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Storia Moderna: Monarchie e Imperi tra il XV e XVI secolo, Sintesi del corso di Storia Moderna

Lastoria moderna di Francia, Inghilterra e Impero Germanico tra il XV e XVI secolo. Vengono descritte le tendenze all'accentramento del potere nelle monarchie, l'amministrazione finanziaria, l'autorità del Consiglio del re, l'azione del Gran Consiglio e dei Parlamenti, l'indirizzo assolutistico di Enrico VIII, l'Impero Germanico e la Dieta ristretta e allargata. Il testo è utile per gli studenti di storia moderna e per chi vuole approfondire la conoscenza di questo periodo storico.

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

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Scarica Storia Moderna: Monarchie e Imperi tra il XV e XVI secolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! STORIA MODERNA CAPITOLI 7-17 LA PRIMA ETA’ MODERNA SOFIA FIORE Monarchie E imperi tra IL xv e XVI secolo FRANCIA- Sotto CARLO VIII (1483-1498) e i suoi successori Luigi XII (1498-1515) e Francesco I (1515-1547) continuò nella monarchia francese la tendenza all'accentramento del potere nelle mani del re e dei collaboratori da lui scelti. • Si rafforzò l’amministrazione finanziaria, basata sull’esazione della taglia (un’imposta sui redditi da cui erano esenti nobiltà e il clero) e sulla suddivisione del Paese in circoscrizioni fiscali dette généralités (1542); • Crebbe l’autorità del Consiglio del re, mentre si riunirono con minore frequenza gli Stati generali; • Si affermarono in ambito giudiziario l’azione del Gran Consiglio (un’emanazione del Consiglio del re) e quella dei Parlamenti, tribunali d’appello eretti a Parigi e nei principali centri provinciali e formati da giuristi di origine borghese, che vennero reclutati attraverso il meccanismo della vendita delle cariche pubbliche riconosciuto ufficialmente nel 1522; lo Stato si costituiva un ceto di officiers (funzionari) potente, al quale la proprietà degli uffici ricoperti garantiva autonomia anche nei confronti del monarca le cariche più elevate conferivano la nobiltà ai loro titolari e i vertici di questo ceto formarono un nobiltà detta “di toga” o nobiltà “di spada”, che col tempo avranno la possibilità di trasmettere per via ereditaria la carica Nei confronti del papato furono fatti valere i privilegi della Chiesa gallicana già sanciti dalla Prammarica sanzione del 1438: nel 1516 FRANCESCO I stipulò con papa LEONE X un concordato a Bologna: veniva lasciata cadere l’affermazione della superiorità del concilio sul pontefice, ma in cambio il re di Francia si vedeva riconoscere il diritto di nomina a tutti i vescovati, gli arcivescovati e alle abbazie. I grandi feudatari mantenevano un potere locale, accresciuto in alcuni casi dal titolo di governatori conferito loro dal re. Le province (Linguadoca, Provenza, Borgogna e Bretagna), dette Pays d’états, avevano le loro assemblee di “stati” (clero, nobiltà e Terzo stato) che contrattavano con la corona. CAP.7 - INGHILTERRA ENRICO VII TUDOR uscito vincitore dalla guerra delle Due Rose tra le case di Lancaster e di York (1455-1485), consolidò il proprio potere stroncando vari complotti e ribellioni nobiliari, amministrando le finanze e rafforzando gli organi centrali del governo regio: • il Consiglio della corona (composto di un piccolo numero di uomini fidati, estranei all’alta nobiltà; • i Consigli del Nord e del Galles (per le rispettive aree territoriali); • il Tribunale della camera stellata (si estendeva a tutti i casi non contemplati dal common law e ai reati di natura politica); Furono rafforzate le funzioni amministrative e giudiziarie dei giudici di pace, nominati dal re ma non retribuiti e tratti dalla piccola nobiltà provinciale. Il Parlamento fu convocato da ENRICO VII più raramente. L’indirizzo assolutistico venne proseguito dal figlio e successore ENRICO VIII (1509-1547). Egli pose in primo piano la politica estera, lasciando l’amministrazione terna nelle mani del suo cancelliere, il cardinale THOMAS WOLSEY. Il distacco da Roma della Chiesa d’Inghilterra e l’Atto di supremazia del 1534 coincideranno con un rafforzamento delle strutture di governo, ma con una riaffermazione del ruolo del Parlamento quale interprete della volontà del Regno. - L’IMPERO GERMANICO Alla morte di FEDERICO III D’ASBURGO (1493), l’Impero germanico rimaneva un ammasso ingovernabile di Stati territoriali, principati ecclesiastici, libere città (alcune ancora associate in leghe, come la Hansa), feudi soggetti esclusivamente all’autorità dell’imperatore, infine di popoli e lingue diverse. Vi erano forti contrasti tra le aree più urbanizzate e più sviluppate economicamente e culturalmente e le zone interne, massicciamente rurali e legate a un modo di vita ancora medievale. Il sovrano aveva la duplice qualità che reggeva a titolo ereditario gli Stati della casa d’Asburgo (Alta e Bassa Austria, Stiria, Carinzia, Carniola e si aggiunsero nel 1490 il Tirolo e nel 1500 la contea di Gorizia), mentre doveva la dignità imperiale la designazione della Dieta ristretta composta dai 7 grandi elettori: • il re di Boemia; • i principi di Sassonia, di Brandeburgo e del Palatinato; • gli arcivescovi di Magonza, di Treviri e di Colonia; A questo nucleo ristretto si contrapponeva la Dieta allargata a tutti gli “ordini” dell’Impero, che comprendeva di diritto 6 elettori: prelati, principi laici, feudatari e rappresentanti di città. Il regno di MASSIMILIANO I (1493-1519), sposato con MARIA DI BORGOGNA, si aprì con un notevole successo diplomatico, con la pace di Senlis con la Francia (1493) riconosceva agli Asburgo il possesso di: • Paesi Bassi; • Artois; • Francia Contea; Tuttavia all’Imperatore mancavano i mezzi per sostenere i suoi grandiosi progetti. Egli voleva organizzare una crociata contro i turchi e riaffermare la potenza imperiale in Italia. Il tentativo compiuto alla Dieta di Worms (1495) di dare maggiore compattezza all’Impero germanico e di estrarre regolari risorse finanziare ebbe un successo parziale. Il compromesso raggiunto prevedeva: • la creazione di un tribunale imperiale (Reichskammergericht); • di un consiglio composto di 17 membri (Reichsrat) ; • il versamento all’imperatore di un “soldo comune” (che approvava annualmente la Dieta); Il sistema si dimostrò incapace di funzionare e il soldo comune cessò di essere pagato. Fu conseguito un accentramento di potere solo negli Stati ereditari asburgici, con la creazione di un Consiglio aulico (Hofrat) e di una Camera aulica (Hofkammer) per l’amministrazione delle finanze. La volontà di MASSIMILIANO I di opporsi alle mire italiane dei re di Francia (grazie anche alle sue seconde nozze con BIANCA MARIA SFORZA, figlia di LUDOVICO IL MORO) rimase puramente irrealizzabile e il suo tentativo di ridurre all’obbedienza i cantoni elvetici naufragò nel 1499 con la disfatta di Dornach, presso Basilea, che segnò l’inizio dell’effettiva indipendenza della Svizzera. I seguaci di Savonarola, detti piagnoni, imposero l’adozione di un sistema di governo popolare, ma l’ostilità del Papa nel 1497 giunse a scomunicare il frate e il malcontento delle famiglie più ragguardevoli portarono presto alla fine di questa esperienza. Nel 1498 Savonarola venne processato e giustiziato con due seguaci e l’aristocrazia fiorentina riprese gradualmente il potere perduto. Venezia non contenta di aver sobillato la rivolta di Pisa e di aver occupato alcuni porti delle Puglie, nell’aprile 1498 la Repubblica di San Marco concluse con LUIGI XII re di Francia, appena succeduto a Carlo VIII, un trattato di alleanza che le garantiva Cremona e la Ghiara d’Adda in cambio del suo appoggio alla conquista francese del Ducato di Milano. LUDOVICO IL MORO dopo uno sfortunato tentativo di conquistare il Ducato di Milano nel 1499 fu portato prigioniero in Francia. Un altro conflitto regolò il destino del Regno di Napoli dove fu favorevole la Spagna, che nel 1503 rimase l’unica padrona del Mezzogiorno d’Italia, come già lo era di Sicilia e Sardegna. CESARE BORGIA, detto il Valentino, un figlio naturale del pontefice ALESSANDRO VI, grazie al sostegno del padre e del re di Francia giunse a ritagliarsi un dominio personale nella Romagna e nelle Marche eliminando i vari signori che pullulavano in quelle regioni. La morte di suo padre fece però abortire l’impresa nel 1503. Il nuovo papa GIULIO II (1503-1512) voleva restaurare il dominio temporale della Chiesa e organizzò quindi spedizioni militari contro i signori di Perugia, Bologna e di altre terre, e intimò Venezia a ritirarsi da Rimini e Faenza dove si era insediata alla caduta di Cesare Borgia. Al rifiuto della Serenissima Repubblica il pontefice creò un’alleanza antiveneziana, detta Lega di Cambrai (dalla città francese in cui venne stipulata alla fine del 1508) con i rappresentanti dell’imperatore Massimiliano, del re di Francia e di Spagna. Il 14 maggio 1509 l’esercito veneziano fu sconfitto da quello francese ad Agnadello, presso Crema. I francesi si fermarono sulla linea del Mincio, ma le città della terraferma veneta erano piene di risentimento nei confronti del patriziato veneziano che l’escludeva da ogni partecipazione al governo dello Stato, perciò aprirono le porte agli imperiali. Il papa soddisfatto nelle sue pretese di carattere temporale e spirituale: • tolse la scomunica contro la Repubblica; • ritirò la Lega antiveneziana; • promosse la Lega Santa contro la Francia (per timore della sua strapotenza); Tra le conseguenze di questo rovesciamento di alleanze furono nel 1512: • il ritorno a Firenze dei Medici (grazie alla Spagna); • l’occupazione dello Stato di Milano da parte delle truppe svizzere; La Francia si riappacifica con Venezia, che promise il proprio aiuto contro gli svizzeri. E la Repubblica di San Marco era riuscita a conservare l’essenziale dei suoi domini in terraferma, pur rinunciando ai più recenti acquisti in Lombardia, in Romagna e nelle Puglie, ma la sconfitta di Agnadello segnò una svolta nella sua politica italiana. Nel gennaio 1515, il nuovo re di Francia FRANCESCO I ho passato le Alpi e il 13-14 settembre davanti a Melegnano, si svolse lo scontro decisivo con i franchi svizzeri che tra il 1512 e il 1515 avevano controllato Milano. La vittoria fu re francese che rientro a Milano da trionfatore lascia gli svizzeri sono la contea di Bellinzona e gli altri territori oggi compresi nel Canton Ticino. La pace di Noyon (1516) tra Francia e Spagna consolidava per il momento l’equilibrio raggiunto nella penisola italiana: • agli spagnoli rimaneva il regno di Napoli; • Al re francese rimaneva il Ducato di Milano; CARLO V: IL SOGNO DI UNA MONARCHIA UNIVERSALE Alla morte di FERDINANDO IL CATTOLICO nel 1516, il nipote CARLO D’ASBURGO ereditò la corona di Spagna, poiché la madre non era in condizione di regnare e poco dopo morì anche il suo consorte MASSIMILIANO I. Alla candidatura di loro figlio, si contrapponeva quella del re di Francia FRANCESCO I, appoggiata anche da papa LEONE X DE’ MEDICI e a decidere furono soprattutto l’ostilità degli elettori tedeschi nei confronti della Francia e l’oro prestato dai banchieri di Augusta ( i Fugger e i Welser) per comprare i voti degli elettori. Carlo fu eletto all’unanimità dalla Dieta riunita a Francoforte il 27 giugno 1519. Cresciuto a corte della zia MARGHERITA D’ASBURGO, aveva assorbito da lei un senso orgoglioso dinastico, mentre dal suo precettore, l’arcivescovo di Utrecht ADRIAAN FLORENSZ (che diventerà papa nel 1522 con il nome di ADRIANO VI) aveva intrapreso una sincera e profonda religiosità: per lui il grande umanista ERASMO DA ROTTERDAM scrisse “l’Institutio principis christiani” (l’educazione del principe cristiano). Per quanto riguarda la sua idea imperiale, essa era intesa come dovere di guidare la cristianità, di mantenerla unita nella giustizia e nella fede. Questa sua idea però presentò fin da subito degli ostacoli: • in Spagna aveva distribuito molte cariche ecclesiastiche e laiche ai gentiluomini fiamminghi e borgognoni, irritando così le città della Castiglia con la richiesta di nuove tasse per pagare l’incoronazione imperiale; • in Germania nel 1520 scoppiò una rivolta dei comuneros (cioè dei cittadini che rivendicavano le città e le proprie autonomie), dove ebbe la meglio l’esercito nobiliare a Villalar nel 1521; CARLO V imparò così ad avere maggiore rispetto per l’orgoglio dei suoi sudditi spagnoli, tant’è che si sposò con l’infanta del Portogallo ISABELLA D’AVIZ nel 1526, alla quale era affidata la reggenza quando lui non c’era. Sotto CARLO V, l’onere della politica imperiale non era ancora sproporzionato alle risorse de Paese, grazie a: • l’aumento della popolazione; • la prosperità delle manifatture di pannilana a Segovia, Toledo, Cordoba; • la prosperità di drappi serici a Granada; • la prosperità della siderurgia nelle province basche; • dei traffici a Siviglia; Il sultano ottomano SELIM I (1512-1520) era molto preoccupato da questi successi, fece massacrare i propri sudditi sciiti e mosse contro ISMAIL un grande esercito a Cialdiran nel 1514, dove riportò una vittoria che gli fruttò l’annessione dell’Armenia e del Kurdistan. In oriente, tensione al Mediterraneo e nel giro di due anni sottomise la Siria e l’Egitto abbattendo il regime dei mamelucchi. Questa conquista ebbe grande importanza sia dal punto di vista economico grazie alle carovane che trasportavano le spezie le sette dentali attraverso il Golfo Persico il Mar Rosso, sia dal punto di vista religioso e morale perché nel Egitto dipendevano le città sacre di Medina e la Mecca. Il sultano di Costantinopoli diveniva così il capo riconosciuto di tutto l’Islam sunnita, al quale guardavano come un protettore anche gli Stati barbareschi della costa nord africana. Nel 1526 i turchi avanzavano nei Balcani, mentre un potente esercito agli ordini di SOLIMANO IL MAGNIFICO (1520-1566) risalì il Danubio penetrando in profondità nel territorio ungherese, sconfiggendo e uccidendo a Mohàcs il giovane re d’Ungheria e di Boemia LUIGI II JAGELLONE. SOLIMANO decise di fare dell’Ungheria uno stato vassallo, sotto la sovranità del principe di Transilvania GIOVANNI SZAPOLYAI, ma la successione era rivendicata dall’arciduca Ferdinando che nel 1521 aveva ottenuto dal fratello maggiore, CARLO V, il governo dei domini ereditari asburgici. Nel conflitto, i turchi giunsero fin sotto le mura di Vienna nel 1529, ma la loro offensiva fallì e ciò convinse SOLIMANO a concludere la pace con Ferdinando da cui era riconosciuto il possesso di un’ampia striscia di territorio ungherese a nord-ovest, mentre sul trono di Buda veniva riconfermato GIOVANNI SZAPOLYAI. Nel 1534, Tunisi cadde nelle mani di KHAYR AL-DIN, detto Barbarossa e signore di Algeri. CARLO V guidò una spedizione che portò alla sua riconquista nel 1535, che durò per poco. L’impero ottomano contava oltre 30 milioni di abitanti, gran parte dei quali erano cristiani o ebrei: nella stessa Istanbul poco più di metà erano musulmani. La pacifica convivenza di razza e religioni diverse era una caratteristica della civiltà islamica, l’unica discriminazione a danno dei non musulmani era il pagamento di una tassa speciale, fu il contributo dei sudditi cristiani al rafforzamento del regime ottomano attraverso il sistema detto devshirme, ovvero una leva forzata di bambini venivano educati nella fede musulmana e addestrati per il servizio di corte o per formare il corpo dei giannizzeri, la famosa e temutissima fanteria ottomana. Nell’impero ottomano tutta la terra, tranne quella adibita al servizio religioso, era di proprietà del sultano che esercitava un’autorità assoluta e dispotica sugli uomini e sulle cose. Anche i suoi più stretti collaboratori, membri del Divan (Consiglio) presieduto dal gran visir, erano spesso schiavi o liberti e potevano essere in qualsiasi momento destituiti e mandati a morte, così come gli stessi familiari del monarca. Gli aspetti arbitrari e dispotici del sistema di governo ottomano non incidevano però sulla vita della massa dei sudditi, le cui condizioni erano per certi aspetti migliori di quelle degli europei: • non esisteva la servitù della gleba; • il prelievo operato sui contadini dai timarioti (i titolari del timàr) e dallo Stato non era gravoso; • i kadi, i giudici che applicavano la legge islamica, amministravano la giustizia; • la protezione dello Stato era assicurata ai mercanti e agli artigiani riuniti in corporazioni religiose; CAP.8 I NUOVI ORIZZONTI GEOGRAFICI LE CONOSCENZE GEOGRAFICHE ALLA FINE DEL MEDIOEVO Alla fine del medioevo i rapporti diretti degli europei con gli altri continenti erano limitati agli scambi economici e culturali tra le varie sponde del Mediterraneo. I viaggi verso l’oriente, che erano frequenti all’epoca di Marco Polo tra il XIII e XIV secolo, si erano fatti più difficili dopo l’avvento della dinastia Ming in Cina nel 1368 e con l’espansione della potenza ottomana nel Mediterraneo orientale e nei Balcani. I mercanti veneziani dovevano approvvigionarsi dagli intermediari arabi nei porti di Beirut e di Alessandria: l’oro, l’avorio e gli schiavi dell’Africa Nera giungevano all’Europa passando per l’Egitto dei mamelucchi e per gli Stati nordafricani (barbareschi) affacciati sul Mediterraneo. Nel primo Rinascimento, le conoscenze geografiche erano vaghe e imprecise risalenti all’antichità classica e ai resoconti dei viaggiatori e degli scrittori cristiani o arabi del medioevo. Grazie a Tolomeo (vissuto nel II secolo d.C.), si apprese la concezione sferica della Terra, ma il continente africano era caduto molto più corto e la sua corsa accidentale era raffigurata come una linea obliqua tendente verso sud-est, mentre il blocco formato dai tre continenti noti come Europa, Asia, e Africa era collocato tutto nell’emisfero settentrionale e non si aveva idea dell’esistenza delle Americhe o dell’Oceania. Infatti, furono proprio questi errori a incoraggiare i viaggi di esplorazione: si pensava che esistesse un luogo impreciso dell’Africa e dell’Asia di un regno cristiano, detto il regno del mitico prete Gianni, con il quale si sarebbe potuto stabilire un’alleanza in funzione antimusulmana. Per quanto riguarda le loro religione, accanto alla divinità solare (Inti) adoravano Viracocha, ovvero il creatore del mondo, di cui si attendeva il ritorno e con cui verranno identificati gli spagnoli di Pizarro. Qui erano meno frequenti i sacrifici umani. L’Impero Inca era riuscito a darsi una salda organizzazione statale, grazie anche all’invio di governatori in ogni provincia e alla deportazione delle popolazioni più indocili. Dai grandi magazzini pubblici erano tratti gli alimenti per sfamare i lavoratori requisiti per la mita, una specie di corvée statale che serviva a costruire le strade, gli edifici pubblici e i terrazzamenti necessari per la coltivazione del suolo lungo i pendii delle montagne. I VIAGGI DI ESPLORAZIONE E DI SCOPERTA Il primo paese a intraprendere l’esplorazione dei nuovi mondi fu il Portogallo, grazie ad alcuni fattori: • alla favore posizione geografica; • all’alleanza stabilità dalla dinastia di Aviz con il ceto mercantile e marinesco; • all’interesse particolare de principe ENRICO IL NAVIGATORE (1394-1460) ebbe per l’esplorazione delle coste occidentali dell’Africa; Enrico era il figlio quintogenito del re GIOVANNI I, al quale si dovettero i perfezionamenti che fecero della caravella lo strumento ideale per la navigazione oceanica. La caravella, un veliero di piccole dimensioni, deve la sua notorietà ai viaggi di CRISTOFORO COLOMBO e di VASCO DA GAMA. Ai progressi compiuti nella costruzione delle navi e nella tecnica della navigazione, mediante l’uso della bussola ad ago magnetico e di strumenti per misurare la latitudine in base alla posizione degli astri. Doveva però aggiungersi l’esperienza di capitani e marinai nel calcolare le distanze percorse e nello sfruttare il regime dei venti. L’espansione marittima portoghese ebbe inizio con la presa di Ceuta a sud dello stretto di Gibilterra nel 1415 e proseguì con: • l’occupazione dell’isola di Madera e delle Azzorre (1420-1430); • la scoperta delle isole di Capo Verde; • del golfo di Guinea (1472); Fin dagli anni quaranta le loro caravelle cominciarono a tornare in patria cariche di schiavi neri ottenuti con razzie sulle coste o comprati da potentati indigeni e di oro, tanto che il tratto costiero attuale Ghana venne chiamato “Costa d’oro”. Il re del Portogallo GIOVANNI II (1481-1495) si pose l’obiettivo d circumnavigare l’Africa in direzione dell’Oriente e di ottenere informazioni precise sui porti e la navigazione dell’oceano Indiano. Il primo traguardo fu raggiunto dalla spedizione di BARTOLOMEO DIAZ, che alla fine del 1487 doppiò l’estremità meridionale dell’Africa da lui battezzata capo di Buona Speranza. A GIOVANNI II si era rivolto un navigatore genovese, CRISTOFORO COLOMBO (1451-1506), che aveva viaggiato per gli affari paterni e poi il servizio di grandi case mercantili della sua città. Così era maturato il suo progetto di raggiungere l’oriente circumnavigando la Terra verso occidente. Ma poiché la corte portoghese si era mostrata scettica, Colombo concentrò la propria speranza nella monarchia spagnola che in quegli anni si impegnava a concludere la Reconquista con la presa di Granada. Vennero firmate dai re cattolici le capitolazioni di Santa Fé nel 1492: oltre una parte della somma di denaro necessaria finanziare l’impresa, la regina ISABELLA DI CASTIGLIA concedeva a Colombo: • il titolo di “ammiraglio del mare Oceano“; • la. carica di viceré e governatore delle terre eventualmente scoperte; • una competizione agli utili che ne sarebbero derivati e privilegi di nobiltà trasmissibile agli eredi; Il 3 agosto 1492, tre velieri (due caravelle e una nave più grande, la Santa Maria) presero il largo dal piccolo porto atlantico di Palos. Il 12 ottobre arrivarono all’isola di Watling, nelle Bahamas, battezzato da Colombo “San Salvador”. Egli era convinto di essere giunto in Asia e di avere dimostrato la validità della propria teoria, le più grandi isole di Cuba e di Haiti furono di conseguenza scambiate per le isole del Giappone: ritorno a Palos portando alcuni “indiani“, alcuni pappagalli e un po’ d’oro tenuto dagli indigeni. Così la regina viene valore alla scoperta e finanziò una seconda spedizione. Il secondo viaggio di Colombo portò solo un carico di schiavi e accuse di malgoverno contro di lui. Ottenne però altre due spedizioni, che portarono alla scoperta delle foci del fiume Orinoco e alle perlustrazioni delle coste dell’America centrale. L’eco della sua scoperta aveva stimolato nuove iniziative, quali le due spedizioni del veneziano GIOVANNI CABOTO (1497 e 1498) a Terranova, verso il Labrador e le coste nord occidentali degli Stati Uniti per conto della corona inglese e la ricognizione di quasi tutta la costa atlantica dell’America meridionale compiuta dal fiorentino AMERIGO VESPUCCI al servizio prima della Spagna e poi del Portogallo. AMERIGO VESPUCCI fu tra i primi a comprendere che non si trattava dell’Asia, ma di un nuovo continente che in su onore verrà chiamato America su proposta di un cartografo tedesco. Incominciò così la disputa tra Spagna e Portogallo per l’appartenenza dei territori scoperti: il tentativo di mediazione del Papa ALESSANDRO VI fallì e GIOVANNI II stipulò con la corte spagnola il trattato di Tordesillas nel 1494. In forza di questo accordo, la linea divisoria tra l’area portoghese e quella spagnola era fissata a ovest delle isole di Capo Verde e così renderà possibile il Portogallo di rivendicare la proprietà del Brasile, scoperto da CABRAL nel 1500, che raggiunse poi l’India ripetendo il viaggio di Vasco da Gama stabilendo così relazioni d’affari con il sovrano di Cochin, una città portuale situata a sud lungo la costa del Malabar. I portoghesi deciserò di compiere una spedizione nelle Indie orientali, il cui comando fu affidato a VASCO DA GAMA nel 1497. La piccola squadra risalì la costa orientale dell’Africa fino a Malindi, qui un pilota musulmano si unì alla spedizione che nel 1498 gettò le ancore nei pressi di Calicut, lungo la costa del Malabar. VASCO DA GAMA riuscì a caricare le sue navi di spezie e di pietre preziose, ripartendo verso un viaggio più lungo a causa di venti che falciarono gli equipaggi, infatti solo 4 navi fecero ritorno. Il primo a vedere l’immenso oceano che si estendeva aldilà del continente americano, fu lo spagnolo NUNEZ DE BALBOA, che attraversò lungo la foresta tropicale nel 1513 l’istmo di Darien (Panama). L’impresa del portoghese al servizio del re di Spagna FERDINANDO MAGELLANO: partì da Siviglia con 5 navi e nel 1519 trovò infondo alla Patagonia lo stretto destinato a prendere il suo nome, attraversando il Pacifico dopo tre mesi di navigazione sbarcò nelle Filippine e ne prese possesso in nome del re di Spagna. Magellano morì uno scontro con gli indigeni nel 1521, il comando della spedizione fu assunto da JUAN SEBASTIAN ELCANO che raggiunse le coste spagnole nel 1522. LA COLONIZZAZIONE SPAGNOLA DEL NUOVO MONDO La colonizzazione spagnola si estese fino a comprendere la California e la Florida, il limite all'espansione fu costituito dalle foreste amazzoniche, dalle pampas argentine e delle tribù indie del Cile meridionale (auracani). Grande sviluppo ebbe il fenomeno del meticciato, l'unione di uomini e donne di razza diversa: meticci se si accoppiavano uomini bianchi e donne indie, mentre i mulatti se si accoppiavano tra bianchi e neri, infine c’erano gli zambos nati dall’unione tra neri e indiani. Gli strumenti della colonizzazione: • la fondazione delle città e l’encomienda (che consisteva nell’assegnazione ad un conquistador o ad un colono spagnolo di una circoscrizione territoriale al cui interno essi avevano il diritto di esigere determinati tributi e prestazioni di lavoro dagli indigeni, in cambio gli encomenderos erano tenuti a proteggere questi loro vassalli e convertirli alla fede cristiana); • il término che era ripartito in proprietà ai cittadini (vecinos); • le circoscrizioni giudiziarie erano chiamate audiencias; La corona di Spagna riuscì a svolgere, dopo delle Nuove leggi promulgate da CARLO V nel 1542 (che vietavano di ridurre gli indios in schiavitù), una specie di azione di controllo della società coloniale e di moderazione dei molteplici abusi che la caratterizzavano. A tale sforzo contribuì l’azione degli ordini regolari (domenicani, francescani e gesuiti) che si preoccuparono di evangelizzare gli indios e di combattere e denunciare le forme peggiori di maltrattamento e sfruttamento a cui essi erano soggetti. Nelle isole caraibiche, dopo la fase della ricerca dell’oro, si iniziò la coltivazione della canna da zucchero e fu necessario importare quantità crescenti di schiavi africani. Sul continente americano vennero importati nuove specie animali e vegetali. LE RIPERCUSSIONI IN EUROPA L’afflusso di metalli preziosi dall’America era considerato un tempo la causa fondamentale della cosiddetta “rivoluzione dei prezzi”, cioè della tendenza inflazionistica che portò nel corso del XVI secolo una moltiplicazione dei prezzi dei cereali e di altri alimenti. Questi metalli preziosi furono utilizzati per pagare l’importazione di spezie e altre merci dall’oriente, arricchendo quindi soprattutto i paesi asiatici. Anche le abitudini alimentari e la vita sociale saranno a lungo andare trasformate dei prodotti importati dai nuovi mondi: • il mais; • La patata; • Il pomodoro; • Lo zucchero; • Il caffè; • Il te; • Il tabacco; • Il cacao; Vi fu l’enorme ampliamento delle conoscenze geografiche scientifiche: • la dimostrazione definitiva della sfericità della terra e la percezione esatta delle sue dimensioni; • La rivelazione della falsità delle tante leggende antiche di terreni inabitabili e di uomini di forma mostruosa; • il confronto tra le diverse civiltà e con i popoli primitivi e la definizione dell’identità europea; Attraverso le discussioni che si accesero sulla natura dei “selvaggi“ si impose una premessa per la nascita di concezioni e di miti, che rivestiranno un’importanza centrale nell’evoluzione della cultura europea e per il superamento di quella visione razzista ed etnocentrica che era così radicata nel vecchio continente CAP.9 RINASCIMENTO E RIFORMA Durante i decenni delle guerre d’Italia, si giunse alla massima fioritura della civiltà del Rinascimento italiano, un movimento intellettuale artistico che abbraccia due secoli che vanno da FRANCESCO PETRARCA (1304-1374) a MICHELANGELO BUONARROTI 1476-1574). Con il termine “Rinascimento” si intende il concetto di “rinascita” (che fu cognato verso la metà del XIX secolo da due grandi storici, JULES MICHELET e JACOB BURCKHARDT), il quale significava il ritorno ai valori e ai modelli dell’età classica nella filosofia, nella politica, nella letteratura e nell’arte, con un’adozione di un nuovo e più positiva atteggiamento verso la natura e verso l’uomo, posto al centro dell’universo. Infatti questo concetto, si può considerare inclusivo di quello di “Umanesimo”: gli umanisti, cultori delle humanae litterae, erano coloro che si dedicavano alla riscoperta e allo studio delle opere dell’antichità, in lingua latina e greca e soprattutto dopo la flusso in Italia di dotti bizantini in seguito alla conquista turca di Costantinopoli del 1453. Tra gli autori del mondo intellettuale vi è da citare PLATONE. Gli umanisti insegnavano esprimersi in latino colto ed elegante, modellato sullo stile ciceroniano e si sforzavano di ristabilire la giusta lezione dei testi mediante l’esercizio del metodo filologico. Tra il XV e il XVI secolo letterari poeti ripresero a servirsi sempre più spesso del volgare e in volgare scrissero i loro capolavori BIOARDO, ARIOSTO, MACCHIAVELLI e GUICCIARDINI. Per quanto riguarda le arti figurative, questo favorire una maggiore originalità nella riproduzione degli oggetti, del paesaggio della figura umana. L’osservazione della natura si basò sull’analisi attenta della realtà, che trova un’elaborazione esemplare nella tecnica della prospettiva messa a punto. Al culmine di tale sviluppo troviamo il genio universale di LEONARDO DA VINCI (1452-1446), al tempo stesso pittore, architetto, ingegnere idraulico, indagatore della natura, inventore di macchine e di congegni di ogni genere Con il “Principe” di MACCHIAVELLI, egli fondò in pratica la nuova scienza della politica, sulla base di una scissione dalla morale e di un’esaltazione dei modelli classici basati sulla “virtù” e sulla partecipazione attiva dei cittadini. GUICCIARDINI con le sue opere scritte, diede un grande affresco in cui campeggiano scolpiti rilievo e Ritratti psicologici dei protagonisti sullo sfondo degli errori e delle illusioni degli uomini. LA ROTTURA CON ROMA E LE RIPERCUSSIONI IN GERMANIA La teoria delle indulgenze era basata sul presupposto dell’esistenza di un tesoro di meriti accumulati dalla Vergine e dei santi, al quale la chiesa poteva attingere per rimettere le pene ai peccatori pentiti e anche, per abbreviare le pene del Purgatorio. Ma i predicatori ingaggiati da ALBERTO DI HOHENZOLLERN (titolare di due vescovati e messo a carico dal PAPA LEONE X diùel raccoglimento di indulgenze alla scopo di finanziare la costruzione della basilica di San Pietro, metà delle quali sarebbero rimaste in suo possesso), giungevano a promettere il paradiso a chiunque si fosse mostrato prodigo del proprio denaro: così nel 1517 Lutero inviò ad Alberto 95 tesi, che vennero affisse alla porta della chiesa del castello di Wittenberg, dove era stigmatizzato il traffico delle indulgenze viene negata la facoltà del pontefice di rimettere le pene, al di fuori di quelle da lui stesso inflitte. Le tesi furono stampate riscosse grande successo in tutta la Germania, segno dell’esasperazione suscitata ormai dalla Chiesa. A Roma, nel 1520 fu emanata da LEONE X la bolla Exsurge Domine, che lasciava Lutero 60 giorni per ritrattare prima che contro di lui fosse scagliata la scomunica, ma proprio lui bruciò pubblicamente la bolla insieme ai libri del diritto canonico. Perciò nel 1521 giunse la scomunica, Carlo V nel 1519 aveva promesso a FEDERICO IL SAGGIO elettore di Sassonia e protettore di Lutero, che quest’ultimo poteva giustificarsi alla sua presenza, così si incontrarono alla Dieta imperiale di Worms il 17 e il 18 aprile 1521. L’editto di Worms dichiarava Lutero al bando dell’impero, cioè significava che chiunque avrebbe potuto ucciderlo, ma dei cavalieri lo avevano messo in salvo nel castello di Wartburg in Turingia, dove egli lavorò alla traduzione del Nuovo Testamento in tedesco e alla stesura degli scritti. La battaglia di Lutero aveva suscitato un immenso eco in tutta la Germania. Molti ecclesiastici convertiti dipingevano il Papa come l’Anticristo, la Chiesa di Roma come una meretrice, mentre Lutero come il santo e il profeta inviato da Dio per suscitare un grande cambiamento nell’umanità. Il suo messaggio toccava una corda profonda e faceva appello a un anticlericalismo diffuso in tutti i ceti e a un nascente rotazione all’Ismo germanico. Molti principi territoriali colsero l’occasione per mettere le mani sui beni della chiesa e per rafforzare la propria posizione nei confronti dell’autorità imperiale, ad esempio ALBERTO DI BRANDEBURGO nel 1525 decise di secolarizzare i beni dell’ordine teutonico e di diventare il duca di Prussia. LE CORRENTI RADICALI DELLA RIFORMA: LA GUERRA DEI CONTADINI Nelle compagne furono i motivi evangelici dell’ uguaglianza tra gli uomini e della polemica contro i ricchi e i grandi della terra a rafforzare il movimento di resistenza e di difesa dell’autonomia delle comunità di villaggio. Dal 1520 i seguaci di Lutero cominciarono ad aizzare le folle contro il clero, le istituzioni romane e contro tutte le ingiustizie e tutte le forme di oppressione: la riforma religiosa e la riforma sociale erano infatti strettamente unite per questi predicatori, che si proponevano di instaurare sulla terra il regno di Dio, basato sulla fratellanza e sui principi del Vangelo. E si erano convinti che Dio non avesse parlato agli uomini, ma che continuasse a rivelarsi agli spiriti eletti attraverso l’illuminazione interiore. Ormai in varie regioni della Germania vi era uno stato di ribellione noto come guerra dei Contadini. Gli insorti erano spinti da: • dalla miseria; • Dal difendere l’autonomia della comunità di villaggio; • Da realizzare la morale evangelica; Vennero sconfitti a Frankenhausen, in Turingia, nel 1525 e THOMAS MÜNTZER venne catturato e messo a morte dopo varie torture. La condanna della ribellione aperta era infondo coerente con la visione medievale che Lutero aveva dell’autorità di principi e magistrati, istituita da Dio per mantenere l’ordine e reprimere i malvagi e con la netta distinzione che egli operava tra la libertà interiore del cristiano e il suo dovere esteriore di obbedienza ai superiori e alle leggi. Agli inizi degli anni 20, Lutero il suo braccio destro FILIPPO MELANTONE (1497-1560), disapprovavano ogni costrizione in materia di fede e confidavano nell’intrinseca virtù della parola di Dio, dovettero appoggiarsi all’azione dei principi e approvare la costituzione di Chiese evangeliche da questi ordinate e controllate. Si creò il gruppo degli anabattisti, detti “ribattezzatori”, che si riferivano all’uso di somministrare il battesimo agli adulti dal momento che secondo loro solo la decisione consapevole del soggetto rendeva valido il sacramento. Questi si propagarono dalla Svizzera fino al Reno e ai Paesi Bassi. I gruppi anabattisti caratterizzavano la separazione dei veri credenti dal resto dell’umanità, la tendenza a formare comunità basate sulla fratellanza e sull’aiuto reciproco, il disconoscimento dell’autorità terrene e la fede dell’illuminazione diretta da parte dello Spirito Santo. Essi rimasero costanti nel rifiuto della violenza. Nel febbraio 1534, gli anabattisti provenienti dall’Olanda, si impadronirono del governo delle città e vi imposero con la forza le proprie regole introducendo oltre alla comunione dei beni, anche la poligamia. In questo caso anche ci fu spaventoso il massacro, ma gli anabattisti non scomparvero del tutto e si riorganizzarono sotto la guida di MENNO SIMONS (1496-1561), sacerdote cattolico olandese convertitosi al anabattismo, sopravvissero in mezzo alle persecuzioni cattoliche e protestanti. Inoltre, sbarcarono nelle colonie inglesi del Nord America trovando rifugio in Pennsylvania. LA CONCLUSIONE DEI CONFLITTI IN GERMANIA L’imperatore CARLO V si dimostrò contrario a risolvere il conflitto con i protestanti, anzi egli rimase fiducioso nella possibilità che è un concilio universale appianasse le divergenze in materia di fede: convocò nel 1530 una Dieta nella città imperiale di Augusta e qui FILIPPO MELANTONE redasse una professione di fede, la prima esposizione ufficiale dei principi del protestantesimo luterano (la Confessione Augustana) a cui aderì la maggior parte delle città e dei principi i formati. Ogni possibile accordo fu frenato dalla rigidità dei teologici di cui fu affidato l’esame. Carlo V intimò ai protestanti di sottomettersi e invece loro stipularono un’alleanza difensiva, la Lega di Smalcalda nel dicembre 1530. Nel 1541, a Ratisbona, si prova un ultimo tentativo di riconciliazione dove il compromesso tra protestanti e cattolici parve delinearsi sul problema della giustificazione per fede, ma le posizioni tornarono ad allontanarsi subito e si scontrarono. Carlo V vinse sulla Lega e riuscì a porre termine al conflitto, il nuovo re di Francia ENRICO II (1547-1559) allacciò subito contatti con i protestanti tedeschi e con il sultano turco per mettere in difficoltà l’Asburgo: nel 1551 fu stipulato un accordo segreto in base al quale Enrico II avrebbe garantito il suo appoggio diplomatico e militare ai principi protestanti in cambio dell’acquisto dei vescovati di Metz, Toul e Verdun. Carlo V fu preso alla sprovvista e fu costretto a fuggire a Innsbruck nell’aprile del 1552, di fronte all’avanzata dell’impero protestante. Il Dio di Calvino è più il Dio del Vecchio che del nuovo Testamento: un Dio maestoso, inaccessibile, tremendo e che fin da principio ha predestinato ogni singolo uomo alla salvezza o alla dannazione eterna, secondo criteri di giustizia per noi incomprensibili. La dottrina della predestinazione, non elimina peraltro la responsabilità del peccatore. Dovere primario del cristiano e la glorificazione di Dio, che si compie in primo luogo eseguendo al meglio le funzioni alle quali Dio ci ha destinato. Il concetto di “vocazione” era applicato a qualunque professione mestiere e alle carriere ecclesiastiche, venne ancora più sottolineato da Calvino che non credeva alla fine del mondo e attribuiva dei disegni della Provvidenza. Su queste basi, lo storico MAX WEBER ha formulato nei primi del Novecento, la sua tesi sul rapporto tra etica protestante e spirito del capitalismo. La tendenza dinamica imposta alla dottrina calvinista nel perseguimento della propria “vocazione”, la tendenza a interpretare la buona riuscita delle proprie iniziative come segno dell’elezione divina, “l’ascetismo mondano” che si esprime nell’etica del lavoro, della disciplina e della frugalità, tutto ciò avrebbe costituito, secondo Weber, il terreno di coltura ideale per la formazione di una mentalità imprenditoriale e di una tendenza all’accumulazione e al reinvestimento del capitalismo. Il calvinismo penetrò in aree (Paesi Bassi, Inghilterra, le colonie nord americane) caratterizzate nel XVII e XVIII secolo da un precoce e intenso sviluppo economico. Un’importanza differenza tra luteranesimo e calvinismo sta nella concezione del rapporto tra la Chiesa e lo Stato: la “Chiesa invisibile” di Lutero composta dall’insieme degli eletti di tutta l’umanità, assume importanza in Calvino la “Chiesa visibile”, ovvero la congregazione dei fedeli legati dalla comune pratica del culto e dalla comune appartenenza a uno Stato o a una città. Secondo Calvino, l’autorità civile non deve limitarsi a mantenere l’ordine in un mondo sottoposto a peccato, ma deve promuovere il bene spirituale dei sudditi in accordo con la Chiesa visibile. Si tratta di un trasferimento alle autorità civili di quei compiti di controllo e sanzione dei comportamenti privati che nei Paesi cattolici erano svolti dalla Chiesa. Calvino ritiene legittima la resistenza contro un sovrano malvagio, purché essa sia guidata dai magistrati e non assuma un carattere anarchico. Sulla base delle ordinanze del 1541, la Chiesa ginevrina venne riorganizzata con una suddivisione dei compiti tra: • i pastori (addetti all’esercizio del culto e alla predicazione della parola di Dio); • i dottori (incaricati dell’insegnamento); • i diaconi (assistenza ai poveri e agli infermi); • gli anziani o presbiteri (dovevano vigilare sulla disciplina e i costumi nei 12 distretti della città); L’organo supremo della Chiesa era il Concistoro, formato dai 12 anziani e da un numero minore di pastori, la cui autorità si estendeva anche alla censura dei magistrati civili. Nella città venne introdotta una disciplina ferrea, che comportava la proibizione: • delle osterie; • dei balli; • dei nomi di battesimo non contenuti della Bibbia; I riluttanti e i dissidenti vennero costretti ad andarsene, venne in compenso incoraggiata l’immigrazione di profughi per motivi religiosi dalla Francia, dall’Italia, dalla Spagna, ma la loro ortodossia era strettamente sorvegliata: lo spagnolo MICHELE SERVETO, che negava il dogma della Trinità venne processato e mandato sul rogo nel 1553. LA RIFORMA IN INGHILTERRA, IN SCOZIA E NEI PAESI SCANDINAVI L’istituzione di un’Accademia per la formazione dei pastori contribuì a fare di Ginevra il centro d’irradiazione i una fede intransigente ed eroica. Le principali aree europee di diffusione del calvinismo furono la Francia, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna e l’Europa orientale, e adesso avrà parte importante nello scoppio di moti rivoluzionari. Sia in Inghilterra sia nei paesi scandinavi i mutamenti in campo religioso sono legati al processo di costruzione di unità nazionale e di un forte potere monarchico. Nel 1528 il re d’Inghilterra ENRICO VIII TUDOR (1509-1547) alleato della Francia nella Lega di Cognac contro l’imperatore, chiese al pontefice l’annullamento del suo matrimonio con CATERINA D’ARAGONA, zia di Carlo V, che non gli aveva dato l’erede maschio. CLEMENTE VII non si è sentita accogliere la domanda e allora il re per ragioni dinastiche e di rafforzamento di potere, decise di far da sé. Nel 1529 convocò un parlamento da qui ottenne l’annullamento del matrimonio e anche la rottura di tutti i vincoli di dipendenza da Roma, e l’approvazione nel 1534 dell’Atto di supremazia, che lo dichiarava “capo supremo” della Chiesa d’Inghilterra. Gli ordini regolari furono sciolti a partire dal 1536 e i loro beni fondiari incamerati dalla corona, li mise in vendita favorendo così la formazione di una nuova classe di medie grandi proprietari terrieri (gentry). Il potente segretario del re, THOMAS CROMWELL, al quale si dovettero il riordinamento del Consiglio privato della corona e il rafforzamento dell’apparato amministrativo, caduto in disgrazia fu accusato di tradimento e giustiziato nel 1540, come toccò ad ANNA BOLENA (la seconda delle mogli di Enrico VIII). Negli ultimi anni del suo regno, Enrico VIII torno a sperperare enormi somme nelle costose e avventure militari sul continente europeo, compromettendo così lo sforzo di rafforzamento della dinastia tu door del potere di cui lo scisma anglicano era stato la manifestazione più importante. La vera riforma ebbe luogo durante il breve regno di EDOARDO VI (1547-1553), nato dalla terza moglie del re, JANE SEYMOUR. La dottrina calvinista si diffuse largamente in Inghilterra, ma MARIA TUDOR (1553-1558) cercò invano di riportare l’Inghilterra la fede cattolica con numerose condanne a morte inflitte ai protestanti, che le meritarono il soprannome di “Maria la Sanguinaria”. Dopo la sua morte assumerà una forma definitiva la Chiesa anglicana, separata da Roma e soggetta all’autorità del sovrano. Nel regno di Scozia, il calvinismo divenne la religione dominante per effetto della predicazione di JOHN KNOX, un pastore educato a Ginevra. La chiesa presbiteriana scozzese si caratterizzerà per una struttura assemblare a più livelli: • i concistori locali; • il presbyter; • un’assemblea generale; • assenza di un clero organizzato gerarchicamente; Nei paesi scandinavi fu invece il luteranesimo diventare ragione di Stato. Dal 1397 le corone di Danimarca, Svezia e Norvegia erano collegate nell’Unione di Kalmar, sotto la supremazia dei re danesi. Nel 1521 la nobiltà svedese elesse a proprio capo GUSTAVO VASA, che nel 1523 si fece proclamare re staccandosi dall’Unione. Nel 1521, Ignazio decise di convertirsi ad una vita di preghiera e di penitenza e durante lo studio nelle università spagnole, nel 1534 pronunciò i voti di povertà e castità e si impegnò a consacrare la propria vita alla liberazione della Terra Santa, al servizio della Chiesa e del suo pontefice. Dal 1535 lui e i suoi compagni soggiornarono in Italia: tentarono di imbarcarsi per la Palestina a Venezia e nel 1540 costituirono la Compagnia di Gesù, che venne solennemente approvata da papa PAOLO III e Ignazio venne eletto suo primo generale. I gesuiti si caratterizzarono come una milizia scelta al servizio del papa e della Controriforma e ai tre voti castità, si aggiungeva il voto di fedeltà assoluta alle direttive del pontefice. Alla morte di Ignazio i suoi seguaci si sparsero in tutta Europa e contribuirono all’attività missionaria che costituì uno degli aspetti più significativi della Controriforma: in Asia fu memorabile l’impegno dello spagnolo FRANCESCO SAVERIO, uno dei primi compagni di Ignazio che per vari anni percorse l’India e l’Indonesia predicando il Vangelo, mentre nel 1549 introdusse in Giappone il cattolicesimo. IL CONCILIO DI TRENTO Nel 1541 fallì a Ratisbona l’ultimo tentativo di accordo tra protestanti e cattolici. Nel 1542 venne creata a Roma la Congregazione del Sant’Uffizio o dell’Inquisizione, di cui fece parte GIAN PIETRO CARAFA (il futuro papà PAOLO IV), che fu un forte difensore dell’ortodossia religiosa e del primato papale. Nello stesso anno, BERNARDINO OCHINO, generale dei cappuccini e predicator, fuggì a Ginevra rendendo pubblica la propria adesione al calvinismo. In alternativa al nicodemismo (l’atteggiamento di chi si conformava esteriormente al culto ufficiale, pur professando nel proprio intimo una fede diversa), era l’esilio volontario, una strada seguita da molti “eretici” italiani che emigrarono verso l’Inghilterra o verso l’Europa orientale. La convocazione di un concilio ecumenico era sollecitata dall’imperatore, ma fu procrastinata per ragioni politiche dal papa che voleva assicurarsene lo stretto controllo. Alla fine, lo indussero nel 1542 a Trento, poiché la città era sede di un principato vescovile, ma a causa delle ostilità tra Carlo V e il re di Francia, il concilio si tenne il 13 dicembre 1545. Alla cerimonia d’apertura erano presenti: • 4 cardinali; • 4 arcivescovi; • 10 teologi; • generali degli ordini regolari; Il concilio fu poi trasferito a Bologna nel 1547, a causa del timore della peste e ricoconvocato a Trento nel 1551 dal nuovo papa GIULIO III, poi venne interrotto nel 1552 a causa delle ostilità tra l’Impero e la Francia. PAOLO IV estese i poteri dell’Inquisizione e sottopose a processo alcuni dei maggiori esponenti del partito riformatore, promulgando nel 1559 il primo Indice dei libri proibiti, in cui venne inserita l’opera di Erasmo da Rotterdam. Così, il nuovo papa PIO IV (1559-1656), rilanciò il concilio e lo condusse a termine. Nelle intenzioni dell’imperatore ebbero priorità i punti dogmatici tra i quali: • gli effetti del peccato originale; • il principio della giustificazione per sola fede, condannato come eretico; Dal concilio si affermava e rafforzava il carattere monarchico della Chiesa cattolica, l’infallibilità del pontefice era chiaramente stabilita la sua superiorità sul concilio e la sua discrezionalità nell’applicare le deliberazioni. Sotto il profilo dogmatico, le decisioni principali riguardavano: • la collocazione della tradizione della Chiesa accanto alla Sacra Scrittura come fonte della verità; • la natura dei sacramenti, tra i quali l’eucarestia; Per quanto riguarda la formazione dei doveri del clero: • l’istituzione dei seminari, collegi appositi per la preparazione dei futuri sacerdoti; • il divieto di cumulo dei benefici; • l’obbligo ai vescovi di risiedere nella propria diocesi, di visitarla e farne relazioni con la Chiesa; • le norme impartire ai parroci per il decoro del culto; • l’insegnamento religioso ai fedeli e là scrupolosa tenuta dei registri di battesimi, matrimoni, ecc; • l’imposizione del celibato ecclesiastico e dell’abito sacerdotale; LA CHIESA E LO STATO PONTIFICIO NELLA SECONDA METÀ DEL ‘500 L’applicazione dei decreti del concilio di Trento dovette fare i conti con la volontà dei sovrani cattolici di mantenere il controllo sulle rispettive Chiese. Il concilio di Trento segna: • la ripresa della Chiesa cattolica; • la conquista di una nuova compattezza e durezza nella lotta contro il protestantesimo e le tendenze eterodosse; • l’affermazione di una volontà di dominio in campo spirituale e nella sfera politica e sociale; PIO V GHISLIERI (1566-1572) diede un grande contributo alla vittoria cristiana di Lepanto contro i turchi nel 1571, non esitò a ripubblicare nel 1568 la medievale bolla In Coena Domini, affermazione della supremazia del papa sui sovrani temporali e scomunicò nel 1570 la regina d’Inghilterra ELISABETTA I, sciogliendo i suoi sudditi dal dovere di obbedienza. Questi indirizzi furono proseguiti da GREGORIO XIII (1572-1585), noto come il riformatore del calendario detto gregoriano. Il papato della Controriforma raggiunse il culmine con SISTO V (1585-1590), egli diede un nuovo impulso all’attività missionaria e alla controffensiva cattolica nell’Europa centro-settentrionale e attuò una profonda riorganizzazione della curia romana: il numero dei cardinali erano 60, delle congregazioni cardinalizie era 15 e 9 che si occupavano della Chiesa universale. Venne condotta sotto SISTO V e CLEMENTE VIII (1592-1605) la lotta contro il brigantaggio che infestava le province, furono ridotte le autonomie delle città suddite e delle signorie feudali e all’estinzioni della discendenza legittima degli Este (1598), Ferrara venne annessa allo Stato della Chiesa e venne finalmente completata la costruzione della cupola di San Pietro. Il papa PIO IV ebbe grande parte nella conclusione del concilio di Trento, alle cui norme scelse di conformarsi lasciando la curia di Roma e risiedendo nella sua diocesi, quando nel 1565 fu nominato arcivescovo di Milano. Il suo ventennale episcopato fu contrassegnato da: • l’azione svolta per l’organizzazione e moralizzazione del clero; • l’impegno personale della visita delle parrocchie e diocesi; • la vigilanza su monasteri e conventi; • la lotta contro le infiltrazioni “eretiche”; CAP.11 L’EUROPA NELL’ETA’ DI FILIPPO II FILIPPO II E I REGNI IBERICI Tra il 1555 e il 1556 CARLO V abdicò e rese affettiva la divisione dei suoi domini tra il fratello FERDINANDO I e il figlio FILIPPO II. Il nuovo re di Francia ENRICO II, nel 1547, volle tentare la sorte delle armi: sconfitto a San Quintino (1557) dovette firmare la pace di Cateau-Cambrésis nel 1559, che assicurava alla Spagna una schiacciante supremazia in Italia e il possesso della Francia Contea e dei Paesi Bassi. Il disegno di ricondurre l’Inghilterra all’obbedienza cattolica e di farne una componente del sistema asburgico venne frustrato dalla morte di MARIA TUDOR nel 1558, seconda moglie di Filippo. FILIPPO II aveva ereditato dal padre CARLO V, la totale dedizione al mestiere del re, il senso di una missione da compiere della quale bisognava rendere conto a Dio. Egli si sentiva spagnolo, precisamente castigliano: alla nobiltà castigliana lo accomunavano la gravità del portamento, l’importanza del costume e una religiosità intensa e intensa. Le rivolte all’interno del suo regno imposero l’ortodossia religiosa: tra il 1558 e il 1560 fu rafforzata in Spagna l’Inquisizione dei libri stranieri, vennero disperse e colpite da condannare a morte alcune comunità protestanti. La repressione si abbatté sui moriscos dell’Andalusia, che avevano mantenuto la loro lingua e le loro usanze: le persecuzioni li indussero a ribellarsi nel 1568, ma loro resistenza fu vinta e i sopravvissuti furono deportati nelle regioni settentrionali della Castiglia, per poi espellerli definitivamente dal regno nel 1609. FILIPPO II era convinto che l’unità religiosa fosse la condizione e il presupposto dell’unità politica e la migliore salvaguardia contro le discordie civili. Si mostrò ribelle verso la Santa Fede: i decreti del concilio di Trento furono pubblicati in Spagna con 2 anni di ritardo e la Reconquista, tendenza razzista dato che la purezza della fede si faceva coincidere con la limpieza de sangre, con una discendenza non contaminata da sangue moro e ebraico. Le restrizioni alla libertà di pensiero e di espressione in Spagna non furono soffocanti sulla vita intellettuali: questo secolo è noto come il “Secolo d’oro”, illustrato da nomi come MIGUEL DE CERVANTES, autore del “Don Chisciotte” e come LOPE DE VEGA, PEDRO CALDERÓN DE L BARCA, dei pittori EL GRECO, VELÁSQUEZ, ZURBARÀN. FILIPPO II rimase sempre fedele alla concezione imperiale di CARLO V, secondo cui ogni singolo Paese doveva mantenere la propria individualità e i propri ordinamenti ed essere unito agli altri solo nella persona del sovrano. Venne esteso e perfezionato il sistema dei Consigli da: • giuristi ed ecclesiastici di famiglia modesta; • Consiglio dell’Inquisizione; • Consiglio di Azienda; Nei vari territori, si contrapponeva l’autorità delle magistrature locali, che godevano di autonomia. In seguito all’estinzione della dinastia regnante del Portogallo, la morte del re SEBASTIANO I D’AVIZ nel 1578 e del suo successore ENRICO I nel 1580, FILIPPO II riuscì ad essere riconosciuto erede della corona lusitana. Così il Portogallo entrò a far parte dei regni controllati dalla corte di Madrid, mantenendo inalterate la sua forma di governo e le sue leggi, essendo sottoposto a un nuovo Consiglio, detto appunto “del Portogallo”, formato interamente di portoghesi. Rimase del tutto separata anche l’amministrazione dell’Aragona, dove nel 1561 FILIPPO II fu costretto a intervenire militarmente per sedare una rivolta dei signori feudali. In Castiglia, la popolarità del re venne messa a dura prova dai sacrifici richiesti al Paese in termini di uomini e denaro, dovuto dalle imposte richieste a causa delle importazioni delle colonie americane . Il sistema tributario era stabilito in modo da penalizzare i ceti produttivi e da privilegiare le rendite parassitarie: i denari così prelevati erano spesi in gran parte altrove a causa degli impegni militari della monarchia e andavano ad arricchire altri paesi. La stessa mentalità imperiale prevalente in Castiglia, rafforzava la tendenza a importare manufatti e persino alimenti dall’estero. A partire dal 1570, la Spagna divenne un paese importatore di cereali, ma si avviò verso un declino della popolazione e dell’economia iberica, in particolare castigliana, a causa di terribili carestie e pestilenze. LA BATTAGLIA DI LEPANTO E I CONFLITTI NEL MEDITERRANEO L’egemonia spagnola in Italia il possesso diretto del Regno di Napoli, della Sicilia e della Sardegna garantivano a FILIPPO II una posizione dominante nel Mediterraneo occidentale, ma lo rendevano al tempo stesso più esposto gli attacchi dei corsari barbareschi e della potenza ottomana. Nel 1565 fallì il tentativo di prendere Malta, la flotta ottomana al comando del successore di Solimano il Magnifico, SELIM III (1566-1575) sferrò nel 1570 un improvviso attacco contro l’isola di Cipro, mentre Tunisi cadeva nelle mani del bey di Algeri, vassallo del sultano. Per questo, papa PIO V (1566-1572) costituì una nuova Lega santa, in cui entrarono a far parte oltre a Venezia e la Spagna: • la Repubblica di Genova; • il duca di Savoia; • l’ordine di Malta; Nel 1571, quando già Cipro era caduta in mano ai turchi, la flotta cristiana al comando di GIOVANNI D’AUSTRIA e quella ottomana si affrontarono nei pressi di Lepanto, vicino al Golfo di Corinto. Questa fu l’ultima grande battaglia della storia con navi e remi e che fu combattuta con la tecnica dell’abbordaggio. La vittoria cristiana parve come una sanzione divina degli ideali della Controriforma e fu esaltata dai letterati, artisti e poeti. Venezia, nel frattempo, preoccupata per i suoi possedimenti nel Mediterraneo orientale e al fine di salvaguardare gli scambi commerciali, preferì firmare una pace separata (marzo 1573) rinunciando a Cipro e tornando la sua tradizione politica di buon vicinato con Istanbul. Il re di Spagna e il sultano dovettero rivolgere la loro attenzione alle vicende nord-europee e al rinnovato conflitto con la Persia, stipularono così una tregua nel 1578, ma che non durò molto. Il compromesso elisabettiano lasciava insoddisfatti i calvinisti intransigenti, detti puritani , che reclamavano l’abolizione dei vescovi e l’eliminazione del culto di ogni residuo di “papismo”, Nel XVII secolo, il puritanesimo si trasformerà in una forza di opposizione alla monarchia. Al problema religioso era legato il problema della successione: il rifiuto di ELISABETTA I di concedere la sua mano a qualcuno dei numerosi pretendenti faceva temere una ripresa delle discordie civili dopo la sua scomparsa. Un naturale punto di riferimento era la regina di Scozia, MARIA STUART, che era di fede cattolica e poteva vantare una discendenza legittima da ENRICO VII TUDOR. Dichiarata decaduta nel 1568 dalla nobiltà scozzese calvinista, Maria riparò in Inghilterra dove non cessò di complottare con gli oppositori del regime e con gli emissari delle potenze cattoliche, per questo ELISABETTA I nel 1587 si decise a firmare la condanna a morte che portò all’immediata apertura delle ostilità da parte della Spagna. Il figlio di Maria, il futuro GIACOMO I, aveva fornito la garanzia di una successione indolore al trono d’Inghilterra. A merito del governo di ELISABETTA I: • la stabilizzazione della moneta (1563); • la moderazione dei tributi; Per quanto riguarda la politica interna, questa fu tale da secondare il grande moto di espansione dell’economia e della società inglese. La nobiltà titolata dei pari d’Inghilterra perse molto del suo potere politico ed economico, penalizzata come fu dall’inflazione e costretta a trasferirsi a corte. I nuovi proprietari fondiari (coltivatori arricchiti, mercanti che investivano nella terra) accorpavano spesso gli appezzamenti di terra e accrescevano la produzione destinandola ai mercati distanti, anziché al consumo locale. I contadini poveri non riuscivano a sopravvivere e dovevano cercare lavoro altrove o darsi al vagabondaggio e alla mendicità, per controllare ciò furono promulgate dalla regina le prime leggi sull’assistenza ai poveri. L’età elisabettiana segna l’inizio di una nuova era nel commercio e nella navigazione. La Compagnia di Moscovia, istituita nel 1553, fu la prima di una serie di compagnie privilegiate: • la Compagnia del Levante (1581); • la Compagnia delle Indie orientali (1600); Si trattava di vere e proprie società per azioni che ottenevano il privilegio di commerciare all’estero. I rapporti con la Spagna, tesi a causa dei continui attacchi dei marinai inglesi contro le navi e i possessi di FILIPPO II, si alimentarono al punto di rottura quando la regina decise di appoggiare la rivolta dei Paesi Bassi e quando fece decapitare MARIA STUART. Nel luglio 1588, il re di Spagna spedì la flotta (invecible armada) sulle coste britanniche, che fu sfaldata dalle tempeste e aggredita nella acque della Manica. Gli spagnoli deciso di rinunciare allo sbarco e di circumnavigare con le forze residue le isole britanniche e la guerra si trascinò fino al 1604, con la rassegnazione e la resa di FILIPPO II. Un’ondata di esaltazione e di orgoglio patriottico percorse l’Inghilterra, componente della fioritura intellettuale e artistica che fa dell’età elisabettiana un periodo di ineguagliato splendore nella storia della civiltà inglese. Tra i più famosi artisti dell’epoca: • WILLIAM SHAKESPEARE (1564-1616); • CHRISTOPHER MARLOWE (1564-1593); • EDMUND SPENSER (1552-1599); • PHILIP SIDNEY (1554-1586); LE GUERRE DI RELIGIONE IN FRANCIA Anche in Francia vi erano tra le cause dei conflitti interni, il fattore religioso intrecciato a moventi di ordine politico-sociale e aggravato dai problemi dinastici tipici dei periodi di reggenza. In seguito alla morte di ENRICO II, toccò a sua moglie CATERINA DE’MEDICI aveva il compito di reggere a lungo il timone dello Stato, dato che al primogenito succedettero altri due figli minori o incapaci, CARLO IX (1560-1574) ed ENRICO III (1574-1589). Nel frattempo il calvinismo andava facendo proseliti soprattutto nelle regioni del sud e dell’ovest, i calvinisti (detti in Francia ugonotti) rappresentavano tutta la metà o poco meno dei nobili. Alla testa delle fazioni nobiliari troviamo tre grandi casate, che esercitavano estesi poteri nelle province e che erano in grado di mobilitare vaste clientele vantavano di collegamenti all’estero: • i GUISA (capi naturali dei cattolici intransigenti); • i BORBONE (i cui domini erano concentrati nel sud-ovest, esponenti del partito ugonotto); • i MONTMORENCY-CHÀTILLON (il cui membro più autorevole era l’ammiraglio GASPARD DE COLIGNY, convertito al calvinismo); CATERINA DE’MEDICI fu indotta a fare concessioni a ugonotti con l’editto di San Germano, ma il 1 marzo 1562 partecipanti a una riunione protestante a Vassy furono massacrati dei seguaci del duca di Guisa e questo fu l’inizio della prima fase di guerre civili, conclusa nel 1570 dalla seconda pace di San Germano che ribadiva e allargava le precedenti concessioni agli ugonotti. COLIGNY riuscì a conquistare la fiducia di CARLO IX e ottenere per ENRICO DI BORBONE, divenuto il re di Navarra nel 1572, di fede calvinista, la mano della sorella del re, MARGHERITA DI VALOIS. Durante i festeggiamenti delle nozze, CATERINA DE’MEDICI preoccupata per la crescente influenza dell’ammiraglio sul figlio, diede mano libera alla fazione dei Guisa e alla plebaglia parigina e violentemente antiprotestante. La notte tra il 23 il 24 agosto 1572, la notte di San Bartolomeo, più di 2000 ugonotti tra i quali lo stesso ammiraglio vennero trucidati nelle loro case: molti calvinisti fuggirono all’estero e ENRICO DI BORBONE che si era salvato a stento, riuscì a fuggire dalla corte e annunciò il proprio ritorno alla fede calvinista (1576) e all’organizzazione protestante si oppose allora la Lega Santa, capeggiata dei Guisa e sostenuta dalla nobiltà cattolica e dalla città di Parigi. La Moscovia scosse definitivamente la dominazione mongola e fu protagonista di una grande espansione territoriale con IVAN III IL GRANDE (1462-1505) e con BASILIO III (1505-1533): questi sovrani posero le basi per una stretta associazione tra Chiesa e Stato e della creazione di una nuova nobiltà, che in cambio della concessione di terre assicurava alla corona il servizio militare civile. Tale processo raggiunse il punto più alto con IVAN IV (1533-1584), che dopo essersi fatto incoronare zar nel 1547, diede inizio a una politica di rafforzamento del potere monarchico e di alleanza con i ceti inferiore in funzione antinobiliare. Inoltre: • convocò nel 1550 il primo Zemskij Sobor, un’assemblea nazionale contrapposta alla Duma; • creò con gli strel’cy il primo nucleo di un esercito professionale; • riordinò l’amministrazione centrale e periferica combattendo la corruzione; • estese il reclutamento di una nuova nobiltà di servizio; Ivan intrecciò rapporti commerciali con le potenze occidentali, specialmente con l’Inghilterra. Si impadronì nel 1552 del khanato di Kazan e nel 1556 di Astrakhan, in modo che tutto il bacino del Volga fino al Mar Caspio era ormai in mani russe. A partire dal 1560, in conseguenza della morte della prima moglie, il re cominciò a dare segni di squilibrio mentale e si abbandonò ad atti di gratuita ferocia: migliaia di individui furono sterminati con le loro famiglie, le loro case saccheggiate e le loro terre confiscate. Il terrore raggiunse il culmine nel 1570 con il massacro della popolazione di Novgorod, una città che al tempo era fiorente per i traffici. Nel 1582 però la Russia venne sconfitta e rinunciò allo sbarco sul Baltico. A IVAN IV succedette il figlio FËDOR (1584-1598) e il potere elettivo fu poi esercitato dal cognato di questi, BORIS GODUNOV, che riuscì a farsi riconoscere zar nonostante fosse sospettato dell’assassinio del nipote DIMITRI. Egli continuò la politica antinobiliare di Ivan, diede impulso all’esplorazione e alla colonizzazione della Siberia e consentì con un decreto ai proprietari di riprendere i contadini fuggiaschi. Gli ultimi anni del suo regno (1598 -1605) egli dovette anche lottare contro il pretendente al trono che si spacciava per Dimitri. Alla sua morte, la Russia sprofondò in uno stato di totale anarchia, la cosiddetta “epoca dei torbidi”, che ebbe fine nel 1613 quando nuovo Zemskij Sobor elesse zar MICHELE ROMANOV, la cui dinastia era destinata a regnare fino al 1917. CAP.12 L’EUROPA NELLA GUERRA DEI TRENT’ANNI Una serie di movimenti rivoluzionari e di crisi politiche si manifestarono in diverse parti dell’Europa nei decenni centrali del secolo: nelle isole britanniche, in catalogna e Portogallo nella penisola iberica, in Francia, nell’Italia meridionale e insulare, in Olanda, Svezia, Polonia-Lituania. In alcuni paesi la crisi si sarebbe risolta con la vittoria dei nuovi rapporti di produzione e degli ordinamenti politici che ne erano espressione, altrove con la riaffermazione delle vecchie strutture economico-sociali e del regime monarchico-feudale. In Europa l’incremento demografico si arrestò tra il 1620 e il 1650 e in alcune aree tra cui la Germania devastata dalla guerra dei Trent’anni e i Paesi mediterranei colpiti da disastrose pestilenze, registrarono gravi perdite di popolazione. Tra il 1620 e il 1650 si arrestò la tendenza all’aumento dei prezzi che é naturalmente in rapporto con l’attenuarsi della pressione della domanda, a sua volta legato alla curva demografica. Dal punto di vista delle tecniche agricole proseguì la tendenza all’esproprio dei coltivatori diretti da parte dei ceti urbani e si aggravò il peso della rendita fondiaria sui fittavoli e sui mezzadri, si aggiunse a questo il peso delle imposte statali. Sotto il profilo culturale, mentre in Spagna tramontava il siglo de oro, la Francia entrava nel proprio grand siécle e si verificava quella che si può chiamare una rivoluzione scientifica e filosofica. L’Inghilterra e l’Olanda furono i centri principali di elaborazione della nuova cultura. L’OLANDA Nel 1609, la Spagna si risolse a riconoscere la loro indipendenza, con la tregua dei Dodici anni. L’Olanda penetrò nei continenti extraeuropei e approfittandosi dello stato di guerra con la monarchia spagnola, si impadronirono di Ceylon, dell’isola di Giava e delle Molucche in Asia, del territorio del Capo all’estremo sud del continente africano, e fino al 1654 si installarono sulle coste del Brasile. Un altro insediamento olandese oltre Atlantico fu Nuova Amsterdam, che gli inglesi ribattezzarono New York nel 1664 quando riuscirono ad impossessarsene. Alle Province Unite rimasero nelle Americhe, solo il Suriname (Guayana olandese) e l’isola di Curaçao nelle Antille. Un ruolo importante di fattore di prosperità olandese ebbero le istituzioni finanziarie di Amsterdam: • la Banca dei cambi, creata nel 1609 sul modello dei banchi pubblici italiani che accettava depositi dei mercanti, agevolava i pagamenti, all’interno e all’estero, mediante semplici trasferimenti di somme da un conto all’altro e mediante lo sconto di cambiali; • contrattavano merci e titoli, come le azioni della Compagnia delle Indie orientali o le cartelle del debito pubblico; Si godeva di un regime di libertà religiosa ufficialmente calvinisti, ospitavano forti minoranze di cattolici, di anabattisti e di ebrei. All’imposizione dell’uniformità religiosa si opponeva la stessa struttura confederale della Repubblica. Gli Stati generali, che si riunivano all’Aja e che comprendevano i deputati delle sette province, avevano poteri limitati e dovevano prendere le loro decisioni all’unanimità. Il sistema avrebbe potuto portare la paralisi, se non fosse stato per il peso dominante della provincia d’Olanda, che da sola pagava le imposte federali e il cui statolder rappresentava la massima autorità militare. Lo statolder d’Olanda era quasi sempre un membro della famiglia D’ORANGE, che godeva di grande popolarità e nei momenti di emergenza tendeva ad assumere poteri quasi monarchici. Nella dialettica tra gli Stati generali e gli statlolder si assume per gran parte la vita politica interna delle Province Unite. In Europa, dominata nel XVII secolo dalle monarchie assolute e dalle aristocrazie, le Province Unite rappresentavano una felice eccezione: • con la loro prosperità; • con la loro civiltà essenzialmente cittadina e borghese; • con la loro adesione ai valori della libertà e della tolleranza; LA SPAGNA DA FILIPPO III AL DUCA DI OLIVARES Con FILIPPO III (1598-1621), figlio e successore di FILIPPO II, si inaugura in Spagna l’era dei privados o validos, cioè dei favoriti onnipotenti a cui sovrani incapace di governare delegano tutti i poteri di decisione e di comando. Il favorito del re fu FRANCISCO DE SANDOVAL Y ROJAS, duca di Lerma, un cortigiano dai modi suadente che in vent’anni riuscì ad accumulare una ingente fortuna e ad arricchire amici e parenti. Egli pose fine alle guerre in corso stipulando la pace con l’Inghilterra (1604) e la tregua dei Dodici anni con le Province Unite (1609). Nello stesso 1609 prese la grave decisione di espellere dalla penisola iberica i moriscos, cioè i sudditi di origine araba convertiti al cristianesimo, che costituivano una manodopera specializzata per l’agricoltura e per l’industria. Con l’avvento del nuovo sovrano FILIPPO IV (1621-1665), si affermò l’onnipotenza di GASPAR DE GÙZMAN, conte di Olivares e poi duca di Sanlúcar, spesso designato per questo col titolo di “conte-duca”. A differenza di Lerma, Olivares era un uomo energico ed era intimamente persuaso della necessità di introdurre profondi mutamenti nelle strutture economiche e politiche della monarchia. Egli era l’erede della tradizione imperiale spagnola, che non poteva assistere indifferente al saccheggio del dominio coloniale iberico da parte degli olandesi e restare neutrale di fronte al conflitto acceso del centro dell’Europa tra cattolici e protestanti, perciò fu deciso a Madrid di non rinnovare la tregua dei Dodici anni, che scadeva nel 1621. Nel 1621 presentò al re un progetto noto come Unión de las armas, che assegnava a ciascuna provincia un contingente di soldati da reclutare ed equipaggiare a proprie spese. Le operazioni militari avviate contro l’Olanda e contro i protestanti tedeschi avevano un andamento favorevole e la situazione debitoria della corona venne alleggerita nel 1627 con una nuova banca rotta, ma nel 1628 l’apertura di un altro fronte in Italia e la cattura da parte degli olandesi della flotta che trasportava l’argento americano portarono al tracollo delle finanze spagnole, mentre l’Union de las armas incontrava una crescente opposizione. L’IMPERO GERMANICO E L’ASCESA DELLA SVEZIA Alla morte di FERDINADO I (1564), l’impero era andato con le corone di Boemia e Ungheria e con i ducati austriaci al figlio MASSIMILIANO II (1564-1576), cui succedette RODOLFO II (1576-1612). Quest’ultimo, dovette far fronte a una larghissima diffusione del luteranesimo e in Ungheria e Boemia, anche del calvinismo: verso il 1580 la grande maggioranza della nobiltà nei domini asburgici aveva abbandonato la chiesa cattolica. RODOLFO II pose la sua residenza Praga e con gli anni cominciò a manifestare segni di squilibrio mentale. Nel 1609 i nobili del regno di Boemia lo costrinsero a firmare la Lettera di maestà, che concedeva loro piena libertà religiosa. Nel 1611 il re, che conduceva ormai una vita da recluso nel suo palazzo di Praga, venne deposto e la corona di Boemia venne data al fratello Mattia, che l’anno successivo fu eletto imperatore. La debolezza della suprema autorità politica aveva aumentato in Germania i contrasti tra cattolici e protestanti: accanto al luteranesimo era presente il calvinismo, che aveva tra i suoi seguaci personalità come il principe elettore del Palatinato, FEDERICO IV (1583-1610). Nel 1608 i principi luterani e calvinisti, conclusero un’alleanza difensiva (l’Unione evangelica), cui in seguito si aggregarono anche molte città imperiali, a questa si contrappose una Lega cattolica, la cui anima fu il ricco e potente duca di Baviera MASSIMILIANO DI WITTELSBACH (1597-1651). Nel 1592, quando SIGISMONDO VASA già eletto re di Polonia nel 1587, ereditò anche la corona di Svezia, suo zio si pose alla testa di un movimento di opposizione aristocratico, facendo leva sui timori di una restaurazione cattolica e al termine di una guerra civile fece deporre il rivale dalla Dieta svedese: nel 1604 egli assunse formalmente la corona con il nome di CARLO IX. Il nuovo sovrano manifestò mire espansionistiche in direzione sia della Polonia, sia della Danimarca di CRISTIANO IV (1588-1648), padrona dei dazi dell’Øresund grazie al possesso delle province meridionali della Svezia. La Svezia possedeva estesi giacimenti di ferro e di rame, che a partire dalla fine del ‘500 cominciarono ad essere sfruttati sistematicamente. Tali ricchezze minerarie, da un lato diventavano un consistente flusso di esportazioni, dall’altro fornivano la materia prima per una produzione di armamenti in rapido sviluppo. Nelle campagne esisteva una massa preponderante di piccoli proprietari liberi, che avevano una loro rappresentanza nella Dieta (Riksråg). Questo ceto costituiva un ideale di ottimi soldati. L’aristocrazia, che aveva nel Consiglio di Stato (Riksråd) la propria roccaforte, stabilì con la monarchia un rapporto di collaborazione, sancito nel 1612, all’inizio del regno di GUSTAVO ADOLFO, da una specie di carta costituzionale. Con l’aiuto dell’abile cancelliere AXEL OXENSTIERNA, il re: • riorganizzò l’amministrazione interna; • creò una flotta da guerra; • potenziò l’esercito introducendo un sistema di coscrizione obbligatoria; Le prime prove militari del re ebbero come teatro la Russia: con la pace di Stolbova nel 1617, la Svezia si vide riconosciuto il possesso dell’Ingria e della Carelia orientale, che saldando il territorio estone e quello finlandese le assicuravano il completo dominio sul Golfo di Finlandia. Nel 1621, il re approfittando dell’ostilità in corso tra la Polonia la Turchia (1619 -1621) in base la Livonia e si impadronì dell’importante porto di Riga. La lotta per l’egemonia sul Baltico sarà uno dei motivi principali dell’intervento svedese nella guerra dei Trent’anni. LE PRIME FASI DELLA GUERRA DEI TRENT’ANNI Sul trono imperiale a Mattia (1612-1619), vecchio e privo di eredi, era candidato succedere in nipote Ferdinando, duca di Stiria, educato dai gesuiti e intransigente campione della Controriforma cattolica. Nel 1617 Ferdinando ottenne la designazione a re di Boemia e di Ungheria dalle rispettive Diete, in cui i protestanti erano in grande maggioranza., ma le misure furono prese a favore del cattolicesimo e dai reggenti che rappresentavano il potere imperiale a Praga. La vittoria riportata a Breitenfeld il 17 settembre 1631 aprì al re di Svezia la via verso la Germania meridionale, mentre i sassoni penetravano in Boemia e si impadronivano di Praga, egli si diresse a sud-ovest verso Magonza, dove passò l’inverno. Nella primavera del 1632 invase la Baviera, nel frattempo Wallenstein aveva accolto il disperato appello rivoltogli dall’imperatore e si era accinto di raccogliere un nuovo esercito: con quelle forze espulse i sassoni della Boemia, poi affrontò gli svedesi che risalivano verso sud. Questi ultimi ebbero il sopravvento nella battaglia di Lützen, in Sassonia, il 17 novembre 1632, ma lo stesso re di Svezia lasciò la vita sul campo. In seguito, Wallenstein accusato di trattative segrete con il nemico, venne ucciso da alcuni sicari per ordine di Ferdinando (25 febbraio 1634). Per scacciare ora gli svedesi l’imperatore filava nell’aiuto di un esercito inviato con un supremo sforzo dalla Spagna: imperiali e spagnoli inflissero agli svedesi una grave sconfitta a Nördlingen (6 settembre 1634). I principi protestanti si affrettarono a concludere la pace con l’imperatore (1635). Anche la Svezia si preparava ad abbandonare la lotta quando un nuovo fatto intervenne a rianimare l’incendio: l’intervento diretto della Francia. Lo scopo del cardinale Richelieu era quello di impedire il consolidamento della potenza imperiale in Germania e il riformarsi di quella tenaglia asburgica contro la quale avevano già combattuto il re di Francia all’epoca di Carlo V. L’intervento francese rafforzò la determinazione della Svezia, decisa ad affermare la propria supremazia sul Baltico, e delle Province Unite, che puntavano al riconoscimento dell’indipendenza e alle conquiste fatte in campo coloniale. La flotta spagnola venne distrutta dagli olandesi nel canale della Manica con la battaglia delle Dune (21 ottobre 1639) . L’esercito francese ottenne una vittoria su quello spagnolo, fino allora reputato invincibile nella battaglia di Rocroi (19 maggio 1643). I negoziati di pace sfociarono nel 1648 in una serie di trattati collettivamente noti come pace di Vestfalia: • alla Spagna venne riconosciuto l’indipendenza dell’Olanda, che dopo la cessione del Portogallo erano libere di proseguire la loro penetrazione nell’oceano Indiano e in Brasile; • la Francia otteneva il possesso dei vescovati di Metz, Toul e Verdun, gran parte dell’Alsazia; La Svezia, che nel 1643 aveva sconfitto di nuovo la Danimarca, rimaneva padrona della Pomerania occidentale e della provincia di Haland e perfezionava il proprio dominio sul Baltico. La parte orientale della Pomerania e vescovati di Magdeburgo, Minden e Halberstadt erano dati all’elettore del Brandeburgo, Federico Guglielmo, ponendo così le basi dell’ascesa del Brandeburgo-Russia al rango di grande potenza. La situazione religiosa dell’Impero fu modificata: • annesso il calvinismo, accanto al cattolicesimo e al luteranesimo; • spostarono al 1624 l’anno per le secolarizzazione dei beni ecclesiastici; Dal punto di vista politico i principi ottenevano il diritto di stringere alleanze e fare guerre per proprio conto, purché non dirette contro l’imperatore. Restava accesa la guerra tra Francia e Spagna, conclusa solo nel 1659 della pace dei Pirenei e restavano le conseguenze economiche sociali dell’immane conflitto: la Germania perse in trent’anni dal 20 al 30% della popolazione, ma le devastazioni si estesero anche alla Boemia, alla Danimarca, alla Borgogna e all’Italia nord-occidentale. La guerra dei trent’anni rimase nella memoria dell’Europa come un’epoca di violenza e di errore che solo le tragedie del XX secolo riusciranno a superare. CAP.13 RIVOLUZIONI E RIVOLTE L’INGHILTERRA SOTTO LA DINASTIA STUART GIACOMO I STUART (1603-1625) era già re di Scozia, con il nome di Giacomo VI e succedette sul trono inglese alla regina Elisabetta che era rimasta nubile e non lasciava quindi eredi diretti. L’unione delle due corone non comportò la fusione dei due paesi sotto il profilo politico amministrativo. Diversi fattori resero impopolare il nuovo sovrano presso gli inglesi: • l’origine straniera; • le inclinazioni omosessuali; • le prodigalità nei confronti di favoriti avidi e netti; • il misto di perfezionismo e di volubilità che caratterizzava la sua condotta; Durante il suo regno si presentarono le due questioni che già ai tempi di Elisabetta avevano reso difficile i rapporti tra la corona e il Parlamento: la questione religiosa e la questione finanziaria. La legislazione contro i cattolici venne inasprita dopo la scoperta di una congiura che mirava a far saltare in aria il primo Parlamento convocato dal re (Congiura delle polveri, 1605) e le richieste dei puritani per una radicale riforma della Chiesa d’Inghilterra, che eliminasse dal culto le impronte di “papismo” e che abrogasse o riducesse l’autorità dei vescovi e lasciasse alle singole congregazioni maggior libertà nella scelta di ministri e predicatori. I protestanti inglesi constatarono che la nuova dinastia puntava ad un’alleanza con le corti cattoliche: sfumata l’opportunità di combinare il matrimonio spagnolo per il principe di Galles, nel 1625 il futuro CARLO I figlio e successore del re, sposò ENRICHETTA MARIADI BORBONE, sorella di LUIGI XIII, frustrando le speranze di coloro i quali avrebbero voluto un’Inghilterra paladina della causa protestante in Europa. Il puritanesimo, inteso come stile di vita atteggiamento morale, si venne diffondendo più largamente tra la gentry e tra i ceti mercantili e artigiani delle città, alimentando un crescente senso di estraneità e di ostilità nei confronti di una corte corrotta. Grazie alla pace conclusa con la Francia e con la Spagna alla fine degli anni 20, le spese poterono essere contenute, mentre le entrate beneficiarono l’amministrazione e il reperimento dei nuovi cespiti: quello conseguente all’estensione a tutto il paese della cosiddetta ship money (tassa per le navi), un tributo per la costruzione di navi da guerra che riguardava solo alcuni porti. WILLIAM LAUD procedeva a riorganizzare la Chiesa d’Inghilterra secondo linee gerarchiche autoritarie: • erano preferiti per i seggi vescovili i seguaci della dottrina arminiana; • erano rimesse in onere le pratiche di devozione e forme liturgiche proprie della Chiesa cattolica; • erano perseguitati dai tribunali ecclesiastici i predicatori puritani. Il sospetto che si volesse preparare un ritorno al cattolicesimo era alimentato dall’ascendente che su il re esercitava la moglie francese, che professava il culto cattolico e si circondava di gesuiti e di emissari della Chiesa di Roma. Ciò rafforzava l’opposizione dei puritani, convinti che la corte fosse schierata con le forze del male. Non esisteva in Inghilterra un esercito permanente, solo in caso di spedizioni oltremare si reclutavano truppe mercenarie. La burocrazia stipendiata dalla corona non superava il migliaio di individui sotto i primi due Stuart e le mansioni giudiziarie e amministrative nelle contee erano affidate all’opera di volontari come giudici di pace, mentre i Lord appartenevano in genere all’alta nobiltà. I giudici di pace provenivano dalla gentry, un ceto di proprietari terrieri benestanti in rapida ascesa economica: tra il regno di ENRICO VIII e quello di CARLO I STUART le famiglie che ne facevano parte crebbero, mentre si riduceva il peso economico e politico della grande aristocrazia feudale. Senza il consenso di queste categorie sociali era difficile per la corona esercitare quel potere assoluto cui aspiravano GIACOMO I e CARLO I e l’ostilità dei sudditi nei confronti delle loro iniziativa era evidente nel diffuso rifiuto di pagare le imposte, ritenute illegali in assenza dell’approvazione parlamentare e nella crescente impopolarità di Loud e delle alte gerarchie ecclesiastiche. Le novità religiose imposte da Laud, che cercò di imporre il modello anglicano alla Chiesa presbiteriana di Scozia, suscitarono nel 1638 una rivolta. Il re si decise a convocare un nuovo Parlamento per ottenere i mezzi necessari a condurre la guerra contro gli scozzesi e questa assemblea fu detta “Breve Parlamento”, perché il re lo sciolse dopo poche settimane. L’esercito messo assieme con grandi sforzi dal monarca e dal conte di Strafford fu messo in rotta dagli scozzesi. In questa situazione non rimase scelta al re che convocare nuovamente la rappresentanza del Regno. Il Parlamento si aprì a Westminster il 3 novembre 1640 ed è passato alla storia come il “Lungo Parlamento”, perché rimase in carica fino al 1653. Nella Camera dei comuni erano in maggioranza gli avversari della politica assolutistica del sovrano e i Comuni seppero intimidire i Lord e procedettero in pochi mesi a smantellare tutti i capisaldi del potere regio: • Strafford e Laud vennero accusati di tradimento e imprigionati; • furono soppressi i tribunali sottoposti all’influenza diretta del monarca; • venne decretata l’inamovibilità dei giudici; • furono dichiarate illegali e abolite le ship money e le altre imposte introdotte; • i vescovi vennero estromessi dalla Camera dei lord; • il re venne privato del diritto di sciogliere il Parlamento senza il consenso di quest’ultimo; La caduta delle restrizioni alla libertà di stampa aveva avviato una pubblicistica dai toni scurrili, che contribuì con gli incitamenti dei predicatori puritani a mantenere alta la temperatura a Londra e in tutto il Paese e a impedire una riconciliazione con la monarchia, cui i Lord sarebbero stati inclini. Alla fine del 1641 lo scoppio di un’insurrezione cattolica in Irlanda pose il delicato problema di chi dovesse condurre la repressione: prima di votare i sussidi per la costituzione di un esercito, il Parlamento intendeva costringere il monarca a cedere il controllo delle forze armate. Lo Stuart ritenne giunto il momento di reagire e il 5 gennaio 1642 si presentò in Parlamento con degli uomini armati per arrestare i capi dell’opposizione, ma il colpo andò a vuoto perché furono avvertiti in tempo e si erano messi in salvo. Il Parlamento si trasferì nella City, tra grandi manifestazioni popolari di sostegno, mentre il re lasciò la capitale deciso a risolvere la partita e chiamò i sudditi a lui fedeli. LA GUERRA CIVILE: CROMWELL E LA VITTORIA DEL PARLAMENTO La guerra civile vera e propria ebbe inizio nell’estate del 1642 e sembrò volgere a favore del re, ma il protrarsi delle ostilità doveva far prendere la bilancia dalla parte del Parlamento, che poteva contare sul sostegno finanziario della City e sulla capacità contributiva delle contee sud-orientali e sull’alleanza con gli scozzesi sancita nel 1643 da un patto solenne (Covenant). Il primo successo venne ottenuto il 2 luglio 1644 nel Nord, a Marston Moro, grazie al valore dei reparti di cavalleria guidati da OLIVER CROMWELL (1599-1658), un gentiluomo di campagna dotato di un grande talento militare e organizzativo e di una saldissima fede calvinista. Lui stesso costituì nel 1645 “l’esercito di nuovo modello” (New Model Army), caratterizzato da una disciplina ferrea e dalla precedenza data al merito rispetto alla nascita e animato dalla convinzione dei soldati di combattere per una causa giusta: CARLO I preferì arrendersi agli scozzesi che lo consegnarono al Parlamento di Londra, ma non smise di intrigare e intavolare trattative con il Parlamento, gli scozzesi e con i generali dell’esercito nella speranza di dividere gli avversari e metterli l’uno contro l’altro. Lo stesso CROMWELL era a favore di un accordo con il re sconfitto, che salvaguardasse le conquiste della rivoluzione. Nel Parlamento era predominante la corrente presbiteriana, che dopo l’abolizione dell’episcopato decretata nel 1646 intendeva riorganizzare la Chiesa d’Inghilterra con un sistema di consigli saldamente gerarchizzati e con l’imposizione del credo calvinista, a loro si contrapponevano gli indipendenti che avevano nell’esercito la loro roccaforte ed erano sostenitori di una tolleranza delle opinioni religiose (tranne i cattolici) e dell’indipendenza delle singole congregazioni di fedeli. Evidenti erano i legami tra queste tendenze eterodosse in campo religioso e il radicalismo politico che si espresse soprattutto nel movimento dei livellatori (levellers). Il termine venne ad indicare quanti erano accusati di voler cancellare le distinzioni sociali e livellare le fortune, in verità i livellatori: • reclutavano i loro adepti soprattutto tra le file dell’artigianato cittadino e dei piccoli proprietari coltivatori; • chiedevano la soppressione di tutti i privilegi; • una semplificazione delle leggi ; • un’istituzione per tutti; • esigevano il diritto di voto a tutti i maschi adulti, ad esclusione dei mendicanti e dei servi; LA FRANCIA A METÀ DEL ‘600 L’aumento della pressione fiscale imposto ai francesi dal governo di Richelieu aveva provocato una serie di rivolte popolari. Alla morte di LUIGI XIII (maggio 1643), preceduta da quella di Richelieu (dicembre 1643), la reggenza in nome del successore LUIGI XIV che non aveva ancora compiuto 5 anni, venne assunta dalla vedova del re ANNA D’AUSTRIA, sorella di FILIPPO IV D’ASBURGO. Ella affidò la direzione degli affari al cardinale di origine italiana GIULIO MAZZARINO (1602-1661). Egli si mantenne fedele agli indirizzi politici di Richelieu, pur sostituendo la diplomazia e l’arte del compromesso, ereditò impopolarità a causa della provenienza straniera e l’estrazione sociale. La minore età del sovrano e la reggenza da parte di una donna “straniera” risvegliarono le ostilità dei principi del sangue e dei nobili, i quali presero ad agitarsi e a complottare per impadronirsi del potere politico. Allo stesso tempo, gli officers lamentavano gli enormi ritardi con cui erano pagati gli interessi cui avevano diritto, conciavano gli scandalosi arricchimenti dei finanzieri degli appaltatori delle imposte, di cui servizi la corte non poteva fare a meno. La situazione divenne esplosiva nel 1648, di fronte al nuovo pacchetto di misure fiscali delle quali faceva parte una trattenuta di quattro anni sugli stipendi dei magistrati in cambio del rinnovo della paulette (una tassa che garantiva l’ereditarietà degli uffici venali), il Parlamento di Parigi prese la testa del movimento di opposizione e concertò con le altre corti sovrane risiedenti nella capitale un comune programma di riforme. Le rivendicazioni contenute nei 27 articoli formulati nel giugno 1648 presentarono analogie con quelle avanzate dal Parlamento inglese, si trattava di: • soppressione degli intendenti; • diminuzione delle imposte; • rifiuto del sistema degli appalti; • invalidità di ogni tassa che non avesse ottenuto l’assenso dei Parlamenti; • illegalità degli arresti arbitrari; La regina e Mazzarino reagirono decretando l’arresto di uno dei più autorevoli popolari esponenti della magistratura parigina, PIERRE BROUSSEL, ma la piazza si ribellò e a Parigi sorsero le barricate (27 e 28 agosto). Di fronte alla sommossa la corte fu costretta a lasciare la capitale e a piegarsi alle richieste del Parlamento (dichiarazione regia del 22 ottobre). La pace firmata a Saint-Germain il 1 aprile 1649, chiudeva la Fronda detta “parlamentare” per il ruolo di primo piano che in essa aveva giocato il Parlamento di Parigi. Le ambizioni rivali del Gran Condé (LUIGI II DI BORBONE-CONDÉ, celebre condottiero e principe del sangue) e degli altri grandi nobili e l’odio comune verso il favorito della regina dovevano di li a poco accendere la Fronda “dei principi” (1650-1653). A pagare il prezzo di questo rigurgito di anarchia feudale furono le campagne, esposte alle estorsioni e alle violenze delle soldatesche flagellate dalla carestia nei disastrosi anni 1651 e 1652: in molte località, i registri parrocchiali mostrarono punte di mortalità tre o quattro volte superiori alla media e sensibili diminuzioni delle nascite. La vittoria riportata nel 1652 del visconte di Turenne, un generale al servizio della corte, sulle forze del Condé che non aveva esitato a chiedere aiuto alla Spagna, fu alla fine l’esaurimento generale a riportare la pace nel Paese e a consentire a Mazzarino e alla reggente di rientrare nella capitale. Perciò il fallimento della Fronda aveva dimostrato ai francesi che l’autorità monarchica era l’unica forza in grado di scongiurare l’anarchia di tenere a freno la prepotenza dei “Grandi”. Su questa diffusa convinzione potrà far leva il programma assolutistico di LUIGI XIV. Rimaneva ancora aperta la guerra con la Spagna, Mazzarino fu in grado di imporre alla corte di Madrid la pace dei Pirenei (1659), con la quale furono assegnati alla Francia l’Artois, il Rossiglione e parte della Cerdagna. Veniva inoltre stipulato il matrimonio di LUIGI XIV con la figlia di FILIPPO IV, Maria Teresa, la quale rinunciò a qualunque parte dell’eredità spagnola: tale accordo matrimoniale, avrà gravi conseguenze nei rapporti tra le due potenze durante il regno personale del re. LE RIVOLTE NELLA PENISOLA IBERICA Tra il 1637 il 1643, le sorti della guerra che opponeva la Spagna alle Province Unite, nel quadro della guerra dei Trent’anni, si erano volte decisamente a sfavore della Spagna. Effetto e causa furono le rivolte scoppiate quasi simultaneamente all’estremità orientale occidentale della penisola iberica: in Catalogna e in Portogallo. La Catalogna si considerava una nazione distinta della Castiglia, diversa per lingua e cultura per le istituzioni giuridiche e amministrative, gelosa dei propri privilegi e delle proprie autonomie. Nei primi mesi del 1640, il conte-duca di Olivares volle approfittare della presenza di un esercito per convocare la Cortes e imporre i mutamenti che gli stavano a cuore, la Catalogna insorse e chiese l’appoggio della Francia: nel gennaio 1641 venne proclamata la sua unione alla monarchia dei Borbone con il mantenimento delle sue istituzioni e leggi. Anche il Portogallo aveva approfittato della situazione per scuotere la dominazione spagnola e dopo una prima rivolta scoppiata a Évora nel 1637, il 1 dicembre 1640 una insurrezione portò alla proclamazione dell’indipendenza e pose sul trono, con il nome di GIOVANNI IV, il duca GIOVANNI DI BRAGANZA. La monarchia spagnola non era più in grado di reagire: FILIPPP IV fu costretto a licenziare Olivares (gennaio 1643), mentre il governo era costretto a dichiarare la bancarotta. Tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta la monarchia si trovò ad affrontare una crisi globale: oltre alla Catalogna e il Portogallo vi furono rivolte in Andalusia, a Napoli e in Sicilia e in Messico. Inoltre nel 1649, una terribile pestilenza ridusse un terzo della popolazione della Castiglia. La riconquista della Catalogna fu possibile per il mutamento della situazione internazionale (pace di Vestfalia del 1648 e disordini della Fronda in Francia), ma soprattutto per i timori dell’aristocrazia catalana di fronte al radicalizzarsi della lotta sociale, poiché si era trasformata in una guerra dei poveri contro i ricchi, dei contadini contro i signori. Alla Castiglia va riferito il quadro convenzionale in Spagna tragica e immobile, popolata solo di grandes e hidalgos, di frati e di straccioni. Le classi dirigenti vedevano nella Chiesa un ordine sociale e docilità dei poveri, ma anche un conveniente sbocco per i cadetti e per le figlie non destinate al matrimonio. La vigilanza della Chiesa su ogni manifestazione del pensiero e dell’arte é legata all’impoverimento culturale che tradizionalmente si osserva in confronto alla grande stagione umanistica e rinascimentale: la grande maggioranza degli intellettuali piegò la testa e si conformò ai dettami dell’autorità ecclesiastica in ambito religioso ma anche in campo filosofico e scientifico. Le università conobbero una profonda decadenza e le numerose Accademie erano esercitazioni politiche e di erudizione. Nelle arti figurative e nell’architettura, l’Italia mantenne il primato raggiunto nell’età rinascimentale e si aprì un secolo con i capolavori di MICHELANGELO MERISI, detto il CARAVAGGIO (1573-1610) e continuò con i CARRACCI a Bologna e SALVATOR ROSA a Napoli o che vide sorgere a Roma le chiese e i palazzi progettati da GIAN LORENZO BERNINI (1598-1680) e da FRANCESCO BORROMINI (1599-1667). I DOMINI SPAGNOLI: MILANO, NAPOLI E LE ISOLE A partire dal 1620 l’impegno della Spagna nella guerra dei trent’anni portò un forte aggravamento della pressione tributaria, proprio mentre l’oscurarsi della congiuntura economica e le crisi demografiche la rendevano sempre meno tollerabile. Le classi dominanti ne approfittarono per affermare il proprio controllo sulle istituzioni locali, spesso con il benestare della corte madrilena interessata al mantenimento dello status quo, e per rafforzare la propria egemonia sull’insieme delle società. Tra il 1628 e il 1658, lo Stato di Milano fu trasformato in campo di battaglia dalle soldatesche spagnole, imperiali, francesi e piemontesi. Napoli era verso la metà del 1600 la metropoli più grande d’Europa dopo Londra e Parigi, il Regno era un unico gigantesco contado della capitale, verso la quale convergevano: • i flussi migratori delle province; • l’olio e il grano delle Puglie e la seta grezza delle Calabria; • il ricavato delle imposte statali così come le rendite dei baroni, che a Napoli risiedevano avevano i loro palazzi e loro clientele; In questa situazione, l’indebolimento dell’autorità centrale doveva portare a un’estensione a macchia d’olio del potere feudale. I feudatari ottennero un ampliamento delle loro attribuzioni di giustizia e polizia, l’infeudazione di comunità che erano sempre state demaniali e una impunità per le estorsioni e le prepotenze commesse a danno dei vassalli. Il banditismo si trasformò così in questo periodo, in una forma di terrore baronale. Nella capitale risiedevano: • il viceré; • il Consiglio collaterale (che lo coadiuvava nell’opera di governo); • le numerose magistrature giudiziarie e finanziare; A Napoli l’egemonia della nobiltà era contrastata dalla presenza di un forte “ceto civile”, composto principalmente da laureati in giurisprudenza di origine borghese, che attraverso l’esercizio dell’avvocatura e le cariche ministeriali miravano ad elevarsi socialmente a diventare la nuova classe dirigente. Nel regno di Sicilia la popolazione crebbe notevolmente e l’interlocutore principale dell’autorità sovrana era il Parlamento, composto dei tre bracci: feudale, ecclesiastico e demaniale. Qui la congiuntura politica, instauratosi dopo il 1620, condusse ad un rafforzamento del baronaggio a spese delle masse contadine, sottoposte allo sfruttamento e degli strati artigiani, vittime degli inasprimenti fiscali e della crisi economica. Il governo spagnolo favorì lo sviluppo di un ceto togato istituendo nel 1564, un nuovo tribunale supremo (la Regia udienza) e concedendo a Cagliari e a Sassari, i due centri rivali, l’apertura di studi universitari agli inizi del 1600. LE RIVOLTE NELL’ITALIA MERIDIONALE E INSULARE Una grave carestia e il malcontento creato dal fiscalismo spagnolo furono all’origine del fermento popolare a Palermo, che si espresse nel maggio 1647 con saccheggi e incendi di case. Il viceré spagnolo fu costretto ad abolire le gabelle ed approvare una riforma dell’amministrazione municipale, che segnava alle maestranze il controllo dell’annona e della polizia. Tali concessioni furono poi ritirate e contro i capi della rivolta furono pronunciate varie condanne a morte. Anche a Napoli la rivolta esplose il 7 luglio 1647, a causa di una nuova gabella che colpiva la vendita della frutta. La direzione del movimento fu assunta da un popolano, il pescivendolo TOMMASO ANIELLO detto “Masaniello”, dietro il quale si muovevano elementi borghesi che puntavano ad una modifica degli ordinamenti politici della città e del Regno, ma dopo 10 giorni e gli venne ucciso dai suoi stessi seguaci e l’organizzazione politico-militare creata dei rivoltosi sopravvisse e riuscì a tenere in scacco il viceré duca d’Arcos e le esigue forze di cui disponeva. Nell’ottobre, gli insorti napoletani proclamarono la Repubblica e imboccarono la protezione del re di Francia, ma Mazzarino era restio ad impegnarsi in un’area lontana e si limitò ad appoggiare l’iniziativa personale di un gentiluomo francese, Enrico duca di Guisa, che sperava di impadronirsi del Regno con l’appoggio della nobiltà meridionale. I contrasti tra il Guisa e il partito popolare e l’arrivo di una flotta spagnola, segnarono il destino della “Real Repubblica” napoletana, che capitolò i primi di aprile del 1648. Il fallimento della rivolta antispagnola a Napoli determinò un aggravamento della crisi economica e sociale ed era chiusa per sempre la prospettiva della formazione di un fronte antifeudale comprendente i ceti medi e popolari urbani e le masse rurali. Nel 1647 i viceré spagnoli che si succedettero nella seconda metà del 1600, condussero un’azione di contenimento della prepotenza baronale, di repressione del banditismo e di promozione del ceto civile e ministeriale. In Sardegna ci fu lo scontro tra nobiltà isolana e il potere viceregio, che culminò nell’episodio dell’omicidio del viceré marchese di Camarassa (1668), accusato di aver ordinato l’assassinio del marchese di Laconi, il capo della fazione del Parlamento sardo che si opponeva al viceré. Un ultimo tentativo rivoluzionario a Messina, la rivale di Palermo: dopo una prima sommossa popolare contro il carovita (1672) si arrivò nel 1674 alla formazione di un vasto fronte sociale ostile al dominio spagnolo e a favore all’instaurazione di una Repubblica indipendente. Gli insorti chiesero soccorso a LUIGI XIV, che era in guerra contro la Spagna, che inviò una squadra navale ad occupare la città, ma il resto dell’isola rimase fedele alla sovranità spagnola e alla conclusione della pace (1678) la guarnigione francese evacuò la Sicilia. CAP.15 IMPERI E CIVILTA’ DELL’ASIA TRA XVI E XVIII SECOLO L’immenso continente asiatico è caratterizzato da una grande varietà di condizioni climatiche e ambientali (da subtropicali a subartiche), che spiegano l’addensarsi della popolazione nelle aree più fertili e pianeggianti, come i bacini dei grandi fiumi cinesi e indiani e la sua diminuzione nelle zone montuose o desertiche dell’interno, o nella steppa, nella taiga e nella tundra, che si succedono nella fascia più a nord del continente. UN GRANDE CROGIOLO DI ETNIE, DI CIVILTA’ E DI RELIGIONI Civiltà antiche e complesse, fondate su un’agricoltura più progredita di quella europea, fiorirono in Cina, nel subcontinente indiano, in Persia (attuale Iran), in Mesopotamia e nella penisola arabica, fino a due o tre millenni prima di Cristo, le popolazioni nomadi di cacciatori e di pastori che avevano sede in vaste arie dell’Asia. Furono queste le protagoniste delle grandi migrazioni che giunsero ad investire l’Europa, come quella degli unni alla fine del I millennio d.C, mentre nel II millennio, un capo mongolo chiamato GENGIS KHAN riuscì a creare un dominio grande quanto la metà dell’Asia (1206-1227) e in seguito a lui si costituì un impero turco-mongolo tra l’India e la penisola arabica, con capitale Samarcanda ad opera di un conquistatore, TIMOR (Tamerlano) tra il XIV e il XV secolo. Con le plurimillenarie civiltà asiatiche ci fu la nascita e l’espansione delle religioni orientali: • l’induismo (i cui i testi sacri, i libri detti Veda, risalgono al II millennio a.C.); • il confucianesimo in Cina; • il buddhismo in India; • il mazdeismo o zoroastrismo in Persia; • l’ebraismo; • l’Islam (dall’Arabia penetrò nel Nordafrica, nel Medioriente e nell’Asia meridionale); In Asia la frammentazione politica e le turbolenze dei secoli XIV e XV, succedette un assetto più stabile, legato alla nascita o al consolidamento di grandi imperi e Stati in tutta l’area centro- meridionale del continente destinato a durare almeno fino al XVIII secolo. La Cina dei MING o dei Q’ING, il Giappone dell’era Tokugawa e i tre Imperi musulmani (l’Impero moghul in India, l’Impero safavide in Persia e l’Impero ottomano) saranno soggetto di espansione, mentre la Russia dei Romanov arriverà fino all’intera Siberia e alle sponde del Pacifico. La più antica delle civiltà asiatiche era quella del “Celeste impero” cinese, che nell’età moderna raggiunse la sua massima espansione. LA CINA Tra il 1400 e il 1600 la popolazione cinese si era raddoppiata passando da 80 160 milioni di abitanti, questo sviluppo era stato reso possibile dalla perfezione cui era stata portata la cultura del riso, alla quale grazie all’irrigazione si potevano tenere due raccolti l’anno. La risicoltura intensiva esigeva l’impiego di una manodopera abbondante per le operazioni di regolazione delle acque, mondatura, mietitura e si adattava alle eccezionali densità umane raggiunte nelle regioni del “fiume giallo” del “fiume azzurro”. Accanto al riso vi erano il frumento, la soia, il tè (bevanda nazionale) e il cotone, mentre era molto minore l’impiego del bestiame dal lavoro e anche nell’alimentazione. In Cina ebbero origine molte scoperte per l’evoluzione della civiltà materiale: • la bussola ad ago magnetico; • la carta; • la stampa; • la polvere da sparo; Inoltre i cinesi avevano raggiunto livelli alti in Europa: • nella fusione del ferro; • nella manifattura di porcellane; • nella tessitura serica; Il commercio conobbe tra il XIV e XVI secolo un grande sviluppo in direzione del Giappone, dell’Indonesia e dell’India. Vi era l’esecuzione di stupefacenti lavori pubblici: • la costruzione della Grande muraglia (eretta come difesa dalle irruzioni di mongoli e mancesi); • lo scavo del Grande canale di collegamento tra Pechino e la vecchia capitale Hangchou; Le condizioni di pace e di stabilità necessarie a questa espansione furono assicurate dalla dinastia Ming (1368-1644), che trasferì la capitale da Nanchino a Pechino. Il potere era concentrato nelle mani dell’imperatore, il “figlio del cielo”, e la dottrina di Confucio rimessa in onere dai Ming esaltava le virtù dell’obbedienza e della sottomissione gerarchica. L’esecuzione degli ordini imperiali nelle 15 province in cui era divisa la Cina, era affidata a una classe di letterati-burocrati che si reclutava per concorso, mediante un sistema di esami sempre più complesso. Questi funzionari tendevano a rivalersi delle incredibili fatiche sopportate per giungere alle loro cariche con varie forme di corruzione e di malversazione. Il crescente prelievo fiscale e l’incremento demografico portarono ad un peggioramento delle condizioni di vita dei contadini, nel XVII secolo, da una serie di terribile carestie: estese rivolte contadine scoppiarono e di questa situazione di anarchia approfittarono i manciù (gli abitanti della Manciuria, che si erano dati di recente un’unità statale) per invadere la Cina e occupare Pechino dove l’ultimo imperatore Ming si diede la morte nel 1644. Così iniziò la dinastia Q’ing fino al crollo del “Celeste impero” nel 1911. Gli esami di concorso vennero ripristinati e la tradizione confuciana venne ristabilita con “l’editto sacro” promulgato nel 1669 del grande imperatore K’ang-tsi (1662-1722). Il successore Quien-lung (1736-1796) portò il “Celeste impero” alla sua massima estensione con la conquista del Sinkiang, del Turkestan e del Tibet, nell’Asia centrale. La popolazione riprese a crescere e ciò fu dovuto all’acclimatamento di nuove piante alimentari e al perfezionamento della risicoltura. I manciù imposero la propria superiorità di popolo conquistatore, obbligando i cinesi a portare come segno di riconoscimento il cranio rasato a metà e il famoso codino, ma il loro numero era troppo scarso per mantenere a lungo una distinzione etnica e si dimostrò impossibile fare a meno dei servizi della burocrazia cinese. A questo regno risale la sottomissione dell’isola di Taiwan e della Mongolia esterna. Un sultano turco-musulmano si era insediato a Delhi alla fine del XII secolo: estendeva la sua influenza sul Punjab e nel bacino superiore del Gange, ma doveva fare i conti con la bellicosa presenza dei rajput, un’aristocrazia guerriera organizzata in signorie semi-indipendenti. Nella penisola del Deccan, vi era la potenza dominante dell’Impero detto di Vijayanagar, dal nome della sua capitale. L’equilibrio di queste forze fu improvvisamente rotto dall’irruzione di un capo militare afghano discendente di Tamerlano, BABUR, che tra il 1526 e il 1530 gettò le fondamenta dell’Impero moghul destinato a durare fino al XVIII secolo. Il suo maggiore artefice fu però AKBAR IL GRANDE (1556-1605), che sottomise tutta l’India centro- settentrionale e riuscì a dare al territorio un inquadramento statale saldo con la creazione di un’alta burocrazia civile-militare in cui confluirono i conquistatori musulmani di razza turca e anche l’aristocrazia locale. Inoltre, egli si sforzò di favorire l’integrazione tra musulmani e indù abolendo la tradizionale importa islamica sugli infedeli e facendosi promotore di un nuovo culto religioso che univa elementi delle due religioni ed era imperniato sulla divinizzazione del monarca. Questo sistema di governo si sovrappose alla tradizione della società indiana, la comunità di villaggio che viveva in un regime di autoconsumo producendo da sé i generi alimentari e i manufatti necessari per alla sua sussistenza: coltivare la terra era per i contadini un diritto, ma anche un dovere e il surplus era destinato sia al sovrano sia ai mansabdar (i funzionari) e ai zamindaran (l’aristocrazia militare). I contadini vivevano in estrema misera dovuta: • all’arretratezza dell’agricoltura; • l’entità del prelievo fiscale; • la pressione demografica; • le calamità naturali; L’apogeo dell’impero moghul coincise con il lungo regno di AURANGZEB (1658-1707), il quale unificò sotto il proprio scettro tutto il subcontinente indiano combattendo contro la stirpe guerriera dei maratha, abitanti delle montagne sud-occidentali. Lo splendore della corte del “Gran Mogol” impressionava i viaggiatori europei, testimonianza di monumenti come il celebre Taj Mahal. Con la morte (1712) del successore di AURANGZEB, BAHADUR SHAH, l’impero moghul cominciò a sfasciarsi. Nel 1736 la stessa Delhi fu presa e saccheggiata dal monarca persiano NADIR SHAH e nuove invasioni sopraggiunsero dall’Afghanistan verso la metà del secolo, inoltre era iniziata la penetrazione francese e soprattutto inglese. LA PERSIA E L’IMPERO OTTOMANO A dividere la Persia dei safavidi dell’Impero ottomano era la lunga e mal definita frontiera che dal Caucaso scendeva fino al golfo Persico, ma anche la contrapposizione religiosa tra islamismo: • sciita; • sunnita; La ricostruzione dell’antico Impero persiano risale agli inizi del XVI secolo e fu opera della dinastia dei safavidi, fondata nel 1501 da SHAH ISMAIL (1487-1524), di lingua e cultura turca, che si proclamò capo di una confraternità militare detta dei kizil-bash che abbracciò la fede sciita, religione dello stato iraniano: ovvero un variante della dottrina islamica che riconosceva l’autorità politico-religiosa dei discendenti di Alì, cugino e genero di Maometto, al contrario dei sunniti, sostenitori della tradizione (sunna) che ammetteva il principio elettivo. Nel 1501 ISMAIL SHAH occupò Tabriz dove pose la sua capitale e assunse il titolo di Shahinshah-i Iran (“re dei re dell’Iran), sottomise quasi tutti i territori attuali dell’Iran e dell’Iraq, ma non riuscì ad aver ragione degli uzbechi a nord-est e a nord-ovest degli ottomani che gli inflissero una grave sconfitta a Cialdiran (1514). Tra i successori spiccava lo scià ABBAS IL GRANDE (1587-1629), che ottenne importanti successi militari contro i turchi riconquistando il Daghestan, la Georgia, l’Azerbaigian e trasferì la capitale a Isfahan, dando impulso all’economia persiana con: • l’incoraggiamento alle esportazioni di seta e tappeti pregiati; • la costruzione del porto di Bandas Abbas; • lo scavo di canali per l’irrigazione dei campi; Le terre erano assegnate dal sovrano ai fedeli e i capi militari con un sistema in modo da impedire la formazione di un’aristocrazia fondiaria di tipo europeo, ma i kizil-bash avevano un tale potere da potersi contrapporre a sovrani deboli e da decidere l’ordine di successione. Nel 1722 la dinastia dei safavidi venne rovesciata ad opera di un invasore afghano, ovvero NADIR SHAH e ne seguì un periodo di lotte intestine. Intorno al 1600 esso si estendeva ormai su tre continenti: dal golfo Persico e dallo Yemen all’Ungheria e alla Bosnia, dal mar Nero ad Algeri. La lunga guerra combattuta contro la monarchia austriaca tra il 1592 e il 1606 si chiuse con la rinuncia del sultano al tributo percepito dalle preoccupazioni suscitate dal rafforzamento della Persia di AKBAR IL GRANDE. Un’altra guerra (1645-1669) strappò a Venezia l’isola di Creta e ci fu il fallimento dell’ultimo assedio di Vienna (1683) che portò alla perdita dell’intera Ungheria e alla temporanea cessione del Peloponneso a Venezia con la pace di Carlowitz del 1699. La fine dell’espansione territoriale determinò gravi conseguenze in politica fondata sulla “guerra santa” e sulla conquista. Le concessioni territoriali (timàr) cessarono di essere il corrispettivo del servizio militare a cavallo e andarono a cortigiani e notabili locali. Negli uffici statali si diffusero a ogni livello: • la venalità; • la corruzione; L’autorità del sultano fu indebolita da un mutamento nel sistema di successione: esso tradizionalmente prevedeva che i figli del sultano regnante fossero inviati ad amministrare le province e alla morte del padre quello che fra loro si era conquistato maggior seguito e prestigio si impadroniva del potere ed eliminava fisicamente i fratelli e i loro figli maschi. Questa usanza crudele fu abbandonata agli inizi del XVII secolo a favore del seniorato: a un sultano non succedevano più i figli, ma i fratelli in ordine di età e questi erano ormai allevati nel palazzo reale, immersi nei piaceri e senza alcuna esperienza di governo. In Cina, i gesuiti si sforzarono di adeguarsi alle usanze e alle tradizioni culturali del “Celeste Impero” e di trovare punti di contatto tra il confucianesimo e il cristianesimo. Ciò finì per suscitare i sospetti della curia romana e l’ostilità degli ordini rivali e i cosiddetti “riti cinesi” furono ripetutamente condannati dai pontefici nei primi decenni del ‘700. I portoghesi mantenevano in Indonesia solo una parte dell’isola di Timor erano attestati a Macao, un’isoletta al largo di Canton in Cina, in India restavano sotto la loro sovranità Goa, Diu, Daman e Mangalore. I possedimenti olandesi che si estendevano dalle Molucche a Sumatra, da Malacca a Ceylon. Alla Spagna apparteneva l’arcipelago delle Filippine. La Compagnia inglese delle Indie orientali si era insediata a Bombay, a Madras e a Calcutta (1696), mentre la Compagnia francese aveva la sua base principale a Pondicherrry. Fin dal 1639 venne raggiunto il Pacifico, dove Okhotsk fu fondata nel 1648 e negli nei successivi i russi si spinsero lungo il fiume Amur fino alla foce, ma all’occupazione di quest’area essi dovettero rinunciare nel 1689 in seguito alla decisa reazione cinese. LA FRANCIA DI LUIGI XIVCAP.16 LUIGI XIV: IL “MESTIERE DI RE” Il lungo regno di LUIGI XIV, figlio di LUIGI XIII e ANNA D’AUSTRIA iniziò nel 1643, quando egli aveva appena 5 anni e prima di assumere il potere, attese la morte di MAZZARINO avvenuta nel 1661 quando il re aveva 23 anni. Questo regno rappresentò l’apogeo dell’assolutismo monarchico e fu anche il periodo in cui la Francia giunse ad esercitare una supremazia sul resto dell’Europa. L’educazione del Re Sole non era stata molto curata, ma ne aveva fatto parte la lettura dei teorici del diritto divino dei re, cioè di quegli scrittori politici che facevano derivare il potere del monarca direttamente da Dio. Grande efficacia ebbero inoltre le lezioni pratiche nell’arte di governo ricevute da MAZZARINO, il suo vero maestro. Quando egli morì il 9 marzo 1661, il giovane LUIGI XIV manifestò subito la propria volontà di governare da solo, senza più delegare a nessuno il proprio potere e a questo “mestiere di re” si dedicò con assiduità e metodica applicazione per tutta la vita. Il re preferì servirsi di ministri di nascita modesta. La direzione delle finanze fu affidata fin dal 1661 al figlio di un mercante, JEAN-BAPTISTE COLBERT, che al titolo di controllore delle finanze si aggiungeranno altre cariche fino a diventare una specie di “superministro” dell’Economia e degli Affari interni. Fu importante il titolo del Consiglio superiore (Conseil d’en haut) che era un organo molo ristretto, comprendente i ministri della Guerra, degli Affari esteri, delle Finanze e presieduto dal re, che al so interno decideva i più importanti affari di Stato. Si riunivano poi: • il Conseil des dépêches (“Consiglio dei dispacci”), che esaminava la corrispondenza ricevute dalle province; • il Conseil des parties (“Consiglio delle parti”), competente nelle questioni giuridiche; • il Consiglio delle finanze; Gli intendenti, preposti alle généralités, nelle quali era suddivisa la Francia ai fini amministrativi, durano in carica più a lungo e rafforzano il proprio potere sotto il regno di LUIGI XIV, la loro autorità si estende dalla giustizia alla fiscalità, dalle forniture militari ai lavori pubblici e si avvale della collaborazione di uomini di fiducia, i sottodelegati scelti tra i notabili locali. Questi erano nominati e revocati dal re e sono per eccellenza la cinghia di trasmissione della volontà regale, gli occhi e la mani dell’amministrazione centrale. Diversi da questi funzionari, vi erano gli officers, cioè i detentori di uffici venali, ereditati o acquistati per denaro. Rientrano in questa categoria i consiglieri e i presidenti dei tribunali superiori e dei Parlamenti e corti d’appello, tra le loro attribuzioni rientrava la registrazione degli editti regi. I Parlamenti potevano valersi per sospendere l’entrata in vigore di leggi sgradite, presentando delle rimostranze al re, ma LUIGI XIV impose loro di registrare le leggi prima di fare eventuali rimostranze. Gli officers componevano una forza intermedia tra la società e lo Stato, un ceto che alla monarchia doveva la sua legittimazione, ma che dal possesso ereditario delle cariche e dai privilegi a questi connessi traeva prestigio, la possibilità di una certa autonomia dallo stesso potere monarchico. Era quindi essenziale assicurarsi la loro fedeltà mediante un dosaggio di manifestazioni di forza e di legami clientelari. L’obbedienza e l’uniformità che si riusciva ad imporre sotto il Re Sole era caratterizzata da una molteplicità inconcepibile di privilegi: • di “libertà” medievali; • di ordinamenti particolari”; Alla presenza al vertice dello Stato di una personalità carismatica, capace e desiderosa di tutto vedere e tutto regolare da sé, al ruolo di mediazione esercitato al centro e alla periferia da notabili appartenenti al clero, alla nobiltà o al ceto degli officers. Nelle campagne la giustizia era amministrata da giudici nominati dai signori feudali. I giudici regi erano proprietari del posto che occupavano e godevano di un notevole autonomia. Le norme che essi erano chiamati ad applicare variavano i misura da luogo a luogo: la legislazione regia lasciava scoperte molte aree, specialmente del diritto privato e familiare. Nel Nord della Francia prevaleva il diritto consuetudinario, mentre nel Sud vigeva il diritto romano e vi era anche il diritto canonico che tendeva ad estendere la sua applicazione ad una serie di reati contro la morale, dalla bestemmia all’adulterio.
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