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Storia romana dalla fondazione alla sconfitta di Adrianopoli, Dispense di Storia Romana

Sintesi della storia romana, dalla fondazione con descrizione dei popoli italici presenti nella penisola italiana, alla disfatta di Adrianopoli, con breve accenno di Teodosio I

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 29/06/2023

SamBri.
SamBri. 🇮🇹

4.3

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Scarica Storia romana dalla fondazione alla sconfitta di Adrianopoli e più Dispense in PDF di Storia Romana solo su Docsity! I I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA 1. Gli Etruschi. Le fonti. Quello che degli Etruschi sappiano da fonti storiografiche deriva dalle informazioni forniteci dagli autori greci e latini. Sull’organizzazione delle città etrusche, sulla loro società e sulle loro vicende dipendono dalla documentazione archeologica. Indicazione rilevanti ci sono fornite indirettamente dall’influenza delle istituzioni etrusche sulla vita pubblica e religiosa romana. Origine ed espansione degli Etruschi. Gli Etruschi sono la più importante popolazione dell’Italia preromana. L’origine della civiltà etrusca sembra riconducibile a uno sviluppo autonomo. Anche se nella fase della loro massima espansione controllavano gran parte dell’Italia centro- occidentale e competevano con i greci e i cartaginesi per il controllo delle principali rotte marittime, non diedero mai vita a uno Stato unitario. Si organizzarono in città indipendenti, governate da sovrani (lucomoni), poi sostituiti da magistrati eletti annualmente (zilath). L’unica forma di aggregazione delle comunità è quella della lega delle 12 principali città, che aveva scopi religiosi. La società etrusca si distinse per un carattere profondamente aristocratico. Il governo delle città era infatti nelle mani di un gruppo ristretto di proprietari terrieri e di ricchi commercianti. Decisivi per la decadenza etrusca furono però due eventi che si verificarono all’inizio del IV secolo: la presa di Veio a opera dei romani nel 396, e la perdita dei possedimenti nella val Padana, caduti in mano ai celti, originari dell’Europa centrale. Nel corso del III secolo a.C., l’Etruria passò progressivamente in mano romana. Religione e cultura. Suscitò l’ammirazione e l’interesse degli antichi lo sviluppo che ebbero le varie tipologie di riti. Nella religiosità etrusca ha un’importanza particolare la concezione dell’aldilà. Il defunto era immaginato continuare la propria esistenza nella tomba, che veniva concepita come la dimora del vivo, nella quale dovevano trovar posto cibi e bevande e i simboli del suo status sociale. In un secondo tempo se ne sostituì un’altra, che concepiva l’oltretomba come una destinazione alla quale si perveniva dopo un lungo viaggio. Le divinità sono in gran parte assimilabili a quelle greche. Agli etruschi premeva molto la corretta interpretazione dei segni della volontà divina visibili in terra. L’arte di interpretare tale volontà è l’aurispicina, che si basa sulla concezione di una fondamentale unità cosmica secondo cui negli organi si riprodurrebbe l’ordina dell’universo: l’analisi delle parti delle vittime serviva all’aruspice per le sue interpretazione e per trovare le risposte a domande che venivano rivolte alla divinità. Tecnica e arte. Le necropoli etrusche sono tra le più estese del mondo antico e l’architettura funeraria è intesa ad avvicinare la casa dei morti a quella dei vivi. Esse sono organizzato come delle vere e proprie abitazioni sotterranee. Gli affreschi che decorano le tombe riproducono scene di vita quotidiana, spesso legate a soggetti cerimoniali, conviviali o sportivi, con raffigurazioni di divinità ed eroi che mostrano una chiara dipendenza dai modelli greci. Gli etruschi praticarono con successo la metallurgia e l’artigianato artistico. Gli oggetti in bronzo e dell’oreficeria raggiunse ampie aree del Mediterraneo attraverso il commercio. Furono abili e organizzati sia nell’estrazione dei minerali sia nel trattamento dei metalli grezzi in apposite fornaci. 2. Roma. La leggenda. La leggenda delle origini di Roma inserisce la fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re albani tra l’arrivo di Enea nel Lazio e il regno di Romolo. Secondo la leggenda il fondatore e primo re della città di Roma, Romolo, è figlio di Marte, il dio della guerra, e di Rea Silvia, figlia di Numitore, ultimo re di Alba Longa. I sette re di Roma. La tradizione fissa in modo preciso il periodo monarchico della storia di Roma da 753 a.C. al 509 a.C. In questo periodo avrebbero regnato sette re:  Romolo: ad egli vengono attribuite le prime istituzioni politiche.  Numa Pompilio.  Tullo Ostilio.  Anco Marcio.  Tarquinio Prisco: segna una seconda fase della monarchia romana, nella quale gioca un ruolo importante la componente etrusca.  Servio Tullio  Tarquinio il Superbo. Lo Stato romano arcaico. Alla base dell’organizzazione sociale dei latini c’era un’articolazione per famiglie, alla cui testa stava il pater. Tutte le famiglie riconoscevano di avere un antenato comune costituivano la gens, un gruppo organizzato politicamente e religiosamente. La gens fu una componente di grande rilievo in età arcaica e conservò in seguito un ruolo importante nella vita politica. La popolazione dello Stato romano arcaico era divisa in gruppi religiosi e militari, detti “curie”, che comprendevano gli abitati del territorio, a esclusione degli schiavi. Si sa che praticavano proprio riti religiosi e che rappresentarono il fondamento della più antica assemblea politica cittadina, quella dei comizi curiati. Eguale incertezza regna a proposito di un altro importante raggruppamento, le tribù, la cui creazione fu attribuita, senza fondamento, allo stesso Romolo. Esse originariamente erano tre. In un’epoca relativamente tarda, che coincide con il predominio etrusco, lo Stato romano si organizzò secondo criteri più precisi: ogni tribù fu divisa in dieci curie e da ogni tribù furono scelti cento senatori. Su questo modello si fondò anche l’organizzazione militare: ogni tribù era infatti tenuta a fornire un contingente di cavalleria e uno di fanteria rispettivamente di cento e mille uomini. La monarchia romana. La caratteristica principale della monarchia romana era quella di essere elettiva: l’elezione del re era demandata all’assemblea dei rappresentanti delle famiglie più in vista. Originariamente il re doveva essere affiancato nelle sue funzioni da un consiglio di anziani composto dai capi di quelle più nobili e più ricche (patres), questi rappresentavano il nucleo di quello che poi sarebbe stato il senato. Il potere del re doveva trovare una limitazione di fatto in quello detenuto dai capi delle gens principali. Il re era anche il supremo capo religioso e nella celebrazione del culto veniva affiancato dai collegi dei sacerdoti. Particolarmente importante furono i pontefici, depositari e interpreti delle norme giuridiche, prima che si giungesse alla redazione di un corpus di leggi scritte. Il collegio concilia plebis tributa archivisti della plebe. Poi cura dei mercati, approvvigionamenti, strade, templi ed edifici pubblici Tribunato della plebe 496 a.C. In origine 2 poi 10 1 anno Eletti dai coniclia plebis tributa Convocazione e presidenza dei concilia plebis tributa Questura Età regia o 509 a.C. 30 anni Il loro numero aumenta nel corso del tempo 1 anno In origine forse designati dai consoli, poi eletti dai comizi tributi Competenze finanziarie I sacerdozi e la sfera religiosa. Roma non si può tracciare una distinzione netta tra cariche politiche e massime cariche religiose. I flamini rappresentavano la personificazione terrena del dio stesso. In particolare le tre supreme divinità della prima Roma repubblicana (Giove, Marte e Quirino). Dodici flamini minori erano poi addetti al culto di altrettante divinità. I tre più importanti collegi religiosi, quelli dei pontefici, degli auguri e dei douviri sacris faciundis, avevano poteri che superavano ampiamente la sfera culturale e coinvolgevano direttamente la politica. Il collegio dei pontefici, guidato da un pontefice massimo, costituiva la massima autorità religiosa dello Stato. Ai pontefici spettava la nomina dei tre flamini maggiori, avevano il controllo sulla tradizione e l’interpretazione delle norme giuridiche, nonché sul calendario. Il collegio degli auguri assisteva i magistrati nel loro compito di trarre gli auspici e di interpretare la volontà degli dei. I douviri sacris faciundis erano incaricati di custodire i cosiddetti Libri Sibillini, un’antichissima raccolta di oracoli, in greco, che nella tradizione della tarda Repubblica erano in qualche modo connessi con la Sibilla di Cuma. Accanto ai tre collegi sacerdotali maggiori si possono ricordare gli aruspici, al pari degli auguri. I feziali avevano la funzione di dichiarare la guerra. Il senato. Il vecchio consiglio regio, formato dai capi delle famiglie nobili, sopravvisse alla caduta della monarchia e divenne il perno della nuova Repubblica a guida patrizia. Suo ruolo era relegato agli atti legislativi e ai risultati delle elezioni usciti dalle assemblee popolari. A fronte di magistrati la cui carica durava generalmente un solo anno, quella dei senatori era vitalizia. Il senato era composto da ex magistrati. Inoltre il peso politico del senato crebbe anche in ragione del fatto che i massimi magistrati della Repubblica, in misura crescente nel corso del tempo, erano chiamati lontano da Roma per una parte significativa della loro carica dal comando delle campagne militari. Nel senato si concentrò l’esperienza politica della Repubblica e trovò espressione continuativa e compiuta la leadership politica dell’elitè sociale ed economica di Roma. LE ASSEMBLEE POPOLARI IN ETÀ REPUBBLICANA Assemblee Unità di voto Composizione Presidenza Competenze Comizi curiati 30 curie, su base territoriale o gentilizia Tutta la cittadinanza, rappresentata da 30 littori (una per curia) Console o pretore Conferimento ufficiale dei poteri ai nuovi magistrati. Ratifica di adozioni e testamenti Comizi centuriati 193 o 194 centurie, su base censitaria Tutta la cittadinanza Console o pretore Elezione di consoli, pretori e censori. Attività legislativa, sostanzialmente limitata alle materie di diritto internazionale. Comizi tributi 35 tribù, su base territoriale Tutta la cittadinanza Console o pretore Elezione di questori ed edili curuli. Attività legislativa. Concilia plebis tributa 30 curie e poi 35 tribù La plebe Tribuni della plebe, edili plebei Elezione di tribuni della plebe ed edili plebei. Attività legislativa. 2. Il conflitto tra patrizi e plebei. Il problema economico. La sconfitta degli etruschi ad opera di Ierone di Siracusa nella battaglia navale combattuta nelle acque davanti a Cuma, nel 474 a.C., portò al definitivo crollo del dominio etrusco in Campania, causando un grave danno per la stessa Roma. Lo stato quasi permanente in guerra tra Roma e i suoi vicini provocò poi continue razzie e devastazione dei campi. Davanti alla crisi economica, le richieste della plebe concernevano una mitigazione delle norme sui debiti e una più equa distribuzione dei terreni di proprietà dello Stato, l’ager publicus. Il problema politico. Gli strati più ricchi della plebe erano meno interessanti dalla crisi economica. Progressivamente il patriziato aveva assunto un completo monopolio politico. Una seconda importante rivendicazione di ordine politico era quella di un codice scritto di leggi, che ponesse i cittadini al riparo delle arbitrarie applicazioni delle norme da parte di coloro che, fino a quel momento, erano stati depositari del sapere giuridico, i patrizi riuniti del collegio dei pontefici. Le strutture militari e la coscienza della plebe. La plebe andò in contro ad una progressiva presa di coscienza della propria importanza. A Roma questa circostanza è dimostrata nel modo più chiaro dall’ordinamento centuriato. Le centurie non furono solamente unità di voto, ma rimasero anche, per tutta la prima età repubblicana, unità di reclutamento dell’esercito. L’ordinamento oplitico-falangitico eclissa progressivamente il modello di combattimento aristocratico, fondato su una cavalleria di nobili seguiti da una turba di clienti con armamento leggero. La legione era reclutata su base censitaria, indifferentemente tra aristocratici e gente del popolo. La prima secessione e il tribunato della plebe. Il conflitto tra i due ordini si apre nel 494 a.C. La plebe, esasperata dalla crisi economica, ricorso a una sorta di sciopero generale che lascia la città priva della sua forza lavoro e indifesa contro le aggressioni esterne, ritirandosi sull’Aventino. Si diede i propri organismi politici: un’assemblea generale (concilia plebis tributa). Furono scelti come rappresentanti ed esecutori della volontà dell’assemblea i tribuni della plebe. La prima secessione approdò a un risultato essenzialmente politico, il riconoscimento da parte dello Stato a guida patrizia dell’organizzazione interna della plebe, con la sua assemblea e i suoi rappresentati. Il problema dei debiti rimase invece per il momento insoluto. Il console del 486 a.C. Spurio Cassio propose una legge per la ridistribuzione delle terre che sembra anticipare situazione posteriori, somigliando in modo sospetto alle proposte di riforma agrari dei due Gracchi. Il fallimento di Cassio ci mostra inoltre come la plebe non intendesse certo giungere a una rivoluzione dell’assetto economico e istituzionale dello Stato, a aspirava ad una riforma dell’ordinamento vigente, che riservasse il giusto peso a tutte le componenti della cittadinanza. Il Decemvirato e le leggi delle XII Tavole. La plebe incominciò a premere affinché fosse redatto un codice di leggi scritto. Nel 451 a.C. venne nominata una commissione composta da dieci uomini, scelti tra il patriziato e incaricati di stendere in forma scritta un codice giuridico. Nel corso del primo anno i decemviri compilarono un complesso di norme che vennero poi pubblicate su dieci tavole di legno esposte nel Foro. Nel corso del secondo anno i decemviri avrebbero completato la loro opera con altre due tavole di leggi. Tra le disposizioni prese vi era anche quella che impediva i matrimoni misti tra patrizi e plebei. La commissione, sotto la spinta di Appio Claudio, membro più influente, cercò di prorogare indefinitamente i propri poteri assoluti. Si scontrò con l’opposizione della plebe e degli elementi più moderati del patriziato, Marco Orazio e Lucio Valerio. Provano una seconda secessione seguito della quale i decemviri sono costretti a deporre i loro poteri. Il consolato (Orazio e Valerio), fanno approvare un pacchetto di leggi in cui si riconosce l’apporto della plebe nella lotta contro il tentativo rivoluzionario dei decemviri. La norma che proibiva i matrimoni tra patrizi e plebei viene abrogata pochi anni dopo, in base a un plebiscito Canuleio. Il plebiscito creò i presupposti per la nascita di un blocco di famiglie miste patrizio-plebee. Le leggi delle XII Tavole ci sono in parte note da citazioni sparse di autori posteriori. Si ha un’influenza greca. Tale influsso viene giustificato dalle fonti antiche ricordando come un’ambasceria si fosse recata nel 454 a.C. da Roma in Grecia, e in particolare ad Atene, per studiare la legislazione di Solone. Tribuni militari con poteri consolari. A seguito del plebiscito Canuleio, il sangue delle famiglie plebee poteva mescolarsi con quello delle stirpi patrizie. Nel periodo 444-367 a.C., i consoli furono affiancati dai tribuni consolari, i comandanti dei reparti che componevano le legioni, dotati per l’occasione di poteri equiparati a quelli dei consoli. Il tribunato militare doveva essere accessibile ai plebei. Le leggi Licinie Sestie. Il primo confronto con i Sanniti. Roma concluse un trattato con i sanniti nel 354 a.C. Essi occupavano un’area assai più vasta di quella controllata da Roma. Alcune città-Stato della Campania settentrionale si erano riunite in una Lega campana, che aveva il suo centro principale nella grande città di Capua. Nonostante le affinità etniche, i contrasti politici tra i sanniti e i campani si vennero sempre più acuendo. La tensione sfociò in guerra aperta nel 343 a.C., quando i sanniti attaccarono la città di Teano, nella Campania settentrionale, occupata da un’altra popolazione. Costoro si rivolsero a Capua, la quale, a sua volta incapace di fronteggiare l’offensiva dei sanniti, chiese l’aiuto di Roma. La prima guerra sannitica (343-341 a.C.) si concluse con un parziale successo di Roma. La grande guerra latina e gli strumenti dell’egemonia romana sull’Italia. L’accordo costringe Roma, sostenuta dai sanniti, a fronteggiare i suoi vecchi alleati latini e campani a cui si aggiunsero i Volsci. Il conflitto (341-338 a.C.), noto come grande guerra latina, fu durissimo. Gli esiti della guerra si rivelarono decisivi per l’organizzazione di quella che si avviava a diventare l’Italia romana. La seconda guerra sannitica. La causa concreta della seconda guerra sannitica (326-304 a.C.) è da ricercare a Napoli, dove si fronteggiavano le masse popolari, favorevoli ai sanniti, e le classi più agiate, di sentimento filoromani. Nei primi anni le sorti del conflitto furono favorevoli ai romani. Protagonista è Publilio Filone, che si fide prorogato il comando con il titolo di proconsol, primo caso di proroga dell’imperium. Se Filone aveva colto un importante successo in Campania, il seguente tentativo si risolse in un clamoroso fallimento nel 321 a.C., dove l’esercito romano fu costretto alla resa- Le ostilità si riaccesero nel 316 a.C. per responsabilità dei romani, che attaccarono la località di Saticula. Negli anni successivi Roma iniziò a recuperare il terreno perduto, con una tenacia e una strategia a lungo termine diretta nelle salde mani del senato. Fu probabilmente in questi stessi anni che Roma procedette a una riforma del suo esercito per il confronto finale con i sanniti. Il compatto schieramento a falange si era rivelato incapace di manovrare su di un terreno accidentato come quello del Sannio. Furono ridotti gli uomini di ogni centuria da 100 a 60 soldati. L’ordinamento manipolare era dunque in grado di assicurare una maggiore flessibilità all’esercito romano impegnato nelle regioni montuose dell’Italia centro- meridionale. Cambiò anche l’equipaggiamento che adottarono lo scudo rettangolare e il giavellotto in uso presso gli stessi sanniti. La pace del 304 a.C. portò al rinnovo del trattato di alleanza tra Roma e i sanniti del 354 a.C. Alla conclusione le annessioni territoriali e i trattati di alleanza conclusi fecero di Roma lo Stato più forte della penisola. La terza guerra sannitica. Lo scontro decisivo con Roma si aprì nel 298 a.C., quando i sanniti attaccarono alcune comunità della Lucania. Comandante supremo dei sanniti, Gellio Egnazio, era riuscito a mettere in piedi potente coalizione antiromana. Lo scontro decisivo tra Roma e i coalizzanti avvenne nel 295 a.C. a Sentino. Gli eserciti riuniti dei due consoli romani riuscirono a prevalere su sanniti e galli. I sanniti tentarono un’estrema resistenza con una leva di massa e la creazione di un’armata scelta- l’ultimo esercito sannita venne tuttavia massacrato dai romani nel 293 a.C. Un decennio più tardi ci fu un tentativo dei galli di penetrare nuovamente nell’Italia centrale, ma l’attacco fu bloccato nel 283 a.C. nella battaglia del lago Vadimone. Il conflitto con Taranto. Nel Mezzogiorno d’Italia la situazione rimaneva più fluida. Un grave motivo di tensione in quest’area era costituita dalla spinta espansionista delle popolazioni italiche dell’interno verso le città greche della costa: per fronteggiare questa minaccia alcune delle vecchie colonie della Magna Grecia si erano strette in un’alleanza, la Lega italiota, di cui Taranto aveva assunto nel corso del tempo la leadership. Alle continue minacce italiche, Taranto chiese supporto più volte a Sparta e ai Molossi, in particolare Alessandro il Molosso, zio del più famoso Alessandro il Grande. Alla minaccia degli italici si era aggiunta quella di Roma. Taranto aveva richiesto ancora una volta l’assistenza della sua metropoli Sparta. Questa volta fu inviato il principe di sangue reale Cleonimo, la cui sola fama indusse a concludere un trattato di pace. Da ultimi i tarantini si erano rivolti ad Agatocle, tiranno e poi re di Siracusa. La morte di Agatocle aveva privato i greci dell’Italia meridionale di un protettore. Turi, minacciata dai lucani, si risolse a richiedere l’aiuto di Roma. Essi insediarono una guarnigione e rispose positivamente alla richiesta da parte di altre poleis greche Mezzogiorno. I tarantini attaccarono le navi romane per poi marciare su Turi, espellendone la guarnigione romana e gli aristocratici che la sostenevano. La guerra divenne inevitabile. L’intervento di Pirro. Taranto si vide ricorrere al soccorso di un condottiero della madrepatria greca. La scelta di Pirro, comandante in capo della lega epirotica (Epiro), si trovava proprio sulla costa adriatica antistante la Puglia. Il re diede alla sua spedizione il carattere di una sorta di crociata in difesa dei greci d’occidente, minacciata dai barbari romani e cartaginesi. Pirro si richiamò alla sua discendenza da Achille, per giustifica l’attacco contro la “troiana” Roma. Nel 280 a.C. Pirro sbarcò in Italia con un esercito possente, a fronte del quale Roma si vide costretta ad arruola i nullatenenti fino ad allora esentanti dal servizio militare. I romani subirono una sanguinosa sconfitta a Eraclea. La battaglia mise gravemente in pericolo le posizioni romane nell’Italia meridionale che si schierarono con l’epirota. Egli chiedeva libertà e autonomia per le città greche dell’Italia meridionale e la restituzione die territori strappati alle altre popolazioni meridionali. Tali proposte furono respinte dopo l’intervento di Appio Claudio Cieco. Lo scontro con il nuovo esercito romano inviato per bloccare la sua avanzata avvenne ad Ascoli nel 279 a.C.: ancora una volta la vittoria fu del re del Molossi. Pirro aveva vinto due grandi battaglie, ma non riusciva a concludere la guerra. Pirro accolse le domande di aiuto che gli venivano da Siracusa, minacciata da Cartagine. Nello stesso anno Roma e Cartagine avevano stretto un’alleanza difensiva che prevedeva la mutua collaborazione militare contro il comune nemico. L’iniziativa era stata assunta dalla città africana che aveva inviato una flotta di 120 navi da guerra alle foci del Tevere per offrire la propria assistenza a Roma. In un primo momento anche in Sicilia Pirro passò di vittoria in vittoria, costringendo i cartaginesi a chiudersi a Lilineo. L’assedio di questa fortezza si rivelò infruttuoso. Anche in Italia la situazione stava precipitando. I romani avevano riconquistato posizioni su posizioni. Pirro decise di lasciare incompiuta la sua impresa siciliana e di ritornare in Italia. Lo scontro decisivo con le forze romane, al comando del console Manio Curio Dentanto, avvenne nel 275 a.C. Le truppe di Pirro furono questa volta messe in fuga. Il re dei Molossi capì che la partita era perduta, morì in patria nel 272 a.C., quando Taranto si arrese. Tutte le colonie greche dell’Italia meridionale, furono costrette ad entrare nell’alleanze con Roma. La nuova potenza egemone si dimostrò meno cauta nei confronti delle popolazioni italiche che avevano appoggiato Pirro, colpite da confische territoriali. I romani passarono all’offensiva nella Puglia meridionale. 4. La conquista del Mediterraneo. Il contrasto tra Roma e Cartagine. Nel 264 a.C. Roma controllava ormai tutta l’Italia peninsulare, fino allo Stretto di Messina. Gli interessi entrarono per la prima volta in seria collisione con quelli della vecchia alleate Cartagine. Lo scontro venne precipitato dalla questione dei Mamertini, che si erano impadroniti con la forza di Messina. Questo comportamento provocò la reazione dei siracusani. I mamertini accolsero l’offerta di aiuto di una flotta cartaginese che incrociava nelle acque di Messina e che ovviamente vedeva con preoccupazione la possibilità che i siracusani si impadronissero della zona dello Stretto. I mamertini comunque si stancarono ben presto della tutela cartaginese e decisero di fare appello a Roma, richiamando anche la comune origine italica. Cartagine, colonia fondata dai Fenici di Tiro a poca distanza dall’attuale Tunisi qualche decennio prima della data tradizionale della nascita di Roma, era al centro di un vasto impero che si estendeva dalle coste dell’Africa settentrionale a quelle della Spagna meridionale, dalla Sardegna alla parte occidentale della Sicilia. Guidata da un regime oligarchico, che per il suo carattere equilibrato era accostato già nell’antichità alla “costituzione mista” di Roma. Poteva mettere in campo grandi eserciti e soprattutto potenti flotte, e a differenza di quanto accadeva a Roma, il comando militare era separato dal potere politico ed affidato a generali e ammiragli appositamente nominati. Le operazioni militari della prima guerra punica. Anche se formalmente Roma non aveva ancora dichiarato guerra a Cartagine, di fatto l’attraversamento dello Stretto da parte dell’esercito romano guidato dall’ambizioso console Appio Caludio Caudice aprì la prima guerra punica (264-241 a.C.). Il presidio cartaginese di Messina sgombrò la città senza nemmeno combattere e i romani riuscirono a respingere la controffensiva. Nel 263 a.C. Ierone di Siracusa comprese che l’alleanza con Cartagine era pericola per Siracusa e decise di concludere con la pace e schierarsi dalla parte di Roma. Il sostegno si rivelò indispensabile. Tra 262 e 261 a.C. dopo un lungo assedio e uno scontro campale con un forte esercito cartaginese, cadde nelle mani romane, Agrigento. Cartagine conservava tuttavia un saldo controllo su molte località costiere della Sicilia: a Roma si decise quindi la creazione di una grande flotta di quinquiremi. Nel 260 a.C. si ha una clamorosa vittoria del console Caio Duilio sulla flotta cartaginese anche grazie all’utilizzo dei corvi, a Maiazzo. A questo punto Roma pensò all’invasione dei possedimenti africani. Le prime operazioni furono favorevoli al console Marco Attilio Regolo, che devastò il territorio agricolo della città rivale e riuscì a conquistare la città di Tunisi. Nel 255 a.C. Regolo venne duramente battuto da un esercito cartaginese comandato dal mercenario spartano Santippo. La flotta romana incappò in una tempesta e perse buona parte delle navi e degli equipaggiamenti. Dopo una serie di catastrofi belliche e naturali, Roma era ormai priva di forze navali e dei mezzi necessari per approntare una nuova flotta. Nel 242 a.C. una nuova flotta guidata dal consolo Caio Lutazio Catulo bloccò Trapani e Lilibelo e sconfisse nel 241 a.C., presso le Egadi, la flotta cartaginese. Cartagine comprese che non vi era più alcuna possibilità di resistere e Amilcare Barca venne incaricato di chiedere la pace. Le clausole prevedevano lo sgombero dell’intera Sicilia e delle isole che si trovavano tra la Sicilia e l’Italia, le restituzioni dei prigionieri di guerra e il pagamento di un indennizzo. A Roma, dopo un acceso dibattito di Publio Sulpicio Galba si risolse a dichiarare guerra a Filippo. Contemporaneamente si decise di inviare un ultimatum a Filippo, in cui gli si intimava di rifondere i danni di guerra inflitti agli alleati di Roma e di astenersi dall’attaccare gli Stati greci. Alla fine del 200 a.C. l’esercito romano sbarcò nella città amica di Apollonia. I primi due anni la Lega etolica decise comunque di aggiungersi alla coalizione antimacedone. Una svolta venne impressa nel 198 a.C. dal comandante delle forze romane, il giovane console Tito Quinzio Flaminio, avviando trattative di pace, chiese la liberazione della Tessaglia, una regione che era sotto il dominio della monarchia macedone dai tempi di Filippo II. La richiesta venne respinta, ma destò comunque grande impressione: uno a uno, gli Stati della Grecia si schierarono dalla parte dei “liberatori”. Filippo decise quindi di intavolare serie trattative di pace, interrotte da Flaminio e dai suoi alleati politici in senato quando il generale romano seppe che il suo comando sulla Grecia era stato prorogato. Le speranze di Flaminio si avverarono puntualmente sul campo di battaglia, in Tessaglia, dove l’esercito macedone venne annientato. Il re macedone fu costretto ad accettare le condizioni di pace, che prevedevano il ritiro delle guarnigioni ancora presenti in Grecia, il pagamento di un’indennità e la consegna della flotta. Filippo poté tuttavia conservare il suo regno di Macedonia, con grande disappunto degli etoli. La delusione degli etoli per i risultati insoddisfacenti che aveva dato la guerra in ogni caso pose un germe di instabilità nella regione. Quanto alla sorte della Grecia, liberata dall’egemonia macedone, la posizione di Roma fu ufficialmente e pubblicamente resa nota in occasione dei Giochi Istmici del 196 a.C., quando Flaminio proclamò l’autonomia e la libertà. Roma dunque non intendeva assumere una diretta responsabilità di governo in Grecia. La guerra siriaca. Nei medesimi anni erano iniziate trattative diplomatiche con Antioco III, segnate da una progressiva tensione. Il re di Siria, approfittando della debolezza dell’Egitto e delle difficoltà in cui versava il regno di Macedonia, stava progressivamente estendendo la sua egemonia sulle città greche della costa occidentale dell’Asia Minore, formalmente autonome. Esse fecero appello a Roma, spalleggiate dal re di Pergamo Eumene II. Le proteste di Roma furono respinte. La guerra fredda si trascinò fino al 192 a.C., quando la Lega etolica invitò espressamente Antioco III a liberare la Grecia dai suoi falsi liberatori. Egli decise di passare con un piccolo esercito a Demetriade, mentre la Lega achea si schierò dalla parte di Roma. Lo stesso Filippo mantenne fede ai patti conclusi con Roma. Il re di Siria venne duramente battuto nell’anno seguente alle Termopoli, e dovette fuggire in Asia Minore. Nel 190 a.C. venne nominato console Lucio Cornelio Scipione, fratello dell’Africano. L’esercito romano comandato dai due Scipioni si preparò ad invade l’Asia Minore per la lunga via terrestre attraverso Grecia, Macedonia e Tracia, forte del leale sostegno di Filippo V di Macedonia. Nel frattempo la flotta romana, assistita dalle squadre di Pergamo e Rodi, sconfiggeva ripetutamente i siriaci nell’Egeo. La pace fu siglata nella città di Apamea nel 188 a.C. La pace confermò che Roma non aveva intenzione di impegnarsi direttamente nel Mediterraneo orientale. Antico dovette pagare un’enorme indennità di guerra, affondare tutta la sua flotta e consegnare alcuni nemici inveterati di Roma che avevano trovato rifugio alla sua corte (tra i quali Annibale che riuscì a fuggire per poi suicidarsi) e soprattutto a sgomberare tutti i territori a ovest e a nord del massiccio del Tauro, che sorge al centro dell’Asia Minore. Vasti territori non vennero inglobati nello Stato romano come provincia, ma spartiti tra i due più fedeli alleati di Roma, il re di Pergamo Eumene II e la repubblica di Rodi. La potenza e l’influenza della Lega etolica furono considerevolmente ridimensionate. Roma confermò la sua politica di controllo in forme solo indirette della Grecia. Le tensioni politiche dei primi decenni del II secolo a.C.  Processo degli Scipioni: nel 187 a.C. alcuni tribuni della plebe accusarono Lucio Scipione, il vincitore di Antioco III, di essersi impadronito di parte dell’indennità di guerra versata dal re di Siria. Nel medesimo anno l’attacco venne rinnovato contro il fratello, l’Africano, forse per aver condotto trattative di carattere personale con il re di Siria. Il processo agli Scipioni, ispirato dalla grande figura politica emergente di Marco Porcio Catone, era soprattutto un attacco contro una personalità eccezionale per le cariche che aveva rivestito e per il suo carisma personale, come quella di Scipione Africano. Catone colpiva soprattutto una spinta verso l’individualismo che rischiava di mettere in pericolo la gestione collettiva della politica.  Legge Villia: nel 180 a.C. tale legge introdusse un obbligo di età minima per rivestire le diverse magistrature e un intervallo di un biennio tra una carica e l’altra. Era un tentativo di regolare una competizione politiche che stava divenendo sempre più accesa.  Nei medesimi anni la straordinaria diffusione in tutta l’Italia del culto di Bacco rivelò un problema. I Baccanali dovevano essere stroncati in ogni modo, anche a costo di calpestare l’autonomia giurisdizionale delle comunità alleate dell’Italia. Dalle disposizioni che vennero prese si comprende comunque che ciò che aveva indotto il senato ad adottare misure drastica non era tanto la necessità di reprimere le pratiche orgiastiche e i supposti crimi che si attribuivano al culto. La terza guerra macedonica. La pace di Apamea aveva espulso il regno di Siria dallo scacchiere dell’Egeo. Nell’area vi era tuttavia ancora uno Stato abbastanza potente da coltivare qualche ambizione di riscossa contro Roma, la Macedonia di Filippo V. Nei medesimi anni la posizione di Roma in Grecia si faceva delicata. Essa adottò nella soluzione di questi contrasti una linea che privilegiava i gruppi aristocratici. Nel 179 a.C. successe a Filippo V il figlio Perseo. L’elemento democratico e “nazionalista” sempre più insofferente nei confronti delle ingerenze romane, cominciò a volgersi, concrescente favore, verso Perseo. Ogni suo tentativo di rafforzare le strutture interne del regno vennero interpretati come gesti di sfida. Eumene di Pergamo nel 172 a.C. si presentò a Roma con un lunghissimo elenco di accuse contro Perseo. Al ritorno patria rimase ferito in un attentato, di cui ovviamente accusò il re macedone. I preparativi di guerra iniziarono in quello stesso anno ma le prime operazioni si ebbero solo nel 171 a.C., dopo che le trattative per raggiungere un accordo fallirono. Nei primi anni di guerra i comandati romani si distinsero. La svolta si ebbe nel 168 a.C.: Genzio venne sconfitto in una fulminea campagna, mentre Perseo fu costretto da nuovo comandante romano, il console Lucio Emilio Paolo, ad accettare battaglia campale nella località macedone di Pidna, dove il suo esercito fu distrutto. La regione venne suddivisa in quattro repubbliche che dovevano versare un tributo a Roma. Simile fu la sorte dell’Illiria, divisa in tre Stati, anch’essi tributari di Roma. Negli altri Stati greci le fazioni aristocratiche filoromane vennero riportare al potere. I Molossi furono puniti con la totale devastazione del loro territorio e la riduzione in schiavitù di decine di migliaia di abitanti. Rodi fu privata di alcune regioni. Venne inoltre colpita nella sua prosperità economica dalla creazione nell’isola di Delo, di un porto franco. Qualche anno dopo la sconfitta di Perseo si ebbe la conferma che politica estera di Roma era dominata da una sorta di ossessione verso minacce più immaginate che reali. Una delegazione romana raggiunse ad Alessandria Antioco IV, che stava vittoriosamente conducendo una guerra contro il regno tolemaico, ingiungendogli in toni bruschi di ritirarsi immediatamente dall’Egitto. Eumene di Pergamo cadde in disgrazia agli occhi dei romani, sospettato di aver macchiato una qualche intesa proprio con quel Perseo che aveva tempestato di accuse per tutta la sua vita. I proventi tratti da bottino furono tali che venne abolito il tributum, l’imposta sulle proprietà dei cittadini romani che era stata creata secondo la tradizione ai tempi dall’assedio di Veio, per finanziare la paga dei soldati. La quarta guerra macedonica e la guerra arcaica. I governi filoromani spesso avevano esercitato il loro potere in forme tiranniche ed avevano suscitato anche tensioni sociali, causando una rivolta in Macedonia. Qui un tale Andrisco riuscì a raccogliere forze in Tracia e per un’ultima volta le forze macedoni furono sconfitte nel 148 a.C. dalle forze del pretore Quinto Cecilio Metello. Il senato si occupò delle questioni concernenti gli achei, ordinando che fosse staccata dalla Lega non solo la riottosa Sparta ma anche altre importanti città, tra le quali Argo e Corinto. L’assemblea della Lega decise dunque la guerra, che fu brevissima. Gli achei non poterono impedire l’invasione del Peloponneso da parte di Metello. Qui il comando venne rilevato dal nuovo console, Lucio Mummio, che sconfisse l’ultimo esercito acheo. Corinto venne saccheggiata e distrutta nel 149 a.C. La Macedonia venne dunque ridotta a provincia romana. Il suo governatore poteva intervenire per regolare le questioni della Grecia. La terza guerra punica. Veniva distrutta anche un’altra città simbolo del mondo antico. Cartagine. Dopo la rovinosa sconfitta nella seconda guerra punica, Cartagine si era ripresa con sorprendente rapidità, almeno dal punto di vista economico. Nel 196 a.C. Annibale fu eletto a uno dei due posti di massimo magistrato. Intraprese una strada di riforme democratiche. I suoi oppositori lo denunciarono a Roma, accusandolo di macchinare un’alleanza con Antioco III. Quando giunse un’ambasceria romana il grande cartaginese prese la via della fuga in oriente, fuga che si concluse proprio alla corte di Antioco III. Il re numida avanzò pretese sempre più ambiziose su territori appartenenti al vicino. Nel 151 a.C. a Cartagine prevalse il partito della guerra: un esercito comandando dal leader “nazionalista” Asdrubale fu inviato contro Massinissa. La mossa si rivelò disastrosa. Nello stesso tempo la palese violazione della clausola del 201 a.C. diede voce a coloro che già da tempo a Roma premevano per la distruzione di Cartagine, tra i quali il vecchio Catone. Nel 149 a.C. un imponente esercito sbarcò in Africa. Nel disperato tentativo di evitare una guerra perduta in partenza i cartaginesi acconsentirono a cedere una notevole quantità di armamenti. Quella che si pensava potesse essere una facile azione militare si rivelò in un lungo e difficile assedio. La situazione si sbloccò solamente nel 146 a.C. sotto il comando di Publio Cornelio Scipione Emiliano, entrato per adozione. La città fu saccheggiata e rasa al suolo, il suo territorio trasformato nella nuova provincia d’Africa, con capitale Utica. La Spagna. Roma non era riuscita a venire a capo della situazione in Spagna. Inizialmente le due province create comprendevano solamente le regioni costiere della Spagna meridionale e del Levante. La penetrazione verso l’interno si rivelò lenta e difficile. Le sconfitte furono numerose, le vittorie mai decisive. Catone, il grande avversario degli Scipioni, venne inviato nella Spagna Citerione nel 195 a.C. in qualità di console e procedette con implacabile energia alla sistematica sottomissione delle tribù della valle dell’Ebro. Differente la politica di Sempronio Gracco, governatore della Spagna Citerione tra il 180-178 a.C. che cercò piuttosto di rimuovere le ragioni dell’ostilità verso Roma. I conflitti si riaccesero con violenza e si concentrarono introno alla città di Numanzia. Nel 137 a.C. sotto le sue mura, il console Caio Ostilio Mancino, sconfitto, fu costretto da numantini a firmare province dovessero essere classificate consolari, ciò per impedire che una scelta a posteriori fosse influenzata da ragioni personali o politiche. L’oligarchia senatoria per contrastarli si servì nuovamente di un altro tribuno, Marco Livio Druso. Approfittando dell’assenza di Caio, partito per l’Africa per la deduzione della colonia presso Cartagine, Druso avanzò proposte. Al suo ritorno a Roma, nel 122 a.C., Caio si rese conto che la situazione politica era profondamente mutata e la sua popolarità in grave declino. Candidatosi ancora al tribunato per il 121, non venne rieletto. Gracco tentò di opporsi alla votazione del provvedimento, ma scoppiarono gravi disordini, in conseguenza dei quali il senato fece ricorso per la prima volta alla procedura del senatus consultum ultimum. Forte di tale provvedimento, il console Lucio Opimio ordinò il massacro dei sostenitori di Gracco che avessero osato resistere. Gracco si fece uccidere da un suo schiavo. Progressivo smantellamento della riforma agraria. I sostenitori dei Gracchi vennero sistematicamente perseguitati. Nel 120 a.C. riuscirono a porre in stato d’accusa Lucio Opimio e implicitamente la legittimità stessa della procedura del senatus consultum ultimum con le conseguenze. Intorno al 121 a.C. fu sancito per legge che i lotti attribuiti fossero alienabili, sicché riprese la loro migrazione nelle mani dei più ambienti. Province, espansionismo e nuovi mercati: Asia, Gallia, Baleari, Dalmazia danubiana. Prima del 133 a.C. Roma aveva costituito sei province:  Sicilia.  Sardegna e Corsica.  Spagna Citerione: furono aggiunte nel 123 a.C., ad opera di Quinto Cecilio Metello le isole Baleari.  Spagna Ulteriore.  Macedonia.  Africa. Nello stesso anno il re di Pergamo Attalo III, morto inaspettatamente, prematuramente e senza eredi, aveva lasciato il suo regno ai romani. Aristonico assunto il nome di Eumene III, si pose a capo di una rivolta e tenne testa per tre anni alle rivendicazioni di Roma. Solo tre anni dopo, la rivoltà poté essere arginata e il console Marco Perperna riuscì a vincere e a catturare l’agitatore. Il compito di stroncare definitivamente la ribellione fu svolto da Manio Aquilio, il quale potè organizzare quanto restava del nuovo territorio nella provincia romana d’Asia, compito terminato nel 126 a.C. Nel contempo ripetute campagne militari contro le tribù illiriche della Dalmazia avevano portato le armi e i mercenari romani. I commercianti italici e l’Africa, Giucurta e Caio Mario. Scipione Emiliano aveva regolato le questioni africane tramite la costituzione di una piccola ma ricca provincia e rapporti di buon vicinato con le città libere e con il re di Numidia. Il regno fu conteso tra Giucurta e Aderbale, costretto a rifugiarsi a Roma e a chiedere l’arbitrato del senato che, nel 116 a.C., optò per la divisione della Numidia tra i due superstiti. Me nel 112 a.C. Giucurta volle impadronirsi della porzione di regno assegnata ad Aderbale e ne assediò la capitale. Compiendo un errore fatale, prese la città, fece trucidare non solo il rivale, ma anche i romani e gli italici che vi svolgevano la loro attività. Roma si vide costretta a scendere in guerra nel 111 a.C. Le operazioni militari, dopo una serie di successi, si concluse con la stesura della pace, concedendogliela a condizioni molto lievi. Roma gridò allo scandalo. Tra accuse di incapacità e sospetti ulteriori di corruzione, i responsabili furono processati e condannati e nel 109 a.C. la guerra fu affidata al console Quinto Cecilio Metello. Egli riprese le redini del conflitto, sconfisse ripetutamente Giugurta. Caio Mario venne eletto console nel 107 a.C. e gli venne affidato il comando della guerra. Homo novus, nato da una famiglia recentemente pervenuta alla condizione equestre, incarnava un nuovo tipo di politico, uscito dall’ambiente dei ricchi possidenti equestri e dalla carriera militare, ma con buone connessioni romane, tra cui Publio Cornelio Scipione Emiliano. Ai suoi ordini Mario aveva combattuto con onore a Numanzia fino a pervenire alla questura all’incirca nel 123 a.C. Con l’appoggio agli inizi della potente famiglia dei Metelli aveva ottenuto nel 119 a.C. il tribunato della plebe fino a giungere con alterna fortuna, nel 115 a.C. alla pretura. Si era imparentato con una antica, anche se decaduta, famiglia patrizia sposando Giulia, che sarebbe diventata zia del futuro Giulio Cesare. L’arruolamento dei nullatenenti e la fine della guerra giugurtina. Si erano riscontrate gravi difficoltà nel reclutamento legionario, che era limitato ai soli cittadini iscritti nelle cinque classi censitarie. Mario, bisognoso di nuove truppe a lui fedeli e per far fronte ai gravi vuoti determinati dalla guerra contro Giugurta e dai massacri subiti ad opera dei Cimbri e dei Teutoni, aprì l’arruolamento volontario ai capite censi, cioè coloro che erano iscritti sui registri del censo per la loro sola persona, senza il minimo bene patrimoniale, dunque nullatenenti. Con il nuovo esercito Mario ritornò in Africa, ma gli occorsero quasi tre anni per mantenere l’impegno di por fine al conflitto e di catturare Giugurta. Grazie all’opera di Lucio Cornelio Silla, legato di Mario, Giugurta fu trascinato prigioniero a Roma. Mario venne rieletto console per il 104 a.C. e celebrò il trionfo su di lui, che venne giustiziato. Cimbri e Teutoni, ulteriori trasformazioni nell’esercito. Nel frattempo due popolazioni germaniche, i Cimbri (Jutland) e i Teutoni (Holstein), avevano iniziato un movimento migratorio verso sud, spinti da problemi di sovrappopolamento o da maree rovinose. Furono affrontati al di là delle Alpi, dove i romani subirono una disastrosa sconfitta nel 113 a.C. Continuando il loro cammino verso occidente, comparvero in Gallia. I ripetuti tentativi di respingerli si risolsero con altrettante catastrofi che culminarono nella clamorosa disfatta di Arausio nel 105 a.C. Mentre a Roma cresceva la polemica verso l’incapacità dei generali d’origine nobiliare e aumentava il terrore di queste popolazioni, Mario venne rieletto console nel 104 a.C. e gli affidarono il comando della guerra. Provvide a riorganizzare l’esercito, portando a compimento trasformazioni già sperimentate, per cui ogni legione risultò articolata non più in trenta piccole unità ma in dieci coorti di circa seicento uomini, ciascuna delle quali costituiva un’unità tattica. Il suo lavoro di riorganizzazione toccò quasi tutti gli aspetti dell’attività militare, dall’addestramento individuale, all’equipaggiamento, all’armamento, alle stesse insegne della legione, alla logistica dell’approvvigionamenti. Affrontò prima i teutoni nel 102 a.C. sterminandoli ad Aix-en-Provance. L’anno dopo mosse contro i cimbri, annientati ai Campi Raudii. Eclissi politica di Mario. Saturnino e Glaucia. Mario si appoggio a Saturnino, un nobile entrato in rotta con le fazioni conservatrici del senato che, nel 104 a.C. e lo aiutò ad essere eletto tribuno della plebe in cambio di far approvare la distribuzione di terre in Africa a ciascuno dei veterani delle campagne africane di Mario. Nel 100 a.C. Mario venne eletto al suo sesto consolato e Saturnino era rieletto tribuno della plebe e Glaucia come pretore. Saturnino presentò una legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre nella Gallia meridionale e la fondazione di colonie in Sicilia, Acaia e Macedonia. Saturnino presentò la sua candidatura a tribuno e Glaucia a quella di console. Durante le votazioni scoppiarono tumutli nei quali un competitore di Glaucia finì assassinato. Il senato non attendeva altro per proclamare il senatus consultum ultimum. Mario, come console, si trovò nella situazione imbarazzante di doverlo applicare contro suoi alleati politici. I due furono uccisi, ma il prestigio di Mario uscì fortemente compromesso dalla vicenda. Pirati, schiavi, Cirenaica. L’installarsi di Roma in Anatolia l’aveva condotta a stretto contatto con un problema endemico di quelle zone: la pirateria, che minacciava pesantemente l’asse marittimo che dall’Egeo conduceva a Cipro e alla Siria. Si ha nel 101-100 a.C. la stipulazione della lex piratica che prendeva misure antipiratiche. Scaturirono numerose rivolte servili, tra cui quella delle miniere del Laurion in Attica nel 103 a.C. e il grande sommovimento che di nuovo sconvolse la Sicilia per molti anni (104-100 a.C.). Marco Livio Druso e la concessione della cittadinanza agli italici. Per porre un po' ordine nelle procedure di presentazione delle leggi, un provvedimento del 98 a.C. rese obbligatoria un intervallo di tre settimane tra l’affissione di una proposta di legge e la sua votazione. Veniva inoltre vietata la formulazione di una lex satura, cioè di una disposizione che includesse più argomenti non connessi tra loro. Nel 95 a.C. una legge aveva istituito una commissione per verificare le richieste di cittadinanza romana. Fu eletto fra i tribuni della plebe nel 91 a.C. Marco Livio Druso, figlio di colui che si era opposto a Caio Gracco. Egli tentò di destreggiarsi tra le varie parti con una politica di reciproca compensazione. Infine volle proporre la concessione della cittadinanza romana agli alleati italici. Ancora una volta l’opposizione fu vastissima e fu trovato modo di dichiarare nulle tutte le sue leggi. Quando però venne misteriosamente assassinato, le aspettative e i contatti erano ormai molto avanzati e l’esasperazione e il sentimento di ribellione degli italici avevano raggiunto un punto da cui non era più possibile tornare indietro. La guerra sociale. La condizione di cittadino romano era divenuta sempre più vantaggiosa e ciò aumentava l’irritazione e la rivendicazione degli italici, consci di avere ampiamente contribuito ai successi militari di Roma, sia nell’intero processo della sua espansione sia anche nelle recenti campagne contro le popolazioni del nord, in cui la loro presenza era stata determinante. Delle distribuzioni agrarie beneficavano i soli cittadini romani, non avevano parte alcuna nelle decisioni politiche, economiche, militari… L’assassinio di Druso fu il segnale che non vi era altra possibilità di difendere le proprie rivendicazioni. Il segnale delle ostilità partì da Ascoli dove un pretore e tutti i romani residenti nella città vennero massacrati nel 90 a.C. L’insurrezione si estese sul versante adriatico, nell’Appennino centrale e meridionale. La guerra fu lunga e sanguinosa. I romani si trovarono combattere contro gente armata e addestrata allo stesso loro modo, con identiche tecniche di attacco e di difesa. Gli insorti si erano dati nel frattempo istituzioni federali. Furono messe in campo tutte le forze migliori e si spartirono tra i due consoli i due principali settori d’operazione. A settentrione il console Lupo aveva come propri legati Cneo Pompeo Strabone (padre del futuro Pompeo Magno) e Caio Mario. A meridione Lucio Giulio Cesare aveva tra i suoi luogotenenti Lucio Cornelio Silla. Si ebbero sconfitte e distruzioni su entrambi i fronti. L’incerto andamento delle operazioni fece maturare a Roma una soluzione politica del conflitto, si erano già autorizzati i comandanti militari ad accordare la cittadinanza agli alleati che combattevano ai loro ordini. Venne poi approvata la lex Iulia de civitate che concedeva la cittadinanza romana agli alleati rimasti fedeli e alle comunità che avessero deposto rapidamente le armi. Si aggiunse la lex Plautia Papiria che estendeva la cittadinanza a quanti degli italici si fossero registrati presso il  Il pomoerium (limite sacro del territorio cittadino, entro il quale non era lecito mantenere o condurre eserciti in armi) fu esteso lungo una linea virtuale tra Arno e Rubicone, a comprendere in pratica quasi tutte le zone d’Italia che condividevano la cittadinanza romana.  Veniva costituita la provincia della Gallia Cisalpina, che consentiva la presenza di legioni in una zona relativamente vicina a Roma. Compiuta la riorganizzazione dello Stato, Silla abdicò dalla dittatura. Morì nel 78 a.C., nei suoi possedimenti in Campania, dove si era ritirato a vita privata. Il tentativo di reazione antisillana di Marco Emilio Lepido. Già nel 78 a.C., uno dei consoli, Marco Emilio Lepido, tentò di ridimensionare l’ordinamento sillano, proponendo il richiamo dei proscritti in esilio, il ripristino delle distribuzioni frumentarie a prezzo politico e la restituzione agli antichi proprietari delle terre confiscate a favore dei coloni insediati da Silla. A seguita di una rivolta, fallita, in Etruria, a cui il console fece causa comune, fugge in Sardegna, dove morì. L’ultima resistenza mariana, Sertorio. Quinto Sertorio si era distinto, nelle file mariane e aveva raggiunto il suo posto di governatore della Spagna Citerione. Egli aveva creato una sorta di Stato mariano in esilio. Nel 77 a.C. si erano congiunte a Sertorio anche truppe superstiti di Lepido. Il senato decise di ricorrere un’altra volta a Pompeo affidandogli la Spagna Citerione con l’attribuzione di un imperium straordinario. Arrivato in Spagna nel 76 a.C., Pompeo si trovò in una posizione alquanto difficile, subendo da Sertorio alcune sconfitte tanto che fu costretto a scrivere al senato una lettera minacciosa sollecitando l’invio di rifornimenti e rinforzi. Ottenuti nel 74 a.C., la situazione andò molto lentamente migliorando e la popolarità di Sertorio calò. Furono orditi complotti contro di lui, finché non fu ucciso a tradimento nel 72 a.C. Pompeo sconfisse le ultime sacche di resistenza nel 71 a.C. La rivolta servile di Spartaco. Nel 73 a.C. era scoppiata la terza grande rivolta di schiavi. Scintilla fu a Capua, in una scuola di gladiatori, ribellatisi, si erano asserragliati sul Vesuvio. Se ne posero a capo tre gladiatori, Spartaco, un trace, e da Crisso ed Enomoa, di origine celtica. Mancava totalmente tra di loro un piano preciso e unitario: Spartaco intendeva condurli rapidamente al di là delle Alpi, altri preferivano abbandonarsi alla razzia e al saccheggio. Il senato decise allora di affidare un comando eccezionale e un considerevole esercito a Marco Licinio Crasso che riuscì ad isolare Spartaco in Calabria. Traditi dai pirati furono costretti a spezzare il blocco di Crasso che, raggiuntili, li sconfisse pesantemente in Lucania e lo stesso Spartaco morì nel 71 a.C. Una consistente schiera di superstiti tentò la fuga verso nord, ma fu intercettata da Pompeo, che ritornava dalla Spagna, e annientata. Il consolato di Pompeo e Crasso e lo smantellamento dell’ordine sillano (70 a.C.). Pompeo ne fece ulteriore titolo di merito per ottenere il trionfo e anche per potere presentare la propria candidatura al consolato per il 70 a.C. Anche Crasso si presentò candidato: entrambi furono eletti consoli. Fu allora portato a compimento lo smantellamento dell’ordinamento sillano. Nel 73 a.C. i consoli avevano fatto approvare una legge frumentaria che ripristinava la distribuzione a prezzo politico del grano. Pompeo e Crasso restaurano nella loro pienezza i poteri dei tribuni della plebe. Furono eletti i censori, che epurarono il senato di sessantaquattro membri giudicati indegni (per la maggior parte creature di Silla). Pompeo in Oriente, operazioni contro i pirati, nuova guerra mitridatica. Negli anni tra 80 a.C. e il 70 a.C. erano riemerse ulteriori minacce in Oriente: i pirati e Mitridate. Dopo ripetuti infruttuosi tentativi di combattere i pirati sulle coste meridionali dell’Asia Minore si tentò di rafforzare la presenza romana in Cilicia. Nel frattempo era divenuta inevitabile una nuova guerra contro Mitridate. L’occasione si era ripresentata nel 74 a.C., quando alla morte di Nicomede IV di Bitinia, risultò che questo re aveva lasciato il suo regno in eredità ai romani con un testamento non scevro da sospetti di falsificazione. Mitridate decise di invadere la Bitinia. Contro di lui furono mandati i due consoli del 74 a.C., Cotta e Lucullo. Lucullo sgomberò la Bitinia e occupò il Ponto. Sospese momentaneamente le operazioni e si dedicò ad un’opera di complessivo ristabilimento della situazione in Asia. In seguito proseguì più a fondo la campagna e invase l’Armenia assediandone e conquistandone la nuova capitale Tigranocerta nel 69 a.C. Proseguì l’inseguimento di Mitridate a nord-est ma fu fermato dal malcontento delle sue truppe. Nel 67 a.C. Mitridate e il re d’Armenia ne approfittaorno. Fu affidato a Pompeo, per tre anni di fila, un imperium infinitum su tutto il Mediterraneo occidentale, costringendo i pirati ad asserragliarsi in Cilicia, per poi sconfiggerli. Nel 66 a.C. venne esteso a Pompeo anche il comando della guerra contro Mitridate. Dopo una controffensiva, Mitridate decise di farsi uccidere dal figlio per non cadere in mano dei romani. Il re d’Armenia fu confermato del suo trono, privandone però il suo dominio in Siria, di cui Pompeo ne fece una provincia. Attirato poi in Palestina per tre mesi d’assedio si impadronì di Gerusalemme e del suo Tempo. Dichiarate libera le città ellenistiche della costa e dell’entroterra, costituì la Giudea in Stato autonomo, ma tributario, sotto la vigilanza del governatore della Siria nel 63 a.C. Nel 62 a.C. Pompeo rientrò a Roma e gli venne immediatamente decretato il trionfo. Il consolato di Cicerone e la congiura di Catilina. Durante l’assenza di Pompeo a Roma si era verificata una grave crisi. Lucio Sergio Catilina tentò di rifarsi ripresentandosi alle elezioni consolari del 63 a.C. riuscì invece eletto console un homo novus, Marco Tullio Cicerone. Ma Catilina non demorse e nel corso dell’anno mise a punto un programma elettorale sulla cancellazione dei debiti per il consolato dell’anno successivo. Abbandonato dai suoi antichi sostenitori riuscì nuovamente battuto nelle elezioni. Mise allora mano ad un’ampia cospirazione che mirava a sopprimere i consoli, e di impadronirsi del potere. Venne concentrato un esercito in gran parte composto da veterani sillani. Ma il piano fu scoperto e sventato da Cicerone che poté infine indurre il senato ad emettere il senatus consultum ultimum e con un attacco durissimo costrinse Catilina ad allontanarsi da Roma. Cicerone poté arrestare cinque fra i capi della cospirazione, e consultare sul da farsi il senato, che, trascinato da un emergente Marco Porcio Catone, si pronunziò per la pena di morte. Cicerone provvide a far giustiziare i condannati. Catilina cadde combattendo valorosamente alla testa dei suoi. 3. Dal “primo triumvirato” alle idi di marzo. Il ritorno di Pompeo e il cosiddetto “primo triumvirato”. Nel 62 a.C. sbarcava a Brindisi Pompeo, che smobilitò il suo esercito, convinto di ottenere dal senato la ratifica degli assetti territoriali e provinciali da lui decisi in Oriente. in senato però i suoi avversari politici lo ricambiarono umiliandolo. Nello stesso anno l’emergente Cesare aveva ricoperto la pretura e nell’anno successivo era stato governatore della Spagna Ulteriore. Aveva dato prova di notevoli capacità amministrative e aveva condotto alcune brillanti campagne verso Occidente. Nel 59 a.C. Cesare fu costretto a rinunciare alla richiesta di trionfo. Il risultato delle elezioni consolari gli fu favorevole, ma ebbe come collega Marco Calpurnio Bibulo, genero di Catone, che lo ostacolò con ogni mezzo nell’esercizio della carica. Allora Pompeo, Crasso e Cesare si riavvicinarono, stringendo un accordo nel 60 a.C. di sostegno reciproco comunamente chiamato dai moderni come “primo triumvirato”. L’accordo fu cementato anche col matrimonio tra il già maturo Pompeo e la giovane figlia di Cesare, Giulia. Caio Giulio Cesare console. L’accordo diede immediatamente i suoi frutti durante il consolato di Cesare. Due leggi agrarie prevedevano la distribuzione ai veterani di Pompeo di tutto l’agro pubblico rimanente in Italia e di altre terre acquistate dai privati, per i fondi necessari sarebbero stati utilizzati i bottini di guerra di Pompeo. Com’era desiderio di Crasso, fu ridotto d’un terzo il canone d’appalto delle imposte della provincia d’Asia. Fu approvata una lex Iulia de repetundis, per i procedimenti di concussione, che ampliava e migliorava la precedente legislazione sillana in materia. Un altro provvedimento prevedeva la pubblicazione dei verbali delle sedute senatorie e delle assemblee popolari. Il tribuno della plebe Publio Vatinio fece votare un provvedimento che attribuiva a Cesare per cinque anni il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico con tre legioni. Su proposta di Pompeo il senato dovette aggiungere alle competenze di Cesare anche l’assegnazione di questa provincia, con una quarta legione. Il tribunato di Publio Clodio Pulcro. Partendo, Cesare volle, con Pompeo e Crasso, lasciare una spina nel fianco a quanti in senato gli erano ostili. Appoggiarono la candidatura al tribunato della plebe di Publio Clodio Pulcro. Con egli, nessun magistrato avrebbe più potuto interrompere le assemblee pubbliche adducendo l’osservazione di auspici sfavorevoli. Infine si comminava l’esilio di chiunque condannasse o avesse condannato a morte un cittadino romano senza cedergli di appellarsi al popolo (Cicerone e Catone). Cesare in Gallia. Quando Cesare arrivò, attaccò e sconfisse gli Elvezi, aprendo la lunga conquista personale della Gallia. Un forte gruppo di Svevi era passato sulla sinistra del fiume del Reno, obbligandoli a ritornare oltre il fiume e nominando il loro re come “re amico e alleato del popolo romano”. Cesare ritornò in Cisalpina, lasciando le sue truppe accampate nei quartieri invernali presso Vasonzio. Suscitò la reazione dei belgi. I successi di Cesare erano dovuti in massima parte alla completa disunione delle tribù galliche, ma anche grazie alla grande capacità di Cesare di adattare la sua tattica al tipo di combattimento che la situazione di volta in volta esigeva, nonché alla sua abitudine di condividere tutte le fatiche della vita militare e i pericoli della battaglia con i suoi soldati, cosa che lo rendeva molto popolare tra le truppe e le legava strettamente ad egli. Gli accordi di Lucca e la prosecuzione della conquista della Gallia. Terminato l’anno del suo tribunato, Clodio era tornato privato cittadino, ma non aveva smesso di utilizzare le sue bande. I suoi avversari rialzarono il capo per imporre il ritorno di Cicerone. Bersagli preferiti di Clodio divenne ben presto Pompeo che aveva appoggiato i fautori del richiamo. Nel 57 a.C. Cicerone era potuto rientrare a Roma. Pompeo si trovò allora in una situazione di grave stallo politico. Fu lieto di accettare l’incarico, affidatogli su proposta dei consoli e caldamente sostenuta da Cicerone, che gli conferiva poteri straordinari, della durata di cinque anni, per provvedere all’approvvigionamento della città. Cesare, dopo aver incontrato Crasso e Pompeo a Lucca, nel 56 a.C. venne stipulato l’omonimo accordo, che prevedeva: Alle idi di marzo (15 marzo) del 44 a.C., Cesare cadde trafitto dai pugnali dei cospiratori nella curia di Pompeo, dove doveva presiedere una seduta del Senato. 4. Agonia della Repubblica. L’eredità di Cesare, la guerra di Modena. Abbattuto Cesare, i cesaricidi non si erano preoccupati di eliminare anche i suoi principali collaboratori, in particolare Marco Emilio Lepido e Marco Antonio, che cominciarono a riorganizzarsi. I congiurati si trovarono a Roma un’accoglienza fredda tanto che preferirono ritirarsi sul Campidoglio per discutere sul da farsi. Lepido caldeggiava l’idea di assalire immediatamente i congiurati sul Campidoglio. Prevalse l’idea di Marco Antonio, che convocò il senato facendo proporre l’amnistia per i congiurati, la convalida degli atti del defunto dittatore e il consenso dei funerali di Stato. Antonio, seppe trasformare le esequie in una grande manifestazione di furore popolare, tanto che i cesaricidi preferirono mettersi in salvo abbandonando Roma. Fu tuttavia abolita la dittatura delle cariche dello Stato. Antonio divenne l’autentico interprete della politica di Cesare e il suo continuatore ed erede spirituale. Alla lettura del testamento di Cesare si scoprì che il dittatore aveva nominato suo erede effettivo per i tre quarti dei beni e suo figlio adottivo un giovane di non ancora diciannove anni. Caio Ottavio, suo pronipote. Alle idi di marzo il giovane Ottavio si trovava ad Apollonia, in Illiria. Appena saputo del testamento, si diresse verso l’Italia insieme a pochi amici fidati, tra cui Agrippa, e giunse a Roma accompagnato da manifestazioni di simpatia dei veterani del padre adottivo. Onorò gli ingenti lasciti di denaro e prese l’impegno politico di tutelare e celebrare la memoria di Cesare e la vendetta ad ogni costo della sua uccisione. In tal modo concentrò su di sé l’appoggio dei cesariani più accesi e dei veterani, mentre buona parte del senato (Cicerone) cominciò a scorgere in lui un mezzo per arginare lo strapotere di Antonio. Quando questi mosse verso la Cisalpina, il governatore originariamente designato rifiutò di cedergliela e si rinchiuse a Modena, assediato da Antonio. Ebbe iniziò così la così detta “guerra di Modena” (43 a.C.). Il senato ordinò ai due consoli dell’anno di muovere in soccorso e ad essi fu associato anche Ottavio. Vicino a Modena Antonio fu battuto e fu costretto a ritirarsi verso la Narbonese. Il triumvirato costituente (cosiddetto “secondo triumvirato”), le proscrizioni e Filippi. Ottavio chiese al senato il consolato per sé e ricompense per i suoi soldati. Al rifiuto, non esitò a marciare su Roma. Nel 43 a.C. venne eletto console. I due consoli fecero revocare tutte le misure di amnistia e istituirono un tribunale speciale per perseguire gli assassini di Cesare. In Gallia Antonio si era congiunto con Lepido, attirando dalla propria parte alti governatori della Gallia e della Spagna. Annullato il provvedimento senatorio che aveva dichiarato Antonio nemico pubblico, Ottaviano, Lepido e Antonio si incontrarono nei pressi di Bologna, dove stipularono un accordo. In base ad essa veniva istituito un triumvirato che diveniva una magistratura ordinaria di durata di cinque anni fino alla fine del 38 a.C.: essa conferiva il diritto di convocare il senato e il popolo, di promulgare editti e di designare i candidati alle magistrature. Antonio avrebbe conservato il governatorato della Gallia Cisalpina e della Gallia Comata, Lepido avrebbe ottenuto la Gallia Narbonese e le due Spagne, Ottaviano l’Africa, Sardegna, Sicilia e Corsica (l’Oriente era in mano a Bruto e Cassio). Vennero resuscitato le liste di proscrizione. Centinaia di senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati. Una delle vittime più note fu Cicerone, che pagò a caro prezzo i suoi attacchi contro Antonio. I triumviri poterono dunque rivolgere le armi verso l’oriente, dove i cesaricidi Bruto e Cassio si erano costituiti. Nel 42 a.C. sì provvide alla divinizzazione di Cesare e all’istituzione del suo culto: ne beneficiò soprattutto Ottaviano, che divenne “figlio di un dio”. Antonio e Ottaviano partirono per la volta della Grecia. Lo scontro decisivo si ebbe a Filippi, in Macedonia nel 42 a.C., dove Cassio fu battuto da Antonio, e Bruto si tolse la vita. Le proscrizioni e Filippi avevano decimato spaventosamente l’opposizione senatoria più conservatrice. Il loro posto fu preso da una nuova aristocrazia. Si realizzò così un mutamento radicale nella composizione e nelle mentalità dell’élite di governo, assai più inclini a rapporti di dipendenza politica e personale. Consolidamento di Ottaviano in Occidente, la guerra di Perugia, Sesto Pompeo, gli accordi di Brindisi, di Miseo e di Taranto, Nauloco. Antonio si riservò, cumulandolo a quello sulle Gallie, il comando su tutto l’Oriente, da cui intendeva intraprendere un piano di conquista del regno partico. A Lepido fu assegnata l’Africa. Ottaviano ebbe le Spagne, il compito di sistemare in Italia i veterani oltre a quello di vedersela con Sesto Pompeo che dominava la Sicilia e a cui si erano uniti i superstiti delle proscrizioni e di Filippi. L’incarico di procedere all’assegnazione di terre ai veterani era tra i più difficili. Venivano colpiti gli interessi dei piccoli e medi proprietari terrieri. le proteste sfociarono nel 41 a.C., in aperta rivolta. Ottaviano fu costretto ad affrontare gli insorti, che si chiusero a Perugia. Dopo un feroce assedio la città fu espugnata. Coloro che scamparono al massacro si unirono a Sesto Pompeo. Profilandosi la possibilità di un’alleanza tra Antonio e Sesto Pompeo, Ottaviano si avvicinò a quest’ultimo con accordi matrimoniali. Preoccupato, Antonio si mosse dall’oriente. Si incontrarono a Brindisi, dove venne sottoscritta un’intesa, in forza della quale ad Antonio veniva assegnato l’Oriente, ad Ottaviano, l’Occidente, e a Lepido l’Africa. Antonio, inoltre, sposò la sorella di Ottaviano. La situazione fu però di nuovo complicata dalle rivendicazioni di Sesto Pompeo. Antonio fu costretto a tornare ancora una volta dalla Grecia per presenziare con Ottaviano all’accordo di Miseno (39 a.C.); Sesto Pompeo vedeva riconosciuto da Ottaviano il governo di Sicilia, Sardegna e Corsica, a cui veniva aggiunto da parte di Antonio il Peloponneso. Durò poco. Sesto Pompeo riprese le azioni di scorreria contro l’Italia l’anno successivo. Egli perse la Sardegna e la Corsica e divampò presto la lotta per il possesso della Sicilia. Fu così rinnovato per altri cinque anni il triumvirato (accordo di Taranto del 37 a.C.). Agrippa, console dello stesso anno e amico d’infanzia di Ottaviano, con una considerevole opera di ingegneria aveva fatto collegare i laghi Averno e Lucrino al mare, in tal modo un porto militare presso Pozzuoli dove aveva potuto riunire e addestrare una flotta consistente. Con queste navi nel 36 a.C. inferse a Sesto una duplice definitiva sconfitta a Milazzo e Nauloco. Fuggì in Oriente dove venne catturato e ucciso l’anno seguente. Lepido pretese di rivendicare per sé il diritto al possesso dell’isola, ma le sue truppe lo abbandonarono e ad Ottaviano fu facile farlo dichiarare decaduto dai poteri di triumvirato e impossessarsi dell’Africa. Antonio in Oriente. Antonio aveva concentrato le sue attenzioni in Oriente. Si preoccupò di procurarsi l’alleanza di re e di principi orientali. Il regno più potente era all’ora l’Egitto sotto il regno congiunto di Cleopatra VII e del figlio di Cesare. Convocata a Tarso, in Cilicia, nel 41 a.C., la regina indusse il triumviro a trascorrere l’invero come suo ospite in Egitto. Dalla loro unione nacquero due gemelli. Nella primavera del 40 a.C. i parti invasero la Siria, e dopo aver travolto i governatori antoniani, dilagarono in Asia Minor e in Giudea. Antonio non poté reagire. Dopo l’accordo di Taranto Antonio poté ritornare in Oriente. ritrovò Cleopatra e riconobbe i gemelli che aveva avuti da lei. L’attribuzione di territori che erano stati romani a principi locali e l’assegnazione all’Egitto di una parte della Cilicia, della Fenicia, della Celesiria, di una posizione dell’Arabia, di Cipro, contribuirono ad offrire non pochi elementi di sdegno alla campagna diffamatoria nei confronti di Antonio che nel frattempo Ottaviano stava cominciando a montare in Italia. Nel 36 a.C. Antonio diede inizio alla sua grande spedizione e invase il regno partico da nord, che si concluderà l’anno successivo con la sola conquista dell’Armenia. Nello stesso anno si era consumata la rottura tra Antonio e Ottaviano, in seguito alla beffa giocata da quest’ultimo al collega proprio all’indomani della sua ritirata partica, riuscendo a ribaltare la situazione: Ottaviano divenne l’offeso, l’oltraggiata la sorella, una donna romana e moglie legittima scacciata a causa di Cleopatra, un’amante orientale. Antonio celebrò la conquista dell’Armenia con una fastosa cerimonia ad Alessandria nel 34 a.C., confermando a Cleopatra e a Tolomeo Cesare, unico reale erede di Cesare, il trono dell’Egitto, di Cipro e della Celesiria. Lo scontro finale, Azio. Rivelando ad arte un testamento in cui Antonio disponeva di essere sepolto ad Alessandria e attribuiva regni ai figli avuti con la regina, Ottaviano ottenne che il triumvirato venisse privato di tutti i suoi poteri. Si presentò come il difensore di Roma e dell’Italia contro una regina avida e infida. La dichiarazione di guerra venne formalizzata contro la sola Cleopatra. Lo scontro avvenne nel Mar Ionio dinanzi ad Azio nel 31 a.C. con una battaglia navale vinta da Agrippa per Ottaviano. Antonio e Cleopatra si rifugiarono in Egitto, preparando un’ultima resistenza. Ma quando Ottaviano penetrò in Egitto da Oriente e prese Alessandria nel 30 a.C., prima Antonio e poi Cleopatra si suicidarono. L’Egitto fu dichiarato provincia romana. IV L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO 1. Augusto. “Impero romano” e “Impero dei Cesari”: Azio e la cesura tra storia repubblicana e storia del principato. Il 31 a.C. è la data che indica tradizionalmente l’inizio del Principato ovvero, il regime istituzionale incentrato sulla figura di un reggitore unico, il princeps. Ottaviano divenne padrone assoluto dello Stato romano. Già nel 32 a.C. si erano trasferiti nel campo di Antonio più di trecento senatori, lasciando a Roma un senato notevolmente amputato. Persistente malumore dei soldati, licenziati in parte senza premi e comunque esclusi dai benefici che avrebbero potuto ottenere da un proseguimento della campagna contro Atonio. Era stato scoperto e represso da Mecenate un movimento insurrezionale di cui faceva parte Marco Emilio Lepido 8figlio del triumviro), che pagò la vita. Nel 29 a.C. Ottaviano continuava a rivelare in molti dei senatori un atteggiamento a lui ostile. Il triennio 30-27 a.C. Il triennio è un ritorno alla normalità senza rinunciare all’acquisita posizione di preminenza. Il primo atto compiuto da Ottaviano nel 30 a.C., fu innovativo e tradizionale al tempo stesso. a reggere la neocostituita provincia d’Egitto venne delegato un governatore di rango equestre, Caio Cornelio Gallo. Per garantirsi il controllo esclusivo sul paese ai senatori e ai cavalieri di più alto rango venne interdetto l’ingresso nella regione senza esplicita autorizzazione del princeps. Province di competenza del popolo romano, i governatori erano sempre senatori, scelti a sorte tra i magistrati che avevano ricoperto la pretura o il consolato. Restavano in carica un solo anno, comandavano le forze militari presenti nella loro provincia, assisti dai questori. Anche nelle province del popolo Augusto poteva intervenire in virtù del suo imperium maius. Un’eccezione a questo ordinamento era costituita dall’Egitto che era stato assegnato a un prefetto di rango equestre, nominato da Augusto. L’esercito, la “pacificazione” e l’espansione. Con Augusto il servizio militare nelle legioni fu riservato in linea di principio a volontari. Si costituì quindi una forza permanente effettiva composta da 28 legioni (170.000 uomini). Un’altra innovazione fu la guardia pretoriana permanente, un corpo militare d’élite. Augusto costituì inoltre dei contingenti regolari di truppe ausiliarie di fanteria e di cavalleria. La flotta militare stazionava in due porti, a Miseno e a Ravenna, ed era sottoposta al comando di un prefetto equestre. Anche i marinai, una volta congedati, divenivano cittadini romani. Augusto condusse e fece condurre una politica di consolidamento e di espansione quale nessun romano aveva sviluppato prima di lui, tanto da controllare un territorio talmente vasto da poter essere definito propagandisticamente imperium sine fine. Augusto preferì affidare alla diplomazia, piuttosto che alle armi, le questioni orientali. In Egitto furono estesi i confini meridionali attraverso un accordo con gli etiopi (29-27 a.C.). Effettuò anche una spedizione fino allo Yemen meridionale, per assicurare le vie commerciali con l’oriente (25-24 a.C.). I confini con il regno partico vennero invece stabilizzati grazie a trattative diplomatiche e grazie ai rapporti politici stretti con gli Stati contigui ai territori provinciali. Con i sovrani di tali regni furono stretti trattati di amicizia e vennero spesso definiti “regni clienti” di Roma. Alla morte dei loro corrispettivi sovrani avvenne:  L’annessione della Galizia (25 a.C.) come provincia romana.  La suddivisione del Ponto tra le province della Bitinia e della Galizia (18 a.C.).  L’annessione della Giudea come provincia (solo nel 6 d.C.). Zona critica era l’Armenia. L’occidente fu il teatro più importante delle azioni del principato di Augusto. Gli interventi militari si concentrarono nella penisola iberica, conquistata dopo una lotta durissima ad opera di Agrippa. Augusto organizzò l’amministrazione della penisola iberica, dividendola definitivamente in tre province: Spagna Ulteriore o Betica (del popolo), Spagna Citerione o Tarraconense e Lusitania (imperiali). Anche la Gallia fu riordinata in tre province imperiali: Aquitania, Lugdunese e Belgica. Fu fondata la colonia Augusta Praetoria (attuale Aosta). Nel 21-20 a.C. Cornelio Balbo, un proconsole originario di Cadice, estese il controllo romano nell’Africa meridionale e sud-occidentale contro le tribù dei Garamanti. Fu l’ultimo generale romano a celebrare un trionfo. Nel 16 a.C. un gran numero di legioni erano state trasferite dalla Spagna verso la Gallia, per poi disporsi lungo il Reno. Uno degli obiettivi da raggiungere era il controllo del corso superiore del fiume sono alla sua foce e del territorio compreso tra il Reno e l’Elba. Dopo la sottomissione delle valli da Como al Lago di Garda e dell’Alto Adige, nel 16 a.C. l’avanzata verso il Danubio fu affidata da Augusto ai suoi figliastri, Tiberio e Druso. La propaganda di Augusto non riuscì a mascherare quello che innegabilmente finì per essere un clamoroso insuccesso: la mancata sottomissione della Germania. Druso morì per le conseguenze di una caduta da cavallo. Il suo posto fu preso da Tiberio. I successi furono consistenti tanto da meritargli il trionfo. Egli ritornò sul fronte germanico solo nel 4 d.C. Nel 6 d.C. era pronto a sferrare un attacco decisivo, quando scoppiò una rivolta in Pannonia e in Illirico, che lo costrinse ad impegnare le proprie truppe a meridione del Danubio. Nel 9 d.C. Varo, ex governatore della Siria, mandato in Germania da Augusto, suscitò una vasta ribelione, guidata dal principe dei Cherusci. Varo si lasciò sorprendere in maniera catastrofica nella “selva di Teutoburgo”: ben 20.000 uomini risultarono praticamente annientati. Varo si uccise. Lo sbigottimento a Roma fu enorme. L’espansione ad oriente del Reno ne fu compromessa. Fu Tiberio (divenuto imperatore) a decidere che la frontiera doveva arrestarsi al Reno. Le leggi augustee. Nel 19 a.C. furono promulgate nuove leggi che miravano a dare vigore a molte consuetudini degli antenati, sulla famiglia, sul matrimonio, sul celibato, sull’adulterio. Miravano a incentivare le unioni matrimoniali, inducendo i romani a procreare un certo numero di figli attraverso una serie di sanzioni e privilegi. I reati sessuali erano tramutati in crimini pubblici e perseguiti dinanzi ad una apposita quaestio de adulteriis. Essa perseguiva qualsivoglia rapporto sessuale al di fuori del matrimonio e del concubinato, eccetto quelli con le prostitute o con donne ad esse equiparate, in particolare l’adulterium e lo stuprum. Mitigò le pene per i reati di corruzione, e promulgò pene come l’esilio volontario e la confisca dell’intero patrimonio. Prove dinastiche e strategie di successione. L’opposizione. La prima preoccupazione di Augusto fu quella di integrare la propria famiglia come tale nel nuovo sistema politico e nella propaganda ideologica, celebrandone l’ascendenza divina. L’erede scelto all’interno della famiglia avrebbe acquisito non solo il patrimonio privato ma anche una sorta di prestigio che gli garantiva un accesso privilegiato alla carriera politico-militare e un ruolo singolare nella res publica. Augusto aveva adottato i due figli di Giulia e Agrippa, Caio e Lucio Cesari. Considerati la tenera età dei due ragazzi, la strategia di Augusto si concentrò sui figli della terza moglie, Tiberio e Druso. Tiberio ricoprì due volte il consolato e gli fu conferito l’imperium proconsolare, per cinque anni, e celebrò persino il trionfo per le sue campagne germaniche nel 7 a.C. I figli di Agrippa morirono giovani e allora Augusto pretese da Tiberio che adottasse Germanico, il figlio di suo fratello Druso, anche se Tiberio aveva un suo proprio figlio di nome Druso. A Tiberio furono attribuiti la potestà tribunizia e l’imperium proconsolare sulla Germania e sulle Gallie. Augusto morì nel 14 d.C. 2. I Giulio Claudi. Tiberio (14-37). Malgrado la scarsa popolarità di cui Tiberio godeva a la poca simpatia che il suo predecessore aveva spesso mostrato per lui, il suo governo su una positiva prosecuzione di quello augusteo. Tiberio fu un amministrato accorto dello Stato. ebbe sviluppo anche la modifica del sistema elettorale per la nomina dei magistrati superiori introdotto da Augusto, con la procedura della destinatio, affidata alle 10 centurie “destinatrici”. Parallelamente si assiste alla decadenza dei comizi tribuni. Durante tutto il suo periodo di governo Tiberio si trovò a fronteggiare una opposizione che rivendicava una più ampia autonomia decisionale e la libertas del senato. L’inizio del principato di Tiberio su segnato dall’eliminazione di Agrippa Postumo (un figlio di Agrippa e di Giulia), probabilmente su ordine di Augusto morente. Rimaneva Agrippina maggiore (figlia di Agrippa e di Giulia). Morì anche Giulia. Quando pervenne loro la notizia della morte di Augusto, tre legioni stanziate in Pannonia e quattro presso Colonia in Germania, si ammutinarono. In Pannonia fu inviato Druso minore (figlio di Tiberio), che riuscì a riportare la calma. Sul fronte renano le cose andarono più per le lunghe. Germanico vi si precipitò e con qualche difficoltà la rivolta fu circoscritta. Di seguito egli condusse le legioni al di là del Reno (15 e 16 d.C.). Le campagne si susseguirono e furono conseguiti alcuni risultati indubbiamente significativi almeno sul piano propagandistico, quali il raggiungimento della selva di Teutoburgo e la sepoltura data ai resti dei caduti di Varo. Tiberio preferì richiamarlo per decretargli il trionfo. A Germanico fu assegnato anche l’imperium proconsolare su tutte le province orientali, la cui situazione esigeva ormai un intervento urgente. Nel 16 due episodi misero chiaramente in luce le tensioni congenitamente latenti nel principato di Tiberio, nella famiglia e nella corte:  Marco Scribonio Druso Libone, nipote di Scribonia, prima moglie di Ottaviano, fu accusato di consultazioni astrologiche e di cospirazioni contro l’imperatore e la sua famiglia. Scelse il suicidio.  Clemente, uno schiavo di Agrippa Postumo, si spacciò per lui, raccogliendo attorno a sé consensi e seguaci, finché non venne preso ed eliminato. La Cappadocia divenne provincia romana nel 17 d.C. Una volta giunto in oriente, Germanico risolse rapidamente la questione armena e si recò in Egitto, suscitando un grave incidente istituzionale e diplomatico, poiché disposizioni augustee vietavano ai senatori e ai cavalieri illustri, l’ingresso nel paese senza un esplicito permesso dell’imperatore. Tiberio disapprovò apertamente l’atto. La morte improvvisa di Germanico all’età di appena trentatré anni assunse ben presto le dimensioni di un delitto politico. La morte di Germanico rese ancora più aspri a Roma i contrasti politici tra Tiberio e Agrippina maggiore. Svolta nel principato di Tiberio si ebbe a partire dal 23 d.C. quando il prefetto del pretorio Seiano iniziò a crearsi un forte potere personale, guadagnandosi la stima e la fiducia di Tiberio, di cui fu collaboratore efficiente e fedele. Nello stesso anno Druso minore morì all’improvviso. Si creava attorno a Tiberio un grande vuoto famigliare: rimanevano i figli di Germanico (Nerone, Druso III e Caio) e il Gemello sopravvissuto di Druso minore. I maggiori erano Nerone e Druso (III), che Tiberio si premurò di raccomandare al senato. L’azione di Seiano mirò da un lato a rendere sempre più stretti i suoi legami con l’imperatore, dall’altro ad eliminare da ogni possibile prospettiva di successione il maggior numero di coloro su cui avrebbe potuto fondare le proprie speranze Tiberio. Riuscì così a raggiungere una posizione di grande rilievo nella vita politica di Roma, aspirando anche ad entrare nella famiglia del principe, per matrimonio. Nel 29 si scatenò una violenta repressione contro Agrippina maggiore e i due figli maggiori. Essi furono incriminati, condannati e relegati. In seguito Caio stesso, una volta divenuto imperatore alla morte di Tiberio nel 37, volle acquisire gli atti dei processi e preferì distruggerli per evitare ritorsioni. Nel 31 Seiano giunse a ricoprire il consolato insieme a Tiberio. Nello stesso anno Seiano, presentandosi a una seduta del senato, fu colto di sorpresa dalla lettura di un dispaccio di accusa di Tiberio e fu immediatamente arrestato dal nuovo prefetto del pretorio avanzato a tale carica dalla prefettura dei vigili. Seiano fu immediatamente processate e giustiziato. Nel 17 in Africa settentrionale erano sorti torbidi tra le popolazioni dei Musulamii e dei Mauri. Dalle Giudea, nel 36, fu rimosso il prefetto Ponzio Pilato, accusato di incapacità e di numerose malefatte, ultima tra le quali un massacro di Samaritani. Il legato di Siria ricevette l’ordine di destituirlo, arrestarlo e spedirlo a Roma per essere processato. In quel periodo era avvenuta anche la predicazione in Palestina, la condanna e la crocefissione a Gerusalemme di Gesù di Nazareth.  Provinciali liberi erano una categoria molto articolata, che comprendeva gli abitanti delle poleis greche così come quelli dei villaggi dei Britanni o i nomadi del deserto. Una volta ottenuta la cittadinanza, anche per i provinciali il passo successivo di promozione sociale era l’accesso ai due ceti dirigenti, l’ordo senatorius e il ceto equestre.  L’esercito, accanto al denaro, fu uno dei fattori più importanti di promozione sociale nel corso dell’età imperiale. Nerone (54-68). Quando passò a Nerone, il principato non era già più quello augusteo. Il consolidamento dei poteri del princeps e l’istituzionalizzazione della sua figura aveva mostrato la debolezza dei residui della tradizione repubblicana nel governo dello Stato. In un primo tempo Nerone assecondò l’autorevole influenza che esercitavano su di lui Seneca e il prefetto del pretorio Afranio Burro cercando una forma di collaborazione con il senato, ma se né distaccò progressivamente per inclinare verso un’idea teocratica e assoluta del potere imperiale. Grande ammiratore della Grecia, dell’oriente e dell’Egitto, gli fornirono spunti che trasformarono l’atteggiamento imperiale, provocando l’opposizione dei gruppi senatorii tradizionalisti. L’elogio funebre di Nerone per Claudio e il discorso programmatico furono entrambi composti da Seneca: in essi si dichiarava di assumere come modello Augusto e di rinunciare ad immischiare l’autorità imperiale in ogni aspetto dell’amministrazione dello Stato. La giovane età del principe lasciò in pratica la regia di governo nelle mani di Seneca e Burro e in quelle della potente e invadente madre Agrippina. Ella approfittò anche per provocare l’eliminazione di molti suoi nemici reali o potenziali. Ne seguì una lunga serie di ritorsioni nei confronti di Agrippina e dei suoi sostenitori, con accuse di cospirazione. La situazione precipitò nel 59 quando Nerone volle legarsi a Poppea Sabina, ostacolato dalla madre, opponendosi al divorzio con Ottavia, figlia di Claudio. Nerone allora decise di sbarazzarsi della madre. L’amministrazione generale fu efficiente e per certi aspetti lungimirante. Nel 56 ci fu una riforma della gestione dell’aerarium. L’imperatore si intrometteva strutturalmente nel controllo del tesoro pubblico. Nel 58 fu ideato e sostenuto un progetto che prevedeva l’abolizione delle imposte indirette per favorire sviluppo del commercio e migliorare nel suo complesso l’economia. L’inclinazione per la cultura e per le arti, per i giochi, per lo spettacolare e lo scenografico, lo portò ad abolire nel 59 i combattimenti gladiatorii condotti fino alla morte, organizzò ludi teatrali- musicali di tipo greco e nel 60 diede vita ai Neronia quinquennali, ad imitazione dei giochi olimpici. Fece costruire nel 61 a Roma un ginnasio e delle terme. Anche per questo venne sempre considerato un imperatore vicino alla plebe che ne apprezzava l’istrionismo e la demagogia. Nel 62 si ha la morte di Burro e Seneca iniziava a defilarsi dalla scena politica. Ripresero le accuse di complotto contro l’imperatore a carico di alcuni senatori. Nel 62 divorziò Ottavia e sposò Poppea. Nel 64 Roma fu devastata da un terribile incendio, che ne distrusse circa due terzi. Nerone, che si trovava ad Azio all’inizio del disastro, fece immediatamente ritorno e si adoperò in ogni modo per far fronte alla calamità. Ma poi, per contrastare su una personale diretta responsabilità, ritenne di poter trovare un buon capro espiatorio nella comunità cristiana romana. Molti di essi furono arrestati e condotti al supplizio. Fu messa mano immediatamente alla ricostruzione della città secondo un piano urbanistico più razionale e rigoroso. Ma i grandiosi e costosissimi lavori compiuti, da un canto valsero a suffragare le insinuazioni malevole, dall’altro provocarono forti risentimenti e aperte opposizioni. Cercò di rimediare alla crisi finanziaria con una importante riforma monetale. Al 64 risale un provvedimento di grande rilevanza e destinato a durare per molto tempo, la riduzione di peso e di fino della moneta d’oro. La svalutazione ebbe per effetto un immediato aumento dei prezzi che contribuì a far crescer il risentimento in una situazione già di per sé difficile. Per rimpinguare le casse dello Stato Nerone avrebbe inoltre utilizzato lo strumento dei processi e delle confische, rendendosi sempre più inviso alla nobiltà senatoria. Nel 65 si ha la congiura dei Pisoni. Il complotto coinvolse vasti strati dell’élite dirigente, molti eminenti senatori, numerosi cavalieri, esponenti della stessa corte e dell’ufficialità dei pretoriani. Smascherato il progetto, ebbe inizio una spietata serie di uccisioni, tra cui Seneca stesso. L’opposizione non era stata però eliminata. Ulteriore cospirazione, detta viniciana, fu scoperta e stroncata a Benevento nel 66. In politica estera, nel 64, il regno del Ponto orientale fu annesso alla provincia della Galazia. La Panfilia si estese dal Mar Nero al Mediterraneo. Nel 65 vennero annesse anche le Alpi Cozie. I principali teatri d’intervento furono tre: l’Armenia, la Britannia e la Giudea. Nel 66 partì per la Grecia, dove intendeva compiere una tourneé artistica e agonistica. Nello stesso anno, la requisizione di parte del tesoro del Tempio di Gerusalemme ad opera del procuratore era stata uno dei motivi dello scoppio di una violenta ribellione contro i romani. Di fronte al dilagare della rivolta, che minacciava di estendersi all’intera Palestina, Nerone aveva mandato Licinio come legato della Siria e Vespasiano come comandante delle truppe in Giudea. Dopo una serie di sollevazioni anche i pretoriani abbandonarono Nerone. Il senato lo dichiarò “nemico pubblico”, riconoscendo Galba come nuovo imperatore. A Nerone non rimase altro che il suicidio. La sua fine segnò anche quella dinastia giulio-claudia. 3. L’anno dei quattro imperatori e i Flavi. L’anno dei quattro imperatori: il 68/69. Si erano create le condizioni per una nuova guerra civile, che vide contrapposti senatori, truppe urbane, governatori di provincia o comandanti militari che assunsero il titolo di imperatore. La crisi del 69, con quattro imperatori (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano), esponenti il primo dell’aristocrazia senatoria, il secondo dei pretoriani e gli ultimi due dell’esercito, che si combatterono l’uno con l’altro, mostra come l’asse dell’impero si fosse gradualmente spostato lontano da Roma e come le legioni delle province avessero ormai la capacità di imporre il loro volere.  Galba: anziano senatore e governatore della Spagna Tarraconense. Aveva rivestito incarichi di governo in Germania, sotto Caligola, poi in Africa proconsolare, sotto Claudio, e sotto Nerone, nella Spagna Tarraconense. Si diede da fare per acquisire il sostegno di altri oppositori di Nerone e soprattutto ottenere l’appoggio dei pretoriani. Galba fu riconosciuto imperatore e accettò la nomina da una delegazione di senatori. Con le truppe Galba non seppe tuttavia guadagnarsi la popolarità e gli appoggi necessari per mantenere il potere. Si rese impopolare sia alla plebe sia ai soldati per i tagli alle spese con cui cercò di rimediare alla crisi finanziaria. In occasione dell’annuale rinnovamento del giuramento di fedeltà all’imperatore, due delle tre legioni della Germania Superiore rifiutarono di prestarlo e si ribellarono. Il loro esempio fu subito seguito dall’esercito della Germania Inferiore che proclamò imperatore Vitellio. I pretoriani acclamarono Otone imperatore e massacrarono Galba.  Otone: amico di infanzia di Nerone e primo marito di Poppea, era popolare fra i pretoriani e l’ordine equestre. Dopo aver linciato Galba ottenne anche il riconoscimento del senato, delle province danubiane, dall’Africa e dall’oriente. fu subito costretto a misurarsi con ciò che era accaduto in Germania. Non era trascorso molto tempo prima che i governatori delle province vicine, la Belgica, la Lugdunense e la Rezia manifestassero la loro adesione a Vitelio. Dopo qualche esitazione si unirono anche l’Aquitania, le province spagnole e la Gallia Narbonese.  Vitelio: senatore di rango consolare che aveva rivestito incarichi importanti sotto tutti i Giulio Claudi. I suoi legati sconfissero le truppe di Otone nella battaglia Bedriaco, presso Cremona. Vitellio rimasto unico imperatore, mentre si trovava in Gallia, giunse a Roma. Ebbe grandi difficoltà a frenare i soldati che avevano combattuto per Otone. I pretoriani furono congedati in gran numero e rimpiazzati con soldati provenienti dalle legioni renane. Le legioni delle province danubiane, rifiutarono di accettare il fatto compiuto. Nessuno dei governatori delle tre province danubiane era però di rango tale da poter essere contrapposto a Vitellio come imperatore. Fu necessario cercare altrove e la scelta cadde su Tito Flavio Vespasiano, comandante delle truppe in Giudea.  Vespasiano: figlio di un facoltoso pubblicano dell’ordine equestre entrato in senato solo sotto Tiberio, era riconosciuto da Nerone per le sue abilità militari che lo avevano portato a sedare la rivolta scoppiata in Giudea nel 66. Mentre Vespasiano si recava in Egitto per rendersi arbitro del rifornimento granario di Roma, dalla Pannonia marciò subito verso l’Italia Antonio Primo con le legioni danubiane, seguite da quelle siriane. Antonio Primo decise di attaccare senza indugio le truppe inviate da Vitellio per tamponare la situazione e le sconfisse in una battaglia ancora a Bedriaco. La lotta però non era finita e Flavio Sabino (fratello maggiore di Vespasiano) continuò anche a Roma con scontri violenti. Sabino e Domiziano (figlio minore di Vespasiano) furono costretti ad asserragliarsi nel Campidoglio che fu preso e dato alle fiamme. Sabito fu catturato e assassinato, Domiziano riuscì a sfuggire. Le truppe di Antonio Primo entrarono a Roma dove si combatté con rande asprezza e alla fine Vitellio venne ucciso. Vespasiano fu riconosciuto imperatore dal senato. Il principato di Vespasiano (69-79). Al momento della sua acclamazione imperiale, Vespasiano era già riuscito a reprime in Palestina la maggior parte dei focolai di ribellione e stava concentrando le sue forze nell’assedio di Gerusalemme. Il comando fu lasciato al figlio Tito, che nel 70 riuscì ad espugnare la città e distruggere il tempio. La rivolta non si estinse fino a quando l’ultima roccaforte non fu annientata nel 73. Il principato di Vespasiano rappresenta un sensibile progresso anche nella razionalizzazione dei poteri dell’imperatore e nel definitivo consolidamento della figura e del ruolo del princeps come istituzione. L’autorità del princeps fu definita con una legge comiziale (lex imperio Vesapsiani) probabilmente in conformità con un decreto del senato. Vennero allontanati da Roma Antonio Primo e quanti avrebbero potuto arrogarsi meriti ritenuti inopportuni. Quando giunse a Roma anche Tito, Vespasiano nominò unico prefetto del pretorio e gli affidò così il pieno controllo del principale corpo militare stanziato nell’Urbe. Uno dei primi problemi fu quello di dover fronteggiare il grave deficit di bilancio provocato dalla politica di Nerone e dalla guerra civile. I provvedimenti presi riuscirono a risanare il bilancio dello Stato. Il denaro per la ricostruzione del Campidoglio e per le nuove opere edilizie a Roma, tra cui la costruzione del Colosseo, del Tempio della Pace e nel nuovo Foro di Vesapsiano e dei due archi di Tito, venne anche dal bottino di guerra, specialmente quella giudaica. Fu realizzato una riorganizzazione e razionalizzazione dell’apparato complessivo di riscossione e di controllo. Alla Grecia fu revocata l’immunità fiscale conferita da Nerone. Venne avviato un vasto programma di recupero dei terreni pubblici abusivamente occupati da privati. Nei posti chiave degli uffici amministrativi centrali i liberti della casa imperiale furono progressivamente sostituiti da funzionari dell’ordine equestre. Vi furono interventi anche nel campo dell’istruzione con la istituzione di due cattedre di retorica greca e latina. finanziare sia le imprese militari sia le spese per le opere pubbliche e sociali varate da Traiano a Roma. Tra 106 e 107, la Pannonia venne divisa in due province, Superiore e Inferiore. L’istituzione della provincia in Arabia, corrispondente alla zona dell’attuale Giordania e della Penisola del Sinai, completò a Roma l’impianto di presidio del Medio Oriente e acquisiva anche il controllo della via commerciale per l’India. Triano cerò una soluzione alternativa anche per un altro problema ricorrente, quello dell’Armenia. Fino ad allora aveva sostanzialmente retto il compromesso neroniano, che la nomina del re dovesse essere fatta formalmente a Roma. Nel 114 il regno fu annesso alla provincia della Cappadocia. Pur avendo raggiunto l’obiettivo proprio della campagna, la guerra contro i Parti venne continuata. Nessuna delle conquiste, ad eccezione della Dacia, ebbe lunga fortuna. Era divampata una rivolta ebraica che indusse Traiano ad abbandonare il teatro delle operazioni. Morì nel 117, dopo essersi ammalato. Le truppe acclamarono imperatore Publio Elio Adriano, che Traiano lo avrebbe adottato come suo successore sul letto di morte. Con Traiano si ebbe la piena attuazione del programma di sussidi alimentari ideato già da Nerva. Migliorò la logistica del rifornimento granaio e, in genere, delle comunicazioni marittime dell’Italia. Vennero compiuti lavori importanti nelle strutture portuali dell’Adriatico (Rimini e Ancona). A Roma fu realizzato lo spettacolare e scenografico Foro di Traiano, la Colonna Traiana e i Mercati Traianei. Sin dall’inizio del principato si può riscontrare una certa attività del consilium principis, composto dai più stretti collaboratori dell’imperatore. Ai frumentarii, militari incaricati della sorveglianza dei rifornimenti granai, furono affidati anche compiti informativi, di controllo della sicurezza delle comunicazioni e di spionaggio. La guardia imperiale venne rafforzata e costituita da cinquecento (poi mille) equites singulare, scelti nella cavalleria ausiliaria. Ulteriore potenziamento ebbe il ruolo degli equites quali funzionari dell’intera amministrazione statale e vennero anche strutturalmente articolate le loro carriere, distribuite in classi di stipendio, sistema che sarebbe stato perfezionato ulteriormente. Adriano (117-138). Decise di abbandonare la politica di controllo diretto delle nuove province orientali create da Traiano. All’Armenia fu ridato un sovrano cliente. La frontiera si attestò di nuovo sull’Eufrate. La successione di Adriano non era stata gradita da alcuni altri collaboratori di Traiano. Una traccia di tutto questo dissenso può essere riscontrata nell’episodio della condanna a morte di quattro ex consoli, fedeli cooperatori e generali di Traiano, incriminati per aver congiurato contro il nuovo principe. Il fatto causò grande scalpore a Roma e sollevò ostilità nei confronti dell’imperatore ancora assente (trattenuto sul Basso Danubio). Adriano si preoccupò di alleviare il malessere economico. Cancellò i debiti arretrati con la cassa imperiale contratti a Roma e in Italia negli ultimi quindici anni. Fece distribuzioni al popolo, reintegrò il patrimonio dei senatori che avevano perduto il censo e potenziò con ulteriori fondi il programma alimentare traianeo. Fu un amministratore attento e un riformatore della disciplina militare che da profondo conoscitore dell’esercito, ne rinvigorì la disciplina e favorì il reclutamento dei provinciali. Fu anche uomo di grande cultura e favorì in ogni modo l’arte, la letteratura, le tradizioni e i culti, dimostrando una spiccata predilezione soprattutto per la civiltà ellenica. Fu un appassionato costruttore di palazzi e fondatore di nuove città. A Roma fece edificare l’odierno Castel Sant’Angelo e curò la ricostruzione del Pantheon. Volle inoltre restituire splendore ad Atene e alle poleis greche. Negli anni percorse la Gallia e le province renane e danubiane, curando la disciplina e l’allenamento permanente dell’esercito. Passò poi in Britannia dove fu iniziata la costruzione del vallo omonimo a difesa della zona meridionale pacificata contro le tribù non romanizzate del nord. All’inizio del 124 giunsero notizie di nuovi pericoli sulla frontiera partica e allora Adriano si decise a passare in Asia. Tra Roma e l’Africa furono iniziate le costruzioni del fossatum Africae, una serie di fortificazioni che avevano lo scopo di controllare gli spostamenti delle popolazioni nomadi e le attività economiche legate alla transumanza. Dal 129 al 134 intraprese un viaggio dedicato alla Grecia e alle province orientali. Nel 132, dopo il suo passaggio, era scoppiata in Palestina una gravissima rivolta. La ribellione ebraica dovette essere avvertita come una grave minaccia, come dimostra la violentissima e spietata repressione. Per eliminare poi ogni riferimento al popolo ebraico, il nome della provincia di Giudea venne mutato in provincia di Syria Palaestina, il cui governo venne affidato ad un legato di rango consolare, al comando di due legioni. Adriano riorganizzò il gruppo dei propri consiglieri, introducendovi sia dei giuristi, sia i due prefetti del pretorio e assimilandolo a un organo di governo. Si preoccupò di dare una forma di riferimento unitaria al diritto civile e alle competenze giurisdizionali dei governatori provinciali. Nell’apparato statale, le carriere senatorie tesero a strutturarsi in tappe fisse di progressione e così pure le carriere equestri e municipali. La carriera equestre assunse i suoi tratti definitivi, accentuando il processo introdotto dai Flavi e sviluppato da Traiano. Utilizzati nell’amministrazione finanziaria e le loro carriere vennero articolate attraverso tappe di promozione prefissate. Venne definita una netta distinzione tra carriera civile e militare. Adriano si adoperò per una più uniforme, efficiente e capillare amministrazione della giustizia: per evitare obblighi nel recarsi a Roma, l’Italia fu divisa in quattro distretti giudiziari assegnati a senatori di rango consolare. Nei giudizi non solo fu limitato il campo delle possibilità d’accusa, ma furono introdotte garanzie per gli accusati e norme a tutale della dignità della persona e dei diritti individuali. Per difendere gli interessi del fisco venne creata una nuova figura di funzionario, l’advocatus fisci, di rango equestre. Nel 136 la salute di Adriano ebbe un netto tracollo. La scelta del successore cadde a sorpresa su uno dei consoli di quell’anno, Lucio Ceionio Commodo. Nel 138 fu colpito da una violenta emorragia e morì. Poco dopo Adriano scelte come erede Tito Antonino, il quale per volontà di Adriano, adottò a sua volta il figlio del defunto Lucio, insieme a un nipote della prima moglie, Marco Annio Vero, il futuro imperatore Marco Aurelio. Adriano morì nello stesso anno. Antonino Pio (138-161). Egli era un ricchissimo senatore. Si pose in sostanziale continuità con il suo predecessore. Egli non fu interessato ai viaggi nelle province e non si mosse mai dall’Italia. Cercò sempre di mantenere rapporti di grande collaborazione col senato. Antonino Pio fu un coscienzioso e parsimonioso amministratore. Sotto il suo impero furono compiute o portate a termine numerose opere pubbliche e venne ulteriormente sviluppata la distribuzione di sussidi alle giovani orfane italiane. Morì nel 161. Lo statuto delle città. L’Impero raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo. La città, con le sue strutture e l’agio che offriva, rappresentava nel mondo antico il segno distintivo della civiltà rispetto alla rozzezza e alla barbarie. Nell’Impero romano vi era dunque una grande varietà di tipologie cittadine e una grande diversità di statuti. 1. Le città peregrine: - Le città stipendiarie (sottomesse a Roma pagando un tributo). - Le città libere, con diritti speciali concessi unilateralmente da Roma. - Le città libere e immuni, città esentate dal pagamento del tributo. - Le città federate, città autonome che hanno concluso con Roma un trattato su un piede di eguaglianza. 2. I municipi. Città cui Roma ha concesso di elevare il suo status precedente di città peregrina e ai cui abitanti è accordato o il diritto latino o quello romano. 3. Le colonie. Città nuove di fondazione con apporto di coloni che godono di cittadinanza romana su terre sottratte a città o a popoli vinti. Le città costituivano il punto di riferimento delle attività economiche e i nuclei della vita culturale. Nell’Oriente ellenistico l’esperienza cittadina si basava sulla lunga tradizione della polis mentre in Spagna, Africa e Sicilia le tradizioni greche si mescolavano a quelle fenice e puniche. Nell’Europa continentale alcune zone potevano vantare tradizioni celtiche. Marco Aurelio (161-180) e Lucio Vero (161-169), Marco Aurelio e Commodo (177-180). Nell’anno della morte di Antonio, Marco e Lucio erano consoli insieme. Marco, appena divenuto imperatore pretese ed ottenne che anche il fratello adottivo Lucio Vero fosse riconosciuto come tale. Era il primo caso di “doppio Principato”. Vi furono agitazioni sulle frontiere della Britannia, della Germania e della Rezia. Nel 161 si riaprì il problema partico. Il re dei Parti alla notizia della morte dell’imperatore, decise di occupare l’Armenia, imponendovi un proprio re vassallo. Contemporaneamente i Parti dilagarono e invasero la Siria. Ebbe inizio un lungo conflitto articolato in tre fasi: armeniaca (161-163), partica (163-165) e medica (165-166). Fu inviato in Oriente Lucio Vero. Nel 163 penetrò in Armenia e se ne impadronì la vittoria procurò ad entrambi gli imperatori il titolo di Armeniacus. Le legioni di Siria, riorganizzate, verso la fine del 163, diedero inizio all’offensiva contro la Partia. Nel 166 gli eserciti romani penetrarono in Media. Più o meno contemporaneamente furono organizzate spedizioni contro gli Arabi, probabilmente alleati con i Parti. I due Augusti poterono fregiarsi dei titoli di Parthicus e Medicus. La pace fu conclusa nel 166. L’Armenia e l’Osroene ricevettero di nuovo principi clienti sotto la protezione dei legati di Cappadocia e di Siria. Il controllo del fronte orientale potrebbe aver favorito anche l’apertura di nuove vie commerciali con l’Estremo Oriente. Negli annali imperiali cinesi viene difatti registrata un’ambasceria da parte di un imperatore romano (si deduce Marco Aurelio). La guerra comportò un grave problema, portando, tramite l’esercito, una pestilenza che causò lutti e devastazioni in molte regioni. Inoltre lo sguarnimento della frontiera settentrionale tra Alto Reno e Alto Danubio creò le condizioni perché i popoli confinati si facessero pericolosi. Prima del rientro degli eserciti spostati a Oriente, Quadi e Marcomanni, superato il Danubio, si riversarono sulle zone mal difese della Rezia, della Pannonia e giunsero persino a minacciare l’Italia, arrivando ad assediare Aquileia. Nel 168 i due imperatori mossero da Roma verso settentrione e presero le necessarie misure per far fronte alla situazione. Come risposta all’emergenza venne creata una grande zona militare unificata ad est di Aquileia. L’invasione fu momentaneamente contenuta e addirittura respinta. Sulla via del ritorno, nel 169, Lucio Vero morì improvvisamente. Marco Aurelio si trovò sulle spalle il pesante compito di sostenere da solo le responsabilità di una lotta che si prospettava molto Caracalla. I cinque anni di regno di Caracalla sono caratterizzati da una serie di atti di crudeltà, da abusi di vario genere e da dissesto finanziario. Eliminati i sostenitori del fratello, la sua memoria fu soppressa. Il nome di Caracalla è legato a un atto legislativo, il Constitutio Antoniniana. La norma prevedeva la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero, ad eccezione forse dei cosiddetti dediticii. Alla base giocarono anche ragioni di carattere fiscale: con tale provvedimento aumentava infatti il numero di contribuenti. La politica di forti concessioni ai legionari e ai pretoriani avviata da Settimo Severo, che Caracalla proseguì, richiedeva la disponibilità di sempre maggiori risorse. A partire dal 213 Caracalla fu impegnato in una serie di campagne militari che rappresentavano il tentativo di proseguire la politica aggressiva del padre. Fu in Germania, Egitto, dove ordinò in circostanze oscure il massacro della popolazione. Si recò in Siria e Antiochia dove iniziò a preparare una campagna contro la Partia. Fu assassinato da un soldato nel 218. Macrino e i regni di Elagabalo e di Severo Alessandro. Dopo l’assassinio, a profittare della situazione fu Opellio Macrino, un funzionario senza particolare distinzione. Perse rapidamente il controllo della situazione. A un certo momento cominciò a circolare la voce di due presunti figli naturali di Caracalla, Elagabalo e Bassiano. Questa voce trovò accoglienza favorevole presso i soldati preoccupati dall’intenzione attribuita da Macrino di avviare un programma di austerità economica. Sconfitto in battaglia, Elagabalo fu eletto imperatore ai soli 14 anni. È ricordato soprattutto il suo intenso misticismo e per il tentativo di imporre come religione di Stato un culto esotico e stravagante, quello del Dio Sole venerato in Siria. Egli fu assassinato dai pretoriani, che proclamarono imperatore Bassiano, che gli successe con il nome di Severo Alessandro. La buona fama da lui goduta nella storiografia antica si spiega probabilmente con la disponibilità di cui diede prova nel lasciarsi manipolare e con le aspettative che si nutrivano dopo gli anni difficili precedenti. Molti suoi provvedimenti furono intesi come una rottura con la prassi seguita dai predecessori. Il suo regno trasse profitto dal fatto che per i primi anni fu diretta da un giurista di notevole livello, Ulpiano. La minaccia persiana. La seconda parte del regno di Severo Alessandro fu condizionata dai cambiamenti che interessarono il rivale tradizionale della potenza romana in Oriente, la Persia. Alla testa del regno partico vi erano i Sasanidi. L’imperatore mosse contro il nemico nel 232 portando un nulla di fatto. Severo Alessandro dovette poi dirigersi nel (235) in Germania per fronteggiare un’invasione. Qui venne assassinato da un soldato di modeste origini noto con il nome di Massimino il Trace. Fu proclamato imperatore dalle reclute che gli erano state affidate da addestrare. Massimino il trace e l’anarchia militare. L’offensiva lanciata da Arsahir I nel 230 fu solo l’inizio di una situazione che si fece rapidamente drammatica. In questo periodo, noto in genere con il nome di “anarchia militare”, comprende un cinquantennio che va dall’assassinio di Severo Alessadnro all’accessione al trono di Diocleziano, in qui il potere imperiale fu detenuto in successione da una ventina di imperatori. Il regno del rude soldato Massimino il Trace, dotato di un scadente curriculum militare ma di una eccezionale forza fisica, impressionò molto i contemporanei. Ottenne dei successi nelle sue campagne contro i barbari. La durezza del regime, che impose una fortissima pressione fiscale per far fronte alla grave situazione militare in cui si trovava l’Impero, spiega la ritrovata forza di coesione del senato, che giunse a dichiararlo nemico dello Stato. Nel 238 Massimino trovò la morte, causata dai suoi stessi soldati. Decio e la persecuzione dei cristiani. L’esercito acclamò imperatore il suo prefetto urbano, il senatore Messio Decio. Il breve regno del tradizionalista ed energico Decio è caratterizzato da un’evidente volontà di rafforzare l’osservazione dei culti tradizionali. Questo significava di fatto per i cristiani una forte discriminazione. Chi non accettava di sacrificare agli dei e al Genio dell’imperatore veniva condannato a morte. Per questo Decio, responsabile di una violenta persecuzione contro i cristiani (250), ci è stato presentato dalle fonti cristiane come una sorta di mostro. Decio morì nel 251. Valeriano. Arrivò al trono imperiale dopo una serie di effimeri imperatori militari, imposti e subito dopo deposti dagli eserciti stessi nel corso degli anni. Valeriano ebbe l’accortezza di associare immediatamente al potere il figlio Gallieno e di decentrare il governo dell’impero. Egli affidò a Gallieno il compito di difendere le province occidentali. La sua campagna contro i persiani finì tragicamente. Valeriano fu sconfitto e fatto prigioniero dal re Sapore. Morirà in cattività nel 260. I tre contrattacchi romani si tradussero in altrettante sconfitte. Gallieno. Gallieno si trovò da solo a reggere l’Impero riuscendo a bloccare l’avanzata degli alamanni e dei goti. Di fronte alle ribellioni degli usurpatori e alle tendenze di diverse entità regionali a governarsi da sole, Gallieno dovette tollerare che all’interno dell’Impero si formassero due regni separatisti: quello delle Gallie, retto da Postumo, ed esteso alla Spagna e alla Britannia, e quello di Palmira, comprendente la Siria, la Palestina e la Mesopotamia, con a capo Odenato. Gallieno per porre rimedio alle continue ribellioni die comandanti militari di estrazione senatoria, sottrasse il comando delle legioni ai senatori e lo affidò ai cavalieri contro quella che era stata la prassi seguita fino ad allora. Privilegiò la concentrazione di alcuni contingenti all’interno del territorio imperiale con la funzione di unità mobili di difesa. Pose fine alla persecuzione contro i cristiani. Le comunità cristiane si organizzarono in province ecclesiastiche rette da un vescovo. I vescovi si organizzarono regolarmente in sinodi per discutere e decidere di questioni di interesse comune. Alessandria, Antiochia, Cartagine e Roma occuparono presto una posizione speciale tra le sedi vescovili. Al vescovo di Roma si iniziò ad attribuire una posizione di direzione generale su tutte le comunità ecclesiastiche. Aureliano. Gli imperatori illirici. L’uccisione di Gallieno nel 268 in una congiura ordita dai suoi ufficiali, portò al potere il comandante della cavalleria. Claudio II. Morto precocemente gli successe Aureliano, che riuscì ad avere definitivamente ragioni delle popolazioni barbariche che erano penetrate di nuovo nella pianura padana. Aureliano riuscì a sottomettere i due Stati autonomi che si erano costituiti negli anni precedenti, ricostituendo l’unità dell’Impero. Ebbe il merito di restituire prestigio alla figura del sovrano: promosse una decisa riorganizzazione dello Stato in tutti i settori essenziali della vita economica e diede impulso al processo di divinizzazione del monarca. In campo religioso l’introduzione del culto ufficiale di Sol invictus, identificato con Mitra, una divinità particolarmente cara ai soldati, era funzionale al rafforzamento dell’autorità imperiale: l’autocrazia militare diventava cos’ quasi una teocrazia, e il culto solare si identificava col culto dell’imperatore. Ucciso Aureliano nel 275 ci fu il breve regno dell’imperatore Tacito. Durante il successivo governo di Probo si ebbero vari pronunciamenti militari e una rinnovata pressione barbarica sulle frontiere renana e danubiana. Ciò nonostante venne assassinato. Il suo successore Caro, condusse a flice compimento tale campagna uscendo però con la medesima sorte. Stessa sorte toccò ai figli. Alla fine solo detentore del potere si trovò ad essere nel 285 Diocleziano, proclamato imperatore dall’esercito. Diocleziano. Con il suo regno (284-305) si chiude definitivamente l’età travagliata che aveva caratterizzato gran parte del III secolo. Si tratta di un’età di riforme e di innovazioni, l’epoca del cosiddetto “Dominato”, rispetto a quella detta del “Principato”. Il regno di Diocleziano è contraddistinto da una forte volontà restauratrice dello Stato a tutti i livelli. Una prima decisione riguardò il luogo di residenze dell’imperatore: Roma, troppo lontana dalle frontiere e perciò stabilì la propria sede in oriente, a Nicomedia, la capitale della Bitinia. Riuscì a conseguire l’obiettivo fondamentale di consolidare il potere monarchico. Nello stesso tempo era necessario prevenire le usurpazioni. Concepì un sistema originale in base al quale al vertice dell’Impero c’era un collegio imperiale composto da quattro monarchi, detti tetrarchi, due dei quali (Augusti) erano di rango superiore ai secondi (Cesari). Il principio era quello della “cooptazione” al collegio stesso: i due Augusti cooptavano i due cesari e così era previsto che facessero a loro volta questi ultimi una volta divenuti augusti. Il governo dell’impero così riorganizzato, la cosiddetta tetrarchia, rimaneva unito grazie all’autorità del primo augusto, Diocleziano, ma risultava più funzionale essendo la sua gestione articolata tra quattro diversi detentori del potere con responsabilità territorialmente definite. Diocleziano dalla sua residenza di Nicomedia governava le province orientali, Massimiano, da Milano, reggeva l’Italia, l’Africa e la Spagna, Galerio, da Tassalonica, esercitava la sua autorità sulla penisola balcanica e sull’area danubiana, Costanzo Cloro, da Treviri sulla Gallia e la Britannia. Le riforme di Diocleziano. La sua riorganizzazione amministrativa fu efficace e duratura. Le province furono ridotte di dimensioni per renderne più efficace il governo. Nell’insieme furono istituite un centinaio di province affidati a governatori di rango diverso provenienti per lo più dal ceto equestre. Nelle province di frontiera essi erano affiancati da comandanti militari (duces). Le province furono a loro volta raggruppate in dodici ampi distretti amministrativi, detti “diocesi”, retti da un “vicario”, un rappresentante diretto del prefetto del pretorio che operava a stretto contatto con l’imperatore. Le diocesi furono raggruppate in quattro grandi aree, corrispondenti grosso modo a Oriente, Illirico e Grecia, Italia e Africa, Gallia, Britannia e Spagna, affidate direttamente a uno dei prefetti del pretorio. Oltre ad aumentare il numero delle legioni, ordinò alla cavalleria di unità indipendenti. Per fronteggiare meglio le guerre che si combattevano contemporaneamente su più fronti, si sviluppò un’innovazione. Fu creato un esercito mobile composto di unità di cavalleria e di fanteria. Distinto dai cosiddetti limitanei, era concepito come forza di pronto intervento, dette comitatenses. Le crescenti attività militari e di organizzazione burocratica resero necessaria anche una riforma del sistema fiscale. Anche in questo si hanno riforme profonde e durature. L’imposta fondamentale era quella sul reddito agricolo. Diocleziano coniò monete di oro e d’argento di ottima qualità ma queste scomparvero presto dalla circolazione perché chi ne aveva la possibilità preferiva tesaurizzarlo. Fu coniata una moneta divisionale di rame, nota con il nome di follis. Per bloccare la continua ascesa dei prezzi delle merci come dei servizi, Diocleziano tentò la via di imporre un calmiere con il quale si indicava il prezzo massimo che non era consentito superare.
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