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STORIA PROGRAMMA DI 5^ SUPERIORE, Appunti di Storia

Riassunto di tutto il programma di STORIA fatto al mio quinto anno di scuola superiore, tratto dal libro "Comunicare storia", Rizzoli education, di Antonio Brancati e Trebi Pagliarani. In preparazione alla MATURITA' è ottimo! Il documento contiene tutta la storia dai primi del Novecento all'età contemporanea.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 13/04/2022

manuel_fedeli
manuel_fedeli 🇮🇹

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(6)

23 documenti

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Scarica STORIA PROGRAMMA DI 5^ SUPERIORE e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! 1. IL MONDO ALL’INIZIO DEL NOVECENTO Alla fine del XIX secolo, l’Europa fu interessata da uno sviluppo tecnologico e industriale che portò incredibili miglioramenti materiali; tali miglioramenti, a loro volta, favorirono la diffusione di stili di vita impensabili qualche decennio prima. Si generò così un clima di euforia e di fiducia nel progresso che portò a definire quel periodo la Belle époque, l’“epoca bella”. I rapidi mutamenti comportarono anche la crisi della fa-miglia tradizionale, il rifiuto delle convenzioni sociali e la diffusione di comportamenti “trasgressivi”, espressione della crisi di valori di chi sembrava aver smarrito il senso della propria identità e le certezze del passato senza avere trovato nuovi punti di riferimento per il presente. Nel contempo, si andò affermando un orientamento che esaltava l’azione violenta e istintiva e che, tradotto sul piano politico, dette come esito rigurgiti di nazionalismo, razzismo, xenofobia e antisemitismo. In un tale clima, si sviluppò il pangermanesimo, orientamento che aspirava a riunire sotto un’unica nazione tutti i popoli germanici e che, dopo l’ascesa al trono dell’imperato-re Guglielmo II (1888) si trasformò nell’esaltazione del-la superiorità della stirpe germanica. Questo clima di pesante intolleranza spinse Teodor Herzl (1860-1904) a fondare il movimento sionista, che mirava a creare uno Stato ebraico in Palestina. Dopo il conflitto franco-prussiano, l’Europa sembrò attraversare un lungo periodo di pace. In realtà crescevano motivi di scontro fra le potenze europee, sia in campo economico sia in quello politico. In Francia le forze repubblicane, radicali e socialiste, salite al potere nel 1899, rafforzarono in senso democratico e laico le istituzioni, ma non seppero placare le spinte nazionaliste alimentate dal desiderio di rivincita verso la Germania. Durante il regno della regina Vittoria (1819-1901), l’Inghilterra si era affermata come la principale potenza industriale e commerciale nel mondo. Nel 1906 con la vittoria elettorale dei liberali e del Partito laburista, si aprì una fase di riforme a favore delle istituzioni parlamentari e della giustizia sociale. Tuttavia non mancavano le tensioni: le donne rivendicavano un ruolo più attivo, mentre rimane-va aperta la questione irlandese. In Germania il rapido e poderoso sviluppo industriale si era accompagnato alla politica estera aggressiva ed espansionistica del nuovo imperatore Guglielmo II (1888-1918), il quale aveva an-che intrapreso una politica interna autoritaria e assolutista. La conseguenza fu il riavvicinamento di Francia e Russia, che stipularono un accordo di reciproca assistenza militare (1893), e di Francia e Inghilterra, le quali siglarono un’Intesa cordiale (1904). Si definì così un sistema di alleanze di due blocchi di potenze contrapposte: da un lato il fronte franco-anglo-russo della Triplice Intesa (1907), dall’altro la Triplice Alleanza tra Germania, Austria e Italia (1882). Il Giappone, che nell’era Meiji aveva imboccato la via dell’industrializzazione, ricorse a metodi autoritari e illiberali per consolidare lo sviluppo economico raggiunto. Sul fronte esterno, avviò una politica imperialista che si indirizzò verso la Cina. All’inizio del XX secolo la Russia era un paese ancora agricolo e povero, dove il forte sviluppo industriale di al-cune grandi città non aveva portato benefici diffusi. Ave-va però favorito la crescita del proletariato, la diffusione delle dottrine marxiste e la nascita del Partito operaio socialdemocratico (1898), al cui interno la corrente rivoluzionaria marxista di Lenin (o bolscevica, cioè “maggioritaria”) prevalse sulla minoranza riformista (o menscevica, “minoritaria”). Nell’illusione di distogliere l’attenzione del popolo dai problemi interni, lo zar Nicola II impegnò il paese in una guerra di espansione verso l’Estremo Oriente, ma si scontrò con gli interessi delle altre potenze europee e del Giappone, da cui fu clamorosamente battuto (guerra russo- giapponese, 1904-1905). La sconfitta alimentò un’ondata rivoluzionaria che si concretizzò in una manifestazione di popolo a San Pietroburgo (“domenica di sangue”, 22 gennaio 1905) e in una serie di scioperi. Queste azioni di lotta, coordinate dai soviet o “consigli”, indussero lo zar a fare alcune concessioni (Costituzione e Duma), che non furono però sufficienti a democratizzare il paese. Gli Stati Uniti consolidarono il proprio apparato produttivo beneficiando anche della massiccia immigrazione. L’aumento della produzione, favorito dalla razionalizzazione del processo lavorativo (taylorismo), facilitò la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi gruppi capitalistici (trust); per arginarne il potere furono emanate misure antitrust e leggi favorevoli ai lavoratori. Lo sviluppo industriale si tradusse presto in un’espansione imperialistica che si indirizzò principalmente verso il Centro America e il Pacifico. 2. L’ETA’ GIOLITTIANA IN ITALIA Salito al trono nel 1900, Vittorio Emanuele III affidò il governo all’esponente della Sinistra liberale Giuseppe Zanardelli. Al suo ritiro nel 1903 divenne primo ministro Giovanni Giolitti, il quale, salvo brevi interruzioni, mantenne la carica fino al 1914. Convinto che il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori avrebbe avvantaggiato tutto il corpo sociale, egli rese effettivo il diritto di sciopero e attuò un’avanzata legislazione sociale a tute la delle categorie più deboli. La sua oculata amministrazione del bilancio statale incrementò il valore della moneta italiana e agevolò il risparmio e l’attività industriale, la cui produttività raddoppiò. Giolitti incrementò le opere pubbliche e istituì il monopolio statale nel settore del le assicurazioni sulla vita, fino ad allora gestite da privati. Il suo lungo governo lasciò comunque irrisolti alcuni gravi problemi, in particolare l’analfabetismo e la miseria del Meridione e di alcune regioni del Nord, come il Veneto. Anche per queste ragioni nei primi quindici anni del Novecento l’emigrazione italiana, rivolta soprattutto verso l’America, non solo non si arrestò ma superò le 600.000 persone all’anno. A partire erano soprattutto gli uomini, nel pieno della loro capacità lavorativa. Sul piano sociale il fenomeno migratorio provocò la disgregazione delle famiglie e rese più difficile la formazione di nuovi nuclei, ma allo stesso tempo aumentò la possibilità per chi rimase di trovare lavoro; la disoccupazione diminuì e i salari crebbero. Inoltre le rimesse di valuta straniera garantirono allo Stato la liquidità con cui acquistare all’estero le materie prime necessarie all’industria. Fino al 1900 l’emigrazione fu totalmente libera e organizzata con il sistema del viaggio prepagato: in pratica il biglietto di imbarco veniva acquistato dal datore di lavoro che così vincolava a sé l’emigrante il quale, una volta giunto a destinazione, si ritrovava a lavorare in condizioni di semi schiavitù finché non aveva onorato il debito. Solo con la legge Crispi del1888 e poi con la legge del 1901 lo Stato italiano intervenne a regolamentare questa tratta, con norme a tutela degli emigranti sia in porto sia durante la navigazione. Tra le iniziative politiche di Giolitti la più importante fu l’ampliamento del diritto di voto (1912), che venne esteso a tutti i cittadini di sesso maschile di oltre 21 anni (di oltre 30 se analfabeti o se non avevano prestato il servizio militare): il numero degli elettori passò così da 3 milioni e mezzo a 8 milioni e mezzo. Allo scopo di allargare le basi della classe politica italiana, Giolitti cercò l’appoggio di socialisti e cattolici, due forze che non si erano fino ad allora identificate con il sistema parlamentare. La partecipazione dei socialisti di Tura-ti al primo governo Giolitti non fu però possibile a causa dell’opposizione dell’ala massimalista del Partito socialista. L’intesa con i cattolici sfociò in un accordo segreto (patto Gentiloni, 1913), in base al quale i cattolici avrebbero sostenuto alle elezioni i deputati liberali in cambio dell’abbandono della politica anticlericale. All’interno del cattolicesimo italiano, intanto, si veniva precisando un orientamento liberale, aperto a una più attiva partecipa-zione alla vita politica del paese. Il principale esponente di questa linea fu il sacerdote Romolo Murri, fondatore di un movimento che verrà poi chiamato Democrazia cristiana italiana. Anche il sacerdote siciliano Luigi Sturzo cercava di qualificare la partecipazione cattolica alla politica creando un partito di carattere democratico e popolare, auto-nomo dall’autorità ecclesiastica e capace di aggregare i ceti più deboli sulla base dei valori cristiani. In politica estera Giolitti scelse di avvicinarsi a Francia e Inghilterra, il cui appoggio avrebbe potuto favorire un ampliamento coloniale dell’Italia e un suo rafforzamento nel contesto internazionale. In tal modo egli poté preparare diplomaticamente la conquista della Libia (allora parte dell’impero turco). L’avventura coloniale, fortemente richiesta anche dai nazionalisti, iniziò il 29 settembre 1911 e si concluse nell’ottobre 1912 con la pace di Losanna, con cui l’impero ottomano dovette riconoscere all’Italia il possesso di Tripolitania e Cirenaica. L’impresa libica comportò una spaccatura nel Partito socialista tra i riformisti, favore-voli al conflitto, e la maggioranza pacifista, contraria a ogni tipo di guerra imperialistica. Dopo il congresso di Reggio Emilia (1912) alcuni riformisti, guidati da Filippo Turati, rimasero nel Psi; altri, guidati da Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi, dettero vita al Partito socialista riformista italiano. Nel 1914 Giolitti cedette il governo al liberale moderato Antonio Salandra, mentre la situazione sociale si andava inasprendo sulla spinta di una forte protesta operaia e contadina, culminata in uno sciopero generale che si pro-trasse, tra agitazioni e tumulti, per sette giorni (“settimana rossa”, 7-13 giugno 1914). 3. LA PRIMA GUERRA MONDIALE Iniziata nel 1914 e finita nel 1918, guerra che si pensava durasse poco si è verificata una delle più grandi guerre della storia. Cause principali: 1) Nel primo decennio del XX secolo l’Europa, divisa in Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria e Italia) e Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia), vive una situazione diplomatica delicata. Le relazioni internazionali sono influenzate negativamente dall’aggressività della Germania, che interferisce con gli interessi di Francia e Inghilterra. 2) La rivalità coloniale è la causa delle due “crisi marocchine”, nelle quali Germania e Francia giungono a un passo dallo scontro. Un’altra crisi avviene nei Balcani, dove riprende l’espansionismo dell’Austria con l’annessione della Bosnia-Erzegovina. Ciò irrita la Serbia che non voleva essere inglobata nell’impero Austro-Ungarico (come era successo alla Bosnia), quindi chiede aiuto alla Russia per resistere all’impero Austro-Ungarico. 3) La penisola balcanica è soggetta anche al dominio dell’impero ottomano, contro cui si scatenano nel 1912 e nel 1913 le due guerre balcaniche. Quindi la situazione è già complicata e a scatenare il tutto è l’uccisione a Sarajevo dell’erede al trono austriaco (Francesco Ferdinando) da parte di un serbo, nel 1914; così l’impero austro-ungarico dichiara guerra alla Serbia. In nome della Triplice Alleanza la Germania si schiera con l’Austria a combattere contro Russia, Francia e Serbia. L’esercito tedesco cerca di ottenere una rapida vittoria invadendo il Belgio per sorprendere alle spalle l’esercito francese. L’Inghilterra allora (siccome faceva parte della Triplice Intesa) entra in guerra in aiuto della Francia. Il problema è che il Belgio resiste, rovinando l’idea di “guerra lampo” dei tedeschi, e questo dà ai francesi il tempo di organizzarsi, spingendo i tedeschi sul fronte occidentale. Nel frattempo i tedeschi scatenano la guerra anche sul mare cercando di colpire le navi che portano rifornimenti dall’America e dalle colonie. In guerra entrano anche controllando banche e Borse. Sul piano sociale difende i salari minimi, i contratti di lavoro e la riduzione dell’orario. Realizza lavori pubblici per compensare la disoccupazione e concede aiuti per le aziende in crisi). Per finanziare le misure necessarie ad attuare le riforme, Roosevelt applica una politica fiscale più pesante nei confronti delle classi abbienti e privilegiate e ciò suscita la loro opposizione a questa linea di governo. Ma vince anche la seconda presidenza (1936) con la quale conferma il pieno appoggio delle masse popolari e delle organizzazioni sindacali alla sua politica, basata sulle teorie dell’economista Keynes. (La crisi, però, viene superata solo con la Seconda guerra mondiale). Intanto la crisi si diffonde anche in Europa, dove i finanziamenti americani non arrivano più e l’arrivo di prodotti a prezzi bassissimi provocano il tracollo della produzione con una crisi ancora più grave. Il paese messo peggio è la Germania (inflazione alle stelle) e inizia ad avere quelle che sono le premesse per volere “l’uomo forte”. 7. IL REGIME FASCISTA IN ITALIA (L’Italia risente molto della rivoluzione russa, ha paura che si potesse presentare anche nel proprio paese). PARTITI in quel momento: Il partito socialista si divide in riformisti (o minimalisti) e massimalisti. I primi sono meno rivoluzionari, disposti ad accordarsi con la borghesia e sono capeggiati da Filippo Turati; i massimalisti invece sono più rivoluzionari, credono nella presa del potere del popolo con la rivoluzione e sono capeggiati da Gramsci e Togliatti i quali poi fondano il partito comunista di estrema sinistra. Poi c’è il partito popolare di stampo cattolico fondato da don Luigi Sturzo, che proponeva la riforma agraria, e con il quale si supera il problema del non expedit cioè l’impegno dei cattolici in politica. Tutti questi partiti si chiamano partiti di massa cioè permettono la partecipazione di tutte le fasce dei cittadini (invece dopo l’unità d’Italia erano rappresentati solo i borghesi). La città di Fiume, che si trova nel nord della Croazia, dove parlano italiano, non è stata riconosciuta all’Italia dopo la guerra allora D’Annunzio con 2500 uomini conquista la città senza violenza, instaura un governo provvisorio e proclama l’annessione della città all’Italia. Inizia un periodo molto libertino a Fiume e i governi europei quando vengono a saperlo, spingono D’Annunzio ad abbandonare la città e sarà necessario l’intervento di Giolitti (capo del governo), il quale stipula il trattato di Rapallo in cui si dichiarava Fiume una “città libera” e D’Annunzio deve ritirarsi. In questo clima nel 1919 Mussolini, anche se ancora in parte socialista, fonda il movimento dei fasci di combattimento dove vi aderisce soprattutto la classe borghese, di stampo progressista e con azione aggressiva. Mussolini stipula il programma di San Sepolcro, piazza di Milano dove si erano riuniti gli aderenti dei fasci di combattimento, in cui voleva ridimensionare il senato, istituire il suffragio universale (quindi anche le donne), ridimensionare l’orario di lavoro, rendere obbligatorio il servizio militare, e suddividere il pagamento del debito della guerra tra chi se lo poteva permettere in modo tale da non far pagare i più poveri; tutto questo con azione violenta e diretta. I Fasci di Mussolini raccolgono l’appoggio delle forze conservatrici e in vista delle elezioni del 1921 Giolitti si allea con nazionalisti e fascisti nel “blocco nazionale” sperando che con lo “squadrismo” placano il biennio rosso, gli scioperi, le ribellioni ecc. I risultati delle elezioni, però, non premiano i giolittiani, bensì segnano l’avanzata dei fascisti, che entrano in parlamento con 35 deputati, tra cui Mussolini e ottiene successo. Nel novembre dello stesso anno Mussolini trasforma il movimento dei fasci in Partito nazionale fascista (Pnf), con un’organizzazione fortemente centralizzata. La gente vede in Mussolini “l’uomo forte” che può risollevare l’Italia. Nel 1921 collabora con altri governi e realizza la legge Acerbo che reintroduce il sistema maggioritario, che lo aiuterà a prendere potere in seguito. Il fascismo assume i caratteri di un regime forte, accentrato, conservatore, marcatamente a favore della grande borghesia. Con la riforma Gentile si stabilisce che facendo il liceo classico potevi accedere a tutte le facoltà, con il liceo scientifico potevi accedere alle facoltà scientifiche e con ragioneria solo alla facoltà economica. Nel 1922 capisce che è arrivato il momento di prendere il potere, il 27 ottobre marcia su Roma e il re Vittorio Emanuele III al posto di fermarlo lo invita e gli affida l’incarico di capo del Governo. Durante le elezioni del 1924, Mussolini ottiene la maggioranza anche grazie a ricatti, brogli e intimidazioni che suscitano le proteste dell’opposizione e Giacomo Matteotti, che si espone in Parlamento contro i brogli, viene assassinato. In segno di protesta i socialisti abbandonano la Camera perché pretendono la verità su Matteotti (secessione dell’Aventino). Il 3 gennaio 1925 Mussolini fa un discorso in Parlamento e si dichiara responsabile dell’omicidio e instaura la dittatura fascista. Vengono aboliti tutti i partiti, si fa chiamare “Duce” e istituisce la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, per scovare chi si oppone al regime. Con le “leggi fascistissime” si annullano le libertà di espressione, di stampa e di riunione. Parigi è una delle città scelte dagli intellettuali anti- fascisti per contrastare e denunciare il regime. Tra le cariche elettive subentra quella del podestà (sindaci nominati da Mussolini). Mussolini porta avanti l’Autarchia cioè l’autosufficienza della produzione nazionale, un esempio è “la battaglia del grano” ovvero produrre tanto per essere autosufficienti. Sostiene il corporativismo cioè l’idea di un accordo tra operai e imprenditori. Per quanto riguarda la politica estera vuole espandersi ma va contro i rapporti internazionali scatenando una guerra in Etiopia per conquistarla; conclusasi vittoriosamente, la società delle nazioni lo denuncia e applica delle sanzioni economiche all’Italia. In tale situazione, ritrovatosi solo, Mussolini cerca l’alleanza con la Germania di Hitler, che si concretizza nell’ottobre dello stesso anno con l’asse Roma-Berlino. Con questa alleanza, nel 1938 emana anche lui le leggi razziali (nascono libri, manuali scolastici per sviluppare l’odio verso gli ebrei) a causa delle quali numerosi intellettuali e scienziati ebrei (tra cui Segrè, Fermi, Terracini, Momigliano) sono costretti a emigrare negli Stati Uniti. Durante la sua politica si era convertito da antimonarchico e anticlericale a monarchico e clericale (patti Lateranensi, in cui Mussolini riconosce alla Chiesa dei vantaggi); accentra a sé tutti i poteri; e come Hitler utilizza il plebiscito: forma di referendum, facendo passare l’idea che ciò che facevano era voluto dal popolo. Per quanto riguarda le opere pubbliche: nasce l’IRI; lo stato sostiene i privati; bonifica le terre. 8. LA GERMANIA DEL TERZO REICH Dopo l’esilio di Guglielmo II, in Germania la guida spetta a un governo provvisorio contrastato a destra dai nazionalisti che non hanno accettato la resa, a sinistra dal Partito comunista. L’11 agosto 1919 l’Assemblea costituente proclama la repubblica di Weimar. Con la nuova Costituzione la Germania diventa una repubblica federale, con un parlamento (Reichstag) dagli ampi poteri e un presidente eletto ogni sette anni a cui spetta la nomina di un cancelliere. I conservatori però ostacolano l’attuazione della nuova carta costituzionale con atti terroristici e un colpo di Stato (Putsh di Kapp, 1920). Nel febbraio 1920 Adolf Hitler fonda un movimento politico di estrema destra, il Partito nazionalsocialista dei lavoratori, e si propone di instaurare in Germania un regime autoritario; con questo scopo nel 1923 organizza contro il governo il cosiddetto Putsh di Monaco, ma fallisce. In questi stessi anni il paese ritrova un’apertura nei rapporti internazionali (patto di Locarno, 1925), viene ammesso alla Società delle Nazioni (1926) e nel 1929 vengono ridotti e rateizzati i risarcimenti di guerra; si avvertono inoltre i benefici del piano Dawes. La crisi del ‘29 rafforza le tendenze di estrema destra, tanto che nelle elezioni del 1930 i nazisti risultano il secondo partito. Due anni dopo Hitler viene battuto alle elezioni presidenziali dal maresciallo Von Hindenburg, anche se l’instabilità del governo costringe Hindenburg ad affidare ad Hitler il cancellierato. Hitler, alle successive elezioni del marzo 1933 ottiene un ottimo risultato e si assicura pieni poteri per quattro anni: dichiara partito unico quello nazista e istituisce la Gestapo, una polizia segreta con il compito di reprimere l’opposizione. Alla morte di Von Hindenburg (1934), Hitler unifica nella sua persona il ruolo di cancelliere e presidente diventando così signore assoluto della Germania procedendo così verso la creazione del Terzo Reich. Il consolidamento della dittatura nazista conta su un’azione di propaganda e sulle organizzazioni di partito, mentre una politica economica autarchica gli garantisce buoni risultati e ampio consenso. L’ideologia nazista si basa sui concetti di razza e di ineguaglianza tra razze. Da ciò deriva la teoria della superiorità della razza ariana, e la necessità di difenderla da ogni contaminazione. Contro il popolo ebraico viene avviata una progressiva e spietata persecuzione e le leggi di Norimberga legalizzarono tali persecuzioni. A partire dal 1938 la persecuzione civile non basta più e si passa allo sterminio fisico, con i primi ebrei tedeschi arrestati e condotti nei campi di concentramento (evento chiamato “notte dei cristalli”, 9-10 novembre). Appena nominato cancelliere, Hitler ritira la Germania dalla Società delle Nazioni (ottobre 1933). In seguito inizia a potenziare l’esercito. Nel frattempo Hitler si avvicina a Mussolini (Italia) che si trova isolato (in seguito alla guerra in Etiopia che gli era costata l’uscita dalla Società delle Nazioni) e sceglie quindi di allearsi con la Germania attraverso l’Asse Roma-Berlino. Le due nazioni trovano anche l’appoggio del Giappone formando l’Asse Roma- Berlino-Tokyo. Nel marzo 1938 i tedeschi occupano l’Austria; un anno dopo invadono la Cecoslovacchia, infine rivendicano dalla Polonia il “corridoio di Danzica” (quello che farà scoppiare poi la seconda guerra mondiale). Il 22 maggio Mussolini e Hitler siglano il Patto d’acciaio, che li impegna ad aiutarsi in caso di guerra e inoltre sottoscrive anche un patto di non aggressione con l’Urss di Stalin, patto Molotov-Ribbentrop, il quale prevedeva anche una spartizione della Polonia. 9. L’URSS DI STALIN Nel 1922 Lenin è colpito da un’emorragia cerebrale che in pochi mesi lo porta alla morte (1924). Si apre un periodo di crisi del governo, dove da un lato troviamo il partito di Stalin, dall’altro Trotskij. Trotskij e il suo gruppo hanno come ideale la rivoluzione permanente che la Russia dovrebbe scatenare in tutta Europa. Dall’altro, Stalin formula la teoria del “socialismo in un solo paese”, secondo la quale è necessario consolidare l’economia e lo Stato sovietico in Russia. In poco tempo Stalin si impone alla guida del partito e quindi dell’Urss. Prima liquida l’opposizione di sinistra, costringendo Trotskij all’esilio poi elimina ogni potenziale avversario. In campo economico, Stalin ritiene necessario avviare una rapida e massiccia industrializzazione del paese. Interrompe quindi bruscamente la Nep e impone nuovamente la collettivizzazione forzata della terra. Predispone i cosiddetti piani quinquennali con lo scopo di organizzare e indirizzare tutta l’economia verso gli obiettivi indicati dallo Stato; e lo scopo fondamentale di tali piani è l’incremento della produzione industriale. Nel primo piano (1929) vengono favorite sia l’industria pesante siderurgica ed elettrica sia quella mineraria ed estrattiva. Proprio mentre gli altri paesi subiscono le conseguenze della crisi del ‘29, in Russia sorgono le grandi città industriali. Per poter attuare la sua strategia di sviluppo, e non avendo il consenso della popolazione, Stalin utilizza ampiamente l’arma del terrore e della repressione. Crea un sistema dittatoriale fondato su un potere personale e tirannico. A partire dagli anni Trenta si moltiplicano le eliminazioni fisiche. Nel periodo tra il 1936 e il 1938 vengono eseguiti una grande quantità di processi e di condanne a morte, anche clamorose, contro cittadini accusati ingiustamente. Questo risultato viene ottenuto anche attraverso la creazione di campi di lavoro forzato, i gulag, pensati come luoghi di “rieducazione” ma usati soprattutto come mezzo di repressione degli oppositori politici. I gulag si trovano nelle zone isolate della Siberia. L’Urss presenta tutte le caratteristiche di uno Stato totalitario, in cui ogni aspetto della vita civile è controllato e censurato da un unico partito che impone una ferrea disciplina. Per garantire tale sistema Stalin ricorre non solo alla repressione, ma anche a un’opera di propaganda condotta grazie al monopolio di tutti i mezzi d’informazione. La forza e la popolarità di Stalin non si limitano entro i confini della Russia perché i governi e l’opinione pubblica degli altri stati guardano con interesse quanto accade nell’Urss, che è diventato in poco tempo un colosso industriale. Infatti proprio con l’avvento del nazionalsocialismo in Germania (1933), i governi, preoccupati di una possibile ripresa dell’espansionismo tedesco, cominciano a dimostrarsi disposti a collaborare con la Russia e nell’anno successivo l’Urss viene ammessa alla Società delle Nazioni. 10. L’EUROPA TRA DEMOCRAZIE E FASCISMI Il difficile dopoguerra mette in evidenza l’incapacità dello Stato liberale di dare una risposta allo stato di precarietà diffuso quasi ovunque dalla pesante crisi economica. Tra il 1920 e il 1930 in molti paesi europei si instaurano regimi dittatoriali, la maggior parte dei quali ispirati al fascismo italiano. Come: in Austria, Ungheria, Iugoslavia, Bulgaria, Romania, Grecia e Portogallo. In Gran Bretagna il sistema democratico resiste alla crisi economica; l’unico problema è la mancanza di lavoro. A fronteggiare la situazione è, inizialmente, una coalizione politica di liberali e conservatori che rimane al potere dal 1918 al 1929. Però la disoccupazione crescente e una grave crisi finanziaria determinano, nel 1931, una svolta politica. Questo governo è costretto a svalutare la sterlina e porre fine al libero scambio, adottando misure protezionistiche. Anche la democrazia francese supera la bufera degli anni Venti e Trenta, ma grazie alla forte struttura industriale e alla bassa spinta demografica, la Francia risente meno della crisi del ‘29. Più forti sono invece le ripercussioni politiche, perché il paese ha un sistema più fragile di quello inglese a causa della presenza dei troppi partiti. Nel 1935 si costituisce il primo Fronte popolare, che è un’alleanza tra socialisti, comunisti e radicali che ottiene un grande successo alle elezioni dell’anno successivo e porta alla formazione di un governo, ha un programma sociale ambizioso ma si rivela incapace di fronteggiare le difficoltà economiche. Il governo del fronte popolare cade nel 1937. La complicata situazione interna e il desiderio di evitare una nuova guerra mondiale spiegano l’atteggiamento poco reattivo di Francia e Inghilterra. All’inizio del 1900 la Spagna vive una grave arretratezza economica, dovuta soprattutto all’incapacità della monarchia. Il generale Miguel Primo de Rivera attua un colpo di stato e instaura una dittatura. Dopo il successo delle forze democratiche nelle elezioni del 1931, Rivera viene deposto e viene proclamata la repubblica. I repubblicani antifascisti decidono allora di superare le divisioni e unirsi nel Fronte popolare (socialista), che ottiene una schiacciante maggioranza alle elezioni. Però in breve il paese diventa ingovernabile: il generale Francisco Franco organizza un colpo di Stato e dà inizio alla guerra civile (1936). Mentre Italia e Germania inviano consistenti aiuti all’esercito franchista, le democrazie occidentali siglano un patto di “non intervento”. Nel frattempo molti volontari europei e americani accorrono in aiuto dei repubblicani del Fronte popolare, dando vita alle Brigate internazionali. Il loro generoso sacrificio non riesce però a impedire la vittoria di Franco nel 1939 dando inizio alla sua lunga dittatura. 11. LA SECONDA GUERRA MONDIALE Al riparo da sorprese militari da oriente grazie al patto di non aggressione (Molotov-Ribbentrop) con l’Urss, Hitler decide di invadere la Polonia suscitando finalmente la reazione di Francia e Inghilterra, così il 1° settembre 1939 inizia la Seconda guerra mondiale. I nazisti usano la tattica della guerra-lampo, favoriti dal contemporaneo attacco da est della Russia alla Polonia. L’esercito tedesco vince e si spartisce il territorio con l’Urss e occupa Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio e Lussemburgo, mentre i russi occupano le repubbliche baltiche e la Finlandia. Nel maggio 1940 i tedeschi invadono la Francia, dove insediano un governo in modo tale da poter contare sull’appoggio del maresciallo Pétain. Nel frattempo Mussolini, convinto di poter approfittare di una rapida vittoria, decide l’ingresso dell’Italia nel conflitto (10 giugno 1940). Hitler avvia l’invasione del Regno Unito ma la “battaglia d’Inghilterra” si risolve in un fallimento. Contemporaneamente gli italiani iniziano un’offensiva contro le colonie inglesi nel Mediterraneo e in Africa ma l’attacco si rivela fallimentare allora Hitler invia aiuti e conquistano la Cirenaica. Mussolini, imitando il dittatore tedesco, decide di invadere autonomamente la Grecia, ma anche questo attacco non ha successo e Hitler deve intervenire ancora in soccorso all’alleato occupando la Grecia. Il 27 settembre 1940 Germania e Italia stringono con il Giappone il Patto tripartito, che prevede l’impegno dei tre paesi a creare nel mondo un “ordine nuovo”, in base al quale avrebbero dominato sugli altri popoli di “razza” l’eccessiva burocratizzazione finì per decretarne il fallimento. In politica estera Breznev cercò di intrattenere rapporti più distesi con l’Occidente (accordi sulla limitazione delle armi missilistiche, 1972), mentre nei paesi satelliti dell’Est soppresse ogni dissidenza in nome della teoria della sovranità limitata. Quando in Cecoslovacchia, nel 1968, Dubcek cercò di attuare un programma di democratizza-zione (“primavera di Praga”), l’Urss intervenne militarmente. La repressione sovietica venne condannata dall’opinione pubblica mondiale e l’Urss cominciò da allora a perdere il suo ruolo guida del movimento comunista internazionale. Negli Stati Uniti il nuovo presidente Lyndon Johnson lanciò il programma della “grande società” (lotta alla povertà e leggi per l’emancipazione dei neri). Il diretto intervento americano nella guerra del Vietnam suscitò tuttavia proteste in tutto il mondo e favorì la perdita di prestigio degli Usa. Nel 1968 fu eletto presidente il repubblicano Richard Nixon, che seppe dare vita a una politica moderata e pragmatica, che portò all’avvicinamento alla Cina. Il pragmatismo di Nixon si espresse anche in politica eco-nomica, quando nel 1971 dichiarò che gli Stati Uniti non erano più in grado di assicurare la convertibilità del dollaro in oro, determinando così la fine del Gold Exchange Standard. Durante il suo secondo mandato Nixon pose fine alla guerra del Vietnam, dove nel 1976 fu proclamata la Repubblica socialista del Vietnam. La fine dell’intervento americano non significò però il raggiungimento della pace, inquanto il Vietnam invase la Cambogia (filocinese), dove si era affermata la feroce dittatura dei Khmer rossi. Negli anni Ottanta si verificò un inasprimento delle relazioni Usa-Urss. Nell’Europa orientale la crisi economica e i numerosi problemi interni fecero crescere l’avversione contro i regimi comunisti. In Polonia scioperi operai avevano portato alla nascita del sindacato autonomo Solidarnosc (1980), che richiese libere elezioni. I dirigenti comunisti, per evitare che potesse ripetersi quanto era accaduto a Praga nel 1968, cedettero il campo ai militari, che attuarono un colpo di Stato (1981). Nel 1982, intanto, in Unione Sovietica veniva eletto segretario del Pcus Michail Gorbaciov, sostenitore della necessità di un cambiamento della vita politica ed economica del paese e di un rilancio della distensione in campo inter-nazionale. L’attività del nuovo leader si basò su due princìpi, indicati con i termini russi glasnost (“trasparenza”) e perestrojka (“ristrutturazione”). Fu così che in Polonia si giunse alle prime elezioni libere, nel 1989, che segnarono la vittoria di Solidarnosc e l’instaurazione del primo governo non comunista del dopoguerra nell’Europa dell’Est. Nella Germania orientale una rivolta pacifica fece crollare il regime comunista. Il 9 novembre 1989 la caduta del muro di Berlino permise il libero transito della popolazione ver-so l’Occidente e segnò simbolicamente la fine della guerra fredda. Nel 1989 il regime comunista crollò anche in Ungheria, in Romania e in Cecoslovacchia, che nel 1993 si divise in Repubblica ceca e Repubblica slovacca. Nel 1990 caddero anche i regimi comunisti di Bulgaria e Albania. Analoga politica di distensione fu perseguita dagli Stati Uniti, il cui nuovo presidente George Bush si incontrò con il leader sovietico a Malta (dicembre 1989). Intanto l’ascesa di Boris Eltsin, fautore di un’economia di mercato, metteva incrisi Gorbaciov, contro cui esponenti del governo, del Parti-to comunista e parte dell’esercito tentarono senza successo un colpo di Stato (19 agosto 1991). Nel frattempo si moltiplicavano le spinte secessioniste delle repubbliche: nel 1991 si dichiaravano indipendenti l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, seguite da Georgia, Armenia, Ucraina e Bielorussia e così via fino alla creazione della Comunità di stati indipendenti (Csi, dicembre 1991), che segnava la fine dell’Urss. 14. ECONOMIA E SOCIETA’ NEL SECONDO NOVECENTO Superate le difficoltà legate alla ricostruzione del dopo-guerra, le economie occidentali conobbero tra gli anni Cinquanta e Settanta un periodo di rapida e intensa crescita economica che gli storici hanno definito “età dell’oro”. Determinato in grande misura dagli aiuti erogati dal piano Marshall, il boom economico interessò soprattutto i settori industriale e terziario, sostenne la crescita demografica e assicurò un aumento dell’occupazione e delle retribuzioni. Il benessere diffuso a fasce sempre più ampie di popolazione consentì la crescita del risparmio e l’acquisto di una maggiore quantità di beni di con-sumo. La scelta era ampia: dall’automobile alla televisione a una vasta gamma di elettrodomestici. Lo sviluppo interessò altri settori della vita sociale come i trasporti, i mezzi di comunicazione, la ricerca scientifica dall’esplorazione aero-spaziale alla medicina (vaccino contro la poliomielite, 1952-1954; struttura a doppia elica del Dna,1953). Contro questa nuova società occidentale del benessere e dei consumi si ribellò un’intera generazione di giova-ni che ne criticò storture e squilibri. Le prime manifestazioni giovanili scoppiarono nel 1964 a Berkeley, in California, per contestare il conservatorismo delle istituzioni universitarie. Negli stessi anni si intensificò anche l’azione di movimenti che lottavano per i diritti civili dei neri. Inoltre, settori sempre più vasti dell’opinione pubblica protestavano contro la guerra in Vietnam, considerata contraria alle tradizioni della democrazia americana. La rivolta giovanile si estese all’Europa e raggiunse il suo apice nel 1968, anno in cui si verificarono a Parigi agitazioni studentesche ispirate ai princìpi dell’antiautoritarismo, dell’avversione al capitalismo e all’imperialismo americano. Dal 1969 prese avvio il movimento di rivendicazione femminista. Dai primi anni Settanta e per buona parte degli anni Ottanta i paesi occidentali entrarono in una fase di recessione, caratterizzata dal contemporaneo manifestarsi di stagnazione e inflazione (“stagflazione”). Gli interventi necessari per fronteggiare la crisi fecero aumentare vertiginosamente la spesa pubblica; emerse così il pesante co-sto sopportato dagli Stati per mantenere i livelli esistenti di Welfare State. L’Inghilterra di Margaret Thatcher e l’America di Ronald Reagan affrontarono la crisi eco-nomica con un intenso programma di liberalizzazione, di riduzione cioè dell’intervento pubblico nell’economia. Queste politiche “neoliberiste” furono avviate in un contesto economico in mutamento, definito “terza rivoluzione industriale”, di cui furono protagoniste le nuove tecnologie informatiche. 15. L’ITALIA DELLA PRIMA REPUBBLICA Nel clima del dopoguerra i partiti di sinistra erano molto forti, tuttavia alle elezioni amministrative del 1946, le prime in cui votarono anche le donne, si affermò la Democrazia cristiana di Alcide De Gasperi. Il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 decretò la fine della monarchia; venne quindi eletta l’Assemblea costituente per redigere la Costituzione dell’Italia repubblicana, che entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Nel 1947 venne firmato a Parigi il trattato di pace, con cui l’Italia dovette cedere territori a Francia, Iugoslavia e Grecia e concedere l’indipendenza all’Albania. Il clima politico internazionale della guerra fredda ebbe riflessi anche in Italia. Il 18 aprile 1948 si tennero le prime elezioni politiche della repubblica, che videro la vittoria della Dc e la sconfitta di socialisti e comunisti, uniti nel Fronte popolare. Tale risultato sancì l’inizio del predominio democristiano (centrismo) e la rottura dell’unità sindacale: accanto alla Cgil, legata al Pci, nacquero Cisl e Uil, di orientamento rispettivamente demo-cristiano e socialdemocratico. Sostenuti dagli Stati Uniti con il piano Marshall (che, tra il 1948 e il 1953, consentì il primo rilevante sviluppo industriale dell’Italia) i governi centristi vararono una riforma agraria, istituirono la Cassa per il Mezzogiorno, riorganizzarono l’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), fondarono l’Ente nazionale idrocarburi (Eni) e l’Ina-Casa, per il rilancio dell’edilizia popolare. L’emarginazione delle sinistre generò un sistema politi-co che si reggeva su due grandi partiti di massa di cui solo uno (la Dc) governava. Nel corso della terza legislatura (iniziata nel 1958) la Dc di Amintore Fanfani e Aldo Moro si avvicinò al Partito socialista. Ciò avveniva proprio mentre nella sinistra italiana erano in corso impor-tanti mutamenti: la condanna dello stalinismo, messa in luce dalle crisi polacca e ungherese, determinò il distacco dal Pci del Psi, che si avvicinò alla Dc. I primi governi di centro-sinistra (1962-1963) realizzarono alcune impor-tanti riforme, tra cui la nazionalizzazione dell’energia elettrica (con la nascita dell’Enel) e l’istituzione della scuola media dell’obbligo. La formula del centro-sinistra esaurì però ben presto la sua spinta propulsiva e già nel-le elezioni politiche del 1968 si registrò un notevole avanzamento del Pci. Nel corso degli anni Cinquanta e fino ai primi anni Sessanta l’Italia visse una straordinaria crescita, che fece parlare di “miracolo economico”. Fondata sul potenzia-mento dell’industria, la crescita poté contare sull’allargamento dei mercati internazionale e interno, la diffusione di nuove tecniche di vendita e il costo contenuto dell’energia. Tra gli aspetti positivi del boom vanno ricordati l’aumento dei salari e dell’occupazione femminile; tra quelli negativi, lo spopolamento delle campagne, l’e-migrazione della manodopera dal Sud verso il Nord, la speculazione edilizia, il degrado urbano e la disomogeneità di sviluppo del paese. Verso la fine del 1967 esplose, anche in Italia, la conte-stazione studentesca. Manifestazioni spontanee si diffusero nelle scuole e nelle università e si formarono gruppi extraparlamentari che rifiutavano il riformismo in nome di una soluzione rivoluzionaria. Nel 1968 si aprì una lunga fase di lotte operaie e sindacali (“autunno caldo”) che rivendicavano miglioramenti salariali e contrattuali. Nello stesso periodo iniziò l’offensiva terroristica, che si proponeva di usare la violenza come arma politi-ca, mentre la crisi petrolifera del 1973 metteva in difficoltà l’economia del paese. Per far fronte a questa difficile fase il segretario del Pci Enrico Berlinguer propose lavia del “compromesso storico”, basato su un’alleanza di governo con la Dc, ma il principale sostenitore Dc di questo storico avvicinamento, il presidente del partito Aldo Moro, fu rapito e ucciso dalle Brigate rosse (marzo-maggio 1978). 16. IL MEDIO ORIENTE DAL DOPOGUERRA AD OGGI Nel 1945 gli Stati del Medio Oriente già indipendenti e riconosciuti come membri dell'Onu (Arabia Saudita, Egitto, Iraq, Libano, Siria, Yemen del Nord e Transgiordania) si costituirono nella Lega araba. Contraria alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina, la Lega araba si oppose alla risoluzione dell'Onu che sanciva la creazione di uno Stato israeliano (ebraico) a fianco di uno palestinese (arabo) (29 novembre 1947), con Gerusalemme posta sotto un’amministrazione internazionale, e perciò, dopo la proclamazione dello Stato di Israele (15 maggio 1948), la Lega araba gli dichiarò guerra (prima guerra arabo-israeliana, 1948-1949), ma fu sconfitta dallo Stato di Israele. Con la prima guerra arabo-israeliana si aprì la questione profughi: circa 750.000 palestinesi lasciarono i loro luoghi di residenza e si rifugiarono negli Stati arabi, dove vennero smistati in campi profughi; le Nazioni Unite si occuparono dell’assistenza alimentare, sanitaria e sociale. Nel 1956 Nasser (primo ministro egiziano) procedette con la nazionalizzazione del canale di Suez, questa decisione causò l’intervento armato di Francia e Gran Bretagna, con l'appoggio di Israele, occuparono il canale. Ciò suscitò l'intervento immediato dell'Onu, sostenuto da Usa e Urss, i quali imposero agli aggressori di ritirare le truppe e posero fine al conflitto (Francia e Gran Bretagna ne uscirono indebolite e ciò confermavano l’Unione Sovietica e gli Stati uniti come potenze internazionali). I profughi dettero vita, nel 1964, all'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) con a capo Arafat, il cui obbiettivo era l’instaurazione di uno stato indipendente, quello palestinese. Nel 1967, le forze armate israeliane attaccarono Egitto, Sira e Giordania perché si sentivano minacciate dall'Egitto che le aveva sbarrato l'unica via di accesso al mar Rosso, Israele scatenò la "guerra dei Sei giorni”. Questa si concluse con l'occupazione di nuovi territori dove il governo di Golda Meir avviò una politica di colonizzazione. Da quel momento nel 1968 l'Olp iniziò a praticare l'azione terroristica come strumento di lotta. La questione dei profughi palestinesi intanto, acquisiva dimensioni sempre più drammatiche. L'esito negativo della guerra suscitò in tutto il mondo arabo ondate di nazionalismo, che in Libia, nell'estate del 1969, portarono al rovesciamento della monarchia e all'instaurazione da parte di Muammar Gheddafi di un regime nazionalista, antimperialista e antisionista. Nel 1973 la guerra del Kippur (dove Egitto e Siria avevano attaccato Israele) fu l'origine del blocco petrolifero e del successivo aumento del prezzo del petrolio voluto dall'Opec, deciso dai Paesi arabi in aiuto a Egitto e Siria con lo scopo di dissuadere Israele dall'occupazione dei territori conquistati dopo la guerra del 1967. Così una gravissima crisi economica colpì l’Israele ma anche i paesi industrializzati (1973-1974, la crisi più grossa prima del 2008) e dette al mondo arabo la consapevolezza del proprio ruolo nel contesto internazionale. Nel 1979 fu firmato a Camp David, con la mediazione degli Usa, un trattato di pace e di amicizia tra Israele ed Egitto, che venne considerato un tradimento dal mondo arabo e condusse all'assassinio del presidente Sadat (d’Egitto). (((Nel 1982 Israele invase il Libano, dove si trovavano i campi profughi gestiti dall'Olp, dando così origine a un conflitto che si intrecciò con la guerra civile libanese tra cristiano-maroniti e musulmani))). Israele completò il ritiro nel 1985, ma il Libano rimase preda della guerra civile. Intanto, a partire dal dicembre 1987 al 1993, nei territori di Gaza e Cisgiordania si costituirono un movimento popolare di resistenza all'occupazione israeliana detto Intifada e un'organizzazione estremista politico-religiosa denominata Hamas – Movimento della resistenza islamica - (contrapposta all’Olp dal 2000 perché considerata troppo “moderata”), il cui obiettivo dichiarato era la distruzione di Israele sotto forma di atti terroristici. Nel 1979 in Iran una rivoluzione portò alla nascita della Repubblica islamica guidata da Khomeini, che divenne ben presto un modello per molti paesi del mondo musulmano. Nello stesso 1979 divenne presidente dell'Iraq Saddam Hussein, che instaurò una feroce dittatura. L'anno successivo l'Iraq attaccò l'Iran allo scopo di conquistare l’egemonia nel golfo del Persico; il conflitto si risolse soltanto nel 1988. Dal dicembre del 1979 un altro conflitto infiammava il continente asiatico: l’Urss di Breznev aveva invaso l’Afghanistan, in parte per preservare l’ex repubblica sovietica dal rischio del contagio dell’integralismo islamico, in parte per porre sotto il suo diretto controllo le immense riserve petrolifere del Golfo del persico, facendo scoppiare la “Guerra Santa” chiamata Jihad. Una nuova crisi in Medio Oriente scoppiò nell’agosto del 1990, quando l'Iraq di Saddam Hussein invase il Kuwait, con l’obbiettivo di acquistare il controllo delle sue ricchezze petrolifere ma fu a sua volta attaccato da un'ampia coalizione sostenuta anche dall'Onu e costretto alla resa. Questa guerra chiamata la prima guerra del Golfo ebbe ripercussioni sui rapporti tra Israeliani e palestinesi. Nel 1993 il primo ministro israeliano Rabin e il capo dell'Olp Arafat (che avendo sostenuto Saddam Hussein, si trovava in una posizione di debolezza e isolato, quindi si era reso disponibile alla trattativa) firmarono, con la mediazione del presidente americano Clinton, gli accordi di Oslo. Il compromesso suscitò l’ostilità di arabi e israeliani conservatori, tanto che nel 1995 Rabin fu assassinato. Il successore al governo, Netanyahu, era un esponente del partito di destra ostile agli accordi. Durante il successo governo Sharon si intensificò l’attività della seconda Intifada (anni 2000) che rilevò la crescente presenza di gruppi terroristici, responsabili di sanguinosi attentati suicidi in territorio israeliano che contribuirono a compromettere il processo di pace, ancora oggi bloccato. Per impedire l’ingresso di eventuali terroristi in territorio nazionale, nel 2002 venne costruito un muro tra Gerusalemme e la Cisgiordania lungo oltre 700km, barriera conosciuta anche come “il muro della vergogna”. L’Afghanistan, dopo il ritiro sovietico del 1988 con la fine della “Guerra Santa” (Jihad), precipitò in una guerra civile fra vari gruppi etnici finché nel 1994 i talebani imposero un regime basato sul più rigido integralismo islamico e offrirono protezione ad al-Qaeda, l’organizzazione terroristica dello sceicco saudita Osama bin Laden. L’11 settembre 2001 proprio un gruppo di al-Qaeda mise a punto quattro attentati in territorio americano, causando migliaia di morti (es. attentato alle torri gemelle). L’amministrazione Bush rispose dichiarando “guerra al terrorismo” e attaccando Afganistan nel 2001 e Iraq nel 2003. Il conflitto si concluse con la vittoria americana, a cui fece seguito il progressivo ritiro delle truppe statunitensi dai territori iracheni, conclusosi nel 2011. In quegli stessi anni molti paesi del Medio Oriente e del Nord Africa si sono sollevati contro regimi dittatoriali in quelle che sono state definite “primavere arabe”, dove la richiesta di riforme in senso liberaldemocratico si è spesso accompagnata allo sviluppo di movimenti fondamentalisti islamici. In Tunisia le agitazioni hanno portato a elezioni libere e a una nuova Costituzione; in Egitto la transizione democratica, che aveva condotto a un governo islamista,
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