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Donne nel lavoro e società nell'età moderna: mestieri e industrializzazione, Dispense di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche

Storia del lavoroStoria dell'Europa modernaStoria delle donne

Il ruolo delle donne nel mondo del lavoro durante l'età moderna, con un focus sui cambiamenti introdotti dalle corporazioni di mestieri e l'industrializzazione. Le donne erano spesso escluse dalle attività pubbliche e la loro identità era legata alla famiglia, ma la rivoluzione industriale portò a una maggiore presenza femminile nel mondo del lavoro. Tuttavia, questo progresso fu interrotto dalla rivalutazione del ruolo femminile nella famiglia e dalla creazione di nuovi ruoli negativi per le donne. anche dell'influenza della Riforma protestante sulla situazione delle donne e della loro educazione.

Cosa imparerai

  • Come le corporazioni di mestieri hanno influenzato il ruolo delle donne nel mondo del lavoro durante l'età moderna?
  • Come l'industrializzazione ha influenzato il ruolo delle donne nel mondo del lavoro durante l'età moderna?
  • Come la Riforma protestante ha influenzato il ruolo delle donne nella società e nella famiglia durante l'età moderna?

Tipologia: Dispense

2011/2012

Caricato il 07/02/2022

cecilia-galassi
cecilia-galassi 🇮🇹

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Scarica Donne nel lavoro e società nell'età moderna: mestieri e industrializzazione e più Dispense in PDF di Elementi di storia dell'arte ed espressioni grafiche solo su Docsity! IL LAVORO DELLE DONNE NELLE CITTÀ DELL’EUROPA MODERNA L’evoluzione nei valori ed ideali della società ha da sempre influito in maniera determinante sulle possibilità per le donne di accedere agli impieghi retribuiti e a svolgere un ruolo significativo nell’economia. Per le donne, l’identità di genere ha sempre prevalso sull’identità lavorativa: i salari femminili in età moderna erano inferiori a quelli maschili, perché considerate non specializzate, era impedito loro l’accesso alla formazione e all’educazione ed erano mantenute in uno stato di minorità e subordinazione. Molte donne lavoravano a domicilio ed erano raramente ammesse nelle associazioni di mestiere: tuttavia le ricerche storiche hanno dimostrato l’importanza dei lavori svolti dalle donne, ma anche la diffusione di attività al limite della legalità: non solo prostituzione, ma anche contrabbando e rivendita di materiali da lavoro dei padroni. 1) IL PROBLEMA STORICO DEL LAVORO DELLE DONNE IN ETÀ MODERNA: LE CORPORAZIONI DI MESTIERE E L’INDUSTRIALIZZAZIONE Alcune occupazioni erano considerate maggiormente adatte alle donne e alcune esercitate solo da donne (benché, perfino l’attività dell’allattamento di figli altrui era a volte gestita da uomini e tra uomini: nella Firenze del Rinascimento vi erano i balii, cioè i mariti delle balie, che contrattavano con i padri dei neonati il prezzo delle prestazioni delle mogli). Le occupazioni che avevano uno spiccato ruolo pubblico non erano quasi mai aperte alle donne. Le donne erano presenti in molti settori che oggi in Europa possono sembrare prettamente maschili: lavoravano nelle miniere e nelle saline, svolgevano attività di manovalanza, accompagnavano gli eserciti nelle campagne di guerra come prostitute, mogli, o ancora come vivandiere e lavandaie, assunte dai comandi militari per i servizi quotidiani. Artigianato, servizio domestico e commercio al dettaglio erano le occupazioni femminili più diffuse nelle realtà urbane. La specializzazione produttiva di certe città ne determinava le possibilità lavorative: ad esempio a Ginevra la fabbricazione di orologi, a Firenze la produzione tessile. Anche nei monasteri femminili esse lavoravano e producevano beni da mettere in commercio, per il mantenimento di tali istituzioni; queste attività non erano incoraggiate dalle autorità religiose, poiché entravano in conflitto con le organizzazioni corporative. Talvolta le vedove “ereditavano” il lavoro dei mariti (rammendavano le vele per le imbarcazioni, svolgevano il mestiere di muratore, fabbro o falegname). Le migrazioni economiche, alla ricerca di lavoro, erano molto diffuse anche fra le donne, che lasciavano il loro posto di origine per cercare lavoro come balie, operaie o domestiche, accolte in città da parenti o da persone provenienti dallo stesso luogo d’origine, ma per loro viaggiare era molto più rischioso, perché potevano essere facilmente accusate di vagabondaggio e prostituzione (molti furono i provvedimenti contro le donne che emigrano travestite da uomini). Le donne risultano occultate dalle fonti quantitative (fiscali e censitarie) perché erano sempre identificate in base al loro ruolo nella famiglia anziché in relazione all’attività esercitata = le attività delle donne erano spesso definite non in base all’essere, ma in base al “fare” (la donna “fa la sarta”, l’uomo “è un sarto”), poiché la donna non strutturava la propria identità sul lavoro, ma sulla famiglia. Le fonti censuarie e fiscali registravano di solito solo le attività del capofamiglia, di conseguenza le donne sono presenti solo quando capifamiglia (vedove o nubili). L’occupazione femminile non era mai registrata quando le donne lavoravano nella bottega di famiglia, ma lo era quando facevano un’attività salariata presso un maestro artigiano. Anche in quei censimenti che registrano le attività di tutti i membri della famiglia, l’identità delle donne sposate era assorbita dall’identità del capofamiglia (ad esempio la definizione “moglie di” è sempre sinonimo di attività artigianale esercitata insieme al marito). All’epoca della rivoluzione industriale si registra una massiccia immissione di donne nelle manifatture, il che offrì loro maggiori possibilità di emancipazione, spingendole ad uscire dall’ambito domestico; tuttavia questa presenza femminile sul mercato del lavoro subisce una fase di declino in relazione all’esclusione delle donne dalle corporazioni in età moderna, dovuta principalmente a due fattori: - si afferma un nuovo ideale familiare nell’ambito dei movimenti protestanti, che enfatizza il ruolo del marito e padre = un aspetto centrale del dibattito sugli effetti della Riforma è la cosiddetta “filogamia protestante”, ovvero il rifiuto del celibato clericale e l’esaltazione del matrimonio come unica scelta di vita possibile e auspicabile per il buon cristiano (quindi nella figura del pastore protestante coincidono il ruolo religioso del prete e quello laico del pater familias, separati nella religione cattolica) = la rivalutazione del ruolo femminile nella famiglia, connessa con l’esaltazione del matrimonio, azzera l’autonomia lavorativa della donna ; tuttavia emerge una nuova figura, la moglie del pastore, con un ruolo pubblico riconosciuto nella comunità = si occupava dell’assistenza ai membri bisognosi della comunità, svolgeva il ruolo di levatrice, somministrava il battesimo al neonato in caso di pericolo di vita (era una sorta di longa manus del marito). - le corporazioni di mestiere assumono ruoli di rappresentanza nel governo delle città e questo automaticamente esclude le donne (che non potevano avere alcun ruolo politico). Si parla di “tesi del declino” in riferimento alla tendenza, osservata in età moderna, ad escludere le donne o a limitare l’accesso alle corporazioni solo a quelle che facessero parte della famiglia del maestro, come le vedove (in altri casi il lavoro femminile veniva concesso solo nel retro-bottega); tuttavia a questa si è preferita l’immagine di un movimento “a fisarmonica”, con fasi di inclusione ed esclusione legate alle congiunture economiche = quando un settore entrava in crisi, le donne erano escluse o la loro presenza era limitata nelle corporazioni. Le corporazioni di fondazione seicentesca ammisero le donne sin dall’inizio, mentre nel tardo Settecento le donne furono autorizzate a entrare nella corporazione della seta come maestre allo scopo di rilanciare un’industria in crisi (il setificio veneziano fu salvato dalle donne); inoltre la “tesi del declino” è contraddetta dal caso francese, poiché, sin dalla fine del Seicento per decisione di Luigi XIV e di Colbert, tutte le corporazioni furono progressivamente aperte alle donne e a tutti i mestieri fu imposto di organizzarsi in corporazioni = lo scopo era quello di accentuare il controllo e il prelievo fiscale sul mondo artigiano, ma il risultato fu l’ammissione delle donne a tutti i mestieri organizzati e la fondazione di nuove corporazioni femminili in cui anche le cariche di gestione erano occupate da donne. Lo sviluppo degli scambi commerciali produsse la creazione di un codice d’onore riservato al mercante maschio e una ridefinizione del ruolo della donna nella società = in questo passaggio alle donne fu assegnato il ruolo negativo di “consumatrici”, mentre agli uomini rimase quello positivo di “produttori”. La crescita dei consumi e di una cultura del consumo si tradusse anche nell’affermazione di un’industria del lusso e di manifatture di beni, come l’abbigliamento e l’arredamento, che prese avvio nell’Italia del Rinascimento e in cui le donne trovarono impiego come modiste. La diffusione nelle campagne europee di attività manifatturiere, organizzate da mercanti-imprenditori provenienti dalle città, corrisponde alla fase proto-industriale, considerata un momento intermedio tra la fase domestica destinata all’autoconsumo e la rivoluzione industriale; data la maggiore disponibilità di lavoro, questa produzione domestica per il mercato coinvolse anche le donne, consentendo un miglioramento del loro status e del loro livello di indipendenza; tale manodopera rurale femminile a domicilio costituiva una minaccia per gli artigiani delle corporazioni cittadine e fu all’origine di alcuni provvedimenti restrittivi al fine di tutelare il lavoro maschile (alcune norme imposero ai maestri di far lavorare solo le proprie mogli, non altre donne). Nell’Olanda del Seicento, l’intensificazione della produzione orientata verso il mercato dovuta all’incremento dei traffici internazionali produsse un accresciuto sfruttamento della forza-lavoro femminile e infantile, con l’effetto di rallentare la diffusione della scolarizzazione. Nel Settecento l’impiego di manodopera femminile e infantile a basso costo raggiunse i massimi livelli, favorita dalla crescita demografica; i bambini, spesso orfani, erano adoperati fin da molto piccoli e remunerati con salari bassissimi. Pertanto, la diffusione della proto-industria rurale e la meccanizzazione di alcuni processi produttivi favorirono l’ingresso nelle manifatture delle donne, scarsamente specializzate e quindi poco pagate; tuttavia l’uso del telaio meccanico le espulse in alcuni paesi (considerato un macchinario troppo specializzato). 2) I DIRITTI DELLE DONNE  EDUCAZIONE In età moderna le giovani donne e le bambine avevano un accesso molto limitato alla formazione professionale e all’educazione scolastica; tuttavia per alcune città, come Venezia, Firenze e Parigi, la documentazione registra l’esistenza di maestre e di scuole per bambine già dal XIV secolo, ma nessuna delle magistrae puellarum registrate dalle fonti aveva titoli analoghi a dalle donne: nell’Europa nordoccidentale si rileva un maggiore sviluppo imprenditoriale femminile al fine di guadagnarsi i mezzi per la sussistenza. Spesso si rileva una trasmissione intra-famigliare delle competenze artigianali ad eredi non solo maschi; anche le figlie infatti potevano ereditare cariche all’interno di una corporazione che sarebbero state ricoperte dal marito, causando un’accentuazione della gerarchia patriarcale (questo le rendeva dei buoni partiti da sposare). La scelta del coniuge dello stesso mestiere o tra mestieri complementari permetteva la creazione di reti e alleanze e talvolta la fondazione di società e vere e proprie dinastie artigianali. Le norme corporative ammettevano la sussistenza di una bottega artigiana grazie al lavoro della vedova, al fine di garantire la successione agli eredi, ma i diritti delle vedove venivano fissati rigidamente dalle corporazioni = la loro gestione era temporanea, perché finalizzata ad assicurare la trasmissione dal padre ai figli, per questo non sempre le vedove senza figli potevano riprendere l’attività; tuttavia quelle che volevano esercitarlo più a lungo dovevano ricorrere a un processo in tribunale, insistendo sul lavoro come necessità vitale per non finire sul lastrico. Fino a quando le corporazioni funzionarono come entità giuridiche ci fu posto per le vedove, ma la Rivoluzione francese sradicò del tutto i sistemi corporativi con le loro garanzie e le loro esclusioni. 3) CASE, BOTTEGHE E RETI DI RELAZIONE Nel terzo capitolo Anna Bellavitis analizza in dettaglio le attività artigianali e mercantili delle donne. Lavorare con i propri genitori sin dall’infanzia era il mezzo più semplice, più diffuso di acquisire delle competenze lavorative; laddove i giovani non ricevessero una formazione in famiglia, l’apprendistato risultava il mezzo prediletto per l’acquisizione di competenze professionali. L’apprendistato era considerato la prima tappa di una carriera artigiana e di conseguenza era strettamente connesso alle corporazioni di mestiere; solitamente riservato ai maschi, inizia ad includere nella prima metà del ‘700 anche le apprendiste donne, anche se in percentuale bassissima; le donne vivevano insieme al maestro e alla maestra che fornivano vitto e alloggio, cura e assistenza. Per le ragazze l’età media di inizio di apprendistato era di 12 anni. Uno dei maggiori problemi erano gli abusi sessuali. Nel corso del XVII secolo le ragazze furono escluse dall’apprendistato a causa dell’aumento demografico e della conseguente concorrenza fra lavoro femminile e maschile. In molte città dell’Europa moderna, sia cattoliche che protestanti, sorsero istituzioni caritative ad opera delle parrocchie con lo scopo d’insegnare un mestiere a ragazze bisognose e a orfane, finalizzato al mantenimento e alla costituzione delle doti. In Inghilterra l’apprendistato nelle corporazioni di mestiere svolgeva anche la funzione di prima tappa per l’ottenimento del titolo free-man, assimilabile al titolo di “cittadino”. Le donne potevano ottenere il titolo per via ereditaria, per acquisto o matrimonio, anche se il titolo free-woman quando conseguito non permetteva di accedere alle cariche nella corporazione o alla vita politica della città, garantiva soltanto l’entrata nella corporazione e quindi la possibilità di lavorare in maniera indipendente.  SETAIOLE Sin dal XVI secolo una delle maggiori industrie che vedeva impiegate in gran numero le donne era la tessitura serica, ambito nel quale già in epoca medievale le tessitrici detenevano un primato sugli uomini. Le città europee che vedevano le donne impiegate in massa nella lavorazione della seta del filo d’oro erano principalmente Venezia e Lione, nelle quali erano previsti lunghi apprendistati per la produzione di stoffe di grande pregio. Numerose fonti giudiziarie documentano i conflitti tra le filatrici d’oro e i battioro, accusati dalle artigiane di non rispettare i privilegi e assumere le proprie mogli come apprendiste. Il consiglio urbano autorizzò ad assumere le proprie mogli e nessun’altra donna, solo se avessero seguito un periodo di apprendistato. Setaiole di diverse generazioni spesso coabitavano insieme e questo consentiva una trasmissione di competenze e tecniche. I maestri tessitori utilizzavano una manodopera femminile sottopagata e priva di diritti, finché una norma del 1754 aprì alle donne la possibilità di entrare nella corporazione di tessitori come maestre. Il mercato nero del filato era fiorente in entrambe le città, alimentato dalle singole filatrici che occultavano una parte della seta grezza e lavoravano poi a domicilio i tessuti sottratti al maestro. Il lavoro femminile illegale era causa di conflitti per la concorrenza con le botteghe dei tessitori = le corporazioni maschili si opposero per anni, accusando le donne di fabbricare prodotti di scarsa qualità a prezzi troppo bassi; tuttavia progressivamente aumentarono le corporazioni interamente femminili, mentre quelle maschili si aprirono anche alle donne = questo progresso rientrava nelle volontà del ministro Colbert, promotore dell’industria tessile, di migliorare la riscossione sulla produzione manifatturiera.  STAMPATRICI Per quanto riguarda l’arte della stampa, l’autrice fa esempi di donne libraie o a capo di una tipografia, soprattutto quando si trattava di botteghe già a conduzione famigliare nelle grandi città francesi del Seicento, dove vi erano donne a capo di imprese editoriali importanti. I maestri accettavano tendenzialmente la presenza di donne che pubblicavano per lo più opere a tema religioso o traduzioni di classici greci e latini. Le vedove potevano subentrare al marito, perché avevano collaborato per anni nell’attività editoriale, tuttavia la tolleranza veniva esercitata anche in questo ambito entro grossi limiti: una vedova che si risposasse con un uomo esterno al mestiere non avrebbe potuto proseguire l’attività. Nel 1685 l’assemblea generale dovette reagire alle proteste dei tipografi che si lamentavano del fatto che molte donne lavoravano a loro danno. Alla fine del secolo, la monarchia tentò di rafforzare il controllo sul mondo della stampa e impose la chiusura di molte tipografie nel resto del paese. Le fonti giudiziarie rivelano anche in questo ambito attività illegali come la vendita clandestina.  CORPORAZIONI FEMMINILI La nascita di corporazioni interamente femminili di sarte, in particolare a Parigi e Rouen, oltre a riconoscere e formalizzare ufficialmente un’attività tradizionalmente esercitata dalle donne, rispondeva al tentativo di Colbert di promuovere l’industria tessile e migliorare la riscossione delle imposte. Esse entrarono spesso in conflitto con le corporazioni dei sarti, tuttavia il re tentò spesso di imporre alle figlie e mogli dei sarti di entrare nella corporazione femminile, piuttosto che nella bottega del marito. A Rouen nel 1775 circa il 10% dei maestri membri di una corporazione erano donne che avevano ottenuto il titolo di maestre dopo il classico iter. Una delle corporazioni più importanti era quella delle tessitrici di berretti di lana. Queste corporazioni di donne producevano per la vendita al dettaglio e all’ingrosso, e si caratterizzavano per l’arretratezza delle tecniche (lavoravano a maglia). Lo sviluppo della produzione proto-industriale mise in difficoltà la produzione artigianale di lusso. La crisi e la riorganizzazione del sistema corporativo portò alla loro soppressione, sicché le corporazioni progressivamente divennero miste  COMMERCIO AMBULANTE Nelle città dell’Europa moderna le donne erano attive nel commercio al dettaglio, esercitando per strada, in una bottega, su un banco al mercato o dalla finestra di casa propria. In tutte le città europee le donne risultavano particolarmente attive nella vendita al dettaglio di generi alimentari, di diverso genere a seconda dell’area geografica: vendevano i prodotti del proprio lavoro (ortaggi; pane; birra = nell’Europa settentrionale le donne hanno un ruolo preponderante nella fabbricazione e vendita della birra) o il pesce pescato dai mariti in prevalenza. Le donne rivendevano anche merci di valore, come libri, o prodotti del commercio internazionale, come agrumi, fiori, nastri di seta, spezie e pesce salato. Molte donne erano impiegate anche nella gestione di taverne, osterie e affittacamere. Un altro lavoro tipicamente femminile era la rivendita di merci usate, come abiti, mobili e utensili (nelle comunità ebraiche era un’attività fondamentale e si basava su un costante lavoro femminile per riparare, rimodernare e trasformare merci). Questa forma di lavoro pubblicamente riconosciuto necessitava di una licenza municipale e precisare la propria localizzazione sulla pianta della città, ma molte donne si spostavano regolarmente da una città all’altra per vendere merci di vario tipo, soprattutto abbigliamento. Alcune erano fornitrici ufficiali di istituzioni importanti come conventi e monasteri. Le donne erano ammesse se nubili o vedove, solo nel Settecento le corporazioni ammisero anche le donne sposate. In tutta Europa, le corporazioni autorizzavano mogli, figlie, vedove a procurare le materie prime. I periodi di rapido sviluppo economico delle città furono anche quelli in cui l’attività commerciale delle donne trovò spazio per svilupparsi. Le donne attive nel commercio ambulante spesso rivestivano un ruolo indispensabile nelle organizzazioni commerciali di contrabbando che si potenziarono fra XVII e XVIII secolo in reazione alle politiche protezioniste dei governi europei, spostandosi all’interno delle città e vendendo beni entrati clandestinamente nel paese.  DONNE IMPRENDITRICI Nell’età moderna l’incremento dei traffici internazionali incentivò l’attività di donne a capo di imprese industriali e commerciali. Soprattutto nelle città portuali, le donne proprietarie di navi agivano da imprenditrici, investendo una parte del loro patrimonio in società marittime e nel commercio, partecipando attivamente alle imprese marittime di pesca e di vendita del merluzzo, fondando compagnie mercantili; altre erano armatrici di vascelli oppure investivano in compagnie minerarie. Inoltre alla fine del XV secolo, l’espulsione degli ebrei dalla Spagna provocò un afflusso di ebrei e convertiti verso altri paesi e le donne di queste famiglie mercantili ebraiche erano particolarmente attive negli affari. La società mercantile era formalizzata al momento del matrimonio e la dote della moglie entrava nel capitale della società. Lo sviluppo di compagnie commerciali a base familiare spinse molti grandi centri commerciali a promulgare delle leggi per riconoscere i diritti legali delle donne d’affari. Per ottenere il diritto di intervenire nelle transazioni commerciali, oltre all’autorizzazione del marito, era necessario che la società e le sue istituzioni accettassero il fatto che una donna assumesse il controllo degli affari. Spesso le donne che si occupavano di attività mercantili a lunga distanza erano vedove. 4) MESTIERI DA DONNE Nel quarto ed ultimo capitolo del suo elaborato, l’autrice presenta le attività che hanno come strumento di lavoro esclusivamente il corpo femminile.  SCHIAVE E SERVE DOMESTICHE Nell’Europa mediterranea continuarono a esistere schiave domestiche, acquistate, vendute e regalate. Il fenomeno della schiavitù domestica femminile diminuì però decisamente nel corso dell’età moderna. La femminilizzazione del servizio domestico era considerata poco onorevole e al limite della prostituzione; le schiave domestiche erano spesso oggetto delle attenzioni sessuali dei padroni, il che non poteva che avere un’ovvia conseguenza: nascita di figli illegittimi, che popolavano gli ospedali per bimbi abbandonati o che restavano a vivere con la madre nella casa del padrone. La schiavitù domestica continuò a essere presente in Spagna sino all’800. Sui mercati urbani, le schiave costavano più degli schiavi perché erano maggiormente specializzate nei lavori domestici. La servitù domestica in età moderna costituiva una delle occupazioni più facilmente accessibili alle ragazze di ceto popolare immigrate. Per la maggior parte si trattava di domestiche coresidenti (mentre i servitori di sesso maschile vivevano più spesso in maniera indipendente dai padroni e potevano dunque costruire una propria famiglia). Il rapporto di lavoro era peculiare poiché basato su relazioni personali con la famiglia dei padroni. Il servizio domestico poteva prolungarsi per tutta la vita e impedire alle domestiche di contrarre matrimonio. L’assunzione delle domestiche era talvolta regolamentato e mediato dalle istituzioni municipali, ai fini di controllo del rapido sviluppo urbano. Era loro compito trovare ragazze di buona reputazione e abili al lavoro, del cui comportamento erano responsabili. In particolare il servizio domestico era l’occupazione che più facilmente si adattava alle giovani orfane. Esso inoltre veniva svolto in istituzioni, come monasteri, ospedali e corti, e in questo caso era meno precario, perché assicurava vitto e alloggio in un ambiente protetto. Dopo il Concilio di Trento la clausura fu imposta a tutti gli ordini femminili, pertanto servivano donne per garantire gli scambi con il mondo esterno.  BALIE Un impiego femminile largamente diffuso negli strati sociali popolari era quello della balia. Nel XVIII secolo la pratica del baliatico si diffuse in tutti i ceti sociali, anche artigiani e contadini, mentre in precedenza era usanza consolidata solo delle famiglie aristocratiche e alto- borghesi, le cui donne non preferivano non allattare o per preservare il fisico, o perché dovevano essere pronte ad un’ulteriore gravidanza per assicurare eredi alla dinastia o puramente per una questione di status. La sua diffusione tra gli strati più bassi è motivata dall’elevata mortalità puerperale, dall’impossibilità di allattare per malattie o dalla necessità di ritornare presto al lavoro dopo il parto. Quando erano assunte per stare in casa erano trattate meglio del personale domestico e ricevevano salari più alti = fu l’Illuminismo a opporsi all’allattamento mercenario. In molte città europee come Parigi, Lione, Stoccolma e Amburgo esistevano uffici pubblici con il compito di reclutare le balie su richiesta delle famiglie. Si istituivano anche delle pene per le balie che fossero state riconosciute responsabili della morte di neonati. La salute dei bambini mandati a balia fu
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