Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Storia Moderna (Provero-Vallerani) - Parte 1 Capitolo 2, Sintesi del corso di Storia Medievale

CAPITOLO 2 – Barbari e regni

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 14/07/2019

dnbnic
dnbnic 🇮🇹

4.8

(139)

63 documenti

1 / 7

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Storia Moderna (Provero-Vallerani) - Parte 1 Capitolo 2 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! CAPITOLO 2 – Barbari e regni (Pag. 26-43) Le "invasioni barbariche", la caduca dell'Impero e la formazione dei regni romano-germanici sono state considerate tradizionalmente come i passaggi chiave della transazione dall'antichità al medioevo. Il mutamento fu radicale, ma fu ben più complesso delle vicende militari e istituzionali, coinvolse una profonda trasformazione delle forme di vita religiosa e dei sistemi di circolazione economica e si distese dal IV al VI secolo. Dobbiamo relativizzare l'importanza dell'espansione militare germanica, perché questo fu un atto tutt'altro che improvvisa e perché non fu l'unico o principale motore del mutamento. Posti questi limiti, possiamo ora concentrarci sul processo di affermazione politico-militare delle popolazioni germaniche, che fu comunque un'operazione di grande rilievo, che mutò i quadri politici e le forme di vita delle popolazioni e influenzò i sistemi economici mediterranei. - 1. Mobilità degli eserciti Il crollo del limes del Reno (inverno 406-407). Passaggio che aprì ampi territori dell'Impero a nuove forze, finora rimaste ai margini. Fu l'espressione di uno squilibrio strutturale, legato alla difficoltà imperiale di tenere sotto controllo gli eserciti: il sistema fiscale, per quanto efficiente, faticava di fronte ai costi della guerra e l'Impero spesso si trovava a non avere risorse per pagare regolarmente gli eserciti, che cercavano bottino con iniziative non controllate dall'Impero stesso. Qui ebbero inizio gli spostamenti degli eserciti germanici, che furono la conseguenza di un indebolimento imperiale già avviato. La guerra divenne un'esperienza costante all'interno dei territori imperiali, con piccoli e medi conflitti che erano un'occasione per ottenere ricchezza e potere. La mobilità dei popoli e degli eserciti creò un contesto nel quale le gerarchie sociali divennero più fluide, consentendo rapide carriere secondo forme che non appartenevano in pieno alla tradizione politica romana. Alcuni di questi spostamenti furono l'espressione militare e politica di gruppi più definiti e coesi, popoli che costruirono e mantennero la propria identità collettiva per generazioni, fino a costituire regni duraturi e con una chiara fisionomia territoriale. I Visigoti. Nei primi anni del V secolo si erano più volte ribellati al potere imperiale, guidati dal re Alarico, fino a saccheggiare Roma nel 410, per scendere poi in Calabria, dove il loro re morì. Ma questo non comportò la fine della loro unità politica, allontanandosi dall'Italia per andare a costruire, tra il 414 ed il 418, un regno nel sud della Francia, federato dell'Impero ma dotato di ampie autonomie. Questo regno spostò poi nel tempo il suo baricentro verso la penisola iberica, e durò per tre secoli. I Vandali. Valicarono il limes renano attraversarono la Gallia e si insediarono, nel 417, nella penisola Iberica. Ma nel 429, guidati dal loro re Genserico, si spostarono nella parte occidentale dell'Africa romana, per poi conquistare, 10 anni dopo, le province della Proconsolare e della Byzacena (tra Tunisia e Algeria), ove costituirono un regno che durò un secolo (439-534). Furono il primo popolo germanico a trasformare la propria superiorità militare in un potere politico strutturato, territorialmente definito ed autonomo, un regno che prescindeva da ogni inquadramento nel contesto imperiale, fosse pure il debole foedus che univa i Visigoti ai Romani. I Vandali furono i primi che si affermarono come aristocrazia fondiaria dominante ed etnicamente distinta. Gli Unni. Era una grande solidarietà etnica e politica poco strutturata, un potentissimo esercito che trovò unità d'azione quando si pose al seguito di un efficace capo militare, il re Attila. Originari dell'Asia centrale, si erano stanziati ai bordi dell'Impero romano nei primi decenni del V secolo, divenendo sia una minaccia militare che, qualche volta, utili mercenari degli eserciti imperiali. Nel 445 Attila prese il potere, indirizzando la forza militare unna in una serie di campagne all'interno dei territori romani, fino alla sconfitta subito ad opera del magister militum Ezio, ai Campi Catalaunici nel 451. Determinante fu ancor di più la morte di Attila due anni dopo: la rapida dissoluzione del dominio unno mostrò come la forza militare unna non si fosse tradotta in struttura politica e come il potere fosse necessariamente collegato alla capacità di guida militare del suo re. Ezio, il generale che sconfisse Attila, fu una figura analoga a Stilicone, il generale vandalo che nel 402 aveva guidato le truppe romane alla vittoria contro i Visigoti a Pollenzo: ci troviamo di fronte ad un generale di origine barbara, che arrivò ai vertici grazie alle proprie capacità militari. La morte di Ezio e dell'imperatore Valentiniano III, nel 454, sembrò aprire di nuovo la via agli eserciti e ai loro saccheggi, come dimostra il nuovo sacco di Roma, condotto nel 455 dai Vandali provenienti da Cartagine. La violazione dell'antica capitale fu nuovamente l'espressione più evidente dell'incapacità imperiale di tenere sotto controllo le minacce militari. Lungo il V secolo l?impero in Occidente era vivo ed operativo: se c'erano re germanici come Genserico che scelsero di staccarsi totalmente al dominio romano, altri capi militari agivano allo scopo i prendere il controllo dell'Impero; in altri termini, il potere imperiale continuava ad essere un grande obiettivo politico-militare. Ma la capacità di azione degli imperatori andava riducendosi, come efficacia e ampiezza territoriale: l'Africa vandala si era posta al di fuori dell'Impero, i Romani si erano ritirati dalle isole britanniche attorno al 410 e lungo il secolo sfuggirono all'effettivo controllo imperiale prima la parte settentrionale della Gallia, poi l'intera regione. La fine dell'Impero. I decenni centrali del secolo furono segnati da un chiaro ulteriore declino del potere imperiale: si alternarono sul trono degli imperatori-fantoccio, controllati da generali, fino al 476, quando il generale sciro Odoacre depose l'ennesimo debole imperatore, Romolo Augustolo, ma rinunciò ad insediarne uno nuovo, rinviando le insegne imperiali a Costantinopoli. Il momento effettivo della deposizione dell'ultimo imperatore non fu legato a nessuna invasione: u generale dell'esercito romano prese solo atto che un nuovo imperatore d'Occidente sarebbe stato inutile. Il 476 passò senza lasciare traccia, ben diversamente dalla sconfitta di Adrianopoli del 378 o dal sacco di Roma del 410, che avevano segnato la coscienza dei contemporanei, per la morte in battaglia dell'imperatore e per la violazione del centro politico e simbolico dell'Impero, rimasto inviolato dai tempi di Brenno. Odoacre in Italia. La scelta di Odoacre di inviare le insegne imperiali a Costantinopoli mirava a ricomporre l'unità imperiale. Odoacre non propose il proprio domino come una dominazione autonoma, né come tentativo di egemonizzare la parte occidentale dell'Impero: nella sua prospettiva, il suo dominio sull'Italia doveva integrare un'ampia autonomia militare con il riconoscimento dell'Impero. Ma l'imperatore Zenone non ritenne Odoacre un alleato affidabile, e pochi anni dopo fece in modo che l'Italia passasse nelle mani degli Ostrogoti di Teoderico. Odoacre non si impadronì della parte occidentale dell'Impero, ma solo dell'Italia, poiché gli imperatori d'Occidente avevano lungo il V secolo via via perso il controllo di Britannia, Africa, penisola iberica, Gallia. Erano nati regni di dimensioni molto diverse, ma con in comune l'essere dominati da un'élite militare germanica che non riconosceva più la superiorità imperiale. Una nuova geografia politica alla fine del V secolo. L'Italia fu per pochi anni nelle mani di Odoacre, per poi cadere nelle mani degli Ostrogoti di Teoderico; la Gallia era in mano dei Franchi, con l'eccezione delle aree sotto i Burgundi (a sud-est, Borgogna) e dai Visigoti, che dominavano il sud della Gallia e parte della penisola iberica, ove erano presente anche gli Sevevi, nella Galizia. I Vandali controllavano la Tunisia, dalla quale affermarono forme di controllo su Sicilia, Sardegna e Corsica. Le isole britanniche erano divise in molte dominazioni autonome, in parte delle popolazioni celtiche e in parte degli invasori angli e sassoni. Erano dominazioni frammentate e di dimensioni diverse, ma molti problemi erano comuni a tutte queste strutture politiche, impegnate a gestire la difficile convivenza tra la maggioranza di tradizione romana e la minoranza dominante di matrice germanica. - 2. I nuovi regni Semplificazione e continuità. Nel quadro europeo tra V e VI secolo, possiamo constatare una fondamentale divaricazione: da un lato c'è una netta semplificazione archeologica, ovvero gli oggetti e gli insediamenti che gli scavi ci presentano sono tecnologicamente semplici, a testimoniare un impoverimento della società europea, sua sul piano delle risorse che delle competenze tecniche messe in campo; dall'altro lato vediamo tuttavia una forte continuità sul piano della cultura, specialmente politica e dei modelli istituzionali, per cui i regni appaiono come riproposizioni su scala regionale di meccanismi tipici dell'età imperiale, con una società politica polarizzata attorno alla corte regia. C'è una profonda ridefinizione dei funzionamenti sul piano economico e politico, basata su uno spostamento degli equilibri su base regionale e sulla rottura dell'unità europea e mediterranea che aveva segnato l'Impero romano. La trasformazione coinvolse l'intero Impero, ed è necessario porre in evidenza i processi comuni e le tensioni che attraversarono tutte le dominazioni succedute all'Impero romano. La nuova élite politica germanica. Si assistette al crollo del sistema politico-militare romano, con il passaggio del potere nelle mani della minoranza armata costituita dai Germani: ora lo stesso esercito costituiva l'élite, dominando complessivamente la società delle regioni. Furono ampiamente conservate alcune forme di organizzazione sociale e istituzionale, e si mantennero apparato amministrativo e sistemi legislativi di tradizione romana. Fu una conservazione ma anche una semplificazione, poiché andarono perse molte funzioni e la complessiva articolazione dell'apparato amministrativo romano: notare però come i nuovi dominatori non costruirono sul vuoto o imposero forme amministrative estranee ai territori già imperiali, bensì operarono una rielaborazione e una semplificazione dell'eredità amministrativa romana. Questo avvenne perché il modello romano era forte e presente: era la memoria di un potere statale forte ed efficace, in grado di prelevare grandi risorse dai propri sudditi e ridistribuirle ai propri servitori; era un sistema tuttora vivo nell'Impero d'Oriente; e soprattutto il modello politico romano era efficace perché all'interno dei regni erano ampiamente presenti vescovi e funzionari di origine e cultura romana, portatori di questa tradizione politica e amministrativa. Nacque un sistema politico nuovo, che rielaborò in forme originali spunti provenienti dalle tradizioni romane e germaniche, in cui i modelli amministrativi imperiali erano affiancati da una nuova centralità politica attribuita alle assemblee, le riunioni delle aristocrazie attorno ai re. Fu un sistema comune, ma con forti varianti: il maggiore o minore peso della componente romana ai vertici del regno; le forme di retribuzione dell'esercito (la capacità o meno di prelevare le tasse e usarle per stipendiare gli armati); la politica religiosa; il ruolo politico dei vescovi e la loro azione come consiglieri del re. La fine del prelievo. In età imperiale l'azione aveva rappresentato il motore principale della circolazione economica. Il sistema imperiale (prelievo fiscale e sua ridistribuzione come stipendi) non resse per le difficoltà allontanamento dell'aristocrazia senatoria dal potere regio, il suo riavvicinamento all'Impero, il declino della capacità e volontà del papato di agire come intermediario tra Ostrogoti e Impero. Tutto ciò si manifestò in persecuzioni religiose incrociate e in una complessiva crescente ostilità, che si tradusse in guerra solo dopo la morte di Teoderico, quando le lotte per la corona indebolirono ulteriormente il regno ostrogoto. Al momento della morte, nel 526, Teoderico trasmise il potere alla figlia Amalasunta, come tutrice del nuovo re, Atalarico (un re bambino), che però non impedì la sopravvivenza dell'impero. Alla morte prematura di Atalarico, nel 634, Amalasunta si trovò in una situazione di grave debolezza, alla quale tentò di ovviare sposando e associando al trono il cugino Teodato, uno dei più ricchi aristocratici dell'Italia gota. Questo accordo politico- matrimoniale però falli perché i coniugi scelsero posizioni politiche divergenti: Amalasunta cercò di ricostruire il rapporto tra Goti e Romani, ponendosi sotto la protezione dell'imperatore Giustiniano; Teodato adottò la via del conflitto (scelta che prevalse all'interno dell'aristocrazia gota). Amalasunta fu deposta, imprigionata e uccisa nel 535, e questo offrì a Giustiniano l'occasione per dichiarare guerra al regno ostrogoto, dando il via a una lunghissima fase bellica che nel giro di vent'anni riportò l'Italia all'interno dell'Impero. - 4. Anglosassoni, Vandali, Visigoti 4.1 Anglosassoni La fine della presenza romana. Il dominio romano non si era mai esteso alle isole britanniche nel loro complesso, ma solo alla parte meridionale della Britannia. Nonostante ciò, l'influsso della cultura e dei modelli istituzionali romani fu rilevante anche al di là del limes, a comprendere terre mai romanizzate come Scozia e Irlanda. Ma l'influsso si interruppe attorno al 410, quando i Romani abbandonarono definitivamente le isole. Qui si coglie una rottura dei sistemi economici della regione in seguito alla fine del dominio imperiale: netto impoverimento e una semplificazione degli edifici e dei reperti, con la fine delle villae, una profonda crisi dell'urbanesimo e la scomparsa di un artigianato su larga scala. La rottura sul piano economico e insediativo è indiscutibile per questo territorio, ma fu un caso unico per la sua nettezza e rapidità. Regni celti e regni anglosassoni. La fine del dominio imperiale in Britannia fu accompagnato da una serie di incursioni di popolazioni sassoni, provenienti via mare dal nord dell'attuale Germania, che via via trasformarono le proprie azioni di saccheggio in insediamenti stabili: se le prime incursioni risalgono al III secolo, fu solo alla metà del V, dopo la fine della presenza romana, che si avviarono i primi insediamenti anglosassoni. Si andò costituendo una struttura politica frammentata, una miriade di piccole dominazioni (i cui capi erano qualificati come “reges”) caratterizzate da un alto tasso di conflittualità e dalla superiorità locale di un'aristocrazia più povera che in altri regni germanici (la gerarchia sociale era poco sviluppata, senza una netta contrapposizione gruppi ricchi e poveri). Nella parte centromeridionale della Britannia si può individuare una distinzione con una tendenziale prevalenza anglosassone nelle aree orientali e una maggiore presenza celtica in quelle occidentali; tuttavia una lunga pressione militare anglosassone marginalizzò le popolazioni di tradizione celtiche, che si concentrarono nella Scozia meridionale, nel Galles e nell'Inghilterra sudoccidentale. Al contempo la conquista anglosassone ridusse il peso della Chiesa cristiana: non solo il clero ebbe un ruolo politicamente trascurabile (diversamente che nei regni continentali), ma la stessa religione cristiana subì un regresso, tanto che la Britannia fu terreno di un nuovo processo di evangelizzazione a partire del VI secolo, su iniziativa papale. L'intera isola fu ambito di rielaborazione di una tradizione romana debole, cancellata all'inizio del V secolo: fu una rottura profonda, evidente sul piano economico e anche politico, dato che le strutture altomedievali di governo dell'isola non si costruirono sulla base di una rielaborazione delle strutture romane. L'altissima frammentazione politica fu un carattere di lungo periodo, ma un'evoluzione appare avviata tra VI e VII secolo, con una tendenza alla ricomposizione attorno ad alcuni regni maggiori (in particolare la Mercia e la Northumbria). L'Irlanda, un mondo senza città. Pur subendo l'influsso romano, l'Irlanda fu sempre al di fuori del dominio imperiale e non sviluppò mai un modello insediativo ed organizzativo fondato sulle città. L'isola non subì le invasioni sassoni che avevano trasformato la struttura politica della Britannia. Nel VI secolo l'isola era connotata da un'estrema frammentazione politica, divisa in decine di regni (tùath/tùatha), i cui re avevano un potere militare e politico ma non legislativo: il re era incaricato di guidare la popolazione, ma agiva sulla base di norme che non aveva il potere di modificare (il potere di creare e modificare le leggi fu uno dei segni più evidenti del rafforzamento dei re romano-germanici). La frammentazione politica si riflesse nel processo di cristianizzazione, che si sviluppò lentamente: non esisteva un re dominante, in grado di trascinare l'intero popolo alla nuova fede (come avvenne per i Franchi alla fine del V secolo). La cristianizzazione dovette modellarsi sulle strutture politiche e sociali: non potendo organizzarsi attorno alle città e alle sedi vescovili, assunsero un grosso peso i monasteri, che furono anche centri per la pastorale e per il controllo dei fedeli. In pratica gli abati assunsero anche le funzioni di vescovi. L'altra frammentazione politica andò semplificandosi, con l'affermazione di quelli che gli storici chiamano overkings, re più potenti degli altri, che imposero un controllo militare sulle popolazioni minori, che conservarono però la propria struttura istituzionale e un margine di autonomia politica. Il processo porterà ad un esito più definito nel VII secolo, con il prevalere di alcuni regni maggiori e di alcune grandi dinastie che se ne contesero il controllo. 4.2 Vandali Le province della Proconsularis e della Byzacena (Tunisia e Algeria) erano terre ricche dal punto di vista agrario, aree di grande produzione granaria e olearia, tali da rifornire, tramite tasse, larghi settori dell'Impero (e Roma prima di tutto). L'importanza economica di questa zona derivava dalla sua sicurezza, tale da non rendere necessari costosi contingenti militari: le tasse prelevate in Nordafrica consentivano all'Impero di stipendiare gli eserciti stanziati su confini pericolosi, come il limes del Reno e Danubio o quello persiano. Queste aree rimasero ricche, ma il destino delle loro produzioni mutò con l'affermarsi del regno vandalo. La formazione del regno. I Vandali si erano stanziati nella penisola iberica nel 417, ma nel 429, sotto la guida di Genserico (il cui regno durò fino al 477), attraversarono lo stretto di Gibilterra e si imposero sulle ricche e poco militarizzate terre africane, prima nel settore più occidentale dell'Africa romana, e dieci anni dopo nelle province della Proconsularis e della Byzacena, di cui conservarono il controllo fino al 534. Fu il primo popolo germanico a costituire un regno autonomo all'interno dei territori già imperiali; e il primo popolo il cui stanziamento non fosse accompagnato da alcuna forma trattativa con l'Impero, a cui non era mai stato legato da un foedus. Rottura religiosa e continuità fiscale. Il regno vandalo fu connotato da elementi contraddittori, con aspetti di brusca rottura e altri di rilevante continuità rispetto al dominio imperiale. La rottura più evidente avvenne sul piano religioso, su cui si sviluppò una dura contrapposizione tra i Vandali ariani e gli Africani di tradizione romana e fede cattolica, su quell'ambiente religioso su cui fino a pochi anni prima aveva operato uno dei massimi padri della Chiesa, Agostino di Ippona (morto nel 430). Fu l'unico caso in cui la differenza religiosa tra ariani e cattolici si espresse nelle forme di una dura intolleranza: i Vandali condussero ampie persecuzioni ai danni delle chiese, sia perché ottime prede per i saccheggi (in quanto detentrici di grandi ricchezze), che per motivi propriamente religiosi. Il significato attuale della parola “vandalo” è frutto di una cattiva stampa di cui questo popolo godette presso tutti gli intellettuali cattolici del V e VI secolo, inorriditi dalla violenza delle persecuzioni. L'Africa vandala fu però un contesto di stabilità dal punto di vista economico e fiscale: si evidenziano pochi segni di discontinuità nella qualità di edifici e manufatti, a testimonianza di una persistente ricchezza; rimasero alti i livelli produttivi di grano e olio; e soprattutto (caso unico tra i regni romano-germanici), i Vandali continuarono a prelevare le tasse secondo un modello pienamente romano. Con il distacco dell'Africa dall'Impero, le tasse prelevate in questa regione non andarono più a sostenere le spese del governo centrale, e all'interno del regno vandalo erano poco rilevanti i capitoli di spesa che in ambito romano erano sostenuti dalle tasse: la capitale, la burocrazia e l'esercito (che tra i Vandali era ricompensato tramite la distribuzione di terre). Le tasse non uscivano dal regno né dovevano essere incanalate in grandi spese statali: il risultato fu che i re vandali accumularono notevoli ricchezze nel corso del secolo del loro dominio africano. Le difficoltà finanziarie dell'Impero. La conquista vandala segnò una rottura profonda per l'insieme dell'Impero occidentale, che si trovò a non poter più disporre delle ricchezze provenienti dalle tasse africane: a partire dal quarto e quinto decennio del V secolo si colgono i segni di una difficoltà fiscale e finanziaria dell'Impero, e le sue crescenti crisi militari nella seconda metà del secolo furono connesse anche alla difficoltà di garantire gli stipendi degli eserciti germanici che lo proteggevano. La fine fiscale imperiale ebbe delle conseguenze anche per l'economia africana, comportando un calo della domanda e un calo produttivo che mutò strutturalmente i funzionamento economici della regione. Al contempo, la forza fiscale ed economica del regno vandalo non implicò un'analoga solidità sul piano politico- militare, a causa della mancata integrazione dei diversi popoli: quando l'Impero ebbe la forza per progettare un'espansione del Mediterraneo occidentale, travolse rapidamente il regno vandalo (tra 533 e 534), mentre occorsero quasi vent'anni per sconfiggere gli Ostrogoti d'Italia (dal 535 al 553). 4.3 Visigoti Nel processo di insediamento dei Visigoti nei territori imperiali possiamo distinguere tre fasi: - lungo il V secolo si stanziarono tra il sud della Gallia e la penisola iberica; - nella prima metà del VI secolo videro ridursi il proprio dominio a nord dei Pirenei a favore dei Franchi; - nella seconda metà del secolo consolidarono la loro presenza nella penisola iberica ed elaborarono nuove forme di governo. I Visigoti tra la Gallia e la penisola iberica. Il primo insediamento stabile nello spazio politico romano risale al 418, quando i Visigoti si stanziarono come federati nella Gallia meridionale (attorno a Tolosa), ove si posero al servizio degli eserciti romani, combattendo contro Svevi, Alani e Vandali nella penisola iberica. Quest'area fu l'ambito della loro successiva espansione, con una conquista avviata nel 486 e completa attorno al 480.: non fu però l'affermazione di un pieno dominio sull'intera penisola, perché restarono in mano imperiale alcune aree sulla costa mediterranea, mentre in Galizia, nella parte nordoccidentale della penisola, si affermò il regno degli Svevi. Il centro del dominio visigoto rimase nella Gallia meridionale, tra Narbona e Tolosa. Qui i re visigoti seppero acquisire e rielaborare modelli politici di tradizione romana, in un processo reso evidente dalla redazione di leggi scritte (da parte di Eurico, re dal 466 al 484): non erano le leggi del popolo visigoti, distinte a quelle romane, ma norme territoriali, destinate a tutti i sudditi del re visigoto, a prescindere dalla loro etnia. La sconfitta di Vouillé (507). Dal punto di vista degli equilibri territoriali fu un passaggio chiave: quando il re franco Clodoveo sconfisse e uccise il re visigoto Alarico II, questo da un lato ridusse ulteriormente il dominio visigoto a nord dei Pirenei, dall'altro la debolezza del regno lo impose sotto l'egemonia del re ostrogoto Teoderico fino alla sua morte, nel 526. Nel complesso, fino alla metà del VI secolo il dominio visigoto appare segnato da una ripresa di modelli politici romani, ma anche da una notevole instabilità e da una semplificazione economica, evidente nelle aree iberiche, caratterizzate da una forte frammentazione dei circuiti commerciali, che difficilmente andavano al di là di un orizzonte regionale. Il regno di Leovigildo (569-586). Segnò un chiaro consolidamento territoriale e politico, con una serie di conquiste che portarono sotto il controllo visigoto sia il regno svevo, sia larga parte del dominio bizantino. Con Leovigildo pressoché l'intera penisola iberica era sotto il controllo regio, e qui si pose definitivamente anche il centro del potere, con l'elevazione al ruolo di capitale della città di Toledo, posta al centro del regno. La lenta conversione al Cattolicesimo. I Visigoti, di religione ariana, a lungo vissero in un rapporto di separazione religiosa con la maggioranza romana di religione cattolica: pur senza assumere le forme di una netta distinzione (Ostrogoti) o di una piena contrapposizione (Vandali), la convivenza tra i due popoli trovava nella religione un elemento di separazione e l'Arianesimo fu per i Visigoti uno scudo dietro cui proteggere e consolidare la propria specifica identità etnica. Leovigildo tentò l'affermazione dell'Arianesimo su tutti i sudditi, ma questo era improponibile sia per l'inferiorità culturale e teologica del clero ariano rispetto a quello cattolico, sia perché gli ariani erano pochi. Reccaredo (586-601), figlio e successori di Leovigildo, promosse una conversione del popolo al Cattolicesimo, con un successo relativamente rapido, tanto che all'inizio del VII secolo l'Arianesimo sembra cancellato dal regno. Reccaredo valorizzò la scelta religiosa in senso politico: Toledo, la capitale del regno, divenne la sede di una serie di concili che assunsero funzioni sia di sedi di deliberazione per le questioni religiose ed ecclesiastiche, sia di organi di governo del regno. I concili di Toledo furono l'espressione concreta ed evidente dell'accordo strutturale tra regno e vescovi, che (analogamente a quanto avveniva nel regno dei Franchi) permise uno straordinario potenziamento del re e un sicuro controllo dei sudditi, trasformando la Spagna visigota in una delle dominazioni più efficaci d'Europa. -
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved