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Storia religiosa dell'Iran - Risorse su virtuale, Appunti di Storia

Il documento presenta sia delle sintesi che delle trascrizioni dei file di Virtuale del prof. Piras per il corso di Storia religiosa dell'Iran. Se affrontati a lezione presenteranno anche delle zone di appunti in aggiunta alla sintesi/trascrizione del file. Nell'indice è possibile visualizzare il file di cui si sta parlando e la presenza o meno di appunti collegati ad essi.

Tipologia: Appunti

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Caricato il 14/02/2022

Desireerusso
Desireerusso 🇮🇹

4.6

(29)

4 documenti

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Scarica Storia religiosa dell'Iran - Risorse su virtuale e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! Risorse di “Virtuale” catalogate in base alla suddivisione del professore In questo documento sono presenti sia delle sintesi che delle trascrizioni dei file di virtuale del prof. Piras per il corso di Storia religiosa dell’Iran. Se affrontati a lezione presenteranno anche delle zone di appunti in aggiunta alla sintesi/trascrizione del file. INDICE 1. Nozioni di Base File: Nozioni di base + Appunti, Scheda terminologica + Appunti 2. Gnoli, L’Iran antico e Zoroastro File: Scheda sul rituale + Appunti 3. Testi sugli Achemenidi File: Testi sugli Achemenidi + Appunti 4. Iscrizione sulla tomba di Dario File: a Naqsh-i Rustam + Appunti 5. Anabasi di Alessandro File: Anabasi di Alessandro di Arriano, Storie di Alessandro di Curzio Rufo 6. Usi e costumi nel periodo partico File: Strabone XV + Appunti, Plutarco “Vita di Crasso”, Testi misteri di Mithra 7. Magi persiani File: Fonti sui Magi persiani 8. Testi ellenistici e testi avestici File: Testi ellenistici e testi avestici + Appunti, Iscrizione di Kanishka, Brano dello Zamyad + Appunti 9. Titolature dei sovrani sassanidi File: Titolature reali dei Sassanidi + Appunti, Corone sassanidi (foto) + Appunti 10. Iscrizione di Kirdir File: Iscrizione medio-persiana di Kirdir + Appunti 11. Presentazione del profeta Mani File: Vita e opere di mani + Appunti, Alessandro di Licopoli 12. Testi manichei File: Testi manichei 13. Testi zoroastriani File: Testi zoroastriani, Testi apocalittici e escatologici 14. Movimento mazdakita File: Il movimento mazdakita, La dottrina dei mazdakiti 1 – NOZIONI DI BASE File “Nozioni di base” (Appunti già integrati con la sintesi) 1. Le antiche civiltà dell’Asia - Le prime civiltà urbane fiorirono in Oriente fra il IV e il I millennio a.C. nelle zone dell’Egitto, della Mesopotamia, della vallata dell’Indo e della Cina. Questi territori sono segnati dalla presenza dei rispettivi grandi fiumi: Nilo, Tigri e Eufrate, Indo, Huang-ho. Questo spazio dell’Oriente può essere diviso in due aree principali: il Vicino Oriente (dall’Egitto e Palestina fino all’Iran attuale) e il Lontano Oriente (India e Cina). - Nel Vicino Oriente le principali civiltà furono quelle sorte in Mesopotamia (sumeri, accadi, babilonesi), la civiltà egizia, le civiltà dello spazio siro-palestinese (ittiti, assiri, ebrei e fenici) e l’impero persiano. Nel Lontano Oriente fiorirono la civiltà indiana e cinese. Tutte queste civiltà sono chiamate antiche civiltà. - Le antiche civiltà dell’Asia ebbero in comune alcuni caratteri fondamentali: un’economia basata sull’agricoltura irrigua e sull’allevamento; un’organizzazione politica basata su un potere che risiedeva nella città e si manteneva con l’uso della forza; erano dominate dai nobili; si affidavano agli dèi; conoscevano la scrittura e lavoravano i metalli; elaborarono conoscenze scientifiche, credenze religiose e opere artistiche. 2. I popoli della Mesopotamia - La Mesopotamia è il nome che i greci attribuivano alla regione fertile del Vicino Oriente compresa tra i fiumi Tigri e Eufrate. Le piene dei due fiumi depositavano ogni anno un denso strato di limo fertile che facilitava la produzione agricola. - I Sumeri furono la prima civiltà mesopotamica. Fin dall’età neolitica tutta l’area era punteggiata da villaggi agricoli, intorno al 3800 a.C. si verificarono delle immigrazioni di popolazioni nomadi originarie dall’Asia centrale, queste popolazioni mescolandosi con gli abitanti della zona formarono un popolo laborioso che chiamò il proprio territorio “paese di Summer” che significa “terra coltivata”. La società dei sumeri si organizzava inizialmente in villaggi di contadini dediti all’agricoltura, per poi divenire un insieme di città di artigiani dediti agli scambi. Furono infatti i primi a intrattenere relazioni commerciali con popoli lontani. Furono inoltre coloro che utilizzarono per la prima volta la ruota, la base per la rivoluzione dei trasporti. A livello politico non vi fu mai la nascita di uno stato unitario ma si parlava di numerose città stato governate ognuna da un re-sacerdote. La loro cultura fu molto avanzata, si parla di studio della matematica, della geometria, dell’astronomia. - Gli spazi aperti e pianeggianti della Mesopotamia favorivano scontri e conflitti tra diversi popoli, per questo motivo essa fu attraversata da numerosi popoli e culture. Nel 2500 a.C. si stanziarono gli accadii, provenienti dal deserto arabico, il loro arrivo diede vita a un impero unitario ed esteso. Nel 2000 a.C. giunsero gli amorrei, portando alla nascita di numerose città stato fra cui Babilonia. - Babilonia divenne un’importante e potente città sotto il regno di Hammurabi, un sovrano che riuscì con la forza a prendere il potere dell’intera regione mesopotamica partendo da una piccola città stato. Sul piano culturale il regno babilonese perfezionò le conoscenze astronomiche, vi fu la fioritura letteraria e la nascita di un codice di leggi scritte che prevedevano pene, anche molto severe, in conseguenza di crimini in base all’importanza sociale dell’individuo preso in causa e offeso. - Alla morte di Hammurabi il regno venne invaso dagli ittiti e si frantumò. Gli ittiti diffusero caratteri babilonesi quali la scrittura, i poemi e la lingua stessa. 3. Semiti, camiti, indoeuropei - Secondo la Bibbia fu proprio nella regione babilonese che si formarono le tre stirpi umane: semiti, camiti e iapeti/indoeuropei. I nomi di questi popoli provengono dai nomi di Sem, Cam e Iafet, i tre figli di Noè, il quale fu il nuovo capostipite dell’umanità dopo il biblico diluvio universale. Semiti, camiti e indoeuropei non erano singoli popoli ma vaste stirpi umane che raggruppavano genti diverse ma affini tra di loro su molti aspetti. - Semiti: popolazioni nomade originarie dell’Arabia, la storia dice che alcune genti semitiche si stanziarono in Mesopotamia e diedero vita a civiltà con caratteri più o meno affini. Questi popoli presentavano una società patriarcale divisa in tribù e basata su beni in comune. Camiti: popolazioni nomade originarie dell’Africa settentrionale, coloro che diedero vita alla civiltà degli egizi. Indoeuropei: popolazioni nomade originarie del Caucaso e della Russia Meridionale, si spinsero sia in Oriente, ricordiamo gli attiti, i medi e i persiani, e in Occidente, ricordiamo i celti, i germani, i dori e i latini. - Il gruppo indoeuropeo parlava lingue molto simili e tutte derivate da un unico ceppo, l’indoeuropeo. Le lingue di oggi parlate in Europa derivano tutte da una linguistica comune di base. 4. I primi imperi  Immortalità “il ritornare”.  Magia, esorcismo e protezione: particolari tecniche apotropaiche per scacciare o avere una specie di protezione dal male/malattia.  Escatologia: dottrina sulle cose ultime, ovvero sulla morte, sull’aldilà e sull’ascensione.  Apocalittica: scenari della fine del mondo, rivelazione e disvelamenti. - Simbolario  Cielo: altezza, lontananza; luminosità: Sole, Luna, Stelle, Via Lattea; comete, meteoriti. Provenire dal cielo, dall’alto come discendenza dinvina.  Terra: suolo e sottosuolo, pietra, montagne (ponte, tramite verso l’altezza in quanto punto più alto e vicino al cielo), minerali; alberi, vegetazione e agricoltura. La terra è luogo in cui si nasce e in cui si ritorna.  Acqua: l’acqua come elemento in se, ma anche fonti, sorgenti come qualcosa che scorre e che è portatrice di germi, fertilità e nascita. Cicli del tempo in relazione alla Luna; spirali, conchiglia, perla; diluvio.  Aria: intesa come atmosfera e forza come quella del vento in relazione alla fecondazione e alla via nel considerare l’aria come “respiro” e come “spirito”.  Fuoco: energia importante per l’uomo, in relazione alla cottura e alla cucina; anche in riferimento al sacrificio e le fumigazioni, il fuoco dona le offerte verso l’alto. È la base della metallurgia, colui che forgia e da luce.  Animali: in riferimento all’habitat, all’ecologia, alla coabitazione/collaborazione/imitazione. Gli animali nella loro mutevolezza di aria, acqua e terra rappresentano vari modi di rappresentare gli elementi. Gli animali sono collegati all’uomo con la caccia, la pesca e l’allevamento. La sintonia tra uomo e animale serve per creare un rapporto di benefit a favore dell’uomo.  Spazio: come si percepisce lo spazio dal punto di vista geografico, in base alle delimitazioni e alle costruzioni in riferimento alle case, ai tempi, alle città, ai palazzi. Si parla anche di concezione dello spazio come aperto e libero.  Tempo: essere nel tempo a livello storico, essere qui e ora in riferimento anche alla paura dello scorrere del tempo; si parla di tempo lineare e di tempo ciclico (Festa), la fine del tempo è la fine della storia, la fuga dal tempo e dal mondo è la rinuncia, l’ascetismo e la sanità. 2 – GNOLI, L’IRAN ANTICO E ZOROASTRO File “Scheda sul rituale” (Appunti già integrati con la sintesi) - La parola sacrificio deriva da “sacrum facere” ovvero fare il sacro, rendere sacro, il sacerdote è colui che pone e che rende il sacro. Il fine è ottenere dei benefici, ovvero dei doni (maga-) e delle ricompense (mizda-) per questa o per l’altra esistenza secondo il concetto delle due esistenze, quella mentale/spirituale e quella concreta/materiale. In avestico il sacrificio è detto “yasna”. Il sacrificio ha un carattere diurno, infatti sono i malvagi che eseguono rituali notturni non graditi agli dei. I giusti compiono i riti di giorno, con la luce. Un altro ruolo centrale è quello del fuoco usato durante i sacrifici in quanto: porta le offerte verso l’alto, è un’energia di calore e di luminosità che ha valore domestico (riscaldamento, cottura) oltre che religioso. - Quando il sacrificio è eseguito da una persona competente che agisce in maniera adeguata e in un dato momento, le potenze divine concedono il potere su di essi. Questo potere è considerato l’aiuto divino per eccellenza e il sacrificrificatore che lo esercita riesce ad aprire il cammino rituale che permette uno scambio reciproco di doni fra uomini e potenze divine. Questi doni consistono in forze vitali come il vigore, la pienezza, la giovinezza eterna, la robustezza, l’integrità del corpo e l’immortalità. La giovinezza eterna, il vigore, l’integrità e l’immortalità sono il “bottino” di una condizione del pensiero e dello spirito che si realizza nel rito e nello scambio. L’uomo fa dono delle sue energie, come l’animazione del suo corpo, e per questo può divenire temporaneamente immobile e rigido, oppure elargisce la sua parola di lode e di preghiere, insieme ad altre offerte e gesti. -Lo scambio ha luogo nell’attualità della cerimonia sacrificale ed è concepito come un rito di ospitalità: gli uomini accolgono gli dei e gli fanno delle offerte che rinforzano la loro potenza e immortalità, mentre gli dèi accordano agli uomini la prosperità e la longevità “per lo stato materiale, per questa esistenza”. Il sacrificio determina anche un’ospitalità ulteriore che il mondo divino concede pienamente ai fedeli dopo la morte, accogliendo la loro anima. -Il rito è perciò un’anticipazione e una prefigurazione simbolica di quanto accadrà a fine esistenza, in modo definitivo ed eterno, nell’aldilà, nella Migliore Esistenza; inoltre il rito è ciò che assicura all’esistenza terrena il sostegno di energie divine che “incrementano” il mondo (ambiente e società) nella crescita e lo salvaguardano contro il Male e la malattia. 3 – TESTI SUGLI ACHEMENIDI File “Testi sugli achemenidi” 1. G. Pettinato, Babilonia. All’interno di questo testo viene trattata l’entrata di Ciro II il Grande in Babilonia. Essa è importante per comprendere gli esordi della politica religiosa di Ciro verso altre civiltà, e per comprendere la capacità di assimilazione e di integrazione come caratteristica dei sovrani Achemenidi e della loro “tolleranza” verso altre fedi, sempre che queste rimanessero leali al Re dei Re. Da qui prosegue un riassunto del testo: - Dal racconto della conquista di Babilonia da parte di Ciro e del suo esercito, ci risulta, senza dubbio, che le due profezie truculente non si sono avverate, questo perché Ciro è riuscito ad entrare a Babilonia senza colpo ferire ed è stato acclamato come salvatore del popolo e del clero. Il pamphlet politico dei sacerdoti di Marduk a favore di Ciro ci fa capire che l’arrivo dei persiani era stato preparato anche politicamente dallo stesso clero locale in combutta con il sovrano. Difatti, la conclusione positiva, all’interno della cronaca babilonese, ci risulta come una serie di operazioni sotterranee tendenti verso l’aiuto di Ciro. Per questo motivo Babilonia non correva alcun pericolo di essere ridotta in macerie, e a seguito della conquisa persiana essa continuò ad essere sede residenziale ambita da nuovi padroni, conservando il suo ruolo di centro culturale notevolissimo di tutta la Mezzaluna Fertile. - Merito indiscusso di questo positivo passaggio fu sicuramente anche quello di Ciro, il quale oltre ad essere un eccellente condottiero militare, fu anche un saggio e fine politico, attento alla sensibilità dei babilonesi. La saggezza di questo nuovo imperatore del mondo viene confermata da due iniziative: aver assunto il titolo di “re di Babilonia”, sottolineando che essa non diveniva provincia del regno persiano ma bensì ristava un regno, e la successiva nomina del figlio Cambise a suo rappresentane. La seconda iniziativa fu la nomina a governatore della città Gubaru, il Gobrias della tradizione greca, ovvero il comandante in capo dell’esercito, con delega fino alla morte di egli, la quale avrebbe restituito l’autogoverno ai Babilonesi. - Ciro portò anche alla stesura di un “proclama” rivolto ai Babilonesi, avente una valenza di propaganda politica volta a attirare gli orgogliosi Babilonesi e a penetrare a fondo nelle linee generali della politica. In questo testo Ciro si presenta come il salvatore di Babilonia, il liberatore degli oppressi, il devoto a Marduk, il potente dio di Babilonia, che lo ha prescelto per tale missione. Nabonedo ha perso il potere a causa del suo comportamento sacrilego affiancato alla sua incapacità di gestione economica del paese. Ciro, prendendo il suo posto, restituisce gli antichi privilegi ai Babilonesi e si ingrazia tutti gli dèi di Babilonia facendoli ritornare nei loro santuari, calmando così le ire di Marduk. 2. Erodoto, Le storie. Libro III, La Persia. L’iscrizione di Dario a Bisotun elenca le imprese compiute dal sovrano. Contiene importanti concetti dell’ideologia e della morale achemenide che si ritrovano anche in altre iscrizioni, sia di Dario che di suoi successori: la titolatura di “Gran Re” e di “Re dei Re”, il gran dio Ahura Mazda, la genealogia dinastica, l’importanza della “legge” a cui ognuno deve attenersi con lealtà per avitare la punizione di Dario; il giusto comportamento del re, equanime col ricco e col povero; il “regno” concesso dal dio supremo, la riprovazione delle menzogna/ribellione, il valore della verità; l’importanza del culto rivolto ad Ahura Mazda che arreca benefici in questa vita e nell’altra. Da qui prosegue un riassunto del testo: - Questa grande iscrizione trilingue è colpita sulla roccia di un colle presso il villaggio di Behistun, una località nota anticamente ai Greci con il nome di Bagastana. Essa è scolpita ai lati e al di sotto di un grande bassorilievo che rappresenta il re Dario mentre poggia il piede sul lago Guamata e alza la mano destra verso una figura alata (forse Ahura Mazda), di fronte a Dario sono allineati, con la fune al collo, gli otto ribelli dell’anno 522/1, in fondo si trova il capo dei Saka fatto prigioniero. Abbiamo la versione babilonese, la versione persiana e la versione elamita. Il testo è ripetitivo, monotono, con un vocabolario povero e uno stile formulare avente come scopo quello di riecheggiare l’epicità stilizzata tipica dei monarchi antichi d’Oriente e d’Occidente. - Prosegue poi l’elenco di tutte le imprese di Dario in una suddivisione in 76 paragrafi. 3. Mihail Vasilescu, La stele di Dario sul Teatro e la Lettera di Dario a Gadatas. Da questa lettera che Dario indirizza al suo satrapo Gadatas si ha un’idea del rispetto alle divinità di altri popoli, in questo caso ad Apollo, dio che sempre disse ai Persiani la verità (si noti ancora l’importanza di questa qualità). Si noti anche il valore dell’agricoltura e della cura di vegetazione e alberi, un tratto caratteristico del buon sovrano “giardiniere”, per il quale tutta la creazione e l’ambiente devono essere protetti e la terra coltivata e resa fertile. Da qui prosegue il riassunto del testo: - Il re dei re Dario, figlio di Istaspe, dice al suddito questo: apprendo che tu non obbedisci in tutto ai miei ordini; infatti quanto al fatto che tu fai lavorare la mia terra, trapiantando gli alberi da frutto della regione al di là dell’Eufrate nelle regioni dell’Asia inferiore, lodo la tua intenzione e per questo ci sarà per te grande riconoscenza nella casa del re; quanto al fatto invece che tu trascuri la mia disposizione nei confronti degli dei, ti darò, se non cambi, prova di un animo offeso; infatti facevi pagare un tributo ai giardinieri sacri di Apollo ed imponevi loro di lavorare del terreno profano, disconoscendo la disposizione d’animo dei miei avi nei confronti del dio, che ai persiani disse tutta la verità. 4. Erodoto, Le storie. Libro I, La Lidia e la Persia. Importante documentazione sulle usanze persiane. Diversi passi dell’Avesta (il libro sacro zoroastriano) testimoniano la veridicità di questa fonte, secondaria ma attendibile nel presentare quanto poteva essere notasto (o raccontato) a un osservatore greco del V secolo a.C. La sacralità della montagna, di Zeus (Ahura Mazdā) e della volta celeste, di sole, luna, terra, fuoco, acqua e venti. Il valore del sacrificio e il sacerdozio dei Magi; varie consuetudini, comportamenti e codici sociali; l’educazione dei fanciulli persiani; il rispetto dei fiumi, il ripudio della menzogna, la paura della malattia; l’importanza dei nomi di persona per il significato che esprimono. L’ideologia funeraria, per la quale dopo la morte è più importante l’anima del cadavere, ormai condannato alla decomposizione: per questo il defunto viene lasciato alle bestie da preda, perché l’anima si liberi in fretta da un involucro di contaminazione. Da qui prosegue un riassunto del testo: - I Persiani non sono soliti innalzare statue agli dei, templi e altari, ma accusano di stoltezza chi lo fa, perché non ritengono che gli dei siano ad immagine dell’uomo. I Persiani sono soliti salire sui monti e offrire sacrifici a Zeus, individuato come tutta l’orbita del cielo, quindi al sole, alla luna, alla terra, al fuoco, alle acque e ai venti. Solo ad essi sacrificano fin dalle origini. Questi sacrifici sono privi di altari, fuochi o qualsiasi tipo di addobbo, portano l’animale in un luogo puro e utilizzano la tiara coronata, per lo più di mirto, per attirare il dio. Il sacrificante non può pregare solo per sé ma per la fortuna di tutti i Persiani e del re, e inoltre il sacrifico non può avvenire senza la presenza di un mago. - I Persiani sono soliti solennizzare soprattutto i giorni in cui ciascuno è nato, ritengono lecito imbandirsi di maggiore cibo rispetto agli altri giorni, sono molto dediti al vino, ma non possono né vomitare né orinare davanti ad altri, e quando sono ubriachi è solita la decisione di faccende serie. - Persone della stessa condizione sociale sono solite salutarsi baciandosi sulla bocca, se uno dei due è inferiore anche di poco ci si bacia sulla guancia, se invece si è molto inferiore rispetto all’altro ci si china. - I Persiani accolgono gli sui stranieri più di tutti gli uomini, portano il costume dei Medi, ritenuto più bello del proprio e le corazze egiziane. Praticano ogni tipo di piacere, e si congiungono ai ragazzi avendolo appreso dai Greci. Inoltre ciascuno di loro sposa molte mogli legittime e possiede ancor più concubine. Avere molti figli è, dopo essere guerrieri valorosi, un simbolo di virilità. - Ai figli viene insegnato dai 5 ai 20 anni solo tre cose: cavalcare, tirare d’arco e dire la verità. Prima dei 5 anni non giunge alla vista del padre ma vive presso altre donne, si usa così in modo che se nel caso dovesse morire il padre non ne abbia dolore. - Non è assolutamente permesso dire menzogne, in quanto altamente vergognoso e nemmeno fare debiti, in quanto collegato direttamente a qualche menzogna. - I fiumi sono molto venerati e all’interno di essi non è consentito ne orinare, ne sputare, ne lavare le mani ne altro genere di cose. - I loro nomi derivano da una qualità del corpo o alla nobiltà d’animo e terminano tutti con la stessa lettera, ovvero il San. (Sappiamo però che non è così) - Il cadavere persiano prima di essere seppellito viene lacerato da un uccello o da un cane, per poi essere imbalsamato con cera. I magi sono molto diversi dagli altri uomini, essi uccidono di propria mano qualsiasi creatura, esclusi cani e uomini, e lo fanno con grande spirito di emulazione. 5. Plutarco, Le vite di Arato e di Artaserse. Figli di Dario II: Artaserse II (404-359) e Ciro il Giovane, da non confondere con Ciro II il Grande, fondatore della dinastia. Il testo qui riportato descrive la cerimonia dell’investitura regale, nel tempio di una dea guerriera, paragonata ad Atena: si tratta di un discorso greco per descrivere la grande dea dinastica achemenide: Anāhitā, il cui culto ebbe grande incremento durante il regno di Artaserse II, come ci viene confermato anche dalle sue iscrizioni in antico-persiano (in cui la dea è nominata insieme a un altro dio famoso, Mithra). La cerimonia di “iniziazione regale” officiata dai sacerdoti 1. 1-8: Un dio (baga) grande (vazarka) è Ahuramazd˝, che ha stabilito questa terra (bumim), che ha posto quel cielo (asmanam), che ha posto l’uomo (martiyam), che ha stabilito la felicità (siyatim) per l’uomo, che ha fatto Dario re (xπ˝yaƒiyam), un re di molti, un signore di molti. 2. 8-15: Io sono Dario il Gran Re (xsaya0iya vazarka), Re dei Re (… xsaya0iyanam), Re delle provincie (dahyunam) [che possiedono] tutte le specie; Re in questa grande terra estesa e ampia, figlio di Vistaspa, un Achemenide, un Persiano (Parsa) figlio di un persiano, Ario (ariya) di stirpe aria (ariya ciça). 3. 15-30: Dice (0atiy) Dario (Darayavaus), il Re (xsaya0iya): per il favore (vasna) di Ahuramazd˝ queste sono le provincie che ho preso fuori dalla Persia; io ho regnato su queste ed esse mi hanno portato il tributo (bajim = “la parte”). Ciò che io ho detto a queste, loro l’hanno eseguito: la mia legge (datam) che tiene loro saldamente. Media, Elam, Parthia, Battriana, Sogdiana, Chorasmia, Drangiana, Arachosia, Sattagydia, Gandhara, Sind, Sciti Amirgi, Sciti Tigraxauda (“dal cappello a punta”), Babilonia, Assiria, Arabia, Egitto, Armenia, Cappadocia, Sardi, Sciti oltre il mare, Skudra, Ionii che portano lo scudo (?), Libici, Etiopi, uomini di Maka e di Caria. 4. 30-47: Dice Dario, il re: quando Ahuramazd˝ vide questa terra in agitazione, allora la consegnò a me, mi fece Re. Io sono il Re. Per il favore di Ahuramazd˝ io ho messo (ogni cosa) al suo posto. Ciò che ho detto a loro essi lo hanno fatto, come era mio desiderio (kama). Se adesso tu penserai così: ‘quanti sono i paesi che Dario prese?’- (allora) guarda le sculture (di questi) che portano il trono (ga0u-). Allora tu saprai, allora conoscerai (che) la lancia (arπti-) dell’uomo persiano è andata molto lontano. Allora ti sarà noto che l’uomo persiano ha dato battaglia (partaram) molto lontano dalla Persia. 5. 47-55: Dice Dario, il re: questo che è stato fatto, tutto ciò per volere di Ahuramazd˝ l’ho compiuto. Ahuramazd˝ mi ha portato aiuto (upastam) fino a quando ho compiuto l’opera. Ahuramazd˝ protegga dal (haca) male (gasta) me, la mia casata e questa terra: questo io chiedo ad Ahuramazd˝, che Ahuramazd˝ mi conceda questo! 6. 56-60: O uomo! Quello che è il comando (framana) di Ahuramazd˝ non ti sembri ripugnante (gasta): non abbandonare il retto (rastam) cammino (pa0im)! Non ribellarti! (ma stabava!) -Iscrizione della tomba di Dario a Naqs-i Rustam, 2 (DNb) 7. 1-5: Un grande dio è Ahuramazd˝, che ha stabilito questa visibile eccellenza (frasam), che ha creato la felicità per l’uomo, che ha concesso al re Dario la sapienza (xra0um) e la destrezza (aruvastam). 8. a. 5-11: Dice il re Dario: per il favore di Ahuramazd˝ io sono di tale sorta che sono amico (dausta) per il giusto (rastam), non sono amico del falso (mi0a); non è mio desiderio che il potente si comporti male col debole; e neppure è mio desiderio che il debole si comporti male col potente. b. 11-15: Ciò che è giusto/vero/diritto (rastam) è il mio desiderio. Io non sono amico dell’uomo ingannevole (draujanam). Io non monto in collera (manauvis). Ciò che si sviluppa nella rabbia (dartana) io lo controllo fermamente col mio pensiero (manaha). Io sono fermamente dominatore (xsayamna) di me stesso. c. 16-21: L’uomo che è collaborativo, in base alla sua azione collaborativa io lo ricompenso. Chi fa del danno io così lo punisco secondo il danno. Non è mio desiderio che l’uomo rechi danno; e nemmeno è mio desiderio che lui rimanga impunito se compie del danno. d. 21-24: Ciò che un uomo dice contro un uomo, questo non mi convince fino a quando non intendo *la testimonianza di tutti e due*. e. 24-27: Ciò che un uomo fa o quando porta (un tributo) secondo le sue possibilità, (per questo) sono soddisfatto, il mio piacere è grande e sono contento. f. 27-31: Di tale sorta è la mia intenzione e il mio comando: quando tu vedrai o ascolterai ciò che ho fatto, sia a palazzo che sul campo di battaglia, questa è la mia padronanza (aruvastam) sopra la mia mente e il mio intendimento. g. 31-40: Questa invero è la mia abilità (aruvastam) che il mio corpo può fare: come combattente sono un buon combattente, quando il mio intendimento si trova sul posto (della battaglia), ciò che vedo ribellarsi e ciò che vedo non ribellarsi; l’uno e l’altro, con intendimento e con comando allora sono il primo a pensare con l’agire, quando vedo un ribelle e quando vedo chi non (si ribella). h. 40-45: Lesto io sono, sia con le mani che con i piedi. Come cavaliere (asabara) sono un buon cavaliere; come arciere (0anuvaniya) sono un buon arciere, sia a piedi sia a cavallo; come lanciere (arstika) sono un buon lanciere, sia a piedi sia a cavallo. i. 45-49: E l’abilità (uvnara) che Ahuramazd˝ ha deposto su di me e che io ho avuto la forza di usare — per il favore di Ahuramazd˝, cio che io ho compiuto io l’ho fatto con queste abilità che Ahuramazd˝ ha deposto su di me. 9. a 50-55: O giovane uomo (marika), fai sapere con risolutezza chi sei, come sono le tue qualità, come è la tua lealtà; non considerare come un beneficio quello che ti arriva all’orecchio, ascolta bene ciò che ti si dice. B 55-60: O giovane uomo, non considerare come un bene ciò che il potente farà e ciò che il debole farà. Appunti: DNa 1. L’esordio è basato su un pensiero di devozione verso Ahura Mazda il grande dio, il quale ha messo al trono il grande re Dario. Il dio ha stabilito la felicità, il benessere, l’immortalità e ha posto Dario re di molti. 2. Il re Dario è il sovrano di tutto, non soltanto degli uomini, ma di tutte le specie, sia animali che vegetali; figlio di persiano e di stirpe iranica. Ciò non nega la probabilità di conflitti con altri di stirpe iranica. 3. Dario regna su province al di fuori dalla Persia, le quali sono comandate dalla sua legge che le tiene salde e dedite al tributo verso il re, vi è poi un elenco di tali province. Si parla di una differenziazione e classificazione di tali province volta a sostenere la grandezza di Dario. 4. Quando Ahura Mazda vide questo caos decise di dare a Dario il compito di riportare l’ordine attraverso questo “dare battaglia” in luoghi molto lontano dalla Persia, da qui la lancia e la freccia come armi simbolo dei persiani, armi da lontananza, che spaziano e che vanno lontano. Dario porta l’ordine in luoghi lontani per volere di Ahura Mazda. Inoltre il trono è un elemento architettonico che si ritrova riferito anche ad Ahura Mazda, trono come sede, ci si siede, si ha dominio e si viene portati, trasportati su di esso. 5. Tutto questo è stato compiuto per volere di Ahura Mazda, il quale lo ha aiutato e lo ha protetto dal male, un male come ciò che è ripugnante, legato anche all’olfatto. 6. Dario non deve ribellarsi e deve seguire il retto cammino. Ahura Mazda comanda e vigila su ciò che deve essere compiuto. DNb 7. Ahura Mazda ha stabilito questa eccellenza, ha concesso la felicità all’uomo e ha concesso a Dario la sapienza (xraoum) e destrezza. Si parla di visibile eccellenza, il fatto di rendere e fare opere ammirabili è una caratteristica del dio supremo e che può tentare di rifare il sovrano in modo limitato all’immortalità. Rendere “frasam” è una sorta di energia che si crea dal rituale, rendere un’opera frasam ovvero “mirabile a vedersi”. 8. Come Ahura Mazda è amico dell’uomo, anche il sovrano manifesta la sua amicizia o inimicizia, manifesta ciò che è vero e ciò che è falso; inoltre si parla di equanimità e di amministrazione della giustizia verso sia chi è debole sia chi è forte. Dario non è amico dell’uomo ingannevole. Dario non va in collera, non si fa trasportare dalla rabbia, lui controlla fermamente sé stesso, domina sé stesso: si parla di temperanza, di dominare gli istinti. Può chiaramente andare in collera ma ha la tendenza psicologica di dominio dei sentimenti. L’uomo che collabora viene ricompensato, l’uomo che fa danno viene punito, non è desiderio di Dario né che l’uomo compi un danno, né che l’uomo resti impunito. Si parla di importanza nella pratica della giustizia, bisogna ascoltare entrambe le parti attentamente per poter essere equanimi. Il tributo del re è proporzionale alle capacità dell’uomo, si parla di acqua, melagrane fino a ricchezze più ‘alte’, ma esso non deve mai essere né espropriazione né vessazione. Essere padrone di sé sia nel pensiero, sia nella volontà, è un qualcosa che lo si vede sia a palazzo, sia sul campo di battaglia, si parla di visione regale, cortese, politica, militare. L’abilità di Dario è vera nel combattimento, sa individuale chi si ribella, chi si arrende, chi può essere risparmiato e chi no, c’è un connubio di pensiero e azioni. Distinguere, discernere, valutare e giudicare. Si parla poi delle attitudini guerriere e della caccia di Dario, abile sia a piedi che a cavallo. Le abilità che Ahura Mazda ha deposto su Dario, sono state utilizzate da Dario perché egli ne ha avuto la forza. 9. La conclusione si rivolge a coloro che potranno venire dopo, un giovane uomo che ancora non è re, ma che, in quanto giovane, è pieno di forza che ha bisogno di essere disciplinata e controllata, i giovani che verranno potranno essere i futuri sovrani. Si parla anche di un’esortazione più generale rivolta ai guerrieri, ai giovani con il fine di incitare alla ricerca della capacità di controllo e della disciplina di se stessi. 5 – ANABASI DI ALESSANDRO File “Arriano, Anabasi di Alessandro” - Il brano riporta l’episodio della severità di Alessandro contro Besso, il satrapo che uccise a tradimento il suo re, Dario III, della dinastia achemenide. Si parla inoltre della tomba di Ciro e della sua protezione, a cura di Alessandro. Da qui prosegue un riassunto del testo: - Paragrafo 7. Alessandro convocò un’assemblea dove si accusava Besso di tradimento nei confronti di Dario, il seguito di tale assemblea fu mozzare il naso e la punta delle orecchie al satrapo, per poi mandarlo ad un’altra assemblea, quella dei Medi e dei Persiani, dove sarebbe poi stato messo a morte. Arriano nel presentare tale accaduto, condivide con il lettore la sua disapprovazione riguardo ciò. Considera usanza barbarica quella di mutilare le estremità e si trova in accordo con coloro che sostengono che Alessandro abbia avuto tale reazione a causa della volontà di emulare l’opulenza dei Medi e dei Persiani. - Paragrafo 28-20. Alessandro avanza verso la Pasargade in Persia, arrivato ai confini venne a conoscenza della presenza di un nuovo satrapo a capo della Persia, non per incarico di Alessandro, ma perché quello prima di lui non si era ritenuto degno di mantenere l’ordine in Persia per Alessandro. Alessandro trovò la tomba di Ciro figlio di Cambise profanata e saccheggiata, essa si trovava nel parco reale e intorno ad essa era stato piantato un boschetto di alberi di ogni specie, la tomba inoltre era costruita con massi quadrati, aveva una forma rettangolare ed era composta da una camera con tetto di pietra con una piccola porta di accesso. All’interno della stanza si trovava poi un sarcofago d’oro, con al fianco un letto con i piedi in oro battuto e una copertura di tappeti babilonesi e pellicce purpuree. Si parla poi di numerosissime altre ricchezze di inestimabile valore protette da un’iscrizione posta sulla tomba: “O uomo, io sono Ciro figlio di Cambise, che ha fondato il regno persiano e regnato sull’Asia. Non essere, dunque, invidioso del mio monumento”. Alessandro scoprì che tutto era stato profanato e saccheggiato, compreso il corpo stesso. Decise di dare l’ordine di restaurare la tomba come prima e di murare la porticina di accesso ponendoci sopra il sigillo reale. File “Curzio Rufo, Storie di Alessandro Magno” - Il testo di Curzio Rufo ci offre una descrizione degli abiti regali persiani, delle insegne, degli emblemi, del corteo, del carro regale e del suo simbolismo solare e cosmico. Da qui prosegue un riassunto del testo: - Dario ebbe un sogno in cui il campo di Alessandro era in fiamme e quest’ultimo veniva verso di lui abbigliato allo stesso modo in cui lo era stato Dario una volta, per poi scomparire tra le vie di Babilonia sopra il suo cavallo. Le interpretazioni riguardo questo sogno sono molteplici, alcuni sostenevano che si trattasse di un sogno favorevole, giacché era l’accampamento dei nemici ad andare a fuoco e Alessandro era vestito con un costume persiano di foggia dimessa; altri invece pensavano ad un sogno negativo, si trattava di una premonizione in cui il campo in fiamme presagiva lo splendore destinato ad Alessandro e il suo essere vestito con abbigliamento persiano sottolineava come egli sarebbe diventato il padrone del regno dell’Asia. La preoccupazione per questo sogno aveva fatto riaffiorare antichi presagi. Si ricorda di come Dario, a seguito della sua incoronazione, aveva fatto cambiare il fodero alla persiana della sua scimitarra con uno alla moda greca. - È uso dei persiani muoversi soltanto al sorgere del sole e a giorno ormai chiaro, Dario diede l’ordine di muoversi verso l’Eufrate. L’ordine di marcia veniva dato da una tromba e era ordinato nel seguente modo: davanti a tutti era portato un fuoco sacro ed eterno sopra altari d’argento, subito dopo si trovavano i Magi che intonavano un inno nazionale, dietro di essi si muoveva un corteo di 365 giovani ricoperti da un mantello color porpora, poi un carro consacrato a Giove trainato da cavalli bianchi, con dietro un cavallo di straordinaria grandezza chiamato “Cavallo del Sole”. Non lontano da essi si trovavano dieci carrozze con ricche cesellature in oro e in argento, accompagnate da cavalieri di dodici nazionalità diverse. Il tutto era seguito da coloro che erano chiamati gli “Immortali”, in un numero di diecimila, caratterizzati da collari d’oro, vesti trapuntate d’oro e tuniche con maniche lunghe adornate di gemme. Si trovavano poi i “Parenti del Re”, quindicimila uomini adornati come donne che si notavano non per le armi ma per il lusso. La schiera successiva era quella dei “Dorifori” ovvero coloro incaricati del regio guardaroba, essi precedevano il carro che portava il re, avente nei fianchi le figure di dèi plasmate in oro e argento, pietre preziose sul gioco da cui si ergevano due statuine auree di Nino e di Belo, tra di loro il simulacro consacrato di un’aquila d’oro. Il sovrano era poi adornato di un ricamo bianco su una tunica porpora, sparvieri d’oro raffigurati sul mantello intessuto di fili dorati, all’aurea fascia era appesa la scimitarra dal fodero gemmato, il copricapo aveva tutto intorno una fascia cilestrina con ricami bianchi. Il carro aveva un seguito di diecimila lancieri e alla destra e alla sinistra di trovavano circa duecento dei suoi parenti più nobili. La colonna era poi chiusa da trentamila fanti, seguiti da quattrocento cavalli del re. A distanza erano poi trasportate la madre, la moglie e il gruppo delle dame da compagnia, poi quindici veicoli con sopra i figli del re e le responsabili della loro educazione, poi le 360 concubine del re, abbigliate come regine, seicento muli e trecento cammelli erano poi seguiti da una fila di arcieri, dalle mogli dei parenti e degli amici, dai domestici e dagli inservienti. Ultimi erano gli armati alla leggera. - Dario, sovrano di una così immensa moltitudine, per lo spazio ristretto in cui fu costretto a combattere, si trovò ridotto a quelle stesse misere proposizione che aveva disprezzato nel nemico. 6 – USI E COSTUMI NEL PERIODO PARTICO File “Strabone XV, L’Estremo Oriente di Strabone” - Descrizione degli usi e costumi dell’Iran nel periodo partico. Segue un riassunto del testo: - I Persiani effettuano i sacrifici al fuoco e all’acqua in modo diverso. Al fuoco portano legna secca priva di corteccia e cosparsa di grasso in superfice, la accendono poi versandovi olio e senza soffiare, ma utilizzando Fedeli, a voi. Ecco bevande destinate all’abisso: intrecciatevi l’inno augurale. Che affiori, al vostro richiamo, Dario, entità sovrumana. Io sospingo ai Potenti, giù nell’abisso, il tributo che irriga la zolla». - Platone, Alcibiade I (122°) [428-347 A.C.]: [educazione del figlio del re di Persia] «giunto a quattordici anni è affidato a quelli che sono chiamati ‘precettori del re’ e sono quattro Persiani […] E di questi, il sapiente gli insegna la magia di Zoroastro figlio di Oromasde – cioè il culto degli dèi (theôn therapéia: ϑεῶν ϑεραπεία) – e l’arte di governare» [il più giusto, a dire la verità; il più temperante a vincere le passioni; il più valoroso a essere coraggioso] - Diogene Laerzio [180-240 D.C.], Vite dei filosofi, Proemio, 6-9: «i Magi attendevano al culto degli dèi e ai sacrifici e alle preghiere, quasi fossero i soli ad essere ascoltati dagli dèi; rinvenivano la sostanza delle cose e l’origine degli dèi nel fuoco, nella terra e nell’acqua; non ammettono gli idoli di legno ed erano violenti avversari di quanti dicevano essere gli dèi maschi e femmine. Discorrevano anche della giustizia e ritenevano empio il seppellimento con la cremazione, pio il congiungersi con la madre e con la figlia, come dice Sozione nel ventitreesimo libro. Praticavano l’arte divinatoria e la predizione e sostenevano che gli dèi si manifestano ad essi e che inoltre l’aria è piena di immagini che per emanazione di vapori penetrano negli occhi di quanti acutamente guardano. Proibivano l’uso degli ornamenti vistosi e dell’oro. Indossavano una veste bianca, avevano come letto un giaciglio di foglie, si cibavano di erbaggi, di cacio e di pane ordinario, e si servivano di una canna come bastone, con la quale, dicono, facevano a pezzi il cacio, lo sollevavano e lo mangiavano. […] Aristotele nel primo libro Della filosofia dice che i Magi sono più antichi degli Egizi e che ammettono due princìpi, il demone buone e il demone cattivo, di cui al primo dànno i nomi di Zeus e Oromasde, al secondo i nomi di Ade e Arimanio. […] Il medesimo autore [Teopompo] attesta pure che i Magi credevano nella resurrezione degli uomini e nella loro futura immortalità e che il mondo avrebbe continuato ad esistere per le loro preghiere». - Ammiano Marcellino, Storie: XXXIII 6, 31-35 [IV sec. D.C.]: «In queste regioni [della Media] si trovano i fertili campi dei Magi, sulla cui setta e sui cui studi, poiché abbiamo toccato questo argomento, converrà fornire qualche notizia. Platone informa che la magia in termini mistici è la hagistia (< ἁγιστεία), perfetto culto delle cose divine, alla cui conoscenza nelle età antiche molti elementi tratti dai misteri dei Caldei aggiunsero Zoroastro, originario della Battriana, e poi il sapientissimo re Istaspe, padre di Dario. […]. (Zoroastro) trasmise alle intelligenze dei Magi alcune delle conoscenze acquisite, che essi insieme con la scienza della predizione del futuro trasmettono ai posteri, ciascuno attraverso la propria discendenza […] Raccontano anche (se è giusto crederlo) che essi custodiscono presso di sé, in piccoli focolari perpetui, il fuoco caduto dal cielo, e riferiscono che una piccola parte di esso precedeva una volta i re dell’Asia come un buon augurio». - Luciano di Samosata [120-180/192 D.C.], Menippo 6: «…sentivo dire che essi (= i Magi), non so con che formule incantatorie (epôdais: ἐπῳδαῖς) e con riti iniziatici, aprono le porte dell’Ade e vi fanno scendere e poi risalire sano e salvo chi vogliono…». 8 – TESTI ELLENISTICI E TESTI AVESTICI File “Testi ellenistici e testi avestici” - Segue un’antologia dei testi di età post-achemenide, di sovrani del periodo ellenistico, come Ashoka, e dell’India, e come Antioco di Commagene: questi testi sono importanti per capire l’eredità della cultura achemenide all’indomani della conquista di Alessandro. Dopo questi testi vi è un testo avestico di Hadoxt Nask, dove si parla della sorte dell’anima dopo la morte. 8. Biagio Virgilio, Lancia, diadema e porpora. Il re e la regalità ellenistica . Vengono qui presentati alcuni testi di sovrani non achemenidi, come il re dell’India Ashoka e il re Antioco di Commagene: anche se non siamo più in età achemenide, l’eredità di tale dinastia si perpetuerà nei secoli a venire e in luoghi anche lontani come l’India (che del resto nella sua parte nord-occidentale apparteneva alle provincie sotto il controllo achemenide: vedi sopra l’iscrizione di Behistun al § 6, Gandhara). In A¢oka si ritrovano sia aspetti della morale achemenide (importanza della verità, moderazione degli istinti, convivenza tra più culture e fedi) sia aspetti della morale buddhista (il dhamma = la norma buddhista) con il suo invito alla pietà e all’amore universale. In Antioco, signore della Cappadocia (in Anatolia), e risalente per filiazione macedone e persiana ai due rami dinastici (quello di Alessandro e quello achemenide) si ritrovano diversi concetti volutamente ispirati alla cultura persiana, come le divinità, dai nomi sia greci che iranici; l’importanza del sacerdozio persiano per eseguire i riti. Da qui segue un riassunto del testo: - Parte greca del proclama bilingue greco-aramaico dall’antica Kandahar. L’iscrizione greco-aramaica e l’iscrizione greca di Ashoka sono tutt’ora conservate in buone condizioni nel Museo di Kabul. Il proclama recita: “Compiuti dieci anni, il re Piodasses ha mostrato agli uomini pietà. E da allora ha reso gli uomini più pii e ogni cosa prospera su tutta la terra. E si astiene il re dagli esseri animati, e gli altri uomini e tutti i cacciatori o pescatori del re hanno cessato di cacciare. E quelli incapaci di dominarsi hanno desistito dalla incapacità di dominarsi secondo la loro possibilità. E sono divenuti obbedienti al padre e alla madre e agli anziani, contrariamente a prima. Osservando queste norme, vivranno in futuro in modo migliore e più vantaggioso in tutto.” Appunti: l’autocontrollo e il dominio di sé stessi sono una costante sia all’interno della cultura persiana che all’interno della cultura greca. Questo principio viene ritrovato all’interno di numerose iscrizioni del sovrano, la parola del sovrano veniva letta, proclamata, ricordata all’interno di eventi pubblici, di assemblee, di riunioni, e così via. Queste iscrizioni sono la base della propaganda del re, il quale attraverso esse, mostra ai propri sudditi le basi sul quale esso stesso si basa e sul quale il suo regno deve basarsi. - Iscrizione sul blocco calcareo dell’antica Kandahar con redazione greca dei “grandi editti rupestri” XII e XIII. Essa termina omettendo la menzione dei “ministri della pietà” e degli altri funzionari nominati nel testo indiano, la redazione greca privilegia i precetti morali dell’editto trascurando i contenuti di tipo burocratico e amministrativo. L’iscrizione recita: “…pietà e dominio di sé in tutte le scuole filosofiche, domina in sommo grado sé stesso chi domini la sua lingua. Non elogino sé stessi e non denigrino gli altri su nulla: perché ciò è vano, mentre è preferibile provarsi in ogni modo a elogiare gli altri e a non denigrarli. Quelli che si comportano così esaltano sé stessi e guadagnano a sé gli altri; quelli che non osservano ciò sono piuttosto privi di reputazione e sono invisi agli altri. Coloro i quali elogiano sé stessi e denigrano gli altri si comportano in maniera eccessivamente ambiziosa: volendo rifulgere in confronto agli altri, molto di più danneggiano sé stessi. Conviene ammirarsi reciprocamente e accettare gli insegnamenti gli uni degli altri. Quelli che si comportano così saranno ben più sapienti, scambiandosi reciprocamente quanto ciascuno di essi sa. Non esitate a dire queste cose anche a coloro che le praticano, perché persistano sempre nella pietà. Nell’ottavo anno di regno Piodasse ha conquistato il paese di Kalinga. Centocinquantamila uomini sono stati catturati e da lì sono stati deportati, altri centomila sono stati sterminati e quasi altrettanti sono morti. Da quel tempo pietà e compassione lo hanno preso, ed è angosciato. Nello stesso modo in cui ha ordinato di astenersi dagli esseri animati, ha profuso ogni zelo e sforzo per la pietà. E questo il re ha preso con ancora maggiore pena: tutti quelli che vi abitavano, brahmani o sramani o altri praticanti di pietà – quelli che colà abitavano dovevano considerare gli interessi del re, rispettare e onorare il maestro, il padre e la madre, avere cari e non ingannare amici e compagni, trattare schiavi e servi ne modo più mite possibile – se, di quelli che là così si comportano, uno è morto o è stato deportato, gli altri attribuiscono anche ciò al corso delle cose, ma il re fortemente si angustia per costoro.” Appunti: in questa iscrizione abbiamo inizialmente una sequenza di tutte quelle caratteristiche di pietà e di dominio che devono essere perseguite dall’uomo, si parla di rispetto, di elogiare, di esaltazione e di riconoscenza, il tutto volto ad un’ammirazione in grado di elevare entrambe le parti e non di darsi contro. Nella seconda parte ci troviamo in un racconto personale di Piodasse, il quale parla della sua conquista di Kalinga e della successiva strage, ricordata come ciò che ha portato pietà e compassione all’interno del re, il quale ha vissuto angosciato da quel momento in poi. - Decreto di Alessandria sul culto di Arsinoe II Filadelfo (Onori e culti reali). Il decreto recita: “Nessuno s’incammini … la canefora … di Arsinoe Filadelfo … insieme con i pritani, i sacerdoti, i magistrali, gli efebi e i rabdofori. Chi voglia sacrificare ad Arsinoe Filadelfo sacrifici davanti alle proprie porte o sulle terrazze o lungo la strada per la quale passi la canefora. Tutti sacrifichino una vittima da sacrificio o un volatile o vittime di quale specie ognuno voglia, ad eccezione di capro o capra. Tutti facciano gli altari di sabbia; se alcuno hanno altari costruiti in mattoni, spargano sopra della sabbia e su questa collochino della legna sulla quale bruciare i legumi …” - Donazione di Lisimaco in favore di Limneo. Atti reali, amministrazione, funzionari. La donazione recita: “Al tempio di Timesio sacerdote di Lisimaco, il re Lisimaco ha concesso a Limneo figlio di Arpalo questi terreni fra i suoi beni patrimoniali: nel territorio di Semylia, milleduecento pletri di terra alberata, con il quale sono confinati Agatocle figlio di Lisimaco e Bithys figlio di Cleone; nel territorio di Olinto, in Trapezunte, trecentosessanta pletri di terra alberata, con il quale sono confinanti Menone figlio di Sosicle e Pylon figlio si Epiteles; nel territorio di Strepsea, novecento pletri di terra alberata e venti di vigneto, con il quale sono confinati Gouras figlio di Annythes, Chionide ed Eualked figli di Demetrio; a lui e ai suoi discendenti che sono nel pieno diritto di possederli, venderli, scambiarli, darli a chi vogliano.” 9. Hadoxt Nask 2. Il racconto zoroastriano della sorte dell’anima. Questo testo fa parte del libro sacro degli zoroastriani, l’Avesta, ed è dedicato al tema della sopravvivenza dell’anima dopo la morte. È in forma di dialogo tra l’anima e una creatura angelica dalle sembianze di bella fanciulla, che rappresenta le sue buone azioni ed è quindi un suo “doppio” animico che lo conduce in paradiso; invece, l’incontro con una brutta strega (resa brutta dalle cattive azioni) comporta una discesa all’inferno. Il tema del viaggio dell’anima è molto diffuso nella letteratura zoroastriana in diversi testi e varianti: non riguarda solo la morte ma anche esperienze in uno stato di morte apparente, raggiunta in pratiche iniziatiche di estasi. Segue la trascrizione del testo avestico: - Zaraoustra domandò ad Ahura Mazda: “Ahura Mazda, spirito molto incrementante, creatore degli essere corporei, giusto: quando il giusto trapassa dove dimora questa notte la sua anima?”. Allora Ahura Mazda rispose: “presso la testa comincia a recitare la gaoa ustauuaiti, invocando prosperità: ‘fortuna a colui, chiunque sia, che Ahura Mazda esaudisce a suo piacimento’. In questa notte l’anima gioisce di tanta quiete come tutti gli esseri che vivono.”. “La seconda notte dove dimora la sua anima?”. Allora rispose Ahura Mazda “ancora in questa notte, così tanta quiete …”. “La terza notte dove dimora la propria anima?”. Allora disse Ahura Mazda “e proprio in questa notte, così tanta quieta …”. Alla fine della terza notte, l’anima dell’uomo giusto ha l’impressione di risplendere come l’aurore, ha l’impressione di essere trasportata verso le piante e i profumi; le sembra che un vento soffi dalla parte del meridione, dalle direzioni del meridione, fragrante, più fragrante di ogni altro vento. Allora l’anima dell’uomo giusto ha l’impressione di percepire quel vento con il naso: “da dove soffia il vento, che mai ho percepito con le narici un vento più fragrante?”. - Nell’avanzare di questo vento gli apparve la propria daena dalla forma di fanciulla, bella, splendente, dalle bianche braccia, forte, di buona crescita, slanciata, alta, dai seni prominenti, dal corpo sollecito, nobile, di buona progenie, dalla forma di una quindicenne di così grande bellezza nella crescita come le creature più belle. L’anima dell’uomo giusto, domandando, le chiese “quale ragazza sei, che mai davvero ho guardato ragazze dalla figura più bella?”. Allora a lui rispose la sua daena “invero io sono la daena della tua propria persona, o giovane dai buoni pensieri, dalle buone parole, dalle buone azioni e dalla buona daena. Chiunque ti ha amato per questa grandezza, per la bontà, la bellezza, la fragranza, la vittoriosità e la controffensiva, così come mi appari; così tu mi hai amata, o giovane dai buoni pensieri, dalle buone parole, dalle buone azioni, dalla buona daena, per questa grandezza, bontà e bellezza così come ti appaio. Quando hai visto un altro compiere delle azioni rituali non ortodosse, allora hai cominciato a cantare le gaoa, a sacrificare alle buone acque e al fuoco di Ahura Mazda, a soddisfare l’uomo giusto che viene da vicino e da lontano. Poiché ero amata, allora mi hai reso ancora più amata, per questo tuo buon pensiero, per questa tua buona parola, per questa tua buona azione; bella, mi hai reso ancora più bella; preziosa, mi hai resa ancora più preziosa; seduta su un luogo avanzato, mi hai fatto sedere su un luogo più avanzato”. “Per questo gli uomini offrono a me, Ahura Mazda, lungo sacrificio e lunga consultazione.” - L’anima dell’uomo giusto avanzò di un primo passo e lo pose nel Buon Pensiero; l’anima dell’uomo giusto avanzò di un secondo passo e lo pose nelle Buone Parole; l’anima dell’uomo giusto avanzò di un terzo passo e lo pose nelle Buone Azioni; l’anima dell’uomo giusto avanzò di un quarto passo e lo pose nelle Luci Infinite. A lui disse domandando il giusto trapassato precedente, “come sei trapassato, o giusto, come o giusto sei venuto dalle dimore ricche di armenti e dalle discendenze ricche di prestigio? Dall’esistenza ossuta all’esistenza mentale, dall’esistenza di abbandono all’esistenza non abbandonata? Come divenne presente a te la lunga fortuna?”. Allora rispose Ahura Mazda “non interrogare oltre colui che interroghi, il quale ha percorso il cammino crudele, pauroso e sinuoso che è quello della separazione del corpo e della coscienza. Che si porti a lui il burro di primavera: questo, per il giovane dai buoni pensieri, dalle buone parole e dalle buone azioni, è il nutrimento dopo il trapasso; questo, per la fanciulla ricca di buoni pensieri, di buone parole e di buone azioni, propensa alla dottrina, soggetta a un giudice, giusta, è il nutrimento dopo il trapasso”. - Zaraoustra domandò “o giusto, quando il malvagio muore, dove dimora questa notte la propria anima?”. Allora rispose Ahura Mazda “invero o giusto Zaraoustra, corre vicino alla testaccia, recitando le parole gathiche alla Kimam ‘verso quale terrà andrò o Ahura Mazda?’. In questa notte l’anima prova tanta inquietudine come tutti quegli esseri che vivono”. “La seconda … la terza”. “Alla fine della terza notte, o giusto Zaraoustra, l’anima dell’uomo malvagio ha l’impressione di risplendere come l’aurora, ha l’impressione di essere trasportata tra il ghiaccio e il fetore, ha l’impressione che verso di lei soffi un vento dalla parte del settentrione, dalle direzioni del settentrione, puzzolente, più fetido di ogni altro vento. Allora l’anima dell’uomo malvagio ha l’impressione di percepire quel vento con il naso ‘da dove soffia il vento ché mai ho percepito con le narici un vento più puzzolente?’”. L’anima dell’uomo malvagio avanzò di un quarto passo e lo pose nelle Tenebre Infinite. Appunti: In queste poche righe trattiamo del contrasto tra Wahnam e Narseh. Wahnam, l’avversario, è pieno di falsità e si pensa che abbia agito a causa della cattiva influenza del diavolo, Ahriman, e dei demoni su di lui, al fine di prendere il trono di Narseh. Succede che tutti i nobili decidono di mandare una serie di lettere a Narseh, per dimostrare la loro devozione per la sua salita al trono, seguono esempi di lettere. # 18 “Possa il Re dei Re gradire di muoversi dall’Armenia verso l’Eúranushar. E per lo splendore glorioso (xwarrah), il regno (πahr), il suo trono (g˝h) e l’onore che i suoi avi hanno ricevuto dagli dèi (yazd˝n) possa egli prenderli indietro dai malfattori (che hanno agito contro) gli dèi e gli uomini. E possa egli preservare sano l’Eúr˝nπahr fino all’ultimo”; # 89 “O vostra maestà, ascendi al trono che gli dèi ti hanno concesso…e tu possa tenere e governare il regno (πahr) fino al tempo della Trasfigurazione (fraπkart) ed essere felice (π˝t) per la tua gloria (xwarrah) e per il regno (πahr)” 2. Titolature numismatiche - Sul recto: è ricorrente la formula π˝h˝n π˝h Eúr˝n (ud Anˇr˝n) kˇ ≈ihr az yazd˝n, con qualche variazione a seconda dei sovrani. - Sul verso: è frequente la formula ˝dur ^ “fuoco di”, riferita a diversi sovrani, ad esempio: ˝dur ^ Ardaπ^r “fuoco di Ardaπ^r”; ˝dur ^ ∏˝buhr “fuoco di ∏˝buhr”; ˝dur ^ Wahr˝m “fuoco di Wahr˝m”; ˝dur ^ Narseh “fuoco di Narseh” - la titolatura di Yazdgerd I (399-421) riporta l’epiteto r˝mπahr “che (porta) la pace sulla terra”, attributo della dinastia mitica kayanide a cui si richiamano i sovrani sassanidi. - alcune monete riportano dopo il nome del re la parola abz˛n, formula beneaugurale di incremento e di prosperità (come dire: “salute!”) che corrisponde all’avestico sp™n≥ta-: ad esempio, Kaw˝d abz˛n “(a) Kawad, prosperità!”, Ohrmezd abz˛n “(ad) Ohrmezd, prosperità!”. Talvolta abz˛n si ritrova inespressioni che denotano la capacità del sovrano di aumentare/incrementare una sua qualità o carismacome lo “splendore/gloria” (xwarrah): Husr˛ π˝h˝n π˝h xwarrah abz˛n “Husr˛ re dei re haincrementato lo splendore/gloria”. - Le monete della regina B˛r˝n (630-631) riportano la scritta B˛r˝n gˇh˝n az xwarrah nˇw kardar “B˛r˝n ha reso buono il mondo per mezzo della (sua) gloria/ splendore.” 10 – ISCRIZIONE DI KIRDIR File “Iscrizione medio-persiana di Kirdir” - L’iscrizione ripota i successi politi e religiosi di Kirdir, sacerdote zoroastriano del III secolo che organizzò politicamente le istituzioni del mazdeismo. Da qui segue una trascrizione del testo: Appunti in corsivo. - Questo documento epigrafico in medio-persiano, una iscrizione incisa sulla pietra, venne fatta redigere (durante il regno di Wahram II, 276-293 d.C.) dal gran sacerdote Kirdir, insieme ad altre tre iscrizioni (KKZ, KNRb, KSM) che ugualmente ne celebrano il potere temporale raggiunto sotto i primi sassanidi, a partire dal fondatore della dinastia Ardashar. Si tratta di un testo di grande importanza per la conoscenza della successione dei primi re sassanidi (III secolo d. C.) e per notizie sulla crescente influenza del sacerdozio zoroastriano dei Magi in quanto religione di stato, alleata e sostenitrice della dinastia sassanide: e perciò persecutrice di altre religioni (§ 11), considerate pericolose antagoniste del credo ufficiale. Il fatto stesso che un sacerdote abbia potuto lasciare nel Fars (Persia) delle iscrizioni, poste vicino a quelle dei re, che glorificano i suoi successi terreni – normalmente un privilegio esclusivo dei re persiani, a partire dagli Achemenidi sino ai Sassanidi – è una conferma del rilievo politico di Kirdir, il quale si vanta di essere protetto dalla casa reale, di aver compiuto molti riti in onore degli dèi e di aver preservato la fede mazdea contro errori e deviazioni. Ma oltre al suo dominio temporale, Kirdir ha lasciato anche testimonianza (dal § 21 in poi) del suo potere spirituale di compiere esperienze ultraterrene in condizione di estasi, per visitare (sotto forma di un suo “doppio” o “sosia” animico) le dimore del Paradiso e dell’Inferno, attenendosi a una pratica molto diffusa nello zoroastrismo, quella del viaggio nel regno dei trapassati che può realizzarsi in due modi: o dopo il normale decesso oppure nella forma simulata e momentanea di una morte apparente, come nel caso di Kirdir [lo studente confronti questo testo con altre dispense-web del corso: quella dell’H˝d˛xt Nask (I corso) e quella dei testi zoroastriani (II corso: Mˇn˛g ^ Xrad), in cui si ritrovano delle concezioni analoghe sull’Aldilà] - Appunti: l’iscrizione di Kirdir ha come fine quello di sottolineare la sua figura sul piano del potere politico, della benemerenza che i sovrani sasanidi gli attribuiscono, della carriera politica, e del suo potere, in quanto sacerdote/mago, di compiere esperienze soprannaturali e di avere doti di pratiche religiose. Tutte queste caratteristiche, sia sull’ambito sociale che sull’ambito religioso, sono necessarie e importanti per Kirdir nel suo percorso verso la fama come figura politica e di sacerdote. Kirdir sottolinea l’importanza della fede zoroastriana in quanto forte e solida non tralasciando però anche le altre religioni, ci parla infatti della fede induista, della fede ebraica, della fede buddista, della fede cristiana, della fede manichea, e di molte altre. È necessario sottolineare come nell’epoca sasanide fosse possibile praticare la religione che maggiormente si previlegiava, senza ripercussioni. Si individuano anche i nemici interni, ovvero orientamenti all’interno delle religioni che osteggiano la dottrina stessa. 1. E io, Kird^r il Mobed, continuerò ad essere obbediente e bendisposto (verso) gli dèi (yazad˝n) e Ardashir, re dei re, e Shabuhr, re dei re. 2. E per quel servizio che ho eseguito verso gli dèi e Ardashir, re dei re, e Shabuhr, re dei re, egli - Shabuhr, re dei re – mi ha reso assoluto e autorevole (per ciò che riguarda) i riti degli dèi, alla corte e da provincia a provincia, dà luogo a luogo, dappertutto la terra dei Magi. E per ordine di Shabuhr, re dei re, e con il sostegno degli dèi e del re dei re, da provincia a provincia (e) dà luogo a luogo, molti riti per gli dèi vennero incrementati e molti fuochi (˝dur˝n) di Wahram vennero stabiliti e molti Magi divennero contenti e prosperi, e molti trattati/convenzioni (in favore) dei fuochi e dei Magi furono sigillati (sigillati: oltre che alla pratica, si parla anche dei sigilli utilizzati per apporre la propria firma, un documento completato, aspetto burocratico ma che sottolinea la funzione dirigenziale) e grande profitto arrivò per Ohrmazd e gli dèi, e fu grande danno per Ahreman e per i demoni. 3. E (per) questi molti fuochi e riti che (sono menzionati) nell’iscrizione, egli Shabuhr il re dei re – così ha fatto per me una sorta di concessione particolare: “sia per te questa risorsa basilare (bunx˝nag), e quando saprai che un’azione (potrà essere) buona per gli dèi e per noi, allora eseguila” 4. E in quel tempo, sotto Shabuhr re dei re, quando vennero fatti testamenti, accordi e documenti (m˝day˝n), alla corte e in tutto l’impero, in ogni luogo, così venne scritto su questi: ‘Kirdir lo Herbed’. (Anche il nome di Kirdir viene apposto all’interno delle pratiche, dei documenti, ciò sottolinea la sua importanza anche all’interno dell’amministrazione. Lo Herbed è la carica di maestro sacerdotale, colui che insegna, siamo infatti agli inizi della carriera di Kirdir) 5. E dopo che Shabuhr re dei re se ne andò verso i troni degli dèi (Verso i torni degli dèi, i giusti trapassano verso il paradiso, la più alta e eccellente dimora delle luci infinite. Fin dagli achemenidi era in uso “Andare verso i troni” con la morte di Dario I, eufemismo per nominare non direttamente un’esperienza cruciale come quella della morte.) e suo figlio Ohrmizd, re dei re, si stabilì nel regno, Ohrmizd re dei re mi diede la tiara e la cintura (cintura: essere legati, sudditi, dipendenza e vincolo. La cintura e la tiara solennizzano ancora di più quello che è il suo ruolo) e rese la mia posizione e il mio rango più elevati, e alla corte e da provincia a provincia, da luogo a luogo per tutto l’impero mi fece, (per quanto concerne i) riti degli dèi, allo stesso modo più libero e più autorevole e mi diede il nome di ‘Kirdir il Mobed di Ohrmazd’ (Mobel: ruolo del dio Ahura Mazda), nel nome del dio Ohrmazd. E così proprio in quel tempo, da provincia a provincia, dà luogo a luogo, molti riti degli dèi vennero incrementati e molti fuochi di Wahram furono stabiliti e molti Magi divennero contenti e prosperi e molte convenzioni (relative ai) fuochi e ai Magi vennero sigillate. [vedi l’iscrizione antico-persiana di Serse (XPf 30-36): “quando mio padre Dario se ne andò verso i Troni”, cioè: “quando morì”] (Il periodo del sovrano Ohrmizd è quello che coincide con il periodo di vita di Mani e Kirdir all’interno della corte del sovrano. 6. E in quel tempo, sotto Ohrmizd re dei re, quando vennero fatti testamenti, accordi e documenti alla corte e in tutto l’impero dà luogo a luogo, così venne scritto su questi ‘Kirdir il Mobed di Ohrmazd’. 7. E dopo che Ohrmezd re dei re se ne andò verso i troni degli dèi, e Wahram re dei re, figlio di Shabuhr re dei re e fratello di Ohrmezd re dei re, si stabilì nel regno, egli – Wahram re dei re, allo stesso modo rese la mia posizione e il mio rango più elevati, e alla corte e da provincia a provincia, dà luogo a luogo per tutto l’impero mi fece (per quanto concerne i) riti degli dèi allo stesso modo più libero e più autorevole. E così proprio in quel tempo, da provincia a provincia, dà luogo a luogo, molti riti degli dèi vennero incrementati e molti fuochi di Wahram furono stabiliti e molti Magi divennero contenti e prosperi e molte convenzioni (relative ai) fuochi e ai Magi vennero sigillate. (Un crescendo che riguarda la protezione di Kirdir, e da lui ai suoi confratelli, all’interno della corte del sovrano) 8. E in quel tempo, sotto Wahram re dei re, quando vennero fatti testamenti, accordi e documenti alla corte e in tutto l’impero dà luogo a luogo, così venne scritto su questi ‘Kirdir il Mobed di Ohrmazd’. 9. E dopo che Wahram, re dei re, figlio di Shabuhr, se ne andò verso i troni degli dèi e Wahram (II), re dei re, figlio di Wahram, che nell’impero (è) generoso e giusto e affabile e beneficiente e altruista, si stabilì nel regno, per amore di Ohrmazd e degli dèi e della propria anima rese la mia posizione e il mio rango più elevati; e mi concesse la posizione e l’onore dei Grandi, e alla corte e da provincia a provincia, da luogo a luogo per tutto l’impero mi fece, (per quanto concerne i) riti degli dèi, allo stesso modo (ancora) più libero e più autorevole di quanto lo fossi prima. (Tono di elogio, in riferimento al concetto di dimostrazione dei benefici che esaltano quella che è la sua qualifica di re. Il sovrano lo inserisce tra i grandi, una qualifica aristocratica.) 10. E mi fece Mobed e Giudice (Abbinamento tra una funzione giuridica e una funzione sacerdotale, si apre il rapporto tra funzione legale e la presenza di quello che è mago, sacerdote, il potere cresce ancora.) di tutto l’impero. E mi ha reso maestro dei riti/direttore e autorevole sopra il fuoco di Anahid-Ardashir e Anahida la Signora (banug), (in) Staxr (Tempio di Anahida) e mi ha chiamato ‘Kirdir salvatore dell’anima di Wahram, Mobed di Ohrmazd’. 11. E da provincia a provincia, da luogo a luogo, per tutto l’impero i riti di Ohrmazd e degli dèi divennero più importanti e la religione degli adoratori di Mazda e i Magi furono grandemente onorati nell’impero (religione si definisce con il termine denne/dhaena, dhaena è anche lo specchio dell’anima) ; e agli dèi, all’acqua, al fuoco e al bestiame venne grande soddisfazione e grande colpo e tormento ne ebbero Ahriman e i demoni, e le credenze di Ahriman e dei demoni scomparvero e vennero fatte fuori dall’impero. (A seguito di ciò, di questa diffusione, vi sono tutti dei benefici che portano alla presenza degli dei e quindi anche a delle conseguenze negative verso i demoni, i quali vengono allontanati dal regno) E gli ebrei, i buddhisti, gli indù, i nazareni, i cristiani, i battisti e i manichei vennero colpiti nel regno, e gli idoli vennero distrutti, e le dimore dei demoni danneggiate e trasformate in troni e sedi degli dèi. (Vengono allontanate religioni e fedeli che fino a quel momento avevano goduto della piena libertà). 12. E da provincia a provincia, da luogo a luogo, i riti degli dèi vennero molto incrementati e molti fuochi di Wahram vennero stabiliti e molti Magi furono resi contenti e prosperi, e molte convenzioni (relative ai) Magi e ai fuochi furono sigillate. 13. E i testamenti, gli accordi e i documenti che vennero fatti sotto Wahram, re dei re, figlio di Wahram – sopra questi è stato scritto ‘Kirdir, salvatore dell’anima di Wahram, Mobed di Ohrmazd’. 14. E io, Kirdir, sin dall’inizio/dapprima sono stato molto in sofferenza e in pena per gli dèi, i signori e la mia propria anima. E molti fuochi e Magi ho reso prosperi nell’impero dell’Eúran, di Persia e di Parthia, del Khuzestan (= Susiana), Asurestan (= Mesopotamia), Meshan (= Mesene), Nodshirigan (= Adiabene), Spahan, Kirman (= Karmania), Sagastan (= Sakastene), Gurgan (= Hyrcania), Marv, Herat, Abarshar (= Khorasan), Turestan (Tourene), Makuran, il paese di Kuπana fino a Peshawar. 15. E anche nelle terre del non-Eúr˝n (Anˇr˝n), i fuochi e i Magi che furono nel paese del non-Eúr˝n, dove arrivano # i cavalli (asp) e gli uomini (mard) del re dei re — la città di Antiochia e il paese di Siria, e ciò che è annesso al paese di Siria, la città di Tarso e il paese di Cilicia, e ciò che annesso alla provincia di Cilicia, la città di Cesarea e il paese di Cappadocia, e ciò che è annesso alla provincia di Cappadocia, fino alla terra di Graikya (= il Ponto?), e la terra di Armenia e dell’Iberia (= Georgia), l’Albània e il Balasagan fino alla Porta degli Alani — ∏˝buhr re dei re coi suoi cavalli e i suoi uomini li conquistò e fece saccheggio, incendio e devastazione. Laggiù, dietro ordine del re dei re io diedi disposizioni/organizzai per i Magi e i fuochi che erano in quelle terre, io non permisi che fossero danneggiati o saccheggiati e quelli che furono presi in bottino da qualcuno io li ripresi e li ricondussi alle loro terre. # [espressione simile a quella dell’iscrizione di Dario (DPd), che riporta uvasp˝ umartiy˝: “dai buoni cavalli”, “dai buoni uomini”. La terra di Persia (P˝rsa) che Ahura Mazda ha concesso al re Dario, è buona (naib˝), con buoni cavalli e con uomini buoni] 16. E io ho reso la fede mazdea (dˇn m˝zdˇsn) e i buoni Magi nobili e onorati nell’impero, e gli eretici (ahlom˛g) e gli uomini dannosi (gumarz˝g) che nella terra dei Magi non aderirono alla dottrina della fede mazdea e ai riti degli dèi, io li ho puniti, io li ho tormentati fino a quando non li ho resi migliori. 17. E io ho fatto molti documenti (e) convenzioni per i fuochi e i Magi e col sostegno degli dèi e del re dei re, grazie a me molti fuochi di Wahram vennero stabiliti nell’impero dell’Eúran, e molti matrimoni consanguinei (xwˇd˛dah) furono celebrati e molti uomini infedeli divennero fedeli e molti di quelli che mantenevano le dottrine dei demoni grazie a me abbandonarono le dottrine dei demoni, e si tennero molte cerimonie radpassag, e la religione venne studiata in differenti modi e anche i riti degli dèi furono molto incrementati e divennero molto importanti — (tutto ciò) non è stato scritto in questo documento poiché se fosse stato scritto sarebbe stato troppo (esteso). 18. E anche dalle mie risorse ho fondato molti fuochi di Wahram in ogni luogo e ho celebrato (yaπt) grazie alle mie risorse, da gah (periodo) a gah (periodo), *10,552 radpassag e in un anno vi furono *63,312 radpassag. 19. E nell’impero, per quanto (è stato possibile) dalle mie proprie risorse, ho eseguito molti altri riti degli dèi (di vario genere); se li avessi scritti in questo documento (namag) [ve ne sarebbero stati molti]. 20. Ma poiché, sin dall’inizio sono stato obbediente e ben disposto verso gli dèi e i signori, (allora dagli) dèi e dai signori ricevetti grande dignità e onori (e quando fui) in vita divenni eminente (“in vista” *p˝ygah) in 11 – PRESENTAZIONE DEL PROFETA MANI File “Vita e opere di Mani” - Segue una sintesi del file: - Appunti: Gnosi e Gnosticismo, ovvero conoscenza, un tipo di conoscenza pratica, non teorica, un aspetto pratico di una modalità per raggiungere questa conoscenza attraverso un modo di relazionarsi al proprio corpo attraverso il dominio, l’ascesi e un atteggiamento critico e negativo su ciò che è la corporeità. - Mani è il fondatore di un’importante religione gnostica e universale, dai forti tratti sincretistici e con una forte spinta missionaria, il manicheismo. Egli nacque nel 527 dell’era seleucide, secondo una testimonianza di al-Biruni si parla degli anni 216-217 d.C., dal confronto con varie fonti si è giunti ad un periodo ancora più preciso, il 14 aprile del 216. Il nome greco Manichaios è una trascrizione del nome di origine semitica Manihayya ovvero “Mani il vivente”, nome che denotava una qualità propria di entità divine o personalità benefiche e donatrici di energie che risanano e vivificano. - Il termine “vivente” illustra un’importante qualità della carriera spirituale di mani, ovvero il suo voler affermarsi come medico e terapeuta sia dell’anima che del corpo, attraverso guarigioni miracolose. Il titolo onorifico di “Signore Mani” era conosciuto anche dai cinesi e dai tibetani. La forma “il folle” serviva come gioco etimologico agli avversari per denunciare polemisticamente la insipienza della sua dottrina (mania “follia”); lo stesso procedimento veniva fatto per il “vaso della vita” che diveniva “vaso del male” o “vaso dell’Anticristo”. - La Mesopotamia del III secolo d.C., era famosa per essere una florida provincia dell’impero prima partico e poi sassanide; era caratterizzata da un’elevata civiltà e da uno sviluppo urbano e commerciale molto forte, la sua economia agraria e la sua società erano composti prevalentemente da guerrieri e feudali. Fu questo ambiente aristocratico, fondato sui valori identitari nazionalistici, propiziati dallo zoroastrismo e dalla casta dei Magi, a entrare in conflitto con l’universalismo di Mani e la sua dottrina ascetica (astensione dai lavori agricoli e dal matrimonio), la quale rischiava di ledere i fondamenti dell’impero. Il manicheismo valorizzava il commercio con metafore in immaginari mercantili, come il Mercante alla ricerca di merce preziosa indicava l’uomo alla ricerca di conoscenza. - La Mesopotamia era anche un centro di continui scambi di culture, religiosi, filosofie e vedeva all’interno di sé innumerevoli etnie. È qui che si diffonde il proselitismo cristiano, il giudaismo, lo zoroastrismo e il buddismo. Tutte queste componenti dottrinali andavano ad influire sulla formazione spirituale dei Mani, si parla della nascita di una dottrina in un panorama sociale variegato e dinamico, pervaso da un’ansia di ricerca metafisica e religiosa a cui non fu estraneo lo stesso padre Patteg. - Patteg nacque a Gaukhai, nella Babilonia settentrionale, da genitori di stirpe iranica, in particolare la madre era di casata nobile, cosa che rappresenterà per Mani un motivo di orgoglio sotto un profilo di rilevanza culturale, sociale e religiosa. Mani, chiamato “il Babilonese” nelle fonti arabe, rivendicherà le sue patrie origini in varie occasioni, attribuendosi le doti di discepolo riconoscente, scaturito dalla terra di Babilonia che ha sostato alla Porta della Verità. - Babilonia gode di un prestigio millenario di “porta degli dèi”, che va ad ampliarsi nel concetto di “porta della verità”, via di accesso al cielo e “porta della salvezza”. Le porte sono aperte da un salvatore che dà voce a un “grido”, lanciato da Mani per inaugurare lo slancio missionario della predicazione, a partire dall’apostolo stesso che è il primo degli “araldi” del messaggio di salvezza da diffondere nel mondo. Anche le descrizioni che ci sono rimaste di lui, negli scritti polemistici ed eresiologici degli autori cristiani, confermano nell’aspetto fisico questa duplice componente iranica e mesopotamica, come quando negli Acta Archelai si parla dell’arrivo di Mani e del suo abbigliamento: si parla di calzatura chiamata trisolium, di un mantello variopinto, di un bastone molto resistente di legno d’ebano, di un libro babilonese tenuto sotto al braccio, di braghe dai colori diversi uno rosso e uno verde, che dava nel complesso l’aspetto di un mago o di un comandante persiano. - A causa del suo aspetto, Mani somigliava al sacerdote del dio Mithra, la sua descrizione coglie mirabilmente e icasticamente la sua duplice appartenenza etnica e culturale, iranica e mesopotamica, e rivela anche un particolare di grande importanza nella produttività culturale e artistica, e nell’attività missionaria del manicheismo: il libro. Il suo epiteto di “apostolo” compare anche in una iscrizione siriaca incisa in un cristallo di rocca, dove comprare un presunto profilo di Mani al centro di un trittico di figure: ha un copricapo e una benda, capelli fluenti e una lunga barba divisa in due. In un’altra raffigurazione proveniente da un piatto di rame ha tratti estremo-orientali con lunghi capelli e l’iscrizione “viso dell’Apostolo della Luce”. Un’altra probabile immagine è in una pittura muraria, in cui riflette tratti più cinesi con barba, baffi, un copricapo decorato e un’aureola formata da una crescente lunare. - Secondo le fonti arabe si dice che sia stato zoppo, si pensa a una doppia interpretazione: epitelio di condanna e sconfessione dell’avversario religioso in cui la deformità fisica denomina l’antagonista eretico, oppure come segno fisico di alterità e di asimmetria rispetto alle persone normali e perciò qualità di personalità eccezionali. - Tutto ciò potrebbe corrispondere a un lato della personalità di Mani inerente alle sue facoltà di sapiente e terapeuta, in grado di esercitare poteri miracolosi che favorivano la conversione delle persone da lui incontrate. Si parla della conversione del re di Turan, convinto dalla levitazione di Mani, oppure di quella del sovrano della Mesenia, convinto dalla visione del Paradiso della luce che lo portò allo svenimento e il suo risveglio fu attribuito a Mani. Mani perciò si manifesta in guarigioni ed è perciò definito un “medico”, un terapeuta sia del corpo che dell’anima, ferita e imprigionata nel mondo della Materia, perciò le sue guarigioni saranno un veicolo di conversione, e giustificazione del suo epiteto di “vivente”. Questi poteri terapeutici saranno però anche la sua condanna, verrà accusato più volte di imperizia nella guerra, nella caccia, di essere un medico inefficace. Il possesso di questi poteri faceva parte di un insieme di facoltà spirituali acquisite in esperienze mistiche ed estatiche di visioni e rivelazioni, per tramite di entità angeliche e quell’angelo “gemello”. - La prima rivelazione avvenne a 12 anni, ed è da essa che inizia la propria ricerca di conoscenza interiore. Quando si parla del gemello angelico di Mani, ci si riferisce al suo doppio spirituale avente su di egli funzioni protettive e gli rivela i misteri nascosti della conoscenza superiore/divina (gnosi), si parla di una gnosi che sia riconoscimento e consapevolezza della condizione umana, a cui segue una disciplina di ascesi fisica e psichica al fine di attuare quella separazione dei due principi di Luce/Saggezza contro Tenebre/Stupidità. - La vicenda mitica dei “due principi>” si articola in “tre tempi” che prevedono: una fase in cui Bene e Male sono separati, una seconda in cui a seguito dell’attacco della Materia i due principi si trovano mescolati, e una terza proiettata nel futuro dell’apocatastasi finale, quando il male sarà sconfitto e si realizzerà una nuova separazione. Questo schema è la base del mito cosmologico ed escatologico del sistema dualista di Mani, un dualismo radicale assoluto che riguarda mito, metafisica, antropologia e etica: il dramma della Luce imprigionata nella Materia è lo stesso che vive il devoto manicheo, la propria esistenza illuminata dalla gnosi e dal Nous redimono a sua anima. - L’ambiente delle origini e della prima formazione dottrinale di Mani era pervaso da molteplici influssi cristiani e gnostici e da figure di maestri diversi. Mani fu influenzato: o Da Marcione su alcuni aspetti di avversione verso l’Antico Testamento; o Dalle apocalissi apocrife di impronta gnostica, dai Vangeli, dalle Epistole e dagli Atti per quanto riguarda la formazione spirituale; o Da Bardesane, sulle concezioni dei due principi di Luce e Tenebra e dalla loro mescolanza, l’uso della musica come mezzo di elevazione dell’anima, la conoscenza della dottrina zoroastriana, la componente buddhista; - Ciò che differenzia maggiormente l’insegnamento di Mani dalle varie forme di ascesi gnostica e di proselitismo è la sua vocazione profetica e apostolica. Inoltre, all’età di ventiquattro anni, il suo angelo gemello decreta la sua vocazione missionaria, spingendolo a separarsi dalla comunità elchasaita per iniziare un’attività missionaria che durerà oltre trentacinque anni, radunando fedeli e promuovendo missioni. Egli partì dall’India proseguendo poi lungo le provincie dell’Impero, della Persia, della Media, della Partia, di Adiabene, di babilonia, della Mesene e della Susiana, sino all’Egitto e alla Siria, riuscendo a compiere importanti conversioni sia a Occidente che in Oriente. Nella sua spinta missionaria conseguente al “grido” della proclamazione delle parole di salvezza rivolte all’umanità, Mani si propose di far confluire in sé stesso una catena di redentori (da Abrano fino a Gesù, passando da Noè, Zoroastro e Buddha) avente come fine lui stesso, rendendolo il “Sigillo dei Profeti”. Il suo compito era quello di perfezionare e ultimare le religioni che lo avevano preceduto, il cui insegnamento era incompleto e imperfetto. - Mani divenne noto anche nell’ambiente centro-asiatico in modi e espressioni diverse: “Dio-Messia”, “Mani il Buddha di Luce”, “Onnisciente Re della legge”, ma oltre queste espressioni positive, in alcuni casi egli viene affiancato a un bugiardo, come nel caso dei testi tibetani che lo apostrofano come “il bugiardo persiano Mar Ma-ne”, viene accusato di dissimulare il suo messaggio in veste buddhista, unendo varie dottrine tra di loro per creare la propria. In realtà fu proprio questa sua abilità a diffondere con così tanta facilità la sua dottrina, egli fu in grado di armonizzare tra di loro saggezza e azioni, sapienza e abilità, attraverso “abili mezzi” in grado di adeguarsi con le diverse realtà geografiche, sociali e culturali. La sua abile strategia di propagazione e di consenso fu ottimista e propositiva, volta ad evitare atteggiamenti “radicali”, cercava l’appoggio dei governanti e delle case reali sassanidi, il suo frequentare le istituzioni feudali e regali si rifletteva nel suo immaginario religioso. - Mani morì il 27 febbraio 277, a 60 anni, per le sofferenze patite in carcere. Questa morte è narrata in un racconto che intreccia immagini regali e guerriere e che diverrà il modello per ogni sorte ultraterrena dei devoti fedeli del suo insegnamento: l’Apostolo ascende in cielo in una apoteosi di luce e di gloria, fino a giungere al Padre. La predicazione di Mani fu rivolta strategicamente all’ambiente reali, come dimostrano i racconti di conversioni celebri o le sue perplessità agli inizi della sua predicazione. Il suo primo libro fu infatti dedicato al suo protettore, il re dei re Shabuhr, scritto in medio-persiano e di contenuto cosmologico, profetologico e apocalittico. Oltre a questa opera Mani ne scrisse altre otto: o Il Vangelo Vivente, ripropone i 4 vangeli e le Epistole di Paolo, spiegando l’intento della sua missione; o Il Tesoro di Vita, opera teologica e apologetica; o I Misteri; o La Pragmateia, una raccolta della mitologia manichea; o L’Immagine, raccolta di dipinti che raffigurano la dottrina; o I Giganti, ispirato al Libro dei Giganti con rielaborazioni apocalittiche; o Le Lettere, importanti documenti di tipo organizzativo e missionario; o I Salmi; o Le Preghiere. - Un altro segno del suo messaggio universale è sottolineato dalla versatilità della competenza linguistica, si parla di diffusione attraverso diverse e molte lingue e scritture, e perfino della creazione di un alfabeto semplificato di stampo siriaco orientale, al fine di favorire una maggiore comprensione ed esecuzione sempre con il fine di trasmissione della dottrina. Si parla anche di “interprete della religione” in riferimento a questa versatilità e continua traducibilità del suo nuovo vangelo. - Il libro è considerato il mezzo sicuro per trasmettere la veridicità dell’insegnamento spirituale, in riferimento ad esso si parla di un’altra personalità di Mani, quella artistica, si parla di veicolazione del messaggio attraverso un’estetica adeguata che rendeva più incisiva e eloquenti i racconti affiancati a raffigurazioni che illustravano la sua mitologia barocca e impressionista. I manoscritti manichei erano perciò composti da illustrazioni, da scritture colorate, da raffinate miniature, da decorazioni e ornamenti floreali, tutto a sottolineare la grandezza di Mani anche come calligrafo e pittore. File “Alessandro di Licopoli” - Segue una sintesi dell’esposizione di Alessandro di Licopoli, intitolata “Contro le dottrine di Mani”. 1. Mani pone come principi Dio e la Materia, in cui Dio è il bene e la Materia è il male, Dio è superiore nel bene più i quanto la Materia lo sia nel male. Mani intende come materia non ciò che intende Platone, ovvero “colei che tutto coglie”, “madre” e “nutrice”, e nemmeno ciò che intende Aristotele, ovvero l’elemento verso cui si rapportano la forma e la privazione; per Mani la materia è ciò che è in ciascuno degli esseri viventi, ovvero il “movimento disordinato”. Dalla parte di Dio sono schierata delle potenze buone, quali lo splendore, la luce e l’altezza, accompagnati da impulsi positivi; dalla parte della Materia sono schierate potenze cattive, quali l’oscurità, la tenebra e il basso, accompagnati da impulsi negativi. 2. Una volta la Materia ebbe il desiderio di giungere verso il luogo elevato, e una volta giunto lì si meravigliò dello splendore di Dio e volle impadronirsi di quel regno escludendo Dio. Dio, volendolo punire, si trovò in difficoltà, in quanto nella sua casa non vi era del male. Inviò allora verso la Materia una potenza “anima” che si mescolò completamente a questa. La vera morte della Materia avverrà quando vi sarà la sua separazione da questa potenza. Infatti, per la provvidenza di Dio l’anima si mescolò alla Materia e nella mescolanza subì le stesse afflizioni della Materia, l’anima si è degradata a causa dell’aver partecipato al male. 3. Per questo motivo Dio ebbe compassione e inviò un’altra potenza chiamata “Demiurgo, la quale quando sopraggiunse separò dalla Materia quella parte della potenza che non aveva sofferto della mescolanza in un modo contrario alla sua natura. Da quella vennero creati il Sole e la Luna, la parte che era parzialmente nel male fece nascere le stelle e la volta celeste, la parte da cui vennero separati il Sole e la Luna fu allontanata dal mondo: essa è un fuoco che da una parte brucia e dall’altra è senza luce. Gli altri elementi, le piante e gli animali nacquero attraverso una mescolanza diseguale della potenza divina. Ecco il motivo per cui è stato generato il mondo. religiosi scritti nella lingua medio-iranica pahlavi che è il medio-persiano dei libri zoroastriani. I testi sono tratti dal catechismo zoroastriano (I testo), dal libro della creazione primordiale, Bundahishn (II testo), dallo Shkand Gumanig Wizar (III testo), dal Denkard e dal Menog i Xrad. TESTO 1: Dal libro Un catechismo (Consigli scelti dagli antichi saggi). - Secondo gli antichi saggi nel momento in cui si raggiungono i quindi anni, ogni uomo e ogni donna deve saper rispondere alle seguenti domande: Chi sono? A chi appartengo? Da dove sono venuto? Dove ritorno? Qual è il mio ceppo e la mia stirpe? Qual è la mia funzione e il dovere sulla terra? Qual è la mia ricompensa nel mondo a venire? Sono venuto dal mondo invisibile? O sono stato sempre di questo mondo? Appartengo a Ohrmazd o ad Ahriman? Appartengo agli dei o ai demoni? Appartengo al bene o a ciò che è malvagio? Sono un uomo o un demone? Quante sono le strade per la salvezza? Qual è la mia religione? Dov’è il mio profitto e dove la mia perdita? Chi è mio amico e chi è mio nemico? Vi è un solo principio o ve ne sono due? Da chi proviene la bontà e da chi il male? Da chi viene la luce e di chi l’oscurità? Da chi viene la fragranza e da chi il fetore? Da chi proviene l’ordine e da chi il disordine? Da chi viene la misericordia e da chi la spietatezza? Appunti: si tratta di un libro rivolto agli adolescenti, ai ragazzi e ragazzi intorno ai 15 anni. Nella prima parte troviamo una serie di domande, poste come incipit della seconda parte dell’opera in cui troviamo le risposte ad esse. Siamo quindi di fronte a degli interrogativi retorici, creati per dare un senso iniziale all’opera ma avente come fine quello di fornire risposte dirette ad esse. Spiegazione del testo, parte prima: secondo gli antichi saggi, gli uomini e le donne giunti ai 15 anni devono conoscere le risposte a delle domande ben precise (elencate nella prima parte dell’opera), sono domande di escatologia, domande di natura profonda, sulla salvezza, sulla propria strada, sulla realtà della propria vita. Il dubbio come esitazione è qualcosa di altamente negativo, l’incertezza è contro la fede e la ragione, perciò qualcosa che va eliminato dal pensiero dell’uomo, il quale deve perseguire l’innalzamento del proprio intelletto. Da qui gli appunti sono in corsivo. - Possiamo dividere in vari punti le risposte che possono essere date a queste domane: 2. È la fede che ricerca le cause e che agendo come mediatrice per mezzo della religione procede oltre di esse. Sono venuto dal mondo invisibile, sono stato creato e perciò non sono sempre stato. Appartengo a Ohrmazd e non ad Ahriman, appartengo agli dei e non ai demoni, al bene e non alla malignità. Il mio ceppo e la mia stirpe discendono da Gayomart, mia madre è la Terra, Spandarmat, e mio padre è Ohrmazd. La mia umanità deriva da Mahre e Mahrane che furono il primo seme e la prima progenie di Gayomart. (Gayomart è l’antenato primordiale che dividendosi in due da vita alla progenie umana) 3. Compiere la mia funzione e fare il mio dovere significa che devo credere che Ohrmazd era, è e sempre sarà, che il suo regno è imperituro, e che egli è infinito e puro; e che Ahriman non è, ed è indistruttibile; che io stesso appartengo a Ohrmazd e ai suoi benefici immortali e che non ho rapporto con Ahriman, i demoni e i loro associati. 4. Il mio primo dovere sulla terra è quello di confessare la Religione, di praticarla, di partecipare al suo culto e di restare saldo ad essa. Devo conservare la fede della Buona Religione degli adoratori di Ohrmazd sempre nella mia mente, e distinguere il profitto dalla perdita, il peccato dalle buone azioni, la bontà dal male, la luce dall’oscurità e il culto di Ohrmazd dal culto dei demoni. (Nonostante la fede, ci si trova in questa attitudine di distinguere, un’attitudine del pensiero che si affianca alla fede, la scelta è alla base delle possibilità dell’uomo) 5. Il mio secondo dovere è di prendere moglie e procreare prole terrena, di essere energico e saldo in questo. (Procreare e incrementare la vita, agli opposti dei Manichei che considerano la procreazione come un imprigionamento in un vero e proprio cadavere) 6. Il mio terzo dovere è di dissodare e coltivare il suolo. 7. Il quarto dovere è di trattare rettamente tutto il bestiame. 8. Il quinto di passare un terzo dei miei giorni e delle mie notti nella frequentazione del seminario e consultando la sapienza dei santi, un altro terzo dei miei giorni e delle mie notti nella coltivazione del suolo e nel renderlo fertile, e trascorrere il rimanente terzo dei miei gionri e delle mie notti per mangiare, riposare e godere. (Doveri materiali e non al fine di sostenere la vita, la proliferazione e andare così contro il male, la sterilità, la morte) 9. Non devo aver dubbi che il profitto nasce dalle buone opere, e la perdita dal peccato, che il mio amico è Ohrmazd e il mio nemico Ahriman e che esiste una sola via religiosa. 10. Questa unica via è quella dei buoni pensieri, delle buone parole, delle buone azioni, del Cielo, della luce, della purezza, del Creatore infinito Ohrmazd. (Ohrmazd che fu sempre e sempre sarà. Sottolinea l’infinità di questa divinità, qualcosa che c’è ora e continuerà ad esistere grazie alla sua caratteristica di infinito) 11. C’è anche un’altra via dei cattivi pensieri, delle cattive parole, delle cattive azioni, dell’oscurità, della finitezza, dell’estrema indigenza, della morte e della malvagità che appartiene allo Spirito distruttore Ahriman, che un tempo non faceva parte di questa creazione e in futuro sarà distrutto. (Alla fine dei tempi vi sarà la sconfitta del male, ottimismo zoroastriano) 12. Non devo avere dubbi dell’esistenza dei due primi principi, uno il Creatore e l’altro il Distruttore. (Due spiriti contrapposti, due spiriti primordiali Spenta e Angra manor) 13. Il Creatore è Ohrmazd il quale è tutta bontà e tutta luce. 14. Il Distruttore è Ahriman, che è tutta malvagità e pieno di morte, un mentitore e ingannatore. 15. Non devo avere dubbi che tutti gli uomini sono mortali eccetto solo Soshyans (il salvatore) e i sette re che lo aiutano. 16. Non devo dubitare che l’anima verrà separata dal corpo e il corpo sarà dissolto. Non posso avere dubbi sul giudizio delle tre notti, la resurrezione dei morti e il corpo finale, l’attraversamento del Ponte del Ricompensatore e la venuta di Soshyans. (Si legge Saoscian) 17. Devo osservare la legge della lealtà e la Religione degli antichi, restare sulla rettitudine nei pensieri e sulla verità nella lingua e le mie mani devono fare ciò che è buono. 18. Con tutti gli uomini devo osservare la legge della lealtà. 19. Devo avere pace e concordia in tutte le azioni che faccio. 20. Devo occuparmi del bene e seguire la giustizia e i precetti della Buona Religione. 21. Con chiunque mi trovi devo agire in comune virtù e rettitudine. 22. Le buone azioni compiete in nome della Legge hanno un valore più alto di quelle eseguite per propria scelta, e assicurano la salvezza. 23. Dichiaro che ho ricevuto la Buona religione dagli adoratori di Ohrmazd e che non ho dubbi su di essa né per il confronto corporeo o spirituale. 24. È chiaro che tra i pensieri, le parole e le azioni soltanto le azioni sono il criterio. 25. Questo perché la volontà è instabile, il pensiero impercettibile, ma le azioni sono percettibili. 26. Per le azioni che gli uomini fanno. 27. Nel corpo dell’Uomo sono state poste tre strade, su queste tre strade tre dei hanno dimore e tre demoni sono in agguato. Nel pensiero è la dimora della Buona mente e l’ira sta in agguato. Nelle parole è la dimora della Sapienza e l’Eresia sta in agguato. Nelle azioni è la dimora dello Spirito Benefico e lo Spirito Distruttore sta in agguato. 28. Se queste tre strade l’uomo deve stare saldo, non può abbandonare a sua ricompensa celeste per amore dei beni terreni, della ricchezza o del desiderio. 29. L’uomo che non sorveglia questi tre demoni vive di azioni, pensieri e parole malvage. 30. Io devo essere riconoscente e con riconoscenza devo dare gratitudine in quanto è in mio potere che la mia anima non vada all’Inferno. 31. Poiché quando un uomo passa dai lombi di suo padre nell’utero di sua madre, allo Astvihat, (colui che scoglie le Ossa e demone della morte) segretamente getta un laccio intorno al suo collo che per tutta la durata della sua vita non può essere scrollato via, né con il potere di uno spirito buono né con uno di spirito malvagio. 32. Dopo che egli è morto, il laccio cade via dall’omo che è salvato per le buone azioni, mentre chi ha compito azioni malvage è trascinato all’inferno dal laccio stesso. 33. Chiunque è nel mondo deve eseguire il rito un certo numero di volte e deve sapere quali peccati egli è esposto a commettere con la mano o il piede a meno che egli sia sordo o muto: in quel caso egli non può essere ritenuto colpevole. 34. I padri e le madri debbono insegnare ai loro figli tutto ciò che riguarda le buone opere prima che essi raggiungano il loro quindicesimo anno. Se hanno insegnato loro tutto questo sulle buone opere, i genitori possono attribuirsi il merito per ogni buona azione compiuta dal figlio, ma se il figlio non è stato adeguatamente istruito, allora i genitori sono responsabili per ogni peccato che egli può commettere prima di raggiungere la maggiore età. 35. Sii ben disposto alle buone opere e non aver alcuna parte del peccato. Sii grato per le cose buone, contento nell’avversità, paziente nell’afflizione, sollecito nell’esecuzione del tuo dovere. 36. Pentiti di tutti i tuoi peccati e fa in modo che nessun peccato che comporta una punizione rimanga inconfessato anche per un solo momento. 37. Vinci i dubbi e i desideri malvagi con la ragione. 38. Vinci la concupiscenza con l’allegrezza, la collera con la serenità, l’invidia con la benevolenza, l’indigenza con l’accortezza, la contesa con la pace, la falsità con la verità. 39. Sappi che il cielo è il luogo migliore, che il Regno dello spirito è il più piacevole, Che le Maggioni del cielo sono le più luminose, che il paradiso è una casa risplendente, E il compiere le buone azioni reca grande speranza del corpo finale che non perisce. 40. Per quanto è il tuo potere, non aver rispetto per gli uomini malvagi, poiché encomiando ciò che è sbagliato il male entra nel tuo corpo e il bene ne viene spinto via. 41. Sii diligente nell'acquisizione del sapere poichè il sapere è il seme della conoscenza, e il frutto è la Sapienza e la Sapienza governa ambedue i mondi. 42. A tale riguardo è stato detto che il sapere è un ornamento nella prosperità, una protezione nei tempi duri, un soccorritore sincero nell’afflizione e una guida nello sconforto. 43. Non ti prendere mai gioco di alcuno, poiché l'uomo che beffeggia sarà egli stesso beffeggiato, perderà la sua dignità e verrà esecrato, e molto raramente egli avrà un figlio onesto o virile. 44. Ricerca ogni giorno la compagnia di uomini buoni per chiedere il loro consiglio, poiché colui che abitualmente ricerca la compagnia di uomini buoni sarà benedetto con una parte più grande di virtù e sanità. 45. Recati tre volte al giorno al tempio del fuoco e Rendi omaggio al fuoco, poiché colui che abitualmente si reca al tempio del fuoco e rende omaggio al fuoco sarà benedetto con una parte maggiore sia di ricchezze terrene sia di sanità. 46. Abbi grande cura di non affliggere mai tuo padre e tua madre o il tuo superiore, affinché tu non divenga malfamato e la tua anima vada alla dannazione. 47. Sappi che di tutte le innumerevoli avversità che lo spirito distruttore escogitò, queste tre sono le più terribili: l'ostruzione della vista dell'occhio, la sordità dell'orecchio e la menzogna di discordia. 48. È stato rivelato che per questa ragione il sole invia il suo comando agli uomini sulla terra tre volte al giorno. 49. All'Alba comanda gli uomini di essere diligenti nel compiere le buone opere. 50. A mezzodì comanda di essere diligente nel cercare una moglie e nella procreazione dei figli, oltre che negli altri doveri. 51. Alla sera dice di pentirsi dei peccati che si sono commessi affinché egli possa avere compassione di lui. 52. In questo modo materiale non pensare, dire, o fare ciò che è errato nel pensiero, nella parola o nell’azione. 53. Aiutato dalla potenza degli dei e mediante la Sapienza e la consultazione della religione, si vigile e alacre e tieni a mente che, poiché il valore delle buone opere è immenso e senza limiti, lo spirito distruttore combatte con tutte le sue forze per celare questa verità e indurti all'indigenza. 54. Alla fine di questo millennio, tutte le creature saranno distrutte, coloro che rompono i contratti e che si sono schierati dalla parte dei demoni contro la religione spadroneggeranno, e quando in tutta la lunghezza e l'estensione della terra che riconosce la legge di Ohrmazd tutte le creature scompariranno a causa dei malvagi tiranni. 55. Il corpo è mortale, ma l'anima è immortale. Compi buone opere, poiché l'anima e reale, non il corpo, il mondo a venire è reale, non questo mondo. 56. Non abbandonare la cura dell'anima e non dimenticarla per amor del corpo. 57. Per rispetto delle persone, che tutti beni di questo mondo debbono perire, non bramare alcunché che procuri punizione al tuo corpo e castigo alla tua anima. 58. Il buon operare è figlio dello zelo, lo zelo della preghiera, la preghiera del desiderio, il desiderio dell'intelletto, l’intelletto della conoscenza e la conoscenza è arma che era ed è e sarà. Mediante lei si conosce colui che crea di nuovo tutte le cose, che insegna tutte le cose, che ordina tutto ciò che deve essere fatto, che vuole il bene di tutti in questo mondo e in quello avvenire. Testo 2: Dal libro I due spiriti primordiali e la creazione, segue un riassunto del testo. Spiegazione: Ohrmazd dimorò nella luce per un tempo infinito, la così detta Luce infinita, mentre Ahriman era immerso nell’oscurità, la così detta Oscurità infinita. (Corrispondenza con l’aspetto escatologico del paradiso e degli inferi). Tra di esse vi è il vuoto con una sorta di barriera che delimita queste due estremità senza farle toccare tra di loro. Ohrmazd nella sua finale risoluzione e nella sconfitta del male acquisirà la completa infinità, in quanto ora è bloccata dall’oscurità di Ahriman, per questo motivo Dio non ha colpe per ciò che attua lo spirito negativo di Ahriman, le sue azioni sono delle contaminazioni al bene. Ohrmazd sa e sorelle tutte e 7 sue sposte, le quali scoprendolo se ne addolorarono talmente tanto che decisero di giungere all’assemblea a di chiedere che fosse evitato il viaggio del fratello. I mazdei rassicurano le 7 sorelle dicendogli che in 7 giorni avrebbero consegnato Wiraz in salute e che il suo nome sarebbe divenuto un none di fama. A questo punto Wiraz sacrifica alle anime dei defunti, mangia del cibo e fa testamento, si lava il capo e il corpo, indossa vestiti nuovi, si profuma, stende un lenzuolo nuovo, ricorda le anime e mangia cibo, infine beve da tre coppe d’oro il vino, dalla coppa per i buoni pensieri, dalla coppa delle buone parole e dalla coppa delle buone azioni. Beve e ancora cosciente pronuncia il waz e si addormenta. Per sette giorni i magi e le sorelle recitarono preghiere e l’Avesta intorno al lenzuolo, senza mai lasciarlo senza guardia. L’anima andò via dal corpo e tornò sette giorni dopo. 14 – MOVIMENTO MAZDAKITA File “Il movimento mazdakita” - Mazdak portatore della rivolta condotta sull’uguaglianza e il sostentamento, impeto di rivolta sociale e legittimato da un punto di vista religioso, il “comunismo mazdeo”. - Segue una trascrizione del testo. Il movimento legato al nome di Mazdak ha attirato numerosissimi ricercatori. I seguaci di Mazdak furono prevalentemente i poveri e i nullatenenti che avevano attirati nei propri confronti un grandissimo odio da parte delle classi abbienti. Segue uno studio sui momenti fondamentali del movimento mazdakita e dei suoi legami con i successivi movimenti contadini. - Il movimento sociale diffusosi in Iran tra V-VI secolo d.C. è legato al nome di Mazdak. Tuttavia, l’insegnamento di cui Mazdak diventò propagatore si formò molto prima di lui. Le fonti ritengono fondatore di questa dottrina Zaràdust o Zaratustra. Così, una delle fonti, al-Tabarl, chiama Zaràdust il capostipite ideologico dei mazdakiti, mentre Mazdak sarebbe stato soltanto un discepolo di Zaràdust. Già Nòldeke giunse alla conclusione che non c’è ragione di considerare Zaràdust un personaggio inventato e che egli è un personaggio storico, figlio di Hurragàn da Fasà. È di fondamentale importanza che le fonti cronologicamente più vicine al movimento giustifichino questo punto di vista. Così la cronaca in siriaco di Giosuè Stilita, contemporanea al movimento mazdakita, parla dei “costumi folli” di Kawàd e del fatto che “rinnovò” la riprovevole eresia dei magi, chiamata zardustagàn. - Se per l’autore della cronaca l’eresia al tempo di Mazdak fu solo rinnovata, ciò evidentemente implica che sia sorta in un periodo precedente. Notizie interessanti sono riportate dalla cronaca siriaca della città di Karkà de Bét Selok, uno dei centri della provincia iranica Bèt Garmay, compilata nel VI secolo. Secondo le sue notizie il siriano Akbalah sfruttò la fiducia dello sàh ed ebbe alla corte sasanide un ruolo di primo piano. Grazie alla sua influenza ebbe modo di contrastare la diffusione del l’insegnamento “dei due nemici Mani e Zaràdust” che vissero al tempo di questo “glorioso”. L’anno di morte di Mani è noto: fu giustiziato a Gundèsàbuhr nel 276. La stessa cronaca avvicina anche ideologicamente il manicheismo ed il mazdakismo. L’insegnamento di Zaràdust, dice il suo autore “a volte apertamente, a volte di nascosto, sopravvisse assieme alla radice amara di Mani fino ai tempi di Xusraw”. Da ciò segue che l’insegnamento di Zaràdust fu legato al manicheismo e che particolari condizioni alla fine del V secolo favorirono una sua ampia diffusione. Il carattere sociale ben marcato del mazdakismo influì in considerevole misura anche sulla posizione del manicheismo che fu oggetto di aperta persecuzione sia in Iran sia a Bisanzio. - Anche la storiografia bizantina collega strettamente il mazdakismo al manicheismo. La Cronographia di Teofane chiama insistentemente i mazdakiti manichei. Questa contusione dei nomi non può essere spiegata solo col fatto che Zaràdust fu un contemporaneo di Mani. I presupposti filosofici di queste correnti avevano molto in comune come mostrano sia le fonti greche sia le fonti orientali. Il carattere dualistico dei loro insegnamenti risaliva attraverso le sue radici all’antico gnosticismo ed allo zoroastrismo. Le nostre notìzie sull’essenza dell’insegnamento mazdakita e sulle sue basi religiose e filosofiche sono molto limitate. - Giovanni Malalas, cronografo del VI secolo, riferisce: “Sotto questo imperatore (Diocleziano, 245-313) comparve un manicheo nella città di Roma, di nome Bundos, il quale abbandonò il dogma dei manichei e ne introdusse uno suo ed insegnò che il dio buono combatte una guerra con quello malvagio e lo vincerà e questa vittoria sarà positiva. Si allontanò e predicò in Persia dove il dogma manicheo per i Persiani nella loro lingua viene detto (dogma) dei daristhenoi, che si traduce come (dogma) del dio del bene”. - Christensen ha fornito un ottimo commento a questo testo dimostrando che Bundos significa “venerabile”, “rispettabile” e che qui si parla dello stesso Zaràtust o Zaràdust. In pahlavi il nome della setta dei daristhenoi di Bundos-Zaràdust, riportato da Malalas, eterist-dènàn significa “quelli che praticano la vera fede”. Sulla base di una delle poche fonti che trattano l’aspetto religioso e filosofico dell’insegnamento mazdakita, lo scrittore arabo al-Sahrastànl (morto nel 1153), si può ugualmente parlare di vicinanza dell’eresia mazdakita al manicheismo. Lo zoroastriano al-Warràq, le cui informazioni furono utilizzate da al-Sahrastànl, indica che i mazdakiti su molte questioni sono concordi coi seguaci di Mani, con la differenza che Mazdak sosteneva che il principio luminoso agisce secondo intenzione, liberamente, con coscienza, mentre la tenebra è capace di agire solo ciecamente, senza coscienza e senza un piano premeditato. Dal momento che l’unione del bene e del male è casuale, è casuale anche la liberazione dall’oppressione del male; in natura esistono tre elementi: acqua, fuoco e terra la cui unione ha comportato sia fenomeni positivi, sia negativi. Secondo Mazdak ragione dell’odio e della lotta fra gli uomini sono principalmente le donne e la proprietà. Per questo riteneva giusto che gli uomini avessero la possibilità di utilizzare la proprietà allo stesso modo di acqua, fuoco e terra, cioè che la proprietà fosse un bene comune. - In tal modo l’insegnamento di Zaràdust, predecessore di Mazdak, era un insegnamento imparentato col manicheismo. L’insegnamento filosofico dei mazdakiti riconosceva, tuttavia, la vittoria finale del bene. - Questa premessa filosofica serviva da base per il tentativo di cambiare il mondo, di realizzare alcuni principi positivi, favorire la vittoria del bene. Su questa base erano possibili anche quelle conclusioni di carattere sociale che furono adottate dai seguaci di questo insegnamento già nel V secolo, quando esso era legato al nome di Mazdak, figlio di Bàmdàd. In qualità di “profeta presso la povera gente” quest’ultimo portava avanti una questione sociale e per questo si spiega il successo singolare della sua predicazione. Il mazdakismo proprio per questo si differenzia principalmente dal manicheismo. Non fu semplicemente una dottrina filosofica, ma ebbe un carattere d’azione e pratico, si sforzò di realizzare i suoi ideali nella vita. Se le radici del mazdakismo vanno ricercate nel III secolo, la sua ampia diffusione risale alla fine del V secolo. - Una profonda e duratura influenza del mazdakismo sui movimenti musulmani è indubbia, ma questa influenza e la fusione dell’insegnamento di Mazdak coi successivi insegnamenti delle sette musulmane rendono molto difficile l’analisi delle fonti tarde sul mazdakismo. - Mazdak secondo la tradizione persiana tarda “apparteneva alla classe sacerdotale ed era un mago”. La predicazione di Mazdak che aveva un carattere religioso sollevava una serie di questioni pratiche di carattere sociale. Mazdak riteneva la comunanza dei beni una devozione gradita da dio e degna del più alto onore. Atto di devozione era secondo la sua opinione l’uso comune di tutti i beni, l’utilizzo di ogni cosa in comune. Dio ha dato i suoi doni agli uomini perché li dividessero fra di loro in modo uguale, ma essi hanno iniziato a compiere ingiustizie gli uni nei confronti degli altri. Per questo motivo Mazdak riteneva giusto prendere ai ricchi e dare ai poveri, per restituire loro ciò che loro apparteneva. Coloro che hanno molto denaro ed altre proprietà non hanno più diritto su di esse di coloro ai quali tutto questo non appartiene. Queste affermazioni dell’insegnamento di Mazdak dovevano fare presa sulle masse popolari la cui situazione era molto difficile alla fine del V secolo. Dichiarando spargimento di sangue ogni uccisione, proibendo anche l’uccisione degli animali, l’insegnamento dei mazdakiti permetteva lo spargimento di sangue nella guerra col male, nelle rivolte. II. - Il movimento sociale alla fine del V secolo. Sotto lo sàh Péròz sulla condizione delle masse popolari influirono, in modo particolarmente negativo, calamità naturali e cattive annate, ma anche la tensione continua per la guerra coi nemici esterni. Péròz si sforzò di alleviare la situazione del popolo, diminuì le imposte e prestò aiuto con la distribuzione di denaro dell’erario. Secondo altre fonti, chiese di aiutarsi a vicenda e pretese che i ricchi aiutassero i poveri con i loro mezzi, mostrando ogni forma di preoccupazione per il popolo. - Sotto Walaxs, fratello di Péròz, salito al trono nel 484, la situazione non solo non migliorò ma addirittura peggiorò. C’era poco denaro nelle casse dello stato ed era difficile fare prelievi fiscali. I proprietari terrieri impoveriti, rovinati e ridotti in miseria abbandonavano le loro residenze. Non si può non suppone che la situazione difficile facesse comparire malcontento e forse anche azioni attive da collegare alla propaganda mazdakita. In ogni caso Walaxs fu costretto a prendere alcuni provvedimenti contro i “signori della terra”, ovvero i medi proprietari terrieri, a favore dei contadini. Walaxs cercava di richiamare al senso di responsabilità quei proprietari sulle cui terre i coltivatori diretti erano giunti ad una tale rovina da abbandonare la terra e la casa. Ma anche per questi deboli tentativi di essere liberale lo sàh fu costretto a pagare. La classe sacerdotale e la nobiltà deluse, con l’appoggio dell’esercito al quale Walaxs non era in grado di dare lo stipendio nella misura stabilita, lo fecero cadere ed accecare. Nel 488 sul trono salì il figlio di Péròz, Kawàd, sotto il cui regno il movimento mazdakita raggiunse l’apogeo. - Le fonti non ci informano su come si sviluppò il movimento mazdakita. È difficile seguire la sua storia in tutti i dettagli nel corso del V secolo, ma i fatti salienti possono essere delineati con una certa probabilità. - Nello sviluppo del movimento mazdakita svolsero un ruolo primario due attori. Lo sàh Kawàd e l’ispiratore del movimento, Mazdak. - Kawàd, una delle figure più interessanti del suo tempo, fu un politico intelligente e raffinato, capace di orientarsi rapidamente in ogni circostanza, un combattente coraggioso e un abile diplomatico. Per due volte fu sàh. Divenendo sàh per la seconda volta, in un difficile momento politico, riuscì a mantenere la sua posizione e a risollevare lo stato a livello di potenza mondiale, sul quale lo mantenne suo figlio Xusraw. La perspicacia politica fù acquisita da Kawàd nel corso degli anni. In gioventù non riuscì a valutare tutte le conseguenze del suo legame coi mazdakiti, nel quale il calcolo politico aveva un ruolo fondamentale, ed in conseguenza di ciò perse il trono (496 d.C.). Perseguitato dal clero e dalla nobiltà non divenne una marionetta in mano loro, ma fuggì dove poteva contare su una qualche forma di appoggio, presso il re degli Eftaliti, dove era stato lasciato da Pèròz come ostaggio ed era vissuto in gioventù. Qui occupò una posizione di rilievo sposandosi con la figlia del re e convinse suo suocero “piangendo innanzi a lui tutti i giorni” ad affidargli un esercito col quale riprendersi il regno. Aveva una personalità dominante e riuscì a riconquistare il trono senza particolari spargimenti di sangue (499 d.C.). Diplomaticamente, con promesse convincenti e con minacce riuscì a sottomettere popoli che avevano goduto sul territorio dell’Iran di una notevole autonomia (Timuriti e Kudisiti). Kawàd non era privo di talento militare e coraggio e condusse personalmente l’esercito contro Bisanzio. - Il suo legame coi mazdakiti non fu soltanto un calcolo per indebolire il clero e la nobiltà, egli fu senza dubbio attratto dalla dottrina di Mazdak che accettò come “nuova religione”. Quando fu messo di fronte alla necessità di chiudere i conti definitivamente coi mazdakiti, alla fine del suo regno, egli esitò. - Mazdak si presenta a noi, secondo i dati delle fonti, come un uomo attivo, di talento ed impulsivo. Fu in grado di avvicinarsi a Kawàd, convincerlo e piegarlo alla sua dottrina e nello stesso tempo rimanere un predicatore popolare. - Durante la carestia Mazdak suggerì allo sàh Kawàd di aprire agli affamati i granai1'. Tali provvedimenti erano stati presi dal governo in Iran anche in precedenza, ma sotto Kawàd non ci si limitò a questo. Il movimento della popolazione sottomessa, capeggiato dai mazdakiti, assunse un carattere di massa e divenne pericoloso per gli strati alti della società. Il movimento popolare sviluppatosi traeva origine se non dal sostegno, almeno dalla tolleranza dello stesso Kawàd, col quale Mazdak seppe trovare un rapporto. Secondo le parole di fonti avverse ai mazdakiti, il popolo ottenne la possibilità di entrare nelle case altrui e di portare via ogni proprietà senza che nessuno lo ostacolasse18. La storia della città di Karkà dc Bèt Selok, ricordata sopra, conserva notizie sulle azioni dei mazdakiti durante il loro governo. Il capo Timiazdegerd avrebbe dato il permesso a “pagani e manichei” di distruggere i beni mobili ed immobili degli abitanti di Selok19. Le azioni dei mazdakiti arrecarono senza dubbio danni alle proprietà della nobiltà e Xusraw fu costretto ad adottare provvedimenti per risarcire ai ricchi ed ai nobili le loro perdite e rafforzare la loro posizione vacillante. - Si hanno notizie sugli sconvolgimenti di questa epoca nella cosiddetta Lettera di Tansar, il cui nucleo principale viene fatto risalire al VI secolo sebbene sia stato soggetto ad interpolazioni successive. Christensen ritiene che le lamentele di quest’opera sull’apparire di persone senza casata, di bassa provenienza sociale, senza titolo ed esperienza che si sforzavano di occupare un posto e diventare ricchi, sia un’indicazione del movimento mazdakita. Si possono accettare queste supposizioni solo con una certa prudenza ricordandosi che la data di composizione di quest’opera non è ben determinata. - Fonti avverse ai mazdakiti attribuiscono a loro in teoria e in pratica la comunanza delle donne. Tipico del movimento mazdakita non è soltanto il principio di eguaglianza che determinava la redistribuzione dei beni, ma anche la tendenza a rivoltarsi contro la classe nobiliare che con la sua chiusura si sforzava di mantenere la purezza della discendenza. Una delle fonti, al-TabarT, afferma che nel periodo di successo del movimento mazdakita persone delle classi basse si univano a donne dell’aristocrazia alle quali prima “non osavano nemmeno pensare” e che i figli non potevano indicare chi fossero i padri. Fra tutto ciò si può considerare senza dubbio vero il fatto che l’isolamento dei nobili fu distrutto dal movimento mazdakita. Fino ad un certo punto questo fenomeno era nell’interesse dello sàh, dal momento che indeboliva consistentemente la nobiltà che godendo di particolari grandi privilegi influiva su tutti gli affari di stato. L’aristocrazia non era semplicemente una forza politica di comando, ma talvolta minacciava anche le tendenze autocratiche dello sàh. Mazdak veniva rimproverato di incitare il popolo contro la nobiltà. Sotto l’influsso della sua predicazione la popolazione sfruttata, evidentemente, realizzava in pratica le tendenze livellatrici del mazdakismo. Come risultato del movimento una parte della nobiltà si impoverì e si indebolì. - Le fonti non forniscono dati sufficienti per potere indicare con precisione quale strato della popolazione prese parte al movimento, ma ciò si può stabilire indirettamente. - Conseguenze del movimento mazdakita. Uscirono vincitori dal movimento mazdakita i medi proprietari terrieri e parte della nobiltà. Quando i vertici del mazdakismo furono liquidati Xusraw si sforzò di ridare forza alle famiglie nobili impoverite. Ordinò di registrare i figli delle famiglie nobili privati dei padri per prestare loro aiuto. I termini arabi non lasciano dubbio sul fatto che si parli delle casate nobili. Le figlie venivano fatte sposare, dopo avere procurato a loro la dote, i figli venivano sposati dopo avere dato loro un sostegno materiale da parte dello stato. Questi mezzi, tuttavia, non restauravano la vecchia nobiltà poco dipendente dallo sàh, ma piuttosto creavano una nuova forza d’appoggio per lo sàh, uno strato sociale che veniva a trovarsi alla sua diretta dipendenza. Se Xusraw dava loro assistenza materiale, richiedeva però che essi “rimanessero presso la corte”. Affidava loro incarichi, li obbligava a svolgere determinate mansioni per lo stato e a servire negli anni, creando, in questa maniera, uno strato sociale di proprietari terrieri vicini alla corte che servivano e prestavano servizio militare. L’aiuto offerto da Xusraw non era solo alla nobiltà, ma anche allo strato medio dei proprietari terrieri che, come abbiamo già detto, era divenuto il sostegno principale del sistema statale sasanide nella seconda metà del VI ed inizio del VII secolo. Ohrmazd, figlio di Xusraw Anosag ruwàn cercò di preservare tutti quei medi proprietari terrieri dehqàn - “signori di campagna” - dalla rovina causata dagli eserciti ed è caratterizzato dalle fonti come nemico della nobiltà verso la quale manifestò un’ostile freddezza. Si sforzò di conquistarsi le simpatie del popolo. Il movimento mazdakita accelerò il processo di raggruppamento delle forze sociali nello stato. Il clero e la nobiltà furono parzialmente indeboliti. In misura maggiore iniziò a sentirsi la suddivisione feudale della terra e, cosa più importante, il suo darla in regalo ed uso in cambio di servizio civile e militare, come ci attesta al-Baladuri. - Fra i sigilli utilizzati nella direzione amministrativa dello stato sasanide se ne ricorda uno speciale per gli atti di donazione e uso condizionato della terra. Il primo termine utilizzato indica anche il diploma, l’editto e il firmari del re; il secondo termine in arabo ha solo il significato di uso della terra sotto condizione. Lo stesso sigillo, secondo le parole di Ibn al-MuqaftV al quale fa riferimento al-Balàdurl, serviva anche per altri atti simili relativi a questioni legate al “libro dell’onore”. Dallo stesso nome bisogna supporre che si trattasse di libri con annotazioni sulla nobiltà. L’ordine di Xusraw di annotare i nobili ai quali prestava aiuto probabilmente si riferisce a questi libri. Gli atti di donazione ed utilizzo di una proprietà terriera in cambio di servizio civile e militare rinviano senza dubbio ad un carattere feudale nei rapporti sociali. - La riforma militare di Xusraw va vista egualmente in rapporto col periodo precedente di sconvolgimenti sociali. La figura dello spàhbed dell’Iran, che comandava tutte le forze armate, fu sostituita da quattro spàhbed che si occupavano di differenti settori dell’esercito. Uno di essi portava il titolo di spàhbed dell’oriente (il Horàsàn e le zone ad esso limitrofe), l’altro dell’occidente, il terzo comandava l’esercito del sud (Yemen) ed il quarto le forze dell’Azarbaygaiv. In tal modo il potere degli spàhbed era notevolmente ridotto ed essi erano in gran parte dipendenti dallo sàh. Inoltre Xusraw si sforzò di fornire all’esercito anni e cavalli ed introdusse una disciplina ferrea per rafforzare la potenza militare dello stato. - La riforma fiscale introdotta da Xusraw nei suoi tratti generali era importata da Bisanzio. L’introduzione del catasto, le tassazioni sulla terra e il testatico venivano riscosse anche nelle province asiatiche di Bisanzio, mentre lo stesso sistema poteva essere noto dal codice siriaco, l’unico monumento che conserva dati precisi sul catasto. È noto che alcuni siriani occupavano posti di rilievo alla corte di Xusraw e si occupavano particolarmente di traduzioni dal greco per ordine dello sàh. La nuova riforma fiscale fu realizzata negli interessi della classe agraria media, verso la quale era orientata la politica di Xusraw e naturalmente non portò alcun alleggerimento ai produttori diretti. Tali furono le conseguenze immediate del movimento mazdakita in Iran. - Nonostante che il movimento mazdakita fosse stato soffocato, le idee del mazdakismo continuarono a vivere sia nello stesso Iran, sia all’esterno dei suoi confini. Le sette eretiche dell’islam assorbirono profondamente l’ideologia del mazdakismo. Ha perfettamente ragione il Prof. A. Ju. Jakubovskij che ha dimostrato un legame ideale fra il movimento di Smbat Mago e al-Muqanna‘ nel califfato arabo col mazdakismo. Lo stesso legame con le idee mazdakite viene sottolineato dall’accademico Ja.A. Manandjan per il movimento hurramiyya di Bàbek nel IX secolo. I tondrakiti armeni portarono dall’Asia Anteriore nella penisola balcanica le idee mazdakite che ebbero un’influenza decisiva sui bogomili le cui convinzioni furono a sua volta prese dai catari e dagli albigesi. Così l’ideologia dei mazdakiti nella sua caratteristica di insegnamento religioso dualistico contribuì alla diffusione delle idee di uguaglianza sociale e di azione rivoluzionaria sia nei Paesi dell’Oriente musulmano sia nei Paesi dell’Occidente cristiano. File “Dottrina Mazdakiti” - Segue una trascrizione del testo. - La dottrina di Mazdak. I contenuti della dottrina mazdakita, dal punto di vista della fi losofi a religiosa, della cosmogonia e della cosmologia, sono stati tramandati in un passo, molto diffi cile e problematico, di al- Šahrastānī, un autore di origine persiana, morto nel 1153, che scrisse in arabo “Il libro delle religioni e delle sette” (Kitāb al-milal wa’l-niḥal). Una delle fonti sul Mazdakismo per Šahrastānī fu Abū ‘Īsā al-Warrāq, uno zoroastriano convertito all’Islam. L’autore ricorda la creazione del Mazdakismo da parte di Mazdak, che apparve ai tempi di Kawād, come fu da lui convertito, e come, in seguito, fu ucciso da Xusraw. “I – al-Warrāq dice che la dottrina dei mazdakiti è conforme, in molti punti, a quella dei manichei relativa ai due esseri primi o principi primi. Mazdak sosteneva che la luce agisce secondo un disegno e una volontà libera, mentre le tenebre si comportano alla cieca e per caso. La luce è dotata di sapere e di senso, le tenebre invece sono ignoranti e cieche. La mistione di luce e tenebre è il risultato di un puro caso, non di un piano e di una volontà libera; la liberazione avverrà ugualmente secondo il caso e non per un atto di volontà. Mazdak vietò agli uomini la polemica, l’odio e la lotta; e poiché quelle cose hanno generalmente la loro causa nelle donne e nei beni materiali, egli rese legale a tutti il possesso delle donne e dei beni in comune, e asserì che tutti gli uomini dovevano in ugual misura essere partecipi di quelle cose così come dell’acqua, del fuoco e dei pascoli. II – Si narra che egli ordinasse di uccidere le anime per liberarle dal male e dalla mistione con le tenebre. La sua opinione sui principi primi era che gli elementi sono tre: l’acqua, il fuoco e la terra. Quando essi si erano commisti, erano sortiti il direttore del bene e il direttore del male, e quello che purifi cava gli elementi era il direttore del bene, quello che li contaminava era il direttore del male. III – Si riferisce che l’oggetto della sua adorazione è assiso su un trono nel mondo superiore, proprio come il re [nel testo è scritto Xusraw] è assiso sul suo trono nel mondo inferiore; e innanzi a lui vi sono quattro potenze, vale a dire il discernimento, l’intelligenza, la vigilanza e la letizia, come innanzi al re di Persia vi sono quattro persone: il mowbedān mowbed (gran sacerdote), l’hērbed (maestro), lo spāhbed (generale) e il rāmeškar (musico di corte). Queste quattro potenze dirigono gli affari dei due mondimediante sette loro ministri: il sālār (capo), il peškār (prefetto), il bālwan (alto), il parwān (esecutore), il kārdān (esperto), il dastwar (giudice) e il kōdak (servitore); e questi sette ruotano all’interno [di un cerchio] di dodici esseri spirituali [si tratta di dodici nomi medio- persiani, che sono stati identifi cati come i dodici segni dello zodiaco]. Ogni uomo nel quale si riuniscano queste quattro potenze e i sette e i dodici, diviene un divino signore (ar. rabbānī) nel mondo inferiore, e può fare a meno di ogni obbligazione religiosa. Egli diceva che il re nel mondo governa mediante le lettere la cui somma costituisce il Nome Supremo (ar. al-ismu’l-a‘ẓam); e a chi riesca a formarsi un’idea approssimativa di quelle lettere, si rivelerà il più grande dei misteri (ar. al-sirru’l- akbar); ma chi è escluso da ciò, rimane, di fronte alle quattro potenze, nella cecità (ar.‘amā) dell’ignoranza, dell’oblio, della stupidità e dell’angustia”. - Dal passo di Šahrastānī possiamo dedurre alcuni caratteri della teologia mazdakita: 1. Un fondamentale dualismo simile a quello manicheo (lo riferisce il testo) e zoroastriano. Come ha evidenziato Shaki, questo dualismo, tuttavia, è più simile a quello mazdeo, in quanto, se la luce è dotata di conoscenza e di volontà, mentre la tenebra è ignorante e inconsapevole, tale sistema dottrinale sembrerebbe desunto dal Mazdeismo, dato che Ohrmazd è onnisciente e Ahreman è inconsapevole, o meglio dotato di una conoscenza solo a posteriori. 2. Sono accettati solo tre elementi: acqua, terra e fuoco. Manca stranamente l’aria, che è riconosciuta dai mazdei come un elemento primo della creazione materiale. Secondo i manichei, invece, gli elementi erano cinque: etere, vento, luce, acqua e fuoco. L’aria, pertanto, potrebbe essere un principio meno perfetto o difettivo rispetto agli altri; dato che l’acqua, la terra e il fuoco erano principi sacri, la loro messa in comune avrebbe potuto essere considerata naturale dai mazdakiti. 3. La divinità suprema è remota e ineffabile, pertanto vengono postulati due direttori demiurghi, della luce e delle tenebre. 4. Il macrocosmo spirituale è riflesso nel mesocosmo terreno (la corte sasanide) e si specchia nel microcosmo umano, secondo lo schema gerarchico dell’astrologia sasanide: i quattro generali dell’uranografi a zoroastriana, i sette pianeti e i dodici segni zodiacali. 5. Le lettere hanno un potere simbolico e i numeri sono una forma di conoscenza. 6. Le pratiche religiose sono considerate un inutile fardello per chi abbia raggiunto il vero sapere. - “Settima domanda. Un altro eretico chiese: – Considerando che la soppressione della Concupiscenza, della Lussuria, dell’Infamia, dell’Invidia e di altri demoni seducenti è la suprema ingiunzione della Buona Religione, e che le forze seduttrici di questi demoni sono in primo luogo la proprietà e le donne, come si spiega il fatto che trasferendo le donne e la proprietà al possesso comune della comunità, la Concupiscenza, la Lussuria, l’Invidia, l’Infamia e gli altri demoni, saranno perciò resi incapaci di incitare la gente al peccato e che il potere dello spirito maligno sarà diminuito, come stabilisce l’insegnamento e il dogma praticato da noi, secondo il credo tradizionale di Zarādušt? - Risposta: che si sappia! La vostra comunione dei beni e delle donne, in base all’autorità di Zarādušt di Fasā, i seguaci del quale sono chiamati *dris(t)dēn, si fonda sui suoi insegnamenti eretici e su un dogma fuorviante avanzato per respingere la Concupiscenza, la Lussuria, l’Invidia e l’Infamia della comunità che egli lascia indulgere nei propri desideri. Egli sguinzagliò la confusione nel mondo: portando la pace alla gente, egli li ha resi pigri; distorcendo arbitrariamente un dogma in un precetto eterodosso, rinunciando alla funzione propria dell’uomo e annullando il dovere universale, portò la religione alla rovina. Egli ha causato disorganizzazione, oscurando la discendenza di ogni individuo… con matrimoni promiscui accompagnati da mescolamento di seme, annientando il buon nome di tutti gli uomini e abrogando l’istituzione dello stūrīh. Fece degenerare il mondo, diminuì il valore, abolendo la proprietà privata e l’istituzione della sovranità e il rango e le posizioni della gente: liquidò il diritto alla proprietà privata e al possesso dei beni, e nutrì una cattiva amministrazione della giustizia. Tramite questa sorprendente venerazione del male rafforzò i demoni e produsse anarchia fra le creature di Ohrmazd; come risultato del successivo decadimento rese i paesi dell’anērān capaci di dominare sulle terre dell’Ērān. Distruggendo e annientando le creature di Ohrmazd, aiutò gli avversari a distruggere la forza spirituale del mondo materiale, e il volere dello spirito maligno frustrò le creature di Ohrmazd. Una delle caratteristiche degli eretici è quella di diffondere ogni sorta di malvagità e di inganno fra le creature nel mondo, per mezzo di queste cose essi inabilitano e rovinano il mondo della rettitudine”.
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