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Storia romana dalla fondazione alla caduta, Appunti di Storia Romana

Appunti di Storia romana anno 2021/2022 contengono la storia di Roma dalla sua fondazione fino alla caduta dell'impero d'occidente, una sezione di analisi su 10 province di Roma, un riassunto di tre articoli di Emilio Gabba e un riassunto dei capitolo 1-19 e 51-58 del libro VI delle Storie di Polibio

Tipologia: Appunti

2021/2022
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Scarica Storia romana dalla fondazione alla caduta e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! ARGOMENTI Sezione A: Storia romana dalle origini alla caduta dell’Impero Romano d’occidente o Origini di Roma: leggenda greca e leggenda romana o L’età monarchica e la struttura di Romolo o Organizzazione della società in età monarchica o I sette re di Roma o L’età repubblicana: la nascita della repubblica, l’eredità monarchica e le magistrature (consolato, pretura, dittatura, censura, tribunato della plebe, senato) o Il conflitto tra patrizi e plebei o L’espansionismo romano: dalle origini in età monarchica al periodo della repubblica o Le guerre sannitiche (prima, seconda e terza) o I trattati tra Roma e Cartagine (primo, secondo, trattato di Filino e il quarto) o Le guerre puniche (prima, seconda e terza) o Le guerre macedoniche (prima, seconda e terza) o La guerra sociale o guerra italica o La campagna di Pirro e i rapporti tra Roma e Taranto o La questione agraria: le riforme di Tiberio e Gaio Gracco o Le riforme dell’esercito di Caio Mario o La guerra civile tra Mario e Silla o La dittatura di Silla o Le guerre servili (prima, seconda e terza) o La figura di Pompeo, il primo triumvirato e la guerra civile o La figura di Cesare, dalla guerra civile al cesaricidio o La guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio e il secondo triumvirato o Il principato di Augusto tra pace e riforme o La dinastia Giulio-Claudia: Tiberio, Germanico, Caligola, Claudio e Nerone. o L’anno dei quattro imperatori: Galba, Vitelio, Otone e Vespasiano o La breve dinastia dei Flavi: Tito e Domiziano o La dinastia degli Antonini (o imperatori d’adozione): Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio, Lucio Vero e Commodo o La guerra civile per il potere o La monarchia militare dei Severi: Settimo Severi, Caracalla, Macrino, Elagabalo e Alessandro o Periodo dell’anarchia militare o Il governo dei tetrarchi con Diocleziano, Galerio, Massimiano e Costanzo Cloro o L’impero di Costantino, imperatore cristiano o La discendenza di Costantino, Valentiniano e Teodosio o Il lungo governo di Onorio, la caduta dell’impero e la convivenza con i barbari Sezione B: La struttura delle province a Roma e alcuni esempi o Le province in età repubblicana: il concetto di provincia e l’amministrazione o Le province in età imperiale: province imperiali e proconsolari, governatori e personale amministrativo, la regia clienti, il prefetto d’Egitto o Economia e fiscalità: tributa e pretoria, risorse economiche e proprietà imperiali o L’esercito o I processi di romanizzazione o Le province iberiche o Le province galliche (Gallia Narbonensis, le tres Gallie, Aquitania, Belgica e Lugdunensis) o Le province di Britannia o Le provincie di Siria e giudea o Le provincie di Armenia, Mesopotamia e Assiria o Le province di Arabia o La provincia di Cipro o Le province di Creta e Cirene: la Cirenica e l’isola di Creta o La provincia della Dacia o Le province di Macedonia, Acaia e dell’Epiro Sezione C: Articoli di Emilio Gabba o Le origini delle città in Italia: le conseguenze delle conquiste, gli italici e la cittadinanza, il funzionamento dei municipia, le conseguenze della mancata unità o La costituzione di Roma o Roma e il mondo ellenistico: la concezione di Polibio, le nuove impostazioni dell’Egemonia e la reazione dei greci al nuovo potere di Roma. Sezione D: Polibio, Storie, Libro VI o Libro VI capitoli 1-19 o Libro VI capitoli 51-58 (Tuscolo 234 a.C. - 149 a.C.) All'età di 17 anni combatte come tribuno militare, agli ordini di Fabio Massimo, contro Annibale. La sua passione per l'interesse collettivo lo spinge ad intraprendere la carriera politica: fu questore in Sardegna, poi edile, console e censore nel 184. Con la carica di censore, una delle più prestigiose fra le magistrature di Roma, egli poté occuparsi non solo dei censimenti ma anche del controllo della moralità e dei comportamenti e poteva respingere la candidatura al senato o revocare la carica stessa di senatore. Nella sua carica fu un fervente sostenitore dei valori puri del mos maiorum e criticò, opponendosi, la diffusione della cultura greca a Roma. Quando questa gente ci darà la sua cultura letteraria, corromperà tutto, e farà ancor peggio se manderà qui i suoi medici Grazie alle testimonianze di Plutarco sappiamo che, talvolta, le sue censure giunsero ad eccessi paradossali ( radiò, ad esempio, per indegnità un senatore perché egli baciò la moglie in presenza della figlia). Fu scopritore di Quinto Ennio (una delle più grandi personalità della letteratura latina) e fu a sua volta un grande letterato. Origines Le Origines (Origini) sono un'opera storiografica dell'autore latino Marco Porcio Catone conosciuto come il Censore. L' opera è composta in prosa e suddivisa in sette libri, fu scritta da Catone in vecchiaia, dunque dopo il 174 a.C. quando l'autore poteva dirsi entrato nella senectus (aveva raggiunto i sessant'anni). Essa può essere considerata la prima vera opera storiografica romana (eccezion fatta per il Bellum Poenicum di Nevio), in quanto scritta in lingua latina e, anche se ne restano solo un centinaio di frammenti, è, comunque, possibile conoscere almeno quale fosse il contenuto generale dell'opera grazie a Cornelio Nepote nella sua brevissima biografia del Censore. Per la precisione, il trattato segue la storia di Roma dal momento della sua fondazione alla caduta di Cartagine. Inoltre, la narrazione non si concentra solo su Roma (sebbene sia il fulcro) ma su tutte le popolazioni italiche. (200 a.C. - 120 a.C.) Polibio giunse a Roma da Megalopoli come ostaggio della Lega Achea intorno al 167 a.C. Fu collaboratore di Scipione Emiliano, e, per questo, viaggiò per i territori dell’impero romano, spostandosi costantemente. Fu membro del circolo scipionico, il gruppo politico costituito da personaggi appartenenti alla nobiltà romana, tra cui Gaio Lelio, Scipione Emiliano, Furio Filo. Storie Le Storie (in greco antico Ἱστορίαι) sono un'opera storiografica dello storico greco Polibio di Megalopoli. Composte in prosa, erano suddivise in quaranta libri, dei quali solo i primi cinque sono pervenuti ad oggi nella loro interezza e narravano la storia universale del periodo fra il 264 e il 146 a.C. incentrandosi sul percorso di Roma verso l'egemonia sul mar Mediterraneo. Nello specifico, i primi cinque libri sono pervenuti integri, mentre gran parte dei libri VI-XVIII è giunta sotto forma di estratti conservati nelle biblioteche di Costantinopoli. Polibio non si interessò ai miti di fondazioni (che intende come pure leggende) ma comprese che la storiografia deve avere una funzione pragmatica (deve insegnare qualcosa). Nel caso particolare, egli si rivolge ai suoi lettori greci, affinché prendano esempio da Roma nella gestione della cosa pubblica. Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 3 (86 a.C. - 34 a.C.) Sallustio si lasciò coinvolgere dalla passione politica, ponendosi a fianco di Cesare: nel 52 a.C., in veste di tribuno della plebe, si schierò contro l’aristocratico Milone, accusato di aver assassinato Clodio, democratico radicale a capo delle fila della pars cesariana. Probabilmente l’espulsione dal senato, provvedimento da cui fu colpito nel 50 a.C. è da inquadrarsi nell’infiammato clima politico successivo all’affare Clodio. L’ascesa di Cesare assicurò a Sallustio l’assegnazione di cariche importanti: nel 49 a.C. fu questore e nel 46 a.C. ebbe la pretura in Africa e il proconsolato Numidia, divenuta provincia romana. Quest’ultimo incarico avrebbe permesso a Sallustio di arricchirsi notevolmente, tanto da permettergli a Roma una dimora fastosa, circondata da splendidi giardini, gli Horti Sallustiani. Al suo ritorno a Roma Sallustio fu accusato di concussione (arricchimento illecito durante l’esercizio di una carica pubblica) e quindi decise di ritirarsi dalla vita politica e dedicarsi all’otium letterario. Si deve a Sallustio la nascita della monografia storica. Tra le sue opere più celebri ricordiamo: De Catilinae coniuratione, Bellum Iugurthinum, Historiae (in 5 libri, di cui sono conservati 500 frammenti), Invectiva in Marcum Tullium Ciceronem (autenticità contestata), Epistulae ad Caesarem senem de re publica (autenticità contestata). (59 a.C. - 17 dc) Tito Livio entrò nelle grazie dell'imperatore Augusto, che gli affidò, l'educazione culturale del nipote adottivo Claudio, futuro Imperatore. Di idee conservatrici, improntò la sua vita e la sua opera ad equilibrio morale e religioso e spirito patriottico. Il suo essere un convinto pompeiano, e dunque critico nei confronti di Cesare, non gli impedì di comprendere lo spirito nuovo dei tempi, di ammirare l'opera riformatrice imperiale e di celebrare la pace augustea e la figura stessa dell'imperatore. Opere Scrisse il Ab urbe condita (Libri dalla fondazione di Roma), saggio in 142 libri. L’opera ci è giunta in misura importante, seppur con lacune di varia estensione sebbene molti libri ci sono noti in forma di riassunto (periochae). L'opera si concentra sulla narrazione della storia di Roma dalla sua fondazione alla morte della figura di Druso maggiore, avvenuta intorno al IX a.C. Livio iniziò la composizione dell'opera intorno al 27 a.C. Le Res gestae divi Augusti, (Le imprese del divino Augusto) conosciuta anche come Index rerum gestarum è un resoconto redatto dallo stesso imperatore romano Augusto prima della sua morte e riguardante le opere che compì durante la sua lunga carriera politica. Il testo ci è giunto inciso in latino e in traduzione greca sulle pareti del tempio di Augusto e della dea Roma (Monumentum Ancyranum) ad Ancìra l'odierna Ankara in Turchia. Le principali testimonianze sono ricordate come Monumentum Ancyranum, Monumentum Antiochenum e Monumentum Apolloniense. Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 4 ( 55 - 120 d.C.) Talvolta viene indicato come Gaio Cornelio Tacito è stato uno storico, oratore e senatore romano ed è considerato il più grande esponente del genere storiografico della letteratura latina. Tra le sue opere più celebri ricordiamo: Agricola, Germania, Historiae, Annales, Dialogus de oratoribus (di attribuzione incerta). Historiae e Annales Historiae Annales Si componevano di 12/14 libri (a noi ne sono pervenuti 5). Si concentravano sull'anno dei quattro imperatori (69 d.C.) Si componevano di 14/16 libri. Raccontavano tutti i principati di Tiberio e Nerone (precedenti al 69 d.C.) I temi principali della storiografia di Tacito Donare uno sguardo critico sul principato, anche quello augusteo.○ Evidenziare la corruzione del senato.○ Mostrare il deterioramento morale e sociale della classe dirigente.○ Ergere Germanico (figlio di Druso Maggiore, nipote dell’imperatore Tiberio) a modello di virtù in opposizione ad altri membri della dinastia giulio-claudia. ○ Considerare Tiberio un pessimo esempio di princeps.○ Appiano di Alessandria d’Egitto (90-163 d.C.) Storia Romana in 24 libri, va dalle origini al principato di Traiano. Particolarmente importante (V libro) è la sezione dedicata alle guerre civili della tarda repubblica. Plutarco di Cheronea (45-120 d.C.) Moralia (200 opere di argomento vario), Vite Parallele (50 biografie di personaggi greci e romani posti a confronto) Cassio Dione Cocceiano (155-235 d.C.) Storia Romana in 80 libri, dalle origini di Roma al 229 d.C. Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 5 La fondazione di Roma La data della fondazione di Roma è collocata per lo più dalle fonti storiografiche nel corso dell'VIII secolo ac. L'analista Cincio Alimento nel corso del II secolo AC individuava il 728 AC come momento fondativo ma, in età imperiale, fini per essere decisamente più accreditata la cronologia fissata da Marco Terenzio Varrone che aveva individuato come momento centrale la notte fra il 20 e il 21 aprile 753 a.C. In questa data si sarebbe svolta fra Romolo e Remo. Retaggio di una società egualitaria, sarebbero due istituzioni che sono documentate solo in età successiva: L'ager publicus (la terra pubblica): il territorio acquisito grazie alla conquista militare○ L'ager compascuus (la terra in cui si pascola insieme) la parte indivisa delle proprietà fondiarie pubbliche in cui i proprietari delle terre intorno potevano far pascolare il proprio bestiame. ○ La leggenda La vestale Rea Silvia, discendente dell'eroe troiano Enea, ebbe una relazione amorosa con il dio della guerra Marte. Dal loro amore nacquero due gemelli, Romolo e Remo, che discendevano tuttavia anche da Numitore, sovrano che fu spodestato dal fratello Amulio. L'uomo, temendo una possibile futura rivendicazione del trono, ordinò l'uccisione dei gemelli tramite annegamento nel Tevere. Per salvarli, Rea Silvia lasciò i due neonati in una cesta sul Tevere dove furono trovati da una lupa (l'animale sacro al dio Marte) che li allattò e si prese cura di loro. Poco dopo i due gemelli furono trovati dal pastore Faustolo che, assieme alla moglie Acca Larenzia, li allevò come suoi. I due fratelli, divenuti adulti e presa coscienza delle loro origini, uccisero Amulio per impadronirsi dei possedimenti. Fondarono sul colle Palatino, esattamente dove la lupa aveva salvato loro la vita, una città destinata a divenire grande. Fu Romolo a scegliere il nome della città (Roma, derivato del suo nome) e a tracciarne i confini. Remo, invidioso delle decisioni prese dal fratello, entrò nei confini tracciati con le armi. Così, Romolo uccise Remo, divenendo così il primo dei sette re di Roma. Roma arcaica e il Settimonzio L'antica festa, che si celebrava l'undici dicembre, è ricordata da Sesto Pompeo Festo che, nel II secolo dc, scrisse il De verborum significationeriassunse (il significato delle parole) in 20 libri. Esso consisteva in una sorta di enciclopedia di antichità religiose, giuridiche, politiche e linguistiche. Tale scritto era stato fa riferimento ad un'altra opera composta dal grammatico Verrio Flacco che, per spiegare il significato del termine Settimonzio, chiese aiuto all'antiquario e giurista Marco Antistio Labeone. Al Septimonzio [...] è festa per questi monti: per il Palatino, in cui si compie un sacrificio che si chiama Palatuar; per la Velia, in cui ugualmente si officia un sacrificio; per il Fagutale, la Subura, il Cermalo, l'Oppio, il monte Celio, il monte Cispio. Le otto località elencate in cui si svolgeva la festa sono tutte riconducibili a tre fra i sette colli (Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale, Viminale) su cui si svilupperà Roma poiché Cermalo e Velia costituivano articolazioni del Palatino, mentre Oppio, Cispio, Fagutal rappresentavano partizioni dell'Esquilino. A tali realtà insediative si deve aggiungere il popolamento del Campidoglio-Quirinale che i rinvenimenti archeologici vanno sempre più definendo, mentre risulta difficile spiegare la menzione della Subura, forse frutto di un inserimento successivo. Il più antico documento iscritto in Italia Un soggetto maschile inumato dotato di un corredo di prestigio e un soggetto femminile più anziano sottoposto a incinerazione al cui corredo appartiene il vaso iscritto, dono per la defunta o arredo rituale. L'iscrizione, in alfabeto greco, è costituita da 5 caratteri, graffiti da sinistra a destra, letti come eulin o ewoin. Non è certo in che lingua sia scritto tale testo per il cui significato sono state formulate diverse ipotesi: si potrebbe trattare di un grido dionisiaco in lode a Bacco, potrebbe attestare l'ammissione della donna ai culti misterici oppure, una proposta p recente, afferma che i cinque grafemi appartengano alla lingua latina, siano stati incisi da destra a L'agricoltura era circoscritta a forme di mera sussistenza: il solo cereale coltivato era il farro, compatibile con terreni paludosi e dotato di un buon potere nutritivo. Nuova sezione 1 Pagina 1 sinistra e corrispondano alla raccomandazione di non sottrarmi. Pagina 8 La tradizione concorda nell'attribuire all'inizio della storia di Roma un assetto politico improntato sulla monarchia che si protrasse per circa 245 anni a partire dalla fondazione fino al 509 a.C., anno della cacciata dell'ultimo sovrano, Sebbene vi siano alcune discrepanze nella datazione della monarchia (ciò permette ad alcuni studiosi di post datare i reperti archeologici) vi sono molteplici prove a sostegno di ciò: un esempio è rintracciabile nel calendario che, tra il 24 marzo e il 24 maggio, riporta la sigla Q.R.C.F (quando rex comitiavit flas) ovvero il periodo in cui era lecito per il sovrano convocare l'assemblea popolare. Inoltre, molti edifici d'istituzione costruiti in quel periodo riportavano la denominazione Regia. Un celebre reperto archeologico, conosciuto come Il cippo del foro romano, riporta alcuni riferimenti al sovrano. l documento è impropriamente denominato lapis niger, cioè pietra nera, in riferimento alla pavimentazione di marmo scuro che aveva ritualmente ricoperto tutto il complesso e che gli eruditi antichi ritenevano segnalasse il luogo in cui era stato ucciso Romolo, o la tomba del pastore Faustolo ovvero il sepolcro di Osto Ostilio, nonno del re Tullo Ostilio; il cippo in tufo, rastremato verso l'alto, è privo della metà superiore. Fu rinvenuto dall'archeologo Giacomo Boni nel 1899 vicino all'arco di Settimio Severo in corrispondenza del luogo in cui in età arcaica era ubicata un'area sacra al dio Vulcano, chiamata Volcanal, la quale ospitava anche un altare e una colonna di cui è rimasto solo il plinto di base. Il testo, inciso in alfabeto latino arcaico, si rivela di difficile decodificazione a causa della mancanza della parte superiore della pietra e in conseguenza dell'andamento della scrittura, che procede su più facce del supporto dall'alto verso il basso e, di seguito, dal basso verso l'alto (andamento detto «bustrofedico» perché imita il percorso che i buoi seguono durante l'aratura). Dovrebbe trattarsi di una legge, forse redatta in versi, che disciplinava l'accesso all'area del santuario, poiché iniziava con un avvertimento minaccioso: «Chiunque violerà questo luogo sia consacrato (agli dèi dell'Oltretomba)». Nel testo funzionale all'attività del vicino Comizio, sede dell'attività istituzionale del sovrano, si ricorda non solo la carica di re (si veda il termine recei nella linea 5), ma anche quella di kalator (si veda il termine kalatorem alle linee 8-9), che si ritiene svolgesse la funzione di «araldo», cioè di mediatore vocale fra il re e il popolo. Molto si è discusso sulla datazione del cippo, ma trova attualmente credito la cronologia che lo colloca nel secondo quarto del VI secolo a. C., corrispondente al regno di Servio Tullio. Data la bassa presenza di fonti storiografiche riguardanti la monarchia romana, diviene molto difficile dare una certezza degli eventi. È tuttavia possibile individuare alcune prove del susseguirsi dei sovrani nei primi anni della Roma antica: Verosimiglianza della sequenza onomastica: i personaggi connessi alla stirpe di Romolo esibiscono un unico nome (Numitore, Amulio, Romolo, Remo, Faustolo) mentre i sovrani successivi adottarono nomi composti da un primo nome e da un patronimico sommato al suffisso -io (Numa Pompilio fu Numa figlio di Pompilo, Tullo Ostilio fu Tullo figlio di Ostilo, Anco Marcio fu Anco figlio di Marco, Tito Tanzio fu Tito figlio di Tato). 1) Tipizzazione delle prime figure regali: la tradizione letteraria presenta Romolo come fondatore delle istituzioni civili, Numa Pompilio come inventore dei fondamenti religiosi, Tullio Ostilio fu un grandissimo guerriero mentre Anco Marcio incarnò tutti i sovrani precedenti. 2) I riti religiosi: le competenze dei sovrani comprendeva anche il piano religioso.3) Il sovrano presiedeva i riti collettivi , traeva gli auspici, fissava il calendario e lo comunicava al popolo tramite la figura del kalator. Era il sole che garantiva la cosiddetta pace con gli dei (pax deorum) ovvero la concordia tra la comunità umana e quella divina. Protezione dei valori: oltre a garantire i fondamenti religiosi della società, il sovrano aveva il compito di proteggere i valori tipici della società come quello del mos maiorum (il costume degli antenati) e della pietas, ovvero il rispetto verso gli dei, verso i genitori, i parenti, i concittadini e le esperienze dei propri predecessori. 4) Potere nell'esercito: il sovrano aveva il compito di comandare l'esercito in virtù dell'imperium e di provvedere ad applicare il suo potere militare durante la guerra. 5) Nell'esercito ha un ruolo di assoluta importanza. Amministrazione della giustizia: aveva il compito di giudicare le colpe e decretare sanzioni6) Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 9 Secondo la tradizione, Roma ebbe sette sovrani (in alcune interpretazioni sono invece otto, perché Romolo, nel primo periodo del suo governo, si fece affiancare da Tito Tanzio, re sabino). La monarchia a Roma era una carica vitalizia che solo la morte poteva interrompere, ma non era ereditaria. Alla morte del sovrano, non era il figlio a divenire sovrano ma il potere tornava alle due componenti della vita pubblica. L'età media di un regno è circa di 40 anni ma si tratta di una cifra fittizia solo mirata a riempire il vuoto. I primi quattro sovrani furono latino-sabini mentre il quinto e il sesto sovrano furono di discendenza etrusca. Romolo (753-716 a.C.) • Numa Pompilio (715-673 a.C.)• Tullo Ostilio (672-641 a.C.)• Anco Marcio (640-617 a.C.)• Lucio Tarquinio Prisco (617- 578 a.C.) • Servio Tullio (Mastarna) (578-534 a.C.) • Lucio Tarquinio Superbo (534-509 a.C.) • La struttura di Roma nell'età monarchica REX PRAEFECTUS URBI SENATUS POPULUS Come già accennato, ad essere capo supremo della città era il rex, ovvero il sovrano. Incarnava tutte le cariche politiche, economiche e religiose di maggiore rilevanza (VEDI pagina precedente) e svolgeva molteplici funzioni. L'unico limite della sua carica era l'elettività: non essendo la carica ereditaria (VEDI pagina precedente), la sua elezione dipendeva dal popolo e dal senato. Durante l'assenza del sovrano, egli veniva sostituito dalla figura del praefectus urbi. La tradizione letteraria menziona un'assemblea ristretta, detta senato, che svolgeva la funzione di consiglio del re; essa riuniva i capi delle famiglie, i padri (dal termine latino patres), e contava approssimativamente 100 membri. I senatori si distinguevano per anzianità (il termine senato deriva da senatus, a sua volta derivante da senex, vecchio). L'assenso del senato agli atti del re era ritenuto necessario in particolare dove fosse necessario promuovere campagne militari. Il senato interveniva soprattutto in occasione della morte del sovrano perché nominava per estrazione a sorte tra i padri un Interrex (egli restava in carica solo cinque giorni). Alla volontà dei cittadini riuniti in assemblea (populus) e al consiglio dei capi-famiglia (senatus) spettava il potere di deliberare, però su proposta del re, le decisioni quali i decreti legge e le dichiarazioni di guerra e di pace. Il popolo era l'insieme di coloro che avevano la cittadinanza (civitas) che era posseduta in modo limitato dai maschi libri. Romolo distinse il popolo romano in tre tribù: i Ramnes, i Tities e i Luceres. Poco chiara, a livello storiografico, oltre alla suddivisione in tribù, è quella in curiae. 3 TRIBU' 30 CURIAE COMITIA CURIATA (assemblea che riuniva trenta curiae) ASSEMBLEA POPOLARE ROMANO In età repubblicana, i comizi curiati attribuivano la Lex de imperio ad un magistrato appena eletto. Stando alle fonti antiche, Romolo fondò Roma adottando una procedura tipicamente etrusca, quella dell’inaugurazione: egli infatti scelse il luogo, delimitandolo con una linea detta Pomerium. Il pomerio era un elemento sacro ed inviolabile della città ed il fatto che Remo le avesse violate sarebbe stato all’origine del fratricidio. Roma come città aperta A tale attività bellica si unì, però, la progressiva inclusione nella comunità civica di gruppi di etnia, origine, estrazione sociale e consistenza numerica diversa. Di tale processo di integrazione recano traccia sia le fonti letterarie che quelle documentarie; Romolo, per popolare la nascente città, avrebbe infatti Nuova sezione 1 Pagina 1 Pagina 10 I comizi centuriati Luogo di assemblea per il popolo in armi (comitia centuriata). Essi potevano essere convocati in due modi: L’editto del console, tramite cui si convocavano i comizi, doveva individuare un dies idoneus tra i dies comitiales, che non fosse un dies nefastus • Tra la data di promulgazione dell’editto e i comizi doveva esserci un intervallo di 24 giorni, detto trinundinum • A convocare i comizi erano i magistrati cum imperio, normalmente consoli e pretori; eccezionalmente dictatores comitiorum habendorum causa e gli interreges. Ad essere convocati erano tutti i cives divisi per centurie. Tali comizi avevano molteplici funzioni: Per le leggi: i comizi potevano essere convocati per proporre e approvare le leggi (erano detti comizi legislativi) • Per i magistrati: i comizi potevano riunirsi per eleggere i magistrati maggiori (erano chiamati comizi elettorali) • Per i giudizi: i comizi venivano convocati per giudicare i cittadini (erano così detti comizi giudiziari) • Per la guerra: i comizi avevano anche il compito di discutere sulle dichiarazioni di guerra• Si vota centuriatim (sezione di voto) Le centurie, a causa della divisione in classi censitarie non hanno lo stesso numero di cittadini. I cittadini iscritti alla centuria degli equites e a quelle della prima classe sono numericamente inferiori rispetto a quelli delle altre centurie, ma esprimono il maggior numero di centurie L'ordine di chiamata seguiva la gerarchia delle classi e avveniva per estrazione della centuria praerogativa (solo a partire dalla riforma del 241 a.C.). L'appello di chiamata era nominale. Ogni cittadino sfilava davanti al rogator. Prima delle leges tabellariae si pronunciava il nome del candidato ad alta voce davanti al rogator. Successivamente il nome veniva scritto su una tavoletta, lasciando così traccia scritta delle votazioni. La votazione si interrompeva non appena veniva raggiunta la maggioranza che corrispondeva a 97 centurie. Le centurie degli equites e quelle della prima classe costituivano da sole la maggioranza dei voti (poiché ad una centuria corrispondeva un voto, le centurie totali erano 193, mentre la maggioranza veniva raggiunta con 97. Veniva poi decretato il vincitore (renuntiatio del vincitore). I comitia tributa Come già accennato, si definiscono tribù le circoscrizioni territoriali organizzate sulla base del principio di iscrizione, basato sui possedimento di fondi o domicilium). A partire dal 241 a.C. si formarono 35 tribù di cui 31 rustiche e 4 urbane. Le tribù si riunivano intra pomerium, nel Foro della città e venivano convocate dai magistrati cum imperio. A livello di competenze, le tribù si occupavano dell'ambito legislativo, elettorale e giudiziario (fino all’istituzione delle quaestiones, ovvero dei tribunali permanenti). Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 13 Il voto è espresso viritim nel seno delle tribù, tributim ai fini della delibera comiziale. La votazione avviene contemporaneamente nei saepta delle varie tribù. L’elettore riceve una tabella che depone in una cista controllata da custodes. La proclamazione dei voti delle tribù iniziava con il sorteggio (sortitio) della tribù da scrutinare e proclamare per prima (tribus principium) e procedeva poi ordinatamente. L’operazione si interrompeva al raggiungimento della maggioranza delle tribù. I Latini, dotati di ius suffragii, votavano nei soli comitia tributa in una tribù estratta a sorte, in virtù dello ius migrandi. A partire dalla fine del IV secolo a.C. il voto dei liberti venne progressivamente ristretto ad un numero limitato di tribù, fino ad essere concentrato nella sola Esquilina. I concilia plebis Si definiscono concilia plebis le riunioni della plebe (non del populus) presiedute dalla figura del tribuno della plebe. Ai patrizi era assolutamente vietato prendere parte ai concilia plebis. Tali concili, esattamente come quelli a cui partecipavano i patrizi, svolgevano molteplici funzioni e avevano diversi ambiti di competenza: Giudiziario: si opponevano ai soprusi dei patrizi, rifiutavano la leva e la prigionia per debiti).○ Elettorale: avevano il compito di eleggere gli edili della plebis e i tribuni della plebe ○ Legislativo: interrogare la plebe e quindi deliberare il plebis scitum, vincolante per la sola plebe fino alla Lex Hortensia (287 a.C.) che equiparò i plebiscita alle leges publicae. ○ Il voto scritto e segreto Il voto segreto a Roma fu introdotto dalla Leges tabellariae, un gruppo di leggi che, modificatosi nel tempo, hanno portato ad un metodo di voto più simile a quello odierno: Lex Gabinia (139 a.C.): introduce il voto scritto nei comizi elettorali  Lex Cassia (137 a.C.) introduce il voto scritto nei comizi giudiziari  Lex Papiria (131 a.C.)introduce il voto scritto nei comizi legislativi  L'espansionismo precedente all'età monarchica La fine della monarchia portò a radicali cambiamenti non solo sul piano istituzionale ma anche su quello economico, sociale e militare. Le numerose battaglie intentare dopo la fine della monarchia portarono alla perdita dell’egemonia sulle comunità che controllava in precedenza. Una delle principali ragioni a cui ricondurre tale crisi furono le attività belliche di Sabini e Volsci, popolazioni di montagna stanziate sull'Appennino laziale che operavano scorrerie annuali. Intorno al 495 a.C. le incursioni divennero sempre più minacciose e compromisero il commercio verso il centro Italia. I Volsci conquistarono la città di Terracina (che diventerà Anxur), la occuparono e impedirono ai Romani le comunicazioni con la Campania (portarono ad una riduzione delle importazioni). Furono minacciati gli scambi commerciali romani sia verso nord che verso sud. Roma, nello stesso momento, conobbe un periodo di gravi carestie ed epidemie. I romani reagirono a questo pessimo periodo nell’unico modo che conoscevano: con la religione. Fu un periodo di grandissima costruzione di templi con l’intento di migliorare le condizioni in cui versava la città. Nuova sezione 1 Pagina 1 Pagina 14 Ad esempio, fu costruito il tempio a Saturno (divinità deputata ad eliminare le epidemie), finalizzato a eliminare le influenze malefiche, poi il tempio a Mercurio (dio dei commerci) costruito per riattivare i traffici interrotti da Sabini e Volsci, ancora quello intitolato a Cerere (dea del grano), a Libero e Libera (divinità del vino) per favorire i raccolti. Le carestie del V secolo ac Interessante a proposito delle carestie che afflissero Roma nel V secolo a.C. è l'episodio riportato da Livio in merito a un certo Spurio Melio, il quale nel 441 a.C. importò grano dall'Etruria e lo vendette a basso prezzo; così facendo si accattivò il favore della plebe, progettando di farsi re, e per questo fu ucciso. Lo stato aveva preso provvedimenti per far fronte alla carestia: aveva nominato un prefetto, Lucio Minucio, incaricato del coordinamento del rifornimento granario. Minucio informò il senato di quanto ordito da Melio; il senato incoraggiò il capo della cavalleria Gaio Servilio Ahala eliminare Melio. Ahala non venne incriminato per il delitto: In quel frangente Spurio Melio, dell'ordine equestre, per quei tempi ricchissimo, prese una iniziativa utile in se stessa, ma pessima come precedente, anche peggiore come intenzione. Incettata in Etruria a proprie spese una certa quantità di frumento per mezzo dei suoi ospiti e dei suoi clienti - e fu codesta, credo, la ragione che rese nulla l'iniziativa dello stato per ovviare alla carestia - cominciò a distribuirlo largamente. La plebe, adescata da quei donativi, gli faceva corteggio dovunque egli andasse, tronfio più che non convenga a un cittadino privato, e gli prometteva come certo, con il suo entusiasmo, il consolato. Ma per quella insaziabilità dell'animo umano che non si accontenta mai di ciò che la fortuna promette, egli volgeva le sue mire a cose più alte, non concesse; e poiché prevedeva che anche il consolato avrebbe dovuto strapparlo all'ostilità dei patrizi, cominciò a pensare al regno, solo degno premio di tanti preparativi, di progetti e della lotta che avrebbe dovuto impegnare con molto ardore (Livio 4, 13, 1-4). Sulla storicità dell'episodio pesa il sospetto di falsificazione motivata dalla volontà di confezionare un precedente per i casi di demagoghi fatti giustiziare dal senato nella tarda età repubblicana; il perdurare della carestia per tutto il V secolo a.C. sarebbe confermato, però, dalla notizia (sempre liviana) di un gruppo di popolani affamati che si suicidò gettandosi nel Tevere per sfuggire alla fame e dall'informazione riferita da Festo che, al compimento del sessantesimo anno, gli anziani venivano gettati da un ponte, per l'impossibilità di nutrirli. Le comunità latine approfittarono di questa pessima situazione per mostrare la loro insofferenza nei confronti della grande egemonia di Roma sui loro territori. Tra tutti spiccò Lavinio, una delle più grandi città sottomesse a Roma. Per mostrare la sua avversione nei confronti dei dominatori, fece allestire un santuario dedicato ai gemelli Dioscuri che si opponevano alla dea Diana. Il santuario dedicato ai Dioscuri a Lavinio Il luogo sacro, rinvenuto durante scavi archeologici a Pratica di Mare (l'antica Lavinio), è stato chiamato «santuario dei tredici altari», in ragione del numero di are colà rinvenute, ciascuna delle quali sarebbe appartenuta a una delle comunità del Lazio Antico facenti parte della lega. La titolarità del culto è documentata da una lamina bronzea della lunghezza di un piede romano (unità di misura corrispondente a 29,7 cm) rinvenuta spezzata in due parti in corrispondenza dell'ottavo altare. L'iscrizione incisa in andamento retrogrado (da destra a sinistra) in lettere dell'alfabeto latino arcaico corrisponde a una dedica, verosimilmente pubblica, ai gemelli Castore e Polluce, definiti quroi, cioè giovani (cavalieri): Castorei Podlouqueique i qurois. (CIL I 2833) Lavinio in concorrenza con Roma rivendicava la propria fondazione a opera dell'eroe troiano Enea. Roma affrontò la sedizione dei Latini in una battaglia campale presso il Lago Regillo nel 496 a.C. Alla vittoria dei Romani sul campo avrebbe concorso l'improvvisa apparizione dei gemelli divini a cavallo a tale intervento seguì, di conseguenza, il compimento del rito: gli dèi (che i Romani chiamavano Castori) si trasferirono e con il bottino della vittoria venne loro innalzato un tempio nel foro. Il trattato di pace dopo la battaglia del Lago Regillo prende il nome di trattato di Cassio (foedus Cassianum), poiché fu siglato da Spurio Cassio nel 493 a.C. quando questi ricopriva il consolato. I moderni propendono per una datazione più vicina alla battaglia, il 496 a.C. Nuova sezione 1 Pagina 1 Pagina 15 Il termine repubblica, nella sua origine latina (res - publica) non ha significato di democrazia ma di cosa pubblica, riconducibile alla definizione di <<affari del popolo>>. In realtà, Roma era retta da un regime aristocratico (che componeva l'élite sociale e politica). La repubblica romana non è mai stata una democrazia ma piuttosto un regime aristocratico nelle mani delle grandi famiglie (gens) dal 509 a.C. al 27 a.C. La nascita della repubblica Livio identifica nella limitazione della durata di un imperium consolare (un anno) uno dei tratti peculiari e caratterizzanti della svolta introdotta da Giunio Bruto e, più in generale, dallo stato repubblicano. A distinguere il potere dei consoli da quello regio era l'esercizio della collegialità nel comando dell'esercito (nello stesso campo di competenza). L'eredità monarchica Paradossalmente, gli elementi cardine del periodo repubblicano risalgono all'età monarchica. I critici vedono nei poteri dei consoli la riproduzione (se pur mitigata e distribuita su più personalità) del potere regio attribuito ai sette sovrani di Roma. Le istituzioni della repubblica DUE CONSOLI: annuali, eletti dai comizi centuriati secondo le prescrizioni di Servio Tullio. Il cittadino ottenne il diritto di appello con la Lux Valeria de provocatione. SENATO: si compone 300 membri che controllavano l'attività dei magistrati Sistema di ASSEMBLEE POPOLARI (Comizi curiati, Comizi centuriati e Tributi) Le magistrature Il pretore ha un potere di comando minore (imperium), e maggiore l’ha il console, e non può un potere minore fare oggetto di richiesta uno maggiore né un collega superiore esserlo da parte di un inferiore senza violazione del diritto (Aulo Gellio, NA 2.4.5) Il cursus honorum Un giovane che volesse intraprendere la carriera politica a Roma doveva seguire per intero lo schema del cursus honorum → Il numero dei posti disponibili era sempre meno elevato man mano che si salivano i gradini della magistratura: si eleggevano ogni anno ventiquattro tribuni militari per le prime quattro legioni chiamate alla leva ogni anno, dieci tribuni della plebe e otto questori, e solamente due consoli. La magistratura romana era considerata come un onore: essa non era retribuita e colui che veniva investito di tale cariche doveva poterne sostenere gli oneri finanziari ma era anche onore perché portava un grande prestigio sociale. Il consolato I consoli rivestivano il potere supremo sia civile che militare, non erano soggetti ad alcun magistrato ed avevano cura della res publica e del popolo. I consoli, magistrati eponimi ed annuali, furono introdotti nel 509 a.C. e inizialmente furono solo patrizi. A partire dal 367 a.C. (con le Leges Liciniae Sextiae) il consolato fu aperto anche ai plebei. A partire, invece, dal 172 a.C. entrambi i consoli poterono essere plebei (come previsto dalla Lex Genucia del 342 a.C). Venivano eletti dai comizi centuriati in novembre e, dopo una serie di atti formali, entravano in carica nel gennaio successivo. Il compito del pretore era l’interpretazione della legge in quanto depositario dello ius civile. Secondo alcuni, pretore era il titolo originario del console, ma il pretore come magistratura fu introdotta nel 367 a.C. per controbilanciare l’apertura del consolato ai patrizi. Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 18 La pretura Il pretore era eletto dai comizi centuriati e fino al 337 a.C. fu carica aperta ai soli patrizi. Nel 337 a.C. fu eletto il primo pretore plebeo. Il pretore era in possesso di un imperium minore rispetto a quello del console ma poteva avere funzioni militari (sempre in subordine rispetto al console). Il secondo pretore comparve nel 242 a.C., il cosiddetto praetor peregrinus. Contestualmente si ebbe il praetor urbanus. La dittatura La dittatura era una magistratura eccezionale, forse di origine latina, alla quale si faceva ricorso solo in sporadiche occasioni (in caso le magistrature tradizionali si rivelino inadeguate) Il dittatore non aveva collega poteva restare in carica solo sei mesi. Su proposta del Senato, uno dei consoli nominava tra i cittadini (compresi i privati) un dittatore che nominava a sua volta un comandante di cavalleria (magister equitum) che gli era subordinato. Nel corso del III secolo ac, la dittatura divenne di fatto una magistratura di sostituzione per rimpiazzare i magistrati superiori cum imperio: La convocazione dei comizi elettorali per eleggere i magistrati dell’anno seguente (comitiorum habendorum causa) ▫ La pratica di alcuni rituali religiosi che richiedevano un titolare dell’imperium più elevato (clavi figendi causa) ▫ L’organizzazione urgente del reclutamento del senato (senatus legendi causa)▫ Dopo la dittatura del 202 a.C. la dittatura scomparve dal panorama politico per apparire nuovamente solo con Silla e Cesare (esse non erano però più conformi alla legge). Il loro scopo ufficiale era riformare in profondità le istituzioni dello stato (rei publicae constituendae causa). La censura Si tratta di una magistratura particolare creata nel 443 ac per condurre le operazioni del census. Il census consisteva allo stesso tempo nel contare i cittadini (fare il censimento) e nel ripartirli, in funzione della dignità e della ricchezza di ciascuno, nelle differenti classi e centurie dell’organizzazione centuriata (discriptio classium). In un primo tempo, la censura ebbe un ruolo politico molto secondario e senza dubbio poco apprezzato. Questo spiegherebbe perché accadeva che si esercitasse la censura prima del consolato o della pretura. Dopo la censura di Appio Claudio Cieco, i censori procedevano ugualmente al censo dei cavalieri (census equitum) al momento della rivista dei cavalieri (recognitio equitum) al Foro. Le operazioni di census furono condotte in media regolarmente ogni cinque anni. Esse terminavano sempre con una cerimonia religiosa (lustrum) attraverso la quale si purificava la città che era come fondata una nuova volta. Lustro finì per designare l’intervallo di cinque anni che separava generalmente due censure. L'interrex In caso di vacanza del potere supremo (ossia in caso di contemporanea sparizione dei due consoli), gli auspici del popolo romano ritornavano ai senatori patrizi, che potevano ritrasmetterli ad un interrex (figura arcaica di chiara ascendenza monarchica), che, per un limitatissimo periodo di tempo e per scopi ben precisi, era l’unico a poter trarre gli auspicia in tutta Roma. I magistrati minori Eletti dai comizi tributi e organizzati in 5 collegi: IIIviri capitales: con funzioni di polizia e controllo delle esecuzioni capitali. • IIIviri monetales: che si occupavano della coniazione delle monete.• IVviri praefecti, incaricati della giurisdizione su alcune città campane. • Xviri litibus iudicandis, che presiedevano i giudizi per questioni di cittadinanza. • IVviri viis in urbe purgandis e i IIviri viis extra urbe purgandis, per la cura delle strade (con gli edili)• Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 19 Il tribunato della plebe I tribuni della plebe furono creati (in numero di due, per poi giungere ad essere dieci) per proteggere i plebei dagli abusi dei magistrati patrizi. I tribuni plebis furono introdotti a seguito della secessione sull’Aventino del 494 ac in connessione all’istituzione dei concilia plebis. I tribuni della plebe sono caratterizzati da: Inviolabilità personale (sacrosanctitas)○ Possibilità di soccorrere un plebeo contro l’azione di un altro magistrato (ius auxilii)○ Diritto di veto verso le proposte di altri tribuni o magistrati curuli, tranne il censore e il dittatore (ius intercessionis) ○ Facoltà di radunare i concilia plebis (ius agendi cum plebe)○ A differenza di altre magistrature, almeno inizialmente la carica poteva essere ○ reiterata senza intervalli di tempo Il senatus Noto in età monarchica come assemblea dei patres, e dei consiglieri del re, in età repubblicana acquistò sempre maggiore importanza esercitando di fatto la guida della res publica. Con la riforma di Servio Tullio, il numero dei senatori era salito a 300 e questa conformazione rimase in vigore fino all'avvento di Silla. CONSULARES PRAETORI AEDILICI CURALES AEDILICI PLEBEI TRIBUNICI QUAESITORII Il membro più anziano (nonché il primo a prendere la parola tra tutti i membri) era detto princeps senatus. Il senatus poteva essere convocato da tutti i magistrati cum imperio e dal tribuno della plebe. Poteva riunirsi in qualunque luogo consacrato sebbene la sede fosse la Curia ostilia. Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 20 La schiavitù per debiti: la servitù per debiti (nexum) non venne abolita, ma si stabilirono forme di riduzione e1) rateizzazione del debito con l'intento di ridurre il numero di debitori (si consentì infatti la deduzione degli interessi già pagati dal capitale del debito e la restituzione di quanto dovuto in tre rate) Spartizione dei bottini di guerra: nessun romano poteva possedere più di 500 iugeri (125 ettari) di agro pubblico (terra requisita al nemico e incamerata dallo stato). 2) Accesso al consolato: venne sottratto il potere consolare ai tribuni militari e venne ripristinato il consolato con l'unica condizione che un console doveva essere plebeo (Lucio Sestio Laterano). 3) Edili curiali: Livio testimonia la creazione di una carica simile a quella degli edili plebei che, tuttavia, aveva competenze riguardanti l'allestimento dei giochi in occasione delle festività. 4) Legge Petelia Papiria: la schiavitù dei debiti (nexum) fu, successivamente, ufficialmente abolita.5) È uno dei pochissimi casi nella storia del diritto romano in cui una legge fu abrogata con valore retroattivo (i nexi vennero tutti messi in libertà) La legge Petelia Papiria Livio celebra con parole enfatiche la decisione di abolire la schiavitù per debiti: In quell'anno si ebbe per la plebe quasi l'inizio di una nuova libertà giacché i plebei cessarono di essere asserviti per debiti. L'antica regolamentazione giuridica fu modificata [...] i consoli ricevettero l'incarico di proporre al popolo una legge secondo la quale nessuno poteva essere tenuto in ceppi o in catene, a meno che fosse stato dato a pegno per un delitto e sino all'espiazione della pena; solo i beni del debitore, non il suo corpo, potevano essere vincolati a garanzia. Così, gli schiavi per debiti [nexi] furono liberati e fu stabilito che non vi potesse essere in avvenire soggezione personale per i debiti (Livio 8, 28, 1). Plebei e il senato: nel 312 a.C. il censore Appio Claudio Cieco osò inserire per la prima volta nella lista dei senatori alcuni plebei e persino figli di liberti. 6) Portò anche l'abolizione della distinzione tra senatori ordinari (patres) e senatori aggiunti (conscripti). Norme giudiziarie omogenee: nel 304 a.C. Geo Flavio diede inizio al diritto di Flavio (ius Flavianum) rese pubbliche le trascrizioni giudiziarie per assicurare un trattamento omogeneo a tutti i cittadini. 7) Legge Valeria: la legge Valeria (lex Valeria de provocatione) permise ad un cittadino romano condannato a morte dal pretore di avere diritto ad appellarsi ad un'assemblea popolare. 8) Legge Ogulnia: aprì ai plebei l'accesso al pontificato e all'augurato (le più importanti cariche religiose del tempo). 9) Legge Ortensia: stabiliva che le delibere dell'assemblea dei plebei (concilium plebis), i cosiddetti plebisciti (plebiscita), fossero vincolanti anche per i patrizi. 10) Questo provvedimento mise fine al conflitto tra patrizi e plebei. Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 23 Il nomen latinum Con l'espressione nomen latinum si indicavano le popolazioni e le comunità appartenenti alla nazione latina. Si tratta di un’espressione an tica, basata su fatti mitologico-genetici. I Romani adottavano un atteggiamento, nei confronti dei Latini, diverso rispetto a quello verso gli altri popoli alleati: riconoscendone il nomen, ne riconoscevano il genus. La lega latina Si definiva con il nome lega latina l'insieme di otto comunità unite dal fatto di essere popolazioni latine. Le prime otto comunità a prendere parte alla lega furono Tusculum, Aricia, Lanuvium, Tibur, Cora, Laurentum e Ardea Successivamente a queste comunità se ne unirono altre fino ad arrivare ad un numero massimo di trenta. Secondo le fonti antiche, le trenta città appartenenti alla lega latina erano: Antemnae, Ardea, Aricia, Babento, Bovillae, Cabum, Cora, Carvento, Circei, Corioli, Corbione, Fidenae, Fortinea, Gabii, Labici, Lanuvium, Lavinium, Laurentum, Nomentum, Norba, Praeneste, Pedum, Querquetulum, Satricum, Scaptia, Setia, Tellenae, Tibur, Tusculum, Tolerium e Velitrae. Le guerre romano-latine La lega latina aveva in comune l'adorazione del tempio di Mons Albanus, costruito da Ascanio (figlio di Enea) nelle vicinanze della città di Alba Longa. Il tempio era dedicato a Iuppiter Latiaris e ospitava ogni anno le Feriae latinae. A questa festa partecipava tutto il popolo della lega latina. I primi contrasti tra Roma e le popolazioni latine emersero già al tempo della monarchia, durante il regno di Anco Marcio. Lo scontro proseguì anche durante il periodo repubblicano per essere sospeso dopo la battaglia del Lago Regillo a cui seguì la stipula del trattato romano-latino (noto come Foedus cassianum) che pose Roma a capo della lega latina. Quando la guida della lega latina cadde sotto il controllo di Roma, il compito di stabilire la data delle feriae latinae spettò ai consoli. Sebbene fu privata del suo significato, la feriae latinae continuò ad essere celebrata. Gli antefatti Tarquinio il superbo, in fuga da Roma, aveva trovato ospitalità a Tusculum presso il genero Ottavio Mamilio (Livio lo definisce princeps latini nominis) 1) Tarquinio e i suoi seguaci si stavano adoperando per tornare a Roma con il supporto di Ottavio Mamilio.2) Aulo postumio, console nel 496 a.C., fu nominato nuovo dittatore.3) L'esercito romano, di gran lunga inferiore a quello nemico, fu dislocato presso il Lago Regillo in un'area facilmente difendibile (il sito è oggi identificabile vicino a Frascati). 4) Quando i Romani seppero che i Tarquini facevano parte dell'esercito dei Latini, furono spinti dall'ira ad attaccare immediatamente battaglia […] Perfino Tarquinio Superbo, che pure era appesantito e indebolito dall'età, combatteva in prima fila. (Livio) Il dittatore rimase ucciso nella battaglia mentre portava soccorso a Tarquinio, messo in difficoltà dagli attacchi di Postumio. 5) Il legato romano Tito Erminio lo vide e gli si scagliò contro e lo uccise con un colpo di lancia. Tarquinio, terrorizzato, si recò presso il tiranno di Cuma Aristodemo dove morì nel 495 a.C. La battaglia si risolse con la vittoria dei romani e al dittatore Aulo Postumio fu concesso l'onore del ritorno trionfale in città. 6) Il Senato gli concesse, inoltre, l'appellativo a completamento del suo nome. Il dittatore romano aveva chiesto aiuto in battagli agli dei Dioscuri (fece voto di dedicare loro un tempio). Si videro allora comparire due giovani guerrieri nudi con un mantello rosso armati di spada, lancia e scudo. Nessuno li conosceva, ma i giovani montarono su due cavalli e combatterono portando i romani alla vittoria. A vittoria ottenuta, essi ne parlarono a tutta la città presso la fonte e vi fecero abbeverare i cavalli. Il culto dei Dioscuri giunse a Roma dalle città della Magna Graecia, come ci testimonia una laminetta bronzea di VI-V secolo a.C., proveniente da Lavinio. Il Foedus Cassianum Il Foedus Cassianum prende il nome dal console che lo firmò, Sp. Cassio Vecellino. Nuova sezione 1 Pagina 1 sso sanciva, su un piano di parità, l’alleanza tra Roma e le città latine: ogni città, a turno, comandava Pagina 24 Roma e le città latine condividevano lo ius connubii e lo ius commercii (lo ius migrandi non era ancora previsto). Il Foedus Cassianum rimase valido fino al 338 a.C. quando, dopo la guerra romano-latina, Roma sciolse la Lega Latina. Il potere politico per gli Etruschi era nelle mani di un re (o in quelle di un’oligarchia) mentre le città erano organizzate in leghe (confederazioni) di dodici comunità, conosciute come dodecapoli. La più famose è la dodecapoli dell’Etruria meridionale (il centro principale era Caere, ma altre leghe sono conosciute dalle fonti letterarie). I rapporti tra gli etruschi e i romani per punti Primo periodo (VI - V secolo a.C. Primo trattato Roma-Cartagine (509/08 a.C.): si trattava del rinnovo di condizioni già stabilite con i Cartaginesi dai re etruschi. • Spedizione di Porsenna contro Chiusi (507 a.C.)• Spedizione contro Veio (479 a.C.), battaglia del Cremera e disfatta dei Fabii (479 a.C.)• Secondo periodo (V- IV secolo a.C.) Seconda guerra tra Roma e Veio (440-425) • I Romani assediano e occupano Veio (istituzione del tributum) nel 396 a.C. • I Galli di Brenno conquistano Roma (390-385) , i sacra e le Vestali della città vengono trasferiti a Caere. • Coalizione di Etruschi, Sanniti, Umbri, Sabini e Galli contro Roma (terza guerra sannitica) tra il 300-280 a.C. Sconfitta del Sentino: Volsinii, Arezzo e Perugia si arrendono a Roma(295 a.C.)• Distruzione di Volsinii, ultima città indipendente dell’Etruria (265 a.C.)• Venne rifondata come città alleata. Terzo periodo (III - II secolo a.C.) Gli Etruschi e la terza Guerra sannitica (298-290 a.C.) • Etruschi fedeli ai Romani nella Seconda Guerra Punica (218-202 a.C.)• Aiuti e contingenti etruschi forniti a Scipione contro Annibale. • Fondazione di numerose colonie in Etruria e diffusione del sistema della villa (250-170 a.C.)• Le riforme dei Gracchi non toccano l’ager in Etruria (130-120 a.C.)• Al tempo della Guerra Sociale (91 a.C.) ottennero subito la cittadinanza romana insieme ai Latini.• Al tempo della guerra civile tra Silla e Mario, molte città parteggiarono il secondo. • Questo fu causa di repressioni sanguinarie ad opera di Silla in Etruria. Quarto periodo (I secolo ac - I secolo dc) Non prendono parte alla Guerra Sociale (91-89 a.C.) • L’Etruria diventa la Regio VII nella sistemazione della penisola italica operata da Augusto.• Morte dell’imperatore Claudio. • Gli aruspici annunciano ufficialmente la fine della nazione etrusca dopo dieci secoli etruschi di storia (54 dc). Nel 396 a.C. Veio fu conquistata dai romani. Nel 294 a.C. cadde la seconda città etrusca, Rusellae, e di seguito tutte le città dell'Etruria meridionale persero la loro indipendenza (alcune delle quali scomparvero definitivamente - Vulci, Veio, Volsinii, Sovana e Populonia). Al nord le incursioni continue dei celti, iniziatesi prima del VI secolo a.C., distrussero i centri della pianura padana (Felsina, Melpum, Marzabotto, Spina). Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 25 Nel IV secolo ac era iniziato per Roma un ottimo periodo, che ebbe inizio con un grande successo militare, ovvero la conquista della città etrusca di Veio. Poco tempo dopo però, la grande battuta espansionistica di Roma subì un crollo improvviso: nel 390 a.C., la città venne occupata da un contingente di Galli Sènoni (una delle ultime popolazioni ad essersi stanziata in Italia). Quando la notizia dell'assedio arrivò, l'esercito uscì per affrontare il nemico ma fu sconfitto sul fiume Allia in un giorno il 18 luglio (che, da quel momento, sarà ricordato come un giorno luttuoso). Gli abitanti di Roma vennero fatti evacuare verso Veio e molti edifici della città andarono perduti (come la Regia). Secondo alcune fonti, i Galli non avrebbero agito di loro volontà poiché figuravano come alleati del tiranno greco di Siracusa Dionigi I. A Roma il trauma dell'occupazione si tradusse per i cittadini nell'incubo collettivo che l'evento si riprodusse, nell'invasione celtica (tumultus Gallicus). Lo stanziamento delle tribù celtiche in Italia Mentre lo storico Livio data l'invasione al VI secolo a. C., la testimonianza dello storico Polibio la situa all'inizio del IV secolo a.C. e descrive la progressiva occupazione dell'Italia settentrionale da parte delle tribù celtiche, notando come procedesse secondo la tecnica dello scavalco: I Celti, che avevano con loro [cioé gli Etruschi] frequenti relazioni in ragione della vicinanza e guardavano con invidia alla bellezza del loro territorio, li assalirono improvvisamente, sulla base di un piccolo pretesto, con un grande esercito, cacciarono i Tirreni (cioè gli Etruschi] dalla regione padana e occuparono essi stessi la pianura. Si stabilirono, dunque, nelle zone all’estremità della pianura, situate presso le fonti del Po, i Lai e i Lebeci, e dopo loro gli Insubri, che erano il popolo più grande fra loro; immediatamente dopo questi, lungo il fiume, i Cenomani [...]. Si insediarono nelle zone al di là del Po, presso l'Appennino, per primi gli Anari e dopo di loro i Boi; subito dopo questi, verso l'Adriatico, i Lingoni e per ultimi, sul mare, i Sènoni. (Polibio 2, 17, 3-18). Le evidenze archeologiche hanno oggi dimostrato come già da due secoli si registrassero infiltrazioni in Italia di bande di Celti, per lo più con funzione di mercenari. L’incursione di Brenno Lo storico greco Polibio, pur ricordando la resistenza romana sul colle Campidoglio, non sembra conoscere la consolatoria versione romana: In origine, dunque [i Galli Sènoni] non solo dominavano sulla regione, ma avevano anche assoggettato molti dei popoli vicini, atterriti dalla loro audacia. Dopo qualche tempo, avendo sconfitto in battaglia i Romani e quelli schierati con loro, inseguendo i fuggitivi, tre giorni dopo la battaglia occuparono la stessa Roma, a eccezione del Campidoglio. Ma poiché sorse un ostacolo e i Veneti fecero irruzione nel loro territorio, allora, conclusi i patti con i Romani e restituita la città, fecero ritorno nella propria terra. (Polibio, 2, 18, 1-3) I motivi dell’incursione gallica Lo storico Pompeo Trogo, che scrisse in età augustea e la cui opera fu riassunta dall' epitomatore Giustino, conserva memoria di un'alleanza fra i Galli e il tiranno siciliota: Ma, mentre Dionigi conduceva questa guerra, si recarono da lui per chiedere alleanza e amicizia gli ambasciatori dei Galli, che alcuni mesi prima avevano incendiato Roma. Essi sostenevano che la loro gente si trovava in mezzo ai nemici di Dionigi e che gli sarebbe stata di grande giovamento, sia quando egli avesse combattuto in campo aperto, sia assalendo alle spalle i nemici impegnati nella battaglia. Questa ambasceria riuscì gradita a Dionigi: così, stabilita l'alleanza e rafforzato dagli aiuti dei Galli, riprese come da capo la guerra (Giustino, 20, 5) Il tiranno di Siracusa perseguiva un'energica politica espansionistica che mirava a controllare le rotte commerciali in ambito sia adriatico che tirrenico. In Adriatico lo scopo fu raggiunto attraverso 'insediamento di colonie siracusane su entrambe le sponde, fra cui spiccavano, sulla costa occidentale, gli empori di Ancona e Adria. Nuova sezione 1 Pagina 1 Pagi a 28 Per quanto attiene alla rotta tirrenica, che era stata da secoli oggetto di contesa, Dionigi mirava a impadronirsi del segmento settentrionale presidiato dai Cartaginesi con l'appoggio, come si ricorderà, dell'etrusca Cere, che sul Tirreno contava ben tre porti: Pirgi, Alsio e Punico. Probabilmente Roma divenne obiettivo dei Galli per il suo legame di alleanza con Cere e con Cartagine e il sacco di Roma si configurerebbe, quindi, come episodio dell'intraprendente politica di espansione marittima di Dionigi di Siracusa, che poco dopo operò un'incursione piratesca contro il santuario cerita di Pirgi che depredò; dovette tuttavia presto desistere dal suo progetto per problemi interni alla città siciliota. Gli archeologi sono oggi inclini a minimizzare gli effetti distruttivi del sacco di Brenno, perché non riscontrano sul terreno, a eccezione del sito della Regia, gli effetti di devastazione che le fonti letterarie denunciano con grande evidenza. Comunque sia, conseguenza immediata della sconfitta dell'esercito romano presso il fiume Allia e dell'occupazione di Roma fu la crisi dell'alleanza tra Romani e Latini, i quali si erano astenuti dall'intervenire, disattendendo la prima clausola del trattato di Spurio Cassio (foedus Cassianum). All'indomani del sacco gallico, si procedette quindi a innalzare una poderosa cinta muraria in tufo di Veio; essa corrisponde alle cosiddette mura serviane. Le guerre sannitiche si articolarono in tre fasi: Volsci, Sanniti, Lucani, Bruzi erano tutti popoli di montagna che premevano sulle città costiere, etrusche e latine e greche. Roma scelse di schierarsi con gli insediamenti urbani di pianura contro le popolazioni di montagna. Roma scelse di proteggere i territori della magna Grecia perché si sentivano affini per origini e cultura. Anche i territori della Grecia erano sedentari, urbanizzati, avevano un'economia agricola diversamente da molti territori che vivevano come seminomadi in insediamenti precari e vivevano di un'economia silvio - pastorale Il conflitto si svolse nella seconda metà del IV secolo ac. I Sanniti furono il popolo con cui i romani dovettero scontrarsi con maggiore frequenza ed incarnarono la volontà di tutti i popoli che desideravano opporsi ai romani. Nella prima fase della guerra sannitica (343-341 ac) Roma intervenne al fianco alla città greca di Capua che subiva le continue incursioni dei popoli di montagna che desideravano occuparla. La repubblica, che aveva di recente siglato un trattato con i sanniti, utilizzò un espediente per riuscire a proteggere Capua senza rompere l’accordo: ottenendo la resa di Capua e la sua annessione allo stato romano, il conflitto con i sanniti divenne automaticamente legittimo (bellum instum). Nuova sezione 1 Pagina 1 Pagi a 29 Antefatto delle guerre puniche Il primo trattato (509-508 a.C.) L’esistenza di questo trattato è incerto. Solo Polibio ne afferma l’esistenza, pur specificando che la lingua (latino) in cui era stato siglato era così arcaica da essere compresa solo con difficoltà. Livio ne conferma, implicitamente, l’esistenza, quando sostiene che il trattato del 306 a.C. (il cosiddetto trattato di Filino) era il terzo siglato dalle due potenze. Diodoro Siculo ne nega invece l’esistenza, sostenendo che il primo trattato fu firmato solo nel 348 a.C. in corrispondenza con quello che per le altre fonti sarebbe il secondo patto romano-cartaginese. A queste condizioni ci sia amicizia fra i Romani e gli alleati dei Romani e i Cartaginesi e gli alleati dei Cartaginesi: né i Romani né gli alleati dei Romani navighino al di là del promontorio Bello, a meno che non vi siano costretti da una tempesta o da nemici. Qualora uno vi sia trasportato a forza, non gli sia permesso di comprare né prendere nulla tranne quanto gli occorre per riparare l'imbarcazione o per compiere sacrifici, e si allontani entro cinque giorni. A quelli che giungono per commercio non sia possibile portare a termine nessuna transazione se non in presenza di un araldo o di un cancelliere. Quanto sia venduto alla presenza di costoro, se venduto in Libia o in Sardegna sia dovuto al venditore sotto la garanzia dello stato. Qualora un Romano giunga in Sicilia, nella parte controllata dai Cartaginesi, siano uguali tutti i diritti dei Romani. I Cartaginesi non commettano torti ai danni degli abitanti di Ardea, Anzio, Laurento, Circei, Terracina, né di alcun altro dei Latini, quanti sono soggetti (Polibio 3.24, 12-13) Il trattato riconosce il dominio di Roma sul Lazio e Cartagine come potenza navale, i cui interessi si estendevano su Sicilia, Sardegna e Corsica. A Roma non viene ancora riconosciuto alcun diritto sull’Italia meridionale, allora ancora in mano alle comunità magno-greche e alle popolazioni italiche dell’interno. Nuova sezione 1 Pagina 1 Pagina 30 Grazie alla nuova flotta, il console Gaio Duilio vinse la flotta cartaginese a Milazzo nel 260 ac. Dopo alterne vicende il console Gaio Attilio Regolo decise di aprire un nuovo fronte. Nonostante alcuni rovesci, le legioni riuscirono a conquistare Palermo. La battaglia viene combattuta nel 241 ac sul mare da Gaio Lutazio Catulo presso le isole Egadi: qui l'ammiraglio Amilcare Barca subì una clamorosa sconfitta e fu costretto a siglare la resa. Le condizioni della pace Lo storico greco Polibio riporta i termini del trattato che pose fine alla prima guerra punica: Avendo Lutazio accolto di buon animo le richieste, poiché era consapevole che la condizione dei suoi era ormai logorata e sfinita dalla guerra, pose fine alla contesa, dopo che furono redatti i seguenti patti: «Ci sia amicizia tra Cartaginesi e Romani a queste condizioni, se anche il popolo dei Romani dà il suo consenso. I Cartaginesi si ritirino da tutta la Sicilia e non facciano guerra a lerone né impugnino le armi contro i Siracusani né contro gli alleati dei Siracusani. I Cartaginesi restituiscano ai Romani senza riscatto tutti i prigionieri. I Cartaginesi versino ai Romani in vent'anni 2.200 talenti euboici d'argento». Quando furono riferite a Roma queste condizioni, il popolo non accettò i patti, ma inviò dieci uomini per esaminare la situazione. Essi, una volta arrivati, non cambiarono più nulla, nell'insieme, ma imposero ai Cartaginesi condizioni un po' più dure. Dimezzarono infatti il tempo a disposizione per pagare il tributo, cui aggiunsero 1.000 talenti, e imposero inoltre che i Cartaginesi si ritirassero da tutte le isole che si trovano tra l'Italia e la Sicilia. (Polibio 1, 62, 7- 63, 3) Il progetto egemonico di Roma sulle rotte marittime non si limitava alla zona del tirreno ma si estendeva fino a quella adriatica contava tre colonie: Rimini (Ariminum), Senigallia (Sena Gallica) e Brindisi (Brundisium). Per proteggere le proprie colonie, Roma decise di arginare la pirateria degli Illiri che condizionavano i traffici per mare. Fra le massime figure delle tribù costiere spiccò la regina Teuta che fece uccidere uno degli inviati romani nei suoi territori offrendo un pretesto per dare inizio ad una guerra. Essa si sviluppò in due campagne vittoriose (230-229 ac) conosciute come il nome di guerre illiriche. La seconda guerra punica fu per Roma una guerra difensiva. Dove? Penisola italica I protagonisti: Quinto Fabio Massimo, Publio Cornelio Scipione (Africano), Annibale L'inizio della guerra si registrò in Spagna dove la famiglia Barca (di origine cartaginese) si era insediata e aveva iniziato a sfruttare le risorse minerarie, migliorando l'economia e conquistando il favore della popolazioni locali. Questa azione politica non piacque ai romani che strinsero un'alleanza con la città greca Marsiglia (Massalia) e iniziarono a pensare di dichiarare nuovamente guerra ai cartaginesi. Mentre il senato prendeva decisioni a riguardo, la città fu espugnata. Annibale concepì un perfetto sistema d'attacco: valicò i Pirenei, eluse la sorveglianza romana che lo attendeva nella Gallia meridionale e riuscì a passare le Alpi, riuscendo ad arrivare in territorio romano. La strategia di Annibale mirava anche a creare una coalizione di comunità italiche contro Roma. I Celti padani, i Liguri, I Libi, gli Iberi e i Numidi si allearono in una coalizione contro Roma e alleata con Cartagine che riuscì a sconfiggere i romani sul fiume Ticino e sul fiume Trebbia. Sul lago Trasimeno, Annibale (tramite un'aggressione avvolgente) tese un'imboscata ai romani che furono costretti a combattere con il mare alle spalle. Questo causò una grande sconfitta per i romani che videro anche la morte del console Gaio Flaminio. Il dittatore Quinto Fabio Massimo (detto il Temporeggiatore) organizzò una nuova strategia di logoramento per tentare di fronteggiare il pericolo di Cartagine. Nuova sezione 1 Pagina 1 Pagina 33 La tecnica di Quinto Fabio Massimo consisteva nell'espandere la leva militare e nell' evitare il conflitto diretto. La nuova imposizione di Quinto Fabio Massimo fu messa in pratica per la prima volta il 2 agosto del 216 ac a Canne. Nonostante questo assetto si dimostrò efficace, Cartagine fu vincente. Dopo questa sconfitta, per Roma iniziò un periodo di risalita: Capua, la nuova capitale dei domini di Annibale, cadde sotto il dominio romano. Nel 209 ac, in Spagna, iniziò ad affermarsi la figura di Publio Cornelio Scipione (detto l'Africano). Nella penisola iberica Scipione annientò l'egemonia cartaginese e riuscì a fondare una nuova città, Italica. Asdrubale, condottiero cartaginese, fu costretto a lasciare l'Italia e Scipione arrivò in Africa. Come strategia, Scipione aveva messo sul trono di Numidia (un territorio dell'Africa) il sovrano Massinissa, suo alleato. Questo causò grandi problematiche ai Cartaginesi e condusse ad una battaglia nella pianura di Zuma (202 a.C.), che vide la vittoria di Roma su Cartagine. Il vincitore Scipione impose a Cartagine una durissima condizione di pace che mise definitivamente fine all'egemonia punica sul mare. (149-146 a.C.) La terza guerra punica fu combattuta fra Cartagine e la Repubblica di Roma fra il 149 a.C. e il 146 a.C. Fu l'ultima delle tre guerre fra le due potenze. Alla fine del conflitto, Cartagine fu rasa al suolo. Ancora una volta le ragioni dello scoppio della guerra vanno ricercate nel mancato rispetto del trattato che regolava i rapporti tra Roma e Cartagine sin dalla fine del secondo conflitto romano -punico. Secondo una clausola di tale trattato, Cartagine non avrebbe potuto reagire ad attacchi esterni senza un’autorizzazione da parte di Roma. Scopo di questa clausola era limitare se non annullare qualunque spinta espansionistica cartaginese. A questo punto, si inserisce nelle vicende tra Roma e Cartagine Massinissa, re di Numidia (regione a sud del territorio cartaginese), già alleato dei Romano contro Annibale durante la seconda guerra punica. Approfittando della debolezza in cui versava Cartagine (a causa della situazione creatasi in seguito alla fine del secondo conflitto punico), Massinissa, indisturbato, compieva scorribande e saccheggi nel territorio cartaginese. Dopo iniziali titubanze, dovute anche alla volontà di rispettare i patti con Roma, Cartagine si decise a reagire contro Massinissa. La prima guerra macedonica La redazione greca del patto, stilato nella sua versione per Roma in lingua latina, è conservata si supporto epigrafico: una stele in calcare mutila, rinvenuta nel 1949. Essa attesta con chiarezza come in questa fase Roma non intendesse tradurre la sua azione militare in un'occupazione stabile della Grecia: … i magistrati dell'Etolia dichiareranno immediatamente guerra a tutti questi [nemici], come il popolo etolico ritiene opportuno. Se i Romani prenderanno con la forza qualche città appartenente a questi popoli, tali città e i loro territori, per quanto concerne il popolo romano, apparterranno al popolo etolico; qualsiasi cosa di cui i Romani si approprieranno, tranne le città e i loro territori, apparterrà invece a loro. Se i Romani e gli Etoli operando congiuntamente conquisteranno qualcuna di queste città, le medesime e i loro territori apparterranno, per ciò che concerne il popolo romano, agli Etoli; qualsiasi cosa di cui 'impossesseranno, escluse le città, diverrà di loro comune possesso. Se qualcuna di queste città passerà dalla loro parte o si unirà ai Romani o agli Etoli, gli Etoli potranno, quanto al popolo romano, accettare nella loro Lega gli abitanti, le città e i territori... indipendenti... pace... (IG IX R2, 241) I romani crearono una coalizione di territori ostile a Filippo V (signore di Macedonia) capitanata dalla Lega Italica. Il motivo di quest'azione era l'ambizione espansionistica di Filippo V che causava grossi problemi e tensioni a Roma e nei territori vicini. Così Roma decise di inviare un ultimatum alla Macedonia invitandola a cessare le ostilità e ad accettare l'arbitrato romano. L'assemblea popolare romana era fortemente contraria ad intentare una guerra contro la Macedonia a causa degli ingenti costi e del difficile equilibrio con Cartagine (ad essere favorevole erano però i Comizi centuriati). Nuova sezione 1 Pagina 1 P gina 34 Senza più avversari nel mediterraneo, Roma spostò le proprie mire sul territorio occupato dalle popolazioni di Pergamo, dell’ Egitto, della Siria e della M acedonia. L'inizio dell'operazione avve ne dopo il duro scontro fra f zioni all'interno del Senato romano: da un lato vi erano i legati alla proprietà terriera, tra cui M arco Procio Catone detto il Censore (erano contrari alla scelta perché ritenuta troppo rischiosa e dannosa per il settore agricolo e per il delicato equilibrio con Cartagine) dall'altro le élite militari, tra cui il console Scipione l'Africano (interessati ai nuovi bottini di guerra quindi favorevole alla campagna bellica in Oriente). A questa fazione si ran uniti i gr ppi mercantili, che vedevano nuove possibilità di scambi commerciali e di guadagni, e gran parte dell' ristocrazia senatoria che nutriva una grande ammirazione per la iviltà ellenistica. L'occasione per un nuovo conflitto fu offerta dalla richiesta di aiuto delle leghe eloliche e achea contro Filippo V di Macedonia che minacciava la libertà delle poleis e mirava anche ad attaccare la flotta romana che risposta alla minaccia dando avvio ad un conflitto che ha prese il nome di prima guerra macedonica (215 a.C.- 205 a.C.). Nel 214 a.C. il console romano Marc Valerio Levin strinse un'alleanza con la Lega etolica e Attalo I re di Pergamo riuscendo a contenere le mire di Filippo V, ma i romani dovettero riportare le truppe sul fronte della seconda guerra punica e così siglarono la pace di Fenice con cui Filippo V ottenne uno sbocco sul mar Adriatico. La seconda guerra macedonica (203 a.C. – 197 a.C.) Dopo due anni dalla pace di Fenice, Filippo V occupò i territori di Pergamo e Rodi, entrambe alleate di Roma, così l’esercito romano, guidato dal console Tito Quinzio Flaminio, fu costretto a scontrarsi con il sovrano macedone e lo sconfisse nel 197 a.C. a Cinocefale. Filippo V dovette rinunciare al controllo della Grecia e fu costretto a consegnare la sua flotta. L'anno dopo a Corinto, in occasione dei Giochi Istmici, Flaminino proclamò la libertà della Grecia dimostrando di non avere alcuni mira sul territorio. La fine della guerra scontentò la Lega Etolica (primissima alleata di Roma nel conflitto) perché Roma aveva violato il patto non donando alcun territorio conquistato alla lega. Nel frattempo, il re di Siria Antioco III sbarcò in Grecia per cercare si sobillare alcune poleis contro Roma. Roma sconfisse la Siria per la prima volta presso le Termopili (luogo molto significativo per i Greci) nel 191 a.C. e poi nuovamente a Magnesia (Asia minore) l’anno successivo. I territori sottomessi alla Siria furono ceduti al Regno di Pergamo e rimasero dunque sotto il dominio romano. A Roma non restava altro che annientare completamente la potenza macedone che, capitanata dal nuovo sovrano Perseo (figlio di Filippo V) riaprirono il conflitto con la città latina facendo leva anche sulle insofferenze della poleis. La terza guerra macedonica (171 a.C. – 168 a.C.) La terza guerra macedonica iniziò nel 171 a.C. e si concluse con la decisiva vittoria dei romani a Pidna nel 168 a.C. Perseo fu catturato e i greci che avevano deciso di appoggiarlo furono duramente puniti. Il regno di Macedonia venne sostanzialmente distinto in quattro stati posti sotto il controllo di Roma per evitare una nuova minaccia alla stabilità della regione. [Perseo] inviò ambascerie o, più in generale, lettere chiedendo che fossero dimenticate le liti col proprio padre poiché esse non erano state così gravi da non potere ora essere risolte con lui, come appariva conveniente; per quanto lo concerneva, egli intendeva ricominciare daccapo ed era pronto a stringere autentica amicizia. Perseo era infatti ansioso di trovare un modo per guadagnarsi il favore della Lega Achea (Livio 42, 22, 7-8) Su indicazione di Catone, divenne immediatamente necessario per i romani eliminare completamente la minaccia cartaginese. Cartagine, dopo il termine della guerra, aveva iniziato lentamente un nuovo periodo di espansioni. Roma decise di intentare una nuova guerra che tuttavia, inizialmente, non sembrò avere un grande successo. Publio Cornelio Scipione Emiliano (figlio di Lucio Emilio Paolo) diede inizio ad un periodo di assedio nella città di Cartagine che si concluse nel 146 a.C. quando essa cadde e venne distrutta. Sulle ceneri della vecchia città punica nacque la nuova provincia d'Africa. Pagina 35 Molti popoli in rivolta deposero le armi e accettarono l’offerta, altri, come i Sanniti, continuarono a combattere (più per un volontà di rivalsa e per ribellione che per ottenere altre concessioni da Roma). Il problema della concessione della cittadinanza degli Italici non si risolse facilmente perché si aprì la questione di dover assegnare ai nuovi cittadini una tribù in cui votare (per i comizi centuriati, il problema non si pose, poiché anche gli Italici furono registrati nelle centurie a seconda della loro classe di censo). Il problema si pose per i comizi tributi: se gli Italici fossero stati collocati in tutte le tribù, avrebbero avuto il potere di determinare l’andamento del voto ma se fossero stati concentrati solo in poche tribù questo avrebbe reso vani gli effetti della concessione della cittadinanza, poiché il loro voto non avrebbe avuto alcun valore. Questo dilemma si tramutò immediatamente in una questione politica: Publio Sulpicio Rufo propose, tramite la sua Lex Sulpicia de novorum civium libertinorumque suffragiis, di ripartire gli Italici in tutte le 35 tribù (desiderava inoltre che lo stesso beneficio fosse esteso ai liberti che con la legge di Emilio Scauro (115 ac) erano stati esclusi dalle tribù rustiche). Lo scopo di Rufo era quello di guadagnare il favore (e di conseguenza il voto) dei nuovi cittadini italici. La legge fu abolita da Silla tuttavia, quando Cornelio Cinna tornò dall'esilio e fu nuovamente eletto console, la questione degli italici fu risolta utilizzando il criterio proposto da Rufo. La questione delle votazione rappresentava in realtà un falso problema poiché, per votare, era necessario essere presenti a Roma al momento delle votazioni e ciò era praticamente impossibile per gli italici. La concessione della cittadinanza fu una modalità di integrazione dell' élite italiche nel corpo civico romano (ciò spiegherebbe il motivo per cui Roma, durante la guerra sociale, si era sentita di dover trovare immediatamente un accordo con gli italici). Come conseguenza delle espansioni e del conseguente slancio economico, l’assetto sociale romano subì alcuni cambiamenti. A capo della gerarchia sociale vi erano 300 famiglie appartenenti alle più grandi famiglie patrizie e plebee. Una ventina di queste famiglie, conosciute come la nobiltà (nobilitas) monopolizzavano i vertici delle più alte cariche politiche, tra cui la magistratura. Durante il III secolo ac si diede inizio ad un’apertura del senato seguendo due direzioni: Apertura geografica: vennero ammessi alle cariche politiche anche cittadini appartenenti alle città dell’area tirrenica ○ Apertura verso il basso: vennero ammessi alle cariche anche individui (come Marco Porcio Catone e Gaio Flaminio) che non appartenevano a famiglie della classe dirigente. ○ Per entrare a far parte della carriera politica, tuttavia, occorreva disporre di un ingente patrimonio poiché, come già accennato, tali cariche erano un honor e frequentemente non venivano retribuite ed era compito dell’individuo che ricopriva la carica coprire tutti i costi. L’aristocrazia disponeva, inoltre, di strumenti per assicurarsi il mantenimento del potere: solo i magistrati potevano convocare le assemblee (potevano dunque scegliere i giorni che preferivano evitando, ad esempio, il giorno del mercato per allontanare le masse contadine ed i plebei rurali). La più grande ricchezza dell’aristocrazia fu, da sempre, la proprietà terriera. Ciò cambiò quando la Legge Claudia (approvata in senato se pur sostenuta solo da Gaio Flaminio) nel 218 ac vietò ai senatori di possedere navi commerciali di capacità superiore a 300 anfore (la legge nacque da un pregiudizio ideologico secondo cui il commercio faceva ottenere solo ricchezza impura). Tale legge portò un’ulteriore modifica nell’assetto sociale romano: nacque un nuovo ceto sociale composto da coloro che si erano arricchiti grazie al commercio, alle loro iniziative finanziarie e attività commerciali. La legge claudia 300 anfore corrispondevano al numero di contenitori ceramici idoneo a trasportare il quantitativo di produzione agricola valutato come sufficiente alla vita di una famiglia romana aristocratica (servi e clienti compresi) per un anno. I senatori possedevano appezzamenti terrieri da cui dovevano far giungere a Roma i prodotti agricoli che la legge si proponeva di non rendere oggetto di commercio, ma solo di autoconsumo. Tito Livio ricorda che il provvedimento in realtà fu un plebiscito votato dai comizi contro il parere del senato: [Gaio Flaminio] era odiato dai senatori a causa di una legge che Q. Claudio, in qualità di tribuno, aveva recentemente passato contro l'opposizione del senato nel suo complesso, o, più precisamente, col sostegno di un solo senatore, G. Flaminio; tale legge disponeva che a nessun senatore o figlio di senatore fosse lecito possedere navi d'alto mare capaci di trasportare più di trecento anfore; tale misura sembrava infatti sufficiente per il trasporto di derrate dalle tenute di un senatore; l'attività commerciale sembrava incompatibile con la carica di senatore. Pagina 37 La questione suscitò animate controversie e sollevò verso G. Flaminio che aveva appoggiato la legge l'ostilità dei nobili, ma anche il favore popolare che fu all'origine di un secondo consolato. (Livio 21, 63, 3-4) Sul piano ideologico all’interno dell’aristocrazia senatoria si creò un’ampia spaccatura che si tramutò in una vera e propria battaglia combattuta nei tribunali (nel 187 a.C. Catone portò a processo Lucio Cornelio Scipione per aver amministrato parte dell’indennità di Antioco III senza consultare il senato) Tradizionalisti Innovatori Marco Porcio Catone Famiglia degli Scipioni Sostenevano i valori del mos maiorum, erano contrari alla penetrazione della cultura greca a Roma e si opponevano all’espansione in Oriente Concordavano con la volontà di innovazione, con la creazione di nuovi mercati (anche in Oriente) e sostenevano il nuovo ceto artigiano-commerciale La questione trovò la sua risoluzione con un compromesso nel 180 a.C. con la Legge Villia annuale (Lex Villia annalis) che stabiliva la successione delle cariche (il cursus honorum). Per un anno veniva ricoperto un incarico nell’ambito del vigintiviato (un collegio di venti individui eletti dai tributi) diviso a sua volta in quattro collegi minori la cui appartenenza veniva decisa a sorte: 10 addetti a dirimere le liti (decemvirislitibus indicandis) che giudicavano le controversie dello stato civile (cittadinanza, manomissioni, adozioni) o 3 preposti alle esecuzioni capitali (triumviri capitales detti anche nocturni) che sovraintendevano le condanne a morte o 3 monetali (triumviri monetales) che si occupavano della monetizzazione dei senatorio 4 curatori delle strade che si occupavano della manutenzione delle vie della capitaleo Terminato il primo anno, aveva ufficialmente inizio il cursus honorum (VEDI paragrafo dedicato). Livio: Legge Villia Tito Livio fornisce queste brevi notizie in merito al proponente della legge: In quell'anno fu presentata per la prima volta da L. Villio tribuno della plebe una legge che fissava i limiti di età per porre la candidatura e per assumere ogni singola carica. Da ciò venne il soprannome alla sua famiglia, che fu chiamata degli Annali (Livio 40, 44, 1) Oltre alle conseguenze puramente sociali, l’espansionismo portò a grandi problematiche anche sul piano economico. Ai domini di Roma (già ampi e difficili da organizzare) si aggiunsero estesi territori con una produzione agricola altamente sviluppata (come le province di Africa e Asia), luoghi con ricchi giacimenti di materie prime (come la Spagna, ricca di miniere d’argento) e disponibilità altissima di mano d’opera a basso costo. (280 - 275 a.C.) Le Guerre Pirriche videro, tra il 280 a.C. ed il 275 a.C., la Repubblica romana affrontare l'esercito del re Pirro a capo di una coalizione greco-italica. Le campagne di Pirro ebbero luogo nell'Italia meridionale e coinvolsero anche le popolazioni italiche che abitavano tali territori. La guerra ebbe inizio con la reazione di Taranto (città della Magna Grecia) all'espansionismo romano (rottura da parte di Roma del trattato di Capo Lacinio), la guerra coinvolse anche la Sicilia greca e Cartagine (se pur solo in un secondo momento), visti i sostanziali insuccessi di Pirro in Italia. Dopo molte vicende, che videro Pirro vincere sui Romani nonostante le numerose perdite, i Romani riuscirono a sconfiggere il re epirota che fu costretto a lasciare definitivamente l'Italia. La vittoria romana su Pirro gettò le basi per l’espansionismo di Roma sull'intera Italia meridionale. La magna Grecia A partire dalla seconda metà del IV secolo a.C., le città della Magna Grecia cominciarono a tramontare sotto i numerosi attacchi delle popolazioni sabelliche di Bruzi e Lucani. Le città più a sud, tra cui Taranto, furono costrette a chiedere soccorso a condottieri provenienti dalla Grecia, la loro madrepatria. Taranto, in qualità di città più potente della Magna Grecia, chiamò dalla madre patria (Sparta) e dall’Epiro alcuni re o comandanti in suo aiuto (i cosiddetti xenikoi strategoi): Archidamo III di Sparta, Alessandro il Molosso, Cleonimo di Sparta e Agatocle di Siracusa. Nuova sezione 1 Pagina 1 Pagina 38 I rapporti tra Roma e Taranto L’alleanza di Roma con Napoli nel 327 a.C. e la fondazione della colonia di Luceria nel corso della seconda guerra sannitica preoccuparono molto i Tarantini, che temevano che l’avanzata romana arrivasse a ledere i loro interessi e territori. Alla fine della seconda sannitica, i Tarantini, nel tentativo di far valere i propri diritti sull'Apulia, stipularono un trattato con Roma (303 a.C.), secondo il quale alle navi romane non era concesso di superare ad Oriente il promontorio Lacinio (oggi capo Colonna, presso Crotone). Tale trattato seguì di poco la sfortunata campagna in Italia del principe spartano Cleonimo, chiamato in Italia dai Tarantini contro Lucani e Romani. Alla morte Agatocle di Siracusa nel 289 a.C., i Lucani, un tempo alleati di Roma, si ribellarono insieme ai Bruzi ed iniziarono ad avanzare nel territorio di Thurii devastandolo completamente. Thurii inviò due ambasciate a Roma per chiedere aiuto, la prima nel 285 a.C. e poi nel 282 a.C. (sebbene fosse più vicina Taranto). Dopo iniziali tentennamenti (dovuti al fatto che portare aiuto a Thurii significava violare il trattato di Capo Lacinio), Roma inviò a Thurii il console Gaio Fabrizio Luscino, il quale pose una guarnigione a guardia della città e avanzò contro i Lucani sconfiggendo il loro principe Stenio Stallio. A seguito di questo successo, le città di Reggio, Locri e Crotone chiesero di essere poste sotto la protezione di Roma che inviò una guarnigione di 4.000 uomini a presidio di Reggio (Campani). Roma si proiettava, ormai, verso i territori della Magna Grecia. L'aiuto concesso a Thurii fu visto dai Tarantini come una violazione del Trattato di Capo Lacinio, siglato dalle due città molti anni prima. Roma, oltretutto, nell'autunno del 282 a.C. inviò una piccola flotta (composta da dieci imbarcazioni) nel golfo di Taranto: incerti sono i motivi di tale gesto, alcuni videro una volontà di proteggere Thurii maggiormente mentre altri pensarono ad un'aperta provocazione. I Tarantini credettero che le navi romane stessero avanzando contro di loro e le attaccarono, affondandone quattro e catturandone una: tra i Romani catturati, alcuni furono imprigionati, altri mandati a morte. Dopo vari (ed infruttuosi) contatti diplomatici, scoppiarono le ostilità tra Roma e Taranto. Quest’ultima, come già in precedenza, si risolse a cercare aiuto al di fuori dell’Italia. Questa volta la scelta cadde su Pirro, re dell’Epiro. Pirro accolse senza indugio la richiesta di aiuto dei Tarantini, desideroso di ampliare il proprio regno ed incorporare nella propria sfera d'influenza la Magna Grecia, compresa la Sicilia (contesa dai Cartaginesi e dalla città greca di Siracusa) fondando uno stato nell'Italia meridionale. Pirro era anche marito di Lanassa, figlia del tiranno di Siracusa Agatocle. Da un punto di vista ideologico e propagandistico, Pirro si presentò come erede di Achille (circolava una tradizione secondo cui il figlio di Achille si sarebbe chiamato Pirro e non Neottolemo oppure, Pirro sarebbe stato un epiteto di Neottolemo), a cui spettava sconfiggere nuovamente gli eredi dei Troiani, i Romani. La guerra tra Roma e Pirro si configura, dunque, come una replica del guerra di Troia. Nuova sezione 1 Pagina 2 Pagi 39 Tiberio Sempronio Gracco Tiberio Sempronio Gracco fu il primo a cogliere il rapporto di diretto che tra il cambiamento degli assetti agrari dell'Italia e la crisi dell'esercito romano, in difficoltà in particolare in Spagna e in Africa. Tali cambiamenti erano imputabili al cambio demografico. Un primo tentativo di soluzione era stato realizzato tra la fine del III e la prima metà del II secolo a.C. attraverso il progressivo abbassamento del limite censitario previsto per l'arruolamento da 11.000 a 1.500 assi (si era inoltre proceduto a potenziare l'apporto degli Italici alla politica espansionistica romana). Tiberio Gracco apparteneva a una ricca famiglia plebea di rango consolare, la famiglia Sempronia. La madre era Cornelia, figlia di Scipione l'Africano. Tiberio aveva ricevuto una sofisticata formazione culturale e la sua affermazione politica si era prodotta secondo le tappe della carriera senatoria fissate dalla Legge Villia. Il suo apprendistato militare si era svolto in Spagna, a Numanzia. Nell'occasione egli aveva potuto constatare direttamente l'incidenza delle difficoltà dell'arruolamento nella crisi dell'esercito. Rientrato a Roma si candidò al tribunato della plebe allo scopo di varare una riforma agraria: egli desiderava ricostruire un piccolo gruppo di proprietari terrieri che fossero così arruolabili. La scelta di Tiberio era dettata dal fatto che i tribuni detenevano l'iniziativa legislativa, che potevano esercitare nei comizi tributi. Nell'assemblea del popolo Tiberio, una volta eletto, propose il suo progetto di legge, che si sostanziava in una riforma non rivoluzionaria, bensì restauratrice. Rivitalizzò una delle leggi Licinie Sestie, quella relativa all'occupazione dell'agro pubblico, che fissava un limite massimo al suo possesso quantificato in 500 iugeri a famiglia (125 ettari). Tale legge, mai abrogata, era tuttavia stata disattesa nei fatti. Tiberio rinnovò l'indicazione dei 500 iugeri, ma innalzò tale tetto fino a ulteriori 250 iugeri per ogni figlio maschio, fino a un massimo complessivo di 1.000 iugeri. Stabilì inoltre che tali quote venissero concesse in proprietà a quanti le detenevano. La legge di Tiberio Gracco Appiano conserva memoria dei contenuti della legge di Tiberio Sempronio Gracco, ma anche delle rivendicazioni dei gruppi che si contrapposero, gli uni sostenendo, gli altri contestando la proposta del tribuno: [Tiberio] rinnovò la legge che nessuno potesse occupare più di 500 iugeri di agro pubblico. Aggiunse però alla vecchia legge la clausola che i figli degli occupanti potessero possedere altri 250 iugeri: 3 persone elette a questo scopo avrebbero ripartito tra i poveri l'eccedenza, alternandosi nella direzione ogni anno. Ciò che principalmente urtò i ricchi fu proprio questo, che non potevano più come prima trascurare la legge, a causa della commissione distributrice, né ricomprare dagli assegnatari le parcelle assegnate, perché Gracco, prevedendo anche questa eventualità, aveva proibito l'alienazione dei lotti. Essi si riunivano fra di loro, esprimevano rimostranze e contestavano ai poveri le migliorie da loro fatte da tempo, le piantagioni e le costruzioni, e taluni anche il pagamento versato ai vicini: forse che avrebbero dovuto perdere anche questo con la terra? Altri ricordavano di avere nelle terre da restituire i sepolcri degli antenati e che nelle divisioni delle eredità quei terreni erano stati trattati come quelli, paterni, di piena proprietà; altri dichiaravano di avervi speso le doti delle mogli o che tali terreni erano stati dati alle figlie come dote; taluni creditori mostravano debiti contratti anche su di essi: in una parola erano generali le rimostranze e l'indignazione. Dal canto loro i poveri si lamentavano di essere stati ridotti dall'agiatezza all'estrema povertà e da questa alla mancanza di figli, che non potevano mantenere. Citavano le campagne militari che avevano combattuto per guadagnarsi quelle terre e lamentavano con sdegno di venir privati dei beni comuni. E insieme rimproveravano ai ricchi di scegliere gli schiavi, razza infida e sempre nemica e per questo esclusa dall'esercito, al posto dei liberi, cittadini e soldati. (Appiano, La guerra civile, 1, 9-10) La legge di Tiberio (legge Sempronia) fu oggetto della violentissima opposizione dei senatori. Molti di loro affermavano di aver diritto all'agro pubblico occupato (sostenevano di averlo acquisito in proprietà per usucapione) e avevano tentato di bloccare la proposta, inducendo Marco Ottavio (un tribuno della plebe che a sua volta vantava diritti di possesso su grandi appezzamenti di terra pubblica) a interporre il veto. L'atto del tribuno Ottavio era clamoroso ma Tiberio procedette allora a un'iniziativa ancora più clamorosa: Nuova sezione 1 Pagina 6 propose all'assemblea popolare di deporre il collega e, una volta ottenuto lo scopo, la legge agraria fu finalmente approvata P gina 42 La deposizione di Gaio Ottavio Plutarco riferisce il discorso attraverso il quale Tiberio Gracco giustificò pubblicamente la sua azione contro Ottavio, che aveva suscitato contrarietà sia presso gli ottimati, danneggiati nei loro interessi, sia presso il popolo, che nutriva sospetti nei confronti di un'iniziativa orchestrata contro un tribuno della plebe: Allora disse che il tribuno della plebe è sacro e inviolabile perché è consacrato al popolo e difende il popolo. Quindi se, mutando il suo comportamento, danneggia il popolo, ne riduce il potere e gli toglie la possibilità di votare, allora si priva da solo della sua carica, perché non fa ciò per cui l'ha ricevuta [..]. Non è dunque giusto che un tribuno che fa torto al popolo sia degno di conservare l'inviolabilità che gli proviene dal popolo, perché si adopera ad abbattere quel potere su cui fonda la sua autorità. Se infatti ha legittimamente ottenuto il tribunato per i voti della maggioranza delle tribù, in che modo non ne sarebbe ancor più legittimamente privato se tutte le tribù gli votano contro? (Plutarco, Vite di Tiberio e Gaio Gracco, 15) Nonostante le molteplici opposizione, la riforma di Tiberio Gracco fu comunque l'espressione di un gruppo autorevole ed esteso di esponenti del senato tra cui Appio Claudio Pulcro, Publio Mucio Scevola e Publio Licinio Crasso Muciano. L'attuazione della riforma agraria comportava però un complesso e dispendioso lavoro di verifica, ridefinizione di diritti proprietari, assegnazione di nuovi lotti di terra. Per finanziare tali operazioni agrimensorie, Tiberio si giovò del lascito testamentario del re Attalo III di Pergamo che nel 133 a.C. aveva designato il popolo romano erede del proprio regno. Concluso l'anno di mandato, Tiberio ripropose la propria candidatura al tribunato della plebe. Fu oggetto di aspre discussioni: la legge Villia che aveva regolamentato la successione delle cariche e stabilito gli intervalli tra l'una e l'altra, non aveva previsto il caso in esame; non era infatti pratica comune che un magistrato investisse ingenti risorse finanziarie per ricoprire una seconda volta la stessa magistratura, senza un avanzamento nella carriera. Le leggi tabellarie RRC 413/1. Un denario emesso nel 63 a.C. dal triumviro monetale Lucio Cassio Longino reca al rovescio la legenda Longinus e l'immagine di uomo togato riprodotto nell'atto di inserire una tavoletta elettorale nell'urna. Sulla tavoletta è vergata una lettera V: l'operazione di voto ha luogo nei comizi legislativi, nell'ambito dei quali era facoltà del cittadino esprimere consenso alla proposta di legge (V oppure VR per uti rogas, «come chiedi», ovvero «approvo»), voto contrario (A per antiquo, sottointendendo iure utor, «mi avvalgo di un antico diritto», quindi «respingo»), astensione (NL per non liquet, «non so»). Gaio Sempronio Gracco Gaio Sempronio Gracco era il fratello minore di Tiberio e con lui aveva condiviso i legami parentali e la formazione culturale, militare e politica. Nel 123 a. C. venne anch'egli eletto al tribunato della plebe e si avvalse degli strumenti di azione garantiti dalla carica, ma a differenza di Tiberio egli se ne giovò per un tempo più lungo: nel 123 a.C. ottenne, infatti, che i comizi tributi legittimassero l'iterazione delle magistrature e nel 122 a.C. si candidò una seconda volta al tribunato, raggiungendo l'elezione, per garantire l'attuazione delle sue riforme. La legislazione di Gaio Gracco Il biografo Plutarco riassume i principali provvedimenti legislativi proposti da Gaio Sempronio Gracco: Delle leggi che egli [Gaio Gracco] presentò per compiacere il popolo e privare il senato della sua potenza una era quella agraria, che prevedeva la divisione dell'agro pubblico tra i cittadini poveri; un'altra quella militare, che stabiliva che l'uniforme fosse fornita a spese dello stato e che nulla a questo fine fosse attinto ai compensi dei soldati, e che non si arruolassero quelli che avevano meno di 17 anni. Una terza riguardava gli alleati e riconosceva agli Italici lo stesso diritto di voto dei cittadini. Un'altra, frumentaria, abbassava i prezzi delle derrate per i poveri. Una giudiziaria, mediante la quale egli soprattutto toglieva ai senatori il predominio in tale campo. Infatti essi fino ad allora avevano amministrato la giustizia da soli e perciò incutevano timore sia al popolo sia ai cavalieri [..]. Propose anche leggi per la deduzione di colonie, la realizzazione di strade, la costruzione di granai pubblici; di tutte queste opere curò la direzione e l'amministrazione, senza dare alcun segno di stanchezza nell'esecuzione di tanti e così gravosi compiti, ma portandoli invece a termine con eccezionale velocità e impegno, quasi che ognuno di essi fosse il solo di cui si occupava, tanto che anche quelli che l'odiavano profondamente e lo temevano erano colpiti dalla sua capacità di realizzare con efficacia ogni impresa (Plutarco, Vite di Tiberio e Gaio Gracco, 26-27) Nuova sezione 1 Pagina 8 Pagina 43 Gaio Sempronio Gracco propose un pacchetto di 17 provvedimenti legislativi che ottennero tutti l'approvazione dell'assemblea popolare tranne uno, relativo all'equiparazione giuridica degli alleati italici ai cittadini romani. Legge Sempronia frumentaria: attribuiva all'amministrazione centrale l'onere di provvedere mensilmente alla distribuzioni di grano a prezzo politico alla plebe della città di Roma. ○ La legge prevedeva anche l'edificazione degli Horrea Sempronia, cioè silos per lo stoccaggio del grano, e colpiva al cuore il sistema clientelare. Legge Rubria: riavviava la politica di deduzioni coloniarie, consentendo che venissero fondate nuove comunità in territorio italico, come per tradizione, ma anche in aree extraitaliche: clamoroso il caso di unonia, nel sito dell'antica Cartagine. ○ Legge militare: a vantaggio di quei cittadini (idonei sul profilo censitario) che erano tenuti a servire la repubblica attraverso le milizie, Gracco impediva di reclutare giovani sotto i 17 anni e garantiva ai soldati la fornitura della divisa che, in precedenza, rientrava nelle spese della truppa. ○ Legge sulla politica giudiziaria: un cittadino romano poteva subire la condanna alla pena capitale solo○ in seguito a un pronunciamento popolare (un processo avrebbe dovuto essere celebrato al cospetto dei comizi. Abbiamo già visto quali fossero le vie per acquisire la civitas Romana durante l'epoca repubblicana. In aggiunta ai solito provvedimenti legislativi l'imperator di un esercito poteva concedere ad alcuni reparti scelti dei suoi soldati la civitas Latina, che a sua volta poteva servire da premessa per accedere poi alla civitas Romana in virtù dello ius adipiscendae civitatis per magistratum. Cneo Pompeo Strabone, imperator, per ricompensarli del loro valore ha fatto cittadini i cavalieri ispanici (Turma Salluitana) nel suo accampamento presso Ascoli il quattordicesimo giorno prima delle calende di dicembre (17 dicembre 89 a.C.), in virtù della Lex Iulia. La Tabula Banasitana La tavola bronzea di Banasa, realizzata tra il 180 ed il 181 d.C. e ancora esposta in pubblico dopo il 185, fu rinvenuta, nel giugno 1957, a Banasa (Marocco), abbattuta al suolo in un settore non scavato, nelle vicinanze delle terme, nel foro della colonia della Mauretania, in prossimità di un edificio identificato come sede della curia cittadina. Era posta su un monumento eretto in onore di Marco Aurelio, in ricordo e ringraziamento delle concessioni di cittadinanza individuali. Copia della lettera dei nostri imperatori, gli Augusti Antonino e Vero, a Coedio Massimo: abbiamo letto la petizione di Giuliano Zagrense allegata alla tua lettera e, benché non rientri nel costume abituale donare la cittadinanza romana a tali uomini delle tribù, a meno che dei meriti eccezionali non suscitino la benevolenza imperiale, tuttavia, dal momento che tu attesti che il richiedente è uno dei più eminenti del suo popolo, e che, uomo di assoluta fedeltà, aderisce alla nostra causa senza esitazioni, e giacché siamo del parere che non molti gruppi famigliari degli Zegrensi possono vantare meriti comparabili con i suoi, non esitiamo a donare a lui, a sua moglie Ziddina, nonché ai loro figli Giuliano, Massimo, Massimino e Diogeniano, la cittadinanza romana, senza che ciò pregiudichi il diritto vigente per il suo popolo. Copia della lettera degli imperatori Antonino e Commodo Augusti a Vallio Massimiano: abbiamo letto la petizione del capo della tribù degli Zegrensi e abbiamo preso atto di quale favore egli goda da parte del tuo predecessore Epidio Quadrato; pertanto, mossi sia dalle attestazioni di stima di costui, sia dalle azioni meritevoli di quello, qui documentate dagli allegati, concediamo a sua moglie e ai suoi figli la cittadinanza romana, fatto salvo il diritto vigente per il suo popolo. Dietro richiesta di Aurelio Giuliano, capo degli Zegrensi, avanzata tramite domanda scritta, con l’appoggio espresso per lettera di Vallio Massimiano, noi concediamo loro la cittadinanza romana, fatto salvo il diritto vigente per il loro popolo, e senza esenzione dalle tasse e dai tributi dovuti al popolo romano e al fisco imperiale. Il diploma militare A Roma, erano necessari venticinque e più anni di «onorato servizio» perché, al momento del congedo, un provinciale (o peregrinus, «forestiero»), arruolatosi volontariamente nell’esercito, durante l’impero, ottenesse la cittadinanza, diventando civis Romanus. Questo fino agli inizi del III secolo d.C., più esattamente fino al 212 d.C., quando Caracalla, con un suo editto, allargò la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi (non dediticii) dell’impero. Testimonianza di questa procedura sono i cosiddetti diplomi militari, ritrovati numerosi nelle località che furono sedi di presidi e di forti lungo i confini del mondo romano: al Vallo di Adriano, in Scozia; lungo il Reno e il Danubio, in Germania, Austria, Ungheria, e nei Balcani; nel Vicino Oriente, in Egitto e in Africa settentrionale. La procedura del congedo comportava in linea di massima due momenti distinti. In un primo tempo, il comandante di una determinata unità di stanza in una qualsiasi provincia, a chi ne avesse fatto richiesta e lo meritasse, non solo per averne maturato i tempi rilasciava un attestato di buona condotta, noto come tabula honestae missionis. ▫ L’attestato di onorato servizio veniva rilasciato su una tavoletta bronzea incisa.▫ Nuova sezione 1 Pagina 9 Pag na 44 La riforma di Caio Mario La lunga serie di guerre del II secolo a.C. (per tutto il bacino del Mediterraneo) aveva reso più difficoltoso il reclutamento dei legionari. Soprattutto, il vecchio sistema creava una classe sempre più ampia di ex soldati che, non essendo più in possesso di terra da coltivare, si trasferivano in città, andando ad ingrossare le file della turba forensis (contro questo problema si erano mossi, con alterne fortune, I Gracchi). Per rendere più agevole l’arruolamento, si era via via diminuito il censo minimo per l’attribuzione dei cittadini alla classe di censo più bassa (la quinta). In questo modo anche i più poveri erano coscritti (l’armamento era loro pagato dallo stato). Di fronte alla necessità di avere eserciti fedeli che lo seguissero contro Giugurta e nelle campagne contro Cimbri e Teutoni, Caio Mario decise di arruolare anche i censi, coloro cioè che erano iscritti sui registri del censo solo per la loro persona (caput), non avendo alcun tipo di bene. Si viene allora formare un nuovo tipo di esercito, professionale e permanente (improprio parlare di esercito mercenario). Inoltre, si viene a formare un legame molto stretto tra i soldati e il loro comandante: tale legame poteva esprimersi anche al di fuori del campo di battaglia, ad esempio nella lotta politica. Infatti la possibilità di arruolare, anche a proprie spese, soldati giocherà un ruolo fondamentale nel decidere le sorti dello stato. In età imperiale, il nesso soldati-proclamazione/legittimazione dell’imperatore diverrà ancora più stretto L'esercito di professionisti di Mario Sallustio racconta come trovò prima applicazione la trasformazione dell'esercito romano compiuta da Gaio Mario e divenuta poi riforma. Il contesto sono le fasi immediatamente successive all'elezione di Mario, a cui il popolo attribuì anche il comando della guerra giugurtina sottraendolo a Metello: Dopo aver tenuto un discorso di questo genere, Mario, consapevole che l'animo della plebe era acceso, si affretta a caricare le navi di vettovaglie, di denaro, di armi e di ogni altra cosa utile, e con esse fa partire il suo luogotenente Aulo Manlio, Egli intanto arruola soldati, non secondo l'uso antico e per classi di censo, ma attraverso una coscrizione volontaria, soprattutto di nullatenenti. Taluni affermano che egli l'avesse fatto per mancanza di uomini forniti del censo necessario, altri per brama di popolarità personale, perché da quegli stessi proletari egli riceveva favore e grandezza e a un uomo che cerca potenza giovano di più i più poveri che, non possedendo niente, non hanno interessi propri e tutto ciò che offre guadagno sembra loro onesto. Quindi Mario parte per l'Africa con un contingente di uomini alquanto maggiore di quello che era stato decretato e in pochi giorni giunge a Utica (Sallustio, La guerra giugurtina, 86, 1-87, 3) La carriera di Mario La carriera di Mario è ripercorsa nel suo elogio, rinvenuto in due copie, una presso Arezzo, l'altra nel Foro di Augusto a Roma: Gaio Mario, figlio di Gaio, sette volte console, pretore, tribuno della plebe, questore, augure, tribuno militare. Sotto il s uo primo consolato condusse la guerra contro Giugurta, re della Numidia, assegnatagli senza sorteggio, lo catturò e nel trionfo celebr ato nel secondo consolato lo fece sfilare davanti al suo carro. Fu creato console per la terza volta pur in sua assenza. Console per la quarta volta distrusse l'esercito dei Teutoni. Consol e per la quinta volta sbaragliò i Cimbri e riportò un secondo trionfo su di essi e sui Teutoni. Console per la sesta volta liberò lo s tato sconvolto dalle sedizioni promosse da un tribuno della plebe e da un pretore, che avevano occupato in armi il Campidoglio. Ormai più che settantenne, espulso dalla patria nella guerra civile, ritornò con la forza delle armi e divenne console per la settima volta. Col bottino cimbrico e teutonico innalzò, come vincitore, un tempio all'Onore e alla Virtù. (CIL VI 1315 = CIL I2 XVIIa) Proveniente da un’antica famiglia patrizia, la gens Cornelia. Si distinse durante le ultime fasi della guerra contro Giugurta, conducendo le trattative con Bocco, re Mauretania. Il successo che riscontrò gli attirò le antipatie di C. Mario, di cui Silla era stato legato nella guerra giugurtina. Si distinse inoltre nel contesto della Guerra Sociale, fronteggiando in particolare la ribellione a al sud. Il tribuno della plebe Sulpicio Rufo macchinò con Caio Mario per indebolire la posizione di Silla, cercando anche l’appoggio degli Italici (problema della distribuzione dei novi cives nelle tribù). Nuova sezione 1 Pagina 13 Pagina 47 Mentre in Italia infuriavano ancora gli ultimi strascichi d lla guerra sociale, in Oriente si v nne a creare una ituazione preoccupante: Mitrid te VI, re del Ponto (una regione settentrionale dell’ ttuale Turchia) nell’ 88 a.C. attaccò i domini romani e riuscì a penetrare con le sue truppe nelle province d’ Asia e della Grecia e incitò le popolazioni locali ad insorgere. Il diffuso malcontento portò al massacro: moltissimi romani che risiedevano nella regione persero la vita. Di fronte a questa atroce situazione il senato inv ò una sp zio e sul territorio guid t dal generale Lucio Cornelio Silla che aveva acquisito notevole prestigio a Roma. La nomina di Silla provocò un ampio malcontento tra i popolari e i cavalieri che desideravano affidare la battaglia ad un loro esponente, così richiamarono Mario e Silla, già pronto a partire, si vide ritirare il comando della battaglia. Quello di Silla fu un vero e proprio colpo di stato possibile grazie alla riforma attuata da Mario: le legioni erano divenute molto più fedeli al comandante che alla repubblica. Silla ripartì verso Ponto dove rimase per quattro anni.In questo periodo il suo esercito sconfisse Mitridate e represse durament og i forma di rivolta, abbandonando e saccheggiando città e campagne. Approfittando della lontananza di Silla i popolari a Roma si erano organizzati attuando una serie di vendette contro gli ottimati in città e facendo rieleggere Mario. Al ritorno di Silla vittorioso dall'Oriente si riaccese più feroce che mai lo scontro tra ottimati e popolari che sfociò in una guerra civile nella quale si confrontarono due opposte fazioni: quella guidata da Silla (affiancato da Licinio Crasso e Gneo Pompeo) e quella dei popolari ( ffi ncati ai Sanniti). Dopo uno scontro dei violenti combattimenti nell’ 82 a.C. la guerra civile si concluse con la vittoria degli ottimati e la battaglia di Porta Collina. Pacchetto di leggi proposte da Sulpicio Rufo Distribuivano gli ex alleati in tutte le tribù ▪ Creavano il limite massimo di 2000 denarii come tetto all’indebitamento dei senatori (misura a sfavore dei senatori, spesso indebitati per finanziare le proprie carriere politiche) ▪ Revocavano l’incarico della guerra contro Mitridate VI Eupatore, già attribuito a Silla.▪ Tutto questo, in assenza di Silla, veniva impiegato in un assedio a Nola. Dopo averlo saputo, Silla cercò l’appoggio dei suoi soldati, ormai fondamentali per prendere il potere a Roma e con il suo esercitò compì la marcia su Roma nell’88 a.C., mettendo in fuga Mario, che abbandonò l’Italia alla volta dell’Africa. Sulpicio Rufo fu eliminato e il suo pacchetto di leggi fu abrogato perché considerato chiaramente avverso al ceto senatorio (di cui Silla era rappresentante). Silla promulgò una serie di leggi di segno completamente opposto a quelle volute dai sostenitori di Mario, create per favorire il senato ed indebolire i populares: Riduzione dei poteri dei concilia plebis e dei tribuni della plebe (che persero lo ius intercessionis).▪ Aumento dei poteri dei comizi centuriati.▪ Ripristino di alcune prerogative di controllo da parte del senato sugli altri organi dello stato (approvazione preventiva delle rogationes da parte dei tribuni della plebe). ▪ Chi rivestiva il tribunato non avrebbe potuto proseguire la carriera▪ La cosiddetta dominatio cinnana instaurata da L. Cornelio Cinna nell’86 a.C.) indusse Silla a tornare quanto più rapidamente dall’Asia e chiudere la guerra con Mitridate (C. Mario, rientrato a Roma e rieletto console nell’86 a.C., era intanto morto per malattia). Silla (dopo aver firmato la pace di Dardano con Mitridate) sbarcò a Brindisi nell’83 a.C. e fu raggiunto da Q. Cecilio Metello Pio, M. Licinio Crasso e da Cn. Pompeo, figlio di Pompeo Strabone. Pompeo aveva portato con sé un gran numero di soldati, reclutati tra le clientele di suo padre in Piceno. Il figlio di C. Mario, C. Mario il Giovane, tentò con altri di fermare la marcia di Silla su Roma, ma senza successo. Cinna fuggì ad Ancona, dove fu ucciso dalle truppe in favore di Silla (84 a.C.). Altri mariani Copyright Università degli Studi di Milano fuggirono da Roma (tra questi Q. Sertorio, che fuggì in Spagna). La dittatura di Silla Gli scontri tra Silla e Mario (guerra civile) confermano l’importanza dell’esercito come fattore decisivo della vita politica. Grazie all’appoggio dell’esercito, Silla trionfò non solo contro Mitridate ma anche contro i leader della fazione mariana. Nell’82 a.C., morti i due consoli di quell’anno, l’interrex L. Valerio Flacco nominò Silla dittatore (il primo dittatore dal 202 a.C.) tramite la Lex Valeria. La dittatura di Silla fu un unicum: Fu dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae.• Non ebbe limiti temporali Il programma politico attuato da Silla fu preceduto da proscrizioni. Le proscrizioni erano elenchi di avversari politici (perlopiù equestri) che potevano essere uccisi senza conseguenza e dietro ricompensa. • I beni venivano confiscati o venduti all’asta e grazie alle proscrizioni Silla poté ricompensare i propri veterani e soldati La riforma di Cornelio Silla Aumentò il numero dei senatori da 300 a 600 (senza passare dai censori, magistratura posta in secondo piano da Silla). • Istituì ulteriori quaestiones perpetuae (de falsis, de ambitu, de sicariis et veneficiis, etc.).• Estese i confini del pomerium fino al Rubicone. • Istituzionalizzò la Gallia Cisalpina come provincia. • Portò da 8 a 20 il numero di questori. •• Definì in maniera più chiara il cursus honorum, stabilendo tramite una Lex Annalis l’età minima per rivestire le magistrature (innalzò a 42 anni l’età per accedere al consolato) e un intervallo di tempo di 10 anni tra una carica e l’altra (come già stabiliva la Lex Villia Annalis, 180 a.C.). • Terminata l’opera di riforma, Silla abdicò alla fine dell’81 a.C., ritirandosi a vita privata e ripristinando il consolato. Silla dittatore Nell'82a.C. Silla ottenne l'elezione come dittatore; il popolo agi seguendo sue precise istruzioni: Poiché i consoli erano morti, Carbone in Sicilia e Mario a Preneste, Silla approfittò di questa pratica, si allontanò da Roma e impose al senato di scegliere un interré. Il senato optò per Valerio Flacco, sperando che convocasse i comizi per l'elezione dei nuovi consoli, ma Silla scrisse a Flacco di comunicare al popolo la sua opinione, che in quel contesto pensava fosse utile per lo stato ricorrere alla dittatura, come non avveniva ormai da 400 anni. Nuova sezione 1 Pagina 15 Pagina 48 Suggeriva poi che, una volta individuato un dittatore, il suo potere non avesse una durata stabilita, ma fosse valido per tutto il tempo necessario a ridare stabilità a Roma, all'Italia e a tutto l'impero, sconvolto da rivoluzioni e guerre. Era certo che questa proposta si riferiva allo stesso Silla. D'altronde lui stesso, senza frenarsi, aveva dichiarato questo alla fine della lettera, che gli sembrava di essere proprio lu i la persona più utile alla città in quel contesto. (Appiano, La guerra civile, 1, 458-460) PRIMA GUERRA SERVILE (136 a.C.-132 a.C.) in Sicilia, una rivolta di schiavi guidati da Euno, autoproclamatosi re, e da Cleone di Cilicia. SECONDA GUERRA SERVILE (102 a.C.-98 a.C.) In Sicilia, rivolta guidata da Atenione e Trifone TERZA GUERRA SERVILE (73 a.C.-71 a.C.) in Italia, grande rivolta guidata da Spartaco Le guerre servili ebbero come teatro solo l'Italia della Sicilia e l’Italia meridionale a causa del durissimo trattamento riservate agli schiavi che i proprietari terrieri sfruttavano per la coltivazione dei latifondi, per la pastorizia all'interno delle cave e nelle miniere. Gli schiavi erano considerati non come persone ma come oggetti e, come tali, rientravano nelle disponibilità del proprietario, che aveva anche potere di vita e di morte su di essi. La condizione degli schiavi non era permanente: tramite la manumissio (procedura da eseguirsi di fronte ad un magistrato dotato di imperium a Roma o ad un magistrato giurdiscente in un centro dell’impero) il padrone poteva liberare lo schiavo, che diveniva cittadino, seppur con limitazioni. Lo schiavo, che prima aveva un solo nome, assume da liberto l’usuale formula onomastica romana e del padrone acquisiva anche la cittadinanza (sebbene alcuni legami ed obblighi persistevano anche dopo la manumissio). Una manumissio irregolare poteva essere revocata o dare luogo a liberti il cui status non era semplice da definire dal punto di vista giuridico. La prima guerra servile Quando? 136 a.C. e il 132 a.C. Dove? Sicilia Orientale I protagonisti: Euno e Cleone di Cilicia La rivola scoppiò a Haenna, e vide lo scontro tra gli schiavi siciliani capeggiati da Euno e Cleone di Cilicia e l'esercito romano dell'isola. La guerra trasse origine dalle condizioni misere in cui versavano gli schiavi sin dalla fine della dominazione cartaginese. Nuova sezione 1 Pagina 16 Pagina 49 Pompeo a provocare le guerre civili, come credono i più, ma piuttosto la loro concordia, poiché in un primo tempo si coalizzarono per distruggere l'aristocrazia, poi allo stesso modo furono in lotta l'uno contro l'altro. A Catone, che spesso prediceva quel che sarebbe avvenuto, toccò allora di guadagnarsi la nomea di uomo scorbutico e attaccabrighe, più tardi di consigliere accorto, ma non fortunato. (Plutarco, Vita di Cesare, 13, 3-6) Pompeo console senza collega Quinto Asconio Pediano nel I secolo .C. compose numerosi commenti delle orazioni di Cicerone, strumenti preziosi per l'educazione dei suoi figli. Nel commento al discorso tenuto dall'Arpinate a difesa di Tito Ánnio Milone, accusato dell'assassinio di Clodio nel 52 a. C., scrive: Nel frattempo, poiché si andava diffondendo la voce che fosse opportuno nominare Gneo Pompeo dittatore e che in nessun altro modo potessero essere placate le sciagure della città, agli ottimati sembrò più sicuro nominarlo console senza collega. Il senato discusse la questione e, redatta una delibera dietro mozione di Marco Bibulo, Pompeo fu nominato console dall'interré Servio Sulpicio, il quinto giorno prima delle calende di marzo, nel mese intercalare e all'istante prese possesso del consolato (Asconio, In difesa di Milone, 14) (12 luglio 100 a.C. - marzo 144 a.C.) Caio Giulio Cesare fu uno dei più importanti uomini politici, condottieri e autori della Roma antica. Nacque in una famiglia illustre ma non particolarmente ricca, la gens Iulia, e crebbe nella suburra (quartiere popolare di Roma). Probabilmente proprio per questo si schierò, all'inizio della sua carriera, con i Popolari, la fazione politica che difendeva il popolo, in opposizione agli Ottimati che lottavano per l'aristocrazia. Nell'84 a.C. Cesare sposò la figlia di Lucio Cornelio Cinna (uomo politico che affiancò a lungo Gaio Mario) e divenne così parte di una famiglia di Popolari: ciò gli causò molti problemi durante la dittatura di Silla e fu costretto ad intraprendere una carriera militare in Asia. Alla morte di Silla (78 a.C.) Cesare fece ritorno a Roma dove lavorò come avvocato e uomo politico e dove, nel 72 a.C., fu eletto tribuno militare (si impegnò per ripristinare i poteri dei tribuni della plebe). Nel 68 a.C. fu eletto questore in Spagna, luogo in cui ebbe inizio la sua ascesa politica. Tornato a Roma, Cesare fu pronto a tutto per ottenere maggiore potere: prese parte alla prima congiura di Catilina (che fu sventata) e alla seconda (che fu scoperta da Marco Tullio Cicerone) ma fu scagionato da ogni accusa. Nel 62 a.C. fu eletto pontefice massimo a Roma e ottenne così tutti i diritti culturali sul popolo romano. Nessuna carica politica sembrava accontentare Cesare che mirava al consolato: per ottenere maggiore potere, nel 60 a.C. si alleò con due dei più grandi uomini politici (compose il primo triumvirato). Marco Licinio Crasso, l'uomo più ricco di Roma• Gneo Pompeo, il generale che aveva ottenuto il maggior numero di vittorie nella repubblica.• Nel 59 a.C. Cesare fu eletto console e, per ottenere il favore del popolo, fece votare le leggi agrarie (che distribuivano le terre come proprietà pubblica) e divenne governatore delle province della Gallia Cisalpina e Narbonense (da cui iniziò le guerre di espansione). Cesare condusse numerose campagne militari contro le tribù galliche, germaniche e britanniche (è possibile leggerne nel De bello gallico). Il senato spedì Cesare in Gallia per tentare di placare il suo potere a Roma, ma egli utilizzò tale spostamento a suo vantaggio: trionfò sulle tribù nemiche, conquistò l'intera Gallia e fece allontanare da Roma alcuni esponenti a lui ostili come Cicerone e Catone Uticense. Tra il 58 e il 55 a.C. Cesare sconfisse numerose popolazioni barbare come gli Elvezi e i Belgi e riuscì ad allargare le sue conquiste fino ai territori di Germania e Britannia. Nel 52 a.C. l'ultima fase della lotta contro i Galli vide la ribellione delle popolazioni guidate da Arverni Vercingetorige che Cesare riuscì a sedare nonostante l'inferiorità numerica dei romani (la Gallia divenne ufficialmente una provincia romana). Il triumvirato si sciolse nel 53 a.C. alla morte di Crasso e Pompeo, grazie all'allontanamento di Cesare e all'aiuto del senato, era riuscito ad impadronirsi della città. Nel 50 a.C. il senato ordinò a Cesare di abbandonare il comando dell'esercito per fare ritorno a Roma ma egli, che aveva a cuore la sua idea di riforma della repubblica, non volle abbandonare e fece ritorno in città con il suo esercito al seguito. Nuova sezione 1 Pagina 19 Pagina 52 Nel 49 a.C. Cesare varcò le soglie del Rubicone (fiume che segnava il confine impossibile da superare con le armi) e dichiarò ufficialmente guerra al senato e a Pompeo. All'inizio della guerra Pompeo si rifugiò in Puglia e in Grecia e permise così a Cesare di conquistare Roma e il territorio italiano per poi scendere in Spagna e distruggere le legioni di Pompeo a Farsalo. Fuggito in Egitto per trovare un rifugio sicuro, Pompeo fu ucciso dal faraone Tolomeo XIII, alleato di Cesare. Cesare giunse poi in Africa dove mise sul trono la regina Cleopatra (sua alleata fedele) e sconfisse altre truppe che patteggiavano per Pompeo. L'alleanza di Cesare con Cleopatra non fu solo politica: la sovrana comprese l'importanza di mantenere un rapporto stabile con il romano e divenne anche sua amante. Alla morte di Tolomeo XIII, Cleopatra divenne moglie di Tolomeo XIV e da lui ebbe un figlio, Cesarione. La guerra civile, raccontata da Cesare nel De bellum civili, terminò nel 45 a.C. con la battaglia di Munda in cui Cesare sterminò le ultime truppe dell'esercito di Pompeo. Nello stesso anno Cesare si garantì un erede adottivo, Ottaviano, e si fede eleggere dittatore a vita, ottenendo così il potere assoluto. Divenuto l'uomo più potente di Roma, iniziò a modificare tutte le istituzioni in senso propriamente monarchico. Durante il suo governo: Assegnò terre agli agricoltori e ai soldati○ Inserì nel Senato membri fedeli○ Riformò il calendario○ Estese il numero dei cittadini romani dando più diritti a tutti○ Promosse opere pubbliche○ Rafforzò i confini e creò nuove colon○ Cesare aveva tuttavia eliminato le istituzioni repubblicane e questo aveva scontentato i senatori, la cui autorità era ancora stimata a Roma. Il quindici marzo del 44 a.C. (giorno delle idi di marzo secondo il calendario romano) si concluse la congiura organizzata da sessanta senatori contrari al governo di Cesare che lo accerchiarono e lo pugnalarono (tra essi vi era anche Marco Giunio Bruto, figlio di Cesare). Cesare dittatore Lo storico bitinico Cassio Dione sottolinea l'illegittimità dell'iniziativa del pretore, che si sostituiva ai consoli, i quali tuttavia non erano a Roma. La nomina di Cesare dittatore fu forse ratificata da un'assemblea popolare: Mentre Cesare marciava ancora verso Roma, Marco Emilio Lepido, colui che poi fu triumviro, in qualità di pretore propose al popolo di nominarlo dittatore e subito proclamò la nomina, diversamente da quanto prescriveva la tradizione. Cesare, appena entrato in città, assunse la carica, ma non compì da dittatore alcun atto che potesse suscitare timore, anzi richiamò tutti gli esiliati, eccetto Milone. Elesse anche i magistrati per il nuovo anno. (Dione 41, 36, 1-2) Cesare dittatore perpetuo? Le fonti letterarie e numismatiche La notizia è riferita dal perduto libro 116 di Livio, di cui rimane solo la versione epitomata: Cesare celebrò il quinto trionfo sulla Spagna. E dopo che dal senato a lui furono decretati moltissimi e altissimi onori, fra cui quello di essere chiamato genitore della patria, di essere inviolabile nella persona e dittatore a vita, provocarono contro di lui ragioni di malumore il non essersi alzato, mentre stava seduto dinanzi al tempio di Venere Genitrice, nel momento in cui il senato gli conferiva quegli onori, l'aver deposto sul seggio il diadema messogli in testa dal console Marco Antonio, suo collega, che percorreva di corsa la città fra i Luperci e l'aver revocato la carica di tribuni della plebe a Epidio Marullo e Cesezio Flavio, che gli arrecavano impopolarità, sostenendo che aspirasse a divenire re. (Livio, epitome, 116) La dittatura perpetua è attestata anche in alcune legende monetali: un denario (RRC 480, 6) con legenda «Caesar dict(ator) (in) perpetuo / L(ucius) Buca». L'iconografia presenta al diritto la testa di Cesare laureata, rivolta verso destra, mentre al rovescio figurano i fasci (senza scure) e il caduceo nel campo; a sinistra una scure; a destra un globo; sopra mani congiunte. Tale carica fu effettivamente ricoperta o si trattò solo di una designazione? Nuova sezione 1 Pagina 20 Pagina 53 La politica scelta da Cesare fu caratterizzata da alcuni punti fondamentali: Recupero del programma di Gracco per la fondazioni di colonie ultramarine che furono fondate nelle Gallie e in Iberia. ○ Fu aumentato il territorio della Gallia Comata, che comprese le conquiste di Cesare nell’Africa Nova.○ Introdusse un sistema di tassazione a livello provinciale decisamente più equo. ○ Con la Lex Roscia (49 a.C.) aveva concesso ai Transpadani la cittadinanza romana (essi erano in possesso della cittadinanza latina grazie alla Lex Pompeia de Transpadanis). ○ Ridusse le distribuzioni di grano gratuite e dirette agli indigenti dell’urbs.○ A Roma ed in Italia venne dato l’avvio ad un programma edilizio (ricordiamo l’ampliamento del porto di Ostia e la bonifica del Lago Fucino) Il numero dei questori e dei senatori, che giunsero ad essere addirittura 900. Con la LexIulia iudiciaria i tribuni aerarii furono estromessi dalle corti della quaestio de repetundis (introdotti nel 70 a.C. dalla Lex Aurelia iudiciaria, che, a sua volta, riformava la Lex Cornelia iudiciaria dell’81 a.C.) Con la Lex Iulia de provinciis si stabilì un limite di durata alla carica di governatori delle province (un anno per la provincia pretoria, due anni per provincia consolare) La Lex Iulia municipalis uniformò le procedure di censimento per le città italiche. La natura di questa legge è nota grazie alla Tabula Heracleensis. Tabula Heracleensis In quei municipi, colonie o prefetture di cittadini romani presenti Italia colui che rivestirà la massima autorità, allorquan do un censore farà il censimento a Roma, proceda anch’egli, entro sessanta giorni, al censimento di tutti i suoi concittadini, municipes o coloni o abitanti di prefetture, alla condizione che siano cittadini romani. Costoro comunichino sotto giuramento i loro nomina e praenomina, i loro padri o p atroni, la loro tribù di appartenenza, i loro cognomina, l’età ed una stima dei loro averi, in base alle istruzioni di censimento applicate e pubbl icate a Roma dal censore. Che il censore [dei municipi, colonie o prefetture] si curi che tutte le notizie così raccolte vengano trascritte ne i registri ufficiali della sua città e che questi vengano inviati a Roma. La reazione del senato La maggioranza dei senatori non approvava Cesare ma, in mancanza di valide alternative, ne accettava la politica, il potere e lo colmava di onori del tutto inusuali per Roma. Per volontà del senato, Cesare concentrò su di sé una serie di onori mai visti a Roma (direttamente connessi alle sue vittorie) Ebbe una dittatura decennale (mutata in perenne), ottenne una statua con la dicitura «semidio», una nel tempio di Quirino con la dedica (problematica) «Al dio invincibile» e una posta tra quelle dei re di Roma. Fu poi censore a vita, ricevette la potestà tribunizia con annessa la sacrosanctitas, fu eletto patres patriae e pontifex maximus. Il dissenso Il moltiplicarsi di questi e altri onori lo rese sempre più ostile ai senatori, ai colleghi e al popolo romano. Cesare aveva lasciato teoricamente in vita le istituzioni repubblicane, ma non si era accontentato di una posizione di eccellenza come Pompeo. Il cumulo delle cariche e dei poteri lo resero di fatto un semidio, lo avevano collocato su una posizione maggiore. L’onore che più fece scandalo fu il diadema, simbolo della regalità ellenistica, che gli fu offerto da Marco Antonio ai Lupercali nel febbraio del 44 a.C. La folla non approvò e Cesare dovette togliersi il diadema appena indossato (l’episodio è addirittura registrato dai Fasti, a testimoniare la nobiltà del gesto di Cesare). I Cesaricidi contro i cesariani Il partito cesariano, dopo le idi di marzo, visse momenti di disorientamento a causa della difficoltà di individuazione di una vera e propria guida che sostituisca Cesare. Colui che riteneva di poter assumere questo ruolo e che godeva di un largo seguito era Marco Antonio, il console in carica. Antonio era legato da una profonda amicizia a Publio Clodio con cui faceva parte di alcuni gruppi di giovani benestanti che dissipavano i loro patrimoni. Dopo la morte del padre, la madre si unì in matrimonio con Publio Cornelio Lentulo Sura (uno dei catilinari difesi da Cesare) che ebbe la fiducia di Cesare per molto tempo durante la guerra civile. Alla morte di Cesare Antonio, in carica come console, aveva tentato di raggiungere un equilibrio con Bruto e Cassio: aveva dovuto siglare un'amnistia Nuova sezione 1 Pagina 21 Pagina 54 Infatti in quello Stato in cui vi è qualcuno che abbia un potere ininterrotto, in particolare se regio, sebbene in esso sia a nche un senato, come fu in Roma quando c'erano i re, come a Sparta per le leggi di Licurgo, e in modo che anche il popolo abbia qualche diritto, c ome fu sotto i nostri re, tuttavia quel potere regio ha il sopravvento uno Stato di tal genere non può non essere e non chiamarsi regno. [...] Certamente a un popolo che si trovi sotto un re mancano molte cose e in primo luogo la libertà, che non consiste nell'avere u n padrone giusto, ma nel non averne nessuno. (Cicerone, La Repubblica 2, 23, 43) Il secondo triumvirato Antonio, Ottaviano e Lepido si incontrarono su un'isola del fiume Reno, nei pressi di Bologna, alla fine di ottobre del 43 a.C. Come riconosce Appiano, il triumvirato rappresentava una nuova definizione formale per quella magistratura che lo stesso Antonio aveva fatto abolire poco più di un anno prima, ovvero la dittatura: Prese posto per primo, al centro, Cesare, in virtù della sua carica di console. L'incontro durò due giorni, dall'alba al tram onto, e queste furono le decisioni assunte: Cesare deponeva il consolato a favore di Ventidio che l'avrebbe sostituito per il resto dell'anno; per ric ostituire lo stato e farlo uscire dalle guerre civili si istituiva una magistratura con potere analogo a quello dei consoli, da attribuire per 5 anni a Lepido, Antonio e Cesare. Fu stabilito di introdurre questa nuova titolatura, invece del termine dittatura, forse per rispetto della legge di Antonio c he vietava che continuasse a esistere un dittatore. I triumviri dovevano subito nominare i magistrati annuali della città per 15 anni succes sivi e ripartirsi gli incarichi in provincia: Antonio assumeva il governo dell'intera Gallia a esclusione della zona vicina ai Pirenei, denominata Gallia antica; di questa e della contigua Spagna assumeva il governo Lepido; a Cesare toccavano l'Africa, la Sardegna, la Sicilia e tutte le isole vicine. In tal modo i tre si divisero l'impero di Roma, rimandando nel tempo soltanto l'asse nazione delle zone al di là dell'Adriati co su cui ancora esercitavano il loro potere Bruto e Cassio però stabilirono che Antonio e Cesare muovessero loro guerra (Appiano, La guerra civile, 4, 2-3) Il 27 novembre 43 a.C. la legge Tizia (lex Titia) attribuì per 5 anni il potere supremo dello stato a Ottaviano, Antonio e Lepido che divennero triumviri per la ricostruzione dello stato (trimviri rei publicae constituendae). A differenza del primo triumvirato, che si caratterizzò come un accordo privato tra tre uomini potenti, il secondo triumvirato divenne una vera e propria magistratura: i triumviri avevano il compito di scegliere i candidati alla magistratura e potevano convocare il senato ed i comizi. Fu necessario per i triumviri individuare alcune rispettive aree di influenza in cui esercitare il proprio ruolo: Antonio avrebbe mantenuto il suo dominio sulla Gallia Cisalpina e sulla Gallia Comata• Lepido mantenne i territori della Gallia Narbonense, della Spagna Citeriore e della Spagna Ulteriore• Ottaviano ottenne l'Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica.• Una delle prime iniziative emanate dai triumviri fu il ripristino delle liste di proscrizione su modello sillano: tali liste portarono all'eliminazione di 300 senatori, 2000 cavalieri, alla confisca dei loro beni (una delle vittime fu Marco Tullio Cicerone che con le Filippiche aveva attaccato Antonio) e furono utilizzate dai triumviri per eliminare i loro oppositori. I cesaricidi si erano trasferiti tutti in Oriente (sebbene il territorio fosse ormai interamente sotto il dominio degli eredi di Cesare) e fu necessario risolvere la situazione. Ottaviano si presentò come il solo uomo legittimato a compiere la vendetta per l'omicidio di Cesare (l'uccisione del dittatore aveva violato leggi non solo umane, ma anche divine). La vendetta si attuò nel 42 a.C. a Filippi, in Macedonia, in una campagna che fu condotta da Ottaviano e Antonio e che portò al suicidio di Cassio e Bruto durante le due battaglie. Antonio trionfò sul campo di battaglia ma la propaganda di Ottaviano permise alla campagna di essere grande a Roma. La fine della guerra rappresentò anche il primo tentativo di estromettere Lepido trasformando il triumvirato in una diarchia: Lepido, in qualità di console in carica accanto a Munazio Planco, non aveva preso direttamente parte a Filippi. Inoltre fu accusato di collusione con Sesto Pompeo (figlio di Pompeo Magno) che aveva costruito una flotta che bloccava le navi contenenti le scorte di cereali provenienti dall'Africa. La posizione di Sesto era tuttavia legittimata dal senato che lo aveva nominato prefetto della flotta e così Lepido fu scagionato. Fu necessario, dopo la battaglia di Filippi, discutere nuovamente le posizioni dei tre triumviri: Ottaviano tornò in Italia per occuparsi dell'assegnazione delle terre promesse ai soldati in caso di vittoria e ottenne il controllo delle Spagne. ○ La Gallia Cisalpina avrebbe dovuto abbandonare lo statuto di provincia e sarebbe stata annessa all'Italia. Antonio rimase in Oriente per riorganizzare il territorio che era stato sotto il controllo dei cesaricidi○ Lepido ottenne il governo dell'Africa.○ Nuova sezione 1 Pagina 25 Pagina 57 Dopo tali accordi, Antonio si era trasferito in Oriente dove aveva intrecciato una relazione con la regina Cleopatra. Il console in carica Lucio Antonio (fratello di Antonio) e Fulvia (moglie di Antonio) contestarono le modalità di assegnazione delle terre italiche ai veterani eseguita da Ottaviano sul territorio italico (aveva dovuto attuare alcune confische a danno dei proprietari terrieri) dove dilagava la guerra civile (la guerra di Perugia). Lucio e Fulvia erano stati sconfitti a Perugia e Antonio aveva raggiunto l'Italia per ridefinire gli accordi con Ottaviano: nel 40 a.C. a Brindisi si divise l'impero romano in due sezioni (Occidente e Oriente) affidate ai due uomini. Il confine fu tracciato nella città di Scodra (Albania) e si decise che l'Africa sarebbe rimasta a Lepido. Nel 39 a.C. i triumviri si riunirono nuovamente a Capo Miseno per trovare un accordo con Sesto Pompeo (il popolo dava la colpa della fame ai triumviri che non riuscivano ad accordarsi con Sesto)che tuttavia ebbe vita molto breve poiché Antonio non consegnò mai il Peloponneso a Sesto. Il deteriorarsi del rapporto tra Sesto e i triumviri aveva indotto Ottaviano a stringere un'alleanza matrimoniale: dopo aver spodestato la moglie Scribonia (madre della sua unica figlia Giulia) sposò Livia Drusilla (figlia e moglie di Tiberio Claudio Nerone e madre di Tiberio e Druso Maggiore) e rimase con lei fino al momento della sua morte. Il 31 dicembre 38 a.C. finì il primo quinquennio del triumvirato che fu tuttavia rinnovato per altri cinque anni. Il rapporto con Cleopatra Quello tra il triumviro e la regina d'Egitto fu un lungo rapporto passionale caratterizzato anche da molteplici implicazioni politiche: il paese del Nilo rappresentava un partner importante, per le sue ricchezze, per la sua posizione geografica e per la sua grande flotta. Ottaviano aveva condannato il rapporto tra Antonio e Cleopatra perché rappresentava un tradimento dei costumi romani. Antonio, conoscendo l'opposizione di Ottaviano, armò un enorme esercito e avviò, nel 36 a.C., una spedizione. Giunse in Armenia e arrivò ad assediare Fraata (senza prenderla) ma si ritirò dopo poco avendo avuto pesanti perdite. Con Cleopatra, Antonio ebbe tre figli ( i gemelli Alessandro Elios e Cleopatra Selene e Tolomeo) ma non poté mai sposarla poiché aveva già una moglie e il diritto romano impediva i matrimoni con gli stranieri. Nonostante ciò, Antonio riconobbe i suoi figli e anche Cesarione (il figlio che Cleopatra ebbe da Cesare) donando loro alcuni territori sotto i controllo di Roma (donazione di Alessandria). Il 2 settembre 31 a.C. Ottaviano dichiarò ufficialmente guerra alla regina Cleopatra (e indirettamente al collega). L'ammiraglio che comandò le imprese di guerra fu Marco Vipsanio Agrippa. Antonio e Cleopatra riuscirono a raggiungere l'Egitto ma le truppe di Ottaviano avanzarono rapidamente e spinsero i due amanti a togliersi la vita. Nel 30 a.C. Alessandria cade sotto il dominio di Ottaviano. La «coniuratio totius Italiae» Le Res Gestae Divi Augusti testimoniano un episodio di estrema importanza per la genesi del principato, in quanto su di esso si basano i poteri eccezionali che Ottaviano detenne prima di divenire Augusto, nel 27 a.C. La coniuratio totius Italiae è un atto politico che la critica modera ha definito anticostituzionale ed extracostituzionale, a spiccato carattere rivoluzionario e plebiscitario. La testimonianza delle Res Gesta ci restituisce l'interpretazione che Augusto intese accordare all'episodio; le Res gestae sono, infatti, una lunghissima iscrizione, composta nel 14 d.C. da Augusto e fatta incidere su lastre bronzee davanti al proprio mausoleo, di cui fu òpredisposta la pubblicazione in tutto l'impero. Essa attraverso le tre categorie delle onorificenze, delle spese e delle iniziative politico- militari ripercorre per sommi capi tutta l'esperienza politica del principe. L'iscrizione ci è giunta attraverso tre copie rinvenute ad Ankara, Antiochia, Apollonia di Pisidia, cui si aggiunge il frammento di recente ritrovato a Sardi: Tutta l'Italia giurò spontaneamente fedeltà a me e chiese me come comandante della guerra in ci poi vinsi presso Azio; giurarono parimenti fedeltà le province delle Gallie, delle Spagne, di Africa, di Sicilia e di Sardegna. (Augusto, Res Gestae 25, 2) Nuova sezione 1 Pagina 26 Pagina 58 La restaurazione della repubblica Si usa distinguere l'azione politica di Augusto in due periodi: Periodo prima di Azio: si consumò il grande scontro tra la clientela aristocratica e oligarchica e quella interclassista voluta da Ottaviano (esercito, cavalieri, proletariato urbano e province occidentali). ○ Periodo dopo Azio: concise con la nascita del principato.○ Consentì a Roma di superare la crisi e comportò un cambiamento dell'assetto politico. Augusto mostrò ai posteri e ai suoi contemporanei un'immagine del nuovo governo come di una prosecuzione dell'esperienza repubblicana e come una rivitalizzazione del mos maiorum (costume degli antenati). Ottaviano, tornato a Roma dall'Oriente, abrogò le leggi del periodo triumvirale e si rese protagonista di un gesto propagandistico (27 a.C.), la restitutio rei publicae: nel corso di una riunione della curia, egli riconsegnò al senato e al popolo romano i poteri eccezionali della repubblica. I poteri di Augusto 27 a.C. Augusto mantenne il consolato, che esercitava senza interruzione dal 31 a.C., e lo depose solo nel 23 a.C. Nello stesso anno fu attribuito al principe per 10 anni un esteso comando provinciale (Spagne, Gallie, Siria, Cilicia e Cipro) che ripartì le province in due categorie: Province non pacificate: sede dei reparti legionari non ancora sicure nei confini (erano anche dette province imperiali perché soggette al dominio del principe) 1) Province pacificate: prive di eserciti al loro interno (erano anche dette pubbliche o del popolo romano perché erano sotto il dominio del senato) 2) A partire dal 23 a.C. Augusto amministrò lo stato mediante la somma di tre poteri fondamentali Potestà tribunizia perpetua: assicurò al principe le prerogative riservate ai tribuni della plebe (diritto di veto, iniziativa legislativa, facoltà di convocare popolo e senato, inviolabilità, opportunità di instaurare un patronato nei confronti della plebe) Potere proconsolare superiore: estensione del comando provinciale eccezionale Pontificato massimo: alla morte di Lepido (12 a.C.), Augusto ottenne la carica superiore in ambito religioso e con questa riportò in auge antichi culti e riti che non venivano praticati da tempo. Gli onori conferiti ad Augusto Nel trentaquattresimo capitolo delle Res Gesta Augusto giustifica il proprio ruolo politico dopo la conclusione delle guerre civili. Ricorda anche i principali onori a lui concessi- la decorazione degli stipiti della sua casa sul Palatino con piante di alloro, simbolo di vittoria, e l'affissione sopra la sua porta d'ingresso di una corona di foglie di quercia, la corona civica, che veniva tradizionalmente consegnata al combattente che in battaglia aveva salvato la vita a uno o più cittadini romani. Lo scudo d'oro apposto nella curia, il clipeus virtutis, menzionava le virtù di Augusto: il valore, la clemenza, la giustizia, il senso del dovere: Durante il mio sesto e settimo consolato, dopo aver posto fine alle guerre civili e aver diretto ogni cosa per volere di tutti, trasferii lo stato dal mio potere alla giurisdizione del senato e del popolo romano. Per questa mia azione meritoria per deliberazione del senato ebbi il titolo di Augusto, gli stipiti della mia abitazione furono decorati con fronde di alloro, una corona civica fu affissa sopra la mia porta d'ingresso e nella Curia Giulia fu posto uno scudo d'oro, che attestava attraverso un'iscrizione che il senato e il popolo romano me lo concessero per valore, clemenza, giustizia e senso del dovere. Da questo momento in poi superai tutti in autorità e, tuttavia, non ebbi nessun potere maggiore agli altri che mi furono colleghi in ciascuna magistratura. (Res Gestae,34) Nuova sezione 1 Pagina 27 Pagina 59 Augusto pacificatore Augusto definisce il suo intervento di pacificatore istituendo un confronto tra la sua azione e quanto avvenuto in precedenza nella storia di Roma: egli è colui che, più di ogni altro nel passato, seppe garantire la pace, esemplificata dalla chiusura del tempio di Giano, il quale veniva, invece, tenuto aperto nelle occasioni di guerra. Le due precedenti chiusure del tempio avevano avuto luogo nel regno di Numa Pompilio e dopo la prima guerra punica, nel 235 a.C. Le tre chiusure augustee datano al 29 a.C., dopo la vittoria di Azio; al 25 a. C., dopo la guerra Cantabrica in Spagna; infine a un momento non definibile con esattezza, ma forse identificabile nel 10 a.C. dopo la spedizione in Arabia: Il tempio di Giano Quirino, che i nostri antenati vollero fosse chiuso quando per tutto l'impero del popolo romano in terra e in mare fosse assicurata con vittorie la pace, tramandandosi che prima della mia nascita, fin dalla fondazione della città, fosse stato chiuso soltanto due volte, durante il mio principato il senato decretò che si dovesse chiudere in tre occasioni. (Res Gestae,13) La vittoria su Antonio e Cleopatra consentì ad Ottaviano di annettere l'Egitto, un territorio, preziosissimo per la sua posizione strategica e in quanto grande produttore di cereali. Le legioni romane furono impegnate anche nella Spagna nord-occidentale per debellare le ultime sacche di resistenza alla romanizzazione, causa di ripetute ribellioni (alle due province di Spagna Citeriore e Ulteriore vennero sostituite le tre nuove province di Tarraconense, Betica e Lusitania). Nel 25 a.C. furono annesse all'impero romano le Alpi occidentali mentre nel 16-15 a.C. le Alpi centrali e orientali. Tali conquiste risultavano decisive per assicurare collegamenti sicuri con l'Europa settentrionale e l'area illirica, che era stata acquisita nel 35-34 a.C. attraverso la guerra dalmatica. Druso e Tiberio tra il 12 e il 7 a.C. combatterono nella regione renana della Germania, ottenendo la sottomissione, effimera, dei territori compresi fino al fiume Elba, che avrebbe rappresentato un buon confine per l'impero. L'indirizzo adottato dal principe per la sua politica interna e per la gestione del dissenso fu caratterizzato da un rigido rigore non solo nell'applicazione degli strumenti preventivi (incentivazione della pratica delatoria, organizzazione del servizio di intelligence) ma anche nell'attuazione di una severissima azione repressiva (fondata sull'allestimento di processi pubblici). L'età augustea è universalmente accreditata come un periodo di pace ma la storiografica (tra cui Tacito, che definì la pace augustea pax cruenta) mostra un ampissimo dissenso nei confronti dell'imperatore. Sono tre le diverse fasi che caratterizzano il dissenso augusteo. Al centro di queste fasi ci fu la volontà di eliminazione fisica di Ottaviano: furono organizzate molteplici congiure per eliminare l'imperatore. La prima fu organizzata da Marco Emilio Lepido (figlio di Lepido) appoggiato dai conservatori filorepubblicani, mentre le altre furono ad opera degli integrati, uomini che erano stati compresi da Ottaviano nell'organigramma del nuovo stato. Presa coscienza della tipologia di governo che Ottaviano desiderava intraprendere, congiurarono per eliminare fisicamente il principe e tornare all'antico. La pace insanguinata di Augusto Tacito, che ha accettato il principato proprio come la sola soluzione possibile per estinguere la piaga delle guerre civili, rileva tuttavia come anche in età augustea fu versato sangue romano: in alcuni casi si trattò di stragi inflitte da nemici esterni (la clades Lolliana nel 17 a.C. in Gallia e la clades Variana nel 9 d.C. in Germania); in altri furono assassini di uomini di valore coinvolti in accuse di eversione politica: Terenzio Varrone Murena, Egnazio Rufo, Iullo Antonio: Dopo queste vicende vi fu sicuramente la pace, ma a prezzo di sangue: ci furono le disfatte di Lollio e di Varo e a Roma vennero uccisi uomini come Varrone, Egnazio, Iullo. (Tacito, Annali, 1, 10, 4) Con l'assunzione del potere da parte di Tiberio si apre il governo della dinastia Giulio-Claudia che porterà i massimi esponenti dei Giuli, discendenti di Augusto, e dei Claudi, discendenti di Livia, a capo dell'impero. Livia, moglie di Augusto, aveva dal primo marito Tiberio Claudio Nerone due figli; Tiberio e Druso Maggiore. La donna non diede figli ad Ottaviano ma con il matrimonio fu adottata dal principe (divenendo sua moglie e sua figlia) così tramutò Tiberio nel più diretto successore all'impero secondo la legge romana. Nuova sezione 1 Pagina 32 Pagina 62 L'IMPERO DI TIBERIO Alla morte di Augusto (14 d.C.) Tiberio dovette fronteggiare una serie di minacce al suo primato. In senato si era a lungo discusso il sistema di successioni per via dinastica (che tramandava il potere non solo ai figli, ma anche ai nipoti e ai figli adottivi) e si pensò perfino all'adozione di un organismo collegiale come sistema di governo. Molti senatori, tuttavia, sostenevano l'iniziativa proposta da Clemente (uno schiavo di Agrippa Postumo che, dopo la sua morte, assunse la sua identità e promosse la successione Giulia) e di conseguenza credevano nelle capacità di governo di Tiberio. Chi non sosteneva il governo di Tiberio appoggiava la figura di Germanico, figlio adottivo di Tiberio (che Augusto aveva scelto come successore alla morte di Tiberio) che appariva destinato ad ottenere il potere. Dopo la morte di Germanico (VEDI paragrafo successivo) l'erede designato di Tiberio sarebbe stato Druso Minore, figlio legittimo di Tiberio, ma egli morì prematuramente (23 d.C.) e Tiberio nominò per la prima volta una figura esterna alla dinastia, Lucio Elio Seiano. La scelta di Seiano, sebbene sia poco usuale, non fu del tutto casuale: egli aveva stretto legami con Livilla (figlia di Druso maggiore) e con Antonia (la vedova di Gaio Cesare e moglie di Druso Minore) Tiberio spostò la sua residenza a Capri, abbandonando la capitale e lasciando di fatto il governo d Seiano. Seiano aveva stretto legami con Antonia per rientrare regolarmente nella successione e poter essere destinato a governare al posto di Tiberio (che, tuttavia, era ancora in vita ed era ancora il legittimo imperatore). Egli escluse la moglie e i figli maggiori di Germanico (Agrippina e Nerone furono esiliati mentre Druso fu imprigionato) ma Tiberio, avvertito da Antonia, fece eseguire la condanna a morte di Seiano che era riuscito ad ottenere il consolato. La fine di Seiano Lo storico ebreo Flavio Giuseppe testimonia l'attività eversiva e poi la fine di Seiano: Il suo amico [di Tiberio] Seiano aveva organizzato una grande cospirazione, egli che deteneva un grande potere in quanto prefe tto del pretorio. Numerosi senatori e liberti aderivano al suo partito, le forze armate erano sedotte e così la cospirazione fece notevoli prog ressi. In verità essa avrebbe avuto successo se Antonia non avesse avuto grande coraggio e non fosse stata più accorta della malvagi tà di Siano. Appena venne informata della cospirazione contro Tiberio, gli scrisse ogni cosa in dettaglio, consegnò la lettera a Pallante, il più fidato tra i suoi servi, e lo inviò a Capri presso Tiberio. Dopo che venne informato, Tiberio fece uccidere Seiano e i suoi complici. (Flavio Giuseppe, Le antichità giudaiche, 18,181-182) Per quanto riguarda la politica estera, Tiberio fu artefice di importanti successi militari ma non promosse mai campagne di conquista (probabilmente per proseguire l'orientamento abbracciato da Augusto). Sul fronte settentrionale impiegò Germanico tra il 14 e il 16 d.C.: egli sconfisse sul campo Arminio e lo scontro fu presentato come una vendetta per la disfatta di Varo. In Oriente, invece, Tiberio fu artefice di un'efficace politica di consolidamento dei domini romani e creò due nuove province: la Coomagene (attuale Turchia sudorientale) e la Cappadocia (Turchia centrale). La gestione interna dello stato di Tiberio è invece soggetto di molte opposizioni tra gli storiografi: alcuni (come Tacito, Svetonio e Cassio Dione) la criticano definendola ipocrita, mentre altri (come Valerio Patercolo e Valerio Massimo) la valorizzano. Tiberio cercò di assicurare provvedimenti a favore dei debitori e usò con oculatezza le risorse pubbliche. Quando l'imperatore si trasferì a Capri, intensificò la pratica dei processi tenuti al suo cospetto. Tiberio morì nel 37 d.C. mettendo fine al suo governo. (25 maggio 15 d.C. - 10 ottobre 19 d.C.) Problemi di strategia Nell’ideologia augustea stabilire una precisa gerarchia in prospettiva dinastica rappresentava un’istanza imprescindibile e funzionale alla dimostrazione che il princeps era in grado di assicurare la sopravvivenza della res publica. La famiglia di Augusto divenne il centro di un discorso ideologico che si diffuse a Roma, nelle città dell’Italia e delle province, attraverso la propagazione di notizie che riguardavano il princeps e i suoi familiari. Non sarà allora un caso che, accanto alle fonti letterarie, i documenti che meglio ci attestano il ruolo giocato da Germanico sono due lunghe iscrizioni, una proveniente dal territorio di Siarum nella provincia Baetica ed una proveniente da Heba, città dell’Etruria. Nuova sezione 2 Pagina 1 Pagina 63 Adozioni e matrimoni La prematura scomparsa degli eredi designati Lucio Cesare e Gaio Cesare spinse Augusto ad elaborare una nuova strategia dinastica, dopo i fallimenti a cui era già andato incontro. Il principe scelse di adottare Tiberio insieme al più giovane dei figli di Giulia Maggiore e Agrippa, Agrippa Postumo. Tiberio, su indicazione di Augusto, fu indotto a adottare Germanico, il figlio del defunto fratello Druso Maggiore e di Antonia Minore (figlia di Ottavia Minore, sorella di Ottaviano, e di Marco Antonio). I legami tra i Giulii e i Claudii furono ulteriormente cementati dalla creazione di alcuni vincoli matrimoniali, tra cui i più importanti. La discendenza di Germanico Il matrimonio tra Germanico e Agrippina divenne centrale per le strategie dinastiche del principe, poiché grazie ad esso i Giulii e i Claudii si legarono ulteriormente. Da questa unione nacquero ben sei figli maschi e tre figlie femmine: Nerone Giulio Cesare (nato nel 4 o 5 d.C.)• Druso Giulio Cesare (nato tra il 7 e l’8 d.C.)• Tiberio Giulio Cesare (nato tra l’8 e il 10 d.C.)• Gaio Giulio Cesare (nato nell’11 d.C.)• Gaio Giulio Cesare Caligola (nato nel 12 d.C.)• Un bambino dal nome ignoto (nato nel 14 d.C.)• Giulia Agrippina (nata alla fine del 15 d.C.)• Giulia Drusilla (nata tra la fine del 16 e l’inizio del 17 d.C.)• Giulia Livilla (nata nel 18 d.C.).• L’importanza dell’unione di Germanico e Agrippina in questa prospettiva è messa fuoco anche da Tacito, che, narrando della morte di Livia nel 29 d.C., così si esprime (Ann. 5.1.2): Nullam posthac subolem edidit, sed sanguini Augusti per coniunctionem Agrippinae et Germanici adnexa communes pronepotes habuit. In seguito (Livia) non ebbe altri figli, ma congiuntasi alla stirpe di Augusto in virtù delle nozze di Agrippina e Germanico, con lui ebbe in comune i pronipoti. Tacito insiste più volte sul tema della fecondità di Agrippina e sul numero di figli che essa ebbe da Germanico e, narrando il trionfo sui Catti, Cherusci e altri popoli stanziati sull’Elba, lo storico ricorda un particolare significativo (Ann. 2.41.3): Augebat intuentium visum eximia ipsius species currusque quinque liberis onustus. Accresceva l’ammirazione degli spettatori il nobile aspetto di Germanico e la presenza sul cocchio trionfale dei cinque figli. Germanico in questo frangente recuperò la prassi repubblicana che consentiva al comandante vittorioso di esibire la propria discendenza per agevolarne la futura carriera politica. Incerta l’identità dei figli che lo accompagnarono (probabilmente solo i figli maschi). Germanico e la Tabula Siarensis Il tema della discendenza e dell’ascendenza di Germanico torna nella Tabula Siarensis, un documento epigrafico che riporta il testo di un senatus consultum relativo agli onori funebri da attribuire a Germanico. Per la prima volta, un decreto di questo genere coinvolge non solo l’imperatore Tiberio, ma anche altri membri della Domus Augusta, tra cui alcuni figli di Germanico e la madre Antonia. La Tabula Siarensis fu rinvenuta in Spagna nel 1982 nel territorio dell’antico municipio di Siarum (nelle vicinanze di Siviglia). Esso si conclude stabilendo che i consules designati Marco Valerio Messalla e Marco Aurelio Cotta avrebbero dovuto presentare al popolo la rispettiva legge sugli onori a Germanico, affinché fosse approvata. Il testo della Tabula menziona un altro senatus consultum che si data al 16 dicembre del 19 d.C., anteriore a quello di cui si riporta il testo, lo iustitium per Germanico deve essere iniziato nel periodo intercorso tra l’arrivo della notizia della morte di Germanico e il 16 dicembre stesso. Sul piano contenutistico la Tabula Siarensis fa ampi riferimenti alla costruzione di tre archi trionfali intesi a commemorare le imprese di Germanico, posizionati due in provincia (uno in Siria ed uno presso il tumulo di Druso Maggiore sulla riva del Reno) e uno a Roma, nel Circo Flaminio, vicino (non per caso) al monumento che Gaio Norbano Flacco aveva fatto erigere in onore del divo Augusto e della sua domus nel 15 d.C., quando era Nuova sezione 2 Pagina 3 console insieme a Druso Minore. Pagina 64 La spinta per la campagna britannica arrivò quando presero il potere i due figli di Canubellino, da sempre filoromani ma da poco tempo divenuti ostili. Grazie al lavoro del generale Tito Flavio Vespasiano, Claudio riuscì a conquistare la Britannia e fu ricordato come il conquistatore d'oltreoceano (il canale della Manica era visto come un oceano che separava i domini romani). Claudio tentò di migliorare la condizione della plebe promuovendo molteplici opere pubbliche che donarono lavoro e migliorarono la città di Roma: Ampliamento del porto di Ostia e costruzione del magazzino per lo stoccaggio del grano• Costruzione di un complesso edilizio per la distribuzione del grano al popolo• Costruzione di nuovi acquedotti (seguendo i progetti di Cesare)• Bonifica del lago di Fucino• Indisse spettacoli e giochi per dilettare il popolo• Claudio si rivelò anche un ottimo amministratore poiché promosse una riforma burocratica che concesse nuove cariche di amministrazione dell'ambito famigliare ai liberti imperiali: a Pallante fu affidato il controllo delle finanze (a rationibus), a Nacisso fu concessa l'amministrazione della corrispondenza imperiale (ab epistulis), a Callisto fu assegnato il controllo delle petizioni (a libellis) mentre Polibio dovette occuparsi della gestione delle richieste formulate all'impero (a studiis). Riformò anche l'ordine equestre utilizzando la censura per espellere alcuni cavalieri e creò cariche nuove sia in ambito civile che militare. Sebbene Claudio fu un imperatore riformatore e moderato, era mal visto dall'opinione pubblica per motivazioni diverse (è il protagonista dell'opera satirica di Apokolokyntosis di Seneca) ma prima tra tutte per la grandissima influenza delle donne non solo sulla sua vita personale ma anche sulla politica. Ebbe quattro mogli ma le ultime due accrebbero la loro influenza a tal punto da intervenire nella sua successione e sulla sua reputazione: Messalina (la sua terza moglie che gli diede due figli, Ottavia e Britannico) fece scalpore per la sua relazione ed il suo matrimonio con Gaio Silino mentre era ancora moglie dell'imperatore. ○ Agrippina minore (la sua quarta moglie) costrinse l'imperatore ad adottare Nerone (figlio che aveva avuto con Gneo Domizio Enobardo) e lottò a lungo per garantire la successione del figlio. ○ L'imperatore Claudio morì in circostanze bizzarre nel 50 d.C.: secondo alcune fonti, la moglie Agrippina non era estranea alla sua dipartita. L'apertura della carriera senatoria alle élite della Gallia Transalpina L'orazione attraverso la quale nel 48 d,C. Claudio sollecitò l'apertura della carriera senatoria alle classi dirigenti dei Galli Transalpini è nota attraverso 2 documenti: la testimonianza di Tacito (Annali, 11, 23-24) redatta alcuni decenni dopo i fatti, e la cosiddetta Tabula Lugdumensis, lastra bronzea di estese dimensioni affissa a Lione e lì rinvenuta nel 1528 che contiene la trascrizione del discorso dell'imperatore effettuata subito dopo che questo fu pronunciato. I due documenti presentano significative analogie ma anche talune differenze che consentono di verificare il metodo di lavoro dello storico. Claudio struttura il suo discorso intorno a un concetto fondamentale: la storia di Roma dimostra come la disponibilità dell'Urbe al cambiamento e ad aprire le proprie istituzioni alla partecipazione di soggetti stranieri o di provenienza sociale subalterna rappresentò fin dall'età fondativa un importante fondamento dei suoi successi: I miei antenati, al più antico dei quali, Clauso, di origine sabina, furono attribuiti insieme la cittadinanza romana e il patriziato, mi sollecitarono ad adottare gli stessi criteri nel governare lo stato, facendo giungere a Roma tutto ciò che di eccellente vi è all'estero. Infatti non ignoro che i Giuli vennero chiamati da Alba, i Cornuncanii da Camerio, i Porcii da Tuscolo e, per non risalire a età più antiche, dall'Etruria, dalla Lucania e da tutta l'Italia furono chiamati uomini al senato romano.... È il caso di pentirsi, forse, che dalla Spagna siano venuti i Balbi e dalla Gallia Narbonense uomini non meno famosi? ……. Ormai essi [i Galli] si sono assimilati a noi nei costumi, nelle arti, nei vincoli di sangue. Ci portano anche il loro oro, invece di tenerlo per sé. O padri coscritti, tutte le cose che si credono ora antichissime furono nuove un tempo. (Tacito, Annali, 11, 23-24) L’IMPERO DI NERONE (54 d.C. - 68 d.C.) Alla morte di Claudio nessuno dubitò del ruolo che Nerone avrebbe dovuto avere come successore legittimo di Claudio: Egli era figlio di Agrippina (figlia di Agrippina maggiore e Germanico) che incarnava in sé il sangue dei Giuli e dei Claudi ○ Era figlio adottivo di Claudio, imperatore prima di lui○ Aveva sposato Ottavia, figlia di Claudio con Messalina○ Agrippina riuscì a garantire a Nerone una solida base per assicurare il suo governo: fece rientrare dall'esilio il filosofo Seneca (che si occupò della formazione del giovane) e fece Nuova sezione 2 Pagina 8 insediare Afranio Burro come prefetto del pretorio (egli avrebbe garantito per Nerone con Pagina 67 il senato). Il governo di Nerone fu caratterizzato da due poli completamente opposti che evidenziarono l'instabilità dell'imperatore al potere: Quinquennium neronis: i primi cinque anni dell'impero di Nerone furono molto positivi.○ Egli fu guidato dall'influenza di Agrippina, di Afranio Burro e applicò tutti gli insegnamenti di Seneca. Il secondo periodo fu invece caratterizzato da una serie di eliminazioni da parte di Nerone: egli uccise la madre Agrippina, uccise la moglie Ottavia, Afranio Burro morì e Seneca fu nuovamente allontanato dalla corte. ○ In questo periodo iniziarono ad incrinarsi i rapporti con la curia. Per quanto riguarda la politica interna, Nerone indisse i Neronia, grandi festeggiamenti indetti ogni cinque anni che portarono floridità alla città di Roma e a tutto l'impero. Inoltre diede inizio ad una riforma monetaria che compì abbassando il valore dell'oro e svalutando completamente l'argento. La politica estera messa in atto da Nerone fu concentrata in tre diverse zone del mondo: Armenia: Tiriade (fratello del sovrano dei Parti) si era insediato nel territorio dell'Armenia facendo venire meno il controllo romano. ○ Nerone affidò l'operazione di recupero a Corbulone che cacciò Tiridate e ripose sul trono Trigane (favorevole ai romani) attuando una politica aggressiva nei confronti dei parti. I Parti si unirono e intentarono un solo attacco che spaventò a morte i romani tanto che fu ripristinato il governo di Tiriade (che fu anche incoronato da Nerone in una cerimonia pubblica a Roma nel 66 d.C.). Britannia: Tra il 60 e il 61 d.C. si verificò la rivolta degli Iceni di Boudicca (il defunto sovrano aveva lasciato il territorio in mano alle figlie, alla moglie Boudicca e a Nerone) che soffrivano di un grande malcontento nei confronti di Roma. ○ Boudicca si ribellò e conquistò Colchester (Camulodunum), Londra (Londinium) e Saint Albans (Verulaminium) ma la ribellione fu repressa dall'esercito romano. Giudea: La confisca del tesoro del Tempio di Gerusalemme diede inizio ad una rivolta da parte del popolo degli Zeloti, ○ La rivolta fu significativa ma il generale Vespasiano, accompagnato dal figlio Tito, la repressero nel 66 d.C. Nel 64 d.C. si verificò il celebre incendio di Roma che si prolungò per sei giorni e distrusse buona parte della città. Sebbene alcune storiografie credano in un coinvolgimento dello stesso Nerone, al tempo della vicenda l'imperatore attribuì la colpa dell'atto alle popolazioni cristiane residenti a Roma, dando inizio ad una vera e propria persecuzione. Nel 66 d.C. Nerone fu coinvolto nella congiura dei Pisoni (organizzata nella villa di Gneo Calpurnio Pisone) a cui presero parte molti politici ed intellettuali del tempo (come Lucano e Seneca, che pare fosse informato) e che diede inizio ad un'ondata di malcontento nei confronti dell'impero neroniano. Molti alleati di Nerone si ribellarono al suo governo, come Giulio Vindice (governatore della Gallia Lugdunense), Servio Sulpicio Galba (governatore della Spagna Tarraconense), Marco Salvio Otone (governatore della Lusitania) e Aulo Cecina Alieno (questore della Betica). Il senato dichiarò Nerone nemico pubblico ed egli si tolse la vita il 9 giugno 68 d.C., mettendo fine al dominio della dinastia Giulio-Claudia. I cristiani e l'incendio di Roma La persecuzione neroniana è celebre grazie all'eco che riscosse nella letteratura cristiana più tarda (si pensi agli episodi del martirio degli apostoli Pietro e Paolo), nonché in virtù delle ricostruzioni spettacolari, che di essa ha fornito la cinematografia moderna. Si tratta, tuttavia, di un evento storico attestato anche da una fonte antica al di sopra di ogni sospetto. Nei suoi Annali, infatti, Tacito critica l'operato di Nerone, da lui considerato indegno della carica imperiale, non risparmiando tuttavia di disprezzare i numerosi cristiani di Roma, definiti gli adepti di una funesta superstizione (exitiabilis superstitio), che nutrivano odio per l'intero genere umano: Né interventi umani, né largizioni del principe, né sacrifici agli dèi riuscivano a soffocare la voce infamante che l'incendio fosse stato comandato [da Nerone stesso]. Allora, per mettere a tacere ogni diceria, Nerone dichiarò colpevoli e condannò ai tormenti più raffinati coloro che il volgo chiamava crestiani, odiosi per le loro nefandezze. Essi prendevano nome da Cristo, che era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato sotto l'impero di Tiberio. Repressa per breve tempo, quella funesta superstizione ora riprendeva forza non soltanto in Giudea, luogo d'origine di quel male, ma anche nell'Urbe, in cui tutte le atrocità e le vergogne confluiscono da ogni parte e trovano seguaci. Furono dunque arrestati dapprima coloro che confessavano, poi, sulle rivelazioni di questi, altri in grande numero furono condannati non tanto come incendiari, quanto come odiatori del genere umano. Alle morti furono aggiunti i ludibri, come il rivestirli delle pelli di belve per farli dilan iare dai cani o, affissi a croci e bruciati quando era calato il giorno, venivano accesi come fiaccole notturne. [……..] Perciò, benché si trattasse di rei, meritevoli di pene severissime, nasceva un senso di pietà, in quanto venivano uccisi non per il bene comune, ma per la ferocia di un solo uomo. Nuova sezione 2 Pagina 10 (Tacito, Annali, 15, 44) Pagina 68 La morte di Nerone svela un segreto di stato Nelle Storie, l'opera che, nella sua parte sopravvissuta, descrive il conflitto civile del 68-69 d.C. e l'ascesa al potere della dinastia flavia, Tacito seppe cogliere l'importanza di questo momento storico, sintetizzandola con la sua acuta capacità di espressione: La fine di Nerone, pur festeggiata nel primo impeto della pubblica esultanza, aveva però suscitato sentimenti diversi, non solo a Roma, nei senatori o nel popolo o nelle milizie cittadine, ma in tutte le legioni e in tutti i comandanti, poiché era stato reso pubblico un segreto del potere: potersi creare un imperatore fuori di Roma. (Tacito, Storie, 1, 4, 2) Anche in età augustea il principato non era una carica politica inserita nell'ordinamento istituzionale romano ma, dalla nomina di Augusto, si erano definiti i canoni di questa carica un po' alla volta. La successione al principato era stata organizzata con la successione convenzionale per discendenza e, di conseguenza, tutti gli imperatori erano sempre appartenuti alla dinastia Giulio-Claudia. Alla morte di Nerone si concluse il dominio dei Giulio-Claudi perché gli alleati, che avevano perso fiducia nell'imperatore, nominarono Galba che era governatore della Gallia Terraconense. Servio Sulpicio Galba Galba proveniva da famiglia di antica nobiltà: per questo intraprese una carriera politica e divenne console nel 33 d.C. Dopo vari incarichi in provincia (fu legatus Augusti pro praetore) e fu governatore dell’Africa proconsolare negli anni 44-46 d.C. Galba rifiutò il titolo di imperatore preferendo quello di legato del senato romano. Nel 61 d.C. fu scelto da Nerone come governatore della Hispania Tarraconensis, dove rimase fino al 68 d.C. quando fu coinvolto nella rivolta contro Nerone organizzata da Gaius Iulius Vindex (la rivolta fallì schiacciata da Lucio Virginio Rufo, governatore della Germania Superiore fedele a Nerone). La guardia pretoriana, sotto la guida di Ninfidio Sabino, abbandonò Nerone che fu deposto dal senato e, ormai privo di appoggi, si dette al suicidio il 9 giugno del 68 d.C. Galba, investito ufficialmente dal senato, abbandonò il titolo che aveva precedentemente scelto per assumere quello di Cesare Augusto e si diresse verso Roma. Durante il viaggio verso Roma, Ninfidio Sabino iniziò a macchinare un colpo di stato con l’aiuto di alcuni pretoriani ma fu scoperto e messo morte. Altri governatori cospirarono a lungo contro Galba, ma senza alcun successo. Giunto a Roma, Galba utilizzò modi inusuali per risanare le casse dello stato: Si rifiutò di pagare il donativo ai pretoriani promesso da Ninfidio Sabino, non distribuì il grano (come invece aveva promesso e per queste ragioni perse velocemente l’appoggio dei cittadini romani. Vedendo la sua posizione sempre più precaria, Galba adottò Lucio Calpurnio Pisone Liciniano (nipote di Gaio Calpurnio Pisone) ma questo gli costò caro: Marco Salvio Otone, governatore della Lusitania e sostenitore di Galba, che sperava di essere designato come successore, rimase molto deluso (su Otone, tuttavia, gravava il fatto di essere stato uno dei più intimi amici di Nerone). Se l’immenso corpo dell’impero romano potesse reggersi e conservare l’equilibrio senza una persona che lo guidasse, io sarei stato degno di far risorgere la Repubblica; ma da lungo tempo, ormai, si è venuti a questa necessità, e la mia vecchiaia non può offrire alla patria nulla di meglio che un buon successore e la tua gioventù nulla di meglio che un buon principe. Sotto Tiberio, Caligola e Claudio, fummo quasi l’eredità di una sola famiglia: il fatto che ora cominciamo a essere eletti sostituirà la libertà, e, finita la stirpe dei Giuli e dei Claudi, l’adozione farà sempre trovare il migliore. Mentre infatti è un puro caso essere generati e nascere da principi, senza altro elemento di giudizio, essere adottati è un vero e proprio esame, e l’opinione pubblica costituisce un’indicazione per la scelta. (Tacito, Historiae 1, 49) Otone preparò la rivolta contro Galba accaparrandosi l’appoggio dei soldati della sua provincia e delle province della Germania Superior ed Inferior. Il primo gennaio del 69 d.C. due legioni della Germania Superior si ribellarono a Galba e chiesero al senato un nuovo imperatore, la rivolta contagiò le altre legioni e si allargò fino alla Germania Inferior, senza che Vitellio (delegato inviato da Galba) fosse in grado di sedarle. Vitellio fu indotto dalle sue legioni ad accettare di essere nominato imperatore e Galba, ormai accerchiato da due pretendenti, fu vittima di una congiura insieme al figlio. Nuova sezione 2 Pagina 12 P gina 69 L’impero di Domiziano A succedere a Tito fu Domiziano, secondogenito di Vespasiano e fratello di Tito. Diversamente dal fratello, egli puntò su un governo tendenzialmente autocratico rendendosi così ostile al senato e al popolo romano. Nonostante il suo governo autocratico, egli diede inizio a grandi opere a favore di un nuovo assetto economico per l'impero romano. La politica estera intentata da Domiziano fu caratterizzata dal protagonismo del generale Giulio Agricola che guidò una campagna dalla Britannia verso la Caledonia (territori di Scozia e Galles) e tentò di allargare l'impero. In Germania Domiziano vinse sui Catti, mentre sul Reno Domiziano dovette siglare una pace non troppo conveniente per il popolo romano ma a favore dei Daci. Si sviluppò un clima molto ostile all'interno dell'impero, caratterizzato da rivolte e congiure. Domiziano trovò la morte in una congiura di palazzo nel 96 d.C.: dopo la morte, il senato applicò la damnatio memoriae (cancellò la memoria dell'imperatore). Nerva: il principe del senato Dopo la caduta di Nerone e la fine della dinastia Giulio-Claudia fu necessario trovare un nuovo successore al potere imperiale. Il senato scelse e nominò Nerva, un anziano console che riuscì a sedare un tentativo di guerra civile e tentò a lungo, durante il suo governo, di sedare la crisi dell'impero. Nerva è ricordato, più che per le opere compiute durante il suo governo, per aver dato origine alla dinastia degli Antonini (così chiamata dal nome dei suoi ultimi tre discendenti. La dinastia degli Antonini fu completamente diversa da quella dei Giulio-Claudi perché fu originata quasi esclusivamente per adozioni. Nerva adottò Marco Ulpio Traiano, un giovane generale di origine italica che aveva ottenuto grandi vittorie sul campo di battaglia. Nerva morì nel 98 d.C. lasciando l'impero nelle mani di Traiano Traiano: l’ottimo principe Traiano era di origine italiche (la sua famiglia risiedeva da lungo tempo nella zona della Betica) ma suo padre riuscì ad accedere al senato. Ciò gli permise di accedere all'esercito romano e, grazie alle sue vittorie come generale, ebbe la possibilità di farsi notare da Nerva che lo adottò. Succedette a Nerva all'impero poco dopo ma non dimenticò mai le sue basi militari che lo portarono ad essere un grande conquistatore. Nel d.C. avviò una spedizione nel quadrante balcanico dove da tempo si consumava la questione della Dacia. Il re dei Daci Decebalo non volle arrendersi senza lottare, ma Traiano spostò un grande esercito in Dacia e il sovrano fu costretto ad arrendersi sottomettendosi all'impero romano. Oltre alle azioni in Dacia, Traiano Nuova sezione 2 Pagina 15 P gina 72 Conquistò l'Armenia, la Mesopotamia, la città di Ctesifonte, la capitale dei Parti (attuale Bagdad), il regno dei Nubatei e tentò di conquistare anche l'India. Con Traiano l'impero romano raggiunse la sua massima estensione. Traiano morì nel 117 d.C. mentre rientrava a Roma dalla Cilicia. La colonna Traiana Il monumento, alto cento piedi romani (quasi trenta metri), si trova all'interno del grandioso foro forum Ulpium), che Traiano stesso fece progettare all'architetto Apollodoro di Damasco ed edificò nel cuore di Roma, in prossimità dei fori di Cesare guerra (ex manubis). Come in una pellicola cinematografica, la decorazione della colonna si articola in una sequenza di scene, che si sviluppano dal basso verso l'alto, risalendo a spirale il fusto della colonna per oltre 200 metri. Adriano: il principe viaggiatore Dopo la morte di Traiano gli succedette Adriano, che scelse di applicare un approccio diametralmente opposto a quello usato da Traiano nella politica estera. Cedette moltissimi domini conquistati dal suo predecessore in particolare nelle colonie vicino all'Eufrate ridimensionando (se pur solo parzialmente) l'impero romano. Compiuto tale atto, Adriano non diede mai inizio ad una sua politica espansionista, ma visse la sua vita in maniera itinerante, spostandosi tra i molti domini dell'impero: visitò le Gallie, le Germanie, la Britannia (dove fece ergere il celebre vallo di Adriano), in Spagna, ad Atene (uno dei suoi viaggi più significativi) e in Oriente. A Roma si occupò del restauro e della costruzione di grandi opere: fece ricostruire il Pantheon di Agrippa, fece ergere un mausoleo monumentale (l'attuale Castel sant'Angelo) e fece costruire la Villa d'Este a Tivoli e i suoi giardini. Alla morte di Antinoo, suo amante, egli lo fece divinizzare e fondò una città sopra il luogo in cui era morto, con il nome di Antinopoli. Egli fondò un nuovo ed efficiente sistema burocratico: riformò la carriera dei procuratori (procuratores) e degli equestri si strutturò secondo una progressione con stipendi annui fissi: sessantamila sesterzi ai sessagenari (sexagenari), centomila ai centenari (centenari), duecentomila ai ducenari (ducenarii). L'imperatore assegnò inoltre al giurista Salvio Giuliano la codificazione del cosiddetto editto perpetuo (edictum perpetuum). Adriano, ormai moribondo, scelse come suo successore il console Lucio Emilio Cesare che morì improvvisamente così Adriano dovette scegliere un altro successore. Antonino pio e il principato silente Arrio Antonino, scelto come erede, prese il cognome di Pio dopo l'adozione da parte di Adriano. Egli ebbe un principato molto lungo ma privo di veri e propri eventi significativi (è bene evidenziare la completa mancanza di fonti di quegli anni, fatta eccezione per la Historia Augusta in cui è raccontata la sua vita). Contrariamente al suo predecessore, Antonino ebbe una vita molto sedentaria (visse tutto il suo principato a Roma) e si limitò ad apportare alcune riforme allo stato. Egli creò una fortificazione ulteriore del vallo di Adriano (conosciuta come Vallo di Antonino) e diede avviò ad una serie di opere edilizie (come la costruzione di un mausoleo dedicato alla defunta moglie Faustina maggiore). Nuova sezione 2 Pagina 16 Pagina 73 Marco Aurelio e Lucio Vero: i principi colleghi Alla morte di Antonino Pio gli susseguì il figlio adottivo Marco Aurelio che, tuttavia, chiese di poter condividere la carica imperiale con suo fratello Lucio Vero tramutando l'impero in una diarchia. Lucio Verro andò in Oriente dove i Parti avevano insediato sul trono dell'Armenia un loro esponente. La diarchia dovette fronteggiare in Germania l'attacco dei Quadi e dei Marcomanni che conquistarono le città di Ederzo e Aquillia: più che vere e proprie conseguenze sul piano militare, questo attacco portò a grandi conseguenze psicologiche per i romani. Sotto la diarchia una grandissima epidemia (probabilmente di vaiolo) conosciuta come peste antonina, decimò la popolazione dell'impero. Dopo la morte di Lucio Vero, avvenuta nel 169 d.C., Marco Aurelio continuò il suo impero e cacciò le popolazioni germaniche dai domini romani. Durante il suo impero solitario, Marco Aurelio si distinse come seguace dello stoicismo, come autore di opere letterarie (i suoi Ricordi sono una delle prime opere letterarie composte da un imperatore pervenute per intero e mostrano i suoi dubbi e le sue riflessioni) ma anche come grande persecutore. Negli ultimi anni del suo impero si ricorda la persecuzione dei cristiani di Lione che furono linciati con false accuse molto gravi, come quelle di incesto o cannibalismo. Marco Aurelio morì nel 180 d.C. a Vienna probabilmente a causa di un nuovo focolaio di peste antonina. Commodo: il principe gladiatore A susseguire a Marco Aurelio fu Commodo, suo figlio legittimo. Contrariamente alle opere del padre che aveva a lungo combattuto le popolazioni germaniche, Commodo scelse di siglare con loro una pace che garantisse serenità all'impero. Commodo si mostrò completamente disinteressato all'aspetto amministrativo della sua carica, permettendo così l'ascesa di alcuni prefetti del pretorio (come Tigidio Perenne e Marco Aurelio Cleandro) dispotici e cruenti che minarono la sua autorità. La sua grandissima negligenza spinse lo stato ad un periodo di grandissima corruzione e ciò scontentò il senato che aveva votato per la sua nomina. Il governo di Commodo sprofondò quando egli spinse per la sua divinizzazione. Una serie di congiure attentarono alla vita del sovrano che fu tuttavia avvelenato dalla sua amante Marcia che lo fece successivamente strangolare nel 192 d.C. (193 d.C. - 197 d.C.) Dopo la morte di Commodo, il governo fu retto per un breve periodo da alcuni senatori che, tuttavia, riuscirono a donare un governo stabile solo per un breve periodo: il governo del senatore Publio Elvio Pertinace durò solo per tre mesi finché i pretoriani, scontenti, non lo uccisero e nominarono imperatore Didio Giuliano. Le legioni stanziate nei diversi quadranti dell'impero non approvarono il governo del senatore e, per questo motivo nominarono tre candidati possibili: Clodio Albino dalla Britannia▫ Settimo Severo dalla Pannonia▫ Pescennio Nigro dalla Siria▫ A causa della difficoltà nel trovare un accordo su chi dei tre candidati meritasse il potere, scoppiò una grandissima guerra civile che durò, diversamente dalla precedente, per quattro anni. Settimo Severo, ottenuto il consenso dei soldati stanziati nei dintorni del Danubio, riuscì a sconfiggere il senatore Didio Giuliano; si spostò poi in Oriente dove annientò l'esercito di Pescennio Nigro ed infine sconfisse Clodio Albino che si era spostato in Gallia. Nuova sezione 2 Pagina 18 P gina 74 Visto il grandissimo malcontento sviluppato a Roma nei confronti del nipote, Giulia Mesa scelse di affiancargli il suo secondo nipote Alessandro Bassiano (figlio della sua altra figlia Giulia Mamea) affinché lo aiutasse nel governo. Nel 222 d.C., tuttavia, il senato preferì Alessandro e lo nominò imperatore con il nome di Alessandro Severo. Il governo di Alessandro fu caratterizzato da un grandissimo accordo con il senato (anche grazie alla presenza del giurista Ulpiano) e dall'abbassamento delle imposte per le spese di corte (che erano state aumentate da Caracalla). Nella sua politica estera, Alessandro Severo si concentrò, esattamente come i suoi predecessori, sul rapporto dei romani con i Parti. I Parti, a partire dal 224 d.C., avevano visto l'imporsi della dinastia dei Sassanidi che mirarono a fondare un nuovo impero persiano. L'iniziatore di questa dinastia fu Ardashir I che si trovò immediatamente a scontrarsi con Alessandro Severo che li dominò. Alessandro Severo fu costretto, nel 235 d.C., a tornare in Occidente dove trovò la morte a Magonza a causa di un'insurrezione militare. Egli non lasciò alcun legittimo erede mettendo fine alla dinastia dei Severi. Provvedimenti fiscali di Alessandro Severo La biografia di Alessandro Severo contenuta nella Storia Augusta fornisce un'immagine idealizzata dell'imperatore, ottenuta rielaborando con ricercatezza i dati storici autentici: Abolì a Roma la tassa sul commercio e l'oro coronario. [...] Ridusse le imposte pubbliche in modo tale che chi sotto Elagabalo aveva dovuto versare dieci aurei ora doveva pagare solo un terzo di aureo e cioè la trentesima parte. (Storia Augusta, 32, 5; 39, 6) Il terzo secolo d.C. segnò un periodo di importanti modifiche nell'impero romano. Secondo la storiografia questo fu un periodo di grandissimo collasso per motivi diversi tra cui la penuria di generi alimentari, la diffusione delle carestie, la frequenza delle pestilenze, la crescita dei prezzi, la grandissima frequenza di invasioni e di incursioni da parte dei nemici. La critica storiografica ha individuato alcune grandi ipotesi che hanno portato al tracollo dell'impero: Tendenza idealista Tendenza liberale Tendenza marxista Motivi etnico-religiosi Conflitto tra la borghesia e il popolo Tracollo dell'economia servile Il diffondersi del cristianesimo, il crollo dei valori tradizionali, l'affermarsi di dottrine soteriologiche (salvezza individuale) e l'incremento delle religioni misteriche portarono gli abitanti dell'impero alla perdita di uno dei cardini più importanti della società romana L'alleanza del popolo con l'esercito portò alla crisi delle città e al conseguente spostamento di grandi masse e alla deurbanizzazione La mancanza di espansionismo portava ad un abbassamento della quantità degli schiavi e della conseguente manodopera È, tuttavia, impossibile individuare un'unica causa che diede origine al collasso dell'impero anche perché già nelle epoche precedenti al terzo secolo d.C. si erano registrati eventi che mostravano i segni di una crisi: Impennata delle spese militari a causa delle grandi campagne intentate dagli imperatori• Aumento delle tasse, svalutazione del denaro e aumento dei prezzi• Gibbon, Rostovzeff e Finley sulle cause della crisi del III secolo d.C. Capostipite della scuola di pensiero idealista può essere considerata la monumentale opera di Edward Gibbon, Storia del declino e della caduta dell'impero romano, pubblicata alla fine del XVIII secolo in Inghilterra. Esemplificativo della corrente liberale è invece il lavoro di Michael Rostovtzeff, Storia economica e sociale dell'impero romano, pubblicato a Oxford nel 1926, la cui visione risente di eventi contemporanei, quali, in particolare, la coesione di intenti fra masse rurali e soldati dell'Armata rossa, che si verificò nella Russia bolscevica dopo la rivoluzione del 1918. Un rappresentante atipico della visione marxista può essere considerato Moses Finley, che nel suo Schiavitù antica e ideologie moderne, pubblicato a Londra nel 1980, avanzò la propria «teoria della sostituzione» (replacement theory), secondo la quale nell'epoca tardoantica l'economia schiavistica non scomparve, ma si trasformò, amalgamandosi con altre forme di lavoro subordinato. Studi più recenti hanno tuttavia dimostrato che già nell'epoca del principato il ricorso alla manodopera schiavile aveva conosciuto gradi di diffusione assai eterogenei a seconda dei diversi contesti geografici, risultando prevalente solo in Italia e in poche altre province, il cui suolo veniva utilizzato per l'agricoltura Nuova sezione 1 Pagina 70 intensiva. P gina 77 IL PERIODO DELL ’ANARCHIA MILITARE (235 d.C. – 284 d.C.) Dopo la caduta della monarchia dei Severi, Roma sfociò in un periodo conosciuto con il nome di anarchia militare. L’esercito, stanco della successione dinastica che tendeva ad eleggere (seppur con alcune eccezioni) membri delle classi più alte, accantonò il senato e prese autonomamente decisioni sui candidati all’impero. Tali imperatori venivano nominati e deposti dalle legioni con grande facilità e, di conseguenza, nel periodo dell’anarchia si susseguirono circa venti imperatori. Tra i più celebri (e i più duraturi) si ricorda la figura di Massimino il Trace che restò in carica dal 235 d.C. al 238 d.C. Massimino fu un grande generale e si distinse per le numerose campagne militari e per il suo lavoro di consolidamento dei confini (nei suoi tre anni di impero Massimino non si recò mai a Roma). La sua vittoria più celebre è certamente la battaglia di Harzhon (235 d.C.) che portò grandi onori ai romani (sul terreno furono ritrovati alcuni resti della battaglia come le divise dei legionari). Dopo la sua morte, il periodo dell’anarchia portò nuovamente ad una enorme crisi: Filippo l’Arabo, dopo la sconfitta nella battaglia di Mesiche, fu costretto a pagare un umiliante tributo ai Sassanidi e, inoltre, perse i territori di Armenia e Mesopotamia. Valentiniano, in seguito, diede avvio ad una fallimentare campagna in Oriente che portò ad una prima disgregazione dell’impero in tre differenti sezioni:  Impero delle Gallie, conteneva gran parte dei territori dei barbari  Impero Romano, ciò che rimaneva dei confini di Roma  Regno di Palmira: territori (come la Siria) su cui la regina Zenobia rivendicava il potere Pagina 78 Dopo la fine della dinastia dei Severi divenne ancor più evidente che Roma avesse due grandi problemi: Il problema della successione imperiale: nel corso dei secoli si aveva optato per la successione dinastica, per quella meritocratica, per la scelta del senato e poi per quella dell'esercito. ○ Il problema della sicurezza delle frontiere: dopo le conquiste di Augusto la situazione internazionale si era completamente capovolta. ○ Le incursioni barbariche all'interno dell'impero portarono alla luce non solo la scarsa forza dei confini ma anche il problema della protezione delle zone pacifiche. Dopo aver sconfitto il suo predecessore Carino, Diocleziano comprese l'importanza di dover trovare una soluzione a queste problematiche e pensò di non poter riuscire da solo. Per questo nominò Marco Aurelio Valerio Massimiano suo co-imperatore nel 285 d.C. Nel 293 d.C. ogni augusto nominò il suo cesare: la scelta di Diocleziano ricadde su Gaio Valerio Galerio Massimiano (conosciuto solo come Galerio) mentre la scelta di Massimiano fu Marco Flavio Galerio Costanzo (conosciuto come Costanzo Cloro a causa del suo colorito pallido). La diarchia di Diocleziano e Massimiano si trasformò in una tetrarchia composta da due augusti e due cesari e fondata sulla lealtà professionale e personale. Sul piano della politica estera, la tetrarchia si rivelò incredibilmente efficace: Diocleziano si concentrò nella lotta contro i persiani e soffocò la rivolta in Egitto• Massimiano, sul confine del reno, dovette fronteggiare le incursioni degli Alemanni e represse la ribellione indigena in Mauretania • Galerio sconfisse i Goti sul basso Danubio e i Persiani lungo l'Eufrate• Costanzo riconquistò la Britannia• I quattro tetrarchi individuarono quattro città e spostarono lì i loro centri di comando: Diocleziano scelse Nicomedia (Nicomedeia) per la sua collocazione sul mar Marmara (a un centinaio di chilometri da Istanbul) e perché la reputava ideale per fronteggiare un attacco persiano. • Galerio scelse Sirmio (Sirmium) sul fiume Sava (nell'odierna Serbia) perché si trovava nel cuore dei Balcani• Massimiano scelse Milano (Mediolanum) per controllare il corso alto del Danubio• Costanzo scelse Treviri (Augusta Treverorum) sul fiume Mosella perché gli permetteva di spingersi in Britannia • Nel 303 d.C. i tetrarchi avviarono una politica di governo contro i cristiani ed emanarono quattro editti. Chi obbediva alle imposizioni imperiali riceveva un certificato di abiura mentre chi restava fedele al cristianesimo veniva incarcerato e giustiziato. Nel 305 d.C. Massimiano e Diocleziano abdicarono inaspettatamente senza fornire una vera e propria motivazione (fino a quel momento nessun imperatore aveva mai abdicato). La struttura della tetrarchia La formazione della tetrarchia è descritta in maniera sintetica, ma incisiva, dallo storico tardoantico Aurelio Vittore: Diocleziano conferisce subito il titolo di imperatore a Massimiano, amico fedele benché semibarbaro, comunque buon soldato e dotato di una buona indole. [...] Diocleziano e Massimiano si prendono come cesari Giulio Costanzo e Massimiano Galerio; [...] poi, tramite legami matrimoniali, li rendono loro consanguinei. Dopo aver annullato i loro matrimoni precedenti, i cesari sposarono il primo la nuora di Massimiano, il secondo la figlia di Diocleziano; così un tempo aveva fatto Augusto con Tiberio e sua figlia Giulia, Erano tutti originari dell'Illiria; benché fossero poco istruiti, erano stati educati dalle miserie della vita dei campi e dalla guerra e furono eccellenti imperatori. [...] E poiché il peso delle guerre [...] si faceva sentire più gravemente, l'impero fu diviso in quattro parti: tutto quello che si trova al di là delle Alpi galliche fu affidato a Costanzo; l'Africa e l'Italia a Massimiano; le coste dell'Illirico fino al Ponto Eusino a Galerio; Diocleziano ottenne tutto il resto. (Aurelio Vittore, Libro sui Cesari, 39, 17-32) Il gruppo scultoreo dei tetrarchi La coesione fra i tetrarchi è ben rappresentata nel celebre gruppo scultoreo visibile a Venezia, all'angolo sud-orientale della basilica di San Marco, davanti alla «porta della carta», l'ingresso principale del palazzo ducale. La statua, proveniente da Costantinopoli, raffigura i quattro sovrani suddivisi in due coppie, ciascuna formata da un augusto (più anziano, con la barba) e da un cesare (imberbe). Il monumento è realizzato in porfido, la pietra che per il suo colore richiamava la porpora dei principi: da indice dell'appartenenza agli ordini senatorio ed equestre la porpora divenne infatti in epoca tardoantica il simbolo per eccellenza della sovranità imperiale. Pagina 79 Nell'anno successivo Magnenzio attaccò Costanzo a Mursa (in Pannonia) ma fu sconfitto e mandato a morte in Gallia, la sua terra natia. Costanzo II era divenuto ufficialmente l'unico imperatore e nominò suo cugino Gallo come suo cesare. Gallo ebbe tuttavia vita breve e Costanzo II fu costretto a nominare l'altro suo cugino Giuliano come cesare. Le truppe, tuttavia, acclamarono Giuliano come augusto (che ottenne maggiori consensi) e apparse inevitabile lo scontro con Costanzo II che, tuttavia, morì poco dopo nel 360 d.C. Giuliano, divenuto imperatore, tentò di ripristinare i culti politeistici nell'impero estromettendo i cristiani dall'apparato statale e dalla vita politica. Dopo soli due anni di governo Giuliano dovette fronteggiare la questione orientale: i Persiani volevano da lungo tempo rimpadronirsi dei territori della Mesopotamia che gli erano stati sottratti. Giuliano assediò la capitale persiana senza, tuttavia, riuscire ad espugnarla. Egli morì durante la lotta con i Persiani nel 363 d.C. a causa di una ferita da freccia. Editto del 346 d.C. sulla chiusura dei templi pagani Il Codice teodosiano, una raccolta di costituzioni imperiali promossa dall'imperatore Teodosio II nella prima metà del V secolo d.C., contiene il testo di un provvedimento, emanato di comune accordo da Costanzo II e Costante e databile probabilmente al 346 d.C., che imponeva la chiusura dei templi pagani e proibiva i sacrifici: Gli imperatori Costanzo e Costante al prefetto del pretorio Tauro. È nostro desiderio che in tutti luoghi e in tutte le città i templi siano immediatamente chiusi e che con il divieto di accedervi sia tolta a tutti gli uomini perduti la possibilità di peccare. È anche nostro volere che tutti gli uomini si astengano dai sacrifici. Se per caso qualcuno dovesse commettere un crimine di questo genere, andrà abbattuto con la spada vendicatrice. Noi altresì decretiamo che le proprietà di un uomo così condannato debbano passare al fisco e che, analogamente, i governatori provinciali dovranno essere perseguiti, se trascureranno di punire questi misfatti. (Codice teodosiano, 16, 10, 4) Politica di Giuliano l'Apostata contro i cristiani La politica di Giuliano mise a repentaglio il primato che i cristiani si stavano lentamente garantendo all'interno della società. Tale rischio è ben riconosciuto dallo scrittore cristiano Rufino, originario della colonia di Iulia Concordia nell'attuale Veneto orientale e vissuto all'epoca dei fatti narrati: [Giuliano] fu un persecutore più astuto degli altri, poiché non ricorse alla violenza e ai tormenti, ma con i premi, le cariche, le lusinghe e le promesse persuasive riuscì a far cadere quasi un numero maggiore tra la popolazione cristiana che se fosse ricorso a mezzi atroci. Vietò ai cristiani lo studio degli autori pagani e decise che le scuole degli esercizi letterari fossero aperte soltanto a coloro che veneravano gli dei e le dee. Ordinò che la cintura del servizio militare non fosse consegnata se non a quelli che immolavano agli dei. Diede disposizioni perché ai cristiani non si dovesse affidare il governo delle province e l'amministrazione della giustizia nei tribunali, essendo essi individui ai quali una legge propria impediva perfino di fare uso della spada. (Rufino di Concordia, Storia ecclesiastica, 11, 33) La dinastia Valentiniana e Teodosio Alla morte di Giuliano le truppe acclamarono come imperatore Gioviano che restò in carica per soli 8 mesi. Egli riuscì solo a siglare una pace con l'esercito persiano con cui cedette molti territori nei dintorni dell'Eufrate. Alla morte di Gioviano gli succedette l'ufficiale pannonico Valentiniano che scelse come cesare suo fratello Valente. I due fratelli avevano due credenze religiose diverse, esattamente come era stato per i successori di Costantino: Valentiniano credeva nel cristianesimo niceno, mentre Valente era seguace dell'arianesimo. Il più grande problema che i due fratelli furono costretti ad arginare fu quello delle frontiere: Valentiniano (che si divideva tra Milano e Treviri) tentò di salvaguardare il confine renano-danubiano mentre Valente dovette reprimere a Costantinopoli l'usurpazione di Procopio sostenuta dai Goti. Gli imperatori si trovarono poi a fronteggiare i Persiani e furono costretti a cedere gran parte dell'Armenia. Valentiniano morì in Pannonia nel 375 d.C. lasciando come eredi i suoi due giovanissimi figli Graziano e Valentiniano II (che, avendo solo otto anni, fu affiancato dalla madre Giustina). In realtà il governo fu influenzato dal console Merobaude e dal poeta Ausonio (che divenne console) almeno per i primi anni di governo dei due fratelli. L'impero dovette poi fronteggiare un nuovo grande problema: gli Unni (una popolazione barbara di origine asiatica) entrarono in Scizia (attuale ) e cacciarono Goti e Visigoti che cercarono rifugio nell'impero come alleati. Valente accettò di proteggerli, ma loro reagirono raziando l'impero e rapinando il popolo romano. Nel 378 d.C. i romani furono distrutti ad Adrianopoli, dove morì anche Valente. Nuova sezione 1 Pagina 79 Pagina 81Pagina 82 Graziano sceglie di affiancarsi il comandante Flavio Teodosio che ebbe un'idea rivoluzionaria: creò i Goti foederati, una specie di stato nello stato romano che concedeva ai Goti un grandissimo privilegio e metteva fine alle lotte. Teodosio e Graziano furono soggetti alla grande influenza di Ambrogio, vescovo di Milano, che cantava i valori cristiani ed emanarono, nel 380 d.C., l'editto di Tessalonica con cui dichiararono il cristianesimo di Nicea religione di stato. Sempre sotto l'influenza di Ambrogio Graziano rifiutò la carica di pontefice massimo (fu il primo imperatore della storia a rifiutare) e fece rimuovere l'altare della Vittoria che ricordava alla città i riti pagani. Simmaco, uno dei membri di una delle più grandi famiglie romane, fece un discorso in cui difese gli antichi culti e ottenne la risposta di Ambrogio che parlò dell'impossibilità di scindere l'impero dai valori del cristianesimo. In Britannia, nel 383 d.C., Magno Massimo insorse e si spostò in Gallia, dove causò la morte di Graziano, così i due augusti furono costretti a riconoscerlo come collega donandogli il governo di Gallia, Britannia e Spagna. Quando, pochi anni dopo, Massimo invase all'improvviso l'Italia, Teodosio fu costretto ad intervenire e, dopo molte sconfitte, Massimo fu trucidato dai suoi soldati. Nel 389 d.C. Teodosio siglò una pace con i Persiani che, sebbene egli donava numerosi territori dell'Armenia al nemico, permetteva di ottenere un periodo di pace. Valentiniano morì nel 392 d.C. e al suo posto fu nominato Flavio Eugenio (affiancato da Nicomco Flaviano, esponente aristocratico) che cercò di ripristinare il culto pagano nell'impero. Nel 394 d.C., nella battaglia del fiume Frigido, Teodosio riuscì a sconfiggere Eugenio e divenne l'unico imperatore ma egli, tuttavia, morì a Milano solo qualche mese dopo lasciando come eredi i suoi due figli Onorio e Arcadio. Editto di Tessalonica Il testo dell'editto di Tessalonica, che prende il nome dalla città della Grecia settentrionale ('odierna Salonicco) in cui esso fu emanato il 27 febbraio 380 d.C., è tramandato all'interno del Codice teodosiano: Gli imperatori Graziano, Valentiniano e Teodosio augusti. [...] Vogliamo che tutte le nazioni che sono sotto nostro dominio, grazie alla nostra clemenza, rimangano fedeli a questa religione, che è stata trasmessa da Dio a Pietro apostolo, che egli ha trasmesso personalmente ai Romani e che ovviamente è mantenuta dal pontefice Damaso e da Pietro, vescovo di Alessandria, persona con la santità apostolica. Dobbiamo cioè credere conformemente con l'insegnamento apostolico e del Vangelo nell'unità della natura d ivina di Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono uguali nella maestà e nella Santa Trinità. Ordiniamo che il nome di cristiani cattoli ci avranno coloro i quali non violino le affermazioni di questa legge. Gli altri li consideriamo come persone senza intelletto e ordiniamo di condannarli alla pena dell'infamia come eretici; alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa. Costoro devono essere condannati dalla vendetta divina prima e poi dalle nostre pene, alle quali siamo sta ti autorizzati dal Giudice Celeste. (Codice teodosiano, 16, 1, 2) Il discorso di Simmaco dimostra che, come già si era verificato in precedenza, la questione religiosa aveva anche un risvolto economico; l'oratore auspicava infatti che venissero ripristinati i contributi finanziari e i privilegi secolari dei collegi sacerdotali pagani, recentemente aboliti per decisione dell'imperatore Graziano: Chiediamo il ritorno a quella condizione delle religioni che per tanto tempo ha contribuito al bene dello stato. Certo, sareb be facile citare imperatori seguaci dell'una o dell'altra credenza. Ebbene quelli del passato praticarono i riti degli antenati, quelli più recenti non li hanno aboliti. E se la religione degli antichi imperatori non è ritenuta un precedente valido, lo sia la tolleranza degli ultimi. Chi può es sere tanto amico dei barbari da non volere la restituzione dell'altare della Vittoria? [...] È giusto considerare uno stesso e unico ess ere quello che tutti gli uomini venerano. Contempliamo gli stessi astri, ci è comune il cielo, ci circonda il medesimo universo: cosa import a se ciascuno cerca la verità a suo modo? Non c'è una sola strada per raggiungere un segreto così sublime. (Simmaco, Relazione, 3) Normativa sui coloni fuggiaschi Il problema dei coloni fuggiaschi (ugition) è ripetutamente trattato nei provvedimenti legislativi raccolti nel Codice teodosiano: Se qualcuno trattiene consapevolmente un colono altrui nella propria abitazione, lo restituisca al suo padrone precedente e s ia tenuto a versare il corrispondente testatico per il periodo trascorso presso di lui. E opportuno che gli stessi coloni che nutrono p ropositi di fuga siano legati con catene di ferro, affinché vengano costretti a soddisfare ai loro doveri, che competono loro in quanto l iberi, in conseguenza della condanna allo stato servile. (Codice teodosiano, 5, 17, 1) Un impero unito e al tempo stesso diviso La ripartizione dell'impero attuata dai figli di Teodosio doveva essere solo di tipo amministrativo, ma si rivelò molto più radicata del previsto: Arcadio, il primogenito, ricevette in mano l'Oriente mentre Onorio, già nominato augusto, ottenne l'Occidente. Nuova sezione 1 Pagina 80 P gina 82i a 83 Impero d'Oriente Impero d'Occidente Prevaleva la piccola proprietà terriera Prevaleva il sistema del latifondo Era la sezione dell'impero più popolata Era la sezione meno popolosa I fronti erano maggiormente protetti Vi era una grandissima incursione da parte dei barbari / Grandissimo declino urbano La lingua più parlata era il greco La lingua più parlata era il latino La capitale, Costantinopoli, era molto più evoluta (il quarto concilio ecumenico sancì il patriarcato di Costantinopoli su tutte le altre città) La capitale, Roma, era meno evoluta Il lungo impero di Onorio Il giovanissimo Onorio fu affiancato nel suo governo dal comandante in capo della fanteria e della cavalleria (magister utriusque militae) Flavio Stilicone. Stilicone era riuscito, ancora prima della morte di Teodosio, ad assicurarsi un posto nella discendenza e nella famiglia: egli aveva sposato Serena, nipote di Teodosio e cugina di Arcadio e Onorio, e aveva dato la loro figlia Maria in sposa a quest'ultimo. Sotto il governo di Onorio (e di Stilicone) si sviluppò nell'impero un fortissimo sentimento antigermanico che portò ad una vera e propria pulizia etnica. Stilicone si trovò a dover fronteggiare Alarico, il comandante dei Visigoti che, nel 402 d.C., mise Milano sotto assedio e obbligò Onorio a spostarsi a Ravenna. Stilicone riesce a raggiungere qualche vittoria contro Alarico ma si sviluppò il problema degli Ostrogoti che fu risolto da Stilicone a Fiescole. Quando la coalizione delle forze barbare divenne troppo forte, Stilicone ordinò l'abbandono di tutti i territori non più difendibili. Approfittando di tale circostanza, nello stesso anno una più ampia coalizione di genti barbariche, formata prevalentemente da Burgundi, Vandali, Svevi e Alani, attraversò il corso gelato del Reno e invase l'intera Gallia, occupando poi anche la penisola iberica. Si trattò di un evento epocale, in quanto molte di queste popolazioni rimasero stanzialmente all'interno del territorio romano, dando vita progressivamente ai primi nuclei dei cosiddetti regni romano-barbarici. L'esercito romano iniziò ad abbandonare le province che non risultavano più difendibili: prima tra esse fu la Britannia, dove si stabilirono gli Angli e Sassoni, questi ultimi già presenti sull'isola e attivi da tempo nel controllo delle comunicazioni attraverso la Manica. Anche nel continente diversi gruppi di popolazioni esterne si insediarono stabilmente in qualità di foderati: i Burgundi nella media valle del Reno, i Vandali nella Betica (Spagna meridionale), gli Svevi nella Galizia (Spagna nord-occidentale), gli Alani nella Spagna Cartaginense e nella Lusitania (odierno Portogallo). L'imperatore Onorio scelse di abbandonare Stilicone, lo condannò per tradimento e lo fece uccidere a Ravenna nel 408 d.C. per poi mandare a morte anche sua moglie Serena e suo figlio Eucherio. Un nuovo sentimento anti -barbarico coinvolse anche le parti dell'esercito romano che ancora militavano ma la reazione dei soldati di origine germanica non si fece attendere: moltissimi di loro disertarono e si posero sotto il comando di Alarico, che invase nuovamente l'Italia. Il capo dei Visigoti cercò invano di ottenere un riconoscimento ufficiale da Onorio, asserragliatosi con la sua corte a Ravenna, ma l'imperatore rifiutò ogni accordo. Alarico pose allora ripetutamente sotto assedio Roma, che alla fine cadde e fu saccheggiata per tre interi giorni nell'agosto del 410 d.C. La notizia si sparse rapidamente in tutti i territori dell'impero e fu percepita come un'immane calamità. Durante il sacco di Roma venne anche rapita Galla Placidia, sorellastra minore dell'imperatore Onorio. Rimasta prigioniera per ben sei anni, la giovane fu data in sposa ad Ataulfo, il nuovo re dei Visigoti, subentrato ad Alarico, che era morto negli stessi mesi finali del 410 d.C. Abbandonato ogni tentativo di stanziarsi in Italia, i Visigoti si trasferirono nella Gallia Meridionale, da dove si espansero poi nella penisola iberica. Alla fine, attorno al 418 d.C., essi si insediarono stabilmente in qualità di foderati in un vastissimo e fertile territorio, che comprendeva l'Aquitania e buona parte della Spagna. Negli ultimi anni del suo regno Onorio fu affiancato da Flavio Costanzo che riuscì a riportare l'ordine in alcune delle province occidentali dell'impero e, per questo, fu acclamato come nuovo imperatore con il nome di Costanzo III. Costanzo III morì nel 421 d.C. prima ancora del suo predecessore che si spense nel 423 d.C. Descrizione del sacco di Roma del 410 d.C. Sintomatica del sentimento di angoscia che pervase i contemporanei è una lettera di san Girolamo: Dall'Occidente ci giunge la terribile notizia che Roma viene assediata, che si compra a peso d'oro l'incolumità dei cittadini, ma che dopo queste estorsioni riprende l'assedio: a quelli che sono già stati privati dei beni si intende togliere anche la vita. Mi viene a mancare la voce, il pianto mi impedisce di dettare. La città che ha Nuova sezione 1 Pagina 82 Pagi a 83 Le conseguenze della mancanza di unità Il governo si limitò in realtà ad occuparsi delle infrastrutture che servivano agli interessi suoi imperiali. La presenza talora di magistrati nominati dall’alto, con funzioni non ben chiare (curator rei publicae), restò un fatto occasionale. Questa condizione ebbe, a mio giudizio, conseguenze gravissime: i municipi finirono per rappresentare un fattore di frazionamento della realtà italiana. Quella che, con la felice formula di Andrea Giardina, possiamo chiamare l’identità incompiuta dell’Italia romana, anche da un punto di vista etnico nell’età giulio – claudia, si aggravò nel tempo per la mancanza di un tessuto politico – amministrativo, che sapesse coinvolgere i municipi in una prospettiva più generale. Quando alla fine del III secolo venne con Diocleziano la provincializzazione anche dell’Italia. La costituzione di Roma Si definisce costituzione il complesso delle norme giuridiche fondamentali che formano l’ordinamento giuridico dello stato. Queste norme giuridiche sono distinte da quelle ordinarie e proprio per questa ragione sono qualificate come costituzionali. Secondo tale definizione Roma non aveva una costituzione perché non possedeva un vero e proprio insieme di norme che regolamentavano i diritti e i doveri dei cittadini romani. Le leggi delle XII tavole contenevano solo norme del diritto civile, ma con una diversa definizione di costituzione le cose cambiano. Se intendiamo costituzionale in un significato empirico e più originario (per così dire) vale a dire come modo d’essere dello stato nel suo ordinamento fondamentale, allora la risposta potrebbe cambiare, nel senso che effettivamente lungo un processo storico plurisecolare si era venuta creando anche in Roma repubblicana una strutturazione complessa del corpo civico. Seguendo questa definizione allora Roma aveva una costituzione, da intendere come regolamento dello stato. Ricordiamo che con civitas si definisce una comunità organizzata fondata sullo ius civile e delineata da due elementi fondamentali: Constitutio: organizzazione e strutturazione di una società, ma anche carattere permanente di una società• Constituere: può ottenere diverse connotazioni, ad esempio inteso come municipium costituire ha significato di fondare un nuovo municipio. • Come definizione si intende organizzare, in termini giuridici, una struttura politico-amministrativa. La res publica è la forma statale che dovrebbe sempre garantire e tutelare la civitas. Una prova di costituzione la troviamo nella Constitutiones publicae (di Plinio), una serie di atti pubblici dello stato romano incisi sul bronzo a scopo conservativo. Ma lo stesso termine è stato impiegato anche per lo stesso assetto dello stato romano nella titolatura di due magistrature straordinarie incaricate di riformulare la struttura sociale. La prima è la dittatura di Silla, legibus scribundis et rei publicae constituendae. La prima frase riprende la titolatura del decemvirato legislativo del V secolo a. C., quello che aveva preparato il testo della legge delle XII Tavole, mentre con l’aggiunta del tutto nuova, rei publicae constituendae, si intendeva l’opera di riforma intesa a riequilibrare, nel funzionamento delle istituzioni politiche, i ruoli delle principali componenti (Senato, comizi, tribunato della plebe). Il sistema delle istituzioni romane era considerato ottimo anche secondo i critici come Cicerone polibio aperta parentesi nel libro sesto e viene considerato come esempio di costituzione mista. Alcuni critici rivedono nella costituzione romana il concetto di politeia (perfetta coesione tra tutti i sistemi di governo) e tale teoria è appoggiata anche da Polibio nel libro VI. Tale concezione cambia all'epoca dei gracchi dopo la forte crisi e la costituzione si rivela inadatta per organizzare l'amplissima potere di Roma. Nonostante la necessità non viene applicato alcun cambiamento alla costituzione ma viene realizzato un miglioramento della giurisprudenza romana. Le istituzioni romane trovano la loro origine già nell'epoca dei sette re: a Numa Pompilio sono state attribuite le norme religiose mentre a Romolo e a Servio Tullio alcune delle maggiori organizzazioni pubbliche. Tra l’80 il 44 si realizzarono le prime volontà di creare delle leggi scritte sotto Pompeo e Cesare. Cicerone le scrisse nel De legibus creando la prima organizzazione preliminare delle leggi romane secondo lo ius civili. Il testo della vera e propria costituzione rappresenta di fatto la traduzione, in un quadro unitario e resa in un arcaico linguaggio giuridico, delle già esistenti norme costituzionali romane, qui fra di loro connesse secondo principi che trovano poi spiegazione. Una seconda parte del testo costituzionale contiene le vere e proprie norme politiche che sono tutte riportate alla figura dominante del magistrato e del suo potere (imperium). È il magistrato il fondamento vero della res publica e con lui collaborano, necessariamente ma in modo quasi collaterale, Senato e popolo con le rispettive sfere di competenza. Ogni istituzione romana aveva tuttavia la religione alla base (Stipularono il divieto dei culti privati, una concezione già a lungo desiderata tra i politici a Roma). Il primo imperatore ci ha bensì lasciato di suo le Res Gestae, vale a dire un testo importante per farci capire quella che era la sua spiegazione di come fosse giunto ad afferrare il potere personale e a gestirlo, ma esse non Nuova sezione 2 Pagina 3 dicono volutamente quasi nulla sulla sistemazione giuridica del suo stesso potere. Pagina 116Pagina 86 A Roma vigeva la teoria di un equilibrio delle forme politiche, monarchica oligarchica democratica, e dei relativi poteri, che avevano trovato formulazione ideale e idealizzata della costituzione mista, riappaiono presso pubblicisti e storici greci, come Elio Aristide e Cassio Dione. Imperatore Ordine senatorio ed equestre Elite provinciale e masse popolari Questo sistema di rapporti, entro il quale ogni componente svolge la sua naturale funzione e che quindi sembra realizzare, come essi dicevano, la vera democrazia, serviva anche a delimitare le rispettive competenze politiche e ad indicare i tramiti per i quali la decisione politica presa in alto, era trasmessa dall’alto alla periferia. Questo sistema rappresentava di fatto la richiesta politica avanzata dai ceti alti imperiali, consapevoli del proprio ruolo indispensabile che trovava così la propria giustificazione politica e sociale sia verso il potere autocratico, sia verso le masse. Questo sistema di rapporti ha avuto scarsa, o almeno largamente incompleta attuazione nella realtà storica, ma ha fornito un modello teorico alla riflessione sociologica e politica dell’età illuministica, da Montesquieu in avanti. Roma e il mondo ellenistico: i cambiamenti in una civiltà Si intende il periodo compreso tra la morte di Alessandro Magno e l'ultimo re a governare il suo impero. Tale evento viene spesso messo in secondo piano dalla cultura greca antica e non gli viene attribuita grande importanza. Negli ultimi secoli la storiografia ha dato inizio un'opera di rivalutazione che cominciò con J. G. Droysen, che nel 1833 scrisse un volume su Alessandro il Grande (primo di una Storia dell’Ellenismo). In questa prima edizione egli era attento soprattutto al grande processo di incontro fra la civiltà greca e quelle orientali. Proseguì poi con l’opera storica di K. J. Beloch. Quasi un secolo dopo, nel 1941, M. Rostovzev nella sua Social and Economic History of the Ellenistic World esaltava le capacità umane nuove e l’intraprendenza dei Greci di quei secoli. L'ellenismo fu bloccato dall'avvento dei romani e fu ripreso soltanto nell'epoca moderna con una grandissima quantità di saggi opere sul tema che diedero origine ad un problema culturale mosso dalle grandi competenze in ogni campo (sia nell'esperienza scientifica che culturale). Si sviluppano nuove strutture economiche, mentre si pone il problema culturale, ma anche pratico, delle relazioni fra struttura greca dei nuovi stati e le popolazioni indigene, locali, etnicamente e culturalmente differenti. Fra i grandi stati mediterranei, anche se ognuno sviluppa una propria forza e volontà di espansione, si viene ad instaurare di fatto una politica di equilibrio, che relega in un secondo piano le inestinguibili contese delle tradizionali città e leghe greche. La competizione politica tra gli stati è alla base di una competizione scientifica, che ha sviluppato la ricerca e la tecnica in ogni campo (anche in quello politico e letterario). Questa competizione approda ad una concezione del progresso nelle conoscenze Questo incontro di cultura e competizione si colloca entro una concezione religiosa, politica, culturale di tipo universalistico, cosmopolitico, che proprio per l’ampliamento degli orizzonti geografici ed etnografici e delle esperienze scientifiche, finiscono per favorire le conquiste della fantasia e le spinte verso l’irrazionale. Alcuni storici considerano Roma e il suo impero come l'ultimo anello della catena dell'ellenismo vi sono grandissime opere storiografiche che collocano Roma in un grande quadro storico Mediterraneo. La concezione di Polibio Una visione globale della storia mediterranea, incentrata su Roma, in senso politico –militare, domina l’opera storica di Polibio, che non per niente scrive alla metà del II secolo a. C. quando il ciclo imperialistico romano si è già concluso. Una differente prospettiva universalistica, in senso politico – culturale, è stata caratteristica di una certa storiografia greca di età augustea: probabilmente già con Timagene, certamente con Nicolao di Damasco, con Strabone, e poi ancora con Filone Alessandrino. Roma era generalmente considerata dai greci una città barbara con cui, talvolta, avevano dei rapporti. Polibio non appoggiava questo rapporto tra greci e romani e non aveva accettato la leggenda della derivazione dei Romani da Enea, accoglieva invece la venuta di Evandro nel Lazio. Per Polibio la spiegazione della potenza di Roma era puramente tecnica: demografica, militare, istituzionale. Non culturale. La cultura stava dall’altra parte, da quella dei perdenti e dei vinti. Non era facile attendersi da Roma una spinta al progresso civile. La nuova impostazione dell’egemonia Nessun greco, secondo la concezione romana, credeva che una popolazione barbara potesse ottenere l’egemonia. Il predominio romano, fondato inizialmente sulla forza delle armi, si tradusse rapidamente anche nell’accentramento egemonico delle attività economiche: si venne creando attorno a Roma una centralità commerciale soprattutto determinata dalla convergenza, verso il centro del nuovo “impero”, delle produzioni provinciali; anche se naturalmente continuarono gli scambi fra le varie aree mediterranee ed extramediterranee. La reazione dei greci al nuovo potere romano Le generazioni greche dei secoli dell’Ellenismo si trovarono a vivere questi problemi concretamente, a fronteggiare queste complesse realtà che, al di là dei bruschi mutamenti politici, incisero profondamente sui loro modi di vivere e di pensare. Non saranno stati in molti a ragionare, come Polibio, su questi avvenimenti in termini di circolarità ciclica della storia; ancora in meno ad acquietarsi in una prospettiva giustificazionistica, o anche provvidenzialistica, che, gina 5 come sopra si è detto, non poteva nascere se non quando l’intera vicenda storica si fosse oramai conclusa. Pagina 87 Le province a Roma Le province in eta' repubblicana In epoca repubblicana iniziò ad affermarsi il concetto di provincia come territorio che, in senso amministrativo e politico, dipendeva da Roma. L'annessione di una provincia a Roma poteva avvenire in modi diversi anche se, con maggiore frequenza, venivano stipulati dei trattati che regolamentavano i rapporti con la madrepatria. Il controllo della provincia era affidato ad un magistrato cum imperium che aveva il totale controllo su ogni ambito amministrativo, militare (dava inizio alle campagne militari) e giudiziario. Divenne poi, solo successivamente, anche un concetto geografico quando la Carta Ecumene di Agrippa distinse il mondo in 24 regioni di cui 17 sottomesse al controllo romano. Ad esercitare l'imperium nella provincia erano i pretori che, in una prima istanza, erano 4 per provincia. Accanto al pretore, massima carica sul territorio, esercitava un potere limitato anche il senato che stabiliva le tipologie di provincia ed eseguiva il sorteggio. Nel periodo repubblicano furono attuate numerose modifiche all'assetto organizzativo delle province: con la riforma di Silla il numero di pretori aumentò nuovamente e, sotto Pompeo, la legge Pompeia sancì l'obbligo di una distanza di cinque anni tra la fine della carica politica a Roma e l'inizio del governo nelle provincia. La legge Pompeia divise inoltre le province in due tipologie (consolari e pretorie) e attribuì i nomi di proconsoli e propretori. A Pompeo inoltre, la legge gabinia e la legge manilia attribuirono un governo straordinario delle province per fronteggiare alcuni problemi interni come quello dei pirati. Per quanto riguarda i rapporti tra la provincia e Roma, il governo centrale interveniva solo in caso di estrema necessità. In Spagna, i cittadini si lamentarono con Roma del comportamento del governatore. Il governo intervenì inviando un pretore a controllare e egli obbligò il governatore a pagare una tassa. Il problema dei governatori si estese poi in molte province e fu necessario trovare una soluzione: creò un'assemblea stabile che aveva il compito di punire i soprusi. L'assemblea si componeva di senatori, ma la legge acilia de repetundis li sostituì con i cavalieri. L'assemblea tornò ad essere composta di soli senatori sotto Silla, fino a quando la legge aurelia giudiziaria non la compose equamente: 113 senatori, 113 cavalieri e 113 tribuni Preso il potere, Giulio Cesare emanò la lex Iulia de repetundis, in cui individuò nuovi comporamenti criminosi e nuovi modi per punire i governatori. Sotto Cesare l'assemblea divenne permanente e la legge cornelia punì i reati di alto tradimento e i comportamenti attuati dai pretori che si allontanavano dalla loro carica. Le province in eta' imperiale Dopo aver sconfitto Marco Antonio, Ottaviano si trovò a governare non solo l'intero territorio di Roma, ma anche tutte le conseguenti province. Assegnò il controllo delle province ai legati augusti, consoli e pretori di fiducia che si occupavano dell gestione diretta del territorio. Ottaviano creò un'ulteriore divisione delle province: vi erano province imperiali sottoposte al controllo del principe, e province proconsolari governate direttamente dal senato. La carica di proconsole rimase in vigore e fu donata a chi governava le province proconsolari ed era dotato di imperium completo. A governare le province proconsolari, come abbiamo già accennato, erano i legati augusti che avevano imperium dipendente dal principe. Sotto il dominio di Augusto, alle province furono aggiunte numerose figure che rivestivano funzioni diverse (un esempio è il legati augusti pro praetore). A livello economico, le province dipendevano direttamente dall'impero che amministrava le loro produzioni e i loro commerci. Inoltre, spesso le spese di guerra riversavano quasi interamente nella provincia che veniva Il territorio della Britannia tornò ad interessare a Roma sotto il governo di Settimio Severo che organizzò una vincente spedizione con l'intento di ripristinare il vallo che fu ripreso ufficialmente da Caracalla. Le province di Siria e Giudea Il territorio della Siria fu conquistato dai romani per la prima volta in età repubblicana quando Pompeo sottrasse i territori ad Antioco XIII per annetterli alle province di Roma. Siccome la provincia di Siria comprendeva un territorio molto esteso, fu scelta una particolare modalità di annessione che, oltre a creare domini diretti, creava anche alcuni regni cliente. Fu sempre Pompeo a tentare il primo assedio della Giudea, un territorio molto vicino a quello della Siria, attaccando l'antica città di Gerusalemme e rendendo il territorio un regno cliente. La Giudea non si rivelò un territorio facile da gestire a causa dei continui disordini (soprattutto a Gerusalemme) ma, durante il suo consolato, Marco Antonio pose sul trono Erode, da sempre alleato di Roma. Alla morte di Erode, Augusto divise i suoi possedimenti tra i suoi tre figli, ma annesse la Giudea alle province della Siria. Ulteriori disordini a Gerusalemme si videro sotto il regno di Nerone quando gli Zeloti, un gruppo religioso, si ribellò al furto del tesoro di Gerusalemme e optò per il suicidio di massa. Nerone inviò il generale Vespasiano a sedare i disordini ma egli, divenuto imperatore l'anno dopo la morte di Nerone, lasciò il figlio Tito sul territorio che proseguì l'assedio. Sotto Adriano la provincia di Siria cambiò il nome in Syria palestinae ed ebbe finalmente un periodo di pace. Settimio Severo, che temeva nuove insurrezioni, divise la provincia in due sezioni. Le province di Armenia e Mesopotamia Il territorio dell'Armenia aveva sempre funto per Roma da stato cuscinetto tra i suoi domini e l'ampio regno dei Parti. Questo territorio, economicamente molto forte, era diviso in due sezioni (Armenia maior e Armenia minor) che ebbero due sorti molto diverse. Il territorio dell'Armenia maior divenne rapidamente provincia romana, mentre il territorio dell'Armenia minor vede il susseguirsi di molti sovrani diversi. Antioco III, sovrano di Siria, tentò di impadronirsi dei territori dell'Armenia ma fu immediatamente sedato da Roma che, sotto l'impero di Traiano, procedette all'annessione completa del territorio. Una sorte simile ebbe il territorio della Mesopotamia, di grande interesse a causa della sua vicinanza con i fiumi Tigri e Eufrate, che fece a lungo parte del dominio dei Parti. L'imperatore Traiano intentò una vittoriosa campagna contro i parti e riuscì ad annettere la Mesopotamia a Roma come provincia. L'atto di Traiano durò molto poco poiché il suo successore Adriano, con l'intento di mantenere un rapporto pacifino con i parti, siglò una pace con cui cedette molti territori in Mesopotamia. Un rinnovato interesse per la Mesopotamia si ebbe con Settimio Severo che, intentata una campagna contro i parti, riuscì a riconquistare i territori riportandoli sotto il dominio di Roma. Verrà successivamente nuovamente sottratta a Roma da Shipur I sotto Valentiniano, ma tornò poco tempo dopo sotto l'influenza romana. Le province di Macedonia e Acaia Dopo i conflitti macedonici e la sconfitta di Filippo V e Perseo, il territorio della Macedonia fu diviso in quattro sezioni e i suoi abitanti furono costretti a pagare un'ingente tassa e a sottomettersi a durissime condizioni di pace. La rivolta di Andrisco mise in chiaro le grandi carenze dell'assetto a quattro della Macedonia. Sotto il suo impero, Augusto mirò a smantellare ogni possibile impronta macedonica rimasta sul territorio, per questo egli unì la Grecia, il Peloponneso, la Tessaglia e l'Epiro in un'unica grande provincia conosciuta come provincia di Acaia. La Tracia, anch'essa territorio di precedente influenza macedonica, fu reso un regno cliente ma tale provvedimento fu abrogato sotto Claudio, mentre la provincia di Acaia fu abrogata da Vespasiano. Sotto Traiano il territorio dell'Epiro (in precedenza appartenente alla provincia di Acaia) fu reso una provincia indipendente che, sotto Diocleziano fu divisa in due. Un discorso decisamente diverso va invece fatto per i territori della Grecia che, rispetto a tutte le province annesse a Roma, godevano di una grande benevolenza da parte degli imperatori. Nella città di Atene, quattro famiglie avevano preso il potere e governavano senza dare troppa importanza alla presenza romana: i flavii di Palamia , i claudii di Maratona, i claudii di Melite, e i … di Falero. Il territorio della Grecia divenne un punto di ritrovo per tutti i giovani romani incuriositi dalla cultura ellenistica e fu soggetto a numerose opere pubbliche di miglioramento (arrivò al suo massimo splendore sotto Adriano). Il territorio della Grecia ebbe particolare fortuna anche nelle incursioni dei barbari. Il primo periodo di incursioni, fatta eccezione per pochi atti di poco rilievo come l'incendio del santuario di Delfi, non furono toccati dall'arrivo dei barbari. Dopo la caduta dell'impero romano, i germani iniziarono a penetrare nella provincia di Macedonia e, di conseguenza, nel territorio greco. La provincia di Arabia A dominare sul territorio dell'Arabia era la popolazione dei Nabatei. Essi si trovarono a scontrarsi contro Erode, sovrano di Giudea e alleato di Roma, che riuscì ad ottenere grandi vittorie. Dopo la sua morte, il territorio divenne provincia (esattamente come la Giudea) ma poco dopo fu restituito al controllo dei Nabatei. Traiano fronteggiò nuovamente i Nabatei e riuscì ad annettere il territorio d'Arabia. Sotto il governo di Settimio Severo la provincia di Arabia ottenne alcuni territori mentre sotto il governo di Elagabalo la città di Petra (capitale della provincia d'Arabia) fu elevata a colonia romana. La provincia della Dacia Sotto l'impero di Augusto la Dacia, un territorio teatro di grandi conflitti, fu annesso come territorio di interesse romano. Roma, sotto il comando di Traiano, siglò con Decebalo, re dei Daci, un accordo di annessione che donava al sovrano un incentivo economico che, tuttavia, egli utilizzò per migliorare il suo esercito e dichiarare guerra ai romani. Nonostante i miglioramenti apportati, l'esecito di Decebalo si rivelò comunque inferiore a quello romano che lo distrusse. Traiano riuscì così ad annettere il territorio della Dacia come provincia romana. Per permettere una migliore organizzazione del dominio, il territorio della Dacia fu diviso in due sezioni governate da un elemento del rango equestre. Commodo, divenuto imperatore, siglò una pace chde perdurò per alcuni anni fino a quando Massimino il Trace non coinvolse il territorio in un conflitto contro gli Iazigi. Il territorio fu abbandonato (considerato indifendibile) e fu fondata una nuova provincia con lo stesso nome. La provincia di Cipro Il territorio di Cipro fu a lungo di grade interesse per i romani a causa delle sue dimensioni (ridotte e dunque più facili da controllare) e della sua posizione geografica decisamente favorevole. Cipro fu a lungo sottomessa al dominio dell'Egitto ma, con l'avvento del principato, Pulcro procedette all'annessione. Molte figure celebri della tradizione latina furono governatori e questori all'interno della provincia di Cipro (due esempi sono Catone Uticense e Cicerone). Dopo dieci anni, sotto il consolato di Marco Antonio, Cipro tornò sotto il dominio dell'Egitto ma fu ripresa da Ottaviano che, per dominarla, la divise in 12 città. La provincia di Creta e Cirene Il territorio della Cirenica fu, esattamente come Cipro,5 a lungo sottomesso al dominio dell'Egitto fino a quando, alla sua morte, Tolomeo Apione cedette tutti i territori a Roma che, tuttavia, non procedette immediatamente all'annessione. In una missione nei territori del mediterraneo, il generale Licinio Lucullo arrivò ai territori di Creta, di Cirene e dell'Egitto e attuò un'ampia missione riformatrice che permise, poco tempo dopo, di annettere il territorio ai domini romani. POLIBIO, STORIE LIBRO VI Capitoli 1-19 Nella tradizione romana, gli storici individuano tre tipologie diverse di costituzione: • La regalità • L'aristocrazia • La democrazia Tutte le tipologie di costituzione erano connesse e tra loro ed erano inevitabili poiché proprie di qualcunque società intesa come unione organizzata di individui. Polibio, invece, individua sei diverse tipologie di costuituzione, proprie di tutti gli stati e anche di Roma: • La regalità • L'aristocrazia • La democrazia • La monarchia • L'oligarchia • L'ocologarchia Fin dai primordi delle società, il popolo comprese l'importanza di nominare un proprio leader. In un primo momento, il leader convive con il popolo e vive esattamente al loro stesso modo, ma successivamente diviene necessario separare chi comanda dal resto del popolo. Ciò porta inevitabilmente ad un sentimento d'invidia per la posizione di maggior rilievo che sfocia in una volontà di rivolta nei confronti del leader. Dopo la rivolta, il popolo consegna il potere nelle mani di chi ha deposto il leader. Il nuovo comando diviene inevitabilmente accecato dall'avarizia e da un immenso amore per il denaro e perdono la rotta corretta. Il popolo è così costretto a deporre anche il nuovo governo e non sa più di chi fidarsi, così ritrova la fiducia in sé stesso e inizia un suo governo. Questo sistema funziona finchè il potere non passa ai figli che faticano, per avidità, a condividere il potere. Si torna così al dominio della bestialità. Polibio inizia poi uno studio dei tre grandi sistemi di governo presenti a Roma in età repubblicana: il consolato, il senato e il popolo. Polibio spiega come, sebbene questi sistemi siano appaiano indipendenti, in realtà essi siano connessi l'uno all'altra e abbiano solo un raggio d'azione limitato senza legarsi con gli altri. Lavorando insieme, i tre sistemi possono garantire nel migliore dei modi il corretto funzionamento dello stato. Capitoli 51 - 58 Polibio inizia poi un'analisi, che proseguirà nei capitoli successivi, delle differenze fra la potenza romana e quella cartaginese. Cartagine aveva grandi somiglianze, a livello amministrativo, con Roma: anch'essa era governata da tre elementi che collaboravano, sebbene nella potenza punica vigesse ancora la monarchia. Una prima differenza tra le due era rintracciabile nella concezione del sistema economico: a Roma il denaro e la politica erano due mondi opposti ed era assolutamente disonorevole acquistare le cariche pubbliche permettere al denaro di compromettere la politica. A Cartagine, invece, tutto ciò che riguardava il denaro era da considerarsi onorevole e, per questo, dipendeva dal denaro anche la partecipazione alla vita politica. Questa differenza nella concezione economica si riversava su molteplici campi, soprattutto in quello dell'esercito. Cartagine aveva un potente esercito mercenario, mentre l'esercito romano, dopo la riforma di Caio Mario, era popolare e fedele. Tale concezione aveva portato l'esercito romano, fedele e più legato alla gloria che al denaro, alla vittoria nei conflitti punici.
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