismo illuminato; per altri versi si trattò della prima dittatura d’età contemporanea: si ritornò a un forte potere statale (centralizzato) che seppe essere diverso dal passato, perché fondato sul paternalismo (ripreso dal dispotismo illuminato), sulla legittimazione del potere dal basso (plebiscito) e sulla forza militare. Con Napoleone si verificò, infine, la massima espansione della progettualità rivoluzionaria in Europa. Tra i primi atti di Napoleone e del Triumvirato vi fu una nuova costituzione, quella dell’anno ottavo (si continuava a numerare gli anni a partire dalla rivoluzione francese), che cambiò l’assetto della Francia, la quale includeva: - una virata nei confronti dell’autoritarismo; - 95 articoli; - suffragio universale maschile; - rafforzamento del potere esecutivo a discapito del legislativo, soprattutto dopo che Napoleone si sbarazzò degli altri due consoli (diritto di nomina di ministri, giudici e ambasciatori, consiglio di Stato e Senato): un evento, secondo Louis Bergeron, che rappresentava già il ristabilimento della monarchia. 1.6 La figura di Napoleone Napoleone nacque in Corsica da una famiglia della piccola nobiltà italiana, studiò in Francia, dove divenne ufficiale d'artiglieria e quindi generale durante la Rivoluzione francese. Fu il primo regnante della dinastia dei Bonaparte. Sposò Giuseppina di Beauharnais e, in seconde nozze, l'arciduchessa Maria Luisa d'Austria, dalla quale ebbe l'unico figlio legittimo, Napoleone Francesco, detto il re di Roma. La sua figura ha ispirato artisti, letterati, musicisti, politici, filosofi e storici, dall'Ottocento ai giorni nostri. Napoleone guardò sempre progressiva crescita d’importanza della Legione d’onore. Napoleone creò la nuova nobiltà imperiale (ereditaria e con maggiorascato) una nuova classe che si tentò in ogni modo di integrare con l’antica nobiltà di spada: per Jean Tulard fu un grave errore politico. 1.6 La guerra Nel maggio 1803, la Francia controllava la Repubblica italiana (nuova denominazione della Cisalpina), la Toscana, la Repubblica di Genova, la Repubblica batava e la Confederazione elvetica: non si era mai chiuso il fronte contro l’Inghilterra (fronte atlantico), in ragione della contesa coloniale e doganale. Nel 1805, la Francia perse la battaglia navale di Trafalgar, nel tentativo di bloccare la flotta inglese diretta ai Caraibi e di invadere l’Inghilterra. Sul fronte continentale, a febbraio 1803, Napoleone impose, attraverso la Dieta tedesca, la ridefinizione politica della Germania. Per non perdere il titolo di imperatore, Francesco II d’Asburgo proclamò l’Impero ereditario d’Austria e assunse il nome di Francesco I d’Austria. Si formò la terza coalizione anti-napoleonica (Inghilterra, Austria, Russia, Svezia e Regno di Napoli) in cui emerse la superiorità terrestre della Grande Armée, con la vittoria di Ulm e l’ingresso trionfale di Napoleone a Vienna. Napoleone vinse a Austerlitz contro gli austro-russi. Con il trattato di Presburgo, il Veneto, l’Istria e la Dalmazia vennero ceduti al nuovo Regno d’Italia, che divenne dominio personale di Napoleone e fu affidato al viceré Eugenio di Beauharrnais (figliastro di Napoleone). Napoleone si fece incoronare Re d’Italia; il Tirolo venne ceduto alla Baviera (controllata dai Francesi). Si formò la quarta coalizione (Prussia, Inghilterra, Russia e Svezia): i francesi vinsero nuovamente a Jena e Napoleone entrò trionfante a Berlino: la Prussia fu smembrata e nacque il nuovo Regno di Westfalia (assegnato a Gerolamo Bonaparte, fratello di Napoleone). Sul fronte italiano, la Francia conquistò il Regno di Napoli e il trono venne conferito a Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone. Gioacchino Murat, marito di Carolina Bonaparte, divenne granduca di Berg; nel 1808, Giuseppe Bonaparte lasciò il trono di Napoli per quello di Spagna e quello di Napoli andò a Murat. Lezione del 15.12.2022 1.1 La pace di Tilsit e le spartizioni Nel giugno 1807, Napoleone giunse alla Pace di Tilsit con la Russia, che accettò la spartizione di Prussia, Germania e Polonia: nacque il nuovo Granducato di Varsavia assegnato alla Sassonia (non fu gestito da un parente di Napoleone, ma dal principe elettore della Sassonia, suo alleato); la Repubblica batava si trasformò nel nuovo Regno d’Olanda (1807), assegnato a Luigi Bonaparte (altro fratello di Napoleone); Lucca e Piombino vennero invece assegnate a Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone (sorella meno amata, alla quale spettò poca cosa). La coscrizione obbligatoria venne estesa anche agli Stati satellite della Francia: l’esercito napoleonico giunse a contare 1.100.000 uomini: Napoleone poteva disporre di truppe fresche e poteva permettersi di sacrificare un gran numero di soldati perché il suo esercito era enorme; contemporaneamente, il tasso di diserzione era bassissimo. Nacquero nuove accademie militari, che consentirono l’ascesa sociale, economica e politica per gli ufficiali più valenti. 1.2 Il blocco continentale Non si erano mai firmati gli accordi di pace con gli inglesi (la campagna d’Egitto serviva a bloccare economicamente gli inglesi per poi batterli militarmente): per bloccarli i francesi pensarono di presidiare tutte le coste europee per impedire ai britannici (già giunti alle condizioni della rivoluzione industriale) di commerciare i loro prodotti della rivoluzione industriale. Questo fenomeno prende il nome di blocco continentale (ai sudditi fu proibito il commercio con gli inglesi), ma fallì sia perché era impossibile controllare quel territorio enorme, ma anche perché c’erano dei rapporti tra l’Inghilterra e la Russia (che ostacolò i francesi) e, infine, perché l’Europa, senza il supporto inglese, non era in grado di procurarsi alcuni prodotti (autarchia impossibile) e alcuni di questi passarono illegalmente le frontiere. A questa misura, i britannici risposero con un contro-blocco, ai danni delle merci prodotte nei territori della cintura francese. Questo, insieme alla forte pressione fiscale e al fatto che Napoleone aveva deprivato i diversi territori conquistati dei loro prodotti culturali, indussero in molti a cambiare l’opinione su di lui. 1.3 Le guerriglie anti-francesi Quando il Portogallo (alleato dell’Inghilterra, anche per via dei legami dinastici fra le due Corone) rifiutò di applicare il blocco continentale, Napoleone si accordò con Carlo VI di Spagna e lo occupò. Anche la Spagna venne quindi occupata e sul trono andò Giuseppe Bonaparte (che prima era a Napoli; a Napoli andò Murat): gli spagnoli, a differenza degli italiani che li avevano chiamati loro fratelli, odiavano i francesi e li considerarono da subito degli invasori: cominciarono le guerriglie che Goya raffigurò. A quel punto, Napoleone ordinò di trattare i civili come soldati in divisa (come Tolosa e San Rocco). Nel 1808, fu occupato lo Stato pontificio (infastidiva anche perché impediva il collegamento fra i diversi domini francesi in Italia): Roma fu dichiarata seconda città dell’Impero (dopo Parigi) e al figlio di Napoleone andò il titolo di Re di Roma. Pio VII scomunicò Napoleone senza nominarlo nella bolla, ma venne prelevato dal letto e deportato a Savona prima e a Fontainebleau poi (posto sotto lo stretto controllo di Parigi). Anche la Germania cominciò a dare segni di insofferenza nei confronti dei francesi: dilagò un sentimento di odio che si tradusse in rivolta (1813). Da questa serie di eventi risultò un atteggiamento di patriottismo, che fu accelerato proprio da Napoleone. In Italia Napoleone fu visto come un liberatore (direzione positiva), in Spagna e in Germania nel senso opposto, perché fu considerato un invasore, uno straniero da cacciare. 1.4 Il matrimonio con Maria Luisa Nel 1809 si era formata la quinta coalizione, che includeva l’Austria (battuta nuovamente, tornato a Vienna impose la severa pace di Schönbrunn: si prese la Galizia, la Dalmazia, l’Istria) e l’ Inghilterra. Dopo essere stata sconfitta militarmente, l’Austria tentò una politica matrimoniale: al termine della pace pensò a un matrimonio tra la figlia di Francesco I d’Austria, Maria Luisa, e Napoleone. Giuseppina non poteva dare a Napoleone un erede maschio e non sopportava il suo ruolo di imperatore: il loro rapporto faceva acqua da tutte le parti, e gli austriaci videro come conveniente il matrimonio tra Maria Luisa, nipote di Maria Antonietta, e Napoleone, il quale si innamorò effettivamente di lei: la ragione privata si coniugò bene con la ragione di stato (la famiglia di Napoleone era felice di questo matrimonio, al contrario del matrimonio con Giuseppina). Nacque poco dopo Napoleone Francesco Carlo Giuseppe (Napoleone II), Re di Roma: così facendo, Napoleone aveva contraddetto il principio dell’investitura nazionale da lui istituito (al potere mediante plebiscito, per investitura del popolo), andando invece a ricercare il principio dinastico e patrimoniale, nonché l’alleanza con la più grande e antica dinastia europea, gli Asburgo: i Francesi videro Maria Luisa come una nuova Maria Antonietta. 1.5 L’impero Nel 1810, anche il Piemonte, la Liguria, Parma, il Lazio e l’Umbria furono annessi alla Francia; Nel 1811 l’Impero raggiunse la sua massima estensione contando 130 dipartimenti, 44 milioni di abitanti, una cintura di Stati vassalli, governati da parenti dell’imperatore o da suoi fidati. Questa grande confederazione fu unita anche sul piano economico e militare: l’impero napoleonico non era paragonabile a quello di Carlo Magno (ad es. rapporto col pontefice, nullo in Napoleone). La Sardegna (Savoia) e la Sicilia (Borbone) furono lasciate stare ai “detronizzati” e rimasero sotto la sorveglianza inglese. Anche nel Regno d’Italia furono introdotto i prefetti, le Accademie, la coscrizione obbligatoria (esercito di 70.000 uomini), una riorganizzazione della giustizia e della polizia, i lavori pubblici, un’imposta fondiaria, nuove tasse indirette, un forte esecutivo e un nuovo Consiglio di Stato e un Senato, e nuovi codici del commercio e civile. Napoleone obbligò tutti gli italiani a avere un cognome e un documento d’identità, elementi quasi assenti per i popolani dell’epoca, o comunque molto aggirabili e manipolabili (specialmente per le persone più semplici e sedentarie); pretese anche che tutti fossero censiti, anche per motivi militari (avere dati su chi poteva essere arruolato). Per l’anagrafe (stato civile) prese spunto dalla Chiesa, che già censiva, seppur un po’ superficialmente, la popolazione. Nel Regno di Napoli, Murat aveva carta bianca, sia perché non era fratello di Napoleone, sia perché molte volte l’aveva aiutato nella sua scalata, oltre che per il fatto che aveva una forte personalità. Il Regno era particolare e molto problematico (fortissima nobiltà feudale che bloccava qualsiasi cambiamento e sviluppo) e sentito distante. Nel 1808 arrivò la Costituzione di Baiona, in cui si dichiarava abolito il sistema feudale, le corveés, i privilegi fiscali; furono infine sventrati i grandi feudi, per permettere la creazione di una classe di micro proprietà terriera: finalmente le conquiste della Rivoluzione Francese arrivarono anche nel Regno di Napoli. Le rivolte non mancarono: a episodi di contro- rivoluzione (insorse un variegato mondo rurale che era legittimista, per il ritorno dei Borbone, e sanfedista, ossia cattolicissimo), simili a quelli di Vandea, si unì la piaga del brigantaggio, diffusissimo soprattutto in Calabria. Murat operò molto bene, ma i problemi del Sud furono talmente grandi che in quei pochi anni non riuscì a sconfiggere la bestia feudale. Nonostante ciò riuscì a dare una forte autonomia al Regno di Napoli. 1.6 La campagna di Russia Lo zar Alessandro I Romanov scese in campo per non lasciare a Napoleone l’assoluto predominio continentale (i Romanov erano imparentati con alcune famiglie principesche tedesche e legati all’Inghilterra): si rifiutò di applicare il blocco continentale (il boicottaggio delle merci inglesi): Napoleone sapeva che la maggior parte dell’esercito zarista era occupato nei Balcani (contro gli Ottomani), per cercare di arrivare al Mar Mediterraneo. L’errore più grande stava nella sottovalutazione dei pericoli e delle abilità del nemico; sbagliò poi il calcolo dei tempi (ad esempio i giorni di marcia), partendo a giugno, troppo tardi; sbagliò a puntare a Mosca, nonostante la corte fosse a Pietroburgo, la nuova capitale e il centro del potere. Fu vittima del suo essere sognatore e della sua ambizione: voleva far cadere Mosca, cosa in cui nessuno è mai riuscito, per sgretolare l’identità russa. I suoi generali cercarono di riportarlo alla realtà, facendogli notare i rischi che correvano, ma non riuscirono a convincerlo. Lo storico Migliorini lo definì un errore nell’errore, al quale nessuno lo obbligò se non la sua idea di essere l’uomo fatale, somma dei grandi del passato e capace di compiere un’impresa mai riuscita a nessuno. 1.7 L’attacco a Mosca La Grande Armee partì dritta per Mosca (su due direttrici). Il 24 giugno del 1812 un esercito di 700.000 uomini, provenienti da ogni nazione europea, varcò il fiume Niemen e puntò su Mosca. Le truppe dello zar Alessandro I furono molto intelligenti: sicuramente battute in campo aperto ricorsero alla tattica e, in particolare, la terra bruciata e numerose trappole. La logistica stentava a supportare l’esercito in territori così vasti. I francesi arrivarono a Mosca, ma durante la battaglia di Borodino (dove Napoleone rischiò seriamente di perdere), dovette utilizzare la sua guardia pretoriana, il suo asso nella manica. Mentre entrano a Mosca si accorsero che la città era deserta, non c’erano provviste e approvvigionamenti, con i soldati che erano affamati e stanchissimi. Durante la notte, quindi, i russi agirono e diedero fuoco alla città: Napoleone sapeva che non poteva ritirarsi poiché le truppe non sarebbero arrivate in tempo in una zona con un clima più temperato. Tuttavia non poté far altro che ordinare la ritirata, che fu una catastrofe, con l’inverno letale. La stima delle perdite è difficile da compiere, ma neanche un terzo di coloro che erano partiti (700.000 uomini) tornò. 1.8 La Spagna Nel frattempo crescevano i malumori in Francia, già ben presenti in Spagna. Proprio qui la resistenza spagnola si attivò: voleva battere Napoleone sul suo stesso terreno e quindi venne elaborata dalle Cortes Generales la Costituzione di Cadice. La Spagna sarebbe diventata così una monarchia liberale e costituzionale. Questa mossa fu ripetuta dagli altri Borbone, quelli di Napoli, che concessero anch’essi una costituzione, cercando di apparire meno obsoleti agli occhi dei sudditi. Napoleone, anche per motivi di salute (problemi all’apparato digerente, con il cancro che lo ucciderà poi), non fu più lo stesso dopo la campagna russa: perse il suo inspiegabile e innato fiuto. Era poi sempre più devastato dal tormento, non aveva potuto crescere il figlio, e a ciò si aggiungevano le ansie e le pressioni di fallire. Doveva poi ricostruire quasi da zero la Grande Armee, che lui sentiva particolarmente vicina, consapevole di aver portato alla morte centinaia di migliaia di soldati. La campagna di Russia fu una Valmy al contrario. 1.9 Il ritorno dei Borbone e l’esilio di Napoleone Anche Benedetto Croce concordò con la credenza che l’humus di unità dell’Italia non fosse qualcosa di autoctono, ma che derivava dall’intervento francese. 1.4 L’opinione inglese e dei romantici In Inghilterra, invece, fu odiato: il mito del Napoleone basso fu inventato lì, per accentuarne la “bassezza politica”; la propaganda inglese anti-napoleonica fece di tutto per impedire agli inglesi di dare credito a Napoleone. Sicuramente non era altissimo, ma sicuramente più alto di altre figure quali Carlo V. Neanche lì mancarono gli estimatori: Byron vide in lui l’eroe romantico, ma non poté perdonargli di essere morto come un uomo qualunque, ossia di essere fuggito a Waterloo e di essersi consegnato. Il Romanticismo fu contro l’Illuminismo (che propagandò un universalismo troppo astratto e livellatore, che fu troppo teorico e poco pratico, nonché tendenzialmente troppo aristocratico, che represse sentimenti e passioni); ma anche contro la Restaurazione (che tentò di soffocare e vanificare le battaglie liberali e nazionali). I pensatori romantici furono anche i primi a evidenziare la massima contraddizione dell’avventura napoleonica, ossia l’adesione alla Rivoluzione francese e, allo stesso tempo, il culto della personalità (cesarismo o bonapartismo: espressione forgiata dallo stesso Napoleone per riassumere la sua idea di rapporto fra dominio e consenso). Si trattò, in sostanza, di un nuovo assolutismo, perché il potere veniva assunto su base autoritaria ma veniva, a un tempo, legittimato dal basso, mediante il plebiscito. Sempre in età romantica nacque la leggenda di Napoleone (nutrita anzitutto dai suoi scritti e dai suoi memoriali). 1.5 San Napoleone Per i legittimisti monarchici e cattolici intransigenti Napoleone fu un Anticristo; per la massima parte dei loro avversari, invece, Napoleone fu un eroe liberatore. Per le borghesie (più beneficate da Napoleone: principio dell’ascesa sociale per meriti militari o intellettuali o di governo), egli fu un abile mediatore fra assolutismo illuminato (di cui recuperò molti strumenti) e Rivoluzione francese (i cui fondamenti Napoleone mai rinnegò); la grande vittoria delle borghesie europee che si compì nell’Ottocento si basa sulle conquiste napoleoniche. Stuart Woolf, inglese formatosi in Italia, è il massimo studioso dell’età Napoleonica: Napoleone fu un connubio di tradizione e innovazione. Nacque il mito di San Napoleone (apparizioni di Napoleone che cammina sull’acqua). Fu un liberale sul piano politico e liberista sul piano economico, ma fino a un certo punto, perché alla fine il condizionamento economico c’era; fu un rivoluzionario sul piano amministrativo. Con Napoleone le disuguaglianze sociali aumentarono, perché il divario tra chi possedeva o no (per Tocqueville: il dramma dei secoli successivi) si allargò. Con Napoleone, il processo di sacralizzazione della politica raggiunse l’apice. Le eurogie (?) sono reliquie molto semplici che i pellegrini prendevano quando andavano ai loca sancta (olio delle lampade, zolle di terra) e che assumevano il valore di un oggetto che consentiva di rimanere in contatto perenne con il luogo santo e con l’aria e la terra respirate e toccate da Cristo, dai santi o dagli apostoli: questo fu tutto ciò che fu concesso a Napoleone per mantenere un contatto con il figlio. Nell’immagine raffigurante la repubblica romana, si vedono i colori della bandiera italiana, ma alla base dell’albero della libertà c’è scritto “religione” (in alternativa a uno dei tre valori rivoluzionari), i carri che vanno verso nord sono i tipici convogli che contengono le opere d’arte che Napoleone sottrasse a Roma. Il pontefice, che aveva subito la cattività, subì con sorpresa la santificazione di Napoleone. APPROFONDIMENTO: GUERRE D’ITALIA Le guerre d'Italia del XVI secolo (spesso indicate anche come grandi guerre d'Italia o, anticamente, come Guerre horrende de Italia, secondo un'espressione usata dal Machiavelli[1][2]) furono una serie di conflitti, combattuti prevalentemente sul suolo italiano nella prima metà del secolo (per la precisione durarono dal 1494 al 1559), aventi come obiettivo finale la supremazia in Europa. Furono inizialmente scatenate da alcuni sovrani francesi, che inviarono nella penisola italiana le loro truppe, per far valere i loro diritti ereditari sul Regno di Napoli e poi sul Ducato di Milano. Da locali le guerre divennero in breve tempo di scala europea, coinvolgendo, oltre alla Francia anche la maggior parte degli stati italiani, il Sacro Romano Impero, la Spagna, l'Inghilterra e l'Impero ottomano. Casus belli del primo conflitto fu la rivalità tra le duchesse Beatrice d'Este e Isabella d'Aragona, che rivendicavano ambedue il controllo del ducato di Milano, e che spinsero rispettivamente il marito Ludovico Sforza e il padre Alfonso d'Aragona a intraprendere le ostilità.[3] Nel 1494, Carlo VIII di Francia calò in Italia andando a occupare il Regno di Napoli sulla base di una rivendicazione dinastica. Tuttavia, venne costretto ad abbandonare i territori occupati dopo la formazione di una Lega anti-francese (cui aderirono Venezia, Milano, il Papa, la Spagna, l'Inghilterra, Massimiliano d'Asburgo). L'esercito messo in campo dalla Lega non riuscì, nella battaglia di Fornovo, a sbarrare il passo alle forze di Carlo VIII nella loro risalita verso il Piemonte e la Francia. Carlo dunque lasciò l'Italia senza mantenere le conquiste territoriali, ma ciò fu solo l'inizio di una serie di guerre: l'Europa intera sapeva che l'Italia era una terra incredibilmente ricca e allo stesso tempo divisa in molteplici stati, difesi da abili condottieri e mercenari, che erano disposti a combattere per il miglior offerente. Nel tentativo di evitare gli errori del suo predecessore, Luigi XII di Francia annetté il ducato di Milano e firmò un accordo con Ferdinando d'Aragona (già governatore di Sicilia e di Sardegna) per condividere il Regno di Napoli. Tuttavia, Ferdinando abbandonò Luigi XII ed espulse le truppe francesi dal Mezzogiorno in seguito alle battaglie di Cerignola e del Garigliano. Dopo una serie di alleanze e tradimenti, il Papato decise di schierarsi contro il controllo francese su Milano e sostenne Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero ed erede dei territori dell'Aragona in Italia. Dopo le battaglie di Bicocca e Pavia, la Francia, guidata dal re Francesco I, perse il controllo di Milano a favore degli Asburgo. Tuttavia le truppe protestanti tedesche, ammutinatesi a Carlo V, saccheggiarono Roma nel 1527: questo evento rappresentò un punto di svolta nello sviluppo delle guerre europee di religione e indusse Carlo V a concentrarsi sull'affermazione del protestantesimo nel Sacro Romano Impero. Il successore di Francesco I, Enrico II di Francia, approfittò della situazione e cercò di stabilire la supremazia in Italia invadendo la Corsica e la Toscana. Tuttavia, la sua conquista della Corsica fu rovesciata dall'ammiraglio genovese Andrea Doria e le sue truppe in Toscana furono sconfitte dai fiorentini e dall'esercito imperiale nella Battaglia di Scannagallo. Con l'abdicazione di Carlo V, Filippo II di Spagna ereditò Milano e il Mezzogiorno mentre Ferdinando I d'Asburgo divenne imperatore. L'ultimo significativo scontro, la battaglia di San Quintino (1557), fu vinto da Emanuele Filiberto di Savoia per le forze spagnole e imperiali: ciò portò alla restaurazione in Piemonte, occupato dalla Francia precedentemente, di casa Savoia. Nel 1559 fu stipulata la Pace di Cateau-Cambrésis. Monografia sul Mediterraneo 1.1 Il sistema postale Prima della nascita del sistema postale europeo, le notizie erano portate dai mercanti; con la nascita di uno stato moderno vi è l’avvento di un sistema postale. I Signori Tasso di camerata di Cornello (bergamasco) erano una ditta di “traslochi”. Per compito della serenissima, e poi degli Asburgo (incaricano di creare collegamenti permanenti), i Tasso crearono un nuovo sistema postale, dove iniziarono a viaggiare tutti per via delle sicurezza (nacquero anche nuovi itinerari). I signori Tasso, danno il nome al Taxi, quando i Tasso divennero i baroni Von Taxis. In concomitanza con la nascita dello stato moderno, gli stati si affidarono a compagnie di fiducia le notizie. Prima i segreti di stato e le notizie le portavano i mercanti: nel 1496, Luisa Strozzi voleva comunicare con il figlio Alessandro Strozzi (in Italia c’erano le guerre d’Italia). La grafia è di tipo mercantesco ma per essere una donna scrive molto bene (le donne ricevevano solo un’educazione solo di base). Charo è scritto con il ch, molte parole sono scritte come nell’alto medioevo, c’è un’assenza di punteggiatura. Luisa si è rifugiata in una badia, per via della presenza di Savonarola a Firenze (non alleati dei Medici, ma comunque nobili e presi di mira). La lettera è stata portata da un mercante e non è mai giunta a destinazione. Il papa aveva un problema nel mandare notizie al nunzio di Madrid (problematica della pace, la Spagna non aveva accettata Westfalia). La problematica era nel rispettare il percorso solito per guerra e natura, così si utilizzarono le flotte genovesi, riducendo a 6 giorni il mese impiegato abitualmente. I genovesi andavano in Spagna per caricare contanti e risorse. Esempio di Gerolamo Spinola: qualcuno aveva tentato di violare la privacy della notizia, i pacchi erano sigillati. Vi erano livelli vari di sicurezza: uomini fidati, sigilli, scrittura cifrata. Genova aveva grande facilità nel violare, aveva traduttori e riusciva ad aprire con facilità le lettere. Le parole chiave sono scritte in maniera cifrata, anche se non scritte in cifra importanti, ma estrema fiducia nel sistema di trasporto scelto. La rivoluzione postale fu una rivoluzione silenziosa. I casali postali: al di sotto i cavalli, che dopo lunghi viaggi si dovevano riposare, se più semplice fuori una bandiera che segnala il casale postale. Si smise di andare a Gerusalemme per la presenza turca, venne quindi rilanciata Roma (giubilei), ma anche Santiago di Compostela, successivamente anche Loreto. Quando gli uomini degli Spinola combattevano e furono attaccati dai corsari, pagati dalla Francia, vennero catturati e portati a Tolone. L'uomo proprio e segreto (ambasciatore, genovese) attaccato da un corsaro è disposto a fare di tutto per riottenere i documenti violati, ma il corsaro risponde che Parigi paga di più: Parigi venne quindi a sapere le disposizioni papali per il nunzio di Madrid. Lezione del 17.12.2022 Le fonti si dividono in: - primarie: testimonianza diretta, prodotte da qualcuno immerso nell’evento storico di cui si parla (testimone oculare o che ha vissuto a ridosso dell’evento stesso); - secondarie: prodotte da qualcuno che a distanza di molto tempo ha analizzato l’evento a partire dalle primarie (non è detto che le secondarie siano meno veritiere delle primarie). Non esistono fonti oggettive, perché chiunque studi o produca una fonte è condizionato, come quando l’istituzione che produce la fonte ha un preciso obiettivo (es.: catasto: chi deve prelevare aumenta il valore del patrimonio, chi deve pagare lo sottostima). La prelatura Spinola di Roma: le prelature personali dei Genovesi non avevano una sede diplomatica permanente a Roma (troppo costosa e compromettente perché l’ambasciata significava avere una spia papale, il nunzio, in casa propria). L’ambasciata più antica di Roma è Palazzo Venezia, di un ambasciatore veneziano divenuto papa. Genova, che non aveva sedi diplomatiche, chiese di mettere l’emblema della repubblica sui palazzi romani. Una prelatura personale è un’invenzione che i genovesi copiarono ai napoletani: erano dei palazzi che appartenevano a un alto prelato di una famiglia genovese che veniva passato di generazione in generazione agli eredi ecclesiastici e non a quelli laici, per consentire alle famiglie di avere un parente ecclesiastico a Roma, che faceva gli interessi della famiglia e della repubblica (creavano spazi per la negoziazione politica). I ricordi o Dizionario Politico Filosofico di Andrea Spinola (importante pensatore politico genovese, il Machiavelli genovese, che ha lasciato la sua esperienza per iscritto): analizzò il funzionamento dello stato genovese, anche di aspetti minori, quali la pirateria e la guerra di corsa, concependo l’opera come un manuale per la futura classe dirigente. C’è una lettera di scontro la Genova e la Chiesa (il papa aveva detto in carrozza che se Genova avesse continuato a comportarsi in quel modo sarebbe stata punita): il papa Innocenzo X Panfili convocò in udienza un ministro genovese il giorno di Natale e inveì contro di lui (avrebbe fatto “vestire San Pietro di bruno”). Tribunale Criminale del Governatore di Roma (generalmente imparentato con il papa), che amministrava la giustizia penale: a casa del cardinale Raggi (importante famiglia) erano stati commessi molti crimini, e si dava asilo ai malfattori: per questo bisognava diffidare dai prelati romani. Roma, in età barocca, era piena di spie: il rappresentante del governo genovese dice di essersi accorto che, in una notte d’estate del 1651, a piazza Navona, l’ambasciatore di Spagna si era messo a parlare con quello fiorentino e l’incontro fu fatto sembrare casuale per prendere il fresco alla fontana di piazza Navona: i due rimasero lì per tre ore a confabulare (non si trovava lui stesso a piazza Navona, ma le sue spie). Il conte di Ognatte, viceré di Napoli, ricevette Sperelli non vestito da nunzio ma da particolare nella scala segreta: le spie erano anche nel palazzo. Il carnevale, in antico regime, era molto importante in Europa Mediterranea, perché era l’unico momento dell’anno in cui era lecito, per quell’area posta sotto il controllo dell’istituzione religiosa, trasgredire (es.: per le donne mascherarsi da uomo) e per ostentare, da parte delle diverse nazioni, il proprio peso. A Roma, doveva inventarsi delle storie. Tuttavia, non tutti morirono di peste, perché una causa fu la fame: i malati non potevano uscire o chi usciva non trovava nulla da comprare, così si presero dei provvedimenti per far distribuire delle minestre. I pani dovevano essere presi dai casali, ma così il rischio di contagio aumentava. Si viveva al lume di candela e con gli incensi per sopportare la puzza dei corpi in putrefazione e per depurare l’aria. Si cominciarono ad usare i carrettoni (erano rubati o distrutti), usati per trasportare i cadaveri nei luoghi di sepoltura, visto che i carri normali non bastavano più. I carrettoni, però, non passavano in tutti in posti e non c’era nessuno che andava a prendere i cadaveri dalle case. Quando le famiglie potevano, portavano da sole i cadaveri per strada (i bambini trascinavano i cadaveri in cambio di un pezzo di pane, ma così si contagiavano), mentre in altri casi si gettavano dalla finestra. A Napoli, per andare ai lazzaretti si usavano i sagittari, ma in tempi di peste questi non c’erano più, e ormai i malati erano portati con delle tavole o, se qualcuno si era già contagiato, si portava il malato in spalle. Ormai non si teneva più conto degli ammalati o dei morti, perché i numeri erano elevatissimi (non si contavano i morti in casa). Molti cominciarono a fuggire, anche coloro che avevano incarichi di governo (il viceré si arrabbiò): questo, però, aumentò il contagio e diffuse il morbo anche al di fuori di Napoli. Alcuni andarono a Ischia, Procida e Capri. Questi che andarono sulle isole del golfo, stavano patendo perché non trovavano abitazioni ed erano costretti ad accamparsi nelle campagne o sulle scogliere, sotto delle tende e delle capanne fabbricate da loro stessi (anche i nobili dovettero fare queste cose). Il nunzio si trovava a Chiaia, e una mattina, alla riva del mare verso Chiaia si vedevano un’infinità di cadavere, alcuni avvolti nei cadaveri e altri nudi, arenati sulla sabbia; si credeva che nottetempo fossero stati portati dalle case dei privati di Napoli in alto mare e poi li hanno buttati in mare. Lezione del 20.12.2022 Nella Napoli di metà ‘600 c’era qualcuno che chiedeva di affidare i cadaveri alla natura (i corpi non potevano essere seppelliti): forma mentis moderna, come gli aristocratici che si erano accampati. La fossa comune o bruciare i corpi non rientrava nella cultura napoletana, quindi si scelse di buttare i cadaveri in mare. La fonte è stata sanificata per affumicatura. In una delle ultime lettere, il nunzio dice di aver mandato a Napoli il suo segretario (lui si trovava già a Chiaia) con il reggente Sofia e gli altri ministri, scoraggiati per il male contagioso. Non ci sono più i sagittari, le strade sono ricoperte di cadaveri, che rimangono lì per cinque o più giorni, malati di peste a Roma erano mandati sull’isola tiberina. I corpi erano portati a Porta San Paolo lungo il Tevere. La notte dei morti del 1656 mentre si portavano i cadaveri a San Paolo, la barca, troppo carica, era affondata nel fiume, e molti cadaveri furono trasportati fino al mare, e molti furono mandati a raccogliere i cadaveri e a bruciarli. Manco san Gennaro proteggeva i napoletani. Le passeggiate del papa: il papa si faceva vedere in giro tra i trasteverini. Salivano sui tetti delle case e chiedevano pane e quarantena, il papa aveva speso molto. Giustiniani truccò i dati dei morti di peste. Il picco arrivò nell’estate del 1657, quando Genova era convinta che il picco fosse passato: Genova era ridotta peggio di Napoli. Ippolito centurione: Lezione del 21.12.2022 Ippolito Centurione divenne un corsaro per forza di cose, perché era figlio illegittimo di un lupo di mare; era anche una questione di convenienza: aveva un cognome nobile, in quanto apparteneva all’antica aristocrazia (nelle fonti a lui ci si riferisce con signore). Finché se la prendeva con le navi musulmane, nessuno aveva niente da dire, soprattutto il papa; nel momento in cui le sue azioni cominciarono a rivolgersi altrove, le cose cambiarono. Ippolito era genovese, come molti altri pirati (molti erano anche calabresi e siciliani), perché c’era maggiore tolleranza a Genova rispetto ai pirati, perché i genovesi avevano sempre praticato la guerra di corsa (Venezia no, e lì non c’erano molti pirati). Le potenze che fecero ricorso alla guerra di corsa, anche l’Inghilterra (Drake), avevano da un lato l’interesse a regolamentarla (il corsaro aveva una patente), dall’altro doveva evitare che esplodesse. Scipione Cicala, nella prima campagna, aveva perso una mano ma aveva grande fama ed era tornato a Genova con un bottino importante. L’anno seguente ripartì: l’emissario di Genova a Roma scrisse che Centurione dopo aver saccheggiato gli ottomani, si imbatté, di ritorno, con delle navi ebree che da Costantinopoli si dirigevano a Venezia e lì assaltò, incurante del fatto che fossero navi veneziane: l’ambasciatore veneziano, quindi, si recò dal papa per lamentarsi di ciò, perché i mercanti veneti erano suoi concittadini ma anche perché gli ebrei erano sotto la loro protezione; inoltre vi erano delle comunità cristiane sotto il dominio ottomano, al quale dovevano dei tributi, che furono attaccate: il problema di Venezia con Centurione era anche economico, perché Venezia al tempo era in guerra (guerra di Càndia). Il cardinale Bragadin scrisse al senato veneto dicendo che dei mercanti usavano delle imbarcazioni con la nave olandese (mimetismo di bandiera), il Giardin d’Olanda, venne depredata. Il papa fece convocare l’ambasciatore genovese per lamentarsi di Scipione, il quale non aveva una patente per fare il corsaro, ma Genova non poteva fare nulla, sebbene avesse già ammonito Ippolito Centurione, che continuò con il mimetismo di bandiera o mandando terzi. Simone Basadonne aveva problemi con Venezia, perché attaccava non solo navi musulmane, ma anche quelle cristiane, ebree, veneziane, ecc. nella fase finale della guerra di Càndia, Mazzarino (Francia) decise di aiutare Venezia, per farsi bello agli occhi del papa; in questa fase, sebbene Càndia fu persa comunque, c’era bisogno di supporto, che arrivò da Ippolito, che fu protetto da Luigi XIV. Ippolito partecipò nella flotta contro Tunisi e Algeri e schierato dalla parte dei francesi. Bombardamento di Genova del 1684: fu un’azione celebre. Davanti al porto di Genova c’era tutta la flotta francese; c’erano alcune galere. Le caracasse erano delle navi sulle quali c’era un mortaio, fino a quel momento usato nelle battaglie campali durante gli assedi. Questa tecnica, inventata dai francesi, andò in disuso perché per usarlo serviva il mare piatto, ma anche perché i colpi del mortaio lesionavano lo scafo in legno ed erano esplosive. La rivoluzione militare c’è stata anche per la guerra sul mare, ma riguardò principalmente l’Atlantico, non il Mediterraneo, con l’introduzione dei cannoni sulle galere (non si poteva sparare di lato ma solo davanti, costava poco nell’acquistarla ma tanto nel gestirla, perché per essere guidata servivano i rematori) e con le vele nuove.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved