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Storia moderna Vittorio Criscuolo, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto utile per apprendere velocemente le informazioni.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 27/04/2022

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Scarica Storia moderna Vittorio Criscuolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! STORIA MODERNA -Programma:  Criscuolo, “Storia moderna”;  Bono, “Guerre corsare nel Mediterraneo”;  MODULO A: 02/03/2021-23/03/2021 1) La guerra di corsa è una forma di guerra navale condotta tra privati, “avanguardie” delle istituzioni. Il suo obiettivo non è quello di eliminare la flotta nemica, piuttosto quello di far bottino depauperando l’avversario. La rapina condotta attraverso la corsa è legale, in quanto ai danni di un nemico di guerra ufficiale; la pirateria al contrario è totalmente al di fuori della legge. A partire dal XV-XVI secolo in Europa, per esercitare la corsa, è necessario avere dal rispettivo sovrano una patente di corsa (lettera di marca), la quale permette al privato di combattere una guerra in suo nome, mirata all’arricchimento anche del sovrano. Francis Drake, nel XVI secolo, conduce una guerra di corsa contro la marina spagnola per conto della regina in tutte le acque, non solo europee, indebolendo progressivamente il nemico. Drake non è un marinaio ufficiale della marina, piuttosto è finanziato dalla regina nella sua attività di rapina: proprio per questo la (sua) guerra di corsa è legale, ed è per questo che attacca solo il nemico politico e non tutte le flotte straniere; se l’avesse fatto avrebbe compiuto un’azione illegale. Solo nel 1854 la guerra di corsa viene abolita dal diritto internazionale come strumento militare nei conflitti tra i paesi. Tra il 1519 e il Settecento alcune realtà politiche delle attuali coste del Maghreb conducono la loro guerra contro il nemico cattolico, in particolare il sovrano spagnolo, attraverso la guerra di corsa. Tanta importanza assume questa da incidere decisivamente sui commerci mediterranei e da rendere questo mare luogo di terrore. La corsa mediterranea è incentrata sulla creazione di una schiavitù mediterranea da mettere ai remi delle navi, e alcuni degli schiavi si convertono all’Islam per poi diventare loro stessi corsari. 4) Cosa ha distinto l’Età moderna dal Medioevo e dall’Età contemporanea? Il limite di inizio è tradizionalmente individuato nel 1492, con la Scoperta dell’America, sintomo di una tendenza con radici più profonde, ovvero la tendenza dell’Europa a conoscere ed espandersi nel mondo. Questo è uno dei punti di distacco dell’E.M. dalle altre epoche: la prima globalizzazione, cui consegue l’evangelizzazione. Sono infatti la Castiglia-Aragona e il Portogallo i paesi che più si espandono nel mondo, giustificando la propria espansione con la necessità di ampliare il raggio della fede cristiana e combattere l’Islam. Le dinamiche politiche legate alla religione sono in continuità con quelle dell’epoca medievale, venendo semplicemente riadattate al nuovo contesto globale. Si creano reti globali, dovute alla conquista ma anche ai mercati, “connessioni” (Subrahmanyam) che in precedenza erano inesistenti (America) o flebili (Asia, conosciuta solo attraverso Marco Polo, uno dei pochi ad essersi spinto fin là prima dell’E.M.). Dalla fine del XV secolo, con Colombo e de Gama, il quale inaugura una rotta commerciale tra l’Europa e il subcontinente indiano che poi coinvolge anche le Isole delle spezie. Il viaggio e la scoperta di Colombo sono fortuiti: egli, ispirato dal “Milione”, vuole raggiungere il Cipango e il Catai. Il personaggio di Colombo è tuttavia intriso della spiritualità e del misticismo prettamente medievali: egli si considera la propria una missione non solo commerciale, ma anche e soprattutto religiosa voluta da Dio, dal momento che ogni viaggio ha scopo penitenziale e come possibile destinazione solo Gerusalemme (lo stesso Colombo scrive che userà l’oro trovato nel Nuovo Mondo per condurre una crociata per la riconquista della Città Santa). L’incontro con le popolazioni americane è traumatico: Hernàn Cortez non sa come spiegare all’imperatore Carlo V la situazione che si presenta a Tenochtitlàn, semplicemente perché il linguaggio europeo non sa esprimere una realtà totalmente estranea alla propria. L’E.M. è, anche secondo Burckhardt, l’epoca della nascita dell’individuo e dell’individualismo: va progressivamente aumentando l’affermazione della dignità di individuale, rappresentata a pieno dalla figura di Lutero nella dieta imperiale di Worms. È questo l’inizio del percorso che porterà secolo dopo alla redazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, la quale fissa i diritti individuali, riconosciuti come inalienabili. Tradizionalmente è questo il limite conclusivo dell’E.M., in cui si sperimentano le democrazie e la repubblica, che poco dopo l’inizio del loro percorso degenerano nel potere assoluto di Napoleone: egli incarna tutte le rivendicazioni e tutti gli ideali rivoluzionari, proponendo però un modello politico che si pensava superato. Egli rafforza l’ideale di Stato-nazione, costituito dai singoli cittadini che si devono dare una struttura istituzionale. La Francia costituisce un modello in Europa, da cui si dipanano le singole esperienze nazionali: la creazione dello Stato-nazione in Italia, come in Germania, finisce solo nel 1870. L’Impero tedesco vede un imperatore solo ed esclusivamente tedesco, in una prospettiva fortemente nazionalista. L’esperienza dell’Impero ottomano è speculare a quella delle realtà politiche europee: dopo il crollo nel 1918, si arriva alla creazione di uno Stato-nazione esclusivo, ovvero la Turchia, condotta attraverso massacri (Greci e Armeni). L’Età moderna è l’epoca dell’affermazione dell’autorità statale, che si vede affievolirsi solo nella contemporaneità post-moderna e post-ideologica. Il moderno vede l’affermazione dell’individualismo all’interno del rafforzamento dello Stato moderno e nel contesto più ampio della globalizzazione. Ognuno di questi tre “pilastri” dell’E.M. non avrebbe potuto reggere senza l’avanzamento delle conoscenze tecnologiche e la nascita di uno sguardo critico, scientifico sul mondo, non più (solo) teologico: dalle innovazioni navali alle teorie eliocentriche, alcuni soggetti della società moderna rivendicano un mondo emancipato da Dio (Giordano Bruno). Le conoscenze tecniche e scientifiche hanno un rapporto biunivoco: senza la rivoluzione tecnologica del Seicento non ci sarebbero state le basi per l’Illuminismo del secolo successivo. Il progetto dell’Enciclopedie è una sistematizzazione delle conoscenze umane con l’obiettivo di fornire a “tutti” gli uomini gli strumenti della conoscenza stessa, ormai totalmente laica. Lo Stato moderno, anche a causa della tendenza all’espansione territoriale, è in conflitto con gli altri stati, raffinando le tecniche di confronto, bellico e diplomatico, internazionale. La guerra è considerata come una fase successiva della politica internazionale: nasce la diplomazia internazionale, un nuovo strumento che caratterizza lo Stato moderno, che nella propria politica espansionistica deve dotarsi di mezzi e soprattutto di eserciti che non possono più essere dei feudatari, ma devono essere composti da soldati pagati dallo Stato stesso. Ne consegue un rafforzamento della burocrazia e delle strutture interne dello Stato, ma anche la definizione di dinamiche politiche internazionale ben precise. È nella penisola italiana, dalla metà del Quattrocento, che nasce la politica internazionale: è uno spazio culturale e linguistico omogeneo, caratterizzato però da un forte regionalismo politico. Mentre in Europa si affermavano le corrispondente a grandi linee al territorio della Donazione di Costantino. Questo Stato è diviso in terre immediate subbiette (Ancona, Macerata ecc) e mediate subbiette, in cui il governo diretto è esercitato da signori (i Montone e i Baioni a Perugia, i Malatesta a Rimini, i Montefeltro a Urbino, gli Sforza a Forlì, i Bentivoglio a Bologna). Sono le terre del centro Italia intorno agli Appennini, area caratterizzata da una forte divisione politica su cui il papa vuole imporsi e da cui vengono i maggiori capitani di ventura. Il papa deve scendere a compromessi con i vari sovrani, mentre si rende evidente la necessità di radicarsi in quei territori e progressivamente si affievoliscono le decime. La debolezza del papato sta nel fatto che il papa viene eletto, e che è sempre membro di una delle famiglie potenti di quelle città: c’è una decadenza del potere vaticano, e i papi, nel secondo Quattrocento, tendono a voler creare una signoria interna al papato per rendere ereditario il potere. Un esempio lampante è quello dei Borgia, con papa Alessandro VI che prova a fare proprio questo, finanziando le iniziative militari del figlio Cesare, il quale vuole costituire un ducato di Romagna che superi i particolarismi politici e le numerose signorie. Il Valentino vuole costituire un unico stato che vada a rafforzare lo Stato della Chiesa retto da suo padre. Anche Giulio II della Rovere mira a consolidare il potere temporale della Chiesa, e in parte ce la fa, portando alla rovina i Montefeltro e al potere i della Rovere ad Urbino. Seguono due papi Medici, Leone X e Clemente VII, figli rispettivamente di Lorenzo il Magnifico e Giuliano: arrivano al pontificato per la loro ricchezza dovuta all’attività di banchieri e vogliono legittimare il loro potere, sistemando Ippolito come duca d’Urbino. A Firenze la dialettica tra signoria e repubblica dura fino al 1530, quando finalmente i Medici istituzionalizzano il loro ducato, con Alessandro e Cosimo. Papa Paolo III Farnese, originario di Viterbo, è parte di una famiglia piccolo nobile dello Stato della Chiesa e arriva al potere grazie al concubinato della sorella con Alessandro VI. Paolo III ottiene la creazione di uno Stato per la sua famiglia a Parma e Piacenza: i Farnese diventano una dinastia ducale. Lo spazio politico italiano è ben definito, ma non è chiuso: i vari Stati sono sempre legati col resto d’Europa, legami che nel 1494 aprono le porte alla Discesa di Carlo VIII, al rafforzamento della Castiglia-Aragona e della sua influenza nella penisola e al rafforzamento del Sacro romano imperatore. 6) La fragilità politica degli Stati italiani è costituente e costitutiva, è il rovescio della medaglia del progetto innovativo della politica italiana. È un sistema politico aperto, in cui comunque gli Stati non abbandonano il proposito di imporsi sugli altri, sperando di riuscire a farlo col supporto delle alleanze europee. In Europa infatti si stanno consolidando le grandi monarchie definite “nazionali”, con l’affermazione di un solo sovrano sui concorrenti e sui rivali. Pertanto, nel momento in cui questi Stati si affacciano con intento bellico sulla penisola, questa non può reggere il confronto politico e militare. L’Italia è terreno di scontro tra due grandi monarchie nazionali, che bramano area di influenza su un territorio terzo rappresentato proprio dall’Italia. Queste monarchie sono fortemente centralizzate, con un sistema di burocrazia che permette al sovrano di esercitare la propria giustizia su tutto il territorio: il “re giustiziere” è intrinseco allo Stato moderno. Egli rivendica l’origine divina del suo potere, volto a portare la giustizia all’interno del suo regno, cui corrisponde il monopolio della violenza in politica internazionale, e per farlo è necessario per il sovrano sopprimere i rivali politici interni che conducono proprie politiche. La classe che osteggia particolarmente il potere monarchico è l’aristocrazia, sia feudale che ecclesiastica, e il secondo Quattrocento è costellato di guerre civili, al termine delle quali l’autorità monarchica è fortemente consolidata. Queste situazioni sono caratteristiche della Francia, che nel 1453 esce dal lunghissimo conflitto con l’Inghilterra per la corona di Francia. Il nuovo re di Francia, erede dei Capetingi, riesce ad estromettere quello inglese bloccandolo a Calais. Dopo la Guerra dei cent’anni, il re francese consolida il proprio potere interno imponendosi sul duca di Borgogna, feudatario del re di Francia e dell’Imperatore che si era rafforzato durante la fine della Guerra: il suo territorio è da tramite tra il nord fiammingo e il sud subalpino. Carlo il Temerario prova a creare un proprio stato nella faglia europea tra mondo germanico e mondo latino. Luigi XI, il re francese, fino al 1477 è impegnato a combattere Carlo, che in quell’anno muore a Nancy; così la Francia ridimensiona notevolmente la minaccia della Borgogna, che comunque mantiene una propria prosperità economica, non riuscendo però ad affermare la propria autorità sulle città fiamminghe. Luigi XI si appropria della Linguadoca, della Provenza e dell’Aquitania; nella seconda metà del Quattrocento con la conquista del ducato di Bretagna, la Francia consolida il proprio territorio nazionale. Il re di Francia è signore feudale dell’Ile-de-France, il primo signore feudale tra i signori feudali: lo Stato si rafforza in continuità col sistema feudale precedente, il re è il signore feudale predominante. Nella Francia del XV-XVI secolo non si può parlare di Stato assoluto, tuttavia il re riesce a disciplinare le altre forze politiche ed è il primo interlocutore di tutte i corpi dello stato: il sovrano è la testa del regno, gli altri corpi ne sono le membra. L’aristocrazia feudale è forte economicamente, in una Francia rurale e fertile; l’aristocrazia ecclesiastica ha potere anche di carattere temporale; le città demaniali hanno certe libertà politiche, con la possibilità di creare un’aristocrazia politica urbana. Nel secondo Quattrocento vengono istituiti gli Stati generali, che rappresentano questi corpi francesi di fronte al sovrano. Egli ne ascolta le petizioni, le doleances, le proposte di legge, però pretende da loro dei versamenti economici al sovrano stesso, che li investe nella gestione dello Stato, dalla burocrazia alle guerre. In Europa in generale si sviluppano organismi assembleari che rappresentino lo stato di fronte al re; è evidente il rischio politico per il sovrano: in assemblea si può manifestare l’opposizione, i vari corpi possono confrontarsi e coalizzarsi anche contro il re stesso. Gli Stati generali sono uno strumento comodo per il prelievo fiscale, ma nel momento in cui per prelevare le tasse non c’è bisogno del confronto con gli altri corpi, il sovrano evita di convocare l’assemblea. Accanto agli Stati generali in Francia c’è una rete di parlamenti, con funzione giudiziaria: sono dei tribunali che portano sul territorio dello Stato la giustizia del re. I membri di questi organi costituiscono una nuova aristocrazia, l’aristocrazia di toga, che si identifica e definisce nel servizio al re. Egli emana le leggi, applicate e istituzionalizzate dal parlamento, il quale può anche rifiutare la legislazione regia, per garantire il corretto funzionamento dello Stato. Da Luigi XI per questo il re si dota del “Letto di giustizia”: è un momento rituale, parte della sacralità monarchica, in cui il re compare in parlamento per imporre la propria legislazione. Per farlo deve riunirsi al suo organo, ovvero il tribunale/parlamento, ed è uno strumento tanto forte quanto raro nell’uso. Alcune regioni annesse tardivamente mantengono i loro parlamenti e le loro norme, che si conformano al diritto reale: sono i paesi d’elezione. Il parlamento di Tolosa, fino alla fine del Cinquecento, si esprime in lingua d’oil simile al catalano. Al contrario, le zone controllate dal parlamento di Parigi sono i paesi di stato. L’affermazione monarchica avviene attraverso riti sacrali, tra cui rientra anche la guerra, momento ed occasione d’espressione della forza dell’aristocrazia. Il re si mette alla guida dei suoi “pari” nobili, cui il sovrano deve riconoscimento e da cui pretende fedeltà: Carlo VIII scende alla testa del suo esercito, e il 1494, con una guerra esterna, è simbolo del consolidamento del potere francese dopo periodi di guerre civili. Luigi XII, Francesco I compiono come primo atto, ascesi al trono, l’inizio di una nuova campagna militare in Italia: le guerre esprimono la forza cavalleresca ormai gerarchizzata nella nuova organizzazione statale. Le campagne all’estero servono, oltre che come esercizio della virtù cavalleresca, ad evitare le guerre civili e ad unificare lo Stato. Nel momento in cui vengono meno le iniziative belliche estere, i fratelli d’armi si dividono su certe posizioni (ad es. religiose) e combattono fra loro, come avviene con le Guerre di religione in Francia, che scoppiano solo 3 anni dopo la chiusura di una campagna in Italia. All’inizio del XVI secolo la Francia è la più forte in Europa dal punto di vista economico, demografico, politico e militare. L’altro Stato che si afferma nel Quattrocento è la Castiglia-Aragona, regni diversi che mantengono personalità giuridiche, istituzioni e tradizioni diverse fino all’avvento dei Borbone nel 1713, e che però sono uniti sotto la stessa corona, a partire dal matrimonio di Ferdinando il Cattolico, erede d’Aragona, ed Isabella, pretendente di Castiglia. Cugini, membri dei Trastamara, si sposano nel 1469, inaugurando un’alleanza politico-militare: entrambi i regni vogliono combattere le rispettive guerre civili con il supporto dell’altro. [La penisola iberica era composta da questi due regni, il Portogallo, il Regno di Navarra e il Regno di Granada, vittima della reconquista spagnola. I regni spagnoli si uniscono tra loro (Aragona composta da tre regni, Castiglia da due)]. I re cattolici nel 1476 sconfiggono a Toro i Portoghesi, vincendo la guerra civile e rinforzano il legame Castiglia- Aragona, sebbene il Portogallo mantenga la sua potenza politica, tanto che Carlo V sposa l’erede portoghese e nel 1580 il bisnipote dei re cattolici diventa Filippo II di Castiglia-Aragona e Filippo I di Portogallo. La Castiglia vive nel XV secolo una continua crociata nei confronti dell’Islam sviluppato nel sud della penisola, e il re è un re crociato supportato dalla piccola aristocrazia (gli hidalgos) nella lotta per la croce. È qui l’origine del potere che potranno assumersi gli hidalgos nella conquista nel Nuovo Mondo: poveri e non particolarmente potenti, hanno la loro unica forma di potenza nell’esercizio della guerra, specialmente nella guerra crociata. Nel 1479, con Alcaçovas- Toledo, si conclude la guerra civile castigliana (la sorella di Isabella è pretendente al trono ed è sposata con Giovanni II di Portogallo, quindi la guerra civile è anche contro il Portogallo) e nel 1480 i re cattolici convocano in Castiglia le Coortes di Toledo, rappresentanti la nobiltà, il clero e le città. Il sovrano si interfaccia con loro in cambio di un donativo. I sovrani presentano un disegno politico di riformazione dello Stato: riforma politica centrale, riforma del governo territoriale di Castiglia, imposizione di tribunali che portino la giustizia sovrana ovunque. Viene creato il Consejo reàl come organo istituzionale, formato da 12 reggitori, i retados, ovvero dei consiglieri togati esperti in legge (per formarli viene finanziata l’università di Salamancas, da cui escono i funzionari del re). A livello provinciale nascono i corregidores, i rappresentati del sovrano, insediati nelle maggiori città castigliani e presidenti dei consigli urbani. Vengono creati i tribunali, per affermare la giurisdizione reale su quelle feudali, le audiencias. A Valladolid viene creata la Chancilleria, un tribunale d’appello, in cui si applica la giustizia del re. In seguito, Montalgo redige un codice di leggi di derivazione reale a cui i giudici devono attenersi; a Toledo viene confermato il potere dell’Hermendad, una fratellanza di militi stradali, al cui capo è posta la stessa Isabella. L’Hermendad porta una giustizia immediata e sommaria, e si rivela uno strumento di successo: garantisce la serenità dei trasporti e la pace capillare nel territorio di Castiglia. Qui vive una grande comunità di musulmani ed ebrei, i cui ghetti vengono chiusi nella riaffermazione della natura cattolica dei sovrani. Viene inoltre istituito il Tribunale dell’Inquisizione a Siviglia, dove vivono molti conversos. Questo programma di riforme viene rafforzato nell’unione delle corone in una indebitandosi soprattutto con i banchieri di Augusta, e acquisisce dei territori immensi: è imperatore del Sacro Romano Impero, duca di Borgogna, re di Castiglia-Aragona, Sardegna, Sicilia e Napoli. Carlo è a capo di regni diversissimi tra loro, con governi e ordinamenti relativamente indipendenti; appena viene eletto imperatore, convoca le coortes a La Corugna per farsi versare i donativi per saldare i debiti e se ne va dalla Spagna. Tra il 1519 e il 1522 (Rivolta dei Comuneros) le città castigliane si oppongono a Carlo, che però le sconfigge grazie all’appoggio dell’aristocrazia castigliana, disciplinata da Isabella, che le apre la prospettiva di gloria nel contesto imperiale. Carlo impara dall’esperienza: con il cancelliere Mercurino da Gattinara si preoccupa di creare un impero cristiano unitario e universale, capendo di non poter essere sovrano solo dei territori che conosce bene (la Borgogna). Il disegno di Carlo V pone un’autorità politica su quella religiosa, che deve proteggere, e ha carattere morale: l’imperatore fa sempre riferimento a Roma, capitale della cristianità. Nel 1525, Carlo sconfigge Francesco I a Pavia, due anni dopo castiga Clemente VII, papa empio dato al nepotismo, facendo saccheggiare Roma dai lanzichenecchi. Carlo vuole punire il papato secolarizzato e rifiuta l’eresia: vuole ampliare il proprio potere politico in quanto primo difensore e magistrato cristiano, con un ideale direttamente figlio del Medioevo. Nel 1530, Carlo V è l’ultimo imperatore a farsi incoronare dal papa a Bologna, una pratica prettamente medievale. Nello stesso anno, Carlo V crea una rete di alleanze in Italia con l’obiettivo di stabilizzare il proprio potere: è lui il garante della stabilità politica, dà vita ad una ripristinatio imperii, conferendo un ordine aristocratico-feudale alla politica italiana. Ci sono i duchi (Savoia, Ferrara, Mantova, Milano e finalmente a Firenze il ducato viene ufficializzato, come riscatto dei Medici all’offesa del sacco sotto il pontificato di Clemente VII). Il successo di Carlo V sta nel suo governo in Spagna, col potere dell’esercito castigliano e delle ricchezze del Nuovo Mondo. 8) La Castiglia-Aragona si configura come una monarchia composita (Elliott), ovvero una monarchia in cui le varie realtà politiche si uniscono sotto un unico sovrano. In virtù della fortuna e delle politiche matrimoniali, l’erede di questa unione politico-dinastica è Carlo V che da parte materna eredita questo regno e da parte paterna il titolo di duca di Borgogna e di pretendente a Sacro Romano Imperatore. A partire dal 1530, col Congresso di Bologna, riesce a riorganizzare il territorio italiano: Regno di Sicilia, Regno di Napoli e dal 1535, con l’estinzione degli Sforza, il Ducato di Milano. Questo arriva agli Asburgo poiché parte del Sacro Romano Impero, e quindi, estinta la dinastia ducale, Carlo può affermare il proprio potere su Milano, non più mediato dalla figura del duca. A questi regni si aggiunge lo Stato dei Presidi in Toscana, che unisce i domini meridionali e settentrionali asburgici. All’alleanza asburgica si uniscono: il papato, la dinastia medicea a Firenze, il ducato Gonzaga di Mantova, il ducato di Savoia, che fa da cuscinetto con la Francia. Carlo V riafferma una gerarchia feudale, ponendo termine agli esperimenti politici rinascimentali: Firenze, Siena e Genova, che resta repubblica però sotto il controllo di Andrea Doria, uomo di Carlo V. Solo Venezia mantiene la propria autonomia e stabilità politica: solo nel 1509, con la Lega di Cambrai, ha un cedimento poiché si vede tutte le potenze europee contro. Con la Battaglia di Agnadello vede vicina la crisi, tuttavia la Serenissima si riprende e riconquista i suoi territori (1512). Dal 1527, con la Lega di Cognac, il doge di Venezia, Andrea Gritti, afferma la neutralità della Serenissima e si ritira dai conflitti politici italiani, proteggendosi: i suoi interventi si fanno rari e sempre conservativi. Il sistema politico veneziano dura stabile fino al Trattato di Campoformio. La nuova situazione politica italiana si inserisce in un più ampio contesto continentale: si sviluppano contrasti e alleanze, con le diverse realtà politiche che instaurano rapporti con le potenze europee. È evidente la volontà di queste di una egemonia sul continente: da una parte la Francia, lo Stato nazionale più coeso, dall’altra Carlo V, con un territorio vastissimo ma diviso, che deve conciliare gli interessi degli Asburgo con quelli degli altri territori. Egli ha:  la Castiglia, che nel 1512 conquista il Regno di Navarra;  l’Aragona, composta dai diversi regni in Spagna e in Italia;  la Borgogna, composta dal Franco Contado e dalle Fiandre, con le sue ricche città commerciali (Bruges e Anversa, dove si riuniscono tutte le merci, da quelle del Nuovo Mondo a quelle del Baltico a quelle del nord Italia) che la rendono la regione più ricca d’Europa;  il Sacro Romano Impero, ereditato da Massimiliano d’Asburgo e che si mostra come una realtà antitetica rispetto allo Stato moderno: è un territorio multinazionale, includendo molti spazi non germanizzati, sebbene il suo fulcro sia l’area tedesca (anche perché le zone periferiche non germanizzate si stanno emancipando, ad es. il nord Italia, la Svizzera, la Borgogna). È nel cuore dell’Impero che si inizia a muovere, già dal XV secolo, un sentimento nazionale, dovuto anche dalla riscoperta dei classici (in primis Tacito). Nel 1512, l’Impero cambia il proprio nome in Sacro Romano Impero della Nazione Germanica. Qui l’autorità imperiale non è diretta, è mediata da una serie di corpi intermedi, rappresentati dai feudatari che controllano zone limitate del territorio. In base alla bolla d’oro del 1356 viene individuata, sotto all’imperatore, una categoria di 7 Grandi Elettori, ovvero coloro che possono eleggere l’imperatore: 3 principi ecclesiastici (arcivescovi di Magonza, Colonia e Treviri) e 4 principi laici (re di Boemia, margravio di Brandeburgo, duca di Sassonia, conte palatino del Reno). Al di sotto di questi ci sono i feudatari, laici ed ecclesiastici, senza dignità elettorale: ad es. il duca di Baviera, il vescovo di Brema. Poi ci sono le “libere città”, ovvero città che si autogovernano in un sistema di aristocrazie urbane, sviluppate nella zona del Reno (Augusta, Aquisgrana) e del Mare del Nord (Amburgo, Lubecca e altre riunite nella Lega hanseatica). Sotto le città ci sono i nobili cavalieri, che hanno piccoli feudi ottenuti in passato in quanto militanti nell’esercito imperiale; alla base c’è la massa di contadini che subisce il peso di questa struttura. L’imperatore ha origine sacrale e legittimazione religiosa, è il vicario di Dio nella sfera temporale, per cui questa struttura sociale è l’immagine della società “divinamente concepita”: è una realtà non solo politica, ma anche religiosa. Il momento della dieta imperiale è il luogo di confronto tra l’imperatore e gli altri corpi dell’Impero, anche se tra XV- XVI secolo c’è la tensione dell’imperatore a centralizzare il proprio potere. Massimiliano, intorno al 1500, prova ad emanare delle riforme per uniformare il sistema fiscale, giuridico e militare, tuttavia fallisce: nell’Impero i principi territoriali si configurano come forze centrifughe, volendo ognuno creare il proprio stato con le proprie strutture. [Sono queste tendenze politiche la base su cui si poggia il successo di Lutero.] Massimiliano, alla Dieta di Worms del 1510, fallisce, non riuscendo neanche a far eleggere il proprio figlio come imperatore col titolo di Re dei Romani e perdendo la fiducia dei principi. A differenza delle precedenti, l’elezione del 1517 è un’elezione aperta: da una parte c’è Carlo, sovrano straniero già di altri territori molto lontani, dall’altra Francesco I di Francia, che vuole riunire l’Impero carolingio, riprendendo ancora una volta una concezione di stato medievale. Alla fine, nel 1519, trionfa Carlo, anche grazie al prestigio conferitogli dalla Castiglia-Aragona, ed è a Valencia che si trova quando gli comunicano l’elezione. Questa ha un prezzo: gli elettori si fanno pagare e il sovrano si indebita con le banche, con i Welser e i Fugger. La ribellione delle hermanìas valenciane e quella dei comuneros in Castiglia sono sintomo della crisi che Carlo fa passare a quei territori, di rigetto rispetto agli interessi asburgici e imperiali. Carlo si fa incoronare ad Aquisgrana, e inizia a conoscere il suo nuovo impero; tuttavia, nello stesso periodo, nel ducato di Sassonia il monaco agostiniano Martin Luther dà avvio ad una rivoluzione religiosa e culturale senza pari. Un uomo dallo spirito profondamente medievale e spirituale che con le sue dottrine dà avvio all’affermazione dell’individualismo nella società europea. La gerarchia religiosa è costituita dal papa al vertice, con i cardinali e i vescovi al di sotto, cui segue un’enorme rete di parrocchie rurali: arriva in ogni angolo del continente, e assume i caratteri non solo di organizzazione religiosa, ma anche politica ed economica, con le decime che arrivano sempre a Roma. La Chiesa gestisce la maggior parte delle ricchezze dell’Europa e controlla gli animi degli individui: ne gestisce l’ansia per la morte, monetizzandola attraverso le indulgenze (affermatesi già dal periodo della Cattività avignonese), diminuisce gli anni di purgatorio delle persone facendole pagare. C’è un maggior interesse per il destino individuale, che si riflette nelle arti tardogotiche. Lutero incarna l’ansia per la salvezza: la sua peccabilità gli preclude la speranza di salvezza trascendentale, motivo per cui si fa monaco agostiniano; va a Roma, dove assiste alla scandalosa secolarizzazione della Chiesa. A Roma, 4/5 degli abitanti sono uomini votati al celibato, ed è anche la prima città europea per sodomia e prostituzione; col papato che si politicizza e si dà al lusso (Giulio II prende il nome da Cesare). Lutero, deluso, si immerge nello studio biblico, legge Erasmo, che nel 1516 propone il Novum Instrumentum, nuova traduzione latina del Nuovo Testamento: è l’applicazione della filologia rinascimentale alle Sacre Scritture, con la volontà di ripulirle dal latino medievaleggiante e dagli errori delle copiature degli amanuensi. Il testo sacro appare nella sua purezza, e Lutero, professore universitario di Sacre Scritture, lo apprende. Egli legge il versetto di Paolo di Tarso che afferma che i cristiani sono salvati solo per fede: Lutero si sente liberato da queste parole, resosi conto del fatto che ci si salva solo per la grazia di Cristo e non per le opere buone, che anzi sono una conseguenza del fatto di essere salvati. Si compie il bene perché Cristo ci ha salvati. È il principio base del luteranesimo, estremamente rivoluzionario: tra il 1517 e il 1521 Lutero si pone come un religioso sicuro e consapevole della verità di Cristo che vuole portare a tutti come missione, e non retrocede di fronte a nulla. La Chiesa dev’essere riformata, mentre Lutero propone una propria Riforma. Il 1° novembre 1517 affigge a Wittenberg le sue 95 tesi contro il sistema delle indulgenze, ridicolizzato da Erasmo, ma ritenuto empio dal monaco. Le tesi vengono stampate in Germania e si diffondono, vengono lette in pubblico e veicolano un messaggio contro l’avidità romana, in una Germania in cui si sta affermando l’identità nazionale. La stampa di Gutenberg riproduce l’immagine di Lutero: Skinner studia l’evoluzione dell’immagine di Lutero nel tempo, quella stampata da Cranach. Lutero affronta dispute con i teologi di Colonia, tomisti, di Lipsia, contro il domenicano Johannes Eck che lo accusa di eresia. Lutero si rende conto di non essere un cattolico romano, accusando il papa di eresia in quanto si è discostato dalla parola di Dio. Il luteranesimo non si configura come un gruppo immutabile di dottrine, ma si evolve con la stessa figura di Lutero, che col tempo, scontrandosi con i cattolici, va definendo la ottomane) arrivano a Vienna, bastione della cristianità e feudo di Carlo. Egli, se vuole vincere contro i Turchi e contro i Francesi in Italia, deve dialogare con i suoi principi: nel 1530 convoca ad Augusta una dieta imperiale, in cui ricambia l’aiuto militare dei principi con la possibilità per questi per rivendicare la propria confessione, e Melantone redige la Confessione di Augusta. Vengono redatte anche la Confessione tetrapolitana e la Confessione zwingliana. La Confessione luterana ferma su carta gli elementi dottrinali del luteranesimo, che nasce effettivamente nel 1530. All’interno dell’Impero si forma un’alleanza riformata, la Lega di Smalcalda, con l’obiettivo di osteggiare l’imperatore nel caso in cui volesse applicare l’Editto di Worms. Nel 1547 c’è uno scontro a Muhlberg, in cui Carlo vince grazie al duca d’Alba, un duca spagnolo: Carlo sconfigge i principi territoriali, cattura l’elettore di Sassonia, tuttavia questa vittoria non è sufficiente a garantire la supremazia imperiale e cattolica. Nel 1551, a Innsbruck viene attaccato dal duca di Sassonia, e deve fuggire in mezzo alle Alpi, dove chiede l’aiuto degli alleati italiani. La base della maestà imperiale di Carlo è minata dal luteranesimo, e nel 1555, dopo la sconfitta contro i Francesi a Metz, ad Augusta viene firmata la Pace di Augusta tra imperatore e principi, affermando il principio di cuius regio eius religio: il principe sceglie la religione del suo territorio, e coloro che non si omologano sono liberi di emigrare. La Pace segna l’apertura di una rottura confessionale non solo nell’Impero, ma in tutta Europa: dal 1555 la rivalità non è più strettamente politica (Asburgo-Francia), ma religiosa (cattolici-riformati). Da Augusta, l’imperatore e la sua autorità escono fortemente debilitati: il primo principe ribelle, l’Hohenzollern di Prussia, è quello intorno al cui erede si riunisce la Germania tre secoli e mezzo dopo. Dopo Lutero, emergono diversi riformatori magisteriali: Zwingli, morto nel 1531 sul campo di battaglia di Kappel contro i cantoni cattolici; Giovanni Calvino, circa 15 anni dopo Worms, nel 1536 si afferma con la sua opera, L’istitutio religionis christianae, un opera che è un manifesto del protestantesimo, che presenta una dottrina ben precisa, in cui viene avanzato un modello di società definito, che Calvino riesce a creare a Ginevra, da cui la riforma si espande in Europa. 10) La dottrina di Zwingli si adatta al contesto in cui nasce, ovvero quello delle città elvetiche: qui sono i consiglieri cittadini che si fanno promotori della riforma, non gli ecclesiastici. Nemmeno Calvino è un ecclesiastico: è un avvocato laico che ha vissuto il tumulto prodotto dal luteranesimo, per cui sa già lo scompiglio che una nuova dottrina può causare. Egli nel 1536 propone una dottrina, in parte simile a quella luterana, già compiuta e definita, edita nell’Istitutio, dedicata a Francesco I, ed è al contesto francese che Calvino adatta le sue teorie. È costretto a fuggire ai confini del ducato di Savoia e va a Ginevra, dove alcuni riformatori provano ad adattare il messaggio di Lutero e di Zwingli alla loro realtà. Farel, predicatore riformato, scopre la presenza di Calvino, e gli propone di fermarsi a Ginevra per aiutare a diffondere la riforma nella città. Col tempo, Ginevra diventa un laboratorio in cui si mette in pratica la teoria di Calvino: la città si affranca dal duca di Savoia e si lega alla Confederazione elvetica, restando però indipendente in mano ad un consiglio di borghesi, i quali assecondano la riforma calvinista. Tuttavia, qualche anno dopo Calvino viene cacciato da Ginevra per la sua intransigenza; si sposta a Strasburgo, dove collabora con Lutero, per poi essere richiamato a Ginevra nel 1542 a causa della paura del consiglio cittadino dell’ingerenza dei Savoia e dei cattolici: la questione della riforma è quasi più politica che religiosa. Calvino è un uomo molto carismatico e la sua presenza riesce ad influenzare chi lo circonda, e dal suo ritorno a Ginevra ricomincia a creare la sua realtà. Nel 1555, la fazione calviniana prende il potere nella città; il riformatore però non ricopre cariche pubbliche, pur riuscendo a plasmare la politica cittadina. Stabilisce una forte disciplina e purificazione religiosa: conserva i tre pilastri del luteranesimo, però il dio di Calvino è distante e giudicante, per cui l’uomo deve arrendersi al suo disegno. Emerge la dottrina della doppia predestinazione, sviluppata poi dal discepolo di Calvino, Teodoro di Beza: l’uomo è totalmente asservito ai disegni divini, e nella consapevolezza di ciò c’è la via per la salvezza o per la dannazione. L’uomo non può cambiare minimamente il proprio destino, e non può trovare conferma nella propria vita del destino che lo aspetta. Il cristiano può solo essere fedele e santificare ogni sua attività, sforzandosi di ritrovare il disegno divino in ogni momento della vita. I seguaci di Calvino dunque si impegnano al massimo nella vita mondana, per ritrovare in essa il disegno di Dio. In Francia gli Ugonotti avviano 50 anni di guerre per l’affermazione del Vangelo, ovvero la traduzione pratica delle dottrine calviniste, e se muoiono nel tentativo è perché è parte del disegno divino. Ogni uomo fa quello che fa perché Dio lo vuole, la cosa che può fare è farlo al meglio, per dimostrare la propria fede: all’atteggiamento contemplativo cattolico viene sostituito un atteggiamento attivo. Max Weber sostiene che alla base del capitalismo ci sia l’etica protestante e in particolare calvinista: anche il piccolo capitalista riconosce la propria attività nel disegno divino, e quindi punta ad arricchirsi per svolgere la propria attività al meglio e dimostrare la propria fede. La Chiesa calviniana ha una forte dimensione comunitaria: il fedele è giudicato non solo come singolo, ma anche come parte della comunità, che deve restare pura, poiché il peccato non macchia solo il singolo che lo compie, ma tutta la comunità di cui fa parte. Per Calvino è essenziale la “police”, la polizia, ovvero la disciplina; egli dà vita al Concistoro, ovvero un tribunale per i costumi e per la morale di cui fanno parte i pastori e gli anziani. Questo tribunale impone una sorveglianza morale, che porta a processo chi ha atteggiamenti al di fuori della morale calviniana; il Concistoro non è un tribunale ecclesiastico, è un tribunale di una comunità per quella comunità, e infatti i suoi membri sono le personalità più importanti di essa. Gli anziani sono uno dei quattro ministeri della Chiesa calvinista, insieme ai pastori, che predicano il Vangelo, ai dottori, che studiano la Bibbia, e ai diaconi, che si occupano delle condizioni materiali aiutando i bisognosi. A Ginevra questo modello diventa realtà, tanto da rendere la città una “Gerusalemme riformata”, un rifugio per i protestanti di tutta Europa in fuga dalle inquisizioni cattoliche. Dal 1555, Calvino consolida il suo potere cittadino (pur non essendo parte del governo), e la città diventa un vivaio per il credo calvinista, il più dinamico della seconda metà del XVI secolo. Accanto al Concistoro, Calvino fonda la Compagnia dei pastori, ovvero l’assemblea dei ministri calviniani in cui Calvino stesso si fa moderatore. Questa Compagnia discute e definisce la dottrina, stabilendo cosa è ortodosso e cosa è eretico, e sceglie la destinazione del clero calvinista, operazione che permette l’espansione del modello calviniano in Europa. Dal 1556, il Regno di Francia viene investito da numerosi pastori missionari calviniani, per evangelizzare la popolazione francese, coordinati dalla Compagnia dei pastori. Nel 1559, Calvino fonda l’Accademia ginevrensis, un’università umanistica, luogo di formazione di nuovi religiosi riformati secondo il calvinismo, provenienti da tutta Europa, in particolare dalla Francia; completata la loro istruzione, questi nuovi religiosi o ritornano nei loro luoghi a portare la religione o vengono destinati ad altre chiese dalla Compagnia. Sebbene il calvinismo tenga separata la sfera religiosa da quella politica, l’esigenza religiosa influisce in maniera importante in ogni aspetto della vita del fedele, intrecciandosi anche alla società e alla politica attraverso il Concistoro. Il modello calviniano si mostra adattabile ad ogni contesto, come all’inizio si è adattato alla piccola città-stato di Ginevra. In Francia, il calvinismo si diffonde nell’aristocrazia, che vede nella santificazione della propria attività l’affermazione di sé. In Scozia, il calvinismo viene importato da John Knox, che porta la riforma in un contesto rurale. In Inghilterra, riesce ad influenzare l’anglicanesimo sotto Elisabetta I, grazie alla forza espressiva del testo di Calvino, l’Istitutio. I nuovi riformati si formano a Ginevra, e da qui tornano nei paesi di provenienza a portare il nuovo credo. La diffusione delle riforme crea una rottura politica in Europa, tra paesi ancora fedeli al cattolicesimo romano e paesi che si convertono al protestantesimo. Il Concilio di Trento aumenta e sottolinea le differenze tra i vari credo religiosi, redigendo una Confessione cattolica in contrapposizione a quelle luterana, calviniana e zwingliana. In questa definizione delle differenze confessionali, si fa strada l’idea di dover disciplinare le comunità secondo ogni confessione. A partire dagli anni ’80 del Novecento, lo storico olandese Oestreich parla di disciplinamento sociale: dalla seconda metà del Cinquecento lo stato si rafforza, entrando nella vita dei singoli individui plasmandone i comportamenti, e di conseguenza costruendo delle comunità secondo i propri dettami. Lo stato disciplina completamente gli individui; gli storici Reinhard e Schilling propongono la categoria storica di confessionalizzazione, ovvero la prima fase del disciplinamento sociale: corrisponde al ruolo delle Chiese di inculcare nella vita del singolo delle credenze che ne definiscono il ruolo all’interno della società. La definizione della persona deriva dalla sua confessione (cattolica o riformata), e da questa definizione derivano tutte le altre scelte, anche quelle politiche. Sia le Chiese riformate che la Chiesa cattolica sono impegnate nell’imporre in ognuno la consapevolezza dell’appartenenza religiosa, che definisce il singolo, la comunità e lo stato di cui fa parte. Il secondo Cinquecento è un’epoca confessionale: è caratterizzato dalle Guerre di religione, o meglio confessionali, in cui ogni confessione prova a prevalere sulle altre. I calvinisti in particolare vedono la guerra per l’evangelizzazione sempre all’interno del disegno di Dio, e per questo sono pronti anche al martirio. Il fattore religioso diventa un elemento di definizione sociale e politica; diventa quindi un elemento periodizzante, caratteristico anche della Chiesa cattolica, che attua politiche di acculturazione, rievangelizzazione e confessionalizzazione: per questo non ha più senso parlare di Riforma e Controriforma, quanto piuttosto solo di Riforma. MODULO B: 24/03/2021- 11) Dal 1520 al 1560-70 la riforma vede una forte espansione, sebbene nessuno dei riformatori abbia l’intento di spaccare la cristianità e fondare nuove Chiese, quanto quello di appunto riformare quella esistente. Nei primi anni, la Chiesa cattolica è disorientata e sedotta dal messaggio di Lutero: il disagio del fedele è comune anche in paesi che restano anche in seguito cattolici. La Chiesa deve reagire: la risposta è in un primo momento disciplinare, con la condanna e la persecuzione dei protestanti attraverso lo strumento dell’Inquisizione. Sin dal Medioevo c’era un’inquisizione mendicante contro le eresie medievali, ma questa istituzione, all’inizio del XVI secolo, è in decadenza. In Spagna viene rinnovata fondando il Tribunale dell’inquisizione spagnola con la bolla del 1478 (con la creazione del primo tribunale nel 1480). Questo tribunale è misto, sia lettera Trento, diventando modello per tute le altre diocesi. All’interno della Chiesa cattolica sorgono nuovi ordini: i Cappuccini, che dopo la dipartita di Chino tornano nell’ortodossia, le Orsoline e la Compagnia di Gesù, fondata dall’ex soldato spagnolo Egnacio de Loyola. Questo ordine si propone come un corpo scelto, al servizio dei papi, esperto di predicazione ed evangelizzazione. Sia la Compagnia che gli altri ordini sono ordini missionari: da una parte devono evangelizzare le nuove popolazioni dei nuovi territori (Americhe e Asia), dall’altra devono evangelizzare e acculturare “le Indie di quaggiù”, ovvero le campagne europee, cristiane solo a livello popolare e superficiale. La Controriforma polarizza ulteriormente la spaccatura politica e geografica europea seguita alla diffusione delle riforme, producendo al contempo una rinascita e una riaffermazione del cattolicesimo: Hubert Jedin, dopo la Seconda Guerra Mondiale, propone la suddivisione tra Controriforma e Riforma cattolica, dal momento che ciò che viene prodotto a Trento ha anche valore positivo e di rinascita per il cattolicesimo, non solo quello negativo reazionario di rigetto per le eresie. In Italia, Prosperi e Prodi affermano che la categoria di confessionalizzazione può superare la dicotomia tra Riforma (cattolica) e Controriforma: da una parte accoglie un aspetto positivo di acculturazione, dall’altra quello negativo di disciplinamento sociale. Sia nella Riforma protestante che in quella cattolica la funzione di evangelizzazione supporta la tendenza al disciplinamento sociale. 12) La politica internazionale del papato si modifica dopo Trento: il papa si rafforza e opera come punto di riferimento di tutta la cattolicità europea. La faglia causata dal protestantesimo è una faglia politica: il compatto fronte cattolico, che ha come coordinatore il pontefice, contro il luteranesimo e l’”internazionale calvinista”. Il papa si appoggia al Regno di Castiglia-Aragona, vincitore nella guerra contro la Francia e rafforzato dall’unione sotto la corona asburgica. Il potere di Carlo V è minato dalla Riforma, nella sua pretesa di essere imperatore cattolico universale. Soprattutto con la Pace di Augusta, che ufficializza la presenza protestante nell’Impero. Infatti, dal 1556 Carlo inizia ad abdicare: prima Napoli e Milano, poi Castiglia e Aragona e infine l’Impero. Poi si ritira in Estremadura, dove muore nel 1558. Egli è costretto a separare la sua eredità: da una parte i domini italiani (Milano, Napoli, Sicilia e Sardegna) e spagnoli (Castiglia, Aragona e Borgogna) che vanno al figlio Filippo II, dall’altra l’Impero, la cui corona passa al fratello di Carlo, Ferdinando I d’Asburgo, inizialmente educato per governare sulla Spagna. La Battaglia di San Quintino, nelle Fiandre, del 1556 tra Asburgo e Valois è l’ultima grande dello scontro. Si arriva nel 1559 alla Pace di Cateau-Cambresis: apre la strada alle guerre di religione, ponendo fine a quelle politico-dinastiche. Sia Enrico II di Francia che Filippo II concordano sul fatto di interrompere le rivalità per riorganizzare il territorio: in Francia si sta diffondendo il calvinismo, in Spagna il luteranesimo, addirittura a Valladolid. L’Inquisizione spagnola reprime i protestanti nelle Fiandre, risolvendo subito il problema degli eretici nei territori ereditari di Filippo. Egli è il re egemone d’Europa, morendo Enrico subito dopo la Pace, nel 1559, evento che sprofonda la Francia in cinquant’anni di Guerre di religione, fomentate anche dalla Spagna. La sua ascesa, che dura fino alla Pace dei Pirenei del 1660, si sovrappone al crollo politico e religioso del suo rivale, la Francia. Una parte della ricchezza e del potere spagnolo deriva dalle Indie, che fanno arrivare in Europa quintali di materie preziose. Per decenni, Filippo II è il protagonista della politica europea, riuscendo a condurre politiche egemoniche anche su scala globale. Politiche che sono a difesa della cristianità cattolica romana: la politica di Filippo II è di carattere confessionale, e questa motivazione spinge ogni tensione espansionistica. I sovrani spagnoli sono i “re cattolici”, nonostante il loro potere non abbia origine sacrale: forse proprio per questo i re castigliani sono legati alla Chiesa di Roma, di cui necessita la protezione. Il potere di Filippo si basa sul Consiglio della Suprema Inquisizione, che ha diversi tribunali in tutti i territori del sovrano, i quali fanno capo al Consiglio, che ha sede alla corte di Filippo. L’Inquisizione è uno strumento politico validissimo, che permette il controllo di tutte le terre della corona. L’Impero spagnolo non è un vero e proprio impero, è piuttosto un insieme di stati, ognuno dei quali ha le proprie istituzioni, tradizioni giuridiche, privilegi fiscali, e Filippo II ricopre una carica diversa in ognuno dei suoi domini. Con Filippo II si definisce il sistema polisinodale, ovvero un sistema di governo attraverso i consigli: dal sovrano deriva ogni scelta, che passa attraverso il Consiglio di Stato, il luogo in cui vengono prese le decisioni a livello internazionale, composto da giudici e aristocratici militari. Costoro redigono dei sommari delle loro riunioni, che vengono passati indirettamente al sovrano, il quale li studia e delibera. Ognuno dei territori dell’Impero è governato da un Consiglio territoriale (di Castiglia, di Aragona, d’Italia, delle Indie, del Portogallo ecc.). Filippo è un sovrano prettamente castigliano, ed è da qui che controlla la gestione di tutto il suo dominio. Accanto ai Consigli territoriali, ci sono i Consigli tematici (delle finanze, della guerra, degli ordini, dell’Inquisizione). A differenza del padre, Filippo non è un re itinerante, non scende in battaglia, non porta la giustizia di persona: è un re burocrate, riflessivo, che lavora in un piccolo studio che affaccia sulla chiesa di San Lorenzo. Filippo vive il regno come un onere, un compito affidatogli da Dio; nella sua vita non eccede mai, è molto frugale. L’idea del progetto divino lo porta a concepire progetti egemonici estremamente ambiziosi, con nemici giurati gli eretici e gli infedeli. Il potere di Filippo ha base politica castigliana, al contrario di quello di Carlo V, che cerca di conciliare i poteri dei diversi domini. I vari viceré di Filippo sono tutti castigliani. Questa caratterizzazione cattolica e castigliana porta dal 1566 all’apertura di un contrasto di 80 anni, causa della fine dell’egemonia spagnola: la Guerra di Fiandre. Questo è il territorio cui gli Asburgo sono più legati, e Filippo II lascia il governo della zona a Margherita d’Austria e al cardinale Granvelle. La diffusione dell’eresia e questo carattere castigliano provocano la crisi in Fiandra. Il cardinale prova a combattere la diffusione dell’eresia importando l’Inquisizione spagnola, che provoca una sollevazione fiamminga nell’estate 1566. È una sollevazione di riformati, con carattere iconoclasta; è da questa rivolta che inizia a prendere piede la coscienza nazionale fiamminga. I nobili, col Compromesso della nobiltà, si ribellano al potere di Filippo II: la rivolta è popolare e nobiliare, con carattere nazionale e religioso. Filippo ordina al duca d’Alba, il “Duca di Ferro”, di guidare le sue truppe nelle Fiandre dall’Italia. Nel 1567 arriva con 8000 soldati nelle Fiandre, che si stanziano per anni in un territorio lontano dalla madrepatria. Questo conflitto dura fino alla Pace di Westfalia del 1648, ed esaurisce le risorse economiche dell’Impero. Viene costituito un Consiglio dei tumulti, che porta alla decapitazione dei capi della rivolta; la repressione violenta attuata da Filippo porta i rivoltosi ad unirsi intorno alla figura di Guglielmo d’Orange, amico di Filippo e uno dei vincitori di San Quintino, e intorno al sentimento antispagnolo e calvinista. Il fronte fiammingo si rivela invincibile: è la cattolicità contro l’internazionale calvinista, con Filippo che non tollera la diffusione del calvinismo nelle Fiandre. Nello stesso periodo, nel 1565, i Turchi conducono un esercito di 40 000 uomini ad assediare Malta; nel 1568 i moriscos del Regno di Granada si ribellano pur non riuscendo a prendere la capitale. I moriscos recuperano i nomi arabi e le ex moschee diventate chiese tornano moschee. Da queste premesse il conflitto si espande in tutto il Mediterraneo: nel 1570 i Turchi conquistano Cipro, il re di Algeri occupa Tunisi. Filippo II si allea con Pio V e Venezia nell’ultima alleanza crociata, che porta alla Battaglia di Lepanto nel 1571. Questo scontro ha conseguenze ideologiche enormi, con il cattolicesimo tridentino che trionfa sugli infedeli e sull’eresia. Lepanto segna la fine della centralità del Mediterraneo, e Filippo concentra nuovamente le sue risorse e i suoi sforzi nelle Fiandre. I ribelli fiamminghi vengono supportati dalle truppe ugonotte francesi, luterane tedesche e anglicane inglesi. Nel 1588, Filippo capisce che per sconfiggere i Fiamminghi deve sconfiggere il loro principale finanziatore, l’Inghilterra, che vuole conquistare. Raduna una flotta composta dalle ulcas di Biscaglia, dai galeoni spagnoli e portoghesi, dalle galere siciliane e genovesi, dalle galeazze napoletane: è l’Invincible Armada. La flotta non riesce a navigare la Manica, ostacolata dai corsari inglesi (Drake e Hopkins) e dai venti: il disegno di Filippo II fallisce e dopo il 1588 l’Impero spagnolo entra in una lunga fase di decadenza. Accumula debiti, contratti per il finanziamento delle guerre dal momento che la Spagna stessa, nobiliare, non conosce uno sviluppo imprenditoriale. La decadenza dura per un secolo anche dopo la morte di Filippo nel 1598. È problematico per gli storici definire la situazione dell’Impero spagnolo, che non è ufficialmente impero ma lo è di fatto, e comprendere il fattore della coesione di questo dominio. John Elliott, nel 1983, propone la categoria di monarchia composita, ovvero il fatto che i diversi regni, con le loro autonomie amministrative e giuridiche, siano riuniti sotto una sola corona. La storiografia italiana, con Galasso e Musi, afferma che la monarchia spagnola definisce un sistema imperiale: alle differenti parti viene dato un determinato ruolo, diverso da quello delle altre, e ognuna di queste parti è in relazione con le altre. La vita quotidiana è amministrata dai governi locali, però l’amministrazione centrale è gestita dal re e dai consigli. Cardim, Sabatini e Ibez propongono la categoria di monarchia policentrica, in cui tutte le parti perseguono delle proprie politiche però sono parte della stessa monarchia.
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