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Storia Moderna - La Riforma Protestante in Europa, Appunti di Storia Moderna

Una panoramica totale sui fatti e gli esponenti della Riforma Protestante nell'Europa del Cinquecento. Voto esame: 30/30esimi

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 15/05/2020

LaFormicaOperaia
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4.5

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Scarica Storia Moderna - La Riforma Protestante in Europa e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! CAPITOLO 1 Tra Quattro e Cinquecento la crisi interna della Chiesa giunse al suo apice. Lo splendore di Roma celava in uno stato di profonda decadenza. La corruzione morale e l'aridità spirituale pervadevano ogni livello della gerarchia ecclesiastica, lo spettacolo offerto dal mondo religioso era nel complesso desolante: l’obbligo del celibato veniva spesso disatteso e favoriva il nepotismo nelle alte sfere. Era spregiudicata, inoltre, la simonia, il commercio di beni spirituali come indulgenze, uffici ecc. l’ottenimento di benefici ecclesiastici assicurava una fonte di reddito e di potere consistente. I prelati non rispettavano l’obbligo di residenza all’interno delle diocesi e si dedicavano ai propri interessi politici ed economici, vivendo come principi. I Papi che si succedono in quegli anni (Alessandro VI, Giulio II, Leone X) sono animati dalla medesima spregiudicatezza, tornaconto personale, brama di lusso e di potere. Le fonti storiche e letterarie abbondano di narrazioni e satire che disegnano il malcostume dei religiosi (Boccaccio, Erasmo). Lo Stato della Chiesa si presentava come una signoria, il pontefice come il suo monarca. L’arte divenne uno strumento del progetto di governo pontificale. La capitale fu resa superba per bellezza e vita culturale. A supplire alle carenze del clero secolare era il clero regolare - seguace dei voti di castità, povertà e obbedienza, raccolto in conventi e monasteri. Questi ultimi rimasero luoghi fondamentali per la conservazione e la trasmissione della cultura, e per l’elaborazione teologica. Molti riformatori, fra i quali Lutero, provennero dalle file dei regolari. All’origine di questa condizione c’era stato il progetto teocratico della Chiesa, avviato a partire dall’ix secolo, quando Gregorio VII proclamò la supremazia e l’autorità assoluta del pontefice, nel 1075, ribadita poi da Innocenzo III e da Bonifacio VIII nei due secoli a seguire. Il papato rivendicò pieni poteri sull’autorità civile e si incoronò sovrano di un dominio esteso in tutta Europa. Tutto ciò rese stringente il legame tra religione, politica e diritto. Seguì il trasferimento della sede pontificia ad Avignone (1305-1378) e il Grande scisma d’Occidente (1378-1417). Lo scisma segnò una crisi senza precedenti nella curia. A Roma e Avignone si contrapposero papi e antipapi, la cristianità di divise nell’obbedienza ai diversi pontefici. Lo scisma fu sanato a Costanza, con l’elezione di un nuovo papa e la vittoria dei conciliaristi. L’opposizione papale al conciliarismo fu sancita da Pio II, che riaffermò la suprema autorità pontificia nel 1460, avviando la trasformazione di Roma in una corte principesca rinascimentale. Il crescente centralismo papale trovò una barriera nelle autorità regie nella fase di sviluppo degli Stati nazionali: i soli paesi che rimasero feudatari della Chiesa furono il regno di Napoli e la città di Ferrara. Ferro e autonomo fu il controllo regio nella Spagna di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, come anche in Inghilterra, dove la Chiesa dipendeva dal re per la tassazione. Il ristabilimento della sede pontificale a Roma rafforzò la volontà dei papi di creare uno Stato sovrano in grado di resistere alle pressioni delle grandi monarchie europee. La Santa Sede era anche l’unica capitale spirituale dell’Occidente cristiano e l’unica istituzione a garantire la salvezza, attraverso la somministrazione dei sacramenti. Per la cristianità, tale condizione fu fonte di profondo smarrimento: la sola istituzione dispensatrice di beni ultraterreni si rivelava la quintessenza della mondanità deteriore. Nonostante lo stato dell’istituzione, il sentimento religioso era molto vivo nella cristianità, la cui devozione si esprimeva nel culto dei santi, nelle processioni e nei riti religiosi: la confessione e la comunione erano rese obbligatorie almeno una volta l’anno dal Concilio lateranense IV (1215); il battesimo e il matrimonio erano riti di passaggio ritenuti fondamentali nella vita individuale e collettiva; di particolare rilevanza sociale era il sacramento dell’ordine, che conferiva uno status superiore rispetto al corpo dei laici; l’arte sacra e la letteratura devozionale conobbero una persistente fioritura; le reliquie avevano un indiscusso valore simbolico, la cui compravendita alimentò un mercato florido fra Quattro e Cinquecento. Alla dottrina del culto dei santi è legata la creazione del purgatorio nel XIII secolo: proprio per la sua centralità nella vita dei fedeli, il culto dei santi fu largamente sfruttato dalla Chiesa per fini venali, cosa che scatenò critiche diffuse e la protesta di Lutero. La Riforma, oltre a porre fine agli abusi di potere, determinò progressivamente la nascita di una nuova dimensione religiosa. Una forte continuità fu invece stabilita con la devozione verso Cristo e i suoi insegnamenti, oggetto di meditazione e di imitazione da parte dei fedeli. Lo sviluppo della società mercantile e dell’Umanesimo, insieme con il declino della Chiesa, determinarono una maggiore partecipazione dei laici alla vita religiosa: l’affermazione dei laici in ambito religioso trovò espressione nelle pratiche individuali e collettive di lettura della Bibbia e di meditazioni spirituali, nonché nell’impegno sociale, scandito dalla creazione di nuovi istituti, ordini religiosi e confraternite. Ne furono un esempio significativo i Fratelli e Sorelle della Vita comune, importanti comunità di studio e di lavoro per la formazione di umanisti e riformatori, nati dalla spinta del movimento trecentesco della Devotio moderna, che il fondatore Geert Groote volle ispirato ai principi della pratica evangelica. Un altro fenomeno rilevante fu quello del misticismo, che rispose alla decadenza della Chiesa con la ricerca di una religione interiore e personale, basata sul completo abbandono dell’anima alla volontà divina. Il fervore religioso era accresciuto dall’ansia di salvezza che pervadeva il mondo cristiano, in un cupo scenario apocalittico: la fine dei tempi era ritenuta imminente e a far prevedere il compimento delle profezie bibliche era anzitutto lo stato in cui versava la Chiesa, paragonata alla Babilonia dell’Apocalisse. Un presagio significativo fu la scoperta del Nuovo Mondo, che confermò le scritture. Tale visione giustificò le conversioni forzate e di massa cui furono assoggettati gli indios, dato che il ritorno di tutte le genti a Cristo era preludio dell’avvento del suo nuovo regno. In questo periodo, l’astrologia e la teratologia conobbero un notevole sviluppo. Ogni fenomeno naturale inconsueto veniva assunto come manifestazione del piano provvidenziale di Dio, ossia del castigo divino per le colpe dei cristiani. Particolarmente significativi per la riforma Protestante furono tre segni: le grandi congiunzioni planetarie del 1484, quelle del 1524 e il rinvenimento del mostro di Sassonia nel 1522. In questo periodo il profetismo conobbe una nuova fioritura. La sua figura divenne abituale nella società del tempo. Le profezie riguardavano fatti politici e religiosi correnti. Il fenomeno del profetismo riguardò tutta Europa. I profeti intervennero nella vita della società con funzione di guida e di indirizzo. Celebre è il caso di Girolamo Savonarola, fondatore nel 1494 di una Repubblica dei santi a Firenze, protesa ad un profondo rinnovamento politico-religioso. Il savonarolismo non si chiuse con il rogo del frate nel 1498, ma si diffuse in tutta Italia attraverso la rete degli ordini religiosi. La predicazione fu un altro strumento formidabile per la critica alle condizioni della Chiesa e di propaganda alle idee religiose post Riforma. Tra gli ordini dediti alla predicazione si distinse quello dei francescani. Ad amplificarne in modo decisivo l’impatto fu però la stampa, vera e propria protagonista del Rinascimento e della Riforma: i test profetici medievali furono infatti largamente pubblicati. La divinazione nelle sue varie forme trovò un potente veicolo nei testi poveri (fogli volanti, avvisi, immagini ecc.) che si prestavano ad un ampia diffusione a basso costo, adatti a un pubblico largamente analfabeta. Alla stampa fu consegnata anche la satira anticlericale, particolarmente in Italia, dove ebbero successo le pasquinate, brevi satire in versi o in prosa, che venivano affisse il 25 aprile. Malgrado la scurrilità, le pasquinate erano testi colti, redatti spesso dagli stessi ecclesiastici. Uno straordinario successo fu quello riscosso da Erasmo da Rotterdam per le satire contro i membri della Chiesa, sia per la corrispondenza con i sentimenti più diffusi dell’epoca, sia per la capacità divulgativa di Erasmo - es. Elogio. La sua satira trovò la maggiore espressione nel Giulio, uscito anonimo alla morte di Giulio II della Rovere. In questo testo, Giulio II compare ad un colloquio con san Pietro e un genio davanti alla porta del paradiso, che rimarrà a lui preclusa Il dialogo è fulminante fin dalle prime battute. L’immagine negativa degli ecclesiastici trovò vivaci rifrazioni nei Colloqui, in cui diversi personaggi della società rivelavano gli abusi religiosi con lucide riflessioni. Le radici medievali della Riforma sono indiscusse. L’opposizione alla Chiesa assunse varie espressioni antecedenti quella di Lutero. Lo sfarzo della Chiesa aveva generato, fin dal XII secolo, la nascita di sette ereticali che presentavano alcune nozioni comuni: fedeltà alla Bibbia; imitazione di Cristo; condanna della mondanità della Chiesa. Valdo di Lione, nel XII secolo, predicò con successo nel Sud della Francia e in Piemonte il ritorno al pauperismo e alle Scritture. I valdesi si diffusero nel Sud Italia per aderire poi al calvinismo nel 1532. Nel XIV secolo, le critiche del filosofo e politico John Wyclif investirono alcuni pilastri dell’istituzione inglese. Egli promosse la traduzione in inglese della Bibbia e, nei suoi trattati, negò l’autorità del papa e della tradizione ecclesiastica respingendo, inoltre, la dottrina eucaristica tradizionale, sostenendo per primo l’idea della presenza reale, ma non corpore di Cristo nell’eucarestia. Alla Chiesa, considerata l’Anticristo, era contrapposta la comunità invisibile dei veri cristiani. Grazie a Jan Hus, teologo presso l’Università di Praga, le dottrine di Wyclif furono tradotte in un programma di riforme religiose e sociali e nella condanna delle indulgenze. Marsilio da Padova e Guglielmo di Ockham, due autorevoli giuristi e filosofi del XIV secolo, diedero fondamento teorico alla resistenza dei sovrani contro le pretese del papato. Marsilio, nel suo trattato Defensor pacis (1324 ) sostenne la supremazia dell’autorità temporale su quella ecclesiastica. L’opera, condannata insieme con il suo autore, esercitò un notevole influsso sul pensiero dei riformatori cinquecenteschi e, prima di essi, sul movimento conciliarista, il cui tentativo di riforma della Chiesa ebbe però un esito fallimentare. La causa scatenante della protesta di Lutero fu la campagna per la vendita delle indulgenze promossa da Alberto di Brandeburgo-Hohenzollern nei suoi territori. Il principe voleva ottenere anche l'arcivescovado di Magonza, rilevante sul profilo territoriale e politico. Papa Leone X gli accordò la licenza dietro pagamento di una somma esorbitante che Alberto si fece prestare dai Fugger, i grandi banchieri di Augusta; per il saldo del debito gli fu concessa una campagna straordinaria di indulgenze, i cui proventi sarebbero andati per metà a lui e per metà alla fabbrica di San Pietro a Roma. Dietro pagamento veniva rilasciata una lettera bollata con il sigillo pontificio, con cui il fedele otteneva per sé e per i propri cari la remissione delle pene inflitte per i peccati, ma anche delle colpe da scontare in purgatorio. Lutero si oppose all'indulgenza in quanto strumento salvifico, motivando la sua posizione con la giustificazione per sola fede. Tale dottrina emerge nelle 95 tesi, secondo la tradizione da lui affisse alla porta della cattedrale di Wittenberg il 31 ottobre 1517. Secondo Lutero, l'orrore del proprio peccato davanti a Dio rappresentava il vero purgatorio e doveva spingere l'uomo a un sincero pentimento. Le indulgenze pertanto risultavano generatrici di false illusioni, prospettando una via facile per sfuggire alle proprie responsabilità, e del tutto inefficaci ai fini della salvezza, negando l'autorità del Papa di perdonare le colpe di rimettere le penitenze. Lutero mostrò l'illegittimità delle indulgenze sul piano dottrinale e la sua funzionalità per l'arricchimento del potere da parte della Chiesa, esortando il pontefice a non impoverire il suo gregge per la magnificenza della fabbrica di San Pietro. Frate Martino era allora lungi dal prevedere il cataclisma che avrebbe provocato. Il fattore decisivo per la Riforma protestante fu la stampa, che mise rapidamente a disposizione le tesi in latino e in tedesco. La rispondenza dello scritto alle esigenze politiche e religiose in Germania ne garantirono la popolarità. Le reazioni dei teologi cattolici indussero Lutero a fare della propria concezione religiosa un concreto programma di riforme, in un processo di sviluppo e radicalizzazione destinato a sfociare nella rottura definitiva con Roma. Alcuni esempi furono le dispute teologiche tenute a Heidelberg e a Lipsia nel 1518 e 1519. A Heidelberg Lutero espresse con chiarezza la sua idea della servitù dell'arbitrio umano. A Lipsia Lutero fece appello alla sola Scriptura, ossia la Bibbia come unica fonte di legittimazione dell'istituzione ecclesiastica e delle dottrine religiose. La pluralità di modalità comunicative contribuì in modo determinante alla partecipazione della cristianità al dibattito religioso, anche nella sua componente popolare, debordando oltre i confini dell’impero. L'inasprirsi del conflitto indusse Leone X a promulgare il 15 luglio 1520 la bolla Exsurge Domine, con la quale imponeva a Lutero di ritrattare i suoi errori, pena la scomunica. Lutero rispose con lo scritto Contro l’esecrabile bolla dell’Anticristo, in cui rifiutava di sconfessare le proprie tesi, pena la morte, e a sua volta scomunicava il papa nel nome della santa verità di Dio. Inoltre, compose le tre opere che costituirono il fulcro della Riforma: 1. Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca, per il miglioramento dello Stato cristiano Appello scritto in tedesco all'imperatore, ai principi e ai nobili tedeschi affinché ristabilissero la supremazia dell'autorità civile sul papato e attuassero una Chiesa nazionale tedesca. Lutero sanciva l'abbattimento delle barriere fra laici ed ecclesiastici e la compartecipazione paritaria di tutti i fedeli grazie al battesimo. L'eliminazione dello status sacerdotale comportava inoltre l'abolizione del celibato ecclesiastico: l'immensa schiera clericale poteva tornare alla vita civile e scegliere di sposarsi. 2. La cattività babilonese della Chiesa Opera redatta in latino per interloquire con i dotti e con il clero, che affronta la questione centrale dei sacramenti. Lutero ne modificò sia la natura sia il numero. I sacramenti si riducevano da sette a due: solo il battesimo e l'eucarestia perché erano i segni visibili della grazia invisibile. 3. La libertà del cristiano Il messaggio di questo testo del 1520 è di completa liberazione dai vincoli mondani e di ancoraggio alla sola legge spirituale evangelica: la vita cristiana diveniva, secondo Lutero, essenzialmente libertà. L'uomo era libero nella sua azione benefica poiché le sue opere, ininfluenti sul destino ultraterreno, erano completamente gratuite. Carità e penitenza rappresentavano l'espressione della scelta di fede, ma le opere buone non fanno un uomo buono, è l'uomo buono che fa opere buone. Lutero bruciò la bolla papale e gettò nelle fiamme anche il codice di diritto canonico, reputando l'intera istituzione ecclesiastica cattolica una costruzione diabolica per il pervertimento della dottrina evangelica. Questa interpretazione fu resa estremamente incisiva dalla sua trasposizione figurativa nel Passional Christi und Antichristi, 26 illustrazioni corredate da brevi didascalie tratte dalla Bibbia, antitesi fra Cristo e il Papa. Il Passional ebbe un grandissimo successo grazie all'efficacia delle immagini, facilmente accessibili a tutti. Le immagini giocarono un ruolo chiave per indurre la gente comune alla lotta contro Roma. Colpito dalla scomunica, Martin Lutero fu convocato alla dieta imperiale nella cattedrale di Worms, seguito da una folla immensa nel suo viaggio attraverso la Germania. Al cospetto dell’imperatore Carlo V e delle autorità di Roma, il 17 aprile del 1521, Lutero rifiutò di rinnegare le sue idee. La sua scelta gli costò la condanna per eresia e il bando dall'impero, scongiurato poi dal suo rapimento, ordinato da Federico III di Sassonia, e dal suo trasferimento nel castello ducale della Wartburg. Qui Lutero si dedicò alla traduzione in volgare della Bibbia, vero e proprio pilastro della Riforma protestante. Il processo di rottura fu inarrestabile: il movimento riformatore dilagò dalla Germania a tutta l’Europa, per poi raggiungere l’America. Il messaggio di Lutero rispose al diffuso bisogno di una riforma religiosa all'insegna della spiritualità interiore e della gestione autonoma del sacro, ma anche alla crescente intolleranza verso l’oppressione finanziaria e politica di Roma. Fin dall'inizio la riforma fornì un linguaggio di rinnovamento a quanti aspiravano a una trasformazione della realtà politica dell'impero. I soggetti in azione furono molteplici e diversi furono le modalità delle loro lotte, che nel complesso produssero un forte dinamismo interno alla compagine imperiale, segnando la vittoria finale ai principi e alla Chiesa luterana da loro protetta, con il riconoscimento del principio del territorialismo confessionale, ossia la divisione religiosa fra Stati cattolici e luterani. Le prime forze a sollevarsi contro l'ordine esistente furono i cavalieri e contadini, con risultati fallimentari: i cavalieri organizzare una rivolta alla guida di Franz von Sickingen e di Ulrich von Hutten, sancita dalla sconfitta. Molto più importante fu la guerra dei contadini che incendiò la Germania e si estese alla Svizzera nel 1524-25. Sulla base del Vangelo, fu prevista una ridefinizione in senso democratico delle istituzioni, attraverso l'applicazione del principio dell'elezione diretta da parte della popolazione. A coordinare la lotta fu una moltitudine di unioni cristiane, Landschaften, come la Lega di Allstedt di Thomas Müntzer, ex discepolo di Lutero, da lui bollato come il Satana di Allstedt. Falliti tentativi di mettere in atto il suo programma con mezzi pacifici, Müntzer incito alla presa delle armi che fu decapitato a seguito della sconfitta subita ad opera delle truppe di Filippo d'Assia, Giorgio di Sassonia ed Enrico di Brunswick-Lüneburg. A legittimare quella repressione fu proprio Lutero nel violentissimo libello Contro le empie e scellerate bande dei contadini, redatto poco prima del massacro per condannare la loro ribellione all’ordine costituito: il suo intervento fu dettato dal timore per le sorti della Riforma, a rischio di abbandono da parte dei governanti se identificata come movimento di rivoluzione sociale. Il 1525 marcò una svolta netta nella storia della Riforma. Piegati i radicali, Lutero si orientò alla costruzione della Chiesa sotto Giovanni di Sassonia: nel principe giocò il fattore politico-economico; la Riforma era funzionale al suo disegno di emancipazione dal dominio dell'imperatore e di Roma. Le enormi risorse finanziarie che pervennero dalla custodia dei beni ecclesiastici e dalla cessazione del pagamento dei tributi a Roma costituirono la principale fonte di finanziamento di tale progetto. Le Istruzioni per i visitatori delle parrocchie della Sassonia elettorale furono il primo strumento di organizzazione della nuova Chiesa: si stabilì la nomina di un sovrintendente per ognuno dei distretti creati nel ducato, che esercitava il controllo sia sulla disciplina dottrinale che su quella morale della comunità. Anche la liturgia matrimoniale fu modificata, in linea con il nuovo valore assegnato al matrimonio. Lutero stesso ne testimoniò il significato sposando una ex monaca, Katharina von Bora, dalla quale ebbe sei figli. La perdita del valore sacramentale rese possibile lo scioglimento del vincolo coniugale, ma il divorzio fu concesso di fatto molto raramente. Fondamentale per l'educazione dei fedeli ai nuovi principi fu il catechismo: nel 1529, Lutero ne pubblicò due versioni, una per bambini, Piccolo catechismo, e una per gli adulti, Grande catechismo. L'adesione alla riforma di molti governi tedeschi non fu accolta passivamente da Carlo V, il quale, per ritrovare la compattezza dell'impero e affrontare i nemici esterni, perseguì la duplice politica dei colloqui e delle armi, fallimentare in entrambi i casi. Il testo base per una ricercata concordia fu la Confessione di Augusta di Filippo Melantone, massimo tentativo di compromesso tra Roma e Wittenberg. Nella Confessione si illustravano chiaramente i principali articoli del luteranesimo e le riforme realizzate nei territori che vi avevano aderito, con un palese intento di mediazione, sottolineando le affinità anziché le dissonanze con il cattolicesimo. La Confessione non sortì però l’effetto sperato: l’imperatore la respinse ed emanò un ulteriore decreto di condanna contro i luterani. Le aspettative di una riconciliazione si scontrarono con l’intransigenza della Chiesa cattolica, la quale mostrò la sua totale indisponibilità alla mediazione dottrinale, cosicché Carlo V dovette prendere atto della realtà e sancire la divisione religiosa dell’impero. Nel 1555 fu promulgata la pace di Augusta: il trattato ufficializzò la rottura del millenario corpus Christianum e l'inizio del difficoltoso cammino della convivenza religiosa. CAPITOLO 3 La via aperta da Lutero fu seguita con percorsi alternartivi da altri riformatori in Europa. particolarmente rilevante fu la Riforma svizzera e la sua maggiore espressione, il calvinismo. Meno influente fu lo zwinglianesimo, segnato dalla precoce morte del suo leader. Entrambe le vie di riforma attecchirono in molti centri svizzeri, altri invece rimasero cattolici. La stagione riformatrice in Svizzera fu inaugurata da Huldreich Zwingli (1484-1531) e il suo epicentro fu Zurigo. Questo progetto si distinse da quello luterano per visioni, posizioni e metodi. Animata da valori umanistici e civili, questa riforma mirò all’attuazione concreta e radicale dei principi religiosi nella realtà politica di Zurigo. Zwingli fu parroco di Glarona (1506-1516) e si affermò come uno dei principali umanisti svizzeri di orientamento erasmiano. Attraverso la lettura dei testi luterani, Zwingli orientò progressivamente la predicazione verso le posizioni evangeliche, ottenendo un grande seguito. L’applicazione della Sacra Scrittura rappresentò sin dall’inizio la pietra miliare dell’instaurazione della Riforma a Zurigo, cui Zwingli si appellò dal 1522, quando si appellò al dettato biblico per giustificare il rifiuto del digiuno quaresimale. Il secondo e decisivo atto fu nel 1523, quando Zwingli investì il Consiglio cittadino del compito di realizzare la Riforma: le riforme religiose venivano sottoposte a dispute pubbliche e immediatamente realizzate dal Consiglio. Così, in pochi anni furono abolite le immagini, le statue, la musica sacra, la messa e le feste religiose, demoliti o chiusi gli edifici ecclesiastici. Furono create nuove istituzioni per il governo, e soprattutto una nuova Chiesa. Trovò così espressione quell’interesse politico che fu caratteristica del riformatore. Zwingli, inoltre, si batté per l’indipendenza di Zurigo e dei cantoni svizzeri dal sistema mercenario imposto dalle potenze europee e per la creazione di una lega europea anti-asburgica, sino a morire nella battaglia di Kappel contro i cantoni cattolici e il loro alleato Ferdinando d’Asburgo. I capisaldi del pensiero zwingliano furono l’assoluta sovranità di Dio e la sua espressione nel disegno predestinazionista, nella mediazione di Cristo e nella Sacra Scrittura. La predestinazione era per Zwingli universale, libera, indipendente dalle espressioni religiose e istituzionali, spingendosi sino ad affermarne l’indipendenza rispetto al peccato di Adamo. L’elezione rappresentava l’unico fondamento della salvezza, eliminando tutte le mediazioni ecclesiastiche oltre al valore meritorio delle opere. Il Figlio aveva un posto centrale nella teologia zwingliana poiché rappresentava l’unico tramite tra i fedeli e il Padre e lo strumento della redenzione, attraverso l’insegnamento evangelico e il sacrificio espiatorio. La nozione eucaristica zwingliana fu caratterizzata dal carattere simbolico della Cena: il riformatore riteneva che il suo significato fosse unicamente commemorativo dell’ultima cena di Cristo, escludendo quindi la presenza reale del Signore e la trasmissione sacramentale della sua grazia salvifica, respingendo sia la dottrina luterana della consustanziazione sia quella cattolica della transustanziazione. Zwingli privò di valore sacramentale anche il battesimo, nonostante rappresentasse un significato basilare nella sua idea di religione civile: rappresenta infatti il primo atto di cittadinanza cristiana, sancendo l’ingresso nella comunità religiosa e civile. La scomparsa di Zwingli impedì il pieno dispiegamento della sua via di Riforma, benché il suo successore, Heinrich Bullinger (1504-1575) fosse una personalità di rilievo europeo, dotato di una forte inclinazione irenica che lo rese molto disponibile al dialogo con gli eterodossi religiosi. La palma per l’opera di pacificazione religiosa spettò comunque a Martin Bucer, capo della Riforma di Strasburgo. Bucer svolse un’instancabile attività di mediazione teologica e pratica sia tra i luterani e zwingliani, sia con i cattolici e i radicali. Strasburgo divenne una capitale del protestantesimo, ma anche un centro pluriconfessionale che accolse calvinisti, luterani, cattolici, ebrei ed eterodossi di tutta Europa. Tale vocazione fu favorita dalla sua società: le magistrature e le oligarchie cittadine si adoperarono per mantenerne la tradizionale indipendenza e apertura culturale. Questo clima di tolleranza non venne meno con l'instaurazione dell'Interim nel 1548, che ripristinò il culto cattolico accanto a quella protestante. Tuttavia, a causa di ciò, Bucer emigrò in Inghilterra, dove esercitò un forte influsso sul movimento riformatore inglese. Le sue idee furono delineate nello scritto del 1538, La disciplina della Chiesa. La chiesa si configurava come una realtà organizzata e dal forte carattere istituzionale, che svolgeva le sue funzioni in piena indipendenza dall'autorità civile e nell'interesse della società. La sua missione era duplice: la cura pastorale (predicazione, catechesi, amministrazione dei sacramenti e della carità pubblica), e l’esercizio della disciplina ecclesiastica, estesa all’intera collettività, elemento caratterizzante della Chiesa riformata. Il progetto di Bucer prevedeva anche l’istituzione di comunità cristiane all’interno della parrocchie, che però non incontrarono il favore delle autorità. Il suo nome fu legato alla creazione della disciplina della Chiesa, fungendo da modello per Calvino, che lo conobbe nel suo soggiorno a Strasburgo, portandolo poi a compiutezza a Ginevra. Il dibattito sul nicodemismo fu oscurato nel 1553 dall’esecuzione di Miguel Servet a Ginevra, evento di risonanza internazionale, alla cui sentenza si giunse per una concomitanza di fattori politici e religiosi. Figlio del Rinascimento, Servet mirava alla divinizzazione dell’uomo e al radicale rinnovamento dell’intera società cristiana, sulla base di istanze anabattiste e della revisione della dottrina tradizionale della Trinità. Nel processo, il Consiglio cittadino entrò in concorso con Calvino nel decretare la condanna al rogo dello spagnolo per le idee anabattiste e antitrinitarie presenti nella sua opera La restituzione del cristianesimo. Calvino collaborò con l’Inquisizione attiva nella Francia meridionale, che incriminò Servet mentre si trovava nel paese sotto falso nome, poi nel processo ginevrino. Per avvalorare la persecuzione religiosa Calvino equiparò gli eretici ai bestemmiatori e falsi profeti puniti con la morte nell'Antico Testamento, dando così fondamento biblico alla loro eliminazione. Dagli italiani provennero le risposte più incisive alla sua posizione sulla persecuzione, come Sebastiano Castellione e Celio Secondo Curione, il cui contro-giudizio fu lapidario: Calvino li considerò distruttori della religione. Sul finire degli anni Cinquanta si riaccese il conflitto tra calvinisti e non conformisti italiani, a causa delle dottrine antitrinitarie sostenute dal giurista Matteo Gribaldi Mofa, già difensore di Servet, e da altri, i quali accusarono Calvino di sostenere una quaternità priva di fondamento biblico (Padre, Figlio, Spirito Santo, Trinità), attuando una battaglia speculare a quella del riformatore ginevrino. L'azione antiereticale di Calvino accrebbe la sua fama di novello papa, campione di una Chiesa coercitiva. Nonostante ciò, Ginevra continua ad essere il rifugio privilegiato per gli esuli di tutta Europa, considerata la Nuova Gerusalemme, un luogo dove poter vivere un'esistenza disciplinata secondo principi dottrinali chiari e di certa garanzia di salvezza. L’insediamento dei rifugiati fu favorito dalla concessione nel 1555 del droit de bourgeoisie agli esuli di elevato rango sociale, e al diritto di residenza accordato a tutti coloro che erano costretti ad abbandonare le loro terre a causa dell’aumento della repressione cattolica. Tutto questo comportò un fiorente sviluppo culturale, sociale, tecnico ed economico. La folla degli esuli portò al raddoppiamento della popolazione fra il 1542 e il 1550. Le dottrine protestanti si propagarono in Inghilterra negli anni Venti-Trenta. La traduzione inglese della Bibbia curata da William Tyndale, nonostante il divieto di circolazione, rappresentò il testo base di tutte le successive edizioni inglesi, nonché il tramite delle idee evangeliche. Lo scisma fu provocato dalla promulgazione, da parte di Enrico VIII, dell’Atto di supremazia del 1534, che lo incoronò unico e supremo capo della Chiesa di Inghilterra e ne sancì l’indipendenza da Roma. Il sovrano giunse a tale decisione a seguito del rifiuto pontificio di concedergli l’annullamento del matrimonio con Caterina d’Aragona, motivato dall’esigenza di sposarsi con Anna Bolena per avere un erede maschio. La Chiesa d’Inghilterra, tuttavia, mantenne sia la dottrina che la liturgia cattolica, il cui governo spettò all’arcivescovo di Canterbury. La religione era un affare di Stato, soggetta al potere laico nei suoi indirizzi dottrinali, che mutarono a seconda dei sovrani. Il non conformismo fu criminalizzato in quanto reato contro lo Stato. Il cattolicesimo non fu estirpato dall’Inghilterra, ma l’identità nazionale si identificò sempre più con la causa protestante. La politica repressiva nei confronti dei non conformisti terminò con l’avvento al trono di Edoardo VI, il cui breve regno (1547-1553) fu decisivo per l’impianto della Riforma. Il giovane sovrano perseguì energicamente l’intento di fare dell’Inghilterra il paese leader del protestantesimo. La nuova Chiesa fu supportata dal Book of Common Prayer (1552) e dai Quarantadue articoli, nei quali viene sancito il nuovo sistema religioso. Il protagonista dell’azione riformatrice fu Thomas Cranmer, arcivescovo di Canterbury, la cui politica di apertura ai riformatori fece dell’Inghilterra una terra di asilo e di dibattito religioso. L’ascesa al trono di Maria I Tudor, figlia di Enrico VIII e moglie del futuro re di Spagna Filippo II, campione della Controriforma, mise bruscamente fine al progetto di Cranmer, lanciando il paese in una spirale di repressione religiosa che gli valse il nome di Maria la Sanguinaria. Alla morte di Maria, le succedette la sorella Elisabetta I Tudor, anche chiamata la regina vergine, la quale garantì al paese pace e prosperità nel suo regno cinquantennale, salutata come la mitica restauratrice dell'età dell’oro. Elisabetta I si attribuì il ruolo di governatore della chiesa con l'Atto di supremazia e l'Atto di uniformità. Le pratiche di culto e la libertà di coscienza da parte dei cattolici e dei radicali furono comunque tollerate. La presenza cattolica rimase consistente tra i contadini e gli aristocratici, rimanendo pertanto la confessione dell’Irlanda, beh anche i suoi fedeli furono oggetto di una brutale persecuzione durante la rivoluzione inglese. In Scozia si affermò un calvinismo rielaborato in chiave moderna sotto la guida di John Knox, fondatore della Chiesa presbiteriana. Knox spinse l'aristocrazia scozzese alla ribellione armata, a seguito della quale, per decreto del parlamento il calvinismo divenne religione di Stato e il cattolicesimo fu abolito. Durante il regno di Elisabetta I iniziò a manifestarsi l'opposizione dei puritani. Il puritanesimo subì persecuzioni da parte del governo, per poi emergere da protagonista, nella Rivoluzione inglese (1642-1651) contro Carlo I e William Laud, arcivescovo di Canterbury, intenzionati a ridimensionare il ruolo del Parlamento e a clericalizzare gli apparati dello Stato. I puritani vinsero e Carlo I fu giustiziato. Dopo l’intermezzo della restaurazione stuardiana, avvenuta al rientro dalla Francia di Maria Stuart nel 1561, e della deposizione di Elisabetta I, vi fu Gloriosa Rivoluzione (1688-89) che si concluse con la deposizione di Giacomo II e l’incoronazione di Guglielmo III (Guglielmo d’Orange), promulgatore del Bill of Rights del 1689 e dell’editto di tolleranza, grazie ai quali la libertà di fede divenne un principio caratterizzante della nuova monarchia costituzionale. CAPITOLO 4 La Riforma radicale fu un movimento che investì l’Europa del Cinquecento, in opposizione alla Riforma magistrale dei fondatori delle Chiese istituzionali, definita ex-post da George H. Williams, il suo scopo fu quello di una restaurazione integrale del cristianesimo, attraverso il ripristino del modello e dei valori evangelici. Tale obiettivo dette vita a sette e gruppi in cui la pratica di vita cristiana era prioritaria rispetto alla teorizzazione dottrinale. La Riforma stessa non nacque moderata per poi divenire radicale, casomai il contrario. I radicali svilupparono i principi originari fino alle estreme conseguenze. Il confronto tra le due anime della Riforma ebbe esiti fecondi per entrambe. Battesimi - il problema del battesimo fu il primo elemento di divisione all'interno della Riforma protestante. L’anabattismo fu un movimento privo di una rigida fisionomia dottrinale, articolato in sette correnti aperte allo scambio e alla ricerca. Il primo a darne una definizione, seppur dispregiativa, fu Zwingli, indicando con questo termine i ri-battezzatori. Per gli anabattisti il pedobattismo, ricevuto per volontà altrui e per imposta persona, non aveva valore. Le comunità anabattiste si configurarono come consessi di eletti che aderivano con un atto volontario suggellato dal battesimo, ispirate alle comunità cristiane delle origini, con il Nuovo Testamento come guida. Guide e cerimonie erano considerate elementi secondari. In Italia, assunsero importanza le posizioni antitrinitarie, ma anche quelle millenariste. Il movimento era forte di una visione ugualitaria, che permise alle donne di godere di uguali diritti, accedendo anche all’esercizio del ministero. Chiesa e Stato divennero istituzioni distinte e separate, e fu proibito ai cristiani di partecipare alle magistrature civili e di giurare: in virtù di tutto ciò, gli anabattisti furono considerati sovvertitori della società, soffrendo di una grande repressione sia nel mondo cattolico che in quello protestante. All’origine del movimento anabattista vi furono i profeti di Zwickau, millenaristi per cui la questione del battesimo era marginale rispetto a quella dell’imminente fine del mondo, ma che avevano messo in luce per primi l’incongruenza della pratica del pedobattismo: la loro predicazione iniziò nel 1521 a Wittemberg, mentre Lutero era a Wartburg. Il più robusto filone dell’anabattismo si sviluppò a Zurigo dal nucleo dei Fratelli svizzeri, fondatori della vera Chiesa di Cristo, fedele al modello e al messaggio evangelico, contraria al potere dello Stato e disposta al martirio per la difesa dei propri ideali. Repressi da una brutale azione coercitiva, i Fratelli svizzeri contribuirono alla propagazione del movimento con il loro programma, gli Articoli di Schleitheim (1527). La comunità di Augusta diede grande slancio all’anabattismo. Fu fondata da Balthasas Hubmaier, un ex- sacerdote promulgatore di una Chiesa territoriale anabattista e di una piena partecipazione dei fedeli alla vita dello Stato e ai principi di tolleranza religiosa. Bruciato sul rogo a Vienna, la sua opera fu continuata da Denck, considerato il papa degli anabattisti, il quale prospettò la divinizzazione dell’uomo e la salvazione universale mediante una piena compenetrazione con Dio, operata con il libero esercizio della ragione. Ulteriori contributi alla comunità di Augusta furono dati da Hans Hut, illustratore di un cammino di paziente e operosa attesa dell’avvento del regno di Cristo sulla terra, e da Veronica Gross, la quale svolse un ruolo significativo nella sua organizzazione, prima di essere giustiziata nel 1528. In Moravia, il protagonista fu Hutter, fondatore della Fratellanza cristiana, 80 comunità basate sul senso attivo dell’amore cristiano e modellato sull’unione di Cristo con i fedeli, messo in atto con la condivisione del lavoro e dei beni. Nei Paesi Bassi l’anabattismo fu promosso da David Joris, la cui visione religiosa si incentrava sull’illuminazione divina e la libertà della ragione e dell’amore cristiano nella prospettiva dell’avvento di una nuova era di concordia universale, dalla quale derivò una totale svalutazione delle istituzioni ecclesiastiche e dei riti, e da Menno Simons, ex-sacerdote e padre della corrente maggioritaria dei mennoniti, impegnato, con numerosi scritti e con un’intensa evangelizzazione, nella creazione di comunità animate da tolleranza, pacifismo ed etica evangelica, in netta separazione dallo Stato. Nel 1534-35 la città vescovile di Münster, in Germania, fu teatro di un clamoroso evento che segnò la storia dell’anabattismo: l’instaurazione della Gerusalemme celeste. Melchior Hoffmann ne profetizzò l’avvento, che si concretizzò grazie all’opera di Bermhard Rothmann, un ex sacerdote che aveva instaurato la Riforma a Münster alleandosi con i ceti popolari contro l’oligarchia ecclesiastico-militare del vescovo von Waldeck, promuovendo poi una teocrazia sul modello veterotestamentario con un regime di condivisione di beni e di pratiche, realizzando, per molti anabattista, l’utopia del trionfo degli oppressi contro i tiranni. Gli eserciti congiunti luterani e cattolici, però, espugnarono la città, rimanendovi fino al 1881. La dispersione degli anabattisti fu scongiurata da Simons, ma non l’aggravamento della repressione che si verificò a lungo. Dagli anni Ottanta, il movimento si radicò in Inghilterra, mutando poi nel congregazionalismo e nel battismo, contribuendo alla cristianizzazione degli afroamericani in Nord America. Un’importante componente della Riforma radicale fu rappresentata dallo spiritualismo, un orientamento teso a porre l'illuminazione spirituale al centro della vita religiosa. Numerose furono le personalità di spicco del movimento. Andrea Carlostadio fu un personaggio cardine dello sviluppo della Riforma. Professore con Lutero all’Università di Wittenberg, ne condivise le idee e le diffuse, per poi distaccarsene in favore dell’uguaglianza sociale e della sua fascinazione per i profeti di Zwickau. Carlostadio radicalizzò le sue iniziative a Orlamünde dal 1524, dove cercò di realizzare il suo progetto di creazione di una Chiesa guidata dallo Spirito, priva di apparati gerarchici e ritualistici, composta da fedeli aderenti ai principi evangelici. Carlostadio trasformò in senso spiritualistico anche la concezione sacramentale: sia l’eucarestia che il battesimo divennero un rito simbolico. A seguito di ulteriori peregrinazioni, Carlostadio abbandonò il radicalismo per divenire pastore e professore di ebraico a Basilea. Un altro personaggio significativo inseritosi a Basilea è Martin Borrhaus, il quale, dopo aver interrotto gli studi per raggiungere Lutero a Wittenberg, si distinse come seguace dei profeti di Zwickau, rifugiandosi a Strasburgo, paese nel quale poté esporre la sua concezione antitrinitaria, millenarista e radicalmente spiritualista, fondata su un rigido predestinazionismo, che vedeva l’esistenza di una Chiesa invisibile formata da uomini di tutte le fedi e le civiltà, sotto la sola guida dello Spirito e dell’esempio di Cristo. Oppositore dell’intolleranza ecclesiastica e sua vittima illustre fu il senese Bernardino Ochino, esule nel 1542 per le sue posizioni filoprotestanti, sostenitore di un cristianesimo etico e tollerante svincolato da dogmi e dalla Bibbia stessa. Per Ochino la religione consisteva esclusivamente nell’illuminazione interiore. Dopo i Dialoghi XXX, Ochino fu espulso da Zurigo e finì in una comunità anabattista italiana in Moravia. Kaspar Schwenckfeld si dedicò all'instaurazione della Riforma in Slesia, entrando in collisione con Lutero per la sua concezione eucaristica simbolica, espressione di una visione religiosa che puntava verso la rinascita spirituale e la deificazione dell’uomo. La concezione di Schwenckfeld poneva le premesse per una moderna religione morale, fondata su una nuova dimensione umana. Egli attribuiva alla ricezione del corpo di Cristo l’immagine di una carne celeste, atta a trasfigurarsi in Spirito e a divinizzare il fedele distruggendone la natura peccaminosa. Nella visione di Sebastian Franck, giudicato ex-post come il primo uomo moderno, la storia del cristianesimo e quella dell’eterodossia erano analizzate in una prospettiva rovesciata rispetto alla tradizione: l’eresia diveniva il segno distintivo della vera Chiesa di Cristo, mentre gli ecclesiastici erano giudicati nemici per l’autoritarismo con cui tutelavano l’ortodossia. Altrettanto isolato fu il pastore luterano Valentin Weigel, considerato il padre della teosofia, il cui pensiero rimase sconosciuto fino alla pubblicazione settecentesca del suo corpus. Weigel fu un immanentista, concependo una piena compenetrazione tra mondo terreno e mondo divino, escludendo l'esistenza di altre realtà metafisica è come il paradiso all'inferno, e anticipando il moderno soggettivismo con l'idea della conoscenza sviluppata nel soggetto conoscente e non dall'oggetto conosciuto. Questa concezione significò centralità della rinascita dell'uomo e conseguentemente una dimensione di piena libertà spirituale. La difesa della tolleranza religiosa fu intrinseca alla storia della Riforma radicale per le posizioni dei suoi esponenti e le persecuzioni che subirono. La lotta contro la persecuzione religiosa fu inaugurata dagli anabattisti, coloro che la subirono per primi. Il loro maggior portavoce fu Hubmaier, autore degli Eretici e coloro che li bruciano (1524), testo enucleativo di ferma condanna della violenza religiosa in nome del messaggio originario di Cristo. La vicenda di Servet si configurò come fulcro delle polemiche intorno a questa tematica e Basilea ne rappresentò l’epicentro, grazie alla sua illustre tradizione di cosmopolitismo. I primi a parlare furono gli esuli italiani impegnati nella ricerca religiosa indipendente, fra i quali spiccava la figura di Castellione, celato sotto vari pseudonimi, autore di tre scritti in cui veniva condannata la coercizione religiosa a favore della promozione di principi evangelici quali amore, carità, fratellanza, uso della ragione. La sua tesi principale era che la coercizione religiosa fosse contraria al cristianesimo stesso, e che la radice delle lotte religiose risiedesse proprio nella difesa intransigente dell’ortodossia. Valdés creò il proprio circolo a Napoli adunando esponenti delle élites politiche ed ecclesiastiche, gli spirituali, i quali cementarono solidarietà sociali e politiche, oltre che dedicarsi a conversazioni spirituali. Il gruppo di Viterbo si impegnò a sua volta nella promozione del pensiero di Valdés attraverso una fitta trama di relazioni e la divulgazione dei suoi scritti inediti. Anche Giulia Gonzaga, vedova dopo appena due anni di matrimonio, si dedicò per il resto della vita alla diffusione dello spiritualismo. Il marito, Vespasiano Colonna, era stato conte di Traietto e Fondi e le aveva lasciato in eredità un piccolo feudo, crocevia importante tra regno di Napoli e Stato pontificio. Il suo centro d’azione principale fu il monastero napoletano San Francesco alle Monache, dove risiedette dal 1535, trasformandolo in luogo di incontro di intellettuali e aristocratici. Valdés fu il suo maestro spirituale il suo difensore legale. Giulia fu l’erede dei suoi scritti, promuovendone attivamente la diffusione. La portata dirompente del valdesianesimo sfociò nel libertinismo. Il movimento anabattista si era diffuso nel Centro-Nord, trovando poi a Padova la sua centrale: presentava una buona organizzazione interna, contemplando anche l’elezione di ministri e vescovi e l’indizione di sinodi. In quello del 1550 a Venezia, il movimento si spaccò per l’imporsi della corrente antitrinitaria, i cui punti principali riguardavano la negazione della divinità di Cristo e della sua opera salvifica. Il movimento si espanse, anche grazie all’opera evangelizzatrice del teologo Tiziano e di alcuni popolani, i quali, sfuggiti alle persecuzioni con l’esilio in Moravia presso le comunità Hutterite, rientrarono in patria per portare avanti la loro missione, sino alla condanna a morte. Con il movimento anabattista ebbero rapporti due protagonisti del radicalismo italiano: Camillo Renato (Paolo Ricci) e Siculo (Giorgio Rioli): Renato fu maestro di una generazione di eterodossi credenti in una Chiesa invisibile, nel simbolismo sacramentale, nel mortalismo delle anime e nella concordia universale, il quale svolse un’intensa predicazione nell’Italia settentrionale; Siculo, invece, fu promotore di una religione che negava sacramenti e dottrine e giustificava il nicodemismo. Espulso tanto dal cattolicesimo quando dal protestantesimo, l’ex benedettino fu bruciato sul rogo nel 1551. La sua fu una visione soteriologica universalistica e di rinnovamento della società sulla base di principi anabattisti. Il pensiero di Siculo è emblematico della situazione religiosa italiana, la quale presentò molte dottrine originali oltre a quelle sopracitate. I filoriformatori rifiutavano la messa e il culto dei santi, le indulgenze e le opere pie, non rispettavano i digiuni, disconoscevano l’autorità del papa e della Chiesa. La densità ereticale, comprensibilmente, fu maggiore nelle zone più aperte ai rapporti con l’Europa: dal ducato di Savoia a quello di Milano alla Serenissima, ma grande valenza nella diffusione delle correnti ebbe anche l’atteggiamento dei ceti elitari verso l’eterodossia e l’Inquisizione, i quali ritennero a lungo possibile la professione delle convinzioni religiose, spesso fiduciosi dell’impunità derivante dalle loro posizioni. Venezia, Modena, Lucca, Udine e Trento furono città filoriformate grazie alla copertura accordata loro dal patriziato; l’Italia meridionale ebbe feudi e zone religiose franche, al riparo da interferenze della Chiesa, grazie al desiderio di autonomia dei baroni; Ferrara, Firenze e Urbino adottarono politiche di tolleranza, per la linea seguita dai loro domini signorili. L’oligarchia veneziana, seppur in un delicato equilibrio tra volontà di autonomia e manifestazioni di fedeltà per la Chiesa, adottò una linea di tolleranza politica nei confronti dell’eresia, che alimentò le speranze di fare della Serenissima la promotrice della Riforma in Italia: una speranza illusoria, dato il pragmatismo della Repubblica, ma che nondimeno attirò molti rifugiati, divenendo il maggiore centro di sviluppo e propagazione del movimento riformatore della penisola. Questa situazione iniziò cambiare negli anni Quaranta per la ridefinizione del quadro politico italiano ed europeo e per lo stringente controllo del dissenso religioso. Padova fu forte del movimento anabattista anche di indirizzo antitrinitario, dalla tradizione non conformista della sua università. Anche Vicenza ebbe un’importante comunità di anabattisti. Le città dell’Istria e del Friuli furono patria del luteranesimo: Udine fu esemplare per la sua complessità dottrinale grazie a scambi, letture, discussioni che trovarono le sue maggiori correnti nell’anabattismo e nel pensiero zwingliano. Milano svolse una funzione di raccordo tra la Svizzera, i domini di Venezia e il ducato, diventando luogo di diffusione di testi riformati, traendo forza anche da Cremona, epicentro del movimento eterodosso lombardo, e raggiungendo le altre città della regione. A Mantova e a Bergamo la penetrazione delle dottrine protestanti fu legata alle autorità religiose cittadine. Fu comunque la Chiesa valdese, presente in Piemonte, in Calabria e in Puglia, ad avere il primato del calvinismo in Italia, sopravvivendo a feroci persecuzioni del Ducato di Savoia fino alla libertà ottenuta nel 1848, mentre fu spazzato via nel Meridione dall'azione repressiva di Pio V, che portò in breve tempo all’estinzione delle comunità. Emanuele Filiberto di Savoia attuò una politica draconiana nei confronti del dissenso religioso. I valdesi reagirono impugnando le armi contro l’autorità sovrana, attuando un precedente alle guerre di religione in Francia. La pace di Cavour (1561) sancì la legittimità giuridica e la libertà della Chiesa valdese, divenendone la magna charta. Genova, al centro di una vivace rete di rapporti politici e commerciali nel mediterraneo, seguì una linea di mediazione e prudenza nel controllo del dissenso religioso. A Ferrara la duchessa d’Este Renata di Francia, figlia di Luigi XII, convertita alla Riforma da Calvino nel 1536, rese la sua corte un laboratorio del dissenso ereticale libero per la circolazione dei testi riformati. Tuttavia, ella restò ligia a una linea di tolleranza e di prudente dissimulazione, mantenendo una grande flessibilità dottrinale nella sua cerchia, senza propagandare il messaggio riformato al di fuori di essa, con grande disappunto di Calvino. La politica del marito Ercole II d’Este, non solidale con la moglie sul piano religioso ma teso ad affermare il suo potere rispetto al papato, mutò a partire dall’esecuzione di Siculo, mirando ad un riavvicinamento al papato per evitare l’isolamento politico dopo l’alleanza fra Roma, Spagna e Inghilterra. Renata fu inquisita e costretta all’abiura nel 1554, ma non interruppe le sue attività, ritirandosi in Francia nel 1559. A Modena la stessa oligarchia patrizia, insieme con l’Accademia modenese, avevano aderito alla Riforma, e fu importante l’azione della comunità dei fratelli, articolata in conventicole che trasformarono i loro luoghi di lavoro e di ritrovo in laboratori di idee, attraverso la lettura e la discussione di moltissimi testi protestanti . Per contro, l’autorità ecclesiastica latitò a lungo. La repressione investì la città ma non riuscì a estinguere il dissenso religioso fino agli anni Settanta, quando Pio V ne chiuse la feconda stagione. Nel circuito emiliano si inseriva anche Bologna, attraverso una costante mobilità di idee, libri, persone, tra conventi e circoli popolari cittadini. Tuttavia, data la sua soggezione alla Santa Sede, il governo cittadino vigilò sulla diffusione della Riforma, la cui accoglienza non fu ampia ma significativa e duratura. Anche la Toscana fu fortemente ereticale, con al città di Lucca a fare da capofila, anche a livello nazionale. Quasi tutto il ceto dirigente si convertì alla Riforma, facendosene promotore e rivelando quella forte saldatura fra eterodossia e repubblicanesimo in funzione antimedicea caratteristica della storia cittadina. Il movimento riformatore lucchese si orientò principalmente sul calvinismo. Considerato il radicamento nella società lucchese, il tentativo di estirpare l’eresia dalla città fu un impresa difficile, e benché nel 1545 l’Inquisizione avesse costretto i filoprotestanti a lasciare le cariche pubbliche, questi ultimi optarono per il nicodemismo. Analoga, anche se breve, fu il percorso del movimento a Siena, dove l’oligarchia ne rese un avamposto della Riforma in Italia. A Firenze, la strategia di Cosimo de’ Medici nei confronti del dissenso religioso fu dettata da motivi prettamente politici: inizialmente schierato contro il papato e contro il dispotismo romano, egli coprì i fermenti ereticali cittadini. In seguito si riallineò a Roma appoggiando l’elezione di Pio IV, per poter ricevere titoli per sé e per i figli. Neppure lo Stato della Chiesa rimase intatto all’eterodossia: il messaggio riformatore rafforzò il tradizionale anticlericalismo. Ma fondamentale fu il dissenso religioso del regno di Napoli: la lotta religiosa trovò il suo campione in Ferrante Sanseverino, principe di Salerno, il quale si oppose fermamente all’insediamento dell’Inquisizione spagnola. La Sicilia fu un altro centro vitale del dissenso religioso italiano: le idee eterodosse penetrarono facilmente. Quasi assente fu invece l’eresia in Sardegna, per la grande arretratezza e povertà, tale che neppure l’Inquisizione vi esercitava il suo controllo. CAPITOLO 6 Il messaggio protestante ebbe una rapida diffusione in tutti i paesi europei: il movimento investì la società nella sua articolazione, modificandone valori e principi. I cent’anni chiusi dalla pace di Vestfalia sono stati definiti il secolo di ferro, a causa degli scontri bellici di matrice confessionale che dilaniarono l’Europa. Nonostante le guerre e le persecuzioni religiose, nacquero anche riflessioni ed editti di tolleranza: nelle realtà multiconfessionali, come l’impero germanico e la Confederazione elvetica, sorsero le divided communities, veri e propri centri di coesistenza religiosa. Più che riflettere principi di tolleranza e di libertà, le disposizioni attuate risposero generalmente a criteri di pragmatismo politico ed economico miranti a evitare una condizione di permanente belligeranza fra i cittadini, nociva per gli Stati e le società. La tolleranza restò intesa come sopportazione più che come accettazione consapevole. Con la Riforma, l’Europa divenne un mosaico di religioni diverse. Il Sacro romano impero fu diviso con la pace di Augusta tra Stati cattolici e luterani a seconda dell’opzione del sovrano, mentre nelle città imperiali con la presenza di entrambe le confessioni venne legittimato il biconfessionalismo. Nei territori soggetti a ecclesiastici, fu imposto un principio secondo il quale i principi-vescovi passati al luteranesimo avrebbero perso i diritti sulle diocesi; altre fedi non furono ammesse ufficialmente ma di fatto esistettero come realtà minori, mentre la fede calvinista venne riconosciuta solo dopo la pace di Vestfalia. Negli Stati luterani si verificò un drastico restringimento dei diritti delle comunità ebraiche, sino alla loro espulsione; furono invece protette dagli Asburgo. In generale, il fine primo dell’imperatore e dei principi fu quello di mantenere la pace e l’integrità dell’Impero, nonostante il pluriconfessionalismo presente, puntando al superamento delle barriere confessionali. La pace di Augusta riuscì nel complesso a permettere la coesistenza religiosa in diversi territori, almeno fino alla guerra dei Trent’anni. In Svizzera il problema della convivenza religiosa si presentò in forma macroscopica. Il nuovo epicentro della Riforma fu inizialmente teatro di aspri scontri religiosi, che terminarono nella seconda pace di Kappel (1531) quando si impose il territorialismo religioso: i cantoni furono divisi, con obbligo di conversione/esilio per le minoranze. In questo contesto, si orientò la ricerca di accordi, pratiche e strategie di coabitazione e cogestione della vita religiosa. La Svizzera divenne così un significativo centro del plurilinguismo religioso. I domini asburgici, colpiti dal profondo declino del cattolicesimo, furono colonizzati dal luteranesimo, dal calvinismo e dalle sette radicali anabattiste e antitrinitarie. La politica imperiale dovette tenere conto della presenza di un’aristocrazia potente, giuridicamente autonoma e forte della propria importanza nel conflitto coi turchi. A questa partita partecipò appunto anche l’impero ottomano, con la sua incombente presenza sulla lunga linea di frontiera con i domini asburgici. La situazione più complessa fu in Ungheria per i mutamenti politici cui fu soggetta nel Cinquecento, in quanto terra contesa tra la casa d’Asburgo, l’impero ottomano o, il governatore transilvano e varie altre signorie nobiliari. Nell’Ungheria imperiale l’orientamento calvinista conquisto l’80% della popolazione. Nei territori passati sotto l’impero ottomano nel 1540, invece, tutte le fedi ebbero cittadinanza. L’esercizio delle diverse confessioni fu favorito dall’emanazione dello ius patronatus, principio di protezionismo religioso ad opera di Re Giovanni Sigismondo Szapolyai il quale, eletto al trono nel 1541 con il sostegno ottomano, si fece paladino della libertà religiosa e, caso unico con la Polonia, legittimò de iure la tolleranza religiosa delle quattro Chiese nella dieta di Torda (1568). La monarchia asburgica dovette perciò giocoforza assumere una posizione flessibile nei confronti della Riforma, seppur intenzionata a restaurare il cattolicesimo con l’ausilio dei gesuiti. Il regno polacco-lituano fu un eccezionale esempio cinquecentesco di pluriconfessionalismo e di libertà religiosa. Per governare questo caleidoscopio di culture, già prima della Riforma erano state varate norme di condivisione degli spazi pubblici e religiosi fra le Chiese cattolica e ortodossa. Questo processo accelerò con la diffusione della Riforma per il consenso incontrato nel paese. La nobiltà, fiera della sua aurea liberatas, dette vita a una repubblica aristocratica con la Confederazione di Varsavia (1573), che le garantì il liberum veto e legittimò un regime di tolleranza religiosa. Un apporto significativo fu dato dagli italiani, i quali crearono reti di solidarietà per i loro connazionali in esilio. Tali posizioni furono possibili grazie alla presenza di due regnanti che si succederono sul trono, Sigismondo II Augusto (1548-72) e Stefano Bathory (1576-86); l’elezione di Sigismondo III Vasa (1586-1632), modello della Controriforma, ne sancì la fine, avviando la trasformazione del paese in un baluardo del cattolicesimo. Il progetto religioso di Sigismondo III interessò anche la nativa Svezia, dal cui trono era stato spodestato, ma si scontrò con Gustavo II Adolfo, eccezionale avversario politico e militare, campione della guerra dei Trent’anni, il quale si fece paladino della causa evangelica contro il tentativo delle potenze cattoliche di imporre la loro egemonia. L’adesione alla Riforma offrì a Svezia e Norvegia l’opportunità di sciogliere l’Unione di Kalmar, che le vedeva soggette alla Danimarca, nel segno del cattolicesimo. Il distacco dalla Chiesa cattolica avvenne dai primi anni Venti, ma non fu privo di conflitti, i cui inizi furono segnati nel 1521 da Gustav Vasa contro il re di Danimarca, divenuto re di Svezia nel 1523. Controversie e scontri costellarono la Scandinavia, insieme con i tentativi di ricattolicizzazione, attuati in primis da Giovanni III di Svezia: tutto ciò contribuì a dar vita ad una realtà caratterizzata dalla fusione di istanze politiche e religiose. In Francia, la Riforma protestante segnò una cesura le cui ripercussioni investirono tutta Europa, le cui origini rimangono una questione aperta in ambito storiografico. A seguito del suo avvento nel paese, l’antica monarchia fu la prima (e l’unica in Europa) a legittimare ufficialmente il biconfessionalismo all’interno dello Stato. Il principio di unità politico-religiosa fu infranto nel 1598 con l’editto di Nantes: la tutela del potere sovrano risultò prioritario rispetto all’unità confessionale dello Stato. Per volere di Enrico IV, cattolicesimo e calvinismo furono le due religioni del reame. Questo esito non fu però incontrastato: la Francia fu teatro di una sanguinosa guerra civile nei trent’anni precedenti e, nei decenni successivi, l’editto fu progressivamente modificato per la realizzazione del disegno assolutistico dei sovrani, fino alla definitiva abrogazione nel 1685 per volere di Luigi XIV con l’editto di Fontainebleau.
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