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Storia moderna - Vittorio Criscuolo, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto completo del manuale di storia moderna.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 10/01/2021

Franca801
Franca801 🇮🇹

4.4

(32)

6 documenti

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Scarica Storia moderna - Vittorio Criscuolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! CHE COS’E’ LA MODERNITA’? La storia, per come noi la conosciamo, si è costituita nel corso del XIX secolo da studiosi europei che ritenevano l’Europa fosse il centro del mondo. Elemento centrale è stato il processo di nazionalizzazione dell’800; in seguito si sono criticate le storiografie nazionali, che però stanno alla base della storia moderna. A secondo delle tradizioni, la storia si allarga o si stringe per rispondere alle domande di diversi contesti culturali. La storia moderna inizia in uno spazio di tempo tra la metà del 400 e i primi decenni del 500, che fu caratterizzato da una serie di trasformazioni e innovazioni; datazione: • Pace di Lodi (1454) • Scoperta dell’America (1492) Furono gli umanisti che manifestarono la convinzione che stesse nascendo una nuova età, nella quale sarebbero ritornati i grandi modelli dell’antichità greco-romana dopo un periodo intermedio che ne aveva trascurato i valori fondamentali; in tal modo, il termine “moderno” si caricava di un valore positivo come fattore di innovazione e progresso. La disputa degli antichi e moderni che si sviluppò tra fine seicento e inizio settecento sancì l’affermazione nella coscienza europea della superiorità dei moderni, i quali disponevano di un patrimonio di conoscenze e di esperienze che consentiva loro di progredire oltre gli esempi del mondo classico. → affermazione delle idee illuministe > fiducia in un avanzamento illimitato della civiltà, che avrebbe potuto conoscere battute d’arresto ma che sarebbe comunque proseguito senza conoscere limiti. Il concetto di età moderna era espressione di un punto di vista laico, anticattolico, con quale sfumatura filo- protestante, incentrato sull’affermazione dell’individuo, che rivendica la capacità di costruirsi il proprio destino e conquista la propria libertà di pensiero e di coscienza; alla base vi era la fiducia nel progresso di una borghesia europea che si apprestava a vivere la seconda rivoluzione industriale ed a rappresentare il culmine del commino umano verso la civiltà. La storia moderna termina tra la seconda metà del 700 e i primi decenni dell’800 con ▪ la caduta dell’antico regime (1799), in seguito alla rivoluzione francese → Il revisionismo storiografico ha negato che la essa abbia rappresentato la fine del sistema feudale e aperto la strada all’avvento della società borghese, insistendo sui motivi di continuità tra antico regime e Francia rivoluzionaria e napoleonica. ▪ l’avvio della rivoluzione industriale → si è osservato che essa si estese agli altri paesi dell’Europa occidentale con notevole ritardo e che nella stessa Inghilterra non provocò una trasformazione repentina e radicale dell’assetto economico-sociale. Questa periodizzazione è apparsa sempre più inadeguata quando l’interesse della storiografia si è rivolto allo studio delle società e dei comportamenti individuali, che permangono sostanzialmente immutati per lunghissimo tempo. → si afferma la categoria della longue durée > focalizza l’attenzione dello storico su fenomeni che conoscono un’evoluzione lentissima (vita quotidiana, alimentazione, sessualità, famiglia, mentalità). DEMOGRAFIA Lo storico, per studiare la realtà economico-sociale e gli assetti politico-istituzionali, deve conoscere il numero degli individui che vivevano nell’epoca considerata sul territorio oggetto della ricerca. Il primo compito della demografia storica è quello di ricostruire: ▫ lo stato della popolazione, ovvero la sua struttura in base al sesso, all’età e allo stato civile; ▫ l’andamento demografico, ovvero l’analisi dell’evoluzione della popolazione sulla base degli indici di natalità, mortalità, matrimonio. Per le epoche più antiche, data l’assoluta mancanza di dati, si può pervenire solo a una stima: bisogna cercare di individuare l’area presumibilmente abitata e moltiplicare questo dato per un indice di sopravvivenza calcolato in base alle caratteristiche dell’economia e del territorio. Nel medioevo le rilevazioni della popolazione furono occasionali e limitate ad ambiti territoriali ristretti, promosse soprattutto per fini militari e fiscali; in generale, i censimenti sono scarsamente attendibili prima del XIX secolo. Per l’età prestatistica la fonte più importante è rappresentata dalle registrazioni tenute dagli ecclesiastici, che compaiono in modo frammentario a partire da XV secolo e diventano regolari, sempre più precise e ricche di informazioni, nei secoli seguenti. A partire dal secondo dopoguerra si è sviluppata una tecnica di utilizzo di questi registri ecclesiastici che ha consentito alla demografia storica di compiere straordinari progressi, ovvero la ricostruzione nominativa delle famiglie: trascrivere in una scheda le date di nascita e di morte di tutti i componenti di un nucleo familiare dal momento della sua costituzione fino alla sua dissoluzione. [pagina 25 manuale] crescita demografica L’Europa inizia a crescere esponenziale nel 1200. Nel 1400 un terzo della popolazione era stato decimato a causa della peste di metà 300, elemento di drammatica frattura. Segue una ripresa vorticosa, per tutti i tre continenti. Abbiamo una crescita che prosegue per i due secoli successivi ma che rallenta tra 600 (à stagnazione economica che si riflette in una stagnazione demografica; picco negativo: guerra dei trent’anni) e 700; la crisi del 600 investe molti ma non tutti, come Francia, Regno Unito, Paesi Bassi. La crescita piuttosto lenta della popolazione mondiale nel periodo tra la metà del 300 e la metà del 700 fu garantita da una lieve prevalenza del tasso di natalità sul tasso di mortalità; tuttavia il sistema demografico di antico regime era caratterizzato da un andamento per cicli e conosceva ricorrenti periodi di crisi con impennate di mortalità; principali fattori: ▫ Epidemie; ▫ Guerre → i progressi nella tecnica militare segnarono una profonda differenza rispetto all’età medievale e determinarono un aumento della mortalità, ma gli effetti della guerra sull’andamento demografico furono soprattutto indiretti: saccheggi e violenze ai danni dei civili, distruzione delle risorse, conseguenti carestie e diffusione delle malattie. ▫ Carestia → la causa principale era l’eccessiva dipendenza dell’alimentazione della maggior parte della popolazione dal consumo dei cereali, che forniva 2/3 delle calorie alla dieta delle classi inferiori; quando le sfavorevoli condizioni metereologiche provocavano cattivi raccolti si innescava la crisi: i contadini andavano incontro a una grave penuria di alimenti mentre l’aumento dei prezzi dei cereali colpiva anche i consumi dei lavoratori delle città, creando un contraccolpo negativo su tutta l’economia. La crescita riprende e conosce un forte impulso nella seconda metà del 700. E’ la stagione della crescita demografica ma anche culturale e socio-economica dell’Italia. !! Quando si parla di età di moderna si parla della stagione che va dalla fine del XV secolo al XIX secolo, all’interno della quale però va inserita la profonda cesura del XVII secolo; questa cesura è significativa per l’Italia ma non ha senso per il mondo dell’Europa settentrionale. Per far fronte all’aumento della popolazione nel 500 si applicò un ampliamento del terreno coltivato attraverso dissodamenti e bonifiche o con l’eliminazione di prati e pascoli e l’abbattimenti di foreste; ma la risposta estensiva comportava l’utilizzo di terre di minore qualità, che davano rese inferiori, e la riduzione dei pascoli limitava l’allevamento del bestiame, creando un conflitto tra agricoltura e allevamento. La disgregazione dell’economia di villaggio portò all’introduzione di recinzioni (enclosures), che consistevano in un superamento dell’agricoltura comunitaria del villaggio attraverso un processo di ricomposizione delle proprietà che ponesse fine al frazionamento e alla dispersione delle varie parcelle con la formazione di coltivazioni compatte. Questi mutamenti avvantaggiarono spesso i proprietari più ricchi anche perché talora i piccoli e medi proprietari, non potendo affrontare i costi della recinzione, erano costretti a vendere le loro terre. INDUSTRIA Novità: Due innovazioni importanti: la stampa e la polvere da sparo. Il settore tessile non conosce nuove tecniche eccetto lo sviluppo della lavorazione del cotone e della seta. Novità nel settore minerario e siderurgico: grazie alle ruote idrauliche e all’uso della polvere da sparo si riesce a scavare pozzi molto profondi che permettono l’estrazione di maggiori quantità di argento e rame + si raggiunge il punto di fusione del ferro. Le società preindustriali erano fondate sul legno ma diversi fattori ➢ Crescita demografica e conseguente aumento dei consumi domestici ➢ Disboscamento provocato dall’estensione dei terreni coltivati ➢ Incremento delle costruzioni navali e dell’impiego industriale Provocano una crescente scarsità di legname e dunque viene progressivamente impiegato il carbon fossile come nuova fonte energetica (fonte rinnovabile > fonte non rinnovabile, per la prima volta). Nel corso dell’età moderna la domanda di prodotti di lusso si ampliò progressivamente per le richieste provenienti dai gruppi sociali non aristocratici che avevano raggiunto una notevole ricchezza e prestigio sociale. Ma a incidere sull’economia del periodo fu soprattutto la domanda proveniente dallo stato per le esigenze legate all’armamento e all’approvvigionamento degli eserciti e delle flotte. Nelle campagne, la famiglia tendeva a produrre da sé ciò che necessitava e solo occasionalmente ricorreva all’acquisto di oggetti in città o in fiera. Nelle città invece era localizzata la maggior parte della produzione manifatturiera, su base individuale o famigliare, nella forma dell’artigianato, i cui vari settori erano organizzati nelle arti e corporazioni; le funzioni principali della corporazione erano la difesa del monopolio della produzione da possibili concorrenti esterni e la regolamentazione della concorrenza fra i membri in modo da gestire la stabilità degli equilibri interni. E’ una società in cui tutti si trovano riconosciuti in un ruolo fondato sul mestiere, sulla capacità di fare; elemento che permette di superare la vita grama perché è una sorta di onore. E’ fortemente gerarchica perché è legata a una serie di regole rigide: fin dall’infanzia, la persona era tenuta a compiere un apprendistato, per il quale i genitori pagavano, e poi, dopo anni, doveva sostenere un esame che comprovasse la sua capacità e gli permettesse di acquisire un titolo, che era un onore perché lo rendeva maestro in un’arte produttiva; solo allora poteva aprire bottega, che comunque non era cosa facile. Gli illuministi, nel settecento, svilupparono una dura polemica nei confronti delle corporazioni perché ritenute responsabili di ostacolare la libertà di lavoro e di essere ostili all’introduzione di innovazioni che avrebbero potuto alterare l’uguaglianza fra gli artigiani o sostituire il lavoro di molti. L’artigiano in genere lavorava su commissione, in quanto non poteva assumersi l’onere finanziario di produrre oggetti da costudire in magazzino; spesso la commessa veniva da un mercante che anticipava la materia prima e curava poi lo smercio del prodotto. Dunque gli artigiani, pur proprietario degli strumenti di lavoro, erano dipendenti dal mercante, che garantiva i rapporti con il mercato, ed erano pagati a cottimo ( → putting out system > fase di transizione verso la formazione dell’industria accentrata). Trasporti e commercio Rimase prevalente il trasporto su acqua, più veloce ed economico per la possibilità di sfruttare le correnti e il vento, rispetto al trasporto su terra che doveva utilizzare la forza muscolare di uomini e animali. Un contributo venne anche dai progressi della tecnica marinara: i perfezionamenti della bussola (uso del quadrante e dell’astrolabio) e i miglioramenti delle carte nautiche che resero possibile l’applicazione della scienza matematica al problema della determinazione del punto, creando le premesse per tentare la navigazione in mare aperto. Tuttavia il pericolo di naufragi, gli assalti della pirateria (vs guerra di corsa!) e i rischi di deterioramento della merce indussero a utilizzare il commercio marittimo per carichi ingombranti e di non grande valore, mentre per le merci di qualità e prezzo elevato fu preferito il trasporto via terra. All’inizio dell’età moderna il bacino mediterraneo rappresentava ancora un nodo centrale dei traffici commerciali tra Europa e Asia (Cina, India, Indonesia) ma questo periodo fu caratterizzato soprattutto dallo sviluppo dei traffici oceanici, resi possibili dai viaggi di esplorazione e dalle scoperte geografiche. Nel 1498 i portoghesi riuscirono a raggiungere l’India circumnavigando l’Africa, eliminando così la necessità dell’intermediazione veneziana e conquistando il controllo dei traffici con l’Asia. In seguito alla scoperta dell’America si aprì anche una corrente di scambi commerciali attraverso l’Atlantico, con la creazione di un impero spagnolo e l’occupazione portoghese del Brasile. Nel corso del seicento al declino della Spagna e del Portogallo corrispose l’affermazione di Olanda, Francia e Inghilterra come protagoniste dell’espansione europea, attraverso la colonizzazione dell’America Settentrionale. Il sistema monetario Le origini del sistema monetario dell’età moderna risalgono alla riforma realizzata da Carlo Magno, sul finire del secolo VIII, che istituì un sistema di monometallismo fondata su un’unica moneta di argento, il denaro; per comodità, poi, si iniziò quasi subito a utilizzare dei multipli del denaro, ovvero monete ideali che non erano effettivamente coniate. L’incremento degli scambi commerciali per effetto della crescita economica rese inadeguato un sistema basato su una singola moneta e si provvide perciò alla coniazione di multipli di denaro, passando a un sistema di bimetallismo in cui il valore della moneta era legato al valore dell’argento e dell’oro. Molto importante fu anche la diffusione della lettera di cambio: un atto notarile con il quale il mercante dava una somma di denaro a un altro mercante, il quale gli consegnava questa lettera nella quale si impegnava a restituire la somma ricevuta in un’altra località a un agente o corrispondente del datore. La rivoluzione francese rappresenta poi un momento di svolta: la Convenzione introduce un sistema decimale in cui l’unità monetaria, il franco d’argento, è diviso in monete di conto (lire, soldi, denari). Nel corso del XIX secolo si manifesta una tendenza verso il monometallismo aureo, destinato a durare fino alla prima guerra mondiale, con la circolazione di monete d’oro e biglietti di banca convertibili in queste. Dopo la seconda guerra mondiale il dollaro rimane l’unica moneta convertibile in oro, divenendo cardine delle relazioni commerciali internazionali fino alla sospensione della sua convertibilità nel 1971. ORGANIZZAZIONE SOCIALE Ogni membro del corpo sociale non era un individuo isolato dagli altri: ciascuno si inseriva nella comunità e partecipava alla sua vita in quanto parte del gruppo collettivo al quale apparteneva e dal quale dipendeva il suo status, in una scala gerarchica considerata perfetta perché riconducibile alla volontà divina. La società era fondata su una suddivisione in tre ordini distinti in base alla funzione svolta: o Oratores → Coloro che pregano, il clero. La chiesa deteneva ovunque una quota importante della proprietà fondiaria ( > beni inalienabili senza il permesso del papa ed esenti da imposte) e riscuoteva annualmente la decima per il mantenimento del clero, degli edifici di culto e dei poveri. o Bellatores → Coloro che combattono, la nobiltà. Emerse nell’età carolingia una classe feudale votata al servizio militare, principale obbligo del vassallo nei confronti del proprio signore, che trovava nella guerra la propria vocazione e la giustificazione della propria superiorità rispetto agli altri membri del corpo sociale. A questa aristocrazia di guerrieri si aggiunsero i titolari della signoria rurale, che esercitavano il mantenimento dell’ordine e l’amministrazione della giustizia. Fonte principale di questi era la proprietà della terra da cui i nobili ricavavano il provento diretto, i canoni in denaro o in natura e i diritti signorili; altre voci di entrata importanti avevano dalla partecipazione a società commerciali o industriali e dagli interessi dei capitali dati in prestito; al nobile era però vietato praticare le arti meccaniche, svolgere lavori manuali e ricoprire uffici pubblici minori, attività che comportavano la perdita temporanea della nobiltà. Molto importante per il consolidamento dell’ordine nobiliare fu l’affermarsi di regole rigide volte a impedire la divisione e dispersione del patrimonio familiare, restringendo la successione ad un solo figlio ( > maggiorascato o primogenitura). Nonostante la pretesa della nobiltà di far risalire la propria condizione alla presunta purezza di una nascita illustre, vi erano diverse vie per diventare nobili: i plebei che disponevano di un cospicuo patrimonio potevano acquisire alcune cariche finanziare o giuridiche oppure acquistare un feudo; in tal caso occorreva abbandonare ogni attività precedente, iniziare a vivere nobilmente e acquistare o costruire un palazzo degno. → nobiltà di toga o Laboratores → Coloro che lavorano e producono i bene necessari alla sussistenza di tutti. Sulla base di questa di questa divisione erano strutturate le assemblee che erano periodicamente convocate dal sovrano per chiedere consiglio e sostegno e per ottenere consenso per il pagamento delle imposte. L’appartenenza a un ceto comportava anche l’acquisizione di una mentalità, di un costume di vita, valori e comportamenti sociali condivisi ma non implicava una conformità di condizione economico-sociale; ciò che contava era lo status, riconosciuto in baso alla nascita ed al ruolo svolto nella società. Nel basso medioevo si va formando un’élite di mercanti, imprenditori, finanzieri, professionisti, proprietari terrieri non nobili, funzionari pubblici che si distingue dai laboratores, formando un gruppo intermedio tra questi e i nobili ( → borghesia). La società medievale tendeva a considerare la povertà come un’immagine vivente del disprezzo per le cose del mondo predicato da Cristo e quindi elemosina e carità erano viste come occasioni per meritare la salvezza eterna. Su questo modo di confrontarsi con la povertà si innestò, nei secoli del basso medioevo, una crescente attenzione delle autorità pubbliche per il mantenimento dell’ordine pubblico: sia coloro la cui povertà dipendeva da motivi strutturali (malati, invalidi, orfani, vecchi, vedovi) sia i poveri “vergognosi” (persone di buona condizione sociale caduti in miseria) trovavano un sostegno nelle reti di solidarietà delle varie associazioni e nell’assistenza degli enti ecclesiastici. La svolta si determinò quando la crescita demografica determinò una sempre maggiore disoccupazione con un conseguente peggioramento delle condizioni di una quota consistente della popolazione, costretta a vivere al livello minimo di sussistenza; in questa situazione prevalse nelle classi agiate un atteggiamento di diffidenza e IL SISTEMA DEGLI STATI ALLE SOGLIE DELL’ETA’ MODERNA Il quadro politico è segnato dal declino irreversibile delle due autorità universali che avevano dominato lo scenario politico del Medioevo: ▫ Chiesa di Roma → conosce una prima crisi quando la sede pontificale si trasferisce ad Avignone, passando sotto al controllo della monarchia francese, e poi nel grande scisma di Occidente (1378-1417). ▫ Corona imperiale → era ancora legata a un’idea di universalità, che risaliva alla teoria della translatio imperii, ma era ormai caduto quel principio che attribuiva all’impero quel rango di autorità sovraordinata rispetto a tutti i poteri che esercitavano di fatto la loro giurisdizione su territori e persone. SACRO ROMANO IMPERO Un passaggio fondamentale nella sua organizzazione istituzionale si ebbe con la Bolla d’oro (1356) emanata da Carlo IV di Boema, che assegnava l’elezione alla corona imperiale a sette principi, eliminandone così la sua natura elettiva. Organo centrale era la Dieta:  Deliberazioni dal valore di legge generale;  Convocata dall’imperatore con frequenza irregolare;  Divisa in tre ordini: principi elettori, collegio dei principi e dei signori territoriali, collegio dei rappresentanti delle città libere; i cavalieri, invece, erano dipendenti direttamente dall’imperatore e pertanto non avevano diritto di rappresentanza. Dal 1438 il titolo di imperatore era diventato appannaggio della casa di Asburgo, che lo avrebbe tenuto fino alla fine del sacro romano impero (1806); questa continuità dinastica diede maggior alla corona imperiale e poteva essere la premessa di un suo rafforzamento istituzionale, perseguito invano da Massimiliano I. Quando egli divenne imperatore (1493) riuscì a rafforzare la propria autorità nei domini ereditari, creando una solida amministrazione finanziaria, ma si scontrò a livello imperiale con le resistenze dei principi territoriali, che erano riluttanti a rinunciare alle proprie prerogative; riuscì a ottenere dal re di Francia, Carlo VIII, l’Artois e la Franca contea ma non riuscì assolutamente a ripristinare l’autorità imperiale in Italia. I maggiori successi vennero invece dalla sua politica matrimoniale: il matrimonio con Maria di Borgogna, infatti, gli consentì l’acquisizione dei Paesi Bassi. LA CONFEDERAZIONE SVIZZERA Il primo nucleo di questa confederazione fu rappresentato dalla lega elvetica (1291), stretta tra tre comunità alpine, la quale non disconosceva l’autorità signorile degli Asburgo ma era animata comunque da un forte spirito di indipendenza. Nel corso del XIV secolo la confederazione riuscì a emanciparsi dal dominio degli Asburgo, sconfiggendoli in diverse battaglie, con la pace di Basilea (1499). Fra la fine del quattrocento e gli inizi del cinquecento i confederato furono rafforzati da nuovi adesioni ma non arrivarono a presentare un forte potere federale, perché i cantoni erano gelosi della loro autonomia. IL DUCATO DI BORGOGNA Ducato di origine tipicamente feudale formatosi (1364) alla frontiera tra impero e Francia come concessione al primo duca Filippo l’ardito, in quanto figlio minore del re di Francia. I duchi erano dunque legati al re da un patto di fedeltà e obbedienza ma fin dall’inizio adottarono una politica volta a creare uno Stato indipendente attraverso una serie di conquiste e accordi dinastici, che permisero loro di ottenere il controllo di un vasto territorio che andava dalle Fiandre alla Franca contea. Lo stato era molto eterogeneo: diviso in tre tronconi e composto di territori molto diversi per lingua e cultura. Per dare continuità territoriale ai suoi possedimenti Carlo il temerario, ultimo duca, tentò di conquistare la Lorena ma la sconfitta subita non portò altro che la disgregazione di questa fragile costruzione. Le terre appartenenti al ducato vennero spartite tra il re di Francia e Massimiliano I, portando così la presenza degli Asburgo anche in questi territori. IL REGNO DI FRANCIA Appena uscito dalla guerra con l’Inghilterra, il regno di Francia presenta ancora una realtà molto frammentata e di carattere feudale ma si muove verso l’unificazione: ▫ Vittoria sugli inglesi → 1453: perdono tutti i loro possedimenti sul suolo francese; ▫ Morte di Carlo il temerario → la monarchia stabilisce la sua autorità sui territori dello Stato borgognone; ▫ Incorporazione del territorio bretone → la figlia dell’ultimo duca di Bretagna, Anna, sposa Carlo VIII, erede al trono francese, e poi il suo successore Luigi XII. Carlo VII, per poter formare il primo nucleo di un esercito permanente destinato a combattere i sovrani inglesi, impone la taglia (1493), tassa che gravava sui contadini e che poi fu rinnovata annualmente senza chiedere l’autorizzazione degli Stati Generali. Grazie alla regolarità delle entrate, la monarchia francese poté liberarsi della necessità di ricorrere ai tre ordini riuniti negli Stati Generali che, dopo il 1484, non furono più convocati fino al 1560. Il successore Francesco I, salito al trono nel 1515, ottenne poi il controllo della compagine ecclesiastica con il concordato di Bologna (1516): in cambio della rinuncia a sostenere la teoria della superiorità del concilio sul papa, si vide riconosciuto il diritto di nominare tutte le principali cariche della Chiesa. Nel 1522 sancì formalmente il sistema della venalità delle cariche che lo portò alla perdita del controllo diretto dell’amministrazione finanziaria e giudiziaria. Al vertice dell’amministrazione si poneva difatti il Parlamento di Parigi, che aveva il compito di registrare gli editti del re e, per questa sua prerogativa, si pose come principale ostacolo all’assolutismo monarchico. LA SPAGNA La nascita della Spagna moderna prese avvio dal matrimonio (1469) celebrato tra Isabella di Castiglia (1474- 1504) e Ferdinando d’Aragona (1479-1516); la successione di Isabella sul trono castigliano fu inizialmente contestata e provocò una guerra civile che si durò fino al 1479, anno in cui si realizzò definitivamente l’unione dei due regni. La supremazia castigliana si manifestò fin dall’inizio nella decisione di Ferdinando di risiedere nel regno della moglie, delegando l’amministrazione dei suoi domini ereditari a dei viceré. La monarchia mirò a sottomettere le grandi casate aristocratiche escludendole dalle cariche politiche e chiamando nel Consiglio reale giuristi non nobili, che avevano studiato diritto nelle università castigliane. Si preoccuparono anche di limitare il potere e controllare:  Ordini religioso-militari, che rappresentavano una sorta di Stato nello Stato, nominando Ferdinando come gran maestro di questi.  Città, nominando funzionari che avevano il compito di controllare la vita della comunità attraverso l’esercizio di funzioni amministrative e giudiziarie. Sul piano finanziario, accrebbero le entrate grazie a un’imposta indiretta che colpiva tutte le transazioni e riuscirono così a non convocare, per lunghi periodi, i ceti riuniti nelle Cortes; il loro potere fu poi ulteriormente ridimensionato quando alle loro sessioni non parteciparono più il clero e la nobiltà. Nel 1492 portarono finalmente a compimento la reconquista, occupando Granada dopo un lungo assedio; ne conseguì la cacciata degli ebrei e un progressivo inasprimento della politica nei confronti dei musulmani che furono obbligati a conversioni forzate e battesimi di massa. La morte di Isabella (1504) pose un problema di successione: la corona sarebbe spettata alla figlia Giovanna, che aveva sposato Filippo il bello, figlio dell’imperatore Massimiliano, ma la morte di quest’ultimo (1506) e la pazzia di lei risolsero la crisi dinastica; Ferdinando continuò a governare entrambi i regni e, con l’occupazione del regno di Navarra (1512), riuscì a portare a compimento l’unificazione della Spagna. L’INGHILTERRA Uscito vincitore dalla guerra delle due rose, Enrico VII Tudor si occupò di restaurare l’autorità della monarchia contro le congiure feudali e si guadagnò così il consenso degli abitanti delle città e della piccola e media nobiltà. Egli governò nel consiglio privato con un ristretto numero di uomini di sua fiducia e si servì della corte della Camera stellata, un tribunale che si occupava di reati politici e colpì con durezza disordini e rivolte. Accrebbe il proprio patrimonio fondiario con le terre confiscate ai nobili ribelli e ciò gli consentì di convocare solo una volta il Parlamento; esso era composto di due camere: Camera dei lord ( > nobili titolati e titolari di alte cariche ecclesiastiche) e Camera dei comuni ( > rappresentati di contee e borghi). A Enrico VII successe il figlio Enrico VIII che nei primi anni si impegnò, senza molto successo, nelle guerre continentali e lasciò invece la guida del governo al cardinale Wolsey. REGNO DI POLONIA Si va unendo alla Lituania, verso la fine del 1300 (-86), e diviene una realtà territoriale molto ampia. E’ una sorta di opposizione a ciò che si stava affermando nei grandi stati occidentali: la corona polacca è condizionata da una nobiltà che pretende di mantenere le proprie prerogative, tanto da rendere elettiva la corona; il sovrano in realtà non poteva concretizzare nulla in autonomia perché era tutto in mano a una Dieta: un senato (magnati e vescovi) e una camera (piccola nobiltà); non c’era rappresentanza né per il clero né per contadini, bloccati in una condizione servile. Il regno si allarga poi anche Boemia e Ungheria, che calcano ancora di più su questa sorta di dipendenza dall’aristocrazia che rende sempre più debole la monarchia. LA RUSSIA Il fondatore dello Stato russo fu Ivan III il grande, che occupò la repubblica di Novgorod. Egli limitò subito il potere dell’aristocrazia, i boiari, ai quali contrappose un ceto di nuovi nobili legati al servizio della monarchia attraverso la concessione di terre che potevano essere revocate ad arbitrio del sovrano. Importò poi dall’Occidente le armi da fuoco e adottò le nuove tecnologie militari per la costruzione di fortezze, accrescendo così la pressione fiscale sul mondo contadino. Unico sovrano di fede ortodossa, Ivan sposò una nipote dell’ultimo imperatore di Costantinopoli e si pose come erede spirituale della corona bizantina. Di conseguenza, Mosca si poneva come la terza Roma, erede di Bisanzio che era subentrata a Roma con lo scisma d’Oriente (1054) ma che aveva ormai perduto la sua funzione dopo la conquista ottomana; lo Stato russo era così investito del compito di garantire la vittoria del cristianesimo ortodosso e dell’elemento slavo sul paganesimo e sul cattolicesimo. L’opera di Ivan III fu proseguita dal nipote Ivan IV il terribile, che assunse formalmente il titolo di zar nel 1547. Molto più incisiva e brutale fu l’azione della sua monarchia: ▫ Per limitare i poteri della grande nobiltà contrappose alla Duma, dominata dai boiari, un’assemblea composta da esponenti dei ceti; ▫ Sancì l’asservimento del mondo contadino con alcuni decreti; ▫ Formò il primo esercito di professione; ▫ Instaurò relazioni con gli inglesi e gli olandesi per proseguire la politica espansionistica. Nel 1560 la morte della moglie, che aveva arginato le tendenze violente del suo carattere, aprì una seconda fase del suo regno nel quale egli colpì con estrema crudeltà tutti coloro che riteneva suoi oppositori; l’aumento della pressione fiscale per coprire le spese militari e le violenze contro la popolazione portarono il paese a uno stato di grave prostrazione. Nel periodo Ming vi furono un notevole sviluppo delle manifatture e una crescita dei centri urbani. Venne riportato in auge il confucianesimo: non si trattava di una religione ma un insieme di dottrine che ponevano una serie di regole per il buon funzionamento della comunità, valorizzando il rispetto delle gerarchie e l’obbedienza delle autorità. Nella seconda metà del XVI secolo il regime fu indebolito da aspre lotte di fazione e scoppiarono numerose rivolte contadine, provocate dal malcontento per il prelievo fiscale e da una serie di carestie e inondazioni. Nel 1644 il capo di una delle rivolte contadine entrò a Pechino e l’imperatore si impiccò; allora i manciù, un gruppo di tribù stabilite in Manciuria, si insediarono nella capitale e, represse le ribellioni, diedero vita alla dinastia Q’ing. GIAPPONE Caratterizzato da un dualismo istituzionale: ▫ Corte dell’imperatore → primo nucleo di organizzazione politica basato sul modello cinese e formatosi a Heian Kyo, a partire dal VII secolo; tuttavia ebbe autorità limitata. ▫ Shogunato → carica ereditaria, affermatasi a Edo, che prevede l’assunzione il governo effettivo del paese. Nel XIII secolo lo shogunato perse parte della sua autorità in quanto in grandi proprietari terrieri delle province si trasformarono in signori fondiari autonomi che disponevano di guerrieri di professioni legati a essi da vincoli di fedeltà; ne derivò un lungo periodo di endemiche guerre civili che portarono alla completa frantumazione del Giappone. Nella seconda metà del XVI secolo Tokugawa Jeyasu, membro di una ricca famiglia di militari, si fece nominare shogun e diede avvio a una nuova lunga fase della storia giapponese: l’era Edo (o Tokugawa). Religione nazionale era lo shintoismo, che considera tutti i fenomeni naturali come espressione di forze divine, ma non veniva concepito come un culto religioso in senso proprio; infatti la partecipazione ai suoi riti non preclude la possibilità di aderire ad altre religioni o dottrine filosofiche. Ha avuto una funzione importante in chiave nazionale perché ha fornito la legittimazione del potere dell’imperatore, ritenuto di natura divina in quanto discendente dalla suprema divinità: Amaterasu, la dea del sole. I Tokugawa favorirono però la diffusione del confucianesimo, che consisteva un valido sostegno del regime grazie alla sua dottrina che giustificava le gerarchie sociali ( → società fondata sulla divisione in quattro classi) e insegnava la virtù dell’obbedienza. Vi fu tuttavia un notevole sviluppo economico che modificò la rigida struttura sociale e favorì l’aumento della popolazione e lo sviluppo delle città. La politica del paese chiuso favorì lo sviluppo dell’economia e pose le premesse per il processo di industrializzazione che si sarebbe realizzato nell’ottocento, con l’abolizione della struttura feudale e l’apertura alle tecnologie straniere. AMERICA PRECOLOMBIANA La base dell’economia era l’agricoltura che, grazie alle sue rese molto alte, permise a parte della popolazione di dedicarsi all’artigianato ed altre attività. L’allevamento non era molto praticato. Agli inizi del XVI secolo, quando arrivarono gli spagnoli, in America esistevano civiltà millenarie che avevano sviluppato forme di organizzazione politica, economica e sociale di livello assai elevato: • Aztechi (impero dei Mexica) → non era uno Stato unitario ma una sorta di federazione di popoli sottomessi; infatti, gli aztechi non annettevano i territori conquistati ma si accontentavano di controllarne il commercio e di imporre tributi. La società era articolata in classi, secondo una rigida gerarchia sociale. Credevano in un ordine cosmico, al quale erano sottomessi, ed avevano un gran numero di divinità che adottavano anche dai popoli sottomessi; tali divinità erano personificazioni delle forze della natura, dalle quali dipendevano la prosperità o la rovina della società. • Maya (Messico e America centrale) → conosceva la scrittura e usava un sistema di numerazione vigesimale; osservazioni astronomiche, calcolo dei cicli dei pianeti ( > studio degli astri come divinità); quando giunsero gli spagnoli erano in una fase di declino in quanto, frantumatasi l’unità politica, erano divisi in una molteplicità di stati minori. • Inca (regione andina) → Crearono un impero centralizzato, il più potente dell’America precolombiana, grazie a un solido apparato burocratico: il sovrano, ritenuto di natura divina, guidava dal centro l’impero con un ristretto gruppo di consiglieri mentre le province erano rette da governatori che amministravano la giustizia. La popolazione era invece suddivisa in gruppi su base decimale, così da impiegare in modo razionale tutti gli uomini disponibili nei servizi dovuti allo stato. LE SCOPERTE GEOGRAFICHE Alla radice delle grandi scoperte geografiche vi furono esigenze di carattere economico, in particolare il desiderio di trovare una nuova via per raggiungere le Indie. Molto importante fu il ritorno in circolazione dei testi classici che concorsero a radicare negli uomini colti d’Europa la convinzione della sfericità della terra e stimolarono la riflessione sulle grandi questioni geografiche e astronomiche. Fu il Portogallo a dare avvio, nel XV secolo, ai viaggi di esplorazione con una ricognizione della costa occidentale dell’Africa, iniziata con l’occupazione della città commerciale di Ceuta; consapevoli delle limitate possibilità di sviluppo agricolo del Portogallo, infatti, i sovrani si appoggiarono sui ceti mercantili favorendo le attività commerciali e le costruzioni navali. I portoghesi miravano a controllare i terminali del commercio transahariano che lungo le vie carovaniere portava oro, avorio e schiavi sulle coste occidentali del continente; qui stabilirono una serie di scali commerciali che furono poi trasformati in base fortificate. Negli anni seguenti maturò progressivamente la convinzione che fosse possibile circumnavigare l’Africa per raggiungere le Indie via mare e acquistare le spezie senza l’intermediazione veneziana, anche in considerazione dell’aumento di prezzo provocato dalle difficoltà dei traffici mediterranei in seguito alla conquista ottomana di Costantinopoli. CRISTOFORO COLOMBO Egli aveva una notevole esperienza marinara, avendo viaggiato molto come agente di grandi ditte commerciali genovesi, ma aveva appreso anche elementi essenziali del latino e letto opere di geografia e cosmografia. Si appassionò all’idea di sfruttare la forma sferica della Terra per raggiungere, navigando verso occidente, l’Oriente e l’impresa gli apparve praticabile a causa di un errore nel calcolo della circonferenza terrestre, ritenuta molto minore di quella reale. Giovanni II decise però di non finanziare il progetto perché aveva deciso di concentrare i suoi sforzi nel tentativo di circumnavigare l’Africa. Allora Colombo trovò clima favorevole nella Spagna dei re cattolici, che gli assicurarono una quota dei proventi dell’impresa. Il 3 agosto 1492 prese il mare dal porto di Palos e, dopo aver effettuato un lungo scalo alle Canarie, iniziò il viaggio. Dopo 36 giorni di navigazione fu raggiunta la terra: un’isola delle Bahamas ( > San Salvador) e, in seguito, Cuba e Haiti ( > Hispaniola). Dopo la prima navigazione Colombo fece altri tre viaggi:  1493-96  1498-1500  1502-1504 Scoprì molte isole caraibiche e giunse fino in Costarica ma solo nel terzo viaggio toccò il continente americano, alle foci del fiume Orinoco in Venezuela. Egli scambiò questi territori per le isole del Giappone ma non vi trovò le ricchezze sperate. Colombo incontrò inoltre molte difficoltà nel far valere la sua autorità e fu accusato di malgoverno, arrestato e riportato in patria; qui fu poi liberato ma privato dei suoi titoli. Subito dopo il suo ritorno, i sovrani spagnoli ottennero dal papa spagnola la bolla Inter coetera che fissava una linea immaginaria a 100 leghe a ovest delle isole di Capo Verde e assegnava terre e mari al di là di essa come area esclusiva di esplorazione spagnola. Giovanni II allora negoziò con la Spagna il trattato di Tordesillas, ottenendo uno spostamento della linea di demarcazione per il quale sarebbe rientrato nell’orbita portoghese il Brasile (ancora sconosciuto). La legittimità delle bolle papali e del trattato ispano-portoghese fu contestata dagli Stati che ne erano stati esclusi e che furono spinti dall’impresa di Colombo a promuovere viaggi di esplorazione: ▪ Inghilterra → Giovanni Caboto: tenta di raggiungere le Indie attraverso una rotta più settentrionale e arriva alle coste dell’America del nord. ▪ Francia → Giovanni da Verrazzano L’IMPERO PORTOGHESE Nel luglio del 1497 la corona portoghese affidò una nuova spedizione a Vasco da Gama, esperto navigatore ma anche soldato e nobile diplomatico, che portò a compimento la circumnavigazione dell’Africa: doppiato il capo di Buona Speranza, ottenne la collaborazione di un esperto pilota arabo che condusse la sua flotta fino alla costa indiana. Si aprì così la nuova via per le Indie. Il compito di consolidare questa rotta commerciale fu affidato a una nuova spedizione comandata dal nobile Pedro Alvarez Cabral che, allontanatosi dalla costa per intercettare il corso dei venti, compì una larga deviazione e giunse a toccare le coste di una terra sconosciuta; ne prese possesso a nome del Portogallo e le diede il nome di Terra della vera croce ( > Brazil). La volontà dei portoghesi di imporre il proprio predominio nell’Oceano Indiano si scontrò con gli interessi dei mercanti musulmani e dei sovrani indiani che controllavano i traffici con i porti orientali del Mediterraneo; allora i portoghesi costruirono una serie di fortezze a protezione dei loro empori e cercarono di stringere o imposero con la forza accordi commerciali con i sovrani locali. In seguito il Portogallo aprì una linea di commercio anche con il Giappone (1543) e, grazie a un accordo con l’impero cinese, fondò una colonia commerciale a Macao (1557) ma fallì il tentativo di occupare Aden e chiudere il mar rosso, per cui il commercio portoghese si aggiunse a quello veneziano ma non lo soppiantò. LA CONQUISTA Con il viaggio di Magellano si conclude l’era delle grandi esplorazioni: la cognizione dell’unità del globo terrestre era ormai acquisita, anche se restavano molte zone da esplorare e si ignorava l’esistenza dell’Australia; comincia allora l’epoca della conquista e della colonizzazione delle terre. Nel 1495 un decreto dei sovrani spagnoli concesse a tutti i sudditi che volevano cercare fortuna nelle nuove terre il permesso di partire ma con l’obbligo di riservare alla corona il 10% dei beni e dei profitti negli scambi commerciali. Questi si insediarono in una prima fase nelle isole caraibiche, dove incontrarono popolazioni primitive, e contemporaneamente fu avviata l’esplorazione della terraferma, soprattutto alla ricerca di schiavi. Così gli spagnoli vennero a contatto con i maya e cominciarono ad avere notizia dell’esistenza a nord di un vasto e ricco impero, dando inizio all’epoca dei conquistadores: ▪ Hernan Cortes → Ricevuto dal governatore di Cuba l’incarico di verificare la veridicità delle voci sull’impero, costeggia lo Yucatan e sbarca sulla costa messicana dove fonda la città di Vera Cruz. Inizia poi la marcia verso l’interno e non incontra resistenze, anzi fu accolto come un liberatore dai popoli alla Dieta di Worms ma si scontrò con la protesta di sei principi e quattordici città che avevano aderito alla Riforma. L’anno seguente il principale collaboratore di Lutero, Filippo Melantone, presentò una versione moderata dei principi della teologia luterana → Dieta di Augusta. Caduta però ogni possibilità di accordo per l’intransigenza dei teologi cattolici, i principi luterani rifiutarono l’invito di Carlo V a sottomettersi e si unirono alla lega di Smalcalda, guidata dai duchi di Sassonia e di Assia. LA RIFORMA NELLA SVIZZERA TEDESCA Ulrich Zwingli, cappellano della cattedrale di Zurigo, aveva già maturato l’aspirazione a un ripristino della semplicità evangelica quando l’esempio di Lutero lo spinse a mettersi apertamente sulla via della Riforma. Zwingli sostiene la necessità che la città accetti una religiosità puramente evangelica, puntando a uscire a rapidamente dalla chiesa di Roma senza rinunciare tuttavia a un rapporto diretto con le tradizioni di partecipazione locale. Ritiene di poter operare per un rilancio della religiosità grazie all’appoggio dei poteri locali, legandosi subito alle autorità città; si pone su posizione alternative a chi contestava sia la Chiesa che gli equilibri di potere sociale ed economico. Supportato dal Consiglio civico di Zurigo, Zwingli poté smantellare, fondandosi unicamente sull’autorità della Bibbia, l’edificio della Chiesa cattolica e stabilire in città il culto riformato. Tutti i principali aspetti della sua azione riformatrice si ricollegavano all’umanesimo di impronta erasmiana e si basavano sull’antitesi tra carne e spirito // visibile e invisibile ( > Elogio della follia): ▪ Abolì le immagini sacre e la musica, in quanto la fede è spirituale e deve prescindere dagli aspetti materiali. ▪ Negò ogni presenza reale dell’eucarestia, che egli concepì come una semplice commemorazione dell’ultima cena (verbo “est” = rappresenta). Da Zurigo la riforma si diffuse in molte città della Svizzera ma ciò comportò un inevitabile conflitto con i cantoni originari, rimasti cattolici. Per contrastare i cantoni cattolici e i loro alleati (Papa e imperatore), Zwingli concepì una lega europea e tentò di stabilire un accordo con i luterani, che però si rivelò impossibile a causa della presenza dell’eucarestia. Alla fine i cantoni protestanti dovettero combattere da soli e furono sconfitti nella battaglia di Kappel (ottobre 1531), nella quale perse la vita lo stesso Zwingli; per effetto di questa sconfitta, l’espansione della Riforma nella Svizzera tedesca si arrestò. JEAN CAUVAIN Solida formazione umanistica. Nel 1534 fu costretto a lasciare la Francia per sfuggire alle persecuzioni lanciate contro gli eretici da Francesco I e si rifugiò a Basilea, dove pubblicò un’opera in cui esponeva la sostanza della sua dottrina. Il pensiero di Calvino è incentrato sul principio dell’onnipotenza di Dio, sovrano assoluto di tutto il creato, che egli governa nella sua infinita sapienza secondo i suoi imperscrutabili disegni → dottrina della doppia predestinazione: Dio crea solo pochi preordinati alla salvezza mentre destina la maggior parte dell’umanità alla perdizione eterna; l’elezione è un atto di misericordia, per il quale i prescelti non possono vantare alcun merito. Per Calvino è inutile macerarsi nel timore e nell’attesa del proprio destino perché esso è già deciso e immodificabile. La grazia divina obbliga il cristiano a vivere nella fiducia che Dio lo abbia scelto, impegnando ogni attimo della sua esistenza per celebrare nel mondo la sua gloria. Sostanziale diversità sta nel concetto di Chiesa di Calvino rispetto a quello di Lutero: quest’ultimo non aveva mai dato grande importanza alla realtà terrena, orientando tutta la vita del cristiano nell’attesa del regno di Cristo, mentre Calvino riteneva che il corso della storia fosse governato dalla Provvidenza divina; pertanto la chiesa calvinista si poneva come una chiesa militante, impegnata ad agire nel quadro della storia, per realizzare i disegni divini. Lasciata Basilea, si reca in Italia, a Ferrara, e poi a Ginevra; qui decise di stabilirvisi per aiutare l’amico Guillaume Farel nel suo tentativo di consolidare la recente adesione della città alla Riforma ma dovette scontrarsi con gli orientamenti del governo cittadino, che nel 1538 lo esiliò. Nel 1541 però fu richiamato a Ginevra, dove l’oligarchia patrizia si era resa conto che era indispensabile ricorrere alla sua guida spirituale e capacità di organizzatore. Subito dopo il suo rientro in città, Calvino gettò le basi della struttura della sua Chiesa che divise in quattro ordini, sul modello del Nuovo Testamento: ▪ Pastori → culto e predicazione; ▪ Dottori → educazione e difesa dell’ortodossia; ▪ Diaconi → assistenza ai malati; ▪ Dodici anziani laici scelti dal Consiglio cittadino fra i suoi membri; essi avevano il compito di vigilare sulla vita cristiana dei cittadini nei dodici distretti nei quali era divisa la città. Calvino garantì l’indipendenza della Chiesa dallo Stato, che non poteva intromettersi nella vita della comunità riformata, ma tuttavia impose una rigorosa disciplina che poneva la legge della Bibbia alla base di tutta la vita religiosa ma anche politica, sociale, economica. Non mancarono polemiche e contrasti con le autorità cittadine ma la sua azione riformatrice era ormai legata alla città perché si impose come principale garante della sua autonomia: Ginevra si era resa repubblica indipendente proprio grazie all’adesione alla riforma. Il calvinismo divenne l’ala marciante della Riforma in virtù di questo suo attivismo e si diffuse: ▪ Germania ▪ Francia → ugonotti (1/5 della popolazione francese), protagonisti delle guerre di religione che dilaniarono il regno nella seconda metà del cinquecento; ▪ Paesi Bassi ▪ Ungheria, Polonia, Boemia ▪ Inghilterra → l’influenza del luteranesimo coinvolse in una prima fase solo ristretti ambienti intellettuali, quindi il distacco della Chiesa fu originato da cause esclusivamente politiche. La Chiesa anglicana si aprì solo in seguito alle dottrine protestanti. La chiesa anglicana assume un’impronta protestante Il distacco dell’Inghilterra dalla Chiesa di Roma era stato originato da cause esclusivamente politiche: Enrico VII desiderava un erede maschia che non era in grado di dargli la moglie Caterina d’Aragona ma alla sua richiesta di annullamento del matrimonio il papa Clemente VII, che dopo il sacco di Roma era legato alla Spagna, rispose negativamente per non urtare Carlo V, nipote di Caterina. Allora Enrico fece votare dal Parlamento provvedimenti che ruppero tutti i rapporti con la Chiesa e lo dichiaravano capo supremo della Chiesa inglese ( → atto di supremazia – 1534); ottenne così la dichiarazione di nullità del matrimonio con Caterina e la legittimazione dell’unione con Anna Boleyn, una dama di corte. Il distacco della Chiesa inglese da Roma fu uno scisma senza eresia: sul piano dottrinale e liturgico nulla cambiò, tant’è che Enrico VIII continuò a perseguire i protestanti. A Enrico succedette il figlio Edoardo VI, un fanciullo di dieci anni e di salute cagionevole; i protettori che governarono in suo nome aprirono la Chiesa anglicana all’influenza delle dottrine protestante. Le cose mutarono con l’avvento al trono di Maria Tudor, figlia di Enrico e Caterina, che sposò (1554) Filippo, figlio di Carlo V, e si impegnò in un tentativo di restaurazione cattolica. Nel 1558 salì infine sul trono la figlia che Enrico VIII aveva avuto da Anna Boleyn, Elisabetta, sotto il cui regno la Chiesa anglicana trovò finalmente un assetto stabile e si legò definitivamente al mondo protestante. Dopo la rivolta dei cattolici nelle contee del Nord e la scomunica (1570) da Pio V, assunse un atteggiamento severo verso il dissenso cattolico e si schierò a favore di ugonotti francesi e ribelli olandesi. LA CONTRORIFORMA Il termine entra in uso alla fine del XVIII secolo per designare il processo attraverso il quale un territorio passato alla Fede protestante era ricondotto con la forza all’obbedienza nei confronti di Roma; il concetto poi si ampia e indica anche l’opera di rinnovamento della Chiesa cattolica culminata nel concilio di Trento. Quanto fosse sentito e diffuso il bisogno di un rinnovamento della Chiesa è dimostrato anche dalla nascita di molti nuovi ordini religiosi impegnati nella società, sorti da iniziative spontanee, maturate nel corpo della cristianità e successivamente approvate e adottate dall’autorità ecclesiastica. Il clima cominciò a mutare con il papato di Paolo III Farnese, che nominò una commissione di cardinali e altri prelati per elaborare un progetto di riforma della Chiesa; nel 1536 la commissione emise un parere che denunciava i molti i mali che impedivano alla Chiesa un corretto esercizio della sua funzione pastorale ma i non facili rapporti con Carlo V allontanarono la convocazione del concilio. Nel frattempo le opere di Lutero e degli altri riformatori si diffondevano in Italia e trovavano simpatie e adesioni in diverse città e in tutti gli strati della società. Si diffusero posizione non ben definite, sensibili alle istanze della Riforma ma non disposte a un’aperta rottura con Roma, e si manifestò la formazione di gruppi clandestini che speravano si potesse ricomporre i dissensi sulla base di un rinnovamento della Chiesa che venisse incontro ad almeno alcune proposte dei riformatori. Di fronte alla crescente diffusione delle dottrine ereticali, Paolo III promosse una stretta repressiva con la nascita della congregazione cardinalizia del Sant’Uffizio o dell’Inquisizione (1542), presieduta dal papa, con il compito di riorganizzare e dirigere dal centro le rete dei tribunali dell’Inquisizione istituiti nel Medioevo. Si intensificò allora il fenomeno delle fughe dall’Italia dei seguaci delle dottrine protestanti per sottarsi alla persecuzione inquisitoriale. Nel 1545 si aprì finalmente a Trento il concilio: Carlo V suggerì di non affrontare per prime le questioni teologiche ma di promuovere innovazioni sul piano morale e disciplinare, nella speranza di un compromesso con le chiese protestanti, incontrando però il dissenso del concilio che chiuse la porta a ogni dialogo. La decisione di spostare il concilio a Bologna (1547), con il pretesto di un’epidemia di tifo, fu un nuovo motivo di conflitto tra il papa e Carlo V; di conseguenza, i lavori proseguirono senza risultati fino alla morte del pontefice (1549). Il concilio si riaprì a Trento nel 1551, sotto il nuovo papa Giulio III Del Monte, ma fu nuovamente sospeso nel 1552 per la ripresa della guerra. Nel 1555 il quadro mutò radicalmente con l’elezione del papa Paolo IV, favorevole a una dura repressione dell’eresia a difesa dell’ortodossia: si guardò bene dal riconvocare il concilio e preferì perseguire una politica di accentramento e rafforzamento del primato del papa, fondato in particolare sulla centralità dell’inquisizione. Alla morte di questi, il nuovo papato di Pio IV Medici segnò una svolta rispetto alle linee del predecessore e sotto il suo pontificato poté svolgersi l’ultima fase del concilio (1562-63):  Condanna come eretiche le dottrine delle chiese protestanti;  Viene confermato il testo latino di Girolamo come versione ufficiale della Bibbia e i fedeli erano obbligati ad attenersi all’interpretazione della Chiesa;  Viene ribadita la dottrina cattolica sul numero, sulla natura e sulla validità dei sacramenti;  Viene definita la dottrina delle indulgenze e ribaditi l’esistenza del purgatorio e il culto dei santi. Il concilio provvide anche a un rinnovamento morale e disciplinare della compagine ecclesiastica con l’istituzione di seminari per la formazione del clero e l’obbligo del celibato e dell’abito talare. Sul piano militare la Francia riuscì a sconfiggere le forze nemiche nella battaglia di Ravenna (1512) ma l’arrivo di un corpo di spedizione svizzero costrinse Luigi XII a lasciare Milano, dove rientrò il figlio di Ludovico il Moro, Massimiliano; la sconfitta francese segnò anche la fine della prima repubblica fiorentina, che era nata e si era mantenuta all’ombra della Francia, dove si ristabilì la signoria dei Medici, il cui potere fu rinsaldato quando alla morte di Giulio II (1513) fu eletto papa il figlio di Lorenzo, Leone X. Nel 1515 morì senza eredi diretti Luigi XII e il trono francese passò quindi a Francesco I che scese in Italia con un forte esercito e affrontò le truppe unite di Spagna, Impero e ducato di Milano. La battaglia segnò la sconfitta dei mercenari svizzeri dando inizio al declino della grande potenza militare elvetica. La Francia occupò Milano e stipulò un trattato di pace perpetua con gli svizzeri i quali occuparono Locarno e il restante territorio dell’attuale Canton Ticino. L’equilibrio fu poi sancito con la pace di Noyon (1516) che lasciava i francesi a Milano e gli spagnoli a Napoli. CARLO V E LA RIPRESA DELLE GUERRE D’ITALIA Carlo d’Asburgo, figlio di Filippo il bello (Massimiliano I e Maria di Borgogna) e Giovanna, cresce nelle Fiandre, in un’ambiente dominato dagli ideali cavallereschi e dalla tradizione borgognona, a differenza del fratello minore Ferdinando, nato ed educato in Spagna presso i nonni materni. Alla morte improvvisa del padre (1506) divenne sovrano dei Paesi Bassi che però furono affidati alla zia Margherita d’Austria per via della sua giovane età. Nel 1515 divenne maggiorenne e poté così assumere il governo dei Paesi Bassi; alla morte del nonno Ferdinando, nel 1516, ereditò poi anche il trono di Spagna. Recatosi in Spagna, nel 1517, dovette confrontarsi con la difficile realtà di uno stato formato da due regni distinti e attraversato da conflitti sociali e religiosi e da forti tensioni autonomistiche. La morte del nonno Massimiliano I (1519) portò a Carlo i domini ereditari austriaci e aprì il problema della successione imperiale, alla quale era il naturale candidato: questa prospettiva era pericolosa per la Francia che, accerchiata dai domini asburgici, si sarebbe vista preclusa ogni mira espansionistica e quindi Francesco I pose la sua candidatura alla corona imperiale che però non fu accettata; allora il 28 giugno 1519 venne eletto all’unanimità Carlo V come imperatore del Sacro Romano Impero. Carlo V lasciò allora la reggenza spagnola al suo precettore Adriano di Utrecht e partì per fiandre ma allora esplose il malumore degli spagnoli con la rivolta delle città ( > comuneros); la rivolta si estese rapidamente e assunse una matrice popolare, avanzando rivendicazioni di ordine sociale contro il potere dei nobili e dei ricchi, ma la sconfitta degli insorti a Villalar (aprile 1521) pose fine al movimento. Carlo V intanto si trovò subito ad affrontare una situazione complessa in Germania dove l’unità religiosa era minacciata dal dilagare del luteranesimo, mentre Francesco I era sempre più intenzionato a dare battaglia. Allora Carlo fece in modo di garantirsi l’alleanza dell’Inghilterra e di Leone X e decise di lasciare i domini ereditari al fratello Ferdinando (1522). Nello stesso anno Francesco I decide di prendere l’iniziativa con un attacco fallimentare sui Pirenei e in Lussemburgo. La guerra si spostò poi in Italia dove la sconfitta della Bicocca obbligò i francesi a lasciare Milano, che fu affidato al governatore Gerolamo Morone in vista della restaurazione del secondogenito di Ludovico il Moro, Francesco II Sforza. Nel contempo si ebbero altri due eventi favorevoli alla causa asburgica:  Elezione a papa di Adriano di Utrecht > Adriano VI  Tradimento del conestabile Carlo di Borbone che, in urto con Francesco per la confisca di alcuni feudi familiari, passò al servizio dell’Impero. Il re di Francia riuscì a mettere insieme un nuovo esercito con il quale scese in Italia e si impadronì nuovamente di Milano (1524); quindi pose assedio a Pavia, essenziale per le comunicazioni con Genova e la Francia, e si preparò a una spedizione verso Napoli. L’assedio si protrasse per quattro mesi e ciò consentì l’arrivo dalla Germania di rinforzi che attaccarono di spalle l’esercito francese: Francesco I fu catturato e condotto a Madrid, dove venne costretto a firmare un trattato (gennaio 1526) con il quale  rinunciava a ogni pretesa in Italia e nelle Fiandre;  cedeva la Borgogna;  lasciava in ostaggio i suoi figli. Ma ottenuta la libertà non tenne fede alla parola data e organizzò una nuova coalizione con tutti gli stati intimoriti dallo strapotere asburgico: il re d’Inghilterra, Clemente VII Medici (figlio di Giuliano), Firenze, Venezia, Francesco II Sforza → lega di Cognac. A favore di Carlo V giocarono le divisioni e le reciproche diffidenze che minavano la lega e che impedirono un’efficace risposta all’offensiva delle truppe imperiali che occuparono Milano costringendo Francesco II Sforza alla resa. Quindi Carlo V lanciò un’offensiva contro la lega inviando in Italia un corpo di spedizione di lanzichenecchi che non incontrò resistenze da parte degli alleati e, comandato dal conestabile di Borbone, giunse fin sotto le mura di Roma. Ma quando il conestabile rimase ucciso, le truppe rimaste senza guida entrarono in città abbandonandosi a un terribile saccheggio; quando la notizia giunse a Firenze, l’oligarchia scacciò i Medici dalla città e instaurò la seconda repubblica fiorentina (1527-1530). L’anno seguente Francesco I riprese l’offensiva inviando un esercito che, occupata Genova, proseguì verso Sud nell’intento di scacciare gli spagnoli da Napoli: la capitale fu cinta d’assedio mentre dal mare era bloccata dalla flotta dell’ammiraglio genovese Andrea Doria ma l’impresa fallì quando questi decise di passare dalla parte di Carlo V, togliendo improvvisamente il blocco navale di Napoli. Privo di sostegno dal mare e colpito da un’epidemia di tifo, il corpo di spedizione francese dovette ritirarsi. La decisione di Andrea Doria mirava a realizzare un decisivo cambiamento della situazione politica della sua città: il 12 settembre 1528 Doria sbarcò a Genova e se ne impadronì, presentandosi come il restauratore della libertà cittadina e ispirò una riforma delle istituzioni cittadine, che diede vita a una repubblica oligarchica sul modello veneziano; da quel momento, però, Genova rimase vincolata all’alleanza della Spagna, che ne garantiva l’indipendenza. La svolta operata da Doria ebbe un esito decisivo sul conflitto perché diede a Carlo V una potenza navale alla quale la marina francese non era in grado di opporsi. Fallita anche l’ultima offensiva francese in Italia, si giunse alla pace di Cambrai (1529) negoziata tra la madre di Francesco I (Luisa di Savoia) e la zia di Carlo V (Margherita d’Austria): ▪ Francia → rinuncia a ogni pretesa nella penisola ma conserva la Borgogna ed a Francesco I furono restituiti i figli dati in ostaggio (1526). ▪ Carlo V → raggiunge un accordo con Clemente VII che gli dà l’investitura del regno di Napoli, gli concede il libero transito delle sue truppe nei territori pontifici e acconsente a un’incorporazione nei domini asburgici dello Stato di Milano. In cambio Carlo V si impegnò a restaurare il dominio dei Medici a Firenze: dopo un lungo assedio da parte delle truppe imperiali e una strenua resistenza, la città dovette arrendersi nell’agosto 1530; il potere fu dato ad Alessandro dei Medici che ebbe da Carlo V anche il titolo di duca, realizzando così anche a Firenze, ultimo grande comune italiano, la transizione dal regime repubblicano al principato. IL SOGNO IMPERIALE DI CARLO V Con la pace delle due dame, il conflitto franco-asburgico raggiunse un punto di equilibrio che non poté più essere modificato se non per aspetti radicali: si stabilì il predominio spagnolo nella penisola e venne a cadere quindi la centralità del problema italiano nella politica di Carlo V. Decisiva fu anche la conquista dei domini americani dove i due vicereami delle Indie conferirono al suo impero una dimensione planetaria. LA LOTTA CONTRO L’IMPERO OTTOMANO Ungheria Fin dal 1520 gli Asburgo avevano dovuto fronteggiare sul confine orientale dell’Impero la minaccia che l’impero ottomano faceva gravare sul regno cristiano di Ungheria, stato cuscinetto che separava i due rivali. Nell’estate 1526 il sultano Solimano il Magnifico riuscì a sconfiggere l’esercito ungherese e negli anni seguenti i turchi proseguirono la loro offensiva fino a giungere sotto le mura di Vienna (1529). Alla fine le difficoltà logistiche dell’impresa, troppo lontana dalle sue basi di partenza, indussero Solimano a desistere e firmare la pace (1533), per cui a Ferdinando fu riconosciuto il possesso di una parte minore del territorio ungherese ( > Ungheria imperiale). Nel 1540 il conflitto si riaprì: il sultano con una spedizione militare occupò la maggior parte del territorio ungherese e lo annetté direttamente all’impero ottomano ( > trattato tra Ferdinando e Solimano nel 1562); fino alla fine del seicento i domini asburgici si trovarono così a diretto contatto con l’impero ottomano lungo una linea di confine che distava pochi chilometri da Vienna. Mediterraneo Nel 1535 Francesco I, sempre animato dal desiderio di riaprire la partita in Italia, strinse un patto di alleanza con il sultano. Carlo V decise allora di preparare una spedizione verso le coste africane con la quale occupò la fortezza di La Goletta, che difendeva Tunisi, e riuscì a conquistare la città. Nel 1538 Carlo V riuscì a organizzare una flotta cristiana formata da navi spagnole e veneziane ( → era disposta a contribuire militarmente solo per difendere le sue linee di commercio e i suoi possedimenti in Oriente) ma fu un grave insuccesso. Un ultimo tentativo di contrastare la potenza ottomana sul mare fu fatto nel 1541 con l’obiettivo di conquistare Algeri ma una terribile tempesta distrusse la flotta e costrinse il resto della spedizione a ritornare in Spagna. Fino alla battaglia di Lepanto (1571) le potenze cristiane non furono in grado di contrastare la flotta ottomana. RIPRESA DELLA GUERRA FRANCO-IMPERIALE ▪ Alla morte del duca Francesco II Sforza, nel 1535, Carlo V decide di occupare lo stato di Milano: penetrò nella Savoia e l’anno successivo occupò Torino; il conflitto si trascinò tuttavia senza eventi risolutivi fino alla tregua dei dieci anni firmata a Nizza nel giugno 1538. Riuscì però a ottenere importanti successi ampliando i suoi domini nei Paesi Bassi. ▪ Nel 1541 anche Francesco I riprese le ostilità ma non riuscì a occupare Nizza, pur sostenuto dalla flotta ottomana. Si giunse così alla pace di Crepy (1544) che ribadiva lo status quo. Sul piano militare il conflitto era ormai giunto a una posizione di stallo: Carlo V tentò invano di recuperare Metz, che Enrico II aveva occupato, mentre i francesi restavano insediati in Savoia e nel Piemonte dal 1536. Nessuno dei due contendenti era ormai in grado di ottenere risultati significativi e perciò concordarono una tregua di cinque anni, nel febbraio del 1556. Enrico III decise di liberarsi dello strapotere della lega, facendo assassinare il duca di Guisa (1588), e si alleò con Enrico di Borbone per porre sotto assedio Parigi (luglio 1589). Il primo agosto, tuttavia, fu assassinato ma non prima di aver indicato come successore al trono Enrico Borbone, che a questo punto divenne re di Francia con il nome di Enrico IV; la presenza di un calvinista sul trono era una novità inaudita che contrappose drasticamente l’obbedienza al re e la fedeltà alla Chiesa. Enrico pose nuovamente l’assedio alla capitale, mentre Filippo II interveniva con le sue truppe nei Paesi Bassi, tuttavia l’intransigenza della capitale non era più seguita nel paese e acquisiva invece sempre più credito la posizione moderata dei politiques. La decisione di Enrico IV di convertirsi al cristianesimo pose le condizioni per la fine delle guerre civili: ora che il re non era più un eretico cadeva la necessità di combatterlo; nel marco 1594 Enrico IV entrò a Parigi e nei mesi seguenti tutte le province lo riconobbero come legittimo sovrano. Nel 1598 emanò l’Editto di Nantes, che pose fine alle guerre di religione: il cattolicesimo fu riconfermato religione dello Stato ma i calvinisti ottennero libertà di coscienza e culto e i diritti civili. LA GUERRA DEI TRENT’ANNI La pace di Augusta (1555) e l’editto di Nantes (1598) erano stati concepiti dalle due parti contrapposte come tregue, non come soluzione definitive dei contrasti confessionali; restava infatti la generale convinzione che non fosse l’unità politica senza l’unità di fede. Inoltre, le forze cattoliche erano animate particolarmente dalla volontà di riconquistare gli spazi perduti. LA FRANCIA (→ ENRICO IV E IL CARDINALE RICHELIEU) Pacificata la Francia, Enrico IV si accinse alla sua ricostruzione: ▫ Riordinò le finanze, riducendo il peso dell’imposizione fiscale; ▫ Rafforzò la struttura amministrativa servendosi di commissari straordinari per limitare i poteri dei governatorati; ▫ Regolò la questione della venalità delle cariche, riconoscendo l’ereditarietà degli uffici con il versamento di una tassa annuale ( > Paulette) e un pagamento al momento della cessione o trasmissione agli eredi. In politica estera, intendeva riprendere la tradizionale politica di alleanze in funzione antiasburgica ma la sua opera fu interrotta da un fanatico cattolico che lo assassinò nel maggio 1610. Il figlio Luigi XIII aveva solo nove anni e pertanto la reggenza fu affidata alla moglie Maria dei Medici, che affidò a un favorito che l’aveva seguita dalla Toscana, Concino Concini, e diede alla politica un indirizzo filospagnolo. In un clima di incipiente guerra civile a causa del costante pericolo di una rivolta armata della nobiltà, che rivendicava il suo ruolo nel governo dello Stato, Luigi XIII, dichiarato maggiorenne nel 1614, decise di prendere le redini del potere: fece assassinare il Concini e confinò Maria. In questa fase si impose sulla scena politica un giovane vescovo, duca di Richelieu, e assunse il ruolo di mediatore nel dissidio tra il re e sua madre, divenendo in breve il principale responsabile della politica francese. Richelieu si guadagnò il sostegno delle città e dei ceti produttivi incentivando il commercio e avviando l’espansione coloniale della Francia; infine affrontò il problema degli ugonotti i quali, grazie alle garanzie concesse dall’editto di Nantes, si sottraevano all’autorità regia: contro di loro promosse una nuova campagna militare che culminò nella presa della fortezza di La Rochelle (1628). A partire dal 1630 Richelieu si impegnò nel conflitto europeo per contrastare l’egemonia degli Asburgo ma per sostenere i costi di questa aggressiva politica estera fu necessario aumentare la pressione fiscale, provocando una serie di rivolte che coinvolsero sia i lavoratori delle città sia il mondo rurale; fu necessario allora inviare truppe e ingaggiare vere battaglie per riportare l’ordine. CHE COS’E’ LA MODERNITA’? La storia, per come noi la conosciamo, si è costituita nel corso del XIX secolo da studiosi europei che ritenevano l’Europa fosse il centro del mondo. Elemento centrale è stato il processo di nazionalizzazione dell’800; in seguito si sono criticate le storiografie nazionali, che però stanno alla base della storia moderna. A secondo delle tradizioni, la storia si allarga o si stringe per rispondere alle domande di diversi contesti culturali. La storia moderna inizia in uno spazio di tempo tra la metà del 400 e i primi decenni del 500, che fu caratterizzato da una serie di trasformazioni e innovazioni; datazione: • Pace di Lodi (1454) • Scoperta dell’America (1492) Furono gli umanisti che manifestarono la convinzione che stesse nascendo una nuova età, nella quale sarebbero ritornati i grandi modelli dell’antichità greco-romana dopo un periodo intermedio che ne aveva trascurato i valori fondamentali; in tal modo, il termine “moderno” si caricava di un valore positivo come fattore di innovazione e progresso. La disputa degli antichi e moderni che si sviluppò tra fine seicento e inizio settecento sancì l’affermazione nella coscienza europea della superiorità dei moderni, i quali disponevano di un patrimonio di conoscenze e di esperienze che consentiva loro di progredire oltre gli esempi del mondo classico. → affermazione delle idee illuministe > fiducia in un avanzamento illimitato della civiltà, che avrebbe potuto conoscere battute d’arresto ma che sarebbe comunque proseguito senza conoscere limiti. Il concetto di età moderna era espressione di un punto di vista laico, anticattolico, con quale sfumatura filo- protestante, incentrato sull’affermazione dell’individuo, che rivendica la capacità di costruirsi il proprio destino e conquista la propria libertà di pensiero e di coscienza; alla base vi era la fiducia nel progresso di una borghesia europea che si apprestava a vivere la seconda rivoluzione industriale ed a rappresentare il culmine del commino umano verso la civiltà. La storia moderna termina tra la seconda metà del 700 e i primi decenni dell’800 con ▪ la caduta dell’antico regime (1799), in seguito alla rivoluzione francese → Il revisionismo storiografico ha negato che la essa abbia rappresentato la fine del sistema feudale e aperto la strada all’avvento della società borghese, insistendo sui motivi di continuità tra antico regime e Francia rivoluzionaria e napoleonica. ▪ l’avvio della rivoluzione industriale → si è osservato che essa si estese agli altri paesi dell’Europa occidentale con notevole ritardo e che nella stessa Inghilterra non provocò una trasformazione repentina e radicale dell’assetto economico-sociale. Questa periodizzazione è apparsa sempre più inadeguata quando l’interesse della storiografia si è rivolto allo studio delle società e dei comportamenti individuali, che permangono sostanzialmente immutati per lunghissimo tempo. → si afferma la categoria della longue durée > focalizza l’attenzione dello storico su fenomeni che conoscono un’evoluzione lentissima (vita quotidiana, alimentazione, sessualità, famiglia, mentalità). DEMOGRAFIA Lo storico, per studiare la realtà economico-sociale e gli assetti politico-istituzionali, deve conoscere il numero degli individui che vivevano nell’epoca considerata sul territorio oggetto della ricerca. Il primo compito della demografia storica è quello di ricostruire: ▫ lo stato della popolazione, ovvero la sua struttura in base al sesso, all’età e allo stato civile; ▫ l’andamento demografico, ovvero l’analisi dell’evoluzione della popolazione sulla base degli indici di natalità, mortalità, matrimonio. Per le epoche più antiche, data l’assoluta mancanza di dati, si può pervenire solo a una stima: bisogna cercare di individuare l’area presumibilmente abitata e moltiplicare questo dato per un indice di sopravvivenza calcolato in base alle caratteristiche dell’economia e del territorio. Nel medioevo le rilevazioni della popolazione furono occasionali e limitate ad ambiti territoriali ristretti, promosse soprattutto per fini militari e fiscali; in generale, i censimenti sono scarsamente attendibili prima del XIX secolo. Per l’età prestatistica la fonte più importante è rappresentata dalle registrazioni tenute dagli ecclesiastici, che compaiono in modo frammentario a partire da XV secolo e diventano regolari, sempre più precise e ricche di informazioni, nei secoli seguenti. A partire dal secondo dopoguerra si è sviluppata una tecnica di utilizzo di questi registri ecclesiastici che ha consentito alla demografia storica di compiere straordinari progressi, ovvero la ricostruzione nominativa delle famiglie: trascrivere in una scheda le date di nascita e di morte di tutti i componenti di un nucleo familiare dal momento della sua costituzione fino alla sua dissoluzione. [pagina 25 manuale] crescita demografica L’Europa inizia a crescere esponenziale nel 1200. Nel 1400 un terzo della popolazione era stato decimato a causa della peste di metà 300, elemento di drammatica frattura. Segue una ripresa vorticosa, per tutti i tre continenti. Abbiamo una crescita che prosegue per i due secoli successivi ma che rallenta tra 600 (à stagnazione economica che si riflette in una stagnazione demografica; picco negativo: guerra dei trent’anni) e 700; la crisi del 600 investe molti ma non tutti, come Francia, Regno Unito, Paesi Bassi. La crescita piuttosto lenta della popolazione mondiale nel periodo tra la metà del 300 e la metà del 700 fu garantita da una lieve prevalenza del tasso di natalità sul tasso di mortalità; tuttavia il sistema demografico di antico regime era caratterizzato da un andamento per cicli e conosceva ricorrenti periodi di crisi con impennate di mortalità; principali fattori: ▫ Epidemie; ▫ Guerre → i progressi nella tecnica militare segnarono una profonda differenza rispetto all’età medievale e determinarono un aumento della mortalità, ma gli effetti della guerra sull’andamento demografico furono soprattutto indiretti: saccheggi e violenze ai danni dei civili, distruzione delle risorse, conseguenti carestie e diffusione delle malattie. ▫ Carestia → la causa principale era l’eccessiva dipendenza dell’alimentazione della maggior parte della popolazione dal consumo dei cereali, che forniva 2/3 delle calorie alla dieta delle classi inferiori; quando le sfavorevoli condizioni metereologiche provocavano cattivi raccolti si innescava la crisi: i contadini andavano incontro a una grave penuria di alimenti mentre l’aumento dei prezzi dei cereali colpiva anche i consumi dei lavoratori delle città, creando un contraccolpo negativo su tutta l’economia. La crescita riprende e conosce un forte impulso nella seconda metà del 700. E’ la stagione della crescita demografica ma anche culturale e socio-economica dell’Italia. !! Quando si parla di età di moderna si parla della stagione che va dalla fine del XV secolo al XIX secolo, all’interno della quale però va inserita la profonda cesura del XVII secolo; questa cesura è significativa per l’Italia ma non ha senso per il mondo dell’Europa settentrionale. Per far fronte all’aumento della popolazione nel 500 si applicò un ampliamento del terreno coltivato attraverso dissodamenti e bonifiche o con l’eliminazione di prati e pascoli e l’abbattimenti di foreste; ma la risposta estensiva comportava l’utilizzo di terre di minore qualità, che davano rese inferiori, e la riduzione dei pascoli limitava l’allevamento del bestiame, creando un conflitto tra agricoltura e allevamento. La disgregazione dell’economia di villaggio portò all’introduzione di recinzioni (enclosures), che consistevano in un superamento dell’agricoltura comunitaria del villaggio attraverso un processo di ricomposizione delle proprietà che ponesse fine al frazionamento e alla dispersione delle varie parcelle con la formazione di coltivazioni compatte. Questi mutamenti avvantaggiarono spesso i proprietari più ricchi anche perché talora i piccoli e medi proprietari, non potendo affrontare i costi della recinzione, erano costretti a vendere le loro terre. INDUSTRIA Novità: Due innovazioni importanti: la stampa e la polvere da sparo. Il settore tessile non conosce nuove tecniche eccetto lo sviluppo della lavorazione del cotone e della seta. Novità nel settore minerario e siderurgico: grazie alle ruote idrauliche e all’uso della polvere da sparo si riesce a scavare pozzi molto profondi che permettono l’estrazione di maggiori quantità di argento e rame + si raggiunge il punto di fusione del ferro. Le società preindustriali erano fondate sul legno ma diversi fattori ➢ Crescita demografica e conseguente aumento dei consumi domestici ➢ Disboscamento provocato dall’estensione dei terreni coltivati ➢ Incremento delle costruzioni navali e dell’impiego industriale Provocano una crescente scarsità di legname e dunque viene progressivamente impiegato il carbon fossile come nuova fonte energetica (fonte rinnovabile > fonte non rinnovabile, per la prima volta). Nel corso dell’età moderna la domanda di prodotti di lusso si ampliò progressivamente per le richieste provenienti dai gruppi sociali non aristocratici che avevano raggiunto una notevole ricchezza e prestigio sociale. Ma a incidere sull’economia del periodo fu soprattutto la domanda proveniente dallo stato per le esigenze legate all’armamento e all’approvvigionamento degli eserciti e delle flotte. Nelle campagne, la famiglia tendeva a produrre da sé ciò che necessitava e solo occasionalmente ricorreva all’acquisto di oggetti in città o in fiera. Nelle città invece era localizzata la maggior parte della produzione manifatturiera, su base individuale o famigliare, nella forma dell’artigianato, i cui vari settori erano organizzati nelle arti e corporazioni; le funzioni principali della corporazione erano la difesa del monopolio della produzione da possibili concorrenti esterni e la regolamentazione della concorrenza fra i membri in modo da gestire la stabilità degli equilibri interni. E’ una società in cui tutti si trovano riconosciuti in un ruolo fondato sul mestiere, sulla capacità di fare; elemento che permette di superare la vita grama perché è una sorta di onore. E’ fortemente gerarchica perché è legata a una serie di regole rigide: fin dall’infanzia, la persona era tenuta a compiere un apprendistato, per il quale i genitori pagavano, e poi, dopo anni, doveva sostenere un esame che comprovasse la sua capacità e gli permettesse di acquisire un titolo, che era un onore perché lo rendeva maestro in un’arte produttiva; solo allora poteva aprire bottega, che comunque non era cosa facile. Gli illuministi, nel settecento, svilupparono una dura polemica nei confronti delle corporazioni perché ritenute responsabili di ostacolare la libertà di lavoro e di essere ostili all’introduzione di innovazioni che avrebbero potuto alterare l’uguaglianza fra gli artigiani o sostituire il lavoro di molti. L’artigiano in genere lavorava su commissione, in quanto non poteva assumersi l’onere finanziario di produrre oggetti da costudire in magazzino; spesso la commessa veniva da un mercante che anticipava la materia prima e curava poi lo smercio del prodotto. Dunque gli artigiani, pur proprietario degli strumenti di lavoro, erano dipendenti dal mercante, che garantiva i rapporti con il mercato, ed erano pagati a cottimo ( → putting out system > fase di transizione verso la formazione dell’industria accentrata). Trasporti e commercio Rimase prevalente il trasporto su acqua, più veloce ed economico per la possibilità di sfruttare le correnti e il vento, rispetto al trasporto su terra che doveva utilizzare la forza muscolare di uomini e animali. Un contributo venne anche dai progressi della tecnica marinara: i perfezionamenti della bussola (uso del quadrante e dell’astrolabio) e i miglioramenti delle carte nautiche che resero possibile l’applicazione della scienza matematica al problema della determinazione del punto, creando le premesse per tentare la navigazione in mare aperto. Tuttavia il pericolo di naufragi, gli assalti della pirateria (vs guerra di corsa!) e i rischi di deterioramento della merce indussero a utilizzare il commercio marittimo per carichi ingombranti e di non grande valore, mentre per le merci di qualità e prezzo elevato fu preferito il trasporto via terra. All’inizio dell’età moderna il bacino mediterraneo rappresentava ancora un nodo centrale dei traffici commerciali tra Europa e Asia (Cina, India, Indonesia) ma questo periodo fu caratterizzato soprattutto dallo sviluppo dei traffici oceanici, resi possibili dai viaggi di esplorazione e dalle scoperte geografiche. Nel 1498 i portoghesi riuscirono a raggiungere l’India circumnavigando l’Africa, eliminando così la necessità dell’intermediazione veneziana e conquistando il controllo dei traffici con l’Asia. In seguito alla scoperta dell’America si aprì anche una corrente di scambi commerciali attraverso l’Atlantico, con la creazione di un impero spagnolo e l’occupazione portoghese del Brasile. Nel corso del seicento al declino della Spagna e del Portogallo corrispose l’affermazione di Olanda, Francia e Inghilterra come protagoniste dell’espansione europea, attraverso la colonizzazione dell’America Settentrionale. Il sistema monetario Le origini del sistema monetario dell’età moderna risalgono alla riforma realizzata da Carlo Magno, sul finire del secolo VIII, che istituì un sistema di monometallismo fondata su un’unica moneta di argento, il denaro; per comodità, poi, si iniziò quasi subito a utilizzare dei multipli del denaro, ovvero monete ideali che non erano effettivamente coniate. L’incremento degli scambi commerciali per effetto della crescita economica rese inadeguato un sistema basato su una singola moneta e si provvide perciò alla coniazione di multipli di denaro, passando a un sistema di bimetallismo in cui il valore della moneta era legato al valore dell’argento e dell’oro. Molto importante fu anche la diffusione della lettera di cambio: un atto notarile con il quale il mercante dava una somma di denaro a un altro mercante, il quale gli consegnava questa lettera nella quale si impegnava a restituire la somma ricevuta in un’altra località a un agente o corrispondente del datore. La rivoluzione francese rappresenta poi un momento di svolta: la Convenzione introduce un sistema decimale in cui l’unità monetaria, il franco d’argento, è diviso in monete di conto (lire, soldi, denari). Nel corso del XIX secolo si manifesta una tendenza verso il monometallismo aureo, destinato a durare fino alla prima guerra mondiale, con la circolazione di monete d’oro e biglietti di banca convertibili in queste. Dopo la seconda guerra mondiale il dollaro rimane l’unica moneta convertibile in oro, divenendo cardine delle relazioni commerciali internazionali fino alla sospensione della sua convertibilità nel 1971. ORGANIZZAZIONE SOCIALE Ogni membro del corpo sociale non era un individuo isolato dagli altri: ciascuno si inseriva nella comunità e partecipava alla sua vita in quanto parte del gruppo collettivo al quale apparteneva e dal quale dipendeva il suo status, in una scala gerarchica considerata perfetta perché riconducibile alla volontà divina. La società era fondata su una suddivisione in tre ordini distinti in base alla funzione svolta: o Oratores → Coloro che pregano, il clero. La chiesa deteneva ovunque una quota importante della proprietà fondiaria ( > beni inalienabili senza il permesso del papa ed esenti da imposte) e riscuoteva annualmente la decima per il mantenimento del clero, degli edifici di culto e dei poveri. o Bellatores → Coloro che combattono, la nobiltà. Emerse nell’età carolingia una classe feudale votata al servizio militare, principale obbligo del vassallo nei confronti del proprio signore, che trovava nella guerra la propria vocazione e la giustificazione della propria superiorità rispetto agli altri membri del corpo sociale. A questa aristocrazia di guerrieri si aggiunsero i titolari della signoria rurale, che esercitavano il mantenimento dell’ordine e l’amministrazione della giustizia. Fonte principale di questi era la proprietà della terra da cui i nobili ricavavano il provento diretto, i canoni in denaro o in natura e i diritti signorili; altre voci di entrata importanti avevano dalla partecipazione a società commerciali o industriali e dagli interessi dei capitali dati in prestito; al nobile era però vietato praticare le arti meccaniche, svolgere lavori manuali e ricoprire uffici pubblici minori, attività che comportavano la perdita temporanea della nobiltà. Molto importante per il consolidamento dell’ordine nobiliare fu l’affermarsi di regole rigide volte a impedire la divisione e dispersione del patrimonio familiare, restringendo la successione ad un solo figlio ( > maggiorascato o primogenitura). Nonostante la pretesa della nobiltà di far risalire la propria condizione alla presunta purezza di una nascita illustre, vi erano diverse vie per diventare nobili: i plebei che disponevano di un cospicuo patrimonio potevano acquisire alcune cariche finanziare o giuridiche oppure acquistare un feudo; in tal caso occorreva abbandonare ogni attività precedente, iniziare a vivere nobilmente e acquistare o costruire un palazzo degno. → nobiltà di toga o Laboratores → Coloro che lavorano e producono i bene necessari alla sussistenza di tutti. Sulla base di questa di questa divisione erano strutturate le assemblee che erano periodicamente convocate dal sovrano per chiedere consiglio e sostegno e per ottenere consenso per il pagamento delle imposte. L’appartenenza a un ceto comportava anche l’acquisizione di una mentalità, di un costume di vita, valori e comportamenti sociali condivisi ma non implicava una conformità di condizione economico-sociale; ciò che contava era lo status, riconosciuto in baso alla nascita ed al ruolo svolto nella società. Nel basso medioevo si va formando un’élite di mercanti, imprenditori, finanzieri, professionisti, proprietari terrieri non nobili, funzionari pubblici che si distingue dai laboratores, formando un gruppo intermedio tra questi e i nobili ( → borghesia). La società medievale tendeva a considerare la povertà come un’immagine vivente del disprezzo per le cose del mondo predicato da Cristo e quindi elemosina e carità erano viste come occasioni per meritare la salvezza eterna. Su questo modo di confrontarsi con la povertà si innestò, nei secoli del basso medioevo, una crescente attenzione delle autorità pubbliche per il mantenimento dell’ordine pubblico: sia coloro la cui povertà dipendeva da motivi strutturali (malati, invalidi, orfani, vecchi, vedovi) sia i poveri “vergognosi” (persone di buona condizione sociale caduti in miseria) trovavano un sostegno nelle reti di solidarietà delle varie associazioni e nell’assistenza degli enti ecclesiastici. La svolta si determinò quando la crescita demografica determinò una sempre maggiore disoccupazione con un conseguente peggioramento delle condizioni di una quota consistente della popolazione, costretta a vivere al livello minimo di sussistenza; in questa situazione prevalse nelle classi agiate un atteggiamento di diffidenza e IL SISTEMA DEGLI STATI ALLE SOGLIE DELL’ETA’ MODERNA Il quadro politico è segnato dal declino irreversibile delle due autorità universali che avevano dominato lo scenario politico del Medioevo: ▫ Chiesa di Roma → conosce una prima crisi quando la sede pontificale si trasferisce ad Avignone, passando sotto al controllo della monarchia francese, e poi nel grande scisma di Occidente (1378-1417). ▫ Corona imperiale → era ancora legata a un’idea di universalità, che risaliva alla teoria della translatio imperii, ma era ormai caduto quel principio che attribuiva all’impero quel rango di autorità sovraordinata rispetto a tutti i poteri che esercitavano di fatto la loro giurisdizione su territori e persone. SACRO ROMANO IMPERO Un passaggio fondamentale nella sua organizzazione istituzionale si ebbe con la Bolla d’oro (1356) emanata da Carlo IV di Boema, che assegnava l’elezione alla corona imperiale a sette principi, eliminandone così la sua natura elettiva. Organo centrale era la Dieta:  Deliberazioni dal valore di legge generale;  Convocata dall’imperatore con frequenza irregolare;  Divisa in tre ordini: principi elettori, collegio dei principi e dei signori territoriali, collegio dei rappresentanti delle città libere; i cavalieri, invece, erano dipendenti direttamente dall’imperatore e pertanto non avevano diritto di rappresentanza. Dal 1438 il titolo di imperatore era diventato appannaggio della casa di Asburgo, che lo avrebbe tenuto fino alla fine del sacro romano impero (1806); questa continuità dinastica diede maggior alla corona imperiale e poteva essere la premessa di un suo rafforzamento istituzionale, perseguito invano da Massimiliano I. Quando egli divenne imperatore (1493) riuscì a rafforzare la propria autorità nei domini ereditari, creando una solida amministrazione finanziaria, ma si scontrò a livello imperiale con le resistenze dei principi territoriali, che erano riluttanti a rinunciare alle proprie prerogative; riuscì a ottenere dal re di Francia, Carlo VIII, l’Artois e la Franca contea ma non riuscì assolutamente a ripristinare l’autorità imperiale in Italia. I maggiori successi vennero invece dalla sua politica matrimoniale: il matrimonio con Maria di Borgogna, infatti, gli consentì l’acquisizione dei Paesi Bassi. LA CONFEDERAZIONE SVIZZERA Il primo nucleo di questa confederazione fu rappresentato dalla lega elvetica (1291), stretta tra tre comunità alpine, la quale non disconosceva l’autorità signorile degli Asburgo ma era animata comunque da un forte spirito di indipendenza. Nel corso del XIV secolo la confederazione riuscì a emanciparsi dal dominio degli Asburgo, sconfiggendoli in diverse battaglie, con la pace di Basilea (1499). Fra la fine del quattrocento e gli inizi del cinquecento i confederato furono rafforzati da nuovi adesioni ma non arrivarono a presentare un forte potere federale, perché i cantoni erano gelosi della loro autonomia. IL DUCATO DI BORGOGNA Ducato di origine tipicamente feudale formatosi (1364) alla frontiera tra impero e Francia come concessione al primo duca Filippo l’ardito, in quanto figlio minore del re di Francia. I duchi erano dunque legati al re da un patto di fedeltà e obbedienza ma fin dall’inizio adottarono una politica volta a creare uno Stato indipendente attraverso una serie di conquiste e accordi dinastici, che permisero loro di ottenere il controllo di un vasto territorio che andava dalle Fiandre alla Franca contea. Lo stato era molto eterogeneo: diviso in tre tronconi e composto di territori molto diversi per lingua e cultura. Per dare continuità territoriale ai suoi possedimenti Carlo il temerario, ultimo duca, tentò di conquistare la Lorena ma la sconfitta subita non portò altro che la disgregazione di questa fragile costruzione. Le terre appartenenti al ducato vennero spartite tra il re di Francia e Massimiliano I, portando così la presenza degli Asburgo anche in questi territori. IL REGNO DI FRANCIA Appena uscito dalla guerra con l’Inghilterra, il regno di Francia presenta ancora una realtà molto frammentata e di carattere feudale ma si muove verso l’unificazione: ▫ Vittoria sugli inglesi → 1453: perdono tutti i loro possedimenti sul suolo francese; ▫ Morte di Carlo il temerario → la monarchia stabilisce la sua autorità sui territori dello Stato borgognone; ▫ Incorporazione del territorio bretone → la figlia dell’ultimo duca di Bretagna, Anna, sposa Carlo VIII, erede al trono francese, e poi il suo successore Luigi XII. Carlo VII, per poter formare il primo nucleo di un esercito permanente destinato a combattere i sovrani inglesi, impone la taglia (1493), tassa che gravava sui contadini e che poi fu rinnovata annualmente senza chiedere l’autorizzazione degli Stati Generali. Grazie alla regolarità delle entrate, la monarchia francese poté liberarsi della necessità di ricorrere ai tre ordini riuniti negli Stati Generali che, dopo il 1484, non furono più convocati fino al 1560. Il successore Francesco I, salito al trono nel 1515, ottenne poi il controllo della compagine ecclesiastica con il concordato di Bologna (1516): in cambio della rinuncia a sostenere la teoria della superiorità del concilio sul papa, si vide riconosciuto il diritto di nominare tutte le principali cariche della Chiesa. Nel 1522 sancì formalmente il sistema della venalità delle cariche che lo portò alla perdita del controllo diretto dell’amministrazione finanziaria e giudiziaria. Al vertice dell’amministrazione si poneva difatti il Parlamento di Parigi, che aveva il compito di registrare gli editti del re e, per questa sua prerogativa, si pose come principale ostacolo all’assolutismo monarchico. LA SPAGNA La nascita della Spagna moderna prese avvio dal matrimonio (1469) celebrato tra Isabella di Castiglia (1474- 1504) e Ferdinando d’Aragona (1479-1516); la successione di Isabella sul trono castigliano fu inizialmente contestata e provocò una guerra civile che si durò fino al 1479, anno in cui si realizzò definitivamente l’unione dei due regni. La supremazia castigliana si manifestò fin dall’inizio nella decisione di Ferdinando di risiedere nel regno della moglie, delegando l’amministrazione dei suoi domini ereditari a dei viceré. La monarchia mirò a sottomettere le grandi casate aristocratiche escludendole dalle cariche politiche e chiamando nel Consiglio reale giuristi non nobili, che avevano studiato diritto nelle università castigliane. Si preoccuparono anche di limitare il potere e controllare:  Ordini religioso-militari, che rappresentavano una sorta di Stato nello Stato, nominando Ferdinando come gran maestro di questi.  Città, nominando funzionari che avevano il compito di controllare la vita della comunità attraverso l’esercizio di funzioni amministrative e giudiziarie. Sul piano finanziario, accrebbero le entrate grazie a un’imposta indiretta che colpiva tutte le transazioni e riuscirono così a non convocare, per lunghi periodi, i ceti riuniti nelle Cortes; il loro potere fu poi ulteriormente ridimensionato quando alle loro sessioni non parteciparono più il clero e la nobiltà. Nel 1492 portarono finalmente a compimento la reconquista, occupando Granada dopo un lungo assedio; ne conseguì la cacciata degli ebrei e un progressivo inasprimento della politica nei confronti dei musulmani che furono obbligati a conversioni forzate e battesimi di massa. La morte di Isabella (1504) pose un problema di successione: la corona sarebbe spettata alla figlia Giovanna, che aveva sposato Filippo il bello, figlio dell’imperatore Massimiliano, ma la morte di quest’ultimo (1506) e la pazzia di lei risolsero la crisi dinastica; Ferdinando continuò a governare entrambi i regni e, con l’occupazione del regno di Navarra (1512), riuscì a portare a compimento l’unificazione della Spagna. L’INGHILTERRA Uscito vincitore dalla guerra delle due rose, Enrico VII Tudor si occupò di restaurare l’autorità della monarchia contro le congiure feudali e si guadagnò così il consenso degli abitanti delle città e della piccola e media nobiltà. Egli governò nel consiglio privato con un ristretto numero di uomini di sua fiducia e si servì della corte della Camera stellata, un tribunale che si occupava di reati politici e colpì con durezza disordini e rivolte. Accrebbe il proprio patrimonio fondiario con le terre confiscate ai nobili ribelli e ciò gli consentì di convocare solo una volta il Parlamento; esso era composto di due camere: Camera dei lord ( > nobili titolati e titolari di alte cariche ecclesiastiche) e Camera dei comuni ( > rappresentati di contee e borghi). A Enrico VII successe il figlio Enrico VIII che nei primi anni si impegnò, senza molto successo, nelle guerre continentali e lasciò invece la guida del governo al cardinale Wolsey. REGNO DI POLONIA Si va unendo alla Lituania, verso la fine del 1300 (-86), e diviene una realtà territoriale molto ampia. E’ una sorta di opposizione a ciò che si stava affermando nei grandi stati occidentali: la corona polacca è condizionata da una nobiltà che pretende di mantenere le proprie prerogative, tanto da rendere elettiva la corona; il sovrano in realtà non poteva concretizzare nulla in autonomia perché era tutto in mano a una Dieta: un senato (magnati e vescovi) e una camera (piccola nobiltà); non c’era rappresentanza né per il clero né per contadini, bloccati in una condizione servile. Il regno si allarga poi anche Boemia e Ungheria, che calcano ancora di più su questa sorta di dipendenza dall’aristocrazia che rende sempre più debole la monarchia. LA RUSSIA Il fondatore dello Stato russo fu Ivan III il grande, che occupò la repubblica di Novgorod. Egli limitò subito il potere dell’aristocrazia, i boiari, ai quali contrappose un ceto di nuovi nobili legati al servizio della monarchia attraverso la concessione di terre che potevano essere revocate ad arbitrio del sovrano. Importò poi dall’Occidente le armi da fuoco e adottò le nuove tecnologie militari per la costruzione di fortezze, accrescendo così la pressione fiscale sul mondo contadino. Unico sovrano di fede ortodossa, Ivan sposò una nipote dell’ultimo imperatore di Costantinopoli e si pose come erede spirituale della corona bizantina. Di conseguenza, Mosca si poneva come la terza Roma, erede di Bisanzio che era subentrata a Roma con lo scisma d’Oriente (1054) ma che aveva ormai perduto la sua funzione dopo la conquista ottomana; lo Stato russo era così investito del compito di garantire la vittoria del cristianesimo ortodosso e dell’elemento slavo sul paganesimo e sul cattolicesimo. L’opera di Ivan III fu proseguita dal nipote Ivan IV il terribile, che assunse formalmente il titolo di zar nel 1547. Molto più incisiva e brutale fu l’azione della sua monarchia: ▫ Per limitare i poteri della grande nobiltà contrappose alla Duma, dominata dai boiari, un’assemblea composta da esponenti dei ceti; ▫ Sancì l’asservimento del mondo contadino con alcuni decreti; ▫ Formò il primo esercito di professione; ▫ Instaurò relazioni con gli inglesi e gli olandesi per proseguire la politica espansionistica. Nel 1560 la morte della moglie, che aveva arginato le tendenze violente del suo carattere, aprì una seconda fase del suo regno nel quale egli colpì con estrema crudeltà tutti coloro che riteneva suoi oppositori; l’aumento della pressione fiscale per coprire le spese militari e le violenze contro la popolazione portarono il paese a uno stato di grave prostrazione. Nel periodo Ming vi furono un notevole sviluppo delle manifatture e una crescita dei centri urbani. Venne riportato in auge il confucianesimo: non si trattava di una religione ma un insieme di dottrine che ponevano una serie di regole per il buon funzionamento della comunità, valorizzando il rispetto delle gerarchie e l’obbedienza delle autorità. Nella seconda metà del XVI secolo il regime fu indebolito da aspre lotte di fazione e scoppiarono numerose rivolte contadine, provocate dal malcontento per il prelievo fiscale e da una serie di carestie e inondazioni. Nel 1644 il capo di una delle rivolte contadine entrò a Pechino e l’imperatore si impiccò; allora i manciù, un gruppo di tribù stabilite in Manciuria, si insediarono nella capitale e, represse le ribellioni, diedero vita alla dinastia Q’ing. GIAPPONE Caratterizzato da un dualismo istituzionale: ▫ Corte dell’imperatore → primo nucleo di organizzazione politica basato sul modello cinese e formatosi a Heian Kyo, a partire dal VII secolo; tuttavia ebbe autorità limitata. ▫ Shogunato → carica ereditaria, affermatasi a Edo, che prevede l’assunzione il governo effettivo del paese. Nel XIII secolo lo shogunato perse parte della sua autorità in quanto in grandi proprietari terrieri delle province si trasformarono in signori fondiari autonomi che disponevano di guerrieri di professioni legati a essi da vincoli di fedeltà; ne derivò un lungo periodo di endemiche guerre civili che portarono alla completa frantumazione del Giappone. Nella seconda metà del XVI secolo Tokugawa Jeyasu, membro di una ricca famiglia di militari, si fece nominare shogun e diede avvio a una nuova lunga fase della storia giapponese: l’era Edo (o Tokugawa). Religione nazionale era lo shintoismo, che considera tutti i fenomeni naturali come espressione di forze divine, ma non veniva concepito come un culto religioso in senso proprio; infatti la partecipazione ai suoi riti non preclude la possibilità di aderire ad altre religioni o dottrine filosofiche. Ha avuto una funzione importante in chiave nazionale perché ha fornito la legittimazione del potere dell’imperatore, ritenuto di natura divina in quanto discendente dalla suprema divinità: Amaterasu, la dea del sole. I Tokugawa favorirono però la diffusione del confucianesimo, che consisteva un valido sostegno del regime grazie alla sua dottrina che giustificava le gerarchie sociali ( → società fondata sulla divisione in quattro classi) e insegnava la virtù dell’obbedienza. Vi fu tuttavia un notevole sviluppo economico che modificò la rigida struttura sociale e favorì l’aumento della popolazione e lo sviluppo delle città. La politica del paese chiuso favorì lo sviluppo dell’economia e pose le premesse per il processo di industrializzazione che si sarebbe realizzato nell’ottocento, con l’abolizione della struttura feudale e l’apertura alle tecnologie straniere. AMERICA PRECOLOMBIANA La base dell’economia era l’agricoltura che, grazie alle sue rese molto alte, permise a parte della popolazione di dedicarsi all’artigianato ed altre attività. L’allevamento non era molto praticato. Agli inizi del XVI secolo, quando arrivarono gli spagnoli, in America esistevano civiltà millenarie che avevano sviluppato forme di organizzazione politica, economica e sociale di livello assai elevato: • Aztechi (impero dei Mexica) → non era uno Stato unitario ma una sorta di federazione di popoli sottomessi; infatti, gli aztechi non annettevano i territori conquistati ma si accontentavano di controllarne il commercio e di imporre tributi. La società era articolata in classi, secondo una rigida gerarchia sociale. Credevano in un ordine cosmico, al quale erano sottomessi, ed avevano un gran numero di divinità che adottavano anche dai popoli sottomessi; tali divinità erano personificazioni delle forze della natura, dalle quali dipendevano la prosperità o la rovina della società. • Maya (Messico e America centrale) → conosceva la scrittura e usava un sistema di numerazione vigesimale; osservazioni astronomiche, calcolo dei cicli dei pianeti ( > studio degli astri come divinità); quando giunsero gli spagnoli erano in una fase di declino in quanto, frantumatasi l’unità politica, erano divisi in una molteplicità di stati minori. • Inca (regione andina) → Crearono un impero centralizzato, il più potente dell’America precolombiana, grazie a un solido apparato burocratico: il sovrano, ritenuto di natura divina, guidava dal centro l’impero con un ristretto gruppo di consiglieri mentre le province erano rette da governatori che amministravano la giustizia. La popolazione era invece suddivisa in gruppi su base decimale, così da impiegare in modo razionale tutti gli uomini disponibili nei servizi dovuti allo stato. LE SCOPERTE GEOGRAFICHE Alla radice delle grandi scoperte geografiche vi furono esigenze di carattere economico, in particolare il desiderio di trovare una nuova via per raggiungere le Indie. Molto importante fu il ritorno in circolazione dei testi classici che concorsero a radicare negli uomini colti d’Europa la convinzione della sfericità della terra e stimolarono la riflessione sulle grandi questioni geografiche e astronomiche. Fu il Portogallo a dare avvio, nel XV secolo, ai viaggi di esplorazione con una ricognizione della costa occidentale dell’Africa, iniziata con l’occupazione della città commerciale di Ceuta; consapevoli delle limitate possibilità di sviluppo agricolo del Portogallo, infatti, i sovrani si appoggiarono sui ceti mercantili favorendo le attività commerciali e le costruzioni navali. I portoghesi miravano a controllare i terminali del commercio transahariano che lungo le vie carovaniere portava oro, avorio e schiavi sulle coste occidentali del continente; qui stabilirono una serie di scali commerciali che furono poi trasformati in base fortificate. Negli anni seguenti maturò progressivamente la convinzione che fosse possibile circumnavigare l’Africa per raggiungere le Indie via mare e acquistare le spezie senza l’intermediazione veneziana, anche in considerazione dell’aumento di prezzo provocato dalle difficoltà dei traffici mediterranei in seguito alla conquista ottomana di Costantinopoli. CRISTOFORO COLOMBO Egli aveva una notevole esperienza marinara, avendo viaggiato molto come agente di grandi ditte commerciali genovesi, ma aveva appreso anche elementi essenziali del latino e letto opere di geografia e cosmografia. Si appassionò all’idea di sfruttare la forma sferica della Terra per raggiungere, navigando verso occidente, l’Oriente e l’impresa gli apparve praticabile a causa di un errore nel calcolo della circonferenza terrestre, ritenuta molto minore di quella reale. Giovanni II decise però di non finanziare il progetto perché aveva deciso di concentrare i suoi sforzi nel tentativo di circumnavigare l’Africa. Allora Colombo trovò clima favorevole nella Spagna dei re cattolici, che gli assicurarono una quota dei proventi dell’impresa. Il 3 agosto 1492 prese il mare dal porto di Palos e, dopo aver effettuato un lungo scalo alle Canarie, iniziò il viaggio. Dopo 36 giorni di navigazione fu raggiunta la terra: un’isola delle Bahamas ( > San Salvador) e, in seguito, Cuba e Haiti ( > Hispaniola). Dopo la prima navigazione Colombo fece altri tre viaggi:  1493-96  1498-1500  1502-1504 Scoprì molte isole caraibiche e giunse fino in Costarica ma solo nel terzo viaggio toccò il continente americano, alle foci del fiume Orinoco in Venezuela. Egli scambiò questi territori per le isole del Giappone ma non vi trovò le ricchezze sperate. Colombo incontrò inoltre molte difficoltà nel far valere la sua autorità e fu accusato di malgoverno, arrestato e riportato in patria; qui fu poi liberato ma privato dei suoi titoli. Subito dopo il suo ritorno, i sovrani spagnoli ottennero dal papa spagnola la bolla Inter coetera che fissava una linea immaginaria a 100 leghe a ovest delle isole di Capo Verde e assegnava terre e mari al di là di essa come area esclusiva di esplorazione spagnola. Giovanni II allora negoziò con la Spagna il trattato di Tordesillas, ottenendo uno spostamento della linea di demarcazione per il quale sarebbe rientrato nell’orbita portoghese il Brasile (ancora sconosciuto). La legittimità delle bolle papali e del trattato ispano-portoghese fu contestata dagli Stati che ne erano stati esclusi e che furono spinti dall’impresa di Colombo a promuovere viaggi di esplorazione: ▪ Inghilterra → Giovanni Caboto: tenta di raggiungere le Indie attraverso una rotta più settentrionale e arriva alle coste dell’America del nord. ▪ Francia → Giovanni da Verrazzano L’IMPERO PORTOGHESE Nel luglio del 1497 la corona portoghese affidò una nuova spedizione a Vasco da Gama, esperto navigatore ma anche soldato e nobile diplomatico, che portò a compimento la circumnavigazione dell’Africa: doppiato il capo di Buona Speranza, ottenne la collaborazione di un esperto pilota arabo che condusse la sua flotta fino alla costa indiana. Si aprì così la nuova via per le Indie. Il compito di consolidare questa rotta commerciale fu affidato a una nuova spedizione comandata dal nobile Pedro Alvarez Cabral che, allontanatosi dalla costa per intercettare il corso dei venti, compì una larga deviazione e giunse a toccare le coste di una terra sconosciuta; ne prese possesso a nome del Portogallo e le diede il nome di Terra della vera croce ( > Brazil). La volontà dei portoghesi di imporre il proprio predominio nell’Oceano Indiano si scontrò con gli interessi dei mercanti musulmani e dei sovrani indiani che controllavano i traffici con i porti orientali del Mediterraneo; allora i portoghesi costruirono una serie di fortezze a protezione dei loro empori e cercarono di stringere o imposero con la forza accordi commerciali con i sovrani locali. In seguito il Portogallo aprì una linea di commercio anche con il Giappone (1543) e, grazie a un accordo con l’impero cinese, fondò una colonia commerciale a Macao (1557) ma fallì il tentativo di occupare Aden e chiudere il mar rosso, per cui il commercio portoghese si aggiunse a quello veneziano ma non lo soppiantò. LA CONQUISTA Con il viaggio di Magellano si conclude l’era delle grandi esplorazioni: la cognizione dell’unità del globo terrestre era ormai acquisita, anche se restavano molte zone da esplorare e si ignorava l’esistenza dell’Australia; comincia allora l’epoca della conquista e della colonizzazione delle terre. Nel 1495 un decreto dei sovrani spagnoli concesse a tutti i sudditi che volevano cercare fortuna nelle nuove terre il permesso di partire ma con l’obbligo di riservare alla corona il 10% dei beni e dei profitti negli scambi commerciali. Questi si insediarono in una prima fase nelle isole caraibiche, dove incontrarono popolazioni primitive, e contemporaneamente fu avviata l’esplorazione della terraferma, soprattutto alla ricerca di schiavi. Così gli spagnoli vennero a contatto con i maya e cominciarono ad avere notizia dell’esistenza a nord di un vasto e ricco impero, dando inizio all’epoca dei conquistadores: ▪ Hernan Cortes → Ricevuto dal governatore di Cuba l’incarico di verificare la veridicità delle voci sull’impero, costeggia lo Yucatan e sbarca sulla costa messicana dove fonda la città di Vera Cruz. Inizia poi la marcia verso l’interno e non incontra resistenze, anzi fu accolto come un liberatore dai popoli alla Dieta di Worms ma si scontrò con la protesta di sei principi e quattordici città che avevano aderito alla Riforma. L’anno seguente il principale collaboratore di Lutero, Filippo Melantone, presentò una versione moderata dei principi della teologia luterana → Dieta di Augusta. Caduta però ogni possibilità di accordo per l’intransigenza dei teologi cattolici, i principi luterani rifiutarono l’invito di Carlo V a sottomettersi e si unirono alla lega di Smalcalda, guidata dai duchi di Sassonia e di Assia. LA RIFORMA NELLA SVIZZERA TEDESCA Ulrich Zwingli, cappellano della cattedrale di Zurigo, aveva già maturato l’aspirazione a un ripristino della semplicità evangelica quando l’esempio di Lutero lo spinse a mettersi apertamente sulla via della Riforma. Zwingli sostiene la necessità che la città accetti una religiosità puramente evangelica, puntando a uscire a rapidamente dalla chiesa di Roma senza rinunciare tuttavia a un rapporto diretto con le tradizioni di partecipazione locale. Ritiene di poter operare per un rilancio della religiosità grazie all’appoggio dei poteri locali, legandosi subito alle autorità città; si pone su posizione alternative a chi contestava sia la Chiesa che gli equilibri di potere sociale ed economico. Supportato dal Consiglio civico di Zurigo, Zwingli poté smantellare, fondandosi unicamente sull’autorità della Bibbia, l’edificio della Chiesa cattolica e stabilire in città il culto riformato. Tutti i principali aspetti della sua azione riformatrice si ricollegavano all’umanesimo di impronta erasmiana e si basavano sull’antitesi tra carne e spirito // visibile e invisibile ( > Elogio della follia): ▪ Abolì le immagini sacre e la musica, in quanto la fede è spirituale e deve prescindere dagli aspetti materiali. ▪ Negò ogni presenza reale dell’eucarestia, che egli concepì come una semplice commemorazione dell’ultima cena (verbo “est” = rappresenta). Da Zurigo la riforma si diffuse in molte città della Svizzera ma ciò comportò un inevitabile conflitto con i cantoni originari, rimasti cattolici. Per contrastare i cantoni cattolici e i loro alleati (Papa e imperatore), Zwingli concepì una lega europea e tentò di stabilire un accordo con i luterani, che però si rivelò impossibile a causa della presenza dell’eucarestia. Alla fine i cantoni protestanti dovettero combattere da soli e furono sconfitti nella battaglia di Kappel (ottobre 1531), nella quale perse la vita lo stesso Zwingli; per effetto di questa sconfitta, l’espansione della Riforma nella Svizzera tedesca si arrestò. JEAN CAUVAIN Solida formazione umanistica. Nel 1534 fu costretto a lasciare la Francia per sfuggire alle persecuzioni lanciate contro gli eretici da Francesco I e si rifugiò a Basilea, dove pubblicò un’opera in cui esponeva la sostanza della sua dottrina. Il pensiero di Calvino è incentrato sul principio dell’onnipotenza di Dio, sovrano assoluto di tutto il creato, che egli governa nella sua infinita sapienza secondo i suoi imperscrutabili disegni → dottrina della doppia predestinazione: Dio crea solo pochi preordinati alla salvezza mentre destina la maggior parte dell’umanità alla perdizione eterna; l’elezione è un atto di misericordia, per il quale i prescelti non possono vantare alcun merito. Per Calvino è inutile macerarsi nel timore e nell’attesa del proprio destino perché esso è già deciso e immodificabile. La grazia divina obbliga il cristiano a vivere nella fiducia che Dio lo abbia scelto, impegnando ogni attimo della sua esistenza per celebrare nel mondo la sua gloria. Sostanziale diversità sta nel concetto di Chiesa di Calvino rispetto a quello di Lutero: quest’ultimo non aveva mai dato grande importanza alla realtà terrena, orientando tutta la vita del cristiano nell’attesa del regno di Cristo, mentre Calvino riteneva che il corso della storia fosse governato dalla Provvidenza divina; pertanto la chiesa calvinista si poneva come una chiesa militante, impegnata ad agire nel quadro della storia, per realizzare i disegni divini. Lasciata Basilea, si reca in Italia, a Ferrara, e poi a Ginevra; qui decise di stabilirvisi per aiutare l’amico Guillaume Farel nel suo tentativo di consolidare la recente adesione della città alla Riforma ma dovette scontrarsi con gli orientamenti del governo cittadino, che nel 1538 lo esiliò. Nel 1541 però fu richiamato a Ginevra, dove l’oligarchia patrizia si era resa conto che era indispensabile ricorrere alla sua guida spirituale e capacità di organizzatore. Subito dopo il suo rientro in città, Calvino gettò le basi della struttura della sua Chiesa che divise in quattro ordini, sul modello del Nuovo Testamento: ▪ Pastori → culto e predicazione; ▪ Dottori → educazione e difesa dell’ortodossia; ▪ Diaconi → assistenza ai malati; ▪ Dodici anziani laici scelti dal Consiglio cittadino fra i suoi membri; essi avevano il compito di vigilare sulla vita cristiana dei cittadini nei dodici distretti nei quali era divisa la città. Calvino garantì l’indipendenza della Chiesa dallo Stato, che non poteva intromettersi nella vita della comunità riformata, ma tuttavia impose una rigorosa disciplina che poneva la legge della Bibbia alla base di tutta la vita religiosa ma anche politica, sociale, economica. Non mancarono polemiche e contrasti con le autorità cittadine ma la sua azione riformatrice era ormai legata alla città perché si impose come principale garante della sua autonomia: Ginevra si era resa repubblica indipendente proprio grazie all’adesione alla riforma. Il calvinismo divenne l’ala marciante della Riforma in virtù di questo suo attivismo e si diffuse: ▪ Germania ▪ Francia → ugonotti (1/5 della popolazione francese), protagonisti delle guerre di religione che dilaniarono il regno nella seconda metà del cinquecento; ▪ Paesi Bassi ▪ Ungheria, Polonia, Boemia ▪ Inghilterra → l’influenza del luteranesimo coinvolse in una prima fase solo ristretti ambienti intellettuali, quindi il distacco della Chiesa fu originato da cause esclusivamente politiche. La Chiesa anglicana si aprì solo in seguito alle dottrine protestanti. La chiesa anglicana assume un’impronta protestante Il distacco dell’Inghilterra dalla Chiesa di Roma era stato originato da cause esclusivamente politiche: Enrico VII desiderava un erede maschia che non era in grado di dargli la moglie Caterina d’Aragona ma alla sua richiesta di annullamento del matrimonio il papa Clemente VII, che dopo il sacco di Roma era legato alla Spagna, rispose negativamente per non urtare Carlo V, nipote di Caterina. Allora Enrico fece votare dal Parlamento provvedimenti che ruppero tutti i rapporti con la Chiesa e lo dichiaravano capo supremo della Chiesa inglese ( → atto di supremazia – 1534); ottenne così la dichiarazione di nullità del matrimonio con Caterina e la legittimazione dell’unione con Anna Boleyn, una dama di corte. Il distacco della Chiesa inglese da Roma fu uno scisma senza eresia: sul piano dottrinale e liturgico nulla cambiò, tant’è che Enrico VIII continuò a perseguire i protestanti. A Enrico succedette il figlio Edoardo VI, un fanciullo di dieci anni e di salute cagionevole; i protettori che governarono in suo nome aprirono la Chiesa anglicana all’influenza delle dottrine protestante. Le cose mutarono con l’avvento al trono di Maria Tudor, figlia di Enrico e Caterina, che sposò (1554) Filippo, figlio di Carlo V, e si impegnò in un tentativo di restaurazione cattolica. Nel 1558 salì infine sul trono la figlia che Enrico VIII aveva avuto da Anna Boleyn, Elisabetta, sotto il cui regno la Chiesa anglicana trovò finalmente un assetto stabile e si legò definitivamente al mondo protestante. Dopo la rivolta dei cattolici nelle contee del Nord e la scomunica (1570) da Pio V, assunse un atteggiamento severo verso il dissenso cattolico e si schierò a favore di ugonotti francesi e ribelli olandesi. LA CONTRORIFORMA Il termine entra in uso alla fine del XVIII secolo per designare il processo attraverso il quale un territorio passato alla Fede protestante era ricondotto con la forza all’obbedienza nei confronti di Roma; il concetto poi si ampia e indica anche l’opera di rinnovamento della Chiesa cattolica culminata nel concilio di Trento. Quanto fosse sentito e diffuso il bisogno di un rinnovamento della Chiesa è dimostrato anche dalla nascita di molti nuovi ordini religiosi impegnati nella società, sorti da iniziative spontanee, maturate nel corpo della cristianità e successivamente approvate e adottate dall’autorità ecclesiastica. Il clima cominciò a mutare con il papato di Paolo III Farnese, che nominò una commissione di cardinali e altri prelati per elaborare un progetto di riforma della Chiesa; nel 1536 la commissione emise un parere che denunciava i molti i mali che impedivano alla Chiesa un corretto esercizio della sua funzione pastorale ma i non facili rapporti con Carlo V allontanarono la convocazione del concilio. Nel frattempo le opere di Lutero e degli altri riformatori si diffondevano in Italia e trovavano simpatie e adesioni in diverse città e in tutti gli strati della società. Si diffusero posizione non ben definite, sensibili alle istanze della Riforma ma non disposte a un’aperta rottura con Roma, e si manifestò la formazione di gruppi clandestini che speravano si potesse ricomporre i dissensi sulla base di un rinnovamento della Chiesa che venisse incontro ad almeno alcune proposte dei riformatori. Di fronte alla crescente diffusione delle dottrine ereticali, Paolo III promosse una stretta repressiva con la nascita della congregazione cardinalizia del Sant’Uffizio o dell’Inquisizione (1542), presieduta dal papa, con il compito di riorganizzare e dirigere dal centro le rete dei tribunali dell’Inquisizione istituiti nel Medioevo. Si intensificò allora il fenomeno delle fughe dall’Italia dei seguaci delle dottrine protestanti per sottarsi alla persecuzione inquisitoriale. Nel 1545 si aprì finalmente a Trento il concilio: Carlo V suggerì di non affrontare per prime le questioni teologiche ma di promuovere innovazioni sul piano morale e disciplinare, nella speranza di un compromesso con le chiese protestanti, incontrando però il dissenso del concilio che chiuse la porta a ogni dialogo. La decisione di spostare il concilio a Bologna (1547), con il pretesto di un’epidemia di tifo, fu un nuovo motivo di conflitto tra il papa e Carlo V; di conseguenza, i lavori proseguirono senza risultati fino alla morte del pontefice (1549). Il concilio si riaprì a Trento nel 1551, sotto il nuovo papa Giulio III Del Monte, ma fu nuovamente sospeso nel 1552 per la ripresa della guerra. Nel 1555 il quadro mutò radicalmente con l’elezione del papa Paolo IV, favorevole a una dura repressione dell’eresia a difesa dell’ortodossia: si guardò bene dal riconvocare il concilio e preferì perseguire una politica di accentramento e rafforzamento del primato del papa, fondato in particolare sulla centralità dell’inquisizione. Alla morte di questi, il nuovo papato di Pio IV Medici segnò una svolta rispetto alle linee del predecessore e sotto il suo pontificato poté svolgersi l’ultima fase del concilio (1562-63):  Condanna come eretiche le dottrine delle chiese protestanti;  Viene confermato il testo latino di Girolamo come versione ufficiale della Bibbia e i fedeli erano obbligati ad attenersi all’interpretazione della Chiesa;  Viene ribadita la dottrina cattolica sul numero, sulla natura e sulla validità dei sacramenti;  Viene definita la dottrina delle indulgenze e ribaditi l’esistenza del purgatorio e il culto dei santi. Il concilio provvide anche a un rinnovamento morale e disciplinare della compagine ecclesiastica con l’istituzione di seminari per la formazione del clero e l’obbligo del celibato e dell’abito talare. Sul piano militare la Francia riuscì a sconfiggere le forze nemiche nella battaglia di Ravenna (1512) ma l’arrivo di un corpo di spedizione svizzero costrinse Luigi XII a lasciare Milano, dove rientrò il figlio di Ludovico il Moro, Massimiliano; la sconfitta francese segnò anche la fine della prima repubblica fiorentina, che era nata e si era mantenuta all’ombra della Francia, dove si ristabilì la signoria dei Medici, il cui potere fu rinsaldato quando alla morte di Giulio II (1513) fu eletto papa il figlio di Lorenzo, Leone X. Nel 1515 morì senza eredi diretti Luigi XII e il trono francese passò quindi a Francesco I che scese in Italia con un forte esercito e affrontò le truppe unite di Spagna, Impero e ducato di Milano. La battaglia segnò la sconfitta dei mercenari svizzeri dando inizio al declino della grande potenza militare elvetica. La Francia occupò Milano e stipulò un trattato di pace perpetua con gli svizzeri i quali occuparono Locarno e il restante territorio dell’attuale Canton Ticino. L’equilibrio fu poi sancito con la pace di Noyon (1516) che lasciava i francesi a Milano e gli spagnoli a Napoli. CARLO V E LA RIPRESA DELLE GUERRE D’ITALIA Carlo d’Asburgo, figlio di Filippo il bello (Massimiliano I e Maria di Borgogna) e Giovanna, cresce nelle Fiandre, in un’ambiente dominato dagli ideali cavallereschi e dalla tradizione borgognona, a differenza del fratello minore Ferdinando, nato ed educato in Spagna presso i nonni materni. Alla morte improvvisa del padre (1506) divenne sovrano dei Paesi Bassi che però furono affidati alla zia Margherita d’Austria per via della sua giovane età. Nel 1515 divenne maggiorenne e poté così assumere il governo dei Paesi Bassi; alla morte del nonno Ferdinando, nel 1516, ereditò poi anche il trono di Spagna. Recatosi in Spagna, nel 1517, dovette confrontarsi con la difficile realtà di uno stato formato da due regni distinti e attraversato da conflitti sociali e religiosi e da forti tensioni autonomistiche. La morte del nonno Massimiliano I (1519) portò a Carlo i domini ereditari austriaci e aprì il problema della successione imperiale, alla quale era il naturale candidato: questa prospettiva era pericolosa per la Francia che, accerchiata dai domini asburgici, si sarebbe vista preclusa ogni mira espansionistica e quindi Francesco I pose la sua candidatura alla corona imperiale che però non fu accettata; allora il 28 giugno 1519 venne eletto all’unanimità Carlo V come imperatore del Sacro Romano Impero. Carlo V lasciò allora la reggenza spagnola al suo precettore Adriano di Utrecht e partì per fiandre ma allora esplose il malumore degli spagnoli con la rivolta delle città ( > comuneros); la rivolta si estese rapidamente e assunse una matrice popolare, avanzando rivendicazioni di ordine sociale contro il potere dei nobili e dei ricchi, ma la sconfitta degli insorti a Villalar (aprile 1521) pose fine al movimento. Carlo V intanto si trovò subito ad affrontare una situazione complessa in Germania dove l’unità religiosa era minacciata dal dilagare del luteranesimo, mentre Francesco I era sempre più intenzionato a dare battaglia. Allora Carlo fece in modo di garantirsi l’alleanza dell’Inghilterra e di Leone X e decise di lasciare i domini ereditari al fratello Ferdinando (1522). Nello stesso anno Francesco I decide di prendere l’iniziativa con un attacco fallimentare sui Pirenei e in Lussemburgo. La guerra si spostò poi in Italia dove la sconfitta della Bicocca obbligò i francesi a lasciare Milano, che fu affidato al governatore Gerolamo Morone in vista della restaurazione del secondogenito di Ludovico il Moro, Francesco II Sforza. Nel contempo si ebbero altri due eventi favorevoli alla causa asburgica:  Elezione a papa di Adriano di Utrecht > Adriano VI  Tradimento del conestabile Carlo di Borbone che, in urto con Francesco per la confisca di alcuni feudi familiari, passò al servizio dell’Impero. Il re di Francia riuscì a mettere insieme un nuovo esercito con il quale scese in Italia e si impadronì nuovamente di Milano (1524); quindi pose assedio a Pavia, essenziale per le comunicazioni con Genova e la Francia, e si preparò a una spedizione verso Napoli. L’assedio si protrasse per quattro mesi e ciò consentì l’arrivo dalla Germania di rinforzi che attaccarono di spalle l’esercito francese: Francesco I fu catturato e condotto a Madrid, dove venne costretto a firmare un trattato (gennaio 1526) con il quale  rinunciava a ogni pretesa in Italia e nelle Fiandre;  cedeva la Borgogna;  lasciava in ostaggio i suoi figli. Ma ottenuta la libertà non tenne fede alla parola data e organizzò una nuova coalizione con tutti gli stati intimoriti dallo strapotere asburgico: il re d’Inghilterra, Clemente VII Medici (figlio di Giuliano), Firenze, Venezia, Francesco II Sforza → lega di Cognac. A favore di Carlo V giocarono le divisioni e le reciproche diffidenze che minavano la lega e che impedirono un’efficace risposta all’offensiva delle truppe imperiali che occuparono Milano costringendo Francesco II Sforza alla resa. Quindi Carlo V lanciò un’offensiva contro la lega inviando in Italia un corpo di spedizione di lanzichenecchi che non incontrò resistenze da parte degli alleati e, comandato dal conestabile di Borbone, giunse fin sotto le mura di Roma. Ma quando il conestabile rimase ucciso, le truppe rimaste senza guida entrarono in città abbandonandosi a un terribile saccheggio; quando la notizia giunse a Firenze, l’oligarchia scacciò i Medici dalla città e instaurò la seconda repubblica fiorentina (1527-1530). L’anno seguente Francesco I riprese l’offensiva inviando un esercito che, occupata Genova, proseguì verso Sud nell’intento di scacciare gli spagnoli da Napoli: la capitale fu cinta d’assedio mentre dal mare era bloccata dalla flotta dell’ammiraglio genovese Andrea Doria ma l’impresa fallì quando questi decise di passare dalla parte di Carlo V, togliendo improvvisamente il blocco navale di Napoli. Privo di sostegno dal mare e colpito da un’epidemia di tifo, il corpo di spedizione francese dovette ritirarsi. La decisione di Andrea Doria mirava a realizzare un decisivo cambiamento della situazione politica della sua città: il 12 settembre 1528 Doria sbarcò a Genova e se ne impadronì, presentandosi come il restauratore della libertà cittadina e ispirò una riforma delle istituzioni cittadine, che diede vita a una repubblica oligarchica sul modello veneziano; da quel momento, però, Genova rimase vincolata all’alleanza della Spagna, che ne garantiva l’indipendenza. La svolta operata da Doria ebbe un esito decisivo sul conflitto perché diede a Carlo V una potenza navale alla quale la marina francese non era in grado di opporsi. Fallita anche l’ultima offensiva francese in Italia, si giunse alla pace di Cambrai (1529) negoziata tra la madre di Francesco I (Luisa di Savoia) e la zia di Carlo V (Margherita d’Austria): ▪ Francia → rinuncia a ogni pretesa nella penisola ma conserva la Borgogna ed a Francesco I furono restituiti i figli dati in ostaggio (1526). ▪ Carlo V → raggiunge un accordo con Clemente VII che gli dà l’investitura del regno di Napoli, gli concede il libero transito delle sue truppe nei territori pontifici e acconsente a un’incorporazione nei domini asburgici dello Stato di Milano. In cambio Carlo V si impegnò a restaurare il dominio dei Medici a Firenze: dopo un lungo assedio da parte delle truppe imperiali e una strenua resistenza, la città dovette arrendersi nell’agosto 1530; il potere fu dato ad Alessandro dei Medici che ebbe da Carlo V anche il titolo di duca, realizzando così anche a Firenze, ultimo grande comune italiano, la transizione dal regime repubblicano al principato. IL SOGNO IMPERIALE DI CARLO V Con la pace delle due dame, il conflitto franco-asburgico raggiunse un punto di equilibrio che non poté più essere modificato se non per aspetti radicali: si stabilì il predominio spagnolo nella penisola e venne a cadere quindi la centralità del problema italiano nella politica di Carlo V. Decisiva fu anche la conquista dei domini americani dove i due vicereami delle Indie conferirono al suo impero una dimensione planetaria. LA LOTTA CONTRO L’IMPERO OTTOMANO Ungheria Fin dal 1520 gli Asburgo avevano dovuto fronteggiare sul confine orientale dell’Impero la minaccia che l’impero ottomano faceva gravare sul regno cristiano di Ungheria, stato cuscinetto che separava i due rivali. Nell’estate 1526 il sultano Solimano il Magnifico riuscì a sconfiggere l’esercito ungherese e negli anni seguenti i turchi proseguirono la loro offensiva fino a giungere sotto le mura di Vienna (1529). Alla fine le difficoltà logistiche dell’impresa, troppo lontana dalle sue basi di partenza, indussero Solimano a desistere e firmare la pace (1533), per cui a Ferdinando fu riconosciuto il possesso di una parte minore del territorio ungherese ( > Ungheria imperiale). Nel 1540 il conflitto si riaprì: il sultano con una spedizione militare occupò la maggior parte del territorio ungherese e lo annetté direttamente all’impero ottomano ( > trattato tra Ferdinando e Solimano nel 1562); fino alla fine del seicento i domini asburgici si trovarono così a diretto contatto con l’impero ottomano lungo una linea di confine che distava pochi chilometri da Vienna. Mediterraneo Nel 1535 Francesco I, sempre animato dal desiderio di riaprire la partita in Italia, strinse un patto di alleanza con il sultano. Carlo V decise allora di preparare una spedizione verso le coste africane con la quale occupò la fortezza di La Goletta, che difendeva Tunisi, e riuscì a conquistare la città. Nel 1538 Carlo V riuscì a organizzare una flotta cristiana formata da navi spagnole e veneziane ( → era disposta a contribuire militarmente solo per difendere le sue linee di commercio e i suoi possedimenti in Oriente) ma fu un grave insuccesso. Un ultimo tentativo di contrastare la potenza ottomana sul mare fu fatto nel 1541 con l’obiettivo di conquistare Algeri ma una terribile tempesta distrusse la flotta e costrinse il resto della spedizione a ritornare in Spagna. Fino alla battaglia di Lepanto (1571) le potenze cristiane non furono in grado di contrastare la flotta ottomana. RIPRESA DELLA GUERRA FRANCO-IMPERIALE ▪ Alla morte del duca Francesco II Sforza, nel 1535, Carlo V decide di occupare lo stato di Milano: penetrò nella Savoia e l’anno successivo occupò Torino; il conflitto si trascinò tuttavia senza eventi risolutivi fino alla tregua dei dieci anni firmata a Nizza nel giugno 1538. Riuscì però a ottenere importanti successi ampliando i suoi domini nei Paesi Bassi. ▪ Nel 1541 anche Francesco I riprese le ostilità ma non riuscì a occupare Nizza, pur sostenuto dalla flotta ottomana. Si giunse così alla pace di Crepy (1544) che ribadiva lo status quo. Sul piano militare il conflitto era ormai giunto a una posizione di stallo: Carlo V tentò invano di recuperare Metz, che Enrico II aveva occupato, mentre i francesi restavano insediati in Savoia e nel Piemonte dal 1536. Nessuno dei due contendenti era ormai in grado di ottenere risultati significativi e perciò concordarono una tregua di cinque anni, nel febbraio del 1556. Enrico III decise di liberarsi dello strapotere della lega, facendo assassinare il duca di Guisa (1588), e si alleò con Enrico di Borbone per porre sotto assedio Parigi (luglio 1589). Il primo agosto, tuttavia, fu assassinato ma non prima di aver indicato come successore al trono Enrico Borbone, che a questo punto divenne re di Francia con il nome di Enrico IV; la presenza di un calvinista sul trono era una novità inaudita che contrappose drasticamente l’obbedienza al re e la fedeltà alla Chiesa. Enrico pose nuovamente l’assedio alla capitale, mentre Filippo II interveniva con le sue truppe nei Paesi Bassi, tuttavia l’intransigenza della capitale non era più seguita nel paese e acquisiva invece sempre più credito la posizione moderata dei politiques. La decisione di Enrico IV di convertirsi al cristianesimo pose le condizioni per la fine delle guerre civili: ora che il re non era più un eretico cadeva la necessità di combatterlo; nel marco 1594 Enrico IV entrò a Parigi e nei mesi seguenti tutte le province lo riconobbero come legittimo sovrano. Nel 1598 emanò l’Editto di Nantes, che pose fine alle guerre di religione: il cattolicesimo fu riconfermato religione dello Stato ma i calvinisti ottennero libertà di coscienza e culto e i diritti civili. LA GUERRA DEI TRENT’ANNI La pace di Augusta (1555) e l’editto di Nantes (1598) erano stati concepiti dalle due parti contrapposte come tregue, non come soluzione definitive dei contrasti confessionali; restava infatti la generale convinzione che non fosse l’unità politica senza l’unità di fede. Inoltre, le forze cattoliche erano animate particolarmente dalla volontà di riconquistare gli spazi perduti. LA FRANCIA (→ ENRICO IV E IL CARDINALE RICHELIEU) Pacificata la Francia, Enrico IV si accinse alla sua ricostruzione: ▫ Riordinò le finanze, riducendo il peso dell’imposizione fiscale; ▫ Rafforzò la struttura amministrativa servendosi di commissari straordinari per limitare i poteri dei governatorati; ▫ Regolò la questione della venalità delle cariche, riconoscendo l’ereditarietà degli uffici con il versamento di una tassa annuale ( > Paulette) e un pagamento al momento della cessione o trasmissione agli eredi. In politica estera, intendeva riprendere la tradizionale politica di alleanze in funzione antiasburgica ma la sua opera fu interrotta da un fanatico cattolico che lo assassinò nel maggio 1610. Il figlio Luigi XIII aveva solo nove anni e pertanto la reggenza fu affidata alla moglie Maria dei Medici, che affidò a un favorito che l’aveva seguita dalla Toscana, Concino Concini, e diede alla politica un indirizzo filospagnolo. In un clima di incipiente guerra civile a causa del costante pericolo di una rivolta armata della nobiltà, che rivendicava il suo ruolo nel governo dello Stato, Luigi XIII, dichiarato maggiorenne nel 1614, decise di prendere le redini del potere: fece assassinare il Concini e confinò Maria. In questa fase si impose sulla scena politica un giovane vescovo, duca di Richelieu, e assunse il ruolo di mediatore nel dissidio tra il re e sua madre, divenendo in breve il principale responsabile della politica francese. Richelieu si guadagnò il sostegno delle città e dei ceti produttivi incentivando il commercio e avviando l’espansione coloniale della Francia; infine affrontò il problema degli ugonotti i quali, grazie alle garanzie concesse dall’editto di Nantes, si sottraevano all’autorità regia: contro di loro promosse una nuova campagna militare che culminò nella presa della fortezza di La Rochelle (1628). A partire dal 1630 Richelieu si impegnò nel conflitto europeo per contrastare l’egemonia degli Asburgo ma per sostenere i costi di questa aggressiva politica estera fu necessario aumentare la pressione fiscale, provocando una serie di rivolte che coinvolsero sia i lavoratori delle città sia il mondo rurale; fu necessario allora inviare truppe e ingaggiare vere battaglie per riportare l’ordine. LA SPAGNA DI FILIPPO III E FILIPPO IV Filippo III ebbe la tendenza ad affidare l’esercizio del potere a un favorito scelto fra i membri dell’alta aristocrazia, restituendo un ruolo centrale nell’esercizio del potere all’alta nobiltà che i sovrani precedenti avevano frenato. Era necessario alla Spagna innanzitutto assicurarsi un periodo di pace per restaurare le disastrose finanze e superare la recessione economica: furono stipulate la pace con l’Inghilterra (1604) e una tregua con le Province unite (1609). A Filippo III successe il figlio Filippo IV che delegò l’esercizio del potere al conte di Olivares. Deciso a ripristinare il ruolo imperiale della Spagna, Egli lanciò il paese in una serie di avventure militari. Per affrontare questo ambizioso progetto riteneva che fosse necessario rafforzare l’unità tra i vari domini della monarchia e perciò propose di creare una forza militare alla quale dovevano contribuire tutti gli stati della monarchia, tuttavia il progetto incontrò un dissenso molto vasto (Valencia, Aragona, Catalogna, Portogallo). I PAESI BASSI MERIDIONALI Le sette province settentrionali avevano proclamato la propria indipendenza (1581) determinando la definitiva separazione fra i due tronconi dei Paesi bassi, che seguirono strade divergenti. Alle province meridionali, rimaste fedeli alla Spagna, fu concessa una certa autonomia anche se soltanto formale, in quanto la Spagna esercitò di fatto una totale egemonia su questi territori. Dopo l’emigrazione delle minoranze calviniste le province meridionali si ritrovarono unite nella fede cattolica e divennero baluardo della Controriforma. Sul piano economico il blocco della via verso il mare al porto di Anversa, già colpita dal saccheggio, portò a un progressivo declino. LE PROVINCE UNITE Al declino delle province meridionali corrispose la rapida ascesa politica ed economica delle sette province settentrionali. Sul piano istituzionale esse erano legate dall’alleanza stipulata con l’Unione di Utrecht (1579) che le rendeva una confederazione in cui i membri erano gelosi della propria autonomia; anche dal punto di vista sociale, economico e religioso presentavano realtà molto differenziate. Le province unite avevano un sistema politico molto complesso che si rifletteva in una sorta di costituzione mista in cui convivevano:  Un orientamento principesco e monocratico → casa di Orange e statolder, carica che comportava il comando dell’esercito e della flotta; era solitamente un membro della casa d’Orange.  Principio repubblicano → Gran Pensionario, presidente degli stati provinciali di Olanda, espressione dei patriziati urbani e dei gruppi mercantili e imprenditoriali, eredi dello spirito erasmiano e inclini quindi a una grande tolleranza religiosa. Per quanto concerne la religione, il calvinismo dava la sua impronta allo Stato ma vi era anche una notevole presenza di cattolici, anabattisti ed ebrei. LA POLONIA Per effetto delle decisioni della Dieta riunitasi a Lublino (1569) il regno di Polonia e il granducato di Lituania si fusero dando vita a uno Stato di grandi dimensioni, comprendente molte etnie di lingua e di religione diverse. La Polonia assunse allora la configurazione di una repubblica nobiliare, nella quale l’aristocrazia, che disponeva di tutte le cariche civili ed ecclesiastiche, impedì la formazione di un potere monarchico; anche la scelta di eleggere sovrani stranieri, privi di interessi diretti nella realtà polacca, rispondeva al disegno di impedire un rafforzamento dei poteri della corona. I sovrani furono anche impegnati a confermare il regime di tolleranza religiosa fra le molti fedi presenti nel paese ma il clima tuttavia andò modificandosi sul finire del XVI secolo, quando si fece sentire sempre più forte l’influsso della Controriforma. AUSTRIA Il ramo austriaco degli Asburgo era titolare a titolo dinastico degli Stati ereditari ma aveva anche tradizionalmente le corone elettive dell’impero, di Boema e di Ungheria. Sia Ferdinando I che suo figlio Massimiliano II cercarono di realizzare in Germania una pacifica convivenza religiosa sulla base dei principi stabiliti dalla pace di Augusta; quest’ultima era però avvertita da tutti come un compromesso provvisorio ed oltretutto inattuale in quanto non considerava il calvinismo. Alla morte di Massimiliano fu eletto imperatore il figlio Rodolfo II, educato in Spagna dai gesuiti, che diede il via alla grande offensiva cattolica dando vita alla lega cattolica, alla quale si opposero i principi protestanti che crearono l’unione evangelica (1608) in quanto temevano una restaurazione del cattolicesimo. Contro l’offensiva cattolica si mosse anche la nobiltà boema che impose all’imperatore la concessione di una lettera di maestà (1609) che garantiva libertà di coscienza e di culto a tutte le fedi. LA GUERRA DEI TRENT’ANNI Prima fase → boemo palatina Eletto re di Boemia (1617), Ferdinando mise in atto la politica di restaurazione cattolica già sperimentata nei domini ereditari austriaci. Gli stati di Boemia si autoconvocarono per esprimere la loro protesta ma non furono ricevuti da Ferdinando e allora una loro delegazione invase il castello di Praga e gettò dalla finestra due delegati imperiali con il loro segretario ( → Defenestrazione di Praga). Essendo morto nel frattempo Mattia, la Dieta elesse all’unanimità imperatore del Sacro romano impero Ferdinando II ma gli Stati di Boemia, animati dal desiderio di difendere la loro autonomia e gli ideali di riforma religiosa, dichiarano decaduto Ferdinando e offrono la corona boema a Federico V, capo dell’unione evangelica, rendendo inevitabile uno scontro. La risposta cattolica infatti fu immediata: mentre un esercito spagnolo invadeva il Palatinato, l’esercito imperiale e quello del Duca di Baviera sottomisero i territori austriaci e sconfissero gli insorti nella battaglia della Montagna Bianca (8 novembre 1620). Federico V fu costretto a fuggire nei Paesi Bassi e le province ribelli furono sottoposte a un processo di ricattolicizzazione forzata; inoltre, Ferdinando cancellò l’autonomia della Boema (1627): la corona fu resa ereditaria e le prerogative degli stati furono ridimensionate. Con la salita al trono di Filippo IV (1621) la Spagna decise di non rinnovare la tregua di dodici anni con le Province unite, riprendendo la guerra per imporre la sovranità su quei territori, e assunse un atteggiamento aggressivo anche in Italia: con l’aiuto del governatore spagnolo di Milano i cattolici si ribellarono e fecero una strage di protestanti ( → sacro macello della Valtellina – luglio 1520) mentre le truppe spagnole occupavano la valle; si formò allora una lega anticattolica fra Venezia, la Francia e il ducato di Savoia e, alla fine, il trattato di Moncon (1626) garantì la libertà religiosa dei cattolici valtellinesi. Poco dopo si riaprì un altro focolaio di conflitto per la successione del Monferrato: quando morì Vincenzo II Gonzaga (1627), ultimo della dinastia, indicò come erede un membro di ramo francese della sua famiglia ma gli Asburgo contestarono, poiché Mantova era dipendente dall’impero, in quanto avrebbe aperto alla Francia di Richelieu la possibilità di entrare in Italia. Le truppe francesi allora occuparono Susa in Piemonte mentre quelle mantovane attaccavano lo Stato di Milano. La discesa di un esercito imperiale che assediò Mantova, costretta alla resa (1630), ribaltò la situazione e lo scoppio della peste indussero i contendenti a stipulare il trattato di Cherasco (1631): contrasto tra il re e il movimento puritano nasceva da considerazioni politiche più che religiose: una Chiesa calvinista si sarebbe organizzata in modo indipendente dal potere politico e avrebbe così sottratto alla monarchia una leva potente per controllare la società (attraverso la gerarchia ecclesiastica incentrata sui vescovi). CARLO I Carlo cercò di dissipare i sospetti circa una sua inclinazione verso il cattolicesimo dichiarando guerra alla Spagna e inviando un corpo di spedizione a sostegno degli ugonotti assediati nella fortezza di La Rochelle. Il parlamento, prima di votare i sussidi richiesti dal re per finanziare la guerra, approvò una petition of rights (1628) nella quale ribadì che nessuna imposta poteva essere riscossa senza il suo consenso e Carlo fu costretto ad accettare la petizione. Il fallimento della spedizione a sostegno degli ugonotti però indebolì ulteriormente la posizione di Carlo che diede inizio a un periodo di governo personale nel quale non convocò più il parlamento e si impegnò a realizzare il programma assolutistico del padre. Nel contempo Carlo perseguì il disegno di realizzare l’uniformità religiosa in tutti i suoi domini ed emarginò i puritani intensificandone l’esodo nel nuovo mondo alla ricerca della libertà religiosa e di terre da colonizzare. La crisi esplose quando Carlo volle imporre anche in Scozia le dottrine e l’organizzazione della Chiesa anglicana: gli scozzesi insorsero (1638) a difesa della loro Chiesa presbiteriana, per cui Carlo fu costretto a convocare il Parlamento per richiedere le risorse finanziarie necessarie ad allestire un esercito ma esso si sciolse dopo solo un mese a causa del rifiuto della Camera dei comuni di votare i sussidi richiesti (→ short parliament). Non avendo ottenuto i prestiti, Carlo affrontò i ribelli scozzesi con forze inadeguate e subì una grave sconfitta. Dovette perciò convocare nuovamente il parlamento, che non si sarebbe più sciolto fino al 1653 ( → long parliament), che varò una serie di misure per sbarrare la strada al tentativo assolutistico di Carlo. Quando la cattolica Irlanda, sottoposta a un brutale dominio, si ribellò (1641), si pose il problema della guida dell’esercito che avrebbe dovuto ristabilire l’ordine in quanto i Comuni non si fidavano del re per cui erano inclini a togliergli il comando delle forze armate. Fu questa l’occasione per lo scoppio della guerra civile: Carlo si decise infatti a compiere un atto di forza recandosi in parlamento alla testa di un gruppo di soldati per arrestare i capi dell’opposizione con l’accusa di tradimento ma questi si erano già rifugiati nella City, che si rifiutò di consegnarli al re; egli allora lasciò Londra mentre i capi dell’opposizione tornarono trionfalmente in Parlamento, dando così inizio alla rivoluzione. FASI DELLA RIVOLUZIONE Carlo, grazie alla cavalleria formata da gentiluomini di provincia rimasti fedeli alla corona, ottenne qualche successo sulle forze parlamentari ma quest’ultime potevano contare sull’aiuto finanziario della city, disponeva della flotta e strinsero inoltre un’alleanza con la Scozia (1643) che inviò un’armata per sostenere la loro lotta. Si distinse nella battaglia Oliver Cromwell, un esponente della gentry di fede calvinista, organizzando l’esercito di nuovo modello, che decise la guerra in favore del parlamento: questo esercito era caratterizzato da una ferrea disciplina e un forte spirito egualitario ma soprattutto era animato dalla fede calvinista che faceva sentire i soldati come strumenti chiamati da Dio per combattere in favore del trionfo dei suoi disegni. A Carlo non rimase che prendere atto della sconfitta e arrendersi agli scozzesi (maggio 1646) che lo consegnarono al Parlamento dietro al pagamento di un lauto compenso. A questo punto si poneva il problema di un accordo con il re che stabilisse le rispettive prerogative della corona e del Parlamento ma questo risultò impossibile per la resistenza di Carlo I ma soprattutto a causa delle divisioni del fronte rivoluzionario. Emersero intanto le profonde differenze esistenti nel movimento puritano: ▫ Presbiteriani → intendevano imporre una Chiesa di Stato, strutturata sul modello scozzese, alla quale tutti avrebbero dovuto conformarsi; ▫ Indipendenti o congregazionalisti → rivendicava l’autonomia delle congregazioni religiose ed era favorevole a un regime di tolleranza per le varie confessioni, salvo che per i cattolici. Si aprì così la seconda fase della rivoluzione, che vide contrapporsi il parlamento e l’esercito. La maggioranza presbiteriana del Parlamento pensava di liquidare l’esercito smobilitandolo privandolo delle paghe oppure inviandolo a combattere contro i ribelli irlandesi; ma i soldati reagirono eleggendolo degli agitatori, incaricati di presentare le loro richieste ai capi militari, occupando Londra e impadronendosi della persona del re. Cromwell si mosse in questa fase con molta prudenza: non condivideva l’estremismo delle sette ma accettò il confronto con gli agitatori per evitare che gli sfuggisse il controllo dell’esercito. Nel frattempo Carlo riuscì a fuggire e, rifugiatosi nell’isola di Wight, si accordò con gli scozzesi ma furono sconfitti da Cromwell nella battaglia di Preston (agosto 1748). Poiché i contrasti politici e religiosi rendevano ancora impossibile un accordo generale, la spaccatura fra esercito e parlamento poteva essere risolta solo con colpo di stato: il 6 dicembre 1648 il colonello Pride, agendo a nome del consiglio dell’esercito, arrestò 45 parlamentari e impedì l’accesso a Westminster di una novantina di deputati presbiteriani (→ purga di Pride). Allora ciò che restava della camera dei comuni ( → Rump Parliament) istituì un’alta corte di giustizia che processò e condannò a morte Carlo I, che fu decapitato il 30 gennaio 1649. Subito dopo il Parlamento abolì la Camera dei Lord e il 19 maggio proclamò la repubblica di Inghilterra, Scozia e Irlanda → Commonwealth. Il Parlamento stabilì che in attesa di nuove elezioni il potere sarebbe stato gestito da un consiglio di Stato controllato di fatto dai capi dell’esercito ma una parte notevole della popolazione era fedele al re e il figlio, Carlo II, fu riconosciuto come nuovo sovrano da scozzesi e irlandesi. Fra il 1649 e il 1650 Cromwell represse con straordinaria brutalità la rivolta d’Irlanda e, con un’ulteriore campagna militare, riportò l’ordine anche in Scozia, costringendo Carlo II a fuggire in Francia. IL COMMONWEALTH DI CROMWELL Durante il suo governo Cromwell ridiede slancio alla vocazione marinara e commerciale di Elisabetta e, inoltre, mosse guerra alla Spagna, alla quale strappò l’isola di Giamaica (1655). Rimase invece insoluto il problema dell’assetto istituzionale da dare al nuovo regime: al posto del Rump Parliament si insediò (1653) un’assemblea di esponenti delle congregazioni religiose e delle sette scelti dal Consiglio di Stato che però fu sciolto dopo pochi mesi per il radicalismo delle sue proposte e, nello stesso anno, Cromwell fu eletto Lord Protettore del Commonwealth. Fallirono però i tentativi di legittimare il regime con l’elezione di due Parlamenti e dunque il regime repubblicano non riuscì a mettere radici nel paese; fu di fatto una dittatura militare che assunse un volto sempre più autoritario e conservatore. Alla morte di Cromwell gli successe il figlio Richard che però si rivelò incapace. Allora il generale scozzese Monck si recò a Londra per preparare il terreno per la restaurazione della monarchia mentre Carlo, con la dichiarazione di Breda, si impegnava a garantire la libertà di coscienza, rispettare le prerogative del Parlamento e concedere un ampio perdono ai rivoluzionari; il nuovo Parlamento fu eletto nel frattempo e votò per il ritorno di Carlo II (maggio 1660). L’ESPANSIONE EUROPEA DURANTE IL SEICENTO Nel seicento l’Europa, attraverso l’espansione negli altri continenti, pose le premesse del predominio che avrebbe conquistato a livello mondiale nei secoli successivi. A tale fine fu innanzitutto cercata una via per le Indie alternative alla circumnavigazione dell’Africa. ▪ Olanda → Le Province unite tentarono di inserirsi nel lucroso commercio delle spezie cercando di rompere il monopolio che il Portogallo tentava di imporre. Le prime Compagnie che gestirono i commerci in Oriente riunirono mercanti che operavano in maniera indipendente ma si pose ben presto l’esigenza di coordinare queste imprese e così nacque la Compagnia delle Indie orientali (1602), che ricevette il monopolio dei commerci al di là del capo di Buona Speranza, con il potere di fare guerra e contrattare alleanze, fondare colonie e costruire piazzeforti. La compagnia olandese promosse azioni militari contro i possedimenti del Portogallo ma non colonizzò i territori in quanto mirava solo ai profitti commerciali. Nel 1621, allo scadere della tregua dei dodici anni, le Province crearono la Compagnia delle Indie occidentali con l’obiettivo di fare guerra all’impero spagnolo ma questo riuscì a resistere agli attacchi, grazie soprattutto allo sviluppo di una popolazione meticcia che era interessata a mantenere i legami con la madrepatria. Poiché dal 1580 il Portogallo si era unito alla Spagna, anche il suo impero coloniale fu oggetto di attacchi dagli olandesi ma riuscì comunque, dopo essersi reso indipendente, a riprendersi gran parte dei suoi possedimenti. ▪ Inghilterra → La Compagnia inglese delle Indie Orientali sorse nel 1600 con l’obiettivo di strappare ai portoghesi una parte dei suoi lucrosi commerci delle spezie ma dovette scontrarsi con l’ostilità degli olandesi; non essendo in gradi di competere, gli inglesi si impegnarono soprattutto a stabilire relazioni commerciali con l’impero persiano e l’impero di Moghul e stabilirono anche molte basi in India, riuscendo in questo modo a diversificare il suo commercio dando spazio a prodotti destinati ad avere grande spazio nei mercati europei. Nel continente americano l’Inghilterra contrastò il commercio della Spagna attraverso il contrabbando e la guerra di corsa. La vera e propria colonizzazione si rivolse verso l’America settentrionale, alla fine del XV secolo, sotto i regni di Giacomo I e Carlo I. ▪ Francia → I primi insediamenti permanenti nell’America settentrionale, nell’attuale Canada, si ebbero sotto il regno di Enrico IV con la fondazione di Québec. Nei territori della colonia Richelieu impose che tutti i coloni dovessero essere cattolici, per cui i protestanti dovettero convertirsi o partire. Richelieu sostenne anche la nascita della Compagnia del Centro Associati o della Nuova Francia (1627), che aveva il monopolio del lucroso commercio delle pellicce. Per sviluppare il processo di colonizzazione Luigi XIV assunse il controllo diretto degli insediamenti attraverso la figura di un governatore militare assistito e controllato da un intendente. Nel 1664 la Francia fondò anche la sua Compagnia delle Indie orientali, che creò diversi insediamenti nell’isola di Giava e in India. L’ITALIA SOTTO IL PREDOMINIO SPAGNOLO ANDAMENTO DEMOGRAFICO E SVILUPPO ECONOMICO Dopo il trattato di Cateau Cambrésis la penisola conobbe fino agli inizi del Seicento un lungo periodo di pace che favorì la crescita demografica e la ripresa economica; per effetto la produzione agricola aumentò e i prezzi dei cereali salirono, accrescendo il valore della terra. All’inizio del XVII secolo questa fase di crescita si esaurì e si manifestò sempre più netta un’inversione di tendenza, preludio della crisi che caratterizzò gli anni 1620-1660. Fra le cause di questa brusca frenata: ▫ Guerra della Valtellina e del Monferrato; ▫ Guerra dei trent’anni → sulla Germania, sbocco dei prodotti italiani; ▫ Epidemia di peste; ▫ Frequenti carestia → piccola glaciazione. Ma la storiografia ha insistito soprattutto sulle cause endogene: Nel seicento buona parte delle forze finanziarie e militari di Venezia furono impegnate nella difesa dei suoi possedimenti in Oriente: la repubblica dovette affrontare una lunga guerra con l’impero ottomano a difesa dell’isola di Candia ma, nonostante i suoi sforzi, dovette abbandonarla. I DOMINI DIRETTI DELLA SPAGNA La Spagna governò con moderazione, rispettando le tradizioni e gli assetti istituzionali dei vari territori, e cercò costantemente una mediazione fra i propri interessi e le esigenze delle élite locali. Nel ducato di Milano lasciò ai patrizi il controllo delle istituzioni locali ma intervenne a limitare il predominio esercitato dalle città sui contadi favorendo una più equa distribuzione del carico fiscale. Nel regno di Napoli il gruppo sociale più importante era la nobiltà, che si articolava in diverse componenti: ▫ Nobiltà feudale → dominava nelle province esercitando nei suoi fedi la giurisdizione civile e criminale e disponeva di un incondizionato potere economico e sociale sui contadini; inoltre controllava il parlamento. ▫ Nobiltà di seggio → controllava l’amministrazione della città di Napoli. Una componente caratteristica della società napoletana era il ceto dei togati, laureati in giurisprudenza di estrazione non aristocratica, che controllava le più importanti magistrature e sedeva nel consiglio collaterale, organismo con il quale il viceré era tenuto a consultarsi nelle questioni più importanti. LE RIVOLTE La situazione cambiò nella prima metà del XVII secolo a causa delle guerre nelle quali il governo di Madrid si impegnò nel tentativo di conservare la propria supremazia mondiale; i costi di questi conflitti provocarono un aumento della pressione fiscale che colpì soprattutto l’Italia meridionale e insulare e maturarono così le rivolte (1647-1648). Il primo moto scoppiò a Palermo (agosto 1647) dove obbligo il viceré ad abolire le gabelle sui generi di prima necessità e concedere alle corporazioni una rappresentazione nel governo municipale; tuttavia la mancanza di una guida politica e i contrasti interni al movimento favorirono un rapido ripristino all’ordine. Più importante fu la rivolta napoletana (luglio 1647) che iniziò con il rifiuto di venditori nella piazza del Mercato di pagare la tassa sulla frutta fresca; in questa prima fase il moto non assunse un carattere apertamente antispagnolo ma si rivolse contro i finanzieri. La rivolta si estese poi alle province dove assunse un carattere antifeudale. Quando la Spagna inviò nel golfo una squadra navale e tentò di reprimere con la forza la rivolta, gli insorti proclamarono la “Real repubblica napoletana” sotto la Francia ma questa non intendeva impegnarsi nel conflitto. Le divisioni e la mancata saldatura tra la rivolta cittadina e le insurrezioni antifeudali favorirono il rientro in città delle truppe spagnole e poco dopo anche nelle province l’insurrezione fu repressa. Nel 1672 a Messina un’insurrezione popolare costrinse il governatore spagnolo ad attribuire ai rappresentanti delle corporazioni artigiane la metà dei posti nel Senato cittadino. Il prevalere delle forze autonomistiche portò all’espulsione dalla città delle truppe spagnole e alla richiesta di aiuto al re di Francia; egli giunse a Messina con una squadra navale francese ma le altre città non si unirono alla rivolta. Dopo la partenza delle truppe francesi (1678) la Spagna riprese il controllo delle città. L’ETA’ DI LUIGI XIV IL GOVERNO DI MAZZARINO E LA FRONDA Alla morte di Luigi XIII la vedova Anna d’Austria assunse la reggenza in nome del figlio Luigi XIV, che aveva cinque anni, e affidò il guida politica del regno al cardinale Giulio Mazzarino. Mazzarino proseguì la politica di Richelieu ma sostituì la sua durezza con una naturale propensione alla duttilità e al compromesso; tuttavia ne ereditò anche l’impopolarità, accresciuta dall’odio per lo straniero. Il problema più grave era quello finanziario: occorreva trovare le risorse necessarie per finanziare la guerra, che proseguiva nelle Fiandre, in Germania e in Catalogna, e gli espedienti a cui ricorse Mazzarino crearono un diffuso malcontento anche nelle classi agiate. Punto di riferimento e interprete di questo malcontento fu il Parlamento di Parigi che contestò a più riprese i provvedimenti finanziati dal governo. Quando Mazzarino propose un decreto che condizionava il rinnovo della Paulette a una trattenuta di quattro anni degli stipendi degli ufficiali, il Parlamento promosse una riunione comune con le altre corti sovrane che approvò un pacchetto di 27 articoli (giugno-luglio 1648) che limitavano i poteri della monarchia. Le corti sovrane, pur non essendo organi elettivi, si facevano interpreti del malcontento della società e l’arresto dei capi dell’opposizione parlamentare, decretato dalla reggente e da Mazzarino, innescò la rivolta della popolazione di Parigi che costrinse la corte a lasciare la città ( → Fronda parlamentare). La reggente fu costretta allora ad accettare i 27 articoli con una Dichiarazione reale (ottobre 1648) → Pace di Saint-Germain. Bandito dal regno per decisione del Parlamento, Mazzarino fu costretto a rifugiarsi presso l’arcivescovo elettore a Colonia. Permanevano però le ambizioni politiche dei nobili di spada che miravano a conquistare il controllo del Consiglio del re ai danni della reggente → Fronda dei principi. Nemmeno la dichiarazione della maggiore età di Luigi XIV valse a fermare la guerra civile (1650-53). Fra i ribelli però vi erano rivalità e divisioni oltre a una certa ostilità dei nobili di spada nei confronti della nobiltà di toga; inoltre la popolazione, provata dalla guerra e dalla carestia, vedeva nella restaurazione monarchica l’unica garanzia dell’ordine e della pace. Il ritorno a Parigi del re e di Mazzarino sancì la fine di questo potere. Tornato al potere, Mazzarino poté riprendere il processo di rafforzamento della monarchia e, grazie all’alleanza con Cromwell, condurre vittoriosamente al termine la guerra con la Spagna → Pace dei Pirenei (1659): garantisce alla Francia il possesso dell’Artois e di diverse piazzeforti e le consentì di portare il proprio confine occidentale ai Pirenei. LA PRESA DEL POTERE DA PARTE DI LUIGI XIV Alla morte di Mazzarino (1661) Luigi XIV dichiarò immediatamente la sua volontà di assumere in prima persona il compito di governare la Francia. I torbidi anni della Fronda, con le ripetute fughe dalla capitale, contribuirono a far nascere in lui il desiderio di rendere impossibile un ritorno all’anarchia feudale. Egli prendeva le decisioni più importanti nell’Alto Consiglio, al quale erano ammessi in genere solo i ministri delle finanze, della guerra e degli esteri; inoltre tolse ogni effettivo potere politico ai nobili e scelse come ministri uomini di origini modeste. Colonna portante dell’amministrazione erano invece gli intendenti, funzionari revocabili e che rispondevano direttamente al re, preposti alle generalità ovvero circoscrizioni per il pagamento delle imposte. Il principale problema era il risanamento finanziario, al quale si dedicò fin dall’inizio il generale delle finanze Colbert. Al fine di combattere sprechi e malversazioni fu istituita una Camera di giustizia che multò e punì i finanzieri che avevano accumulato grandi fortune speculando sul bisogno di denaro dello Stato. Il peso fiscale fu spostato sulle imposte dirette però la riscossione di queste fu attribuita non più attraverso contratti di appalto ma con un solo contratto di concessione ( → Ferme Générale), il che consentì di aumentare gli introiti delle casse statali. La sua azione si concentrò sullo sviluppo delle manifatture, in particolare quelle che commerciavano con l’estero: la produzione fu favorita con la creazione di manifatture “di Stato” e migliorò la rete stradale e costruì canali per facilitare la circolazione delle merci; inoltre, stabilì un controllo sulla qualità dei prodotti e sulla disciplina dei lavoratori. La politica di Colbert è stata invece critica per la scarsa attenzione all’agricoltura, che era volta alla mera sussistenza. Sul piano religioso si profilava un conflitto con Roma a proposito della régale, ovvero il diritto dello stato di ricevere le entrate delle diocesi occidentali rimaste vacanti, che Luigi estese anche a quelle meridionali, suscitando la protesta del papa Innocenzo XI. Luigi rispose allora convocando una sessione speciale dell’assemblea del clero francese la quale promulgò quattro articoli (1682) che esponevano i principi del gallicanesimo, che affermava che nella sfera temporale il re dipende direttamente da Dio e perciò non piò essere sottomesso ad alcuna autorità ecclesiastica. Innocenzo XI reagì rifiutandosi di investire i vescovi nominati dal re, per cui molte diocesi rimasero vacanti, e Luigi per ritorsione occupò l’enclave pontificia ad Avignone. Alla fine la crisi fu risolta con un compromesso: i quattro articoli non furono insegnati nelle università ma rimasero validi come base del gallicanesimo. In questi anni Luigi affrontò anche il problema della minoranza calvinista, che Richelieu aveva privato delle garanzie politiche e militari: gli ugonotti furono dapprima sottoposti da una serie di vessazioni attraverso un’applicazione restrittiva dell’editto di Nantes e poi si passò alla pressione con ogni forma di abusi e violenze; la conseguenza fu spesso la conversione in massa al cattolicesimo pur di impedire queste persecuzioni. Gravi furono anche gli effetti sulla politica estera perché contribuì a isolare diplomaticamente la Francia alienandole la simpatia del mondo protestante, sempre sostenuto da Richelieu in funzione antiasburgica. LE GUERRE In una prima fase la politica estera di Luigi XIV mirò all’espansione nella direzione delle Fiandre. L’occasione gli fu offerto dal matrimonio con Maria Teresa di Borbone, figlia del re di Spagna Filippo IV: il re aveva stabilito che dopo il successore l’eredità sarebbe toccata alla figlia minore, escludendo così Maria Teresa; poiché la Spagna non aveva mai pagato la dote prevista come compenso per la rinuncia ai diritti sulla corona, Luigi XIV contestò il testamento di Filippo e rivendicò per la moglie l’eredità di diversi territori nei Paesi Bassi spagnoli dove solo i figli di primo letto erano eredi legittimi. Quindi diede inizio alla guerra e occupò diverse piazzeforti. L’iniziativa suscitò viva preoccupazione in Olanda, che stipulò un’alleanza con l’Inghilterra e la Svezia per fermare la campagna militare francese e Luigi XIV fu costretto a stipulare di Aquisgrana (1668) che gli permise comunque di conservare le conquiste fatte. A questo punto i Paesi Bassi divennero il suo principale obiettivo. Il re preparò l’attacco stipulando a Dover un trattato segreto (1670) con Carlo II che, in cambio di un sussidio finanziario annuale, si impegnava a sostenere la Francia nella guerra con l’Olanda e a restaurare il cattolicesimo in Inghilterra. Sostenuto anche da alcuni principi tedeschi, Luigi XIV poté così entrare nel territorio delle Province unite e occuparne buona parte. Agli olandesi non rimase che aprire le dighe e le chiuse dei canali per ostacolare i movimenti dell’esercito occupante e ritirarsi a difesa del territorio olandese. Guglielmo d’Orange fu nuovamente nominato in Olanda come capitano e ammiraglio generale ma anche statolder. Guglielmo riuscì a ottenere l’alleanza dell’Impero e della Spagna, mentre nel 1647 i Comuni obbligarono Carlo II a uscire dal conflitto; Luigi fu quindi costretto a ritirare le sue truppe dal conflitto. → Pace di Nimega (1678): ▫ Spagna → cede la Franca Contea e alcuni territori dei Paesi Bassi meridionali alla Francia; ▫ Luigi XIV → abolisce i dazi doganali sulle merci olandesi e rinuncia alla maggior parte delle conquiste. IL DECLINIO DELL’IMPERO OTTOMANO Nel corso del secolo il governo ottomano aveva continuato l’offensiva contro l’Europa cristiana nel mediterraneo, dove tolse l’isola di Candia a Venezia, e in Ungheria contro il dominio degli Asburgo. L’occasione per un nuovo attacco fu offerto da una rivolta contro il dominio asburgico dell’Ungheria imperiale a difesa dei suoi tradizionali privilegi e della libertà religiosa; l’insurrezione fu sostenuta dall’impero ottomano che puntò su Vienna e la mise sotto assedio. In soccorso di Leopoldo giunse però il re di Polonia Giovanni II che inflisse una severa sconfitta alle truppe turche; questa controffensiva fu poi sostenuta anche da Venezia e dalla Russia, che attaccò i turchi in Crimea. La guerra volse a favore della lega cristiana grazie alla vittoria ottenuta a Zenta (1679) dal generale Eugenio di Savoia. La risposta a questa iniziativa fu la formazione di una quadruplice alleanza (Austria, Inghilterra, Olanda, Francia): la flotta inglese distrusse quella spagnola e le truppe imperiali riconquistarono la Sicilia, portando alla pace dell’Aia (1720). IL RAFFORZAMENTO DELL’AUSTRIA La guerra dei trent’anni aveva posto fine al progetto degli Asburgo di creare nel sacro romano impero un forte potere federale; tuttavia gli Asburgo possedevano all’interno dell’impero: ▫ Vari possedimenti sparsi; ▫ Domini ereditari della casata → ducato di Austria, ducati alpini, Contea del Tirolo; ▫ La corona del regno di Boemia; ▫ Regno di Ungheria, divenuto ereditario ma dominato da un’aristocrazia che custodiva i propri privilegi e la propria autonomia. Con la guerra di successione spagnola la monarchia austriaca ottenne i Paesi Bassi spagnoli e si sostituì alla Spagna come potenza egemone in Italia. Infine l’Austria ottenne un importante successo contro gli ottomani, intervenendo al fianco di Venezia, che gli permise di recuperare l’intero territorio dell’Ungheria storica e la Serbia settentrionale. Grazie a queste acquisizioni territoriali l’impero di Austria assunse le dimensioni di una grande potenza ma si trattava, tuttavia, di territori ancora arretrati e uniti esclusivamente dal vincolo dinastico; solo nei domini ereditari era stata creata un’amministrazione centrale più solida, rafforzata anche dal processo di ricattolicizzazione. Carlo VI tentò di fare della sua monarchia un “tutto unico” con la promulgazione della Prammatica sanzione (1713) nella quale affermava l’indivisibilità dei domini asburgici e stabilì l’ordine di successione al trono; tuttavia questo rappresentò un ulteriore motivo di indebolimento perché dovette scontrarsi con la Dieta imperiali, i suoi vari domini e gli altri Stati europei per l’accettazione del documento. L’ASCESA DEL BRANDEBURGO-PRUSSIA Con la pace di Vestfalia, Federico Guglielmo ottenne una serie di possedimenti privi di contiguità territoriale e molto diversi tra loro: ▫ Territori occidentali → molto più progrediti: i contadini erano di fatto liberi e la popolazione era cattolica; ▫ Territori orientali → vi era un’agricoltura povera e si era diffuso il luteranesimo. Federico Guglielmo tentò di ampliare i suoi territori ma senza successo e dunque passò al tentativo di creare, da questi territori sparsi e disomogenei, uniti solo dal diritto patrimoniale, un vero Stato. Il primo passo in tal senso fu compiuto nella Dieta di Brandeburgo (1653) nella quale ottenne dai ceti i sussidi finanziari per creare il primo nucleo di un esercito permanente in cambio di una conferma dei privilegi fiscali dei nobili (Junker). Nel contempo costruì una burocrazia stabile che prevedeva a livello locale commissari che poi facevano capo all’organo centrale, il Commissariato generale della guerra. Il successore di Federico Guglielmo, il figlio Federico II, non proseguì la politica del padre; ma egli ottenne il titolo regio (1701) assumendo il nome di Federico I di Prussia. Fu il figlio di questi, Federico Guglielmo I, a creare le basi della potenza prussiana. Molto importante fu la sua riforma dell’esercito: egli divise il territorio in cantoni (1733) e stabilì che gli uomini validi di ogni cantone dovessero essere arruolati e istruiti ogni anno e poi sottoposti periodicamente ad addestramento; nel contempo legò stabilmente la classe dei junker al servizio militare, facendone una castra che occupava la maggior parte dei quadri ufficiali. Federico Guglielmo rafforzò e centralizzò la macchina burocratica istituendo un Direttorio generale della guerra, delle finanze e del demanio formato da quattro ministri e alcuni consiglieri. Cercò inoltre di incentivare con una politica di tipo mercantilistico le manifatture e il commercio, e di favorire l’aumento della popolazione. LE ORIGINI DELLA RUSSIA MODERNA Terminata l’epoca dei torbidi, Michele III Romanov aveva ristabilito la tradizionale concezione dell’autocrazia, in base alla quale il sovrano era fonte di tutti i poteri e protettore della chiesa e possedeva di un’autorità illimitata, derivata direttamente da Dio. Il compito di assistere lo zar fu assunto dalla Duma dei boiari con poteri consultivi ed esecutivi. Il figlio di Michele, Alessio I, tentò di consolidare le strutture statali e di potenziare l’esercito, ma una politica di modernizzazione era ostacolata dall’arretratezza della società, incentrata sulla contrapposizione tra i grandi proprietari nobili e la massa di contadini. Gli zar crearono, in contrapposizione ai boiari, una nuova nobiltà di servizio alla quale affidarono i principali incarichi civili e militari, ma i ceti non avevano un proprio status o proprie prerogative; l’unico vero ceto era il clero ortodosso che disponeva di estese proprietà fondiarie e aveva quindi un ruolo centrale nella vita economica e culturale della società. Figlio di secondo letto di Alessio, Pietro fu proclamato zar con il fratellastro Ivan (1682), sotto la reggenza della sorellastra Sofia, e portato al potere come unico zar da un unico colpo di stato (1689). Maturò precocemente la convinzione della superiorità della civiltà occidentale rispetto all’arretrato mondo russo, attirato soprattutto dagli aspetti tecnologici e dall’organizzazione militare. La sua politica fu innanzitutto volta a riorganizzare l’esercito: stabilì una forma di reclutamento attraverso una leva di un uomo ogni venti famiglie contadine e l’addestramento fu affidato a ufficiali stranieri; al contempo furono fondate scuole di artiglieria e medicina militare per la formazione di ufficiali russi. Lo sviluppo economico, interamente finalizzato alla costruzione dell’apparato militare, non mise in moto un’evoluzione della società, che continuò a fondarsi sul servaggio dei contadini. Pietro seguì le classiche linee della politica assolutistica, limitando drasticamente i poteri della nobiltà e della chiesa; sul piano istituzionale: ▫ Esautorò la Duma dei boiari creando un Senato di novembre membri che dovevano eseguire le sue direttive; ▫ Divise il territorio in dodici estesi governatorati; ▫ Introdusse la tavola dei ranghi (1722) → prevedeva nella carriera militare, civile e di corte 14 diversi livelli paralleli, per ciascuno dei quali era prevista una corrispondenza di rango e onore. Alle profonde trasformazioni nell’assetto interno corrisposero grandi successi in politica estera. Il suo principale obiettivo era ottenere uno sbocco sul Baltico, che era controllato dalla Svezia; a tal fine attaccò il paese scandinavo, con l’aiuto della Danimarca e del duca di Sassonia, dando inizio alla guerra del Nord (1700- 1721). Il re di Svezia rivelò straordinarie doti di comandante militare e riuscì a sconfiggere la Russia. Pietro riorganizzò le sue forze e fondò la città di San Pietroburgo sulle coste del Baltico (1703). Quando Carlo XII attaccò la Russia, Pietro ritirò metodicamente le sue trippe distruggendo tutte le risorse finché non riuscì a sconfiggere l’esercito svedese stremato da freddo e fame ( → tattica della terra bruciata). Le paci di Stoccolma (1720) e di Nystadt (1721) sancirono la fine della potenza svedese, la quale cedette alla Russia tutta la costa baltica. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Con questo termine si designa l’avvento di un nuovo modo di produzione fondato sul sistema di fabbrica ovvero unità produttive nelle quali sono concentrati numerosi lavoratori salariati e macchine; questo fenomeno, sviluppatosi tra il 1780 e i primi decenni dell’800, porta a un superamento della società a base rurale e impone il settore secondario come il più importante e dinamico della vita economica. Anche se nacque in Inghilterra, fu un fenomeno europeo in quanto si estese rapidamente a larga parte dell’Europa occidentale e successivamente in Italia Settentrionale, Stati Uniti e Giappone. Premessa necessaria per lo sviluppo economico era un aumento della produttività dell’agricoltura tale da poter nutrire una quota crescente della popolazione che sarebbe diventata così disponibile a essere utilizzata in altri settori. Si avvia così un processo di modernizzazione delle strutture agricole con la formazione di aziende capitalistiche coltivate da salariati al posto della piccola proprietà. Fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento le varie forme di agricoltura intensiva si estesero in diverse zone della Germania, della Francia, dei Paesi Bassi, della Danimarca e in parte della Spagna. Fra gli elementi di novità bisogna ricordare i miglioramenti introdotti nelle comunicazioni terrestri grazie alla riduzione dei dazi e pedaggi interni e all’impegno dei governi per il miglioramento delle reti stradali, che ridussero sensibilmente i tempi di percorrenza. Ma il secolo fu caratterizzato soprattutto dall’enorme sviluppo del commercio internazionale, che vide protagoniste assolute l’Inghilterra e la Francia, verso l’America; un contributo decisivo fu dato dalla espansione demografica ed economica delle Americhe che significava una grande crescita della domanda di manufatti, aprendo così un mercato fiorente per i prodotti europei. Un peso crescente acquisì nel commercio coloniale lo zucchero, prodotto sia nella Giamaica inglese che nei possedimenti francesi, sviluppando un’aspra concorrenza tra i due paesi che degenerò in ripetuti scontri navali. Alla base della rivoluzione industriale vi fu innanzitutto l’innovazione tecnologica che si affermò in genere per la soluzione di problemi legati al ciclo produttivo e determinò un aumento della produttività: ▪ Telaio meccanico → i tessitori ne avversarono l’introduzione perché essi potevano essere azionati anche da lavoratori non qualificati, quindi meno pagati, e sostituivano il lavoro di molti tessitori. ▪ Carbon fossile → la produzione di questa fonte energetica per gli usi domestici e molte attività manifatturiere si sviluppò in Inghilterra; solo nella seconda metà del secolo il suo utilizzo, dopo numerosi miglioramenti ( → processo di distillazione attraverso il calore in assenza delle scorie per poterlo depurare dalle scorie > carbon coke), si diffuse e portò un incremento di produzione e un risparmio di energia. ▪ Uso del vapore → si affermò dapprima nelle miniere, dove era necessario tenere le gallerie sgombre dalle infiltrazioni d’acqua; colui che, modificando questo modello, pose le basi per la costruzione della macchina a vapore fu James Watt, il quale introdusse il condensatore che permetteva di evitare dispersioni di vapore nel moto alternato del pistone e garantiva, di conseguenza, un grande risparmio di energia. L’accumulo delle innovazioni portò sia un costante aumento della produttività sua un cambiamento nei rapporti di produzione, sostituendo lavoro con energia e capitale. Una forte accelerazione di questo processo fu determinata dall’utilizzo della macchina a vapore, specialmente nella produzione di cotone e nell’industria siderurgica, che consentiva la trasformazione dell’energia termica in energia meccanica. La svolta si ebbe a partire quando l’associazione tra l’impiego del ferro e l’utilizzo del vapore portò alla rivoluzione dei trasporti (1830): la costruzione dei binari e dei treni e delle navi in ferro alimentate a vapore aprì la strada all’economia globale e alla divisione del lavoro a livello internazionale. La mappa dell’industrializzazione mostra che la maggior parte delle fabbriche fu impiantata nell’Inghilterra occidentale e centro-settentrionale causando un rapido sviluppo dell’urbanizzazione che portò alla formazione ▪ Trattato di Parigi → Gran Bretagna ( → cede la Guadalupa e la Martinica ma recupera Minorca) e Francia ( → cede il Canada, la valle dell’Ohio, la riva sinistra del Mississippi e varie isole) IL FALLIMENTO DELLE RIFORME IN FRANCIA La grave sconfitta nel duello coloniale con l’Inghilterra ripropose l’esigenza di riforme volte a superare la cronica insufficienza della struttura finanziaria. Dopo la morte di Fleury (1743), il re Luigi XV decise di intervenire personalmente a guidare il processo di risanamento ma la sua azione fu indebolita dall’influenza della marchesa di Pompadour sulle sue scelte politiche e contrastata dai Parlamenti che ostacolarono tutti i suoi progetti di riforma. Fallirono: ▫ Tentativi di rivitalizzare l’economia con l’adozione di provvedimenti ispirati alle teorie fisiocratiche ( → agricoltura e libertà): fu stabilita la libera circolazione dei grani all’interno della Francia e la sua esportazione ma questi provvedimenti furono revocati dopo una serie di cattivi raccolti. ▫ Tentavi di promuovere un superamento della chiusa economia di villaggio, favorendo le recinzioni e la divisione delle terre comuni. Nel 1771 Luigi XV tentò di liquidare l’opposizione militare con un colpo di stato del cancelliere de Maupeou: egli abolì la venalità delle cariche parlamentari e stabilì che i magistrati dovessero essere nominati e stipendiati dal re; soppresse quindi il parlamento di Parigi e suddivise il territorio in sei circoscrizioni in cui operavano Consigli superiori nominati dal re. La morte di Luigi XV vanificò questi sforzi perché il suo successore, il nipote Luigi XVI, per mettere a tacere le critiche rivolte al dispotismo del suo predecessore decise di ristabilire i Parlamenti. IL MINISTERO TURGOT (1774-1776) Il biennio del suo governo rappresentò un tentativo di rinnovare la struttura economica e amministrativa del regno prima della rivoluzione: ▪ Libera circolazione dei grani → fu ritenuto responsabile dell’aumento dei prezzi dei cereali, causato in realtà da un cattivo raccolto, e il malcontento popolare esplose in una serie di rivolte ( → guerra delle farine) che furono represse con severità. ▪ Abolizione delle corporazioni. ▪ Sostituzione della corvée per le strade con un’imposta sui proprietari fondiari. Obiettivo era lo smantellamento della società di ordini per garantire l’eguaglianza almeno di fronte al pagamento dell’imposta e perciò Turgot fu inevitabilmente oggetto dell’ostilità dei gruppi sociali colpiti dalle sue riforme; egli sollecitò Luigi XVI a continuare sulla via delle riforme ma il re non seppe resistere alle pressioni e lo licenziò, chiamando alla guida del governo il banchiere Jacques Necker (1776). Necker provvide a ridurre le spese di corte ma, per far fronte all’aumento delle spese provocato dal sostegno agli insorti americani, dovette ricorrere a prestiti che aggravarono la situazione del debito pubblico. Egli rese pubblici i nomi di coloro che ricevevano pensioni e le somme percepite, attirandosi l’ostilità di molti ambienti di corte; allora Luigi XVI cedette alle pressioni e lo licenziò. Seguirono alcuni ministri incapaci di apportare novità, fin quando fu nominato generale delle finanze de Calonne (1783). L’INGHILTERRA DI GIORGIO III L’avvento al trono di Giorgio III aprì una fase nella quale la monarchia rivendicò un ruolo più attivo nella guida politica della Gran Bretagna e ciò gli provocò contrasti con i Comuni e il malumore della pubblica opinione. In questi anni, sulla spinta dell’esempio offerto dalla rivolta dei coloni nordamericani, richieste di riforma furono avanzate anche in Irlanda, dove gli agricoltori cattolici non si sentivano rappresentati dai proprietari terrieri inglesi protestanti. Nel 1780 una legge favorevole ai cattolici provocò a Londra dei tumulti ma il conflitto con la Francia rivoluzionaria congelò poi a lungo questo problema. Nel 1783 Giorgio III chiamò William Pitt che nel periodo di permanenza al governo avrebbe guidato la guerra contro la Francia rivoluzionaria e Napoleone. Act of union (1800) → sancisce l’ingresso dell’Irlanda nel regno e sopprime il Parlamento di Dublino. L’ETA’ DELLE RIFORME LA PRUSSIA DI FEDERICO II Egli iniziò il suo regno (1740) invadendo, senza dichiarare guerra, la Slesia ( → guerra di successione austriaca). Con l’acquisizione della Prussia occidentale (1772) riuscì a unire in un compatto corpo centrale i principali territori sottoposti alla sua sovranità. Staccatosi dalla tradizione calvinista della famiglia, Federico fu indifferente in materia di religione e garantì nei suoi Stati un’ampia tolleranza e, sotto il suo regno, migliorò notevolmente la condizione degli ebrei. Sul piano giuridico promosse un codice civile che, pur confermando le distinzioni cetuali, regolava in modo razionale i principali aspetti della vita sociale mentre in campo penale abolì la tortura e ridusse i casi in cui si poteva disporre la pena di morte. Proseguì l’opera di rafforzamento dell’apparato burocratico istituendo prove di esame per l’accesso alle funzioni amministrative e giudiziarie per formare un corpo burocratico efficiente. Tuttavia garantì alla nobiltà il monopolio delle alte cariche dell’esercito e dell’amministrazione, oltre che il totale predominio delle campagne lasciando inalterato l’asservimento del mondo rurale. Incentivò anche le manifatture e l’attività mineraria ma l’economia rimase fondata sull’agricoltura. LA MONARCHIA AUSTRIACA SOTTO MARIA TERESA E GIUSEPPE II Maria Teresa si impegnò a rafforzare l’apparato dello Stato: ▫ Introduce il principio della separazione tra giustizia e amministrazione; ▫ Provvede alla riunione della amministrazione e delle finanze con l’istituzione, sul modello prussiano, di un Direttorio che accentrò nelle sue mani la gestione delle imposte, esautorando di fatto le cancellerie separate di Austria e Boemia. ▫ Istituisce un Consiglio di stato (1753) che ebbe il compito di dirigere tutti gli affari interni e di coordinare i vari organi specializzati che furono creati al posto del Direttorio. Dopo la guerra dei sette anni si pose l’esigenza di una ripresa della politica riformatrice per risanare la grave situazione finanziaria provocata dai prestiti contratti nel conflitto; allora Maria Teresa istituì una corte dei conti con il compito di controllare l’operato di tutti gli organi finanziari e inoltre adottò una politica mercantilistica, agevolando il commercio con l’abolizione dei pedaggi interni nei domini ereditari. Alla morte di Francesco Stefano (1765), il primogenito di Maria Teresa divenne imperatore con il nome di Giuseppe II e fu associato dalla madre al trono come coreggente. Salito al trono nel 1780, Giuseppe II proseguì lungo le linee seguite dalla madre ma impresse alla sua politica una straordinaria accelerazione. Diede particolare attenzione alla politica ecclesiastica ( → giuseppinismo): ➢ Emanò una patente di tolleranza che concedeva a protestanti e ortodossi la libertà di culto e la possibilità di accedere agli impieghi civili e militari; inoltre, libero gli ebrei da gran parte delle misure discriminatorie. ➢ Avviò un drastico ridimensionamento del clero regolare e abolì centinaia di monasteri e conventi, i cui beni furono destinati a sviluppare l’istruzione e l’assistenza; l’anno seguente soppresse i seminari diocesani e li sostituì con seminari generali, con l’obiettivo di creare una Chiesa nazionale composta da ecclesiastici fedeli servitori del sovrano. Non meno radicali furono gli interventi nella vita economica e sociale: ➢ Avviò una progressiva demolizione delle corporazioni per favorire la libertà del lavoro. ➢ Abolì la servitù personale dei contadini e poi promosse la formazione di un catasto della proprietà nell’intento di stabilire una equa distribuzione dei carichi fiscali. ➢ Introdusse un codice penale che abolì la tortura e stabilì pene uguali per tutti i sudditi, senza alcuna distinzione di rango. Alla sua morte (febbraio 1790) l’impero era in una situazione molto difficile ▫ Peso finanziario del costo della fallimentare partecipazione alla guerra russo-turca; ▫ Venti di rivolta in Ungheria; ▫ Insurrezione a Vienna dei Paesi bassi belgi che rivendicavano la loro autonomia. E il suo successore Leopoldo II fu costretto ad annullare molto dei provvedimenti del fratello e fare ampie concessioni ai ceti dominanti e alle autonomie locali. LA RUSSIA DI CATERINA II L’azione di modernizzazione di Pietro il grande fu ripresa dalla figlia Elisabetta I che favorì l’apertura della cultura russa all’influsso europeo e combatté contro la Prussia nella guerra dei sette anni. Le successe il nipote Pietro III che assunse una posizione filoprussiana e decise di porre dine al conflitto con Federico II, suscitando molti malumori nell’esercito e nella corte; nel luglio 1762 Pietro fu quindi detronizzato da una congiura di palazzo dietro la quale vi era la moglie, che assunse il titolo di zarina con il nome di Caterina II. Caterina dovette affrontare la grave crisi finanziaria ereditata dalla guerra dei sette anni: proclamò la confisca dei beni della Chiesa ortodossa e i proventi furono usati per finanziare un piano di riforma dell’istruzione, che prospettava l’istituzione delle scuole elementari nelle città; la zarina, che ebbe contatti con molti intellettuali illuministi, favorì anche la nascita di periodi e accademie e l’apertura della società russa alle idee illuministe. Nel 1773 il cosacco Pugacev, proclamandosi restauratore della fede dei vecchi credenti e facendo leva su tutti i motivi di malcontento della società russa, si mise a capo di una rivolta che fu accompagnata da feroci atti di violenza contro proprietari nobili e funzionari. La rivolta si estese rapidamente ma nell’estate 1774 Pugacev, tradito da alcuni seguaci, fu catturato e giustiziato a Mosca. La zarina, spaventata dall’estensione e dalla violenza della rivolta, si impegnò a consolidare l’apparato statale, introducendo una suddivisione amministrativa basata su governatorati retti da governatori generali nominati dal sovrano. Politica estera: le spartizioni della Polonia (1) e la guerra russo-turca (2) (1) Alla morte di Augusto III (dicembre 1763) la Russia, che aveva sottomesso ormai la Polonia, impose con il sostegno della Prussia l’elezione di Stanislao II, amante di Caterina. Il nuovo sovrano non intendeva però essere uno strumento della politica russa e tentò di avviare un processo di L’elezione al soglio pontificio di Benedetto XIV (1740), impegnato a favorire un prudente rinnovamento della tradizione cattolica, sembrò aprire una fase di apertura al pensiero europeo. Tuttavia le speranze andarono progressivamente esaurendosi in quanto non fu in grado di modificare gli orientamenti conservatori della curia: prevaleva nella Chiesa un atteggiamento di difesa del centralismo romano e di chiusura al mondo moderno, culminato nella condanna indiscriminata di tutta la cultura illuministica. Come sovrani temporali, i papi non promossero importanti riforme: lo Stato rimase arretrato sul piano amministrativo e finanziario mentre su quello economico-sociale continuavano a dominare i latifondi delle grandi famiglie aristocratiche, usati per l’allevamento brado e la cerealicultura estensiva. IL REGNO DI NAPOLI L’ascesa al trono di Carlo di Borbone (1734) ripristinava un regno indipendente, anche se legato alla Spagna da vincoli famigliari in quanto egli era figlio dei sovrani spagnoli. In una prima fase furono avviati alcuni provvedimenti di riforma: ▫ Si ottenne la possibilità di tassare i beni ecclesiastici; ▫ Fu istituito un tribunale di commercio → privato delle funzioni dall’opposizione degli altri tribunali; ▫ Fu avviata la redazione di un catasto → si risolse in un fallimento, in quanto il governo non riuscì a superare le resistenze dei baroni e delle comunità locali. Nel 1759 Carlo partì da Napoli per assumere la corona di Spagna (Carlo III) e, essendo minorenne l’erede al trono, il figlio Ferdinando IV, insediò un consiglio di reggenza che riprese la tradizione del giurisdizionalismo, stabilendo ulteriori vincoli alla proprietà degli enti ecclesiastici. Con la maggiore età di Ferdinando IV la situazione progressivamente cambiò in quando la regina Maria Carolina, figlia di Maria Teresa, esercitò la sua influenza sul marito per rafforzare il legame della corte con l’impero d’Austria. Intanto i tentativi di riforma continuarono: ▫ Fu istituito un Supremo consiglio delle finanze per guidare l’amministrazione statale; ▫ Si giunse all’abolizione del tribunale dell’Inquisizione. ▫ Attraverso un’ampia discussione la cultura napoletana individuò il nodo decisivo da sciogliere per avviare la ripresa dell’economia e della vita civile nel potere dei baroni, che schiacciava i contadini e impediva ogni progresso della società. LE RIFORME NELLA LOMBARDIA AUSTRIACA L’impulso alle riforme venne dalla volontà della monarchia austriaca di promuovere una profonda trasformazione dell’amministrazione e delle finanze. In questa prima fase le riforme assunsero quindi un aspetto tecnico-burocratico: per la gestione del debito statale fu creato un banco pubblico, che avviò la restituzione dei capitali ai creditori, e le cariche pubbliche non furono più vendute ma attribuite ai più capaci; inoltre, fu portato a compimento il catasto dei terrenti e dei fabbricati (1760) che riorganizzò su base razionali il sistema finanziario, stabilendo un’imposta fondiaria proporzionale al valore delle terre. Maria Teresa avviò allora una seconda fase di riforme che tesero invece a limitare il potere dei ceti e dei corpi che impedivano un rafforzamento della struttura statale (patriziato, magistrature togate, appaltatori delle imposte, Chiesa): la distinzione tra giustizia e amministrazione ridusse notevolmente i poteri del Senato, al quale fu lasciata solo l’amministrazione della giustizia come supremo tribunale dello Stato; fu inoltre attuata una incisiva politica giurisdizionalistica e furono effettuati importanti interventi anche nel campo della pubblica istruzione. Con l’avvento al trono di Giuseppe II si ebbe una radicalizzazione delle iniziate riformatrici con una prominente attenzione alla politica ecclesiastica, nell’intento di creare una Chiesa nazionale sottoposta al controllo dello Stato: ▫ Richiamò nelle sue mani il conferimento dei benefici ecclesiastici; ▫ Istituì un seminario generale per la formazione del clero; ▫ Soppresse l’immunità reale e quella personale del clero. Attuando una profonda riorganizzazione dell’amministrazione statale, abolì il senato. In economia portò a compimento la politica materna ▫ promuovendo lo scioglimento delle corporazioni; ▫ unificando il mercato con l’eliminazione delle dogane interne; ▫ adottando la libertà di commercio dei grani. Le riforme promosse da Giuseppe II provocarono grande malcontento nelle élite e nella Chiesa, colpite nei loro privilegi, ma anche nel popolo, ostile alle misure che incidevano sulle forme tradizionali del culto, pertanto Leopoldo II dovette cancellare molti provvedimenti del fratello. LA REGGENZA LORENSE IN TOSCANA Francesco Stefano di Lorena, marito di Maria Teresa, dopo aver visitato il nuovo stato (1739), fece ritorno a Vienna lasciando il governo nelle mani di un Consiglio di reggenza che si distinse per la sua politica giurisdizionalista: tolse all’autorità ecclesiastica la censura sui libri e vietò agli enti ecclesiastici ogni acquisto di terre senza l’autorizzazione delle autorità statali. Una svolta significativa si ebbe con l’arrivo a Firenze, alla morte di Francesco Stefano, del figlio Pietro Leopoldo (1765) che adottando una linea liberista ▫ stabilì la completa libertà di commercio del grano; ▫ unificò il mercato interno; ▫ sciolse le corporazioni; ▫ avviò la bonifica della Maremma, dove tentò di sviluppare una piccola proprietà attraverso la concessione di lotti ai contadini dietro al pagamento di un modesto canone annuo ma questa azione non ebbe successo. Inoltre egli abolì l’inquisizione e appoggiò il programma di riorganizzazione della Chiesa che aspirava a un ridimensionamento del centralismo papale e auspicava a una riforma del culto ispirata alla semplicità evangelica e tesa a favorire la partecipazione dei fedeli, grazie all’uso della lingua volgare. LE REPUBBLICHE Consapevoli della loro fragilità, le oligarchie che governavano questi Stati adottarono sul piano interno un sostanziale immobilismo, volto a mantenere inalterati i delicati equilibri istituzionali, mentre nei rapporti internazionali scelsero un atteggiamento di neutralità rispetto ai conflitti europei. Venezia Nel corso del secolo apparvero sempre più evidenti segni del declino sul piano istituzionale ed economico: ▫ Al calo demografico del patriziato si accompagnò la formazione di un cospicuo gruppo di patrizi poveri, delineando una tendenza alla concentrazione del potere nelle mani di una trentina di famiglie più ricche e influenti che avevano un peso decisivo negli equilibri istituzionali. ▫ Da tempo il patriziato veneziano aveva ridimensionato il suo impegno nelle attività commerciali e si era trasformato in un ceto di proprietari terrieri. Nel secolo della sua decadenza politica, tuttavia, Venezia, che era il primo centro editoriale della penisola, conobbe una stagione di straordinaria fioritura artistica e letteraria. LA RIVOLUZIONE AMERICANA Le tredici colonie inglesi sul litorale atlantico dell’America settentrionale si erano formate lungo un arco di tempo compreso fra gli inizi del XVII secolo e il 1732. Nell’ambito di una concezione dell’impero ancora orientata sullo sviluppo delle attività commerciali più che sul controllo dei territori, il Parlamento non intervenne a regolare l’assetto interno delle colonie che godettero perciò fi una larga autonomia. L’autorità della madrepatria era rappresentata dal governatore, scelto da re, che nominava i giudici e i funzionari, controllava la riscossione delle imposte e dirigeva l’amministrazione; egli era affiancato da un Consiglio, di nomina regia, e da un’assemblea rappresentativa nella quale sedevano i deputati eletti dalla popolazione. Dopo la restaurazione del 1660, Giacomo III perseguì l’obiettivo di rafforzare il proprio controllo sui domini americani con un progetto di centralizzazione della direzione dell’impero, cercando in particolare di eliminare i privilegi delle colonie statuarie. Tuttavia fu costretto a lasciare il trono prima di portare a compimento il progetto. Al suo successore Guglielmo III fu possibile soltanto imporre la presenza di un governatore di nomina regia; egli provò anche a riorganizzare l’amministrazione coloniale per rendere più efficiente il controllo economico e sociale ma l’impero rimase di fatto una realtà frammentata. Ciò che univa queste popolazioni alla madrepatria era la necessità di protezione che la potenza navale garantiva. LA SVOLTA DELLA GUERRA DEI SETTE ANNI / FRANCO-INDIANA (1754 – 1763) Le conseguenze della guerra ebbero un peso decisivo nell’evoluzione delle relazioni fra le colonie e la madrepatria: il governo inglese riteneva che i coloni dovessero contribuire al risanamento del debito pubblico provocato dalle spese militari ma questi, che avevano avuto modo di prendere coscienza della propria forza e valutare l’inefficienza delle truppe inglesi, iniziavano a sentire meno pressante e quindi giustificato il pagamento delle imposte stabilite da Londra. Queste divergenze si innestarono sui contrasti di natura commerciale che avevano sempre caratterizzato i rapporti tra Londra e le colonie americane, colpite dalla politica mercantilistica inglese che imponeva il monopolio del traffico commerciale e ostacolava lo sviluppo di prodotti che potessero far concorrenza a quelli della madrepatria. La crisi prese avvio dall’entrata in vigore dello Stamp Act (1765) che introdusse l’obbligo del bollo su documenti e carta stampata, provocando diffuse proteste da parte dei coloni. A Londra si fece strada l’esigenza di stabilire un maggiore controllo sui territori e perciò furono stabiliti nuovi dazi doganali sui prodotti inglesi importati e fu creato un segretariato per le colonie americani. I coloni, per opporsi ai dazi imposti dalla madrepatria, si appellarono al principio sul quale si erano fondate le rivoluzioni inglesi: nessuna tassazione senza rappresentanza. Gli americani organizzarono allora un sistematico boicottaggio dei prodotti inglesi che culminò con il Boston tea party (16 dicembre 1773), considerato l’atto di inizio della guerra. La reazione del governo di Londra fu durissima: ▫ Fu chiuso il porto di Boston ▫ Fu modificato di autorità lo statuto del Massachusetts ▫ Furono rafforzati i poteri del governatore. Si giunse così al primo Congresso continentale (Filadelfia – settembre 1774) che chiese l’annullamento della legislazione approvata dal Parlamento di Londra ma evitò di mettere in discussione il suo diritto di legiferare sull’impero coloniale. Fu elaborata anche una proposta conciliatrice ma sempre più evidente era Stato dichiararono di essere in grado di rappresentare da soli la Francia e adottarono il nome di Assemblea nazionale, dichiarando che avrebbero accolto i rappresentanti degli altri due ordini che avessero deciso di unirsi a loro e giurando di non separarsi fino allo stabilimento di una costituzione → atto di inizio della rivoluzione. Attraverso l’iniziativa rivoluzionaria del Terzo Stato nasceva il moderno concetto di rappresentanza in quanto essi si ponevano come portavoce dell’intera nazione e si impegnavano a dare una costituzione alla Francia. Il re decise di intervenire di autorità convocando i tre ordini in una seduta reale (23 giugno) nella quale dichiarò nulle le decisioni del Terzo Stato e invitò i rappresentanti a riprendere i lavori separatamente ma esso si rifiutò di seguire le direttive reali. Allora Luigi XVI invitò i rimanenti deputati del clero e della nobiltà a riunirsi all’Assemblea nazionale, che si diede il nome di Costituente (9 luglio). Dopo aver fatto circondare Parigi (11 luglio) da un ampio schieramento di truppe, il re licenziò Necker e installò un nuovo ministro di orientamento reazionario che avrebbe dovuto sciogliere l’Assemblea e ripristinare la sua autorità assoluta. Dunque la rivoluzione costituente rischiava di essere soffocata ma intervenne il popolo a salvarla. RIVOLUZIONE POPOLARE URBANA E CONTADINA A partire dal 1726 il prezzo dei generi di prima necessità era aumentato oltre il 60% e gli affitti erano raddoppiati, determinando un peggioramento del livello di vita dei contadini. Ad aggravare questa difficoltà intervenne anche un pessimo raccolto cerealicolo e si assisté a gruppi di vagabondi in cerca di assistenza e tumulti popolari. La notizia del licenziamento di Necker e il timore della congiura aristocratica innescò l’insurrezione: i rivoltosi incendiarono i caselli daziari dove erano riscosse le imposte e si diedero a violenze e saccheggi. La mattina del 14 luglio una folla si recò alla Bastiglia, un castello adibito a carcere, per chiedere armi e munizioni ma la situazione degenerò a causa della decisione di far sparare sulla folla. Quando i popolani ritornarono all’assalto del castello, il governatore si arrese e fu massacrato con alcuni ufficiali e la Bastiglia, simbolo dell’assolutismo, fu demolita, dimostrando come la capitale fosse ormai sotto il pieno controllo dei rivoltosi. Il giorno seguente Luigi XVI ordinò l’allontanamento delle truppe e richiamò Necker al governo. Spaventata dal dilagare del disordine e della violenza popolare, la borghesia tentò di riprendere subito il controllo della situazione formando una guardia nazionale borghese, per mantenere l’ordine, e dando vita a una nuova municipalità al posto delle vecchie autorità. Al contempo la rivoluzione si estese a tutte le città della Francia: i poteri locali si dissolsero e si formarono amministrazione amministrazioni fedeli all’Assemblea nazionale. Parallelamente alla rivoluzione municipale, anche le campagne furono interessante da sommosse che si concretizzarono nel rifiuto di pagare i censi dovuti ai signori sulla decima; inoltre molti castelli furono saccheggiati e vennero distrutti gli archivi in base ai quali venivano riscossi i diritti signorili. L’insurrezione del mondo contadino indusse l’Assemblea nazionale a un ulteriore passo verso una radicale rottura con il passato. Il 4 agosto, i deputati diedero un colpo decisivo a ciò che restava del sistema signorile: soppressero i diritti personali, gravanti sull’individuo, ma dichiararono i diritti “reali”, gravanti sulla terra, riscattabili. Naturalmente i contadini si opposero a questa prescrizione finché non fu dichiarata l’abolizione pura e semplice, senza riscatto, di tutti i diritti signorili. La costituente con questi provvedimenti smantellò pezzo per pezzo tutta la struttura della vecchia Francia. A pronunciarne il definitivo atto di morte fu la dichiarazione dei diritti: il testo dichiarava diritti naturali dell’uomo, inalienabili e imprescrittibili, la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. Nacque allora l’espressione “antico regime” per designare la società del privilegio e delle distinzioni, che la dichiarazione aveva cancellato per sempre. Luigi XVI, intenzionato a non penalizzare il clero e la nobiltà, non intendeva firmare i decreti del 5-11 agosto e avanzò l’idea che fosse necessaria un’altra insurrezione. L’occasione per la mobilitazione popolare ebbe ancora una base economica: la mattina del 5 ottobre una folla di alcune migliaia di donne si presentò a reclamare del pame e si avviò verso Versailles; il re ricevette una delegazione di queste, dando garanzie circa l’approvvigionamento di pane, e in seguito si impegnò anche a firmare i decreti di agosto. Al contempo, però, una seconda colonna composta da guardie nazionali e popolani era partita alla volta di Versailles con l’intenzione di riportare il re a Parigi, sottraendolo all’influenza della corte, e riuscì a penetrare nel castello la mattina del 6. Il re dovette cedere alle richieste della folla e partì alla volta della capitale, seguito dai deputati dell’Assemblea qualche giorno dopo. L’Assemblea nazionale costituente cancellò l’intrico di circoscrizioni amministrative, fiscali e giudiziarie dell’antico regime e riconobbe le autonomie locali: la Francia fu divisa in 83 dipartimenti, ciascuno dei quali comprendeva più distretti, i quali erano divisi a loro volta in cantoni; la borghesia si assicurò il controllo di tutte queste amministrazioni locali, rette da funzionari elettivi. L’Assemblea riorganizzò su nuove basi il sistema finanziario, stabilendo un’imposta fondiaria sulla ricchezza mobile e una patente sulle attività commerciali, professionali e artigianali. Inoltre, decise la nazionalizzazione di tutti i beni ecclesiastici. Avendo tolto alla Chiesa tutti i suoi beni, l’Assemblea dovette incaricarsi di una sua completa riorganizzazione, che fu realizzata con la costituzione civile del clero (luglio 1790): gli ecclesiastici divennero funzionari al servizio dello Stato, dal quale ricevevano lo stipendio, e le diocesi furono fatte corrispondere con gli 83 dipartimenti. Nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1791, Luigi XVI tentò di lasciare la Francia con la sua famiglia per rifugiarsi in Belgio, sotto la protezione dell’imperatore d’Austria Leopoldo II, fratello di Maria Antonietta, ma fu riconosciuto poco prima della frontiera e costretto a tornare indietro. La fuga del re fu l’occasione per una nuova spaccatura del fronte rivoluzionario: l’ala moderata (triumvirato e La Fayette) uscì dal club dei giacobini per fondarne uno nuovo, che fu detto dei foglianti. Portati a termine i suoi lavori, l’Assemblea approvò il testo della costituzione (4 settembre 1971) che Luigi XVI firmò, nonostante la sua fuga avesse reso chiaro che non volesse vestire i panni del monarca costituzionale. Il 30 settembre l’Assemblea si sciolse. La costituente diede vita a una monarchia costituzionale nella quale il sovrano conservava la titolarità del potere esecutivo e otteneva anche un vero sospensivo delle leggi ma vedeva sensibilmente limitato il suo potere da un’Assemblea depositaria del potere legislativo, eletto a suffragio universale. Attribuì il diritto di eleggere amministratori, giudici e i rappresentanti dell’Assemblea legislativa ai soli cittadini attivi, che pagavano cioè un’imposta parti a tre giornate lavorative, mentre lasciò ai cittadini passivi la sola titolarità dei diritti civili. Per quanto concerne la politica estera, i costituenti subordinarono le decisioni del re concernenti trattati internazionali e dichiarazioni di guerra alla ratifica dell’Assemblea. Tuttavia diversi fattori minavano la base del regime costituzionale, che infatti durò solo dieci mesi: ▪ Ostinata volontà di Luigi XVI di restare fedele alla monarchia assoluta; ▪ Mancanza di sostegno da parte dell’aristocrazia; ▪ Condanna formale del papa alla costituzione civile del clero; ▪ Aggravarsi della crisi economico-sociale. Un ulteriore fattore di accelerazione della crisi fu la guerra, favorita dallo stesso Luigi XVI nella speranza che le potenze coalizzate, sconfitta la Francia, avrebbero soffocato la rivoluzione e ristabilito il suo potere assoluto. Sull’opportunità della guerra si sviluppò un duello oratorio (dicembre 1791 – gennaio 1792): ▫ Brissot → riteneva la guerra necessaria per consolidare la rivoluzione e smascherare i nemici; ▫ Robespierre → oppose i molti motivi che la sconsigliavano (difficoltà finanziarie, impreparazione dell’esercito, inaffidabilità degli alti comandi) ma soprattutto espose il gioco della corte. Tuttavia l’opposizione di Robespierre rimase una voce isolata e l’Assemblea approvò a larga maggioranza la dichiarazione di guerra all’imperatore d’Austria Francesco II (aprile 1792). Gli inizi del conflitto sembrarono dar ragione ai timori di Robespierre: l’offensiva in direzione del Belgio fallì. I primi insuccessi militari provocarono una ripresa dell’iniziativa rivoluzionaria, che mise sotto accusa di tradimento il re. L’insurrezione scattò nella notte tra il 9 e il 10 agosto: i popolani si mossero all’assalto spalleggiati dai federati rimasti nella capitale. Quando si profilò la vittoria dell’insurrezione, l’Assemblea legislativa decise la sospensione del re e la formazione di un Consiglio provvisorio, in attesa che la Convenzione decidesse i destini della Francia, dando vita al comune rivoluzionario. LA PRIMA REPUBBLICA All’indomani della caduta del re si creò un dualismo istituzionale tra il Comune rivoluzionario, insediato al posto della precedente municipalità, e l’Assemblea legislativa, in attesa che fosse eletta a suffragio universale una Convenzione. Nel frattempo le notizie provenienti dal fronte, che annunciavano l’avanzata delle truppe prussiane, crearono nella capitale un clima di eccitazione e paura: i popolani assalirono le carceri cittadine e massacrarono prigionieri, aristocratici, preti e molti detenuti lasciando le autorità impotenti di fronte a tanta violenza ( → massacri di settembre, 2-5). Il 20 settembre l’avanzata prussiana fu però fermata a Valmy; nei mesi seguiti le armate francesi invasero il Belgio a nord, raggiunsero la riva sinistra del Reno e strapparono Nizza e la Savoia al regno di Sardegna. Nello stesso mese di settembre si svolsero a suffragio universale maschile le elezioni per la Convenzione che, riunitasi a Parigi il 20 settembre 1972, proclamò ufficialmente la repubblica. Essa era composta: ▫ Ala destra → Brissotini o girondini; ▫ Ala sinistra → Montagna – Robespierre; ▫ Centro → Pianura o palude; personaggi privi di caratterizzazione politica ma interpreti degli interessi maturati nella società francese per effetto della rivoluzione. Fin dall’inizio si sviluppò tra Montagna e Gironda un’aspra lotta politica, che rifletteva la diversità di formazione e di programmi politici tra i loro esponenti. L’occasione per il loro scontro fu data dalla questione della sorte del re: la Convenzione si era pronunciata all’unanimità per la colpevolezza del re, il cui tradimento era provato, e la Montagna era favorevole ma i girondini, intenzionati a salvare il re, proposero l’appello del popolo, che però fu respinta. La condanna fu eseguita il 21 gennaio 1793 e segnò la simbolica cancellazione della monarchia di diritto divino. Essa determinò anche la formazione della prima coalizione antifrancese (Inghilterra, Austria, Russia, Prussia, Spagna, Olanda, Portogallo, Impero, Stati Italiani eccetto le repubbliche) tra gli Stati europei che fino a quel momento si erano limitati a impedire la diffusione dei principi rivoluzionari. ➢ Si stabilì definitivamente la separazione tra Chiesa e Stato; ➢ Fu portata a termine la vendita dei beni nazionali; ➢ Si pose fine all’esperienza degli assegnati. LA PRIMA CAMPAGNA ITALIANA Il Direttorio si propose quindi di far leva sulle divisioni interne alla coalizione europea per trattare da posizioni di forza la fine della guerra: furono firmati trattati di pace con la Prussia e la Spagna mentre le Province unite accettarono di trasformarsi in una repubblica democratica alleata alla Francia. La dottrina delle frontiere naturali rendeva però impossibile lo stabilimento della pace continentale: dopo la vittoria a Fleurus le armate francesi occuparono il Belgio e l’Olanda l’annessione del Belgio era inaccettabile per Austria e Inghilterra. I piani predisposti dal Direttorio prevedevano che l’offensiva principale contro l’Austria si svolgesse sul Reno, mentre all’armata d’Italia, il cui comando fu affidato a Napoleone (marzo 1796), doveva svolgere un’azione diversiva. Ma Napoleone, attraversate le Alpi, batté separatamente l’esercito sardo e quello austriaco, costringendo il re di Sardegna a firmare l’armistizio di Cherasco. Aggirate le truppe austriache attraversando il Po a Piacenza, entrò trionfalmente a Milano e fece capitolare la fortezza di Mantova. Riprese allora l’offensiva penetrando dal Trentino in territorio nemico e giunse a 100 km da Vienna, costringendo il comandante austriaco a stipulare i preliminari per la pace di Leoben. IL TRIENNIO REPUBBLICANO (1796-1799) Napoleone si presentò abilmente agli italiani come un liberatore, disposto a sostenere le loro aspirazioni nazionali: disattendendo le indicazioni del Direttorio, che puntava a sfruttare finanziariamente i territori conquistati e poi a utilizzarli come merce di scambio nelle trattative di pace, egli favorì la formazione di alcune repubbliche: ▫ Repubblica Cispadana (Ferrara, Bologna, Modena, Reggio Emilia) → Repubblica Cisalpina ( + Lombardia ex austriaca). ▫ Repubblica ligure. ▫ Trattato di Campoformio (ottobre 1797) → cedeva all’Austria Venezia, Istria e la Dalmazia in cambio del riconoscimento della frontiera sul Reno. ▫ Repubblica romana → occupazione delle truppe francesi di Roma (febbraio 1798). ▫ Repubblica napoletana. Infine l’annessione del Piemonte e l’occupazione della repubblica di Lucca e della Toscana completarono il predominio francese nella Penisola. L’IMPRESA IN EGITTO Restava in campo contro la Francia solo l’Inghilterra. Napoleone optò per una spedizione contro l’Egitto che mirasse a colpire il commercio inglese con l’Oriente e far pesare una minaccia sull’India. Nel frattempo l’Inghilterra diede vita alla seconda coalizione antifrancese, alla quale aderirono Russia, Austria, Impero Ottomano e Regno di Napoli. Le truppe francesi riuscirono a resistere in Belgio e in Svizzera ma in Italia furono sconfitte (aprile 1799) e dovettero abbandonare tutti i territori conquistati. Mentre le repubbliche italiane crollavano, si svilupparono un po' ovunque insorgenze popolari in favore dei sovrani legittimi. I drammatici eventi del 1799 avevano dimostrato che il progetto dell’unificazione nazionale non era ancora maturo a causa dell’arretratezza culturale e civile della popolazione. Si sviluppò una riflessione critica sull’esperienza del triennio 1796-99: la repubblica era caduta perché era sorta da una rivoluzione passiva, non nata da un moto spontaneo del popolo ma imposta dalle armi francesi; inoltre, si era basata su idee ed istituzioni derivate dalla Rivoluzione francese, estranee alla mentalità e alle aspirazioni delle masse popolari. IL COLPO DI STATO DEL 18 BRUMAIO Le sconfitte acuirono la crisi del regime direttoriale e Sieyès, divenuto direttore nel maggio 1799, cominciò a organizzare un colpo di stato per abbatterlo e consolidare la repubblica. Quando seppe che Napoleone, abbandonati i suoi soldati in Egitto, era sbarcato in Francia, si accordò con lui per la realizzazione del progetto: il 18 brumaio anno VIII, con il pretesto di un’esistenze cospirazione giacobina, i consigli legislativi furono fatti trasferire mentre i membri del direttorio si dimettevano; il consiglio dei cinquecento si oppose alla manovra e accolse con grida ostili l’ingresso in aula di Napoleone, ma alla fine i rappresentanti furono dispersi dalle truppe. A sera fu riunito un gruppo di pochi deputati che diede il potere a un triumvirato formato da Bonaparte, Sieyès e Roger Ducos e nominò due commissioni per la preparazione di una nuova costituzione. L’ETA’ NAPOLEONICA Dopo il colpo di stato, Bonaparte impose subito la sua volontà relegando in una posizione subalterna Sieyès: la costituzione dell’anno VIII, approvata con un’ampia maggioranza da un plebiscito popolare, pose alla testa dello Stato per dieci anni tre consoli ma in realtà attribuì tutto il potere a Bonaparte, che in qualità di primo console aveva l’iniziativa legislativa, nominava i ministri e quasi tutti i funzionari pubblici, mentre i suoi colleghi avevano solo un voto consultivo. Il carattere autoritario del nuovo regime fu chiaro fin dai primi provvedimenti (fu abolita la libertà di stampa e fu imposto il divieto di criticare il governo) ma la maggior parte dei francesi era disposta a rinunciare alla libertà politica in cambio dell’ordine e della pace. La pace europea Valicate le Alpi (maggio 1800), Napoleone affrontò e sconfisse l’armata austriaca nella piana di Marengo e successivamente anche in Baviera, costringendola a firmare la pace di Lunéville (febbraio 1801): venne confermato il possesso del Belgio e della riva sinistra del Reno alla Francia e furono riconosciute le repubbliche sue alleate (Cisalpina, Batava, Elvetica). Nell’ottobre 1801 trattati di pace regolarono l’uscita dalla guerra della Russia e dell’impero ottomano, al quale la Francia restituì l’Egitto. Infine anche l’Inghilterra firmò la pace di Amiens, con la quale si impegnò a restituire alla Francia le colonie occupate e a lasciare Malta. La pacificazione interna Forte dei successi militari, il primo console poté dedicarsi all’opera di pacificazione interna: ▫ L’opposizione di sinistra fu colpita da una dura repressione; ▫ Nei confronti della destra gli bastava mostrare come fosse inutile una lotta per la restaurazione borbonica dal momento che c’era già in Francia un potere forte in grado di ristabilire l’ordine. Il nodo decisivo per porre fine alla rivoluzione era la pacificazione religiosa e infatti Napoleone prese contatti con Papa Pio VII: dopo trattative lunghe e faticose fu firmato a Parigi un concordato (15 luglio 1801) con il quale il Papa ottenne che il cattolicesimo fosse dichiarato religione della maggioranza dei francesi e vide ristabilita la sua autorità sulla Chiesa di Francia; in cambio riconobbe la repubblica e rinunciò ai beni ecclesiastici nazionalizzati dalla rivoluzione. Dal consolato a vita all’impero Nel 1802 Tribunato e Corpo legislativo proposero ai francesi il conferimento a Bonaparte del consolato a vita, proposta approvata da un plebiscito con larghissima maggioranza; quindi il Senato emanò un Senato- consulto che modificava la costituzione accrescendo ulteriormente i poteri del primo console. Nel 1804, un nuovo Senato-consulto assegnò a Napoleone il titolo di imperatore dei francesi, reso ereditario nella sua famiglia. Negli anni del consolato Napoleone riorganizzò l’amministrazione secondo un piano razionale che garantiva la rapidità ed efficacia della trasmissione degli ordini dal centro alla periferia tramite un prefetto, posto a capo del dipartimento, che aveva alle sue dipendenze i sottoprefetti e i sindaci dei comuni. Molto importante fu la riordino del sistema finanziario, che portò in tempi brevi al pareggio del bilancio puntando sulle imposte indirette. Per quanto concerne la legislazione, il codice civile (1804) traspose sul piano giuridico i principi fondamentali della rivoluzione: caduta di ogni privilegio, eguaglianza di tutti davanti alla legge, libertà personale, laicità dello Stato e libertà di culto, libertà economica, diritto di proprietà liberato da vincoli. LA ROTTURA DELLA PACE: TERZA E QUARTA COALIZIONE La pace di Amiens non aveva fermato l’antagonismo tra Inghilterra e Francia: Napoleone accusò l’Inghilterra di non aver rispettato l’ordine di evacuare Malta ma è anche vero che l’espansionismo francese proseguì anche dopo la pace. Nel luglio 1805 l’Inghilterra formò la terza coalizione antifrancese alla quale aderirono Austria, Russia, Svezia e Regno di Napoli. In ottobre la flotta inglese inflisse a Trafalgar una rovinosa disfatta alla flotta franco-spagnola, dando all’Inghilterra il completo predominio sul mare, ma Napoleone riuscì a prevalere sulla terraferma; i francesi sconfissero l’esercito austriaco ed entrarono a Vienna, mentre l’imperatore Francesco si rifugiava presso lo zar Alessandro. Con la pace di Presburgo l’Austria cedette Veneto, Istria e Dalmazia al regno d’Italia e si impegnò a pagare un’ingente somma di riparazioni di guerra. Napoleone sconvolse l’assetto dell’impero germanico riunendo gli Stati alleati alla Francia in una Confederazione del Reno sottoposta al suo controllo. Francesco allora non poté che sciogliere il sacro romano impero e mantenere solo il titolo di imperatore d’Austria. Fu il re di Prussia Federico Guglielmo III, allarmato dall’influenza francese in Germania, a riaprire il conflitto alleandosi nella quarta coalizione con Russia e Inghilterra. Napoleone sconfisse fulmineamente i prussiani ed entrò a Barlino mentre Federico Guglielmo si rifugiava presso lo zar. Più difficile fu la successiva campagna contro la Russia, che fu battuta comunque. La Prussia fu costretta a cedere tutti i territori tra il Reno e l’Elba, a subire l’occupazione francese e pagare pesante indennità di guerra. Con questi territori e una parte dello Hannover inglese, Napoleone formò un regno di Vestfalia e lo affidò al fratello. Lo zar Alessandro invece cedeva alla Francia Cattaro e le isole ionie e garantiva sostegno a Napoleone nel caso in cui l’Inghilterra avesse continuato la guerra.
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