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Storia Moderna (Provero-Vallerani) - Parte 2 Capitolo 2, Sintesi del corso di Storia Medievale

CAPITOLO 2 – Nuovi quadri politici: il regno longobardo

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 14/07/2019

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Scarica Storia Moderna (Provero-Vallerani) - Parte 2 Capitolo 2 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! CAPITOLO 2 – Nuovi quadri politici: il regno longobardo (Pag. 97-115) Il regno longobardo fu la prima dominazione germanica in Italia a porsi in netta contrapposizione con l’Impero, rappresentando al contempo una dominazione esclusivamente italiana (una possibile unità italiana, libera da egemonie straniere), prima che la conquista franca unisse la penisola a un quadro politico più ampio (Impero carolingio e poi tedesco) in cui sarà inglobata lungo tutto il medioevo. Infine convisse con le ambizioni egemoniche del papato, in una contrapposizione politico-territoriale che assunse anche connotati religiosi, tra Longobardi ariani e Romani cattolici. è rimasto al centro degli studi la questione etnica, ovvero l’identità longobarda, i rapporti tra le due popolazioni e la loro assimilazione. Questo aspetto ha subito profonde trasformazioni grazie a due processi tra loro connessi: da un lato l’integrazione della storia longobarda nella più ampia storiografia europea dedicata ai regni romano-germanici e alla trasformazione del mondo romano; dall’altro la crescita della ricerca archeologica, che ha rivoluzionato le conoscenze rispetto alle ridotte fonti scritte relative all’età longobarda. Il corpus di testi di cui può fruire lo studio dell’età longobarda è un patrimonio documentario piuttosto limitato dal punto di vista tipologico: poiché è molto ridotta la serie di atti documentari, le informazioni disponibili derivano soprattutto da due grandi testi, da un lato dal Storia dei Longobardi scritta da Paolo Diacono all’inizio del IX secolo, pochi anni dopo la caduta del regno sotto il controllo dei Franchi, dall’altro la raccolta delle leggi promulgate dai re longobardi, a partire dall’editto di Rotari del 643. Si tratta di leggere le fonti tenendo presente che esse non sono nate per rappresentare o descrivere la realtà, ma per intervenire su di essa. Le leggi nacquero nel tentativo dei re di consolidare il proprio potere; la narrazione di Paolo Diacono ha delle finalità meno evidenti, dato che non si sa con certezza dove e per chi Paolo abbia scritto: forse alla corte carolingia d’Italia, per informare i nuovi dominatori della storia della penisola nei due secoli precedenti; più probabilmente all’interno del principato di Benevento, l’ultima dominazione longobarda autonoma in Italia. In ogni caso, il testo di Paolo non è una libera narrazione, ma un racconto pesantemente condizionato dal contesto in cui nacque. - 1. I Longobardi in Italia I regni del VI e VII secolo. I regni nati nel V secolo subirono nei due secoli seguenti importanti trasformazioni, in direzioni leggibili come una parziale semplificazione della geografia politica dell’Europa occidentale: i regni dei Vandali e degli Ostrogoti furono cancellati dall’espansione militare dell’Impero; il regno dei Franchi consolidò il proprio dominio militare sulla Gallia, prima respingendo i Visigoti a sud dei Pirenei, poi assimilando i Burgundi, stanziati nel settore sudorientale della regione; i Visigoti rinsaldarono la propria presa sulla penisola iberica, sottomettendo il regno svevo della Galizia e avviando un processo di avvicinamento tra regno e vescovi, con la conversione al Cattolicesimo e la creazione di nuovi funzionamenti del regno; nelle isole britanniche la frammentazione politica non fu ricomposta. Quindi Ostrogoti, Svevi, Burgundi scomparvero rapidamente, ma nella penisola italiana si affermò il nuovo regno dei Longobardi. La dominazione longobarda è definibile come un regno romano-germanico di “seconda generazione”, che si impose un secolo più tardi degli altri regni, ma si mosse in un contesto mutato, di egemonia franca su larghi settori dell’Europa occidentale e di profonda ridefinizione dell’Impero orientale. Alla periferia dell’Impero. Del sistema politico romano, i Longobardi ne erano all’estrema periferia: non del tutto separati, con contatti sporadici e deboli influssi. Probabile è un’origine scandinava del popolo, protagonista di alcuni spostamenti e stanziamenti prima nella Germania settentrionale (dal I secolo d.C.), poi nella Pannonia (Ungheria, tra IV e V secolo). Nel contesto pannonico, i Longobardi vi si insediarono vincendo l’ostilità dei Gepidi, ma senza porre fine alle tensioni militari, soprattutto in seguito alle pressioni degli Avari; qui intanto si innescarono i primi rapporti con l’Impero, con i quali stipularono un foedus e combatterono occasionalmente come mercenari, senza però integrarsi nei quadri imperiali. L’esercito che nel 568 si mosse alla conquista dell’Italia era costituto da un popolo che conosceva la romanità ma che non si era romanizzato. Migrazione e conquista. La migrazione nacque sia da un accentuarsi delle tensioni militari con gli Avari, sia dalle evidenti possibilità di bottino offerte dall’Italia, un territorio sempre ricco, ma debole dal punto di vista politico e militare, in cui la ricostruzione del dominio imperiale - dopo la guerra greco-gotica - era tutt’altro che facile e consolidata. I Longobardi erano un popolo-esercito, un popolo la cui attività principale era combattere, e in cui l’esercito era costituito dall’insieme dei maschi adulti liberi, secondo un modello tradizionale delle popolazioni germaniche. Si trattò sì di una conquista, ma anche di una migrazione perché, al seguito degli armati, scese in Italia l’intero popolo longobardo, che abbandonò le terre di Pannonia (dopo aver stipulato con gli Avari un patto che garantisse loro la possibilità di tornarvi). Un’etnogenesi (continua costruzione e trasformazione dell’identità etnica) accelerata. Quando parliamo di “Longobardi”, dobbiamo intendere con questa definizione l’insieme delle persone che in un dato momento si riconoscevano come Longobardi, che aderivano a quel nesso politico ed identitario. Questo processo ha particolare rilievo nella fase della conquista-migrazione dalla Pannonia all’Italia: l’iniziativa dei Longobardi e del loro re Alboino fu un’opportunità di arricchimento. Perciò si unirono all’esercito molti gruppi che nulla avevano a che fare con i Longobardi, ma che vollero approfittare di questa occasione. Ma unirsi all’esercito significava riconoscere lo stesso re e divenire Longobardi. Questo esercito in viaggio era “un magnete in movimento”, per la sua capacità di attrazione che derivava dal suo essere in movimento. Siamo di fronte a una fase di brusca accelerazione del processo di etnogenesi, che integrò nel popolo longobardo nuovi gruppi. Dal punto di vista militare, Alboino attivò un circolo virtuoso: il progetto di conquista dell’Italia offriva buone prospettive, questo attirò nel suo seguito nuovi gruppi armati, che a loro volta rafforzarono Alboino e quindi migliorarono ulteriormente le prospettive della sua spedizione. La divisione dell’Italia. I Longobardi valicarono le Alpi nel 568 e diedero vita a una conquista lunga, violenta e discontinua che divisa l'Italia in due parti, il regno longobardo ed i domini imperiali. I Longobardi controllavano la pianura padana, la Tuscia e i ducati di Spoleto e Benevento; all'Impero restarono le coste, ma anche Lazio, Ravenna, laguna veneta, Liguria, Puglia, Calabria e le grandi isole. Entrambe le dominazioni erano discontinue, con alcuni punti di frizione, ed il confine tra i due regni era una trama fitta e complessa di territori, tanto che quasi ogni punto del territorio vi si trovava nei pressi. Re, duchi e farae. Questa discontinuità territoriale ci aiuta a comprendere le tensioni che nei due secoli successivi contrapposero i Longobardi all'Impero ed al vescovo di Roma; ma al contempo deve anche essere letta alla luce della struttura di potere interna all'esercito e al popolo. Infatti, non dobbiamo pensare che il re fosse l'unico potere alla guida dei Longobardi: anzi, il potere era molto limitato e condizionato. Per comprendere la struttura del potere dobbiamo ripartire dai caratteri fondamentali del popolo longobardo: un popolo-esercito, attraversato da reti di fedeltà e organizzato in corpi militari chiamati farae (da fahren, viaggiare), gruppi uniti da una solidarietà militare e attivi soprattutto quando il popolo-esercito si muoveva, andava in spedizione. A capo delle farae vi troviamo dei capi, ai quali le fonti attribuiscono il nome latino di duces: guide militari ma anche, data la piena coincidenza tra popolo ed esercito, coloro che guidavano e comandavano l'intero popolo longobardo. Il potere regio nasceva prima di tutto dal coordinamento delle farae e dei duchi. L'ampia autonomia dei duchi si rivela nelle forme dell'espansione longobarda in Italia, coordinata da re Alboino e anche esito delle iniziative autonome dei duchi, che si spinsero alla conquista di Spoleto e Benevento e tentarono un'espansione anche oltre le Alpi, ai danni dei Franchi, che però li respinsero. Nel momento in cui scesero in Italia, i duchi si stanziarono nelle diverse regioni, individuando delle sedi fisse: non si trattava di circoscrizioni e capoluoghi definiti dal regno, ma dell'espressione diretta e ampiamente autonoma dello stanziamento dei singoli duchi e del loro seguito armato. Non possiamo ragionare in termini di ducati, ma di sedi ducali, città in cui i singoli duchi si insediavano: avevano ben chiaro su quali persone comandassero, ma minore era l'interesse a definire su quali spazi questo potere si esercitasse. Il potere di un duca si estendeva fino a dove non andava a scontrarsi con il potere di un altro duca. Se per l'età longobarda abbiamo notizie di liti destinate a definire i confini tra le diverse diocesi, nulla di simile è attestato per i ducati: ciò che vediamo nelle fonti sono in linea di massima i duchi e i loro poteri. I poteri del re. Anche il re era prima di tutto una guida militare, colui che garantiva la capacità bellica del suo popolo. Nella cultura tradizionale longobarda non era concepibile un re che non fosse un valoroso guerrieri, e la forza fisica era il primo requisito per individuare chi poteva essere scelto come re: il re longobardo era elettivo, scelto dall'assemblea degli esercitali (gli uomini liberi, appartenenti all'esercito), ma di fatto era nominato dai duchi. Anche se il re era superiore, non era lui a nominare i duchi; il che non impediva però ricorrenze dinastiche, fasi in cui il figlio del re morto riusciva ad imporsi come suo successore. Non c'era però nessun automatismo, né una dinastia di lunga durata come nel caso dei Merovingi. Questo quadro di convivenza tra principio elettivo e discontinue tendenze dinastiche vale sia per il periodo precedente alla conquista che per quello successivo. Ma durante i primi decenni del regno in Italia emergono alcuni cambiamenti importati dal punto di vista del potere regio, dei meccanismi di successione e del rapporto tra il re e i duchi. Re Alboino, che aveva guidato la conquista dell'Italia tra 568 e 569, fu ucciso nel 572, e a lui succedette Clefi, che rimase in carica per soli due anni, per essere poi a sua volta ucciso. Dal 574 al 584 i Longobardi rimasero senza un re, probabilmente perché in quel momento, finita la fase di conquista e conflitto aperto con l'Impero (la più militarmente impegnativa). I duchi ritennero che un e non fosse necessario, ma solo un'inutile complicazione per un potere che id fatto risiedeva concretamente nelle loro mani. E sono ancora le esigenze militari a spiegare il ritorno del potere regio nel 584: le pressioni dei Franchi e l'esigenza di coordinamento convinsero i duchi a scegliere un nuovo re. Ma questo ci dice altre due cose importanti: prima di tutto non ci furono in seguito altri fasi analoghe, e i Longobardi ebbero sempre un re; inoltre il nuovo sovrano era Autari, figlio di Clefi: nel momento in cui i duchi longobardi presero atto che un re era necessario, scelsero una figura ritenuta adatta forse anche per la sua discendenza, per un carisma derivatogli dalla figura paterna. Da qui in avanti vediamo giocare continuamente i due principi, elettivo e dinastico, che non significava soltanto successione di padre in figlio: alla morte di Autari, i Longobardi posero la successione nelle mani della vedova Teodolinda, che sposando il duca Agilulfo ne fece il loro re. Se scorriamo la lista degli eletti lungo il secolo VII, notiamo che molti di loro discendevano proprio da questa così Gregorio usò il ricchissimo patrimonio vescovile per garantire il regolare afflusso di grano di città, agendo come tutore dell'intera comunità sono meccanismi analoghi a quelli che riscontriamo per tutti i vescovi di questi secoli; e così anche il vescovo di Ravenna seppe riunire attorno a sé le comunità e l'aristocrazia della sua regione. Ma nel caso di Roma e Gregorio constatiamo un importante salto di qualità, una prospettiva più pienamente politica, quando lo vediamo contrattare con i Longobardi, definire forme di equilibrio tra due dominazioni profondamente intrecciate dal punto di vista temporale. Gregorio Magno ed i suoi successori si proposero come vertici politici dell'Italia centrale, a sostituire un potere imperiale lontano e assente. Le ambizioni papali al domino sull'Italia furono fondamentali nel determinare la persistente tensione e l'ostilità nei confronti del dominio longobardo. Sicilia. Era un'area di particolare rilievo: nei decenni centrali del VII secolo l'espansione araba sottrasse al controllo imperiale Egitto e la provincia della Proconsularis (Tunisia), i due granai dell'Impero, le due regioni che avevano garantito, per via fiscale il regolare approvvigionamento di capitale ed esercito. Tale funzione fu attribuita sempre più alla Sicilia, che assunse grande rilievo fiscale ed economico nel contesto imperiale, un ruolo conservato fino alla conquista araba, nel corso del IX secolo. La crisi del potere imperiale. La capacità di intervento imperiale in Italia era discontinua, e in alcuni momenti fu particolarmente debole, come nel periodo tra la metà e la fine del VII secolo, quando l'Impero dovette affrontare le pressioni militari di Arabi, Bulgari e Avari, la cui convergenza portò alla perdita di Medio Oriente e Nordafrica, fino all'assedio di Costantinopoli da parte degli Arabi nel 717. una nuova crisi si delineò nel secolo seguente, quando l'orientamento iconoclasta della corte imperiale determinò una frattura religiosa con l'Occidente, sul piano delle forme del culto. Questa ostilità di matrice religiosa ebbe un'incidenza significativa nell'orientamento papale a favore dei Franchi, visti come i migliori possibili difensori della Chiesa di Roma. Più in generale, queste crisi della capacità di azione imperiale in Italia favorirono un'ulteriore polarizzazione della società italiana attorno alle grandi sedi vescovili, Roma in particolare. - 3. Crescita e fine del regno. L’editto di Rotari. Una delle principali fonti scritte per lo studio di quest'età è rappresentato dalle leggi promulgate dai re longobardi a partire dall'editto di Rotari (643), un ampio testo che ci permettere di cogliere molti funzionamenti interni alla società longobarda, le sue stratificazioni, i funzionamenti politici e giudiziari, le condizioni personali e famigliari; ma il fatto stesso di scrivere le leggi è un'azione di grande rilievo in sé e per sé. La redazione dell'editto va posta nel contesto del regno di Rotari (636-652), che estende il dominio longobardo verso alcune aree rimaste fino ad allora in mano imperiale (Liguria, parte del Veneto) e avviò la trasformazione delle strutture interne del regno, con un indebolimento del potere ducale e una nuova capacità di governo da parte del re. La scrittura delle leggi fu pienamente parte di questo processo di rafforzamento regio. La scrittura (in latino) delle leggi è sempre la ripresa di un modello politico romano , del tutto assente nelle popolazioni germaniche prima del loro insediamento nei territori dell'Impero. Il fatto stesso di scrivere una norma è segno di un mutamento importante nei funzionamenti politici del regno. Ma la questione chiave p se ci troviamo di fronte ad una trascrizione di antiche consuetudini da parte dell'intero popolo longobardo o a un'opera di legislazione condotta ex novo da parte del re. Il prologo dell'editto di Rotari ci permette di leggere con chiarezza questo processo. Il potere legislativo regio. Stampa pezzo a pagina 109. l'editto pone in piena evidenza l'inviolabilità del re, vede nell'attentato alla sua vita il primo e più grave delitto; e al contempo individua nella volontà regia ciò che distingue, insindacabilmente, la violenza lecita da quella illecita: nessuno potrà scagionare colui che il re ha condannato, nessuno potrà condannare chi ha agito su ordine regio. Il re e i suoi sudditi. Se quindi l'editto di Rotari deve molto alle consuetudini che hanno regolato il popolo longobardo nei secoli precedenti, deve essere visto prima come un'azione nel presente, atto di governo modulato in base alle esigenze contemporanee di un popolo da decenni radicato nel territorio italiano. Nel prologo vediamo la rivendicazione da parte di Rotari di una più forte centralità regia, di un pieno dominio sui sudditi. Ed p questo il termine usato da Rotari, quando dichiara che a fondamento della sua azione c'è “la nostra sollecitudine per la prosperità dei nostri sudditi”. La “gens Langobardorum” è spesso ricordata per tutto l'editto, la connotazione etnica non è scomparsa; ma più importante è la connotazione politica, l'identificazione del popolo come insieme delle persone sottomesse allo stesso re. D'altronde, per capire a chi fossero effettivamente destinate le leggi, dobbiamo considerate il ridotto numero dei Longobardi (che al moneto della conquista costituirono una minoranza dominante rispetto alla popolazione latina), l'assenza di un diritto specifico di cui sia attestata la concreta ed effettiva applicazione ai Romani, l'esigenza di Rotari di affermare un ordine pubblico, di controllare tutti i sudditi. Ciò fa pensare che l'editto fosse destinato ad applicarsi a tutti i “sudditi” di Rotari. È che chiaro che, se a questa data la fusione tra Romani e Longobardi non era ancora compiuta, pure il processo era avviato. La società del VII secolo. Rotari vuole intervenire sul presente, e per questo le sue leggi sono una fonte preziosa per leggere le condizioni dell'Italia longobarda a metà del secolo VII. Una società impoverita, rurale, in cui il principale fondamento della ricchezza era costituito dalla terra, mentre nelle leggi sono marginali i dati relativi alle città. Era una mondo dominato da un'élite militare, che articolava la propria capacità di agire sul piano militare e politico anche grazie all'uso delle fedeltà personali: compaiono i gasindii, persone al servizio dei duchi, con compiti specificamente militari; l'unica distinzione giuridicamente importante era quella tra liberi e schiavi. Su tutto ciò cercò di imporsi il potere regio che rivendicava il proprio potere legislativo e nell'editto affermò la propria centralità giudiziaria, la propria capacità di regolare i conflitti interni alla società in forme che andassero al di là della tradizionale faida, sostituita da forme regolate di compensazione pecuniaria per chi subiva danni fisici. Da Rotari in poi furono promulgate nuove leggi dai re Grimoaldo, Liutprando, Ratchis e Astolfo. I loro interventi produssero testi molto più ridotti dell'editto di Rotari, in cui introdussero integrazioni e correzioni. Ma il dato rilevante è che l'attività legislativa, durante gli ultimi decenni del VII secolo e lungo il secolo seguente, divenne un'azione normale dei re, l'espressione di una loro prerogativa riconosciuta. La serie delle leggi costituisce l'espressione chiara del rafforzamento del potere regio valutabile considerando l'evoluzione del regno tra VII e VIII secolo. L’espansione del regno. L'espansione militare avviata da Rotari fu proseguita da Grimoaldo (662-671) che ampliò il dominio longobardo sul Veneto e si spinse fino in Puglia. La crescita militare longobarda e la declinante capacità d'intervento dell'Impero lasciando spazio a regno longobardo a papato. Grimoaldo fu il primo ad ampliare l'editto di Rotari con un piccolo gruppo di nuove leggi, mostrando come l'editto non fosse stato l'espressione di una provvisoria posizione di forza di Rotari, ma di una più strutturale tendenza al rafforzamento regio. Questo rafforzamento però dovette sempre convivere con l'egemonia ducale sulla società, in un equilibrio tra duchi e re leggibile considerando i meccanismi di ascesa al trono. Lungo il VII secolo, al fianco del tradizionale meccanismo di elezione regia, emerse una tendenza dinastica, che condizionò il meccanismo elettivo orientando e limitando le possibilità di scelta da parte dei duchi. Si affermò una tendenza a conservare la funzione regia all'interno di un gruppo parentale. Seppur elettivo, uno degli elemento che permettevano di considerare un candidato idoneo, oltre a capacità militari e seguito armato, era costituito dal suo sangue, dalla sua discendenza dai re precedenti. Come appare ricorrente il richiamo all'antica coppia regia, cui molti re del VII secolo era imparentati. È un dato che mette in rilievo la presenza di un carisma regio trasmesso attraverso il sangue. Liutprando. La seconda metà del VII secolo evidenzia una serie di mutamenti che delineano una tendenza al rafforzamento del potere regio, sul piano militare e territoriale nei confronti del potere imperiale e su quello politico nel confronto con altri poteri attivi all'interno del regno. Questa tendenza si accentò nel secolo precedente, sotto il regno di Liutprando (712-744), che può essere considerato un punto di svolta. Fu un momento in cui si rafforzarono le tendenze dinastiche che erano sempre state presenti. Liutprando succedette al padre Ansprando che, dopo essere stato a lungo reggente, era divenuto re pochi mesi prima della morte, ma godeva di un prestigio tale da ottenere dai potenti del regno l'elezione a re del figlio. Lo stesso Liutprando riuscì a trasmettere la corona al figlio Ildeprando, che però fu deposto dopo pochi mesi. La tendenza dinastica era evidente, ma non abbastanza forte da prevalere sui meccanismi tradizionali e sul potere dell'élite ducale, che conservò il controllo sulla corona. Il regno di Liutprando fu lungo, tanto che gli permise di incidere su diversi piani, come emerge considerando la sua azione militare e legislativa. Militarmente agì su di un orizzonte italiano, nella prospettiva di costruire un dominio longobardo sull'intera penisola: sottomise i ducati di Spoleto e Benevento, conquistò per un breve periodo Ravenna portò le proprie truppe alle porte di Roma. Non arrivò mai a dominare l'Italia intera, ma questa fu una prospettiva reale e concreta, di cui tutti i protagonisti ebbero chiara coscienza (tra i quali il papa). Il regno cattolico. Sotto l'aspetto legislativo, Liutprando intervenne in modo ampio sull'editto di Rotari, con più di 150 articoli di legge emanati fin dal primo anno di regno. Quest'attività legislativa testimonia il consolidamento delle prerogative del regno, che rivendicava a sé un nuovo accentramento di potere; ma come per Rotari, è importante considerare anche i contenuti delle norme: vi vediamo emergere una chiara ideologia cattolica del regno, impegnato ad estirpare usanze di matrice pagana e a proteggere le chiese. Questo è l'esito della lenta conversione avviata nel secolo precedente e di trasformazione dell'ideologia del potere regio, che si presentava come cattolico, protettore di fede e chiese. Tuttavia questo non permise un rapporto di forte e stabile collaborazione con i vescovi: la luna tensione religiosa tra cattolici e ariani, la gravitazione dell'episcopato italiano attorno alle sedi di Ravenna e Roma, la persistente conflittualità politico-territoriale tra aree longobarde e imperiali. La mancata collaborazione privò il regno di un sostegno materiale (ricche risorse fondiarie delle chiese), politico (capacità di condizionare orientare la coscienza dei fedeli), culturale (le chiese erano centri di elaborazione di una cultura scritta di livello). Nuove forme di controllo. Con Liutprando divennero visibili alcuni processi di consolidamento del potere regio, avviatisi sotto Rotari e Grimoaldo. Di rilievo è l'istituzione dei gastaldi, funzionari incaricati di gestire il patrimonio regio, con un impatto anche sul piano politico: il re poté disporre di una rete di funzionari dispersi nel regno che, seppur formalmente privi di compiti giurisdizionali, andarono a costituire un concreto contrappeso al potere dei duchi, un canale di comunicazione politica tra il re e di sudditi. I gasindii (i fedeli armati) sono attestati al seguito dei duchi, ma le leggi si concentrarono a definire lo status speciale dei gasindii regi, coloro che si erano legati alla persona del re tramite un personale rapporto di fedeltà. I re erano perciò attivi sia nel costruire una trama di legami personali che nell'affermare la condizione speciale di chi faceva parte di questa rete: gastaldi e gasindii divennero rappresentati del re, compito che i duchi non assunsero mai. Il superamento delle distinzioni etniche. Attorno alla metà del secolo VIII il regno longobardo si era consolidato al proprio interno e al contempo si era completato il processo di integrazione tra Romani e Longobardi, a costituire un popolo senza più alcuna distinzione etnica. Segno è la normativa sugli obblighi militari emanata da re Astolfo nel 750, modulati in base alla ricchezza fondiaria. Se al momento dell'invasione l'attività militare era prerogativa del popolo sceso in Italia, due secoli dopo era un compito di cui dovevano farsi carico tutti coloro che abitavano nel regno e dipendevano dal potere regio: era il compimento di un lungo processo di assimilazione. Su queste basi i Longobardi del VIII secolo sembrano costituire un regno la cui potenza si proiettava sulle altri parti della penisola. La caduta del regno. Negli anni centrali del VIII secolo l'equilibrio politico tra Franchi, Longobardi e papato si ruppe definitivamente per un cambiamento da parte del papato: la tensione e la conflittualità tra Roma e Longobardi era ormai insanabile, e il papato si saldò con il regno franco, in particolare con i Pipinidi/Carolingi, ascesi al trono nel 751 con l'appoggio del papato. I papi che si succedettero lungo la seconda metà del secolo videro nei re franchi dei validi protettori della Chiesa romana, a sostituire un Impero incapace di intervenire in Italia, e a contrapporsi ad un regno longobardi le cui ambizioni sull'Italia centrale erano evidenti. L'alleanza tra il papato ed i Carolingi si concretò in due spedizioni: nel 754 Pipino il Breve scese in Italia, sconfisse il re Astolfo, tolse al Longobardi la regione di Ravenna e la diede alla Chiesa di Roma. Vent'anni dopo il figlio, Carlo Magno, sconfisse di nuovo i Longobardi, questa volta definitivamente: deposto il re Desiderio, si impossessò del regno annettendo l'Italia centro-settentrionale al dominio franco. I Longobardi dopo. La conquista franca pose fine al regno, ma no alla storia longobarda. Il territorio compreso nel regno conservò una propria specifica identità: Carlo si intitolò rex Francorum et Langobardorum (“re dei Franchi e dei Longobardi”); il regno d'Italia fu in seguito una delle grandi spartizioni dell'Impero carolingio; Pavia continuò ad essere la capitale (fino al secolo XI). I Longobardi dopo il 774 continuarono a vivere nell'antico ducato di Benevento, come dominazione autonoma. Di fronte all'esigenza di difendersi dalle pressioni militari carolingie, si accentuò un consolidarsi della dominazione longobarda. Nei secoli successivi il principato di Benevento si andò segmentando in unità politiche minori, prima polarizzate attorno ai centri di Salerno e Benevento poi ridotte a dimensioni locali. Solo nel secolo XI i Normanni ricostituirono l'unita politico-territoriale dell'Italia del sud, riunendo le piccole dominazioni di origine longobarda e bizantina del continente, ed annettendosi poi la Sicilia, che nel IX secolo era passata in mano araba. - BOX 1: “L'origine del popolo dei Longobardi” Pag. 114 BOX 2: “Prologo dell'Editto di Rotari” Pag. 115
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