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Storia Moderna (Provero-Vallerani) - Parte 2 Capitolo 1, Sintesi del corso di Storia Medievale

CAPITOLO 1 – Nobili, chiese e re: ricchezze e poteri

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 14/07/2019

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Scarica Storia Moderna (Provero-Vallerani) - Parte 2 Capitolo 1 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! CAPITOLO 1 – Nobili, chiese e re: ricchezze e poteri (Pag. 79-96) Tra VI e VII secolo la geografia politica dell’Europa occidentale appare più stabile che nei due secoli precedenti: ad eccezione della conquista longobarda dell’Italia, la mobilità dei popoli germanici rallento e la fisionomia territoriale dei principali regni appare definitiva. Constatiamo una conflittualità intensa, uno stato di guerra quasi endemico tra le diverse dominazioni, ma dal quale non consegue una ridefinizione complessiva dei quadri territoriali. Possiamo ragionare sui funzionamenti di ragni maturi, che hanno superato la fase generativa e l’incontro romano- germanico dei primi decenni. Tre sono le chiavi di lettura dei funzionamenti sociali di questi secoli: equilibrio politico tra aristocrazie e re, sfruttamento delle risorse agrarie, apertura di nuove reti di scambio. Dopo la cancellazione del regno vandalo ad opera di Giustiniano, ci occuperemo dello spazio europeo occidentale (isole britanniche, regno visigoto, regno franco), mentre lo spazio italiano sarà usato solo per quanto riguarda i funzionamenti economici, dal punto di vista dell’accentuata pressione aristocratica sulle risorse agrarie e della costruzione delle reti di scambio. - 1. Nobili e re I regni altomedievali non possono essere visti né come dominio assoluto dei sovrani né come una libera azione delle aristocrazie: siamo di fronte a un equilibrio tra la capacità regia di coordinamento e l’azione politica autonoma dell’aristocrazia. Eserciti e clientele. Gli elementi comuni si possono individuare nei processi di ridistribuzione clientelare e nel carattere militare del potere regio. Riguardo le forme clientelari dobbiamo tenere conto che questi re erano più poveri degli imperatori romani: disponevano di una massa di risorse minori per attuare la ridistribuzione e quindi raccogliere attorno a sé l’aristocrazia. Tuttavia il processo di redistribuzione era efficace in tutte le dominazioni, tanto che le famiglie aristocratiche furono sempre attente a conservare un legame con la corte: per quanto ricche e potenti, era per loro fondamentale partecipare al circuito di solidarietà e redistribuzione che faceva capo al re, poiché offriva opportunità economiche e politiche. Nodo era il carattere militare del potere regio: se i re erano garanti di pace e giustizia, la loro funzione prima restò sempre quella di capi dell’esercito, e l’esercito ebbe sempre una doppia connotazione come esercito di popolo e seguito del re. In questo quadro, in sostanziale continuità con il periodo precedente, possiamo delineare alcuni caratteri specifici dell’evoluzione dei singoli regni. La forza dei re visigoti. All’inizio del VII secolo, il regno visigoto appare in fase di consolidamento mentre si completò la conquista della penisola iberica, con la sottomissione dei settori bizantini sulla costa mediterranea (625). Si completò anche la conversione al Cristianesimo, avviata alla fine del VI secolo, con una cancellazione dell’Arianesimo dal regno. Il secolo fu così connotato da un chiaro processo di centralizzazione del potere: questo è evidente dalla redazione delle leggi (Liber iudiciorum), completata da re Recesvinto nel 654. Vi sono manifeste e dominanti le influenze del diritto romano, integrato in parte con tradizioni di origine germanica: è chiaro che l’emanazione di un tale sistema normativo era l’espressione di un ideale regio alto, richiamandosi alla tradizione imperiale. Modello efficace era l’Impero cristiano, fondato sulla cooperazione tra sovrano e vescovi, che nel caso visigoto trovò espressione chiara e strutturata nei concili di Toledo. I concili era assemblee ecclesiastiche e organi di governo (assemblee politiche), due caratteri non separabili: i vescovi (come nel regno franco) costruirono un rapporto di vera simbiosi con il potere regio, e il raccogliersi attorno al re e cooperare al suo potere era radicato nella natura stessa della loro funzione. Non avrebbe senso di distinguere o contrapporre Stato e Chiesa: i concili di Toledo avevano funzione di guida del popolo visigoto, sotto il doppio aspetto (diretta e coerente espressione della complessità del potere regio e vescovile) di cura delle anime e di governo degli uomini. Le lotte per il trono. La centralizzazione del potere non comportò un pieno controllo dell’aristocrazia: sono numerosi conflitti, colpi di Stato, deposizioni di re. Sono episodi rivelatori della centralità assunta dal potere regio: i duchi erano interessati al controllo del potere centrale più che a creare poteri locali autonomi. Nel complesso, il regno visigoto alla fine del VII secolo era la struttura politica più forte e coesa dell’Occidente europeo: la persistente frammentazione delle isole britanniche, le divisione e l’arretramento del regno franco, l’incompleto dominio longobardo sull’Italia. Ma questo consolidamento del potere regio lasciava spazio ad un imperfetto controllo militare del territorio: se lungo il II secolo i Visigoti non subirono minacce militare dall’esterno, all’inizio del secolo seguente la conquista della penisola iberica da parte delle armate islamiche fu semplice e rapida, ponendo bruscamente fine alla storia visigota. La frammentazione dell’Irlanda. Seppur nelle isole britanniche restasse un’alta frammentazione politica, emersero alcune tendenze al mutamento. in Irlanda, la conversione al Cristianesimo lungo il VI secolo aveva posto al centro i monasteri, sia per l’organizzazione ecclesiastica (senza città gli abati si occupavano di cura delle anime dei fedeli) che per un’apertura verso orizzonti europei, evidenti nell’opera missionaria di Colombano, che tra Vi e VII secolo diffuse i modelli monastici irlandesi tramite fondazioni nei regni franco e longobardo. Non cambiò la struttura politica dell’isola, divisa in una moltitudine di regni tutti connotati da titolo regio. Britannia: una gerarchia di regni. Vi si ritrova la stessa pluralità di regni, ma con una più chiara tendenza alla gerarchizzazione. Il VII secolo è segnato da completamento della conversione al Cristianesimo e dall’apertura a influssi provenienti dalla Gallia franca: di fatto, si può considerare quest’area come finalmente a pieno titolo parte dell’Europa cristiana. Rimase debole il livello di urbanizzazione, con uno sviluppo delle città portuali significativo solo a partire dalla fine del VII secolo, nel contesto della crescita delle reti di scambio nel mare del Nord. Per quanto riguarda i rapporti tra i diversi regni, partiamo da due presupposti: da un lato sono sicuramente attestati molti regni, di diverse dimensioni e importanza; dall’altro, il principale cronista inglese del secolo, il monaco Beda, mostra di pensare all’Inghilterra come a uno spazio unitario di civiltà. Due lati divergenti, ma non contraddittori: forme di civiltà e modelli politici sostanzialmente analoghi connotano l’intera isola, senza che questo implichi né una perfetta omogeneità dei sistemi sociali né l’unità politica. Si può dire: - esisteva una pluralità di regni, a diversi livelli di importanza; - alcuni di questi appaiono più definiti e stabili, soprattutto Mercia e Northumbria (principali); - tra VII e VIII secolo si affermò in modo discontinuo un’egemonia dei re di Mercia sui regni meridionali (tranne Northumbria), che si consolidò alla fine del VIII secolo sotto il re Offa; - il contenuto effettivo di questa egemonia è difficile da definire. Solo nel IX secolo potremo constatare l’esistenza di un regno inglese unitario. I Franchi. Per comprendere l'affermazione dei carolingi, dinastia che alla fine del VIII secolo diverrà la più potente d'Europa, partiamo di funzionamenti interni al maturo regno merovingio, lungo il VII secolo. Rispetto all'ampiezza territoriale del VI secolo, il dominio franco nel periodo successivo subì una parziale riduzione comprendeva l'attuale Francia e la parte più occidentale della Germania. Il controllo e la presenza dei re in questi territori erano diversificati: i Merovingi, privi di una capitale, furono itineranti tra diversi palazzi regi, ma senza una finalizzazione a percorrere tutte le regioni del regno, perché la mobilità regia dipendeva dalle contingenze e dalle emergenze militari e perché l'azione regia si concentrò solo in alcune aree. Nobili e re. Fondamento principale del potere merovingio era il legame con l'aristocrazia, tale per cui questa non era disposta ad accettare un re che non fosse della dinastia merovingia. Era un legame fondato sulla chiara affermazione della diversità dei Merovingi da ogni altra dinastia del regno: loro erano molto più ricchi di qualsiasi altra famiglia, si legavano matrimonialmente con dinastie regie esterne al regno franco, compivano una serie di atti rituali destinati a riaffermare simbolicamente la loro differenza. Erano i soli possibili re. I Pipinidi/Carolingi. La loro famiglia crebbe all'interno dell'aristocrazia franca del regno di Austrasia. Nei primi anni del VII secolo, nel contesto delle lotte per il potere interne alla stirpe merovingia, Arnolfo di Metz e Pipino di Landen – i due principali leader dei due principali clan aristocratici dell'Austrasia (la parte tra Belgio e Germania) – si allearono per appoggiare l0ascesa al trono del re Clotario II, e ne furono ricompensati: Arnolfo con la carica di vescovo di Metz, Pipino con quella di maestro di palazzo del regno di Austrasia. Dal matrimonio tra la figlia di Pipino e il figlio di Arnolfo nacque un sistema parentale potentissimo, che si andò affermando nell'intera dominazione franca, a partire proprio dalla carica di palazzo attribuita a Pipino. Maestri di palazzo (maiordomus). Era il punto più alto di potere al di sotto del re: era il capo della corte regia, colui che coordinava la vita politica attorno al re e metteva in atto le decisioni regie. Un ruolo che divenne obiettivo della famiglia pipinide nei decenni successivi, prima nel regno di Austrasia poi negli altri regni franchi. La forza della dinastia si espresse con chiarezza nei momenti in cui un suo esponente (es. Carlo Martello all'inizio del VIII secolo) riuscì a ricoprire contemporaneamente le funzioni di maestro di palazzo nei diversi regni che andavano a costituire la dominazione franca: se il territorio franco era diviso in ambiti politici distinti, i maestri di palazzo pipinidi ne garantivano l'unità. Non era possibile prendere direttamente il controllo del regno: quando Grimoaldo, un pipinide, nel 656 esiliò il Merovingio Dagoberto e fece incoronare il proprio figlio Childeberto, si trovò a scontrarsi con l'opposizione di larghi settori dell'aristocrazia franca. Grimoaldo fu giustiziato, ma p importante sottolineare come l'aristocrazia franca fosse in massima parte fedele all'idea che gli unici legittimati al trono fossero i Merovingi: era incerto chi dovesse essere re, ma era indubbio che la corona fosse riservata a questo gruppo parentale. L’aristocrazia d’Austrasia. Per comprendere la forza dei Pipinidi, bisogna concentrarsi sul loro rapporto con l'aristocrazia franca, soprattutto quella austrasiana. Se infatti i Merovingi avevano consolidato il proprio potere affermando sul piano simbolico la propria diversità dall'insieme dell'aristocrazia, i Pipinidi si mossero dall'interno dell'aristocrazia, legando a sé per via clientelare le maggiori famiglie austrasiane. Questa regione era dominata da un'aristocrazia ricca di terre e a forte orientamento militare, il cui coordinamento fonda la forza dei Pipinidi. La forza militare pipinide. “Legami clientelari” è una definizione generica, perché probabilmente da datare ad una fase successiva, alla fine del secolo VIII, la formalizzazione dei rapporti vassallatici, i legami di fedeltà militare che avranno un peso di rilievo nei secoli centrali del medioevo. Ma già si tratta di solidarietà militari, e questo è importante per comprendere l'azione dei Pipinidi tra VII e VIII secolo: la loro capacità di coordinamento dell'aristocrazia si tradusse in forza armata, in capacità di agire militarmente in modo autonomo, non sempre al servizio dei re merovingi. La centralità della componente militare (su piano reale ed ideologico) si vede bene nella vicenda di Carlo Martello, maestro di palazzo di Austrasia, Neustria e Burgundia, morto nel 714: il suo soprannome, piccolo Marte, rivela la centralità della componente militare nell'immagine che Carlo trasmise di sé; e vedevano nello schiavo un “utensile dotato di voce”. Inoltre i servi medievali non erano del tutto espropriati del loro lavoro, come invece era per gli schiavi antichi. Comunque il sistema economico altomedievale non era fondato prioritariamente sulla manodopera servile. All’interno della struttura curtense la distinzione tra queste due figure andò però complicandosi per diversi motivi, connessi a squilibri tra le terre della curtis, le esigenze dei proprietari e la manodopera servile. Es. si realizzò uno squilibrio tra un’abbondante manodopera servile e la disponibilità di terre del massaricium, per cui si scelse di affidare mansi a famiglie servili: questi proiettarono così la propria condizione servile sul manso e sugli obblighi connessi, più pesanti degli altri. Altre volte dei contadini liberi erano portati a prendere un manso servile rimanendo però giuridicamente liberi, ma con carichi di lavoro superiori, derivanti dalla condizione servile del manso. La società di villaggio. La conseguenza di questa mobilità degli uomini e della frammentazione delle curtes fu che all’interno di un villaggio ci si poteva trovare di fronte condizioni giuridiche diverse: liberi proprietari che coltivavano la propria terra; liberi con un manso; servi con un manso; liberi che accettavano un manso servile; servi nel dominicum signorile, ecc. Uomini che vivevano fianco a fianco si trovavano a rispondere in modo diverso ad un ricco proprietario. Tutto ciò non implica che tutti fossero servi, e chi lo era lo era personalmente, non per un vincolo alla terra, alla “gleba”. Ovvero: chi era massaro era legato da un contratto, chi era servo era proprietà sul signore. Entrambi legati al proprietario, ma con diversi meccanismi giuridici di controllo delle persone e delle risorse. Con lo sviluppo delle signorie locali, la distinzione tra servi e liberi verrà meno, poiché saranno tutti sudditi del signore; ma nel contesto carolingio essere liberi significava essere sudditi del re, aver diritto alla sua protezione e alla sua giustizia: i liberi erano coloro che fruivano di un rapporto diretto con il re; i non liberi coloro che invece dipendevano sempre dal proprio padrone/signore, che non potevano accedere alla giustizia regia. Questo sarà un elemento centrale del regno carolingio: la capacità del regno di tutelare i liberi più deboli sarà un segno della sua efficacia complessiva, e il declino di questa capacità regia segno della transizione verso altri modelli di potere, a base signorile. - 3. Reti di scambio Un’immagine di autosufficienza. Occorre valutare come le curtis si aprissero al mondo esterno. A lungo si è ritenuto (sbagliando) fossero un sistema chiuso e autosufficiente, al cui interno si sarebbero concentrate la produzione di tutte le materie prime e le lavorazioni artigianali, in un contesto di debole circolazione monetaria e scambi ridotti al minimo. Tuttavia va capito come si sia formata l’idea della curtis come sistema chiuso, e il punto di partenza è costituito da alcune leggi emanate in età carolingia, in particolare il Capitulare de villis, la “Legge sulle curtes” (i due termini sono sinonimi). In questa norma, emanata da Carlo Magno, si prevede che ogni curtis abbia al proprio interno ogni tipo di attrezzo e artigiano, ed elenca una grande varietà di prodotti agrari e di oggetti che dovranno essere raccolti all’interno dell’azienda. Pag. 91. Tutto ciò offre un’immagine di autosufficienza economica, di un’azienda senza bisogno di partecipare ad alcuna rete di scambio. Ma la legge è la costruzione di un ideale: Carlo Magno stava imponendo un funzionamento delle curtes di sola proprietà regia. Il Capitulare de villis resta comunque un documento di grande rilievo, anche perché mostra in modo chiaro che c’era una volontà di autonomia locale e che il regno si poneva come orizzonte ideale in una situazione in cui le sue curtes non dovevano dipendere in nulla da nessuno. Mercati locali. Le fonti attestano la presenza di mercati settimanali, la confluenza dei prodotti delle curtes verso le città, una piccola ma significativa disponibilità di moneta nelle mani dei coloni: tutti segnali di un sistema di scambi commerciali locali. La pressione economica aristocratica. Ripartiamo dallo status politico ed economico dei proprietari: re, chiese e nobili franchi erano i più ricchi e potenti, e questa loro forza era costruita in modo rilevante dalla loro ricchezza fondiaria, che si traduceva in una forte capacità di pressione su risorse e contadini. Le curtes erano uno strumento fondamentale per gestire questa ricchezza, e quindi vi dobbiamo pensare come ad un insieme di scelte gestionali destinate a offrire ai proprietari la massima redditività possibile in un contesto economico a circolazione monetaria debole. Questa loro ricchezza fondiaria consentiva di imporre forti richieste di censi e lavoro, operando una forte pressione sulla produzione agraria. Da tutto ciò derivava la creazione di un significativo surplus nelle mani di nobili e chiese, che potevano sfruttarlo per via commerciale. Reti commerciali. Anche se il commercio era più debole di quanto sarebbe divenuto nel basso medioevo, non ci troviamo di fronte ad una società priva di scambi e di moneta. I punti di riferimento della rete commerciale erano sia nelle città, i centri con maggiore popolazione non contadina che cercava un regolare afflusso di derrate dalle campagne; che le curtes, i principali centri di produzione, dove si concentravano i raccolti del dominicum ed i censi massaricium, una base di prodotti che consentiva al proprietario di avviare il surplus verso sbocchi commerciali. Lo scambio commerciale di prodotti agrari era condizionato dai grandi proprietari fondiari, in grado di portare sul mercato grandi quantità di di prodotti e determinare di fatto i prezzi. Alcune abbazie erano in grado di accumulare e convogliare masse imponenti di vino e grano, divenendo esse stesse il motore di questi mercati. Passo a pag. 93. L’azione commerciale dei grandi proprietari. Da varie fonti emerge l’immagine dei grandi proprietari fondiari come figure attive sul mercato, permettendoci di riconsiderare anche la nature e le funzioni dei censi che ricevevano dai massari. Proprio la capacità commerciale di questi proprietari rendeva più interessante per loro prelevare censi in nature piuttosto che in denaro: accumulando i prodotti, potevano rappresentare una forza in grado di condizionare il mercato locale e guadagnare somme maggiori di quelle che avrebbero potuto trarre dai censi in denaro pagati dai contadini. Il brano della Cronaca di Novalesa ci presenta però anche i trasferimenti dalle diverse corti al monastero: per i grandi proprietari occorre ragionare in termini di patrimonio, di sistema economico complessivo. Spesso i patrimoni monastici erano costituiti da nuclei dispersi, il che implicava problemi di gestione e di trasporto, ma permetteva di far confluire nel patrimonio monastico terre poste in contesti ambientali diversi, quindi una grande varietà di produzioni. Es. nei patrimoni dei monasteri della pianura padana troviamo curtes in Liguria o sul lago di Garda, per afflusso di sale, pesce, olio… Non esisteva un’autosufficienza della singola curtis, ma una tendenza all’autosufficienza a livello di sistema: un grande monastero era in grado di produrre tutte le derrate alimentari che potevano essere necessarie ai monaci. La ricerca all’autosufficienza non implicava chiusura alla dimensione commerciale: questi patrimoni garantivano sa l’autonomia economica del monastero che la creazione di una quota importante di prodotti commerciabili. Moneta. La coniazione monetaria romana andò semplificandosi lungo il VI secolo, lasciando spazio a molte zecche disperse per i diversi regni europei, e a una prevalenza della monetazione in argento. Il sistema destinato ad affermarsi a livello europeo fu definito dai carolingi durante i primi decenni del loro regno: base di riferimento era la libra (argento, 400 g), divisa in 20 solidi a loro volta divisi in 12 denarii. Erano solo dei valori di conto, non delle monete reali: l’unica moneta che veniva coniata era il denarius, che equivaleva a circa 10-15 euro attuali (mica spiccioli). è una moneta destinata al commercio agli acquisti di terra, non di uso quotidiano. Il suo valore medio ne faceva strumento adeguato alle esigenze economiche di questi secoli, cui molte azioni quotidiane passavano attraverso scambi di oggetti e servizi. Nuovi spazi commerciali. Le monete e la loro diffusione sono segnali per cogliere il costituirsi di reti commerciali, che arrivarono a coinvolgere in modo nuovo l’Europa settentrionale: la comparsa di monete franche in Inghilterra e Frisia, nel VIII secolo, è indizio del coinvolgimento di queste regioni in una rete di scambi che trovava una polarità forte nell’Austrasia franca e si ampliava verso il mare del Nord; è l’espressione su piano economico e monetario di un più ampio processo di coinvolgimento dell'Inghilterra e dell’Europa settentrionale in un sistema di civiltà europeo e cristiano che si stava polarizzando attorno all’egemonia franca. Il mare del Nord. Il surplus agrario derivante dall’accresciuta pressione aristocratica trovò anche uno sbocco verso il mare, in un interscambio commerciale con le coste settentrionali. Le sponde del mare del Nord rappresentano zone economiche diverse, con produzioni integrabili: i Franchi potevano mettere in gioco cereali e vino e ceramiche, dal nord provenivano pellicce e schiavi. Lo scambio tra queste élite era però diseguale: il prestigio del popolo franco e la superiorità del loro artigianato facevano sì che gli oggetti provenienti da questo regno fossero molto richiesti dalle élite del nord. Vino e ceramiche di pregio non erano prodotti nelle regioni del nord, per le quali l’unico canale di possibile rifornimento era costituito dai Franchi tramite gli scambi del mare del Nord. Gli emporia. Centri abitati con finalità specificamente commerciali, organizzati attorno ai porti e segnati da un rapido sviluppo demografico. Nacquero con specifiche funzioni commerciali (in alcuni contesti anche in assenza di una tradizione urbanistica romana) e furono alla base del successivo sviluppo delle città. Occorre però distinguere le regioni che si affacciavano sul mare: nel regno franco gli emporia si andarono a sovrapporre ad una rete urbana preesistente; in Inghilterra Londra e York rappresentarono una fase di rinascita dopo la rottura dell’urbanesimo romano agli inizi del V secolo; in Scandinavia vi furono delle vere e proprie novità, in assenza di una precedente tradizione urbana. Gli emporia furono l’espressione fisica dello strutturarsi di un nuovo sistema di scambio nella vasta area che va alla Manica al mar Baltico, direttamente connesso all’egemonia economica del mondo franco, fino a che la fine della dominazione carolingia segnerà il declino di molti di questi porti. Alcuni empori (come Dorestad e Quentovic) non si trasformeranno mai in vere città, rimanendo centri commerciali, con un rapporto debole con il territorio circostante; inoltre questi centri furono colpiti anche dalle incursioni vichinghe, rese possibili dall’allentamento del controllo militare delle coste prima garantito dal potere franco. Le fiere. Altro segno della vitalità commerciale di questi secoli, che si tenevano a cadenza regolare in luoghi di rilievo politico e religioso: es. alla fiera di Saint-Denis, presso Parigi, confluivano mercanti inglesi, frisoni, sassoni e longobardi, mentre la fiera di Piacenza poteva fruire dalla centralità commerciale della grande arteria di traffico costituita dal Po. Di questa facilità di trasporti beneficiarono i mercanti di Comacchio che, prima di Venezia, ebbero un ruolo importante nel commercio del sale. Al contempo i porti italiani (soprattutto quelli rimasti inquadrati nelle strutture dell’Impero bizantino) assunsero una funzione di collegamento commerciale tra le diverse parti del Mediterraneo, la cui vitalità lungo questi secoli fu però lontanissima da quella dell’età romana o, poi, del basso medioevo.
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