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Storia Romana - dalle origini alla Battaglia di Azio, Appunti di Storia Romana

) la Roma arcaica e protorepubblicana tra storia e leggenda: problemi di metodo; 3) caratteri e valutazione del sistema socio-politico della libera res publica; 4) il fenomeno dell’espansione e il problema storiografico dell’imperialismo; 5) trasformazioni, crisi, fenomeni degenerativi della prassi politica: l’agonia della repubblica e le sue ragioni; 6) la creazione di un nuovo regime: il principato.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 19/10/2022

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maria-elena-carlassare 🇮🇹

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Scarica Storia Romana - dalle origini alla Battaglia di Azio e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! STORIA ROMANA Ha senso l’argomentare di storia romana? Studio della vicenda storica che ha per oggetto la città Stato di Roma. Vicenda storica che ha come cifra connotativa una straordinaria estensione nel tempo e nello spazio. La storia romana è una storia lunghissima, non soltanto a Roma, la città dei colli Tiberini, ma dilatata storicamente, che coinvolge quella che Polibio chiamava l’intera Ecumene, vari Stati intorno al Mediterraneo. La storia di Roma antica inizia nel 753 a.C., metà dell’VIII secolo a.C. Ad opera dell’ecista eponimo Romolo. L’avvenimento era datato in tale anno secondo la cronologia più celebre, anche da un erudito, Marco Terenzio VARRONE, amico di Cicerone, autore di opere varie. Le date che gli arcaici fornivano per la nascita della loro città sono varie. Vi erano anche cronologie più basse, che posticipavano, e più alte. I primi storiografi romani, Fabio PITTORE, 748 a.C. Cincio ALIMENTO, 728 a.C., alla fine del VI secolo a.C., composero una storia nazionale dell’Urbe, datando la fondazione di un decennio o più successiva a quella di Varrone. TIMEO di Tauromenio, 814 a.C., era un siciliota, un greco di Sicilia. Egli faceva risalire la nascita di Roma all’814 a.C., anno non casuale, perché istituiva una corrispondenza con la nascita di un’altra città celebre, che contese all’Urbe il diritto di governo nel Mediterraneo occidentale, Cartagine. Il sincronismo da Timeo mostra come egli avesse intuito già nel III secolo, quando Roma non aveva ancora raggiunto la potenza mondiale, le sue abilità, equiparandola allo stato punico. ERATOSTENE, XI secolo, più indietro nel tempo, Roma. Uno dei grandi dotti di Alessandria, fondatore della Biblioteca Alessandrina, interessi ampi e disparati, geologo, filologo. Eventuali fasi pre urbane, quando Roma non era ancora città, ma era costituita da villaggi sparsi sui colli tiberini, che poi si unirono, i limiti temporali della storia romana si spostano più indietro anziché le date classiche, al X, IX secolo a.C., o all’età del bronzo medio, 1300, 1600, o bronzo recente, 1300, 1650. Attestazioni di abitazioni in alcuni colli, soprattutto il Palatino e l’Esquilino, nel X, IX secolo, inferiormente nel periodo del bronzo medio e del bronzo recente. Conclusione  della storia romana, solitamente 476 d.C. Anno della deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore dell’Impero Romano d’Occidente ad opera di Odoacre. In Oriente, l’Impero Romano d’Oriente continua ancora per molti secoli, uno Stato che ha il nome di Roma, un patrimonio di cultura politica e amministrativa romana, sopravvive fino al 1453, anno della caduta di Costantinopoli dagli Ottomani guidati da Maometto II. Anche in Occidente la cultura romana tardo arcaica permane convivendo nei regni romano barbarici, fino a Carlo Magno, che elabora qualcosa di nuovo, ma utilizza anche tratti romani, fondando il Sacro Romano Impero. Alcuni manuali recenti arrivano almeno al 1575 a.C., anno della morte di Giustiniano, colui che tenta per l’ultima volta la riunificazione di un universo romano disintegrato e barbarizzato. Lo stabilire limiti di inizio e di fine della storia romana non è un’operazione facile, è suscettibile di interpretazione, perché le date hanno carattere convenzionale, ma Quando parliamo di storia romana, il periodo di tempo è lunghissimo, che come minimo, dai dati più bassi, comprende più di 12 secoli. Elemento che distingue la storia romana da varie storie. ESPANSIONE SPAZIALE A tale espansione temporale si correda una analoga estensione nello spazio. Roma giunge a conquistare, in un arco di tempo relativamente breve, ad inizi II secolo a.C., l’intero Mediterraneo, che diventa di proprietà dei romani. L’Impero romano non ha eguali nell’universo occidentale. Esperienza più ampia di continuità politica della storia d’Europa. POLIBIO, storiografo acheo, uomo politico, colto ebbe una vita complessa, perché fu costretto a trasferirsi come ostaggio a Roma, schiavo elevato. Strinse legami con l’élite politica del tempo, per esempio Scipione Emiliano. Ammirava Roma, e concentra la sua argomentazione sulla questione del successo e dell’espansione di Roma, e dei motivi che ne fanno la base Polibio, 1.1.5: quale tra gli uomini infatti è così sciocco o indolente, paulus et ratimus, da non voler conoscere come e grazie a quale genere di regime politico quasi tutto il mondo abitato sia stato assoggettato e sia caduto in nemmeno 53 anni interi sotto il dominio unico dei Romani, cosa che non risulta essere mai avvenuta prima? Attrarre l’attenzione di chi è dotato di cervello E’ sciocco o quantomeno è pigro. Oggi ha senso lo studio di storia romana? Perché si studia la storia Finalità Interrogativo imbarazzante 2.1. Abusi della storia L’apprezzamento degli arcaici e dei moderni per lo studio della storia (Cicerone, De Oratore, 2,36, elogi alla storia, Historia magistra vitae). La distanza verso tale mondo potrebbe essere produttiva per la conoscenza. Una storiografia dell’allontanamento e dell’alterità fornisce la possibilità di guardare alle cose con distacco, di argomentazione di meccanismi, di attenuazione della tendenza all’egocentrismo umano, motivo per cui poter studiare oggi la storia romana. Fare storia: problemi metodologici ed epistemologici del corso 3.1. Ma è possibile fare storia antica? Dalle debolezze di documentazione alle teorie narratologiche la presunta impossibilità di fare storia  Dal mito positivista all’orientamento scettico: la storia impossibile Soprattutto dalle teorie narratologiche.  Il problema delle fonti  I limiti del lavoro dello storico  Le teorie “narratologiche”, la retorizzazione della storiografia antica e la nuova generazione di studi. Etichetta di comodo, che indica in modo globale una serie di correnti e di orientamenti distinti tra loro, accomunati da - Nascita dal linguistic turn, approfondimento degli studi di analisi di critica testuale - - tendenza alla valorizzazione della dimensione testuale del lavoro storiografico I narrativisti accentuano il lavoro degli storici nelle opere, che seguono le leggi delle fiction narratives, e come tali secondo i narrativisti vanno analizzate. In tale modo però, le teorie narrativiste, enfatizzando la letterarietà del lavoro storiografico, accentuando le affinità tra i testi storiografici e la prosa discorsiva, la memoria, l’epica e la poesia, finiscono per minare alle fondamenta la pretesa epistemologica della disciplina storica, l’argomentare il passato. Per i narrativisti infatti, il testo storico in quanto testo narrativo che segue le leggi della narrazione non ricostruisce un passato, ma lo ricostruisce dalle tecniche narrative. Il testo storiografico non detiene un rapporto con gli accadimenti più di quanto lo abbiano altri generi letterari, per esempio l’oratoria e l’epica. Il testo storiografico dovrebbe essere letto quasi esclusivamente come testo. Si dovrebbe dunque argomentare della Repubblica da Tito Livio negli Ab urbe condita non per la conoscenza della repubblica romana di tale epoca, ma soltanto per capirne l’interpretazione di Livio o del suo pubblico, la Roma di epoca augustea. Tale lettura interpretativa, rivolta a tutta la storia, è stata utilizzata soprattutto nella storia romana, in quanto la storiografia romana detiene una componente retorica. La definizione di Cicerone del Legibus della storiografia come opus oratoriae maxime, compito di chi conosce l’arte del dire. Concetti ripresi in modo più ampio nel De oratore di Cicerone. Importanza dagli storiografi romani all’ars scribendi. Essi hanno sempre valorizzato negli scritti gli artifici della retorica, che era la disciplina base nella formazione di qualsiasi uomo del tempo. La storiografia romana alle tecniche retoriche e all’inventio retorica Degli elementi, nelle narrazioni di Ovidio, Sallustio, Tacito, fittizi - I discorsi attribuiti ai personaggi, che già in Tucidide erano presentati come non autentici, ma ciò che si sarebbe potuto dire - L’utilizzo di clichés narrativi, nelle descrizioni delle guerre, le sconfitte, gli assedi, molto simili, con ricorso di motivi stereotipati Tali caratteri della storiografia antica, sottolineati soprattutto da WISEMAN e GOODMAN, hanno originato una nuova generazione di studi, che non descrive i testi storiografici come fonte di informazione della realtà, ma come testi letterario, interessante per sé stessi. Ciò suscita polemiche da chi si occupa di storia greca e romana. Gli storici riconoscono che la storiografia antica detenga una componente letteraria, ma che i racconti trattino della realtà, o cerchino di argomentarla. Gli storiografi arcaici marcavano la distinzione tra la storiografia e i vari generi letterari, la retorica e la poesia, soprattutto dal distinto obiettivo della storiografia verso i vari generi, la ricerca della realtà. Le discussioni degli storici arcaici, Livio, Polibio, sui criteri per l’appurare l’attendibilità di una notizia, le polemiche tra colleghi, Polibio che interviene nella narrazione, con Fabio Pittore, non si spiegherebbero se gli storiografi arcaici tentassero soltanto l’argomentazione di un racconto. 3.2. La storia possibile  Per un nuovo concetto della storia-verità Consapevolezza dei limiti del materiale, soprattutto per gli storiografi arcaici. Distintamente da quanto credevano i positivisti, non possiamo aspirare a raggiungere una realisticità assoluta. La storia ricostruibile non potrà essere completa, esaustiva, obiettiva e asettica, libera da una prospettiva personale. Ciascuna storia ha una relazione con il presente, e spesso condizionata dalle strutture del potere.  Ricostruzioni parziali e ‘vere’: il paragone con la montagna di E. Carr Tuttavia, pur non raggiungendo la realisticità assoluta, il lavoro dello storico, osservando alcune leggi, potrà pervenire ad una verità, non la verità, ma una versione dei fatti, personale ma non perciò inferiormente realistica. E. Carr, nel 1961, What is History, argomentava che una montagna è dotata di una realisticità oggettiva, ma essa appare distinta a seconda dell’angolo di visuale da cui la si guarda. Le varie prospettive della montagna sono parziali, nessuna restituisce in toto l’essenza della montagna, ma non perciò sono menzognere. Le ricostruzioni storiche condotte secondo criteri specifici sono parziali ma parzialmente realistiche.  La relatività e il paradosso dello scrivere storia (Canfora) Canfora argomentava che occorrerebbe la presa di coscienza della costante e consustanziale relatività del mestiere dello storico. Di un accadimento gli storici rileveranno di volta in volta varie facce, tutte realistiche e spesso tra loro complementari, nessuna esaustiva come esaustiva non sarebbe neanche la somma di tutte quelle facce. Proprio perché relativo e parziale, il lavoro dello storico è anche attraente, perché determinano quanto Canfora argomenta la Lo scrivere e riscrivere più volte di uno stesso accadimento. Il campo della storia arcaica è un cantiere aperto, che cambia prospettiva con il variare del tempo. 5 ottobre 2022 4. Metodologia della ricerca storica Per raggiungere, l’inchiesta storica deve ottemperare ad alcuni criteri, seguire un metodo scientifico. Vi sono diversi modi di fare storia: fare storia per diletto e per mestiere (Thuc. 2.60.6) Tucidide argomentava che il raggiungimento della conoscenza mancante della capacità di comunicarla è come non raggiungimento. L’obiettivo di fare storia per mestiere è quello di raggiungere l’apprendimento e la comunicabilità di quanto appreso. Anche per chi fa storia per mestiere vi sono varie gradazioni. – Lo studio del manuale. Fondamentale, ma offre una sintesi ragionata di accadimenti essenziali, ma mancante di come si sia giunti alla ricostruzione dei fatti. Precedentemente il manuale, vi è una maniera distinta di fare storia per mestiere, – La ricerca scientifica: il concetto di ricerca e di fonte Historia o historie, nel dialetto ionico, con cui argomentano i primi storiografi greci come Erodoto, si collega alla radice, del perfetto oida, io ho visto, e dunque so, so in quanto ho visto, ma il significato primario è quello di ricerca. Modi di fare storia in climax. Vari obiettivi e metodi. La ricerca è inizialmente autoptica. E’ un lavoro di inchiesta, una techne, condotta secondo parametri, operazioni, che parte dalle fonti. – Le tappe della ricerca: la raccolta delle fonti e la pluralità delle fonti La fonte è qualsiasi testimonianza lasciata dagli arcaici, un testo, uno strumento domestico, qualunque oggetto. La ricerca sulle fonti argomenta tre momenti 1- Raccolta delle fonti, mancante di distinzioni della tipologia della fonte, purché la raccolta sia esaustiva, per l’oggettività dell’inchiesta 2- L’analisi critica delle fonti, vagliarne l’attendibilità Inattendibilità dei testimoni. Non è facile stabilire il grado di attendibilità delle fonti. Si valuta caso per caso. Un tempo si impiegava una distinzione gerarchica, classificazione che distingue tra Fonti primarie, più credibili, monumenti archeologici, testi, fonti apparentemente dirette, che offrono una testimonianza inferiormente mediata, fonti secondarie, letterarie, dove il grado di mediazione sarebbe più complesso. Distinzione non impiegata, perché tutte le fonti sono mediate, anche da una soggettività. Alcune fonti letterarie potrebbero argomentare la realtà in modo più attendibile di fonti più dirette. Per esempio, le res gestae di Augusto, fondatore del principato, capolavoro di ingegneria costituzionale dopo la Repubblica, testamento postumo in varie versioni, su pietra, su bronzo, sono un capolavoro di propaganda, inattendibile. Fonte che un tempo si sarebbe descritta diretta. Le fonti sono distinte qualitativamente e ciascuna richiede un metodo di lettura adeguato, precipuo. La storia arcaica è una disciplina multidisciplinare. 3- La differenziazione dei metodi di lettura (vd. Bibliografia finale) 4- La fase ricostruttiva Lo storico dovrebbe individuare il filo che collega gli accadimenti. Fase equiparabile al lavoro finale del PM, che una volta ricostruisce di fronte alla giuria come secondo lui sono andati i fatti. La fase ricostruttiva nel caso dello storico arcaico e romano soprattutto assomiglia all’arringa più che di un PM dell’avvocato difensore Lo storico arcaico dovrebbe spesso rassegnarsi ad alcune incomprensioni, e non conferire risposte definitive. Modo condizionale. 5. Impostazione e contenuti specifici del corso Impostazione monografica e impostazione istituzionale: la terza via Articolazione della Parte Generale (42h): limitazione degli argomenti, periodizzazione diacronica (limiti e vantaggi), periodo monarchico, repubblicano, IV, V secolo, e principato Anche le periodizzazioni classiche sono convenzionali. MCFLOWER, Roman Republics, più repubbliche In momento repubblicano si distinguono vari momenti. selezione degli aspetti politico-istituzionale (e loro ragione), nascita della repubblica, conflittualità socio politica  della Roma dei primi secoli della repubblica, guerre patrizio plebee. Non è una guerra civile. Epoca medio repubblicana I racconti tradizionali che si riferiscono ai tempi precedenti la fondazione o la futura fondazione dell’urbe, conformi più alle favole poetiche che a una rigorosa documentazione storica, io non intendo né confermarli né confutarli. Tito Livio, Prefazione agli AUC 6 Autore che visse tra la metà del I secolo a.C. e il II secolo d.C., compose un’opera monumentale di storia romana, dalle origini ai suoi giorni, in 142 libri, di cui rimangono soltanto 35. Argomenta della fase romana arcaica e repubblicana, grande fonte. Esprime del carattere fabuloso del passato. Perplessità o tentativi di razionalizzazione degli accadimenti che argomenta. Rea Silvia, violentata, gemelli, incerta prole. Aggiunge che la moglie del pastore Faustolo, Atalarenzia, era soprannominata da alcuni Lupa, perché si prostituiva ai pastori. La favola mostra elementi di due tradizioni distinte - Tradizione riguardo Romolo, locale e arcaica, perché la lupa capitolina risale al V secolo a.C., - Tradizione riguardo le premesse eneiche di origine greca Varie date per la fondazione di Roma. Eratostene argomentava Romolo come il nipote di Enea. Alla metà dell’VIII secolo la fondazione della città, e tra Enea, Ascanio e Romolo furono aggiunti i re albani. Il raccordo è incerto. Chi lo operò e perché? Le prime tracce di una unificazione tra mito eneico e romuldico furono in ambiente greco, tra alcuni autori sicilioti di Siracusa del IV secolo a.C., come ALCIMO, di identificazione contrastata, forse un autore della seconda metà del IV secolo, autore di Sycalica et Italica, argomentazioni storiche di Sicilia e Italia, e CALLIA DI SIRACUSA, della seconda metà del IV, inizio III secolo. Egli ricollegava la nascita di Roma ad una dama troiana, Roma, pur del gruppo troiano. Nel IV secolo Roma aumenta i rapporti con la Magna Grecia, inizia a distinguersi nel panorama italico come città in espansione, e tale aggancio dai Greci delle origini di Roma ad un patrimonio loro conosciuto dipende anche dal tentativo di collegamento con una città nuova. Il processo di troianizzazione delle origini romane termina nel III secolo a.C. Quando Pirro giunge in Italia da Taranto si presenta nella propaganda come l’Achille acheo, contrastante i troiani romani, ma non vince. Oltre le origini greche della tradizione, i romani argomentarono il proprio legame privilegiato con i troiani. Utilizzarono tale tesi anche a finalità propagandistiche e politiche, nel corso della 1’ guerra punica, metà del III secolo a.C., quando Roma concesse territori a Segesta, città sicula, per la comune origine troiana. Il mito dell’origine troiana fu utilizzato anche per la giustificazione di ambizioni politiche, per esempio un discorso funebre di Giulio Cesare, ancora questore, in onore della zia paterna. Secondo Svetonio, in quell’occasione Giulio Cesare I GIULII: UN ESEMPIO SI ‘APPROPRIAZIONE’ DEL MITO FONDATORE Mentre era questore pronunciò dai Rostri, secondo la tradizione, l’elogio funebre della zia paterna Giulia e della moglie Cornelia, che erano defunte. Ecco ciò che disse durante l’elogio funebre di sua zia, a proposito degli antenati di lei e del proprio padre: ‘…Da parte di madre, mia zia Giulia discende dai re; da parte di padre si ricollega con gli dèi immortali. Infatti i Marzii Re, alla cui famiglia apparteneva sua madre, discendono da Anco Marzio, ma i Giulii discendono da Venere, e la mia famiglia è un ramo di quella gente. Confluiscono quindi, nella nostra stirpe, il carattere sacro dei re, che hanno il potere supremo tra gli uomini, e la santità degli dèi, da cui gli stessi re dipendono’. Svetonio, Cesare Il mito fondatore e le premesse eneiche furono utilizzati da Giulio Cesare per elogiare il proprio futuro incarico politico. Perché i romani accettarono l’origine troiana, dai greci? Perché offriva loro dei vantaggi. Il richiamo ad Enea significava un legame con un eroe celeberrimo. La storia di Enea era conosciuta in tutto il Mediterraneo, anche nell’Italia peninsulare, da opere di aedi, artigiani e mercanti, con storie e manufatti. L’origine dai troiani, e non da vari popoli della penisola, i Romani si argomentavano distinti da essi. Enea era inoltre collegato ad alcuni valori utilizzati anche dall’ethos romano. La rappresentazione di Enea che fugge da Troia con il padre era simbolo di pietas, di una reverenza verso il pater, e la pietas, verso i genitori, le divinità, la patria, era uno dei capisaldi del codice etico romano. Gli elementi favolistici e l’utilizzo di varie fonti mostra l’artificiosità del racconto delle origini, per la costruzione della propria immagine e identità, successivamente dai Romani. Il mito della fondazione non descriveva una realisticità storica, ma un’informazione di come i romani delle epoche dopo tentarono di vedersi e di essere visti dagli altri. Tema dell’asilum Romolo che popola Roma con molti popoli. Città di pluralismo soprattutto etnico. Immagine aberrante per un greco, che difendeva la nazione. Per i Romani era invece archetipica, rappresentata dall’asilum ma anche dal mito eneico. Le premesse di Roma si configuravano come una mescolanza di popoli, profughi dall’Oriente, e gli aborigeni di Latino. Poi ratto e fusione con le Sabine. I re latino sabini apriranno poi agli etruschi. L’immagine di Roma città aperta indicava che la Roma dei secoli dopo, volta all’espansione e alla conquista, si presentava come città aperta all’integrazione, all’ampliamento di cittadini, alla loro selezione non su base etnica. Tentava la calma dei popoli conquistati, che avrebbero accolto il dominio romano. Dunque, come per i narrativisti, il racconto delle origini è soltanto un racconto? Varie tesi e opinioni degli studiosi. - Ad un’iniziale accettazione dei dati traditi, - nell’800 e nel ‘900, con il positivismo, nacque un atteggiamento critico, che in alcuni casi ha negato quanto argomentato dalle fonti. Con il ‘900, con il termine del positivismo  orientamenti più moderati, pur critici. Per quanto riguarda l’asilum, recenti ricerche epigrafiche e toponomastiche hanno argomentato che la Roma dei primi secoli si caratterizzasse per elevata mobilità orizzontale e verticale. Era una città aperta ai flussi migratori. Informazioni da epigrafi, reperti archeologici e nomenclature. - Dagli anni ’80 del ‘900, vi fu una reazione che tentò la riabilitazione dei dati tradizionali. Da una campagna di scavi sulle pendici nord orientali del Palatino, guidata da Andrea Carandini, si ritenne di poter riabilitare la tesi della fondazione romulea, che risulterebbe suffragata da informazioni archeologiche. Sul Palatino furono rinvenute le tracce di una palizzata databile verso il 730. La linea esterna è interpretata come simbolica della città primaria, un’istituzione che secondo Carandini avrebbe raggiunto una consapevolezza tale da limitarsi in confini, sul Palatino, nel 730, in coincidenza cronologica e topografica con gli elementi della tradizione letteraria, che ambientava in tale colle le vicende di Romolo. Cincio Alimento, uno tra i primi storiografi della storia nazionale dell’Urbe, identificava nelle Storie la nascita della città nell’anno 728. La polemica Carandini Ampolo Carandini, coincidenze topografiche. Difesa della tradizione, con pattage mediatico e pubblicitario. Contrasti, soprattutto da Ampolo. Carmine Ampolo accusa Caradini di iper tradizionalismo acritico e concordismo. Egli tenderebbe a piegare le fonti archeologiche e letterarie per farle combaciare. Per esempio, la datazione Apparentemente vi è una coincidenza di elementi. Palizzata del 730, uno dei più arcaici storiografi romani, Cincio Alimento Roma del 728, si appoggiano. Gli arcaici conoscevano molte date della fondazione della città, e non sappiamo su che base Cincio stabiliva le date. Carandini tenderebbe a scegliere tra le varie opzioni possibili la data che suffraga le sue teorie, e non spiegherebbe tutta la fase anteriore, perché il posto degli scavi risultava occupato già dall’anno 1000, mentre le fonti romulee argomentano di una landa desolata. Dibattito sulla ricostruzione della storia romana arcaica ancora acceso. Ricostruzione variamente interpretata e non facile. LETTURE DI APPROFONDIMENTO Carandini A., La nascita di Roma, Torino 1997 Precedentemente aveva argomentato del problema della documentazione, poi aggiunge che non vi erano autori contemporanei agli accadimenti. E’ un carattere importante. La storiografia romana nasce tardi. I Romani argomentano della loro città soltanto dalla fine del III secolo a.C., con Fabio Pittore e Cincio Allimento, dalla 2’ guerra punica contrastante Annibale. Annibale era tra i maggiori generali del mondo arcaico, ma la guerra fu combattuta anche in ambito della propaganda. Annibale si presentava ai Galli e agli abitanti della penisola italica come liberatore dal giogo romano. Annibale era corredato da storici che fornivano una versione degli accadimenti filo cartaginese, utile al condottiero. I romani composero invece la propria versione degli accadimenti. Fabio Pittore e Cincio Alimento compongono in greco, perché il loro pubblico sono i greci di Italia, Sicilia e della patria che avrebbero potuto appoggiare per Annibale, per esempio Filippo di Macedonia dopo Canne, aprendo un fronte ad Oriente contrastante Roma. Vi erano fonti, per esempio testi di legge, la cronaca dei papi, le memorie gentilizie, delle famiglie aristocratiche che detenevano le massime cariche della città, ma non storici del tempo. Inoltre la memoria gentilizia, gli elogi funebri era per Livio inaffidabile, e avrebbe peggiorato la storia nazionale. Anticipa il concetto Cicerone nel Brutus, capitolo 62. 12 ottobre La storiografia da uomini politici. L’elite dirigente, che disdegnava vari generi letterari, argomentava in oratoria e storiografia. La storiografia di uomini politici al potere è dunque strumentale e propagandistica. Gli studiosi argomentano sul grado di manipolazione del racconto della storia arcaica. Le tesi sono tra le più diversificate. Professoressa, argomenta che la tradizione letteraria e storiografica è molto rielaborata, ma alcuni accadimenti sarebbero individuabili. La lista dei re di Roma non è autentica, ma i nomi detenevano caratteri storici. In caso di immaginazione, vi sarebbero stati nomi delle grandi casate gentilizie, che annoveravano degli storiografi. Gli storiografi raccontavano da tradizioni anche immaginate, ma anche da feste, istituzioni talvolta realistiche. Rielaborazione e accadimenti convivono in gradi distinti. Anche le fonti sono passibili di interpretazione, e soltanto apparentemente più nitide. Lo studioso dovrebbe avvalersi di cautele, consapevole che ciascuna e della critica temperata, definita tale da La ‘critica temperata’ di Gaetano De Sanctis “…l’iscrizione arcaica del foro ... ci ammonisce a usare quella critica temperata che nulla ciecamente afferma per servile ossequio alla tradizione, nulla ciecamente nega per sola smania di negare”. Commento al cippo del Lapis niger, iscrizione arcaica dell’epoca dei re. L’abilità di contemperazione tra una fiducia non a aprioristica e uno scetticismo non iper scetticismo sarebbe proficua per la storia arcaica. C) Cic. Brut. 62: … ipsae enim familiae suae quasi ornamenta ac monumenta servabant et ad usum, si quis eiusdem generis occidisset, et ad memoriam laudum domesticarum et ad illustrandam nobilitatem suam. Quamquam his laudationibus historia rerum nostrarum est facta mendosior. Multa enim scripta sunt in eis quae facta non sunt: falsi triumphi, plures consulatus, genera etiam falsa et ad plebem transitiones, cum homines humiliores in alienum eiusdem nominis infunderentur genus… Le famiglie stesse li conservano (gli elogi funebri) quasi come titoli d’onore e come documenti, per farne uso in caso di morte di altri membri della casata, per tramandare la memoria delle glorie familiari, e per dar lustro alla propria nobiltà. Tuttavia da questi elogi la nostra storia nazionale è stata alquanto alterata. Vi si trovano scritte molte cose mai accadute: falsi trionfi, un numero esagerato di consolati, anche genealogie false, e passaggi alla plebe, quando si riversavano personaggi di origine più umile in un’altra famiglia dallo stesso nome… La nascita della Repubblica e la storia protorepubblicana tra conflitto e risoluzione Metodo di critica temperata di cui argomentava De Sanctis. Studio manuale neonata Roma, in cui si fonda la città, non per iniziativa di un singolo fondatore, ma per sinecismo, aggregazione, importata o volontaria, tra VI, VII e VIII secolo, di re, di provenienza latino sabina, poi etrusca. Un’epoca di crisi e di conflitti Il primo conflitto  il colpo di Stato del 509 a.C. Anno importante, indicato dalla cronologia varroniana, invalsa nell’utilizzo anche tra i moderni. Gli arcaici conoscevano varie cronologie di fondazione, e le date delle vicende erano varie per gli storiografi. Vicenda epocale, destinata a cambiare il volto di Roma  viene cacciato, o meglio, poiché si trovava fuori dalla città in una campagna, viene impedito di rientrare a Tarquinio il Superbo, e viene instaurato un nuovo regime, la repubblica. Si distingue dalla monarchia perché il potere non è più nelle mani di un re, ma suddiviso tra più organi -Il Senato -i magistrati, di significato differente da quello attuale, non giudice ma uomo politico -il popolo riunito nelle assemblee PROTO REPUBBLICA L’ordinamento repubblicano si forma nel tempo, e detiene una fase di assestamento. Soltanto alla fine del IV secolo inizia ad assumere una fisionomia più definita. La proto repubblica è un cantiere istituzionalmente aperto. Sono sperimentate varie forme istituzionali, per esempio il decemvirato, poteri collegio di dieci uomini. Tale passaggio, la cacciata della monarchia e dei re, ma non unici, bensì almeno due e di carica annuale, con dominio reciproco. Potere temporale dei magistrati. La cacciata dei re è un atto violento. La fine della monarchia a Roma pare essere una vicenda traumatica. E’ il primo conflitto dell’epoca repubblicana, per la quale parola chiave è il termine CONFLITTO. Parola chiave per ciascun periodo. Epoca arcaica, METODO, perché la ricerca è particolarmente complessa. Cattiva condotta dell’ultimo re, Tarquinio il Superbo, raccontato dalle fonti con i caratteri del despota, il tiranno dell’epoca, ingiusto, violento, tiranno, prevaricatore. Rende anche grande Roma, tramite azioni militari e diplomatiche, una posizione di prestigio nel Lazio, ricchezza economica, culturale, come mostrano le grandi opere pubbliche, come la costituzione del tempio di Giove ad Optimumo Maximo nel Campidoglio, e della Cloaca massima, la grande via fognaria in cui erano fatte confluire tutte le acque dal Tevere al mare. Alcune fognature romane sono state impiegate anche per la fognatura romana odierna. Tarquinio non compiaciuto soprattutto per le nefandezze del figlio, Sesto Tarquinio, rampollo della stessa pasta. Stupro di una nobildonna romana, Lucrezia. Vicenda notissima. Il giovane principe e rampolli della nobiltà stavano conducendo una campagna militare, e in un momento di riposo e divertimento iniziano una gara tra loro, riguardo chi tra loro detenesse la sposa più virtuosa. Ciascuno considera modello la propria consorte. Uno sceglie di verificare. Partono a cavallo, e trovano tutte le spose in atteggiamenti non edificanti, casti o virtuosi, banchetti sontuosi, danze. L’unica che è modello esemplare è Lucrezia, la moglie di Lucio Tarquinio Collatino, in medio aedium, nella parte più riposta della casa, nascosta, che fila la lana con le ancelle, una attività degna di una nobildonna romana, perché attività manuale ma per la casa, emblema di ciascuna virtù. Lucrezia abitava a Collazia, ad una quindicina di km da Roma. Collatino era un cugino del re, di un ramo cadetto della gens Tarquinia. Sesto Tarquinio è preso da passione per Lucrezia. Qualche giorno dopo ritorna alla casa della signora, mentre gli uomini della famiglia sono tutti impegnati a militare per il re. Accolto con tutti gli onori, penetra nella sua camera di notte. Lucrezia cerca di resistere, e tenta anche il sacrificio supremo, ma Sesto Tarquinio minaccia di uccidere oltre a lei anche uno schiavo, e di dire a tutti che li aveva coinvolti in fragranza di adulterio. Adultera e con un uomo di razza ridotta, cede, ma il giorno successivo compone un messaggio per il padre, Spurio Lucrezio, e il marito, Lucio Tarquinio Collatino. Le donne non valevano di per sé, ma come figlia di, o moglie di. Il loro nome era il nomen gentilizio declinato al femminile. Invita ciascuno a portare un compagno. Spurio Lucrezio si presenta con Valerio, nobile del tempo, latino sabino, Tarquinio Collatino con Lucio Giunio Bruto, figlio della sorella del re. Lucrezia confessa della violenza, e si uccide, perché ormai contaminata dalla colpa, nonostante i famigliari la scongiurino, e per non essere d’esempio negativo alle varie donne. Valore sommo della pudicitia. I famigliari conducono nel foro di Collatia il corpo di Lucrezia, lo mostrano al popolo, compassionevole e sdegnoso verso Sesto Tarquinio. A Roma scatenano una ribellione, e convincono il popolo all’esilio di Tarquinio e la sua famiglia, ad un regime repubblicano. Sono nominati consoli Bruto e Tarquinio Collatino, e il re è cacciato. Cippo del Lapis Niger  epigrafe rinvenuta nell’area del Comizo, nel Foro, sotto una pavimentazione nera, legata al ricordo del posto di sepoltura di un personaggio celebre, Romolo, o Osto Ostilio, nonno o padre di un re di Roma, Tullio Ostilio, o Faustolo, pastore che avrebbe allevato Romolo. Sotto tale pavimentazione fu ritrovato un cippo iscritto che raccontava un’ordinanza sacrale, che probabilmente interdiceva la penetrazione in un posto, con andamento apustrofedico. Il testo del cippo del foro: presenza del termine rex Interessante è la presenza della parola recei, rex al dativo. Ordinanza sacrale promulgata da un rex, alla fine del VI secolo. Una delle attestazioni della presenza di un rex. Anche il colpo di Stato è presumibile. Chi e perché furono i protagonisti I nomi dalla tradizione potrebbero aprire uno spiraglio riguardo tale argomento. Lucrezio è minoritario, ed è emblema della dama exemplum. Tarquinio Collatino, Giunio Bruto, Publio Valerio, Marco Orazio Pulvillo, personaggi di carica consoli della Res publica. Publio Valerio e Orazio Pulvillo paiono essere attestati anche in varie fonti. Marco Orazio Pulvillo è citato da Livio, nel VII libro degli Ab urbe condita, Vicende, da Livio a fine I e inizio II libro. Racconta di un rito, la clavifissione, ’infissione di un chiodo con finalità cronologiche o apotropaiche, Livio ricorda la lex vetusta, una legge antichissima, del primo anno della repubblica, che sarebbe stata pubblicata nel tempio di Giove Optimo Maximo, costituito da Tarquinio il Superbo, e consacrato da Marco Orazio Pulvillo console, nel primo anno della Repubblica. Parla di una fonte epigrafica. Publio Valerio: A Satrico, città nel Lazio meridionale, è stata rinvenuta il Lapis Satricanus, che adornava la base di un donarium monumentale, di una statua votiva. Ricordava la dedica a Marte fatta da compagni di Publio Valesiosio. E’ datata intorno il 500 a.C. Il fatto vi sia il nome di una divinità guerriera come Marte, il termine suodales, compagni, paiono indicare la presenza di un clan di guerrieri, capeggiati da Publio Valerio, come tanti tra VI e V secolo. Roma come città aperta ai flussi migratori, città di mobilità orizzontale e verticale. L’asilum era il riflesso di una realisticità. Tali migrazioni potevano essere pacifiche o violente, scorribande di gruppi di sodales. Il penultimo re di Roma, Servio Tullio, che promulgò riforme per la vita della città, era un re straniero, uno di tali capi clan che scorrazzavano per il Lazio. L’imperatore romano CLAUDIO, alla metà del primo secolo d.C., identificava Mastarna sodalis, compagno di due capi clan famosi di Vulci, AULEO e VIBENNA. Mastarna (publio valerio) avrebbe guerreggiato contrastando Tarquinio di Roma. Nella politica estera dell’epoca vi furono vicende di guerre di clan privati. Gli ordinamenti della città erano in formazione. Le strutture statali e comunitarie coesistevano con strutture di origine pre urbana, anteriore alla fondazione della città, private, gentilizie, fondate sulla tribù, la gens, il gruppo in cui i membri si riconoscono discendenti da un capostipite, per cui condividono i riti, alcune norme, terre e clienti. Tribù clan i cui membri detenevano rapporti di parentela. Ipotizzando l’identificazione congetturale di Publio con l’individuo raccontato nelle fonti a proposito del cambio di regime a Roma, allora il golpe di Roma del 509 avrebbe avuto tra i protagonisti membri dell’aristocrazia latino sabina, componenti gentilizie di origine arcaiche. La cosa non pare così dubbia, perché la monarchia etrusca adoperava una politica accentratrice. Dalla monarchia etrusca si creano alcuni simboli del potere regio, lo scettro, il trono d’avorio, la corona d’oro e di alloro, i fasci, simboli del potere repressivo, di verghe di betulla unite insieme da nastri di cuoio, condotti dai littori, che guidavano il rex e i consoli, ad indicare il potere di coercitio. In alcuni casi nei fasci erano rappresentate le scuri, ad indicare anche il potere di decapitare. Una reazione da clan gentilizi, come quello cui avrebbe potuto esser membro Publio Valerio, contrastante una monarchia riformista, sarebbe ipotizzabile. Nel racconto l’iniziativa non è però presa in primis da personaggi dell’aristocrazia latino sabina. I protagonisti primi, coloro che detengono la carica di consolato, sono Collatino e Lucio Giunio Bruto. Bruto è il garante del regime repubblicano. Caccia, e invita il popolo al non richiamo della monarchia. Invia a morte i propri figli, perché dubitati di essere collusi con i Tarquini. Bruto e Collatino sono i promotori primi. Si potrebbe ipotizzare tutto fosse nato da una congiura di palazzo, una faida della casata reale. Tarquinio Collatino era cugino del re, Lucio Giunio Bruto suo nipote. La faida sarebbe poi stata sfruttata dai gruppi sabino latini, contrastanti l’etruschizzazione di Roma. Le vicende raccontate dalle fonti sono complicate, perché Bruto e Collatino sono i primi consoli, ma Bruto caccia Collatino perché conduce il nomen di re, Tarquinio. Bruto muore ad Arsia, in una guerra dagli alleati di Tarquinio il Superbo, e deve lasciare il trono ad altri. Valerio, poi Pulvillo. La vicenda ci adombra delle complessità del regime innovativo. Il nomen di consoli a qualifica della magistratura suprema non fu la prima denominazione adoperata dagli arcaici, ma i primi magistrati furono chiamati pretori. Roma era in un momento complesso, in assedio, e molti conflitti. 18 Ottobre 2022 La città di Roma reduce da un colpo di Stato è presentata dalle fonti come una città in stato d’assedio, esposta - All’esterno, a continui attacchi dai popoli confinanti - Dilaniata all’interno dalle lotte tra gruppi intestini, uno che avoca i poteri politici e religiosi, uno di patrizi e plebei - Tormentata da una crisi economica mancante di precedenti. Dopo la fioritura non soltanto economica del VI secolo, testimoniata dalla Cloaca Massima da Tarquinio il Superbo, il V secolo pare una regressione. Regressione attestata anche dai dati archeologici. Dagli anni ’60 del V secolo, si registra la fine della produzione di terrecotte architettoniche, le tracce dell’attività urbanistica ed edilizia, l’importazione di ceramiche di lusso. Le divinità a cui vengono costituiti templi non sono casuali, e paiono mostrare il bisogno di godere di una mano per la sopravvivenza. Nel 496, un tempio è dedicato a Saturno, dio che ferma le correnti malefiche. Nel 495, a Mercurio, dio dei commerci, auspicio di ricominciare i flussi commerciali complicati o interrotti dagli attacchi esterni, soprattutto dalle aggressioni dei Sabini, dell’Alta Tiberina, l’odierna Rieti, che insistono soprattutto sulla via salaria e cercano di domare la produzione di sale e le saline, e popolazioni come i Volsci, più a sud, che complicano i rapporti commerciali con il sud, soprattutto la Campania. Nel 493 è costituito un tempio per Cerere, Libero e Libera, dei del grano e del vino che tentano di promulgare la produzione agricola. La crisi economica non investe soltanto Roma. E’ un fenomeno espanso nel Mediterraneo, non in tutto, per esempio non aree italiota e siciliota. Il Mediterraneo è teatro di grandi scontri geo politici. Tra le grandi potenze dell’epoca, i Fenicio Punici, gli italioti e i sicilioti, e gli etruschi, destinati a soccombere. Scontro per il dominio dei flussi commerciali, che origina scontri tra fine VI e V a.C. Alcuni episodi bellici sono - 530, battaglia di Alalia, nella Corsica, in cui i Focei, i Greci d’Occidente, hanno la meglio sui cartaginesi ed etruschi, - 508 o 504, la battaglia di Ariccia, in cui gli etruschi di Chiusa, Porsenna, sono sconfitti da italioti, Aristodemo di Cuma, e Latini - 480, vittoria di Siracusa nella battaglia di Mera, contrastante i cartaginesi - Battaglia di Cuma, Siracusa vittoriosa verso gli etruschi Le guerre di amplissima portata per il dominio delle correnti commerciali hanno ripercussioni, e si intrecciano fenomeni altrettanto importanti - Un dinamismo della penisola italica, soprattutto centro meridionale, causato dall’esistenza di aree di distinto grado di sviluppo economico e culturale. Le discrasie tra regioni più ricche e culturalmente evolute, come il Lazio costiero, l’Etruria e la Campania, e le zone più arretrate culturalmente causa una tensione tra le due aree, e un movimento migratorio dalle aree più arretrate a quelle più fertili. Le migrazioni assumono forme distinte - Di transumanza, trasferimenti con il bestiame, - Rituali o magiche, il ver sacrum, la primavera, rito italico che all’origine era una migrazione di intere generazioni, una alla volta, di un popolo o di una tribù, in cerca di posti innovativi. Cambierà nel tempo. Nella Roma di III secolo con distinte finalità. - Violente, clan guerrieri, compagnie di ventura, sodales legati a Publio Valerio nel Lapis Africanus. Causa di tali sommovimenti geo politici interni ed esterni è una crisi economica generalizzata, anche delle aree più fertili e più ricche. Comporta atteggiamenti di chiusura, antitetici a quell’apertura e mobilità che invece caratterizzava l’Italia tirrenica il secolo precedente. Era una reazione istintiva, un fenomeno sociologico corrente. Uno stato di crisi economica definisce una chiusura nei propri diritti e possibilità per difesa dalla minaccia incombente. Momento importante, perché dal superamento di tali problemi, Roma definisce i suoi assetti istituzionali, economici, politici, il proprio patrimonio di valori e la propria posizione nello scacchiere internazionale. Da tali vicende, Roma diviene Roma, premesse per l’espansione dei secoli successivi. Vicende per comprensione della media repubblica. Vicende esterne ed interne interrelate e modificate reciprocamente. I CONFLITTI ALL’ESTERNO Dopo il colpo di Stato, Roma contrasta minacce plurime - Vecchi nemici - - nuovi nemici, anche ex amiche, città precedentemente alleate con Roma Tarquinio il Superbo ripara a Cere, città etrusca, presso i propri alleati, poi a Tuscolo, presso il genero Ottavio Mamilio. Il figlio, Sesto, ripara a Gabi, i figli in varie città. Tarquinio sfrutta dunque le città a lui fedeli. Sotto Tarquinio il Superbo, Roma aveva potenziato i rapporti suoi con le città latine, le più importanti delle quali erano Tuscolo, Ariccia, Lanuvium. Le analisi degli arcaici Fenomenologia della guerra nelle fonti Vittorie e o non sconfitte Livio  continui riferimenti alle guerre, contrastanti Erni, Vosci, Ardia, raccontati con questi toni. I romani sempre vittoriosi, rari momenti di sbandamento, e che alla fine prevalgono, o che contrastano nemici pavidi, timidi, perché consapevoli dell’abilità guerriera di Roma, che neanche si contrappongono. Talvolta vi è qualche cenno ad una sconfitta romana, ma Capitoli 58, 59, anno 471 a.C. l’esercito guidato dal console Appio Claudio, della famiglia sabina che si era trasferita, muove contrastando i Volsci ed è sconfitto. Divisione dicotomica tra patrizi e plebei. Soldati prevaricati dal console patrizio. Sconfitta voluta. La campagna del console è vincente. Generosità tra comandante e soldati A bloccare l’iniziativa dei romani sono agenti atmosferici, dagli dei. Contrasti religiosi. Una tempestas indica che gli dèi non approvano questa azione. 469, Virginio, imboscata Sconfitta per la storiografia, non dipendente dalla superiorità dei nemici ma per la negligenza di un comandante, che procede inesplorato, che affronta la battaglia animato da amore eccessivo di gloria, approccio personalistico e individualistico. Colpa del singolo. I Romani sono in tal caso sconfitti in un’imboscata, guerra più disonorevole, non nello scontro campale. Testi non interpretabili letteralmente, ma è possibile desumere qualcosa di tali scontri. Dietro la lente deformante si capta la durezza degli scontri. Erano conflitti complessi, non sempre di successo. Alcune saghe mitico storiche, alcuni eroi e personaggi, per esempio Coriolano, Cincinnato, una realtà complessa. CORIOLANO perché riuscì ad espugnare la città di Coriali, a causa delle lotte patrizio plebee è esiliato dalla città di Roma, e capeggia un esercito volsco, con il quale sconfigge Roma. CINCINNATO è il dittatore chiamato dai campi, costretto alla povertà perché aveva dovuto pagare una cauzione per difendere il figlio processato dai tribuni della plebe. Guida l’esercito per liberare l’esercito del console in assedio dagli Equi, poi depone la toga e ritorna al suo campicello. Valore esemplare di un uomo che antepone il bene pubblico, non è rancoroso. Scontri violenti. I Volsci riuscirono probabilmente ad occupare tutta la pianura pontina, fino alla costa, gli Equi occupano Preneste e Tivoli. Una svolta ai conflitti dipende da un fatto. I Romani riescono a strappare all’alleanza nemica gli Erbici. Abitavano l’area del Sacco, e dividono Equi e Volsci. Il trattato di alleanza con gli Erbici evita la fondazione di un fronte comune tra Equi e Volsci, che avrebbe stretto i Latini in una morsa. Dagli anni ’30 del V secolo, paiono esservi i segnali di una riscossa dall’alleanza romano latina. 431, vittoria presso il monte Algido. Da allora Equi e poi Volsci iniziano ad arretrare. Nel 405 Terracina è conquistata da Roma. Tali scontri paiono detenere almeno inizialmente un carattere particolare. Pare che un dittatore non fosse prevista che davanti a minacce militari, era nominato come comandante supremo unico, coadiuvato da un collega a lui subordinato, il magister equitum, deteneva la carica per sei mesi. Durata semestrale di una campagna militare, da primavera e precedente l’inverno. Erano soprattutto guerre di razzia, finalizzate all’acquisizione di bottino. Nelle fonti vi è spesso il tema del La formula di dichiarazione di guerra. I rapporti internazionali, dichiarazioni di guerra e stipulazioni di trattati, vedono la partecipazione di un gruppo arcaicissimo di sacerdoti, i padri feziali. Il capo doveva, in caso di aggressione da un popolo nemico, doveva presentarsi e chiedere riparazione, conto di quanto si era fatto  dalla repetitio rerum. Nel caso non ottenesse l’adeguata soddisfazione, lanciava una lancia in territorio nemico, e tale lancia valeva come una dichiarazione di guerra, hasta ferrata o sanguinea praeusta. La guerra deteneva carattere sacrale. La prassi guidata dagli speziali La repetitio rerum era la restituzione delle res, dei beni che erano stati predati. Mostra la particolarità di tali scontri. Erano guerre private, ad opera di singoli clan gentilizi, che convivono con le strutture della civitas, e conducono in modo indipendente guerre proprie. La bellum privata era frequente, Roma deve combatter anche con la città etrusca di Veio. Veio era a 18 km circa lontana da Roma, ed era una città che minacciava quasi esclusivamente Roma, mentre i Latini erano più minacciati da Volsci ed Equi. Veio riceve l’interdizione dei flussi commerciali al nord, e per le minacce dei Volsci i collegamenti con la Campania. In crisi economica, tenta di riappropriarsi delle saline alle foci del Tevere. Inizia una lotta tra Roma e Veio per le saline e per il possesso di Fidene, centro nevralgico per il traffico fluviale e del sale. Scontri come con le popolazioni precedenti, brevi, stagionali, volti a razzie e bottini La prima fase degli scontri, tra 488 e 487, tra Veio e Roma, pare assumere caratteri privati. Le fonti raccontano della famiglia dei Fabii, che assume una guerra privata contrastante Veio, ma è sconfitta nel 477 al Cremera. Nei decenni dopo, la lotta è portata avanti, delle strutture comunitarie, e Roma conquista Fidene. La successiva campagna contrastante Veio sarà una guerra distinta, e cambierà le sorti di Roma e i rapporti suoi con gli alleati. L’ultima fase dei conflitti con Veio assume distinta fisionomia. Le fonti raccontano in modo più mitico che storico, dall’attribuzione di una durata del bellum Veiens decennale. Guerra combattuta con Veio tra il 306 e il 395. Ricorda troppo vicende famose, come la guerra di Troia, raccontata dall’Iliade, per non parere incerta. Livio argomenta di fabula, di un racconto più adatto al palcoscenico che ad un libro di storia, a proposito della conclusione della guerra contrastante Veio. I Romani che avevano assediato la città riuscirono a vincere con lo scavo di un tunnel, a ridosso dalla stanza dove si trovava il re di Veio, retta da una monarchia. Avrebbero udito l’aruspice veiente che diceva al re che chi avrebbe preso delle viscere avrebbe detenuto la vittoria. I soldati romani avrebbero dunque ghermito per primi le viscere. Fu una guerra prolungata, continuata e lunga. Se i Romani avessero assediato la città, non avrebbe avuto senso una serie di campagne stagionali, un assedio interrotto continuativamente. Non vi sarebbe stato un assedio, dato che si tentava la presa per fame e fatica degli assediati. Furono costituiti per la prima volta i castra iberna, gli accampamenti invernali. L’esercito romano era formato da cittadini, di coscrizione obbligatoria. Il console per ciascuna campagna militare organizzava il reclutamento, sulla base di criteri standardizzati, talvolta discrezionali. I cittadini combattono per la prima volta per più mesi consecutivamente. In quegli anni è costituito, legato al conflitto, il soldo, lo stipendium, la paga del cittadino soldato che milita per lo Stato. Fondo, per cui si istituisce un tributum, una tassa deputata ad accumulare erario per gli stipendi. Quella con Veio è una guerra lunga ma vittoriosa, e dalle conseguenze importanti per Roma, che pare la conduca individualmente. Le varie guerre erano invece condotte con la Lega latina. AMPLIAMENTO DELL’AGER PUBLICUS Veio è distrutta, e Roma acquisisce larghe porzioni di territori nell’Agro veiente e capenate, perché Veio era stata appoggiata da una città, Capena. Roma allarga il proprio territorio, e si creano quattro nuove tribù o distretti territoriali -Stellatina -Cromentina -Sabetina -Arnensis Raddoppia il proprio territorio. I territori confiscati a Veio e Capena sono distribuiti talvolta ai singoli cittadini  DISTRIBUZIONI VIRITANE, a singoli viri, effettuate viritim, avverbio. Nel periodo successivo, però, agli inizi del V secolo, dopo la conquista di Veio, nel 390 secondo la cronologia varroniana, cala a Roma una tribù gallica, i Galli Senoni. Erano una delle tante tribù galliche che dall’Europa centrale avevano iniziato molti secoli prima un movimento migratorio. Avevano occupato la Francia, la Spagna, la Repubblica Ceca, e, in modi ancora oggetto di dibattito, l’Italia del nord, che in epoca romana era la pianura padana, Gallia cisalpina. I conflitti all’esterno si fondono con I conflitti all’interno La Roma che conduce tali guerre è internamente divisa, tra due ordini, in condizioni di disparità economica e in lotta tra loro, Patrizi e plebei. 19 ottobre I patrizi sono rappresentati nelle fonti come i detentori delle principali ricchezze, terre e clienti, e come coloro che potevano accedere alle cariche pubbliche, alle magistrature e ai sacerdozi, in quanto unici a poter interpretare gli auspici. Era l’attività di interpretazione dei messaggi degli dèi, precedentemente una legge, una guerra, dai magistrati con il coordinamento dei sacerdoti. Era tramite la lettura delle viscere degli uccelli, animali a metà tra terra e cielo. I metri di lettura degli auspici sono molteplici, volo degli uccelli o allevamento di polli sacri, cui presentare del mangime. In caso lo avessero mangiato tutto, il presagio era fausto, non mangiato, infausto, mangiato tutto e con dei resti nel becco, molto fausto. I plebei erano gli esclusi dalle magistrature e dai sacerdoti, descritti come attanagliati dai debiti. Nexum, schiavitù per debiti, in tale epoca, dei debitori che non riuscivano ad estinguere il debito. Istituto arcaico sfuggente. Era una forma di schiavitù ma soprattutto di lavoro coatto. Il debitore avrebbe dovuto prestare il proprio lavoro al creditore. Universo con rare leggi, regolamentazioni orali e per via consuetudinaria. Definire cosa si potesse fare è complesso. Giustizia arcaica, privata, legge del taglione. Come si fondano tali ordines? Per le fonti, patrizi e plebei esistono fin dalle origini della città, sono archetipici, perché i patrizi sarebbero i discendenti dei patres, i senatori, nominati da Romolo. Avrebbe costituito un consiglio che lo affiancasse nelle scelte, e avrebbe sfruttato come membri i patres delle più importanti delle gentes aristocratiche. I patrizi sarebbero i loro eredi. I plebei gli altri. Le fonti non lesinano altre spiegazioni ulteriori. Dionigi per esempio li definisce i discendenti di Romolo, oppure una stirpe di rango elevato. La loro presenza, in epoca archetipica, non è citata in epoca monarchica. Sono raccontati dopo la cacciata dei re, nel V secolo, in conflitto. Le interpretazioni dei moderni I moderni hanno avanzato varie spiegazioni per tali gruppi. Spiegazione etnica, socio economica, militare. Probabile la spiegazione pur congetturale, che parte da una definizione che le fonti attribuiscono ai plebei come coloro qui gentes non habent, coloro che non detengono la gens. Sulla base di essa, si ipotizza che i patrizi siano da identificare con i gruppi gentilizi arcaici, Publio Valerio, Lapis Africanus, clan e tribù fondate da persone legate da un nomen e un vincolo di parentela, di epoca addirittura pre urbana. I plebei sarebbero invece gli elementi estranei a tali antiche gentes, che sarebbero giunti in città nei secoli della monarchia, nel contesto di una Roma città aperta ai flussi migratori e con un tasso elevato di mobilità. Elementi extra gentilizi composti soprattutto da artigiani e commercianti, richiamati in Roma in ascesa e in arricchimento dalle nuove opportunità di lavoro e di ascesa sociale ed economica. Tali gruppi estranei ai primi clan gentilizi avrebbero potuto fondersi con le gentes pre esistenti, aver fondato gentes nuove, o rimanere estranei agli schemi gentilizi. La Roma del VI secolo, dei re etruschi, era città in formazione, che stava potenziando le strutture comunitarie. Le distinzioni in curie, antiche, e per parentela, Sono valorizzati dai re etruschi anche in funzione anti gentilizia, per contrastare le gentes aristocratiche latino sabine più antiche, che poi reagiranno alla politica accentratrice dei monarchi etruschi e contribuiranno insieme agli esponenti di una casata alla cacciata dell’ultimo re. Nella Roma dell’epoca oltre le divisioni di antica origine, e la divisione in curie, gruppi di uomini, 10 per tribù, divisione curiata, fondata sui rapporti di parentela e gentilizi, la monarchia etrusca istituisce varie forme di politica e sociale  Ordinamento centuriato, in cui prevalgono criteri non ma censitari. Le riforme serviane, promulgate dal re Servio Tullio, VI re di Roma, introducono l’ordinamento centuriato, per cui il popolo era diviso in classi sulla base del censo. Da tale divisione in classi era stabilito il grado di partecipazione politica e militare di ciascuno. Nell’epoca dei re, vi era una condizione di stabilità. Quando il re è cacciato e si apre una lotta per il potere, i vecchi gruppi gentilizi che avevano contribuito al colpo di Stato, in qualche modo e tempi che non riusciamo a definire, conquistano tutti i poteri. Si proclamano unici deputati a prendere gli auspici. La crisi causata dalla fine della monarchia muta i rapporti tra le due componenti che fino ad allora convivevano e crea le condizioni per la disparità. Iniziano una lunghissima lotta e un processo, che condurrà poi alla parificazione tra i due ordini. Lotta durata secoli  tutto il V secolo e quasi tutto il IV. Nel 367, svolta tra i rapporti tra i due ordines. La parificazione sarà soltanto agli inizi del 3’ secolo a.C. I plebei chiedevano Rivendicazioni plurime, in quanto gruppo composito ed eterogeneo - Rivendicazioni socio economico. Si chiedono iniziative verso i debitori. Oberati dal pagamento dei debiti, costretti a divenire nexi. Quella dei debiti pare una piaga sociale del periodo, in una crisi economica vasta, che investe più i plebei che i patrizi, perché Tra i plebei molti si occupavano di attività di commercio e artigianato, attività contratte nel periodo, e perché i gruppi gentilizi potevano anche disporre di terre comuni. In un sistema così fragile, circoscritto e limitato, detenevano qualche chance in più. - Parificazione politica  possibilità di accesso alle magistrature e ai sacerdozi, indice che non vi erano soltanto plebei poveri, ma anche ricchi, che potevano ambire all’attività politica, allora non remunerativa, per cui vi si poteva dedicare soltanto chi era membro di un certo rango. Tappe e metodi del processo di parificazione Lotta lunga due secoli, con fasi distinte. Riconoscibili 3. - 1’ fase, inizi del V secolo, anni ’90  inizio della protesta ei plebei. Si organizzano, dopo la propria presa di coscienza come movimento, ed elaborano una strategia propria di lotta. Le fonti le collocano nel 494 a.C., quando, in una Roma continuativamente impegnata in guerra, un gruppo di plebei in armi  dunque con censo minimo, perché esercito censitario, ma anche soltanto da chi deteneva un lotto di terra, Si ammutina, protesta contrastando i consoli per la condizione di molti di loro indebitati, e decide di ritirarsi su un’altura vicina a Roma, il Monte Sacro, o, secondo varie fonti, sull’Aventino. Tale vicenda, l’allontanamento, prende il nome di Secessione, da se cedere, allontanarsi. Gli studiosi non sono concordi. Opinione maggioritaria è che si trattasse di uno sciopero militare, o Un distacco dalla città. La rinuncia al combattimento per la propria città. In varie occasioni, i plebei utilizzarono come strumento di protesta la reticenza alla leva. La secessione è risolta dall’intervento di un gruppo di senatori romani, soprattutto Magno VALERIO MASSIMO, che era stato dittatore precedentemente, dictatura antiqua, e Menenio AGRIPPA. In alcune fonti è citato soltanto Valerio Massimo, per esempio Cicerone, in alcune soltanto Menenio, in alcune entrambi. Per l’epoca il re era sostituito da due magistrati ordinari, nominati anno per anno, i due consoli. In caso di emergenze, era nominato da uno dei consoli un dittatore, un magistrato di potere superiore ai consoli, con un collega di diritti non equiparabili, il maestro della cavalleria, e un potere praticamente illimitato. E’ instaurato però soltanto in determinate circostanze e, distintamente dai consoli, rimane in carica 6 mesi. Carica anti repubblicana. La tesi fondante della Repubblica era il ripudio del regnum, il potere di uno soltanto, che detiene tutti i poteri e non li condivide, non è sottoposto a vincoli. La secessione è sedata, riappacificazione. Dopo la vicenda, i plebei organizzano proprie strutture politiche - Una propria assemblea, i concili della plebe, per trarre scelte comuni, i plebisciti - E tribuni della plebe, inizialmente due, come i consoli. Nel tempo modificheranno le loro prerogative e il loro numero, 10 membri, e prerogative ampie, che li renderanno protagonisti ella vita politica interna. Agli esordi, i tribuni della plebe erano investiti dello iux auxilii, il diritto di aiuto. Dovevano aiutare i plebei in difficoltà, contrastante soprattutto gli abusi di potere dei magistrati patrizi. In una città patrizia, che non riconosceva le istituzioni plebee, i tribuni erano Dopo un’epoca di turbolenze, uno dei tribuni militari è plebeo.  400 a.C. > anno non casuale, nel mezzo di una guerra complessa, bellum veienx, ultima fase scontri con Veio, facilita l’apertura e l’appoggio di tutti, e anche dei plebei, la cui secessione o renitenza alla leva potevano essere ostacoli. I tribuni militari con podestà consolari detenevano poteri inferiori ai consoli, ma in questo modo plebei iniziarono a salire ai vertici dello stato, per quanto figure di potere di serie b verso i consoli. Dopo lungo periodo, perché nel 385 a.C. vi sono vicenda sovversiva, CONCLUSIONE  conclusione > delle lotte patrizio plebee, momento clou, dopo un periodo di grande turbolenza. Nel 385 a.C. avviene una vicenda oscura e sovversiva, con protagonista Marco Manlio CAPITOLINO, l’eroe delle oche del Campidoglio, che trae il cognomen ex virtute di capitolino, perché tra i Romani a guardia del Campidoglio durante l’invasione dei Galli. Aveva fermato l’avanzata dei Senoni, l’arrembaggio alla rocca, il gallo che tentava la penetrazione del colle. 20 ottobrema LEX LICINIE SESTIAE  Marco Manlio Capitolino, dopo l’episodio delle oche del 390 a.C., nel 385 a.C. tenta una cancellazione dei debiti, da portavoce esigenze dei plebei impoveriti, e tenta di crearsi una base di potere, verrà condannato. Vi è dopo un’epoca di conflitti tra consoli e tribuni, un decennio di anarchia. Nel 367 a.C. (data) viene emanato un pacchetto di leggi che conferiscono un colpo decisivo al processo di parificazione, LICINIE SESTIAE, dal nome dei proponenti, tribuni della plebe o GAIO LICINIO STOLONE e LUCIO SESTO LATERANO.  Le 3 leggi vengono incontro, risolvono in maniera parziale, le principali rivendicazioni plebee, due di queste leggi, in materia socio economica, matrice, una nel campo dei debiti, ad alleviare le condizioni dei debitori, plebei, altra in materia di terra ager publicus, la terza permette di accedere al consolato anche ai plebei. Le leggi sono informate dalle fonti in termini anacronistici.  I legge >, lex licina sestiae avrebbe stabilito secondo le fonti un limite di 500 iugeri al possesso di ager publicus. Nessun cittadino poteva possedere più di 500 iugeri di terra pubblica, ma possibile nel 367 a.C. che si fosse necessità limite al possesso di ager publicus? Iniziavano le confische di territorio ai popoli assoggettati, per esempio di Capinate, e anche Roma aumenta la propria espansione. Nel 378 a.C., area di 400 ettari, ma non possiamo immaginare un’acquisizione di ager publicus da dover porre un limite al suo possesso. Tale legge desta sospetto perchè coincide con la prima parte di una legge successiva, del 133 a.C., la Lex Sempronia agraria da Tiberio Sempronio CRACCO alla fine del II sec a.C.. L’ipotesi più probabile è che la legge licinia dalle fonti sia una retro proiezione della lex sempronia. Fu una legge contrastata, per cui alcuni storiografi ipotizzarono che la lex Licinia del 367 a.C. la ricalcasse, in tal modo legittimando la lex sempronia; creando un antecedente illustre che la sdoganava.  II legge > anche la legge Licinia dei debiti parla di una rateizzazione dei debiti, che in una economia pre monetaria come quella della metà del IV secolo a.C. non è molto concorde. Unica cosa con certezza è che un paio di provvedimenti furono varati per migliorare condizioni economiche della plebe disagiata. Il problema non fu risolto. A distanza di 25 anni, nel 342 a.C., vi fu un ammutinamento e una protesta di una parte dei cittadini che stavano militando nell’esercito di stanza a Capua, che per la ricchezza terre campane si rendono conto della propria povertà e marciano contrastando Roma. Episodio oscuro, che indica disagio economico. Anche in quel caso saranno varati provvedimenti, sempre un plebiscito genucio che alleviava le condizioni dei debitori. Bisognerà attendere fino al 326 – 313 a.C. per la promulgazione della lex petellia papiria, che aboliva il nexum la schiavitù per debiti, il giovinetto colpito dal suo creditore;  III legge Licinia > appoggiava le rivendicazioni di tipologia politico della plebe, ammette al consolato i plebei. Penetrano nella magistratura ordinaria suprema. Le fonti non raccontano in maniera corretta, perché raccontano che uno dei due seggi consolari sarebbe dovuto toccare ad un plebeo. Subito dopo, negli anni 50 del secolo, troviamo collegi a composizione patrizia, verisimile la legge del 367 a.C. non conferiva un seggio consolare ai plebei, ma si limitava ad aprire, a concedere la possibilità ai plebei di penetrazione del consolato. L’obbligo dei seggi ad un plebeo, sancito nel 342 a.C. dopo la vicenda dell’ammutinamento, quando sono varate leggi che intervengono a favore dei debitori, e che obbligano l’attribuzione di uno dei seggi ad un plebeo.  anche in ambito politico, occorre un’epoca di transizione precedentemente il processo di parificazione completo, ma la strada dell’equiparazione era aperta. Nel 356 a.C. primo dittatore plebeo, 351 a.C. primo censore plebeo. Ci vorrà più tempo perché i plebei possano accedere ai sacerdozi. Soltanto nel 300 a.C. è promulgata Lex ogulnia, che ammette i plebei al pontificato e all’augurato, pontefice impegnati nel sacro, ius sacrum, auguri in auspicia.  in ambito politico, 287 a.C. lex ortensia che stabilisce che le deliberazioni dei concili della plebe 393 a.C., i plebisciti emanati dall’assemblea, abbiano validità erga omnes, non vincolino soltanto la popolazione plebea, ma tutti i patrizi e i plebei. Plebisciti delle assemblee erano equiparati a leges, leggi delle altre assemblee fino a quel momento patrizie. SINTESI E BILANCIO  con l’approvazione dei provvedimenti, si conclude un processo di lotta plurisecolari, scontri per 2 secoli; inizio 494 a.C. termine 287 a.C.;  BILANCIO Caratteri delle lotte, chi vince, risposta non scontata, e in generale cosa ci dice della Roma del tempo. E’ una lotta politica e socio economica, portata avanti con le magistrature. La dialettica politica avviene sul piano istituzionale, tribuni contrastanti consoli, concilia plebis contrastanti assemblee a guida del popolo, da patrizi, i comizi; tale carattere si perpetua anche in seguito, in epoca tardo repubblicana, epoca di Tiberio Gracco e soprattutto di Cicerone, lotte tra populares ed optimates, ancora la politica si sviluppa sul piano istituzionale, dove spostare il baricentro decisionale, dunque Interrogativo su chi debba scegliere, i comizi, le assemblee, il popolo, o senato, una rappresentanza ristretta. E’ un carattere fondamentale di tutta la res publica, e un retaggio di epoche remote. Tali scontri non degenerano in guerra civile, una città distinta, con due gruppi, un gruppo escluso in ambito politico e socio economico, una divisione di questa tipologia avrebbe potuto sfociare in una guerra fratricida; anche per l’attualità, la complessità del dialogo tra le parti. I romani del tempo, pur divisi riescono a dialogare e trovare una pacificazione; ci si interroga su come mai non si vada oltre un moto di piazza, e non vi fosse uno scontro civile > il fatto caratteristico, una lotta che non trascende il limite, lo riconoscevano già gli arcaici, per esempio Appiano e Plutarco, che mostrano la distinzione tra esito e andamento delle lotte e quelle che avvenire tardi, in epoca tardo repubblicana, con le guerre civili e il collasso della repubblica; motivazioni non guerra civile > un elemento di spiegazione e chiave di lettura potrebbe essere il richiamo alla pax deorum, l’esistenza di una piattaforma di valori comuni, dal riconoscimento di radici religiosi. E’ un elemento frenante, perché il conflitto non degeneri in guerra fratricida, perché per esempio da un lato i plebei revochino in dubbio, fino ad un certo punto il diritto dei patrizi di prendere gli auspici, lo contrastano ma non organizzano azioni eversive, perché obbediscono rivendicazione, Plutarco parla che da tutte le lotte precedenti i potenti temevano la plebe, la demos, il popolo plebeo obbediva la bulè. Era una forma di obbedienza che non scongiurava gli esiti più trasgressivi. Era un’obbedienza in entrambi i sensi, i tribuni erano nominati da una lex sacritica, i patrizi criticavano i tribuni, ma non contrastavano l’aurea di inviolabilità. Era un deterrente un patrimonio di valori religiosi comunitario o più in generale > La Roma del tempo si caratterizza per assetti e mentalità di valori collettivi che funziona da ponte tra le parti, che invita al dialogo e concede la possibilità di evitare visioni nette e schematizzazione degli scontri. Con la promulgazione delle leggi licinie sestie e i provvedimenti dopo, fino alla lex Ortensia si conclude un plurisecolare processo di lotta. Nasce una istituzione sociale e statale innovativa, e alcuni parlano di una nuova res publica, perché la repubblica romana dopo le lotte patrizio plebee assume una fisionomia definitiva, che subirà dei cambiamenti ma rimarrà invariata fino ad Ottaviano. Con la fine delle lotte patrizio plebee termina un assetto statale che privilegiava i rapporti di parentela, e si impone un modello civico e statuale che considera più importanti a criteri distinti -censitari La classe dirigente non è più una casta fondata sul diritto di nascita, i patrizi, ma aperta, mista. Accedono alle cariche da voto popolare tanto patrizi quanto plebei. Si era scelti in base al centro, dunque aristocrazia innovativa, non per nascita ma censitaria. L’essere patrizio o plebeo conta ma non costituiva un limite preclusivo. Nasce una classe dirigente innovativa, con un gruppo patrizio o plebeo. I criteri politicamente importanti erano distinti. Il termine patrizio andrebbe da tale momento sfruttato con parsimonia. Dopo il 367, dal 3’ secolo, per vicende di media e tarda repubblica, il termine flex non designa il gruppo contrapposto ai patrizi, dei primi secoli, escluso da magistrature e sacerdozi, ma gli strati inferiori della popolazione, più poveri. Classificazione socio economica distinta. In ambito istituzionale, la Roma dopo il conflitto tra gli ordini inizia a definire i propri assetti. Magistrature  magistratura somma è ribadita il CONSOLATO, cui si affianca soltanto in casi eccezionali la DITTATURA Proseguono varie magistrature, CENSURA (443) e QUESTURA. Poi anche PRETURA, dal 367, inizialmente un pretore soltanto, che si occupava di ius dicere, dirimere le controversie tra cittadini, questioni di diritto privato. Due nel 242, Pretor peregrinus introdotto in seguito per liti fra stranieri e rispetto degli uni verso gli altri, configurazione della società romana del tempo e successive , improntata a rapporti gerarchici . FAMILIA ROMANA Nucleo base di ciascuna società. La familia romana era distinta da quella attuale. Riuniva non soltanto i membri legati da un vincolo di parentela, o di coniugio, ma tutti coloro che per nascita o per diritto erano sotto il potere, l’aucutoritas, del pater familias. Egli era non soltanto il padre, ma il membro maschio più anziano della familia, colui che non detiene ascendenti sopra di lui, nonno o bisnonno. Non il padre ma il capo famiglia. Esercitava una podestas verso i sottoposti, addirittura il diritto di morte, sui figli, i nipoti, la moglie, le nuore, gli schiavi. Poteva anche vendere i figli, escluderli dal patrimonio, dominare i matrimoni, fino alla morte, dominio sine fine. Soltanto allora i figli, e non gli schiavi, divenivano titolari di diritto, soggetti di diritto, sui iuris, e i maschi diventavano pater familias. Nel concetto di familia romana non prevaleva il valore del rapporto parentale o coniugale, ma il dominio, la podestas. Ci si interroga sull’incidenza di tale podestas. Il pater familias deteneva un potere così ampio verso schiavi, nuore. Gli studiosi detengono varie opinioni. Saller parla che il pater familias non esercitasse il potere in modo così perentorio, dalla considerazione sociale negativa. Le fonti raccontano di giovani virgines uccise dal padre per atteggiamenti non pudici. - PATRIA POTESTAS  Valerio Massimo ricorda di una fanciulla uccisa perché aveva baciato il suo precettore, una moglie fustigata perché aveva bevuto vino, un figlio esiliato in campagna perché non obbediva al padre. Episodi del genere erano però rari. Le fonti li ricordano in quanto eclatanti. La durata media della vita era breve, e i figli si emancipavano presto dal pater familias. L’istituzione cambia nel tempo. In tale carattere connota gli anni iniziali della repubblica. Già dal decemvirato penetra un’istituzione per cui alcune donne rimanevano sottoposte al potere del padre pur da sposate, e divenivano alla loro morte titolari di diritto, sui iuris. Già verso la tarda repubblica vi erano donne denarose, infatti ereditavano. Potranno scegliersi un difensore, indipendenti nella gestione dei loro possedimenti. Deterranno autorità nell’educazione dei figli, per esempio Cornelia la madre dei Gracchi, educazione innovativa dei figli TIBERIO e CAIO GRACCO, 323 e 321 a.C. tentativi di riforma. Ulteriori avanzamenti in epoca imperiale, quando con la proclamazione del una signora avrebbe potuto essere esentata dalla difesa, dunque agire in modo indipendente. La condizione delle donne migliora nel corso del tempo, anche con notevole libertà. La Roma antica è comunque uno Stato patriarcale. Imbecillus sexus, il modello femminile dalla letteratura, dama sottomessa. L’avanzamento si interromperà con la religione cristiana. Tale concetto giuridico, del potere paterno, connotava il concetto di familia, basata sulla gerarchia e l’autorità. Spiega la configurazione a Roma delle classi d’età., gli adulescens nella Roma arcaica erano fino i 28 anni, iuvenes fino ai 50 anni. Dilatazione delle classi d’età oltre i limiti biologici pare dipendere da un’istituzione come la patria podestas, perdurante sottomissione ad un’autorità paterna, anche quando il figlio era adulto e aveva iniziato la carriera politica. Le fonti raccontano di figli consoli che di fronte al padre abbassavano i fasci littori e assumevano un atteggiamento di ossecuum. IL CASO DI GAIO FLAVINIO Gaio Flaminio, un celebre politico di Roma del fine 3’ secolo a.C., che stava perorando una legge contrastata, la distribuzione di terre nell’Agro Gallico, nelle Marche, fu trascinato dal padre giù dai rostri, la tribunal. L’autorità paterna valicava molte cose. Il mondo romano avvertiva il vincolo dell’autorità, che avrebbe potuto espandere un atteggiamento diffuso di ossequio verso l’autorità, anche nel conflitto tra patrizi e plebei. Per esempio, caratteri dei rapporti interpersonali. 1- Un istituto della società romana era la CLIENTELA. - DIONIGI DI ALICARNASSO DIONIGI di ALICARNASSO, autore di epoca augustea, che compone una Storia di Roma arcaica in 20 libri, per far conoscere al pubblico greco o grecofono l’origine di Roma, contrastante pregiudizi, volto alla dimostrazione ai Greci che Roma non è una città barbara, ma di matrice greca, un polis ellenis, dovette ammettere che la clientela era un istituto tipico ed esclusivo soltanto di Roma. - LA CLIENTELA La clientela era un rapporto di scambio, un istituto che regolava i rapporti interpersonali tra individui. Rapporto tra un soggetto in posizione di superiorità, il patronus, e un cliens, in posizione di inferiorità. Il cliens era tenuto ad obblighi verso il patrono, obblighi che mutavano nel tempo a seconda delle epoche, spesso aiuto militare e corvees agricole. Il patrono garantiva difesa al cliens. Era un istituto di origine arcaica, di epoca anche proto repubblicana. Nelle 12 tavole era sancita una legge magico religiosa contrastante un patrono che non obbediva ai doveri verso il cliens. Era un istituto sociale basato su una gerarchia e un’obbedienza verso un superiore. Contribuiva probabilmente ad atteggiamenti di obbedienza verso l’autorità. Creava vincoli di solidarietà tra individui, probabilmente di ordini distinti, patrizi e plebei, dunque oltre gli ordini. Vincoli che creavano collusioni tra le parti. Evitavano una divisione netta tra i due gruppi, scongiurando una radicalizzazione del conflitto eccessiva. Allo stesso obiettivo contribuivano anche 2- La distribuzione trasversale della ricchezza. I plebei erano di composizione varia, e annoveravano anche famiglie ricche, che riuscivano a costituire un patrimonio tanto da poter ambire ad un matrimonio misto. Creava collusioni, convergenze di interessi tra gruppi, ed evitava una radicalizzazione. Detenevano in comune un patrimonio di valori, ma anche ipoteticamente interessi economici e talvolta legami sociali e personali. 3- Il continuo impegno in guerra Avrebbe potuto coadiuvare una coesione tra le parti. Potenziava l’orgoglio nazionale e il superamento di conflitti. Non varrebbero in mancanza dei legami, in termini di mentalità e rapporti sociali appena citati, perché attacchi esterni in altre circostanze potrebbero anche comportare la dissoluzione di una civitas. Le divisioni interne potrebbero essere sfruttate dai nemici esterni. Nel caso di Roma si ritrova invece la concordia per motivi disparati, appena citati. Conducono ad una pacificazione. Chi vince tra patrizi e plebei? Interrogativo che potrebbe parere ozioso. - PERCHE’ NON SI PARLA DI VITTORIA DEI PLEBEI Non si parla di vittoria plebea di pacificazione, compromesso composizione, avrebbero vinto i plebei, che riuscirono a detenere dal 367 fino al 287 ascolto delle rivendicazioni politiche -ammissione al consolato -la magistratura -i sacerdozi, per ultimi, con ampia resistenza E socio economiche, processo più lento, più ascoltati i plebei ricchi. Gradualmente anche le situazioni di disagio economico sono superate, addirittura con l’abolizione del nexus, problema per i plebei poveri. Le richieste dei plebei sono ascoltate, per -discrepanza numerica tra i gruppi. Il gruppo dei patrizi si assottiglia. Da 46 ad inizio V secolo, le famiglie patrizie del 367 sono una ventina. I plebei costituivano la maggioranza della cives. Erano le famiglie che stavano perdendo i caratteri di clan tribale che detenevano all’inizio. Detenevano un nomen gentilizio, che potevano scindersi in più rami, di origini patrizi. Claudii, Fabii, Giulii. Sfruttavano la reticenza alla leva. Non si parla di vittoria plebea, ma di pacificazione  perché i patrizi mantennero una primogenitura, un diritto di prelazione quasi nell’esercizio del potere. Mantengono la penetrazione esclusiva ad alcune cariche religiose Per divenire senatori occorreva essere stati magistrati. Quando i plebei penetrano nel consolato e poi nelle varie magistrature possono penetrare nel gruppo ristretto dei senatori. Gli ultimi studi parlano invece più di una volontà di creare una città distinta, una secessione come distacco dalla città d’origine. Ci si interroga se nel movimento plebeo si possa parlare di una coscienza di classe  più di una coscienza di gruppo. I plebei, pur di composizione eterogenea, per esempio economica, costituirono una solidarietà e un’organizzazione in movimento. La locuzione coscienza di classe è adoperabile in senso lato. A Roma bisogna intendersi nel termine classe. Come gruppo che detiene delle cose in comune, si potrebbe parlare di coscienza di classe. Classe in termini marxiani, non propriamente romana, perché la classis romana era un gruppo qualificato in ambito economico ma soprattutto giuridico e istituzionale. I patrizi come membri dei clan gentilizi da cui si fonda il nucleo della città. E i plebei come coloro qui gentes non habent, che si agigungono a Roma in ascesa, con varie opportunità, un primissimo nucleo avrebbe potuto essere fondato soltanto da patrizi, ma le origini della dicotomia e i motivi per la fondazione di tali due gruppi sono oggetto di dibattito. L’origine della città raccontata in modo rielaborato non concede la possibilità di verifica dei dati. Se i patrizi fossero stati i primi nuclei gentilizi, sarebbero stati il nucleo primario della città. CULTURA L’istruzione varia secondo il ceto sociale. La prima fase di istruzione era abbastanza comune, per maschi e femmine. Le madri si dedicavano all’educazione dei figli, come educatrici, mansione primaria della dama, rendere i figli buoni cittadini. Da grandi acquisisce importanza l’insegnamento dagli uomini. Con la maggiore età, cambiavano i riti di iniziazione. Un puer era presentato nel foro, affiancato ad un luminare, un politico o un avvocato del foro per il tirocinio, e indossava una toga. La dama passava all’età adulta con il matrimonio, che la ancorava ad una carica che la limitava. Alcune donne erano acculturate. Cornelia era dottissima. L’educazione dipendeva dalla sensibilità delle famiglie e del padre, dalle circostanze. Virginia per esempio si recava a scuola, pubblica per rango non elevato, quando Appio Claudio si innamorò di lei. Le ricche detenevano un precettore privato. Le donne in epoca repubblicana non potevano essere insegnanti. In epoca tardo repubblicana e imperiale, le donne romane detennero ambiti ampi di emancipazione, anche in organizzazioni a guida maschile. Le dame erano escluse dalla comune conditiorum, non potevano rappresentare loro stesse, ma erano cives, investite di cariche quali l’educazione dei figli, la procreazione. Erano spesso collegate all’ambito non del raziocinio ma dell’istinto, per cui alcune mansioni religiose potevano espletarle. Nel ratto delle Sabine, dove gli uomini non giungevano ad una soluzione, le donne avrebbero potuto svolgere una carica dirimente. CORIOLANO, il capo dei Volsci contrastante i Romani, è da essi sconfitto quando si presenta una delegazione di donne, guidata dalla madre e la moglie di Coriolano, che lo convincono a smettere. Potevano dunque detenere una carica in momenti di conflitto, non di quotidianità. Double standard, dama pudica e se virgo illibata, nupta, fedele al marito. Vestali, castità assoluta. Erano costrette a comportamenti di pudicitia, giudicati dagli uomini.li uomini potevano detenere concubine ed essere considerati pudici. In epoca della tarda repubblica, le donne romane potevano ereditare, erano dunque danarose, e potevano scegliere a discrezione una gestione indipendente dei territori e del potere. In epoca imperiale, promulgazione dello ius trium liberorum, il diritto dei tre figli, con il Cristianesimo le condizioni femminili regrediscono, come indica Cantarella, dopo un progressivo affrancamento. CONCLUSIONE conclusione > le leggi liciniae sextiae fino Ortesia 367 a.C secolare processo di lotta, nasce un nuovo organismo statale e civico e sociale, ovvero parlare di una nuova res publica, del patrizio plebeo fisionomia definitiva, trasformazioni nel corso del tempo e rimarrà invariata fino al crollo della res publica fino Ottaviano e Azio. Termina una istituzione fondata sui rapporti di sangue e di parentela. Modello civico e statuale che invece maggiore importanza agli altri censitari e non solo, la classe dirigente non casta diritto di nascita i patrizi, ma dirigente aperta e mista, accedono alle cariche tramite voto popolare, selezionati, patrizi e plebei, si viene scelti del censo aristocrazia non per nascita e censitaria, virtutes, genus e stirpe, patrizio plebeo essere conta nei limiti ma non preclusiva dominanti e altri. plex, termine, dopo il 367 a.C dal III sec in avanti, significato non gruppo patriziato e magistrature ma indicare gli strati inferiori popolazioni e meno avvantaggiati, configurazione socio economica diversa cambia uso dei termini; integrate assemblee plebe 287 a.C. stesso valore deliberazione ed assemblee, popolo 25 ottobre Dalla pacificazione tra 367 e gli inizi del III secolo a.C. L’ordinamento si fondava su tre segmenti -le assemblee -le magistrature -il Senato Motivo per il quale si parla della Repubblica come ordinamento tripartito. Tre organi o tipologie di organo, perché la magistratura e l’assemblea più di una, che si occupavano della gestione della cosa pubblica, interdipendenti e che si dominavano a vicenda. Gli arcaici, riconoscendo il carattere composito dell’ordinamento romano, parlavano di costituzione mista. Nella descrizione di tali tre tipologie di soggetti istituzionali, le assemblee  segmento cui partecipavano più membri al circuito di scelta. Vi partecipava il popolo, i cittadini. Polibio, storiografo greco, nel VI libro delle Storie soprattutto, nel descrivere la politeia romana con sguardo da allogeno, individua la presenza di un principio democratico. Il popolo, il demos nelle parole dell’autore greco, il demos che nominava i propri rappresentanti, i magistrati, votava alcune leggi e svolgeva cariche giudiziarie. Le assemblee erano talvolta corti giudicanti, in processi che ledevano gli interessi di tutta la collettività, i crimina, distinti già dalle XII tavole i delicta, perseguiti per via privata, da vari soggetti, i pretori. Sartori, in ciascun ordinamento, vi è all’inizio un popolo, e come esso è fatto votare. I modi in cui un popolo vota connota una certa politeia. Nelle assemblee a Roma votavano coloro che detenevano il ius suffragi, il diritto di voto, in base a requisiti di -età  i maggiorenni -sesso  soltanto i maschi -status personae  occorreva essere ingenui, status personae uomini di nascita libera, non schiavi, e status civitatis  cittadini, posizione nella comunità politica. Gli stranieri erano esclusi dalle assemblee. Vi erano però dei cives che non votavano, non soltanto le donne e i minorenni, ma anche cives maschi adulti e liberi, i cives sine suffragio, senza diritto di voto. Erano per esempio i popoli che Roma aveva vinto e dominato, cui aveva concesso la cittadinanza ma non il diritto di voto. Tuscolo nel 381 aveva ricevuto la cittadinanza piena, ma dopo la guerra latina del 338 a.C., a Capua, città campana, per esempio, è concessa la cittadinanza ma sine suffragio. Il suffragium sarà conferito dopo. Vi erano anche degli stranieri non cittadini che votavano, per esempio i Latini. Termine che varia nel corso del tempo, come molta terminologia romana. Erano gli abitanti delle città del Lazio alleate di Roma, vinte nella battaglia del lago Legillo e che stipularono il Foedus Cassianum. Non indicherà soltanto i latini intesi geograficamente ma in generale chi godeva del diritto latino. Erano alleati di serie A, affini per i Romani, con particolari privilegi, diritto di conubium, di commercio con i Romani, e addirittura in caso di trasferimento a Roma il conferimento della cittadinanza, il ius migrandi. Tali non cittadini, emigrati, latini, detenevano il diritto di voto, in forme limitate e con importanza politica circoscritta. Vi erano anche non liberi, non ingenui, che votavano  i liberti, pur non adempiendo alle condizioni dello status personae. Le 4 assemblee erano strutturate per gruppi. I cittadini votavano non singolarmente, ma all’interno di gruppi, unità votanti, configurate in modi disparati a seconda degli organi votanti. L’origine e i motivi della struttura per gruppi della società romana sono ignoti. Alcuni li considerano dalle società tribali, pre civiche, ma sono ipotesi. La struttura per gruppi delle assemblee parla di un aspetto distintivo della società romana  non individualistica ma collettivistica. L’individuo conta non come singolo, ma perché membro di un insieme di rapporti interpersonali, verticali e orizzontali. Temi anche per due istituti come la familia e la clientela. I rapporti che legavano il patronus e il cliens. Anche gli arcaici riconoscevano nella struttura per gruppi un carattere distintivo dell’apparato assembleare romano anziché varie città, per esempio le poleis greche. Brano della Pro Flacco, di Cicerone Orazione pronunciata dall’Arpinate nel 59 a.C., in difesa di Lucio Valerio Flacco, che era stato governatore della provincia d’Asia, e pare avesse abusato del potere. Fu accusato di estorsione, repetunde verso i provinciali, nel 59 a.C. Cicerone lo difende, anche per un debito di riconoscenza verso Flacco, nel 63, quando egli era pretore e Cicerone console, in occasione della congiura di Catilina, vicenda clou della carriera di Cicerone. L’orazione interessa per il brano in cui Cicerone contrasta le assemblee informali, che non approdavano ad una votazione, e le assemblee formali, comizi e concili, che approdavano ad una scelta. “I nostri saggi e venerandi antenati vollero che la contio non avesse nessun potere, e che le decisioni della plebe e del popolo fossero applicate o respinte solo dopo che la contio fosse sciolta, i gruppi di votanti distribuiti, ordini sociali, classi di censo e classi di età rigorosamente divisi per tribù o per centurie, gli autori delle proposte ascoltati, l’ordine del giorno esposto e conosciuto per molti giorni” Dovevano seguire tali requisiti, tra cui la divisione, centuriatim e tributim, fondamentale per Cicerone perché il giudizio fosse corretto. Contrasta le città greche dove tutti votavano in mancanza di requisiti. Conseguenze di tale strutturazione per gruppi sul meccanismo del voto Anche il voto è un voto di gruppo, dunque il voto del singolo cittadino è assorbito nel voto dell’unità votante, non per caput. Sono organizzate per gruppi: il Cittadino non vota per se ma ci sono voti per gruppo. I comizi curiati (fondati da Romolo -?-) i cittadini partecipano nelle curie. Romolo avrebbe diviso il popolo romano in 3 tribù: Tities, Ramnes e Luceres, ulteriormente ripartite in 10 sottogruppi, le curie. Un uomo votava nella propria tribù e curia. Nella curia si calcolavano i voti. La maggioranza valeva 1. E’ il voto della curia o della centuria. Il voto finale era la somma dei voti delle unità, delle centurie, le curie e le tribù, non la somma matematica del voto dei singoli. Di tot voti a disposizione, la maggioranza di ciascuna curia valeva 1. Il voto di maggioranza espresso dal numero maggiore di curie esprimeva il voto finale. Nelle assemblee contavano criteri disparati. Nei comizi curiati, progressivamente perdenti importanza, contavano i legami di sangue. Epoca in cui la famiglia era il centro. Nei comizi tributi, l’abitazione, i rapporti con i contribules. Per esempio, per un uomo politico romano il non essere votato da coloro che abitavano nel distretto territoriale suo, i contribules era un’onta. Nei comizi centuriati, i criteri censitari  elemento più caratteristico del sistema. La diseguale distribuzione delle centurie nelle classi di censo, si nota che la prima classe, con 80 centurie, 98 aggiungendo le 18 della super classe dei cavalieri, comportava che il voto compatto dei due gruppi avrebbe fatto loro raggiungere la maggioranza. Più del numero totale di voti. Avvantaggiava i ceti di censo più elevato. Dal voto per unità e non per caput. Le 80 centurie della prima classe diverranno 70, per cui il voto della seconda classe diverrà più prezioso, ma a vantaggio dei membri delle classi censitarie più elevate. Perché tale configurazione, più centurie nelle prime classi? Tale distribuzione detiene inizialmente un motivo facile, la doppia carica politica e militare dell’ordinamento centuriato. La centuria era unità di voto ma anche unità di leva, per cui i ceti elevati dovevano fornire più uomini di leva, fanti armati molto, con maggiori oneri militari, dunque erano riconosciuti loro maggiori diritti di scelta. Sistema gerontocratico, perché i vecchi erano inferiori ai giovani ma detenevano medesimo numero di centurie, in modo che i possidenti detenessero maggior numero di voti. Contribuivano di più alla difesa della res publica, continuamente impegnata in guerra, dunque detenevano maggior diritto di espressione. Uguaglianza geometrica, non matematica  ciascuno valeva in base ai propri mezzi, ai gradus dignitati, cui influivano anche le ricchezze. Liv. I 43.10-11 -> “Il voto non fu dato ai singoli individui, indistintamente a tutti con la stessa efficacia e lo stesso diritto, ma furono creati dei gradi, in modo che nessuno sembrasse privato del diritto di voto, ma tutta la forza rimanesse ai maggiorenti della città. [Infatti erano chiamate a votare per prime le diciotto centurie di cavalieri, poi le 80 centurie di fanti della prima classe. Se a questo punto non si era ancora raggiunta la maggioranza, cosa che accadeva di rado, si chiamava al voto la seconda classe, e quasi mai si scese al punto da far votare i ceti più bassi]”. Concetto anche nel De republica di Cicerone, soggetto Servio Tullio Cic. Rep. II 22 -> “Quindi … distribuì la parte che restava del popolo in 5 classi, separando i giovani dai vecchi, in modo che i voti fossero in potere non della moltitudine ma dei ricchi, e fece in modo che, cosa che deve essere osservata in uno Stato, i plurimi non valessero di più…così nessuno era escluso dal diritto di voto, ma aveva più peso nel voto colui cui stava più a cuore che la città versasse in ottimo stato”.  potere non della massa ma dei ricchi e fece in modo che i di più non valessero di più. Aveva più voto chi aveva più a cuore che la città non perdesse. Cic. Leg. III 44 -> riferimento ai processi capitali “I nostri antenati vollero che solo i comizi centuriati potessero deliberare su singoli individui: il popolo rigorosamente distinto per censo, rango ed età è più adatto ad un giudizio meditato di quando viene indistintamente convocato per tribù”.  concetto dei gradus dignitati. Tale bilanciamento di oneri e onori si modifica con il tempo. Già a fine IV secolo o dal III, le cose cambiano in ambito militare, mentre in ambito rimaneva tale struttura, distribuzione dell’importanza politica. A seconda delle circostanze erano convocate le varie assemblee. Distinte infatti per composizione, criteri organizzativi e competenze. 26 OTTOBRE Tali assemblee nominavano i propri MAGISTRATI  secondo segmento del sistema, erano gli uomini di governo. Il termine magistratus si costituisce sul comparativo magis, e i magistrati erano coloro qui magis possunt, che potevano più degli altri per la posizione elevata nella comunità. Detenevano il potere di comando, di coercitio, di applicazione di leggi, affinché gli ordini fossero osservati. I magistrati erano corredati da ufficiali subalterni armati, per le misure disciplinari, come l’arresto, il pignoramento. I consoli e i magistrati superiori erano corredati dai littori  gli uomini armati del fascio di verghe, unite da cinghie di cuoio rosso, che simboleggiavano il potere di verberatio, di fustigazione. In alcune circostanze potevano condurre le scuri, che simboleggiavano il potere di mettere a morte. Il magistrato poteva l’invio a morte non in città, distintamente dai dittatori, che potevano condurre i fasci con le scuri anche in città. Erano corredati dai piatores, degli ufficiali armati di bastone. A Roma non vi era una polizia. Era una città di ideologia censitaria e aristocratica. La penetrazione alle magistrature, il ius onoris, era più ristretta che l’accesso al voto, il ius suffragi. Per il ius onoris occorreva essere maschi, adulti, ingenui e cittadini, tutte le condizioni del ius suffragi, ma anche detenere il censo equestre, dunque essere membri della classe di censo più elevata. il censo equestre nel III secolo era dieci volte superiore a quello della prima classe. Nella tarda repubblica, quando la forbice si amplia, il censo equestre era addirittura 16 volte il censo della prima classe. Le fonti non dicono che per detenere il ius onoris occorresse appartenere al censo equestre, ma dell’obbligo di militare per dieci anni. Da vari cenni ci si rende conto occorreva militare nella cavalleria, dunque detenimento del censo equestre. Non si potevano esercitare lavori non prestigiosi. La tesi del criterio censitario era che la politica è un’attività gratuita, non remunerata. E’ un servizio alla res publica, res populi, per cui occorreva una solidità patrimoniale. “Quindi … distribuì la parte che restava del popolo in 5 classi, separando i giovani dai vecchi, in modo che i possidenti disponessero di un maggior numero di voti e che la maggioranza numerica non avesse il sopravvento; e questo è un principio di particolare importanza nella amministrazione di uno stato…così nessuno era escluso dal diritto di voto, ma aveva più peso nel voto colui cui stava più a cuore che la città versasse in ottimo stato”. Cic. Leg. III 44: Ferri de singulis <ni>si centuriatis comitiis noluerunt. Discriptus enim populus censu ordinibus aetatibus plus adhibet ad suffragium <con>silii quam fuse in tribus convocatus. “I nostri antenati vollero che solo i comizi centuriati potessero deliberare su singoli individui: il popolo rigorosamente distinto per censo, rango ed età è più adatto ad un giudizio meditato di quando viene indistintamente convocato per tribù”. 26/10/2021 Chi è eletto: i requisiti del ius honorum  Detenzione del ius suffragii  Censo equestre  Pieni diritti civili e politici  Onorabilità Per avere il ius honorum, il diritto di essere eletti e accedere alle cariche, bisogna anche avere il censo equestre, pieni diritti civili e politici e onorabilità. Chi era membro dei comizi curiati lo poteva essere anche dei comizi tributi. Le tre assemblee riunivano tutto il popolo. Non vi era l’obbligo di partecipazione, anzi infrequentia problema della repubblica romana, ma in tutte le assemblee votavano tutti i cittadini. Nei concilia plebis, anch’essi tributa, dunque organizzati per tribù come i comizi tributi, votavano soltanto i plebei, i patrizi erano esclusi. Il corpo civico era però quasi ormai costituito del tutto da plebei. La componente patrizia si assottiglia fino a diventare irrilevante. Un cittadino plebeo poteva partecipare a tutte le assemblee. Per la nomina dei consoli, erano convocati i comizi. Quando andava votata una legge presentata da un tribuno erano convocati i concili della plebe. Quando si trattava di svolgimento di un processo davanti al popolo, dov’erano accusate da edili curuli imputati donne, erano convocati i comizi tributi. Nei dies comitiales, quando era possibile l’attività assembleare, erano convocate delle assemblee debite, a seconda dell’attività pubblica. Nei comizi tributi potevano votare anche quelle categorie che apparentemente avrebbero dovuto essere escluse, stranieri come i latini, non ingenui come liberti, ma in una tribù estratta a sorte. Il voto della tribù valeva uno, perché il voto valeva per gruppi e non per caput, la volontà di latini e liberti era limitata, anche per orientare il voto della tribù in cui votavano. Lo ius suffragi riconosciuto a latini e liberti non era politicamente significativo, ma simbolicamente. LE MAGISTRATURE Caratteri delle magistrature ordinarie  Eleggibilità  Durata a termine  Collegialità  Ulteriori limitazioni Si formano nel corso del tempo in circostanze e con finalità distinte. Dal 367 a.C., con il termine della lotta tra gli ordini, assumono una fisionomia sempre più organizzata, e si fissano in un certo ordine, gerarchicamente impostante, a cui si allude con l’etichetta di cursus honorum, il corso degli honores, le cariche. Nella forma tradizionale, in ordine ascendente, la questura, l’edilità plebea o curule, il tribunato della plebe, la pretura, il consolato e la censura. Un uomo che volesse se gerere in rem publicam, dedicarsi all’attività pubblica, deteneva in successione tali cariche. Questura, o edilità o tribunato, o entrambe, talvolta anche le due edilità, e plebea, pretura, consolato e censura, grado più elevato. La regolarità di tale ordine di cariche varia nel corso del tempo. In alcuni momenti drammatici della storia romana la successione non era osservata, per esempio guerra punica e tarda epoca repubblicana. Funzionamento del sistema in epoca di massima funzionalità, la media repubblica, tra metà IV e metà II secolo a.C. Esordi oscuri della magistratura Carica inferiore, primo gradino, QUESTURA  in epoca storica, dal 487 a.C., i questori erano due, aiutanti dei consoli in ambito amministrativo e finanziario, erano i ragionieri di stato. Amministravano l’erarium Saturni, il tesoro dello Stato detenuto nel tempio di Saturno. Il loro numero varia nel corso del tempo. Da 2 a 6, negli anni tra la prima e la seconda guerra punica, poi 8 e addirittura 20 in epoca sillana, 40 sotto Cesare. Tale dilatazione quantitativa riflette l’ampliamento dell’Impero Romano, una città Stato che acquisisce un territorio vastissimo, e il moltiplicarsi dei compiti amministrativi e gestionali del governo. La questura, come le varie magistrature, edilità e tribunato, era una magistratura inferiore, nominata dai comizi tributi, dai concili della plebe nel caso di edili della plebe. Le magistrature superiori  pretura, consolato e censura, erano designate dai comizi centuriati. Dopo la questura, l’uomo politico poteva rivestire l’edilità. L’EDILITÀ plebea era una carica fondata in epoca della prima secessione, in cui gli edili plebei sarebbero stati due, aiutanti dei tribuni, con le medesime competenze dei questori verso i consoli  cura degli archivi e del tesoro plebeo, detenuto nel tempio di Cerere, Libero e Libera nell’Aventino. Nel 367, con la pacificazione tra gli ordini, a fianco degli edili plebei, sono fondati altri due edili curuli (hanno sedia curulis di avorio), con medesime competenze circa, ma alcune distinzioni, inizialmente soltanto per i patrizi, poi per i plebei. Gli edili plebei soltanto per i plebei, edili curuli patrizi o plebei. Gli ultimi detenevano verso gli altri dei privilegi onorifici  toga praetexta, e sedere sulla sella curulis, di avorio. Più o meno medesime competenze  una serie di cure, mansioni di sovraintendenza di ambiti -annone, sull’approvvigionamento granaio della città -degli archivi -viarum, cura delle strade e dei posti pubblici, -aedium, degli edifici pubblici, soprattutto dei templi, -ludorum, dei giochi e degli spettacoli che riunivano la città, -una generica cura urbis, la cura dell’ordine pubblico A Roma non esisteva una polizia. Ciascun magistrato deteneva un certo potere di coercitio, di imposizione di misure sanzionarie, ed era corredato da ufficiali subalterni, i littori e i viatores. Gli edili detenevano quasi mansioni di polizia. Erano a dominio dei mercati e dei giochi, dunque di posti con assembramenti, folle, e più facilmente incidenti. Per esempio, episodio del 246 a.C., nella fase finale della prima guerra punica, guerra complessa e lunga, 264, 241. Come per noi la Grande Guerra, conflitto che destò scalpore, Roma era in buona posizione verso Cartagine, aveva conquistato quasi tutti i possedimenti cartaginesi in Sicilia, ma non riusciva a chiudere la guerra. La flotta guidata dal console Publio PULCRO era stata decimata. La sorella di Pulcro, Claudia, dopo la morte del fratello, assistette ai giochi e uscendo dall’arena con il carro fu sballottata dal popolo, e pronuncia una frase non edificante, Magari tornasse indietro mio fratello e facesse fuori tale gentaglia che mi disturba. Udita dalla folla, si origina una protesta, e intervengono gli edili, preposti alla cura ludorum e alla cura dell’ordine pubblico, che processano e multano Claudia. Gli edili erano due plebei e due patrizi. In epoca cesariana si aggiungeranno degli edili ceriales, che si occuperanno delle distribuzioni di cereali, nella tarda repubblica. Potevano perseguire crimina, delitti che attentavano gli interessi di tutta la comunità, nell’ambito di alcune inchieste ufficiali. Nel corso del tempo, ai iudicia popoli, i processi davanti le assemblee del popolo, si affiancano dei tribunali speciali, istituiti ex senatu consulto, da un decreto senatorio o ex lege plebiscito, con voto dell’assemblea della plebe, tribunali speciali guidati da un pretore di solito per la cognizione di un episodio criminoso, il cui verdetto non è posto a tutta l’assemblea del popolo, ma demandato ad una giuria ristretta scelta dal pretore. Agli inizi del II secolo a.C., vi sono delle inchieste riguardo a presunti crimini dei membri delle sette bacchiche. Inchieste da voto del Senato e dal popolo, guidate dal console e dal pretore. Istituiti dei tribunali speciali, con delle giurie ristrette, che promulgano un verdetto su tali crimini. Varie inchieste agli inizi del II secolo per episodi oscuri, avvelenamento tramite velena, veleni o riti di magia nera, affidati a tribunali speciali guidati da un pretore. -I pretori detenevano l’imperium anche militare, la facoltà di conduzione degli eserciti. Le campagne più importanti erano organizzate dai consoli, ma al loro fianco vi erano anche i pretori, per le campagne sui fronti non pericolosi. -Anche i pretori potevano la convocazione dei comizi e del Senato. - Ai pretori è demandata la carica di dominio delle province. Roma organizza le proprie conquiste fuori dall’Italia in forma di province, distretti territoriali sottoposti a tributo e a dominio diretto di un magistrato romano. La prima provincia sarà la Sicilia, o meglio i possedimenti cartaginesi in Sicilia, conquistati dopo la vittoria contrastante Cartagine nella seconda guerra punica, 241 a.C. A governo delle prime province vi sono inizialmente i pretori  perché detenevano competenze militari e competenze giurisdizionali. L’accesso alla pretura era più facile di quello alla censura, con posti soltanto 2, e uno fino al 172 riservato ai patrizi. Il consolato è la massima carica dello Stato, contraddistinta da simboli onorifici, la toga praetesxta, la sedex curuli, e 12 littori, che recavano le verghe in alcuni casi addirittura con le scuri innestate, a simboleggiare l’abilità repressiva del magistrato. Ciascun console deteneva 12 littori. In epoca di guerra tra patrizi e plebei, precedentemente l’ammissione dei plebei con le leggi licinie sestie, le lamentele di una delle figlie di MARCO FABIO AUGUSTO, patrizia, che aveva sposato un plebeo, per quanto illustre e capo della protesta finale, distintamente dall’altra sorella, si lamenta con il padre perché il marito non arrivava preceduto dai littori, come invece il marito della sorella, rivestendo il ruolo di console. Inizio dell’ultima fase della lotta tra patrizi e plebei, fino alle leggi licinie sestiae. I consoli detenevano il pieno potere di comando, domi, in città, e delle milizie in guerra. Potevano presentare leggi, convocazione del Senato, indire le leve, stabilire gli ufficiali dell’esercito, imporre tributi per occorrenze militari. Detenevano il monopolio del dialogo con gli dei, e prendevano gli auspicia, con l’aiuto dei sacerdoti. CENSURA  i censori erano nominati dai comizi centuriati, erano due e anziché i consoli e le magistrature precedenti, non erano in carica annuale, ma quinquennale. Non restavano in carica per 5 anni, ma per 18 mesi. Il resto del lustro era in mancanza di censori. La censura era dunque una magistratura ordinaria (nominata periodicamente), ma non permanente. La carica della censura era il censimento  non semplicemente conteggio (computo) dei cittadini, ma un’operazione molto più complessa, l’assegnazione di ciascun cittadino del proprio posto nella civitas, concepita come un insieme organico, in cui ciascun membro deteneva specifiche mansioni, diritti e doveri, in una sinergia nella distinzione delle funzioni, pena la crisi della città. È attività fondamentale in una società stratificata e gerarchizzata come quella romana. Il proprio nome, la specifica dell’abitazione, i nomi di coloro che per nascita o per diritto erano sottoposti alla patria potestas sua, moglie, figli e schiavi. Ciascun cittadino era censito nella tribù, nella classe di censo, nella centuria, secondo l’età, il censo e il domicilio. Da tale classifica dipendevano il rango, la posizione nella città, la contribuzione fiscale. A Roma non vi era una tassazione diretta molto elevata, ma un tributum, calcolato con tasso di 1 per 1000 sul patrimonio, tassa sulla manumissione, affrancamento di uno schiavo, e tassa sull’eredità, per il resto tasse indirette, come dazi doganali. Census deriva da censere, dare una stima. Nell’operazione del censimento, dice Schiavone, si coglie una tendenza classificatoria dei Romani del tempo. Operazione complessa in una società gerarchizzata come quella romana. Le operazioni di censimento riti purificatori, il lustrum della città. Durante la censura di MARCO PORCIO CATONE nel 184 a.C., che secondo le fonti fu estremamente rigorosa, tanto che Catone assunse il nome per antonomasia di censore, si presenta lui un tale, Nasica. Alla richiesta del censore sulla moglie, hai tu moglie, ex tua sententia, traducibile come In fede tua, hai moglie, come in termine documento In fede, e firma. Risponde di detenere moglie, ma non ex mea sententia, non per suo buon grado. Perché una battuta di spirito non era acconcia ad un’operazione seria come il censimento, Catone, difensore dei mores, relega il cittadino nella categoria degli erarii, coloro che dovevano pagare una tassa ulteriore. Negli ultimi decenni del IV secolo, dopo la pubblicazione di un plebiscito, Plebiscito Ovinio, che rimette ai censori l’incarico di rivedere le liste senatorie. I censori erano in origine nominati dal re, poi direttamente dai consoli. Dalla fine del IV secolo, è compito dei senatori riguardare ogni 5 anni le liste senatorie. La carica di senatore è vitalizia. Ogni cinque anni però i senatori possono attribuire i seggi rimasti vacanti, oppure potevano espellere dal Senato i senatori ritenuti indegni. I senatori erano anche i detentori del regimen morum. Detenevano un potere di dominio sui mores, i costumi, la condotta pubblica e privata di cittadini, magistrati e senatori. Erano attenti soprattutto alla condotta di magistrati e senatori, che talvolta attaccano per motivi di strategia politica. I censori potevano punire con una nota censoria, dunque con l’ignominia, i cittadini e i senatori con vari motivi. Casi di indisciplina militare. Durante la seconda guerra punica, i censori, nel 214 e 209 punirono quei cittadini soldati, esercito cittadino che erano fuggiti davanti al nemico, non avevano disertato, per esempio nella battaglia di Canne o di Eraclea, prolungando la perma, il servizio militare fino alla fine della guerra, concedendo loro porzioni di cibo ridotte, costringendoli all’attendamento fuori la città. Erano anche interventi dettati da vari motivi, per esempio, nel caso di un magistrato o di un senatore, l’eccessiva esibizione di oggetti prestigiosi. I motivi erano talvolta pretestuosi, ma doveva essere d’accordo tra i due censori. Un soldato poteva essere degradato a soldato semplice. Nella Roma repubblicana non vi era una costituzione, non vi erano partiti e ideologie partitiche a decretare la correttezza politica, ma soltanto valori pubblici  la virtus, la fides nei rapporti interpersonali, la concordia, la probitas, la frugalitas, la pietas. Tali valori detenevano un ruolo fondamentale, interpretabile, nel definire la correttezza di condotta di un uomo politico. Pani parla di fondamentalismo etico, per definire tale politica. I censori erano anche deputati alla gestione degli appalti. Lo stato romano non deteneva una polizia e una burocrazia sviluppata. Mansioni fondamentali erano gestite da società private. Nel corso del III secolo gradualmente e soprattutto del II si creeranno le società dei pubblicani, coloro che assolvevano per conto dello stato ai publica, i compiti dello Stato, le strade, la riscossione delle imposte nelle provincie. Catone, nella censura del 184, contrasterà i pubblicani e le società private, perché tenterà di indire degli appalti a condizioni più proficue per lo Stato. Il Senato appoggerà i pubblicani per vantaggi, Catone ribandirà gli appalti ma escludendo le società che si erano lamentate, ma perde e deve patteggiare con i pubblicani, molto appoggiati. Erano tutte magistrature elettive, a cui si accedeva per scelta dal popolo. NOMINA Principio per cui le magistrature erano un Beneficium popoli, concesso dal popolo. DURATA A TERMINE, in carica un anno solitamente, la censura un anno e mezzo, COLLEGIALITA’, erano collegiali  detenevano almeno due membri, con diritto di veto reciproco, di dominio. Nomina, durata a termine e collegialità erano considerate forme di libertas, forme di osservanza della libertà del cittadino dagli abusi di uomini di potere. La res publica nasce dalla vicenda traumatica della cacciata del re. A seconda delle epoche, tutta la storia romana repubblicana tenta di limitare il potere magistratuale, del singolo. Tutele civiche, il ius provocationis, diritto di appello alla giuria del popolo, iux ausilii, diritto di appello al tribuno. Nel corso del tempo la carriera magistratuale, soprattutto nel II secolo, è sottoposta ad ulteriori limitazioni -contrasto alla reiteratività della carica, l’esser rieletti, -stabilito un ordo magiustratu, ordine delle magistrature, intervalli tra una carica e l’altra ed età minime per accesso alle cariche, per esempio consoli prima dei 42 anni. Tale sistema di vincoli era considerato come una garanzia da abusi per il popolo presentava degli aspetti negativi. I vincoli potevano costituire un intralcio in alcune circostanze, che richiedevano magari un uomo di esperienza, un comandante, con capacità strategiche e tattiche. Il divieto di reiterazione poteva bloccare la scelta dell’uomo giusto. Nel 490, nella guerra contrastante il re Antioco III di Siria, non può essere nominato Scipione l’Africano, il vincitore di Annibale, che tutti consideravano l’unico che avrebbe potuto vincere tale campagna. La dittatura era una magistratura straordinaria. Per esempio l’ultima fase della guerra contrastante Veio è guidata da un dittatore, la battaglia del lago Legillo. Il dittatore deterrà anche compiti non emergenziali, come la convocazione di comizi qualora i consoli fossero impegnati in guerra, alcuni riti, come l’affissione del chiodo, ma cariche limitate e con carattere religioso. Il dittatore si distingueva dagli altri magistrati perché Il numero di 300 sarebbe rimasto per tutta l’epoca repubblicana, tranne in alcuni momenti – con Silla il numero sarebbe stato raddoppiato a 600, con Cesare addirittura 900, 1000, per poi ancora 600 con Augusto. Nella media repubblica, 300 membri. Durante la proto repubblica sono ancora di nomina consolare. Carica a vita. Alla fine del IV secolo, precedentemente il 312 a.C., fu promulgato il plebiscito ovinio, per cui la revisione delle liste senatorie era attribuita ad una nuova magistratura, i censori. I censori, ogni 5 anni, riguardavano le liste del senato, riempivano i posti vacanti, ed espellevano, in nome del regimen morum (i cui valori cardine sono virtus e concordia), i senatori. Quali criteri dovevano seguire i censori per operare la lectio senatus? Secondo le fonti, il plebiscito ovinio prevedeva fosse scelto senatore optimus quisque ex omni ordine, ciascun ottimo di ciascun ordine. Il termine ordo, per ammissione degli studiosi moderni, è inteso come riferimento all’ordo magistratuum. In Senato partecipavano coloro che avevano rivestito una magistratura, dalle cariche più prestigiose, dunque Ex censori, consoli, pretori. Dopo la disfatta di Canne nel 216 si devono ricoprire 116 seggi senatori, è un’operazione straordinaria perciò affidata non ad un censore ma ad un dittatore nominato per l’incombenza, un dictator, FABIO PUTEONE. Furono chiamati anche i magistrati di rango inferiore, fino agli ex questori, ed entrarono in Senato anche i cittadini che si erano distinti in battaglia, per esempio avevano acquisito la corona civica, per la salvezza di un concittadino in un conflitto. I censori scelgono i nuovi senatori tra gli ex magistrati, non chiunque, ma optimu quisque, gli ottimi. Criteri fondamentali erano anche requisiti morali, vaghi. Il termine optimus si collega etimologicamente ad opes, risorse, patrimonio. Tale superiorità morale detiene rapporti con l’abilità patrimoniale. Ideologia aristocratica e censitaria. Pare che i criteri declinati dal plebiscito ovinio fossero criteri orientativi, non obbligatori. Nel 312 a.C., quando era censore Appio CLAUDIO, uno dei tanti discendenti dal decemviro, ammette in Senato persone che non avevano niente a che fare con tali criteri, anche libertini, figli o nipoti di liberti. I censori dopo rivedranno le liste senatorie di Appio Claudio. Nel tempo si definiscono tali criteri. Il Senato è composto da ex magistrati, vitalizi, in carica tutta la vita, salvo la possibilità di essere espulsi ogni cinque anni dall’intervento censorio. Il Senato non si poteva riunire per propria iniziativa, ma doveva essere convocato da un magistrato, provvisto del ius agendi ex Senatu, possibilità di azione, i consoli, in subordine i pretori, in casi eccezionali i tribuni. I Senatori si riunivano in un posto inaugurato, ma tutte le azioni pubbliche erano possibili soltanto in un templum, consacrato dagli auguri, solitamente nella curia del foro, ma per esempio le riunioni di inizio anno erano nel tempio di Giove Optimo Maximo nel Campidoglio. Quando vi erano riunioni di emergenza, in cui convocava il Senato un comandante, un console allora in campagna militare, la convocazione poteva essere fuori dal pomerio, perché il console non avrebbe dovuto adempiere ai riti di purificazione per entrare in città. Non vi era una calendarizzazione delle attività del Senato, soltanto in epoca avanzata. Poteva essere convocato in qualsiasi tempo e per qualsiasi motivo, ma col tempo alcune attività erano attribuite in periodi precisi, per esempio si ricevevano le ambascerie in febbraio, e vi era un periodo di pausa tra metà aprile e metà maggio. Il magistrato raccoglieva avvalendosi degli ufficiali subalterni propri i senatori, e apriva i lavori con una comunicazione, per esempio riferiva la questione che doveva essere discussa o comunicava al Senato la situazione, per esempio le guerre, le richieste degli alleati. In alcuni casi vi era anche una riunione informale. Qualora il Senato dovesse esprimere un parere, la riunione seguiva un iter codificato. Il console o il pretore, il magistrato presidente, comunicava la prelatio, la questione da discutere. Si avviava un’interrogazione, per cui ciascun senatore doveva esprimere la propria sententia, il proprio parere, dai senatori che avevano rivestito le cariche più elevate, in tale epoca il princeps Senatus, colui che aveva rivestito la magistratura più elevata ed era il più anziano. Non tutti parlavano. A Roma il concetto di parresia non era radicato. La libertà di parola era connessa all’autorità. Esprimeva il proprio parere chi deteneva dignitas e auctoritas. Le fonti individuano una categoria di senatori, i pedarii, un gruppo di rango inferiore, ma non sappiamo che valore attribuire al termine pedarii, o perché stavano in piedi, mentre i senatori più importanti sedevano su seggi, o collegabile alle modalità di votazione. Si votava una legge per discessionem, dunque spostandosi verso l’autore della ipotesi. Dopo l’ascolto delle sententiae, i pareri dei più importanti, il presidente ricapitolava le sententiae di più ampi consensi e le sottoponeva a voto, per discessione. La procedura poteva essere interrotta da un’intercessio, un intervento di un tribuno della plebe, che poneva il veto, vietava l’inizio di qualsiasi interrogazione o durante la discussione, anche quando erano state pronunciate le sententiae, o addirittura prima della votazione. In mancanza di interruzione, il voto era espresso in un Senatus consultum, un decreto senatorio, composto da un comitato di segreteria, sotto la guida del magistrato della proposta o il relatore della proposta. Era pubblicato e letto, recitato ad alta voce, poi custodito nell’archivio dell’erario. COMPETENZE Su che cosa era consultato il Senato. Competenze vastissime del consesso dei patres, su qualsiasi ambito. 1) Organizzazione compiti civili e militari  Quando i consoli entravano in carica, l’anno iniziava il 15 marzo, poi entravano in carica invece dopo, il 1’ gennaio, il primo compito era la convocazione del Senato, nel tempio di Giove Optimo Maximo Per senatus consulta, che stabiliva chi doveva fare cosa, le province, i compiti di competenza dei singoli. Ai consoli era attribuito il posto, ai pretori il rimanere in città. Il Senato stabiliva anche eventuali proroghe di comando. Stabiliva i soldati reclutabili, quante legioni, la loro distribuzione. Roma continuamente impegnata in guerra 2) Ambito finanziario  il budget per una campagna militare, quante risorse e da dove trarle, l’imposizione di un tributo straordinario, l’appoggio degli alleati. Il Senato era competente in materia di ager publicus. Tutta la gestione del territorio demaniale, di proprietà dello Stato che dalla guerra di Veio aumentava, cosa farne lo sceglieva il Senato, da Senatus consulta, affitto, vendita, distribuzione viritim, dalla lotta contrastante Gaio Flaminio, a colonia, la fondazione di nuove comunità, come amministrare le risorse accaparrate dopo una guerra vittoriosa. Il popolo romano incamerava, ma il Senato sceglieva la gestione. Imponeva nuove eventuali tasse. 3) Rapporti diplomatici Gestiva i rapporti diplomatici. A febbraio accoglieva le ambascerie dai vari popoli. Inviava le commissioni, composte da senatori, per la verifica che il comandante o il console vittorioso al termine di una campagna militare avesse operato correttamente. Inviava ambascerie per placare gli animi di popoli che potevano creare difficoltà a Roma. 4) La religio, per esempio l’introduzione di culti nuovi, dirige le operazioni poi svolte da magistrati per la gestione di prodigi, l’indizione di giorni di supplica o di riti per il funzionamento della pax deorum. 5) Giustizia I popoli si rivolgevano ai Romani per gli arbitri. La diatriba tra Giugurta e i propri fratellastri, sovrani della Numidia, sarà arbitrata da Roma, come super potenza. Dal II secolo si instaurano tribunali speciali. Alcune inchieste erano istituite ex senatus consultu, per esempio Era il Senato a scegliere in condizioni di emergenza l’indizione di iustitium, la sospensione di ogni attività per garantire la cooperazione di tutte le risorse della civitas. Sceglieva la nomina di un dittatore e più tardi, dalla tarda repubblica, stabiliva la promulgazione del Senatus consultum ultimum, il decreto senatorio ultimo, la proclamazione dello stato d’assedio. Il caso iniziale nel 133 a.C., da Tiberio Gracco, ma Circa dieci anni dopo sarà invece promulgato contrastante il fratello di Tiberio, Gaio Gracco, in una Roma divisa e in crisi. Tutti i poteri erano rimessi al console, tutte le garanzie civiche erano sospese. Il console poteva fare quello che credeva per il ripristino della pace in città. Dalla tarda repubblica, quando la situazione si modifica. 6) Competenze legislative Potere propuleutico, le proposte di legge dovevano essere sottoposte ad una autorizzazione preventiva del Senato. Nel 339 fu promulgata la lex publilia Filoni, di Filone, primo pro magistrato, pro console, per cui l’approvazione del Senato fu abolita. Fino al 133 però quasi tutte le proposte di leggi erano comunque presentate al Senato, ex Senatus consultu. Il Senato potrà cassare leggi già approvate dal popolo, fenomeno più tardo. I Senatus consulta, i decreti senatori, erano teoricamente soltanto dei pareri, nei decreti era ricorrente la formula si tibi, se lo ritieni opportuno, che pare lasciare al magistrato, l’organo esecutivo, un margine di discrezionalità. Nel rapporto tra gli organi non vi era alcun obbligo per legge. I decreti senatori, per quanto talvolta disattesi, erano generalmente obbediti, perché Deteneva auctoritas, autorevolezza, una superiorità, una competenza, per cui poteva indirizzare gli altri. L’auctoritas era un attivo, l’abilità di guidare le azioni altrui. Omogeneità di estrazione economica, di censo equestre, da una medesima istruzione, una solidarietà di gruppo tra i due ordini. E’ una rappresentazione mafiosa della vita romana repubblicana. Tale modello prosopografico basato sulle singole personalità è applicato da BADIAN anche per i rapporti di politica estera, come nel libro Foreign clienteles, che evidenzia l’importanza di tali legami personali anche nel condurre i legami con i popoli, tramite clientele, matrimoni, scambi di obblighi con le popolazioni assoggettate, a vari livelli secondo il rango. La scuola prosopografica e l’approccio sono molto popolari, ma sono criticati soprattutto da studiosi italiani e francesi. Parrebbe che gli esclusi dalle scelte dell’élite non fossero così passivi. Gli interessi economici, che giocavano un ruolo, in qualche momento, in modo variabile nel tempo. La vita politica romana non è stata dominata esclusivamente dai giochi di potere tra nobili. In qualsiasi stato, sotto qualunque regime, monarchico o democratico, la politica si riduce ad un gioco tra oligarchie. La critica maggiore è dagli studi di 3) BRUNT, che conduce ricerche negli anni ’80, culminate nel libro The fall of Roman republics, dove analizza una serie di risultati elettorali, soprattutto quelli dell’elezione dei consoli. Nota che non sempre i risultati che ci aspetteremmo in base al profilo dei candidati, dalle loro clientele, i loro rapporti interpersonali o le loro amicizie sono quelli che ci si attenderebbe. I voti erano anche frequentemente a candidati più oscuri, personaggi che parevano destinati al fallimento. Ne deduce che la clientela, pur essendo un istituto di fondamentale importanza nella società romana, consolidato e caratteristico, non si traduce in modo certo in un preciso voto nella competizione elettorale. L’incidenza politica della clientela è variabile nel tempo, e non è scontata. Soprattutto nella tarda repubblica, non a caso, come dice Cicerone nella Pro Roscio, le clientele dovevano essere foraggiate dall’uomo politico, che le ereditava dal padre. Le clientele diventano più volatili. Le conclusioni di Brunt contrastano le teorie prosopografiche. I voti erano palesi fino alla fine del II secolo a.C., segreti mediante la tabella dagli anni ’30 del II secolo a.C. Con il voto segreto i rapporti erano più labili e precari, e i condizionamenti si allentavano. Le conclusioni di Brunt contrastano le teorie prosopografiche, perché attaccano la tesi della competizione tra nobili che poteva esaurirsi perché possedevano un numero di voti da giocare a loro piacimento. Le conclusioni di Brunt pongono le premesse di una valutazione distinta del modello repubblicano romano, e tale rivoluzione è proseguita da 4) MILLAR, negli anni ’80, ’90 e 2000, rivaluta l’elemento popolo nel circuito di scelta. Attribuisce al popolo un ruolo dominante, dai risultati di Brunt, il voto non scontato, dunque il popolo deteneva un margine di manovra, decisione indipendente, e dall’importanza che assume in modo più cosciente la retorica, la comunicazione oratoria. L’oratoria con la storiografia è una delle rare attività intellettuali che la classe politica romana non disdegna. Non si dedica ad epos, poesie, letteratura, ma all’oratoria e la storiografia. Ma in caso di un pubblico da convincere, impiegando gli artifici della retorica, allora vi è un popolo in grado di scegliere, con una carica nel circuito di scelte. Quello romano repubblicano è per Millar un sistema democratico. Anche le tesi di Millar non sono condivise da tutti. 5) Un gruppo di studiosi tedeschi membri dell’università di Colonia, soprattutto HOELKESKAMP, che con maggiore sistematicità si occupa del tema, critica Millar per la valutazione democratica del sistema repubblicano romano, e ripropone un modello aristocratico. La res publica è guidata da un’aristocrazia, ma distintamente dai membri della scuola prosopografica, Non discute i risultati di Brunt, ma ammette che strumenti come la clientela non si traducono con certezza in ambito politico in una certa direzione, il ius suffragii, il diritto di voto, e che nelle assemblee seleziona la classe dirigente. La politica era l’interazione tra il popolo e la classe dirigente che gode del ius honorum. Tale interazione è però a vantaggio dell’aristocrazia, che tiene le redini del potere decisionale. Per tali studiosi, perché la società romana è strutturata in modo da avvantaggiare le gerarchie e la loro obbedienza, è improntata a valori come la pietas, l’ossequio, che a chi sta in alto, la fides, la lealtà, che fonda il rapporto tra patronus e cliens, l’auctoritas, per cui qualcuno poteva disciplinare lo sbagliato e il giusto, i gradus dignitatis, il criterio dell’eguaglianza geometrica che distingue quanto è dovuto dai caratteri propri. La nobiltà e l’aristocrazia detengono il predominio nella civitas perché monopolizzano la comunicazione simbolica. COMUNICAZIONE SIMBOLICA : Per tali studiosi, la politica è agire comunicativo, e tale comunicazione sfrutta dei riti collettivi, manifestazioni e iniziative comunitarie, caratteristiche della res publica romana e riconosciute come distintive da tutti gli studiosi. La vita della civitas è scandita da feste comunitarie, spettacoli, gare, giochi, celebrazioni di sacrifici, supplicationes, di ringraziamento, che coinvolgevano tutta la cittadinanza, spettacoli come i funera, i funerali, non di tutti ma di cittadini illustri, con caratteri politici e nel contesto della città, cerimonie come le pompe trionfali, il trionfo del generale vittorioso alla presenza dell’esercito e di tutto il popolo, cerimonie con un apparato di simboli, immagini e gesti che contribuiscono a diffondere dei messaggi, con carica fondamentale nei processi di costituzione dell’identità civica. Il tessuto urbano, monumenti, edifici. Secondo Hoelkeskamp e gli studiosi, l’aristocrazia senatoria è la regista esclusiva di tali forme di simboliche, di tale agire comunicativo. Nei capitoli 63 e 64 del VI libro di Polibio è descritto un funerale. Oltre i riti domestici, salma esposta nell’atrium della casa, l’area più pubblica della domus, riti cittadini, processione in cui sfila il corpo del morto in un carro, in piedi o disteso, accompagnato da tutti i suoi avi, figuranti, attori, Diodoro parla di mimetai, che indossano la maschera degli antenati della famiglia, ricavate quando un cittadino moriva, e la veste che rappresentava la dignità più elevata rivestita dal personaggio. I figurati erano assoldati dalla famiglia quando un membro compiva una carriera prestigiosa, perché il personaggio per impersonarlo nel funus suo e degli eredi. Sfilavano anche le donne, i suonatori di flauto. La processione per la città si concludeva nel foro, dopo aree nevralgiche. Gli antenati, i maiores, sedevano nel foro, in scrigni, ed era pronunciata la laudatio del defunto, che ne elencava la carriera, le doti, e quanto aveva fatto la famiglia nel tempo a beneficio della res publica. Doti private e benemerenze verso la res publica. Anche generare tanti figli era pro res publica. Nel funerale di Giulio Cesare sfilavano gli antenati addirittura da Enea. I funerali erano spettacoli di celebrazione, da cui messaggi di un pattage pubblicitario, di una famiglia ma perché da tutte le famiglie eminenti celebra l’intera classe dirigente. Secondo gli studiosi di Colonia è tramite tale monopolio della comunicazione che l’aristocrazia giustifica il proprio diritto alla leadership. Tali valutazioni contrastanti sulla società romana repubblicana nel corso del tempo dimostrano un problema, che il lavoro dello storico è soggettivo e parziale, condizionato dalla sua cultura, la società in cui vive, l’epoca. Dietro la lettura di Hoelkeskamp si scorge la modifica degli studi sui mass media. Si è parlato di videocracy, potere delle immagini, del condizionamento dai mass media. Ciascuna lettura è parziale. TIRIAMO LE FILA: -non egualitaria, ma stratificata e gerarchica, in cui la posizione e il ruolo del singolo, l’insieme dei suoi diritti e doveri è differenziato, su base di vari requisiti -divisione nelle 5 classi di censo, e un numero di centurie, dell’ordinamento centuriato. Il concetto di classe ha una connotazione economica, legata al possesso di un certo patrimonio, soprattutto fondiario, ma non si esaurisce, perché definisce anche un rapporto tra il singolo e le istituzioni, condizionato da parametri disparati  età, sesso, status personae e status civitatis. Paradosso per cui potevamo avere un liberto ricchissimo, anche potente, con una dignitas però inferiore ad un ingenus di 5’ classe, un nato libero, che non doveva le opere che il liberto doveva al patronus suus. La facoltà economica era importante ma non era l’unico elemento dirimente. La posizione del singolo avrebbe dovuto essere certificata. Il cittadino riceveva posizione e ruolo dai censori, dalla civitas tramite i suoi rappresentanti. Pur gerarchizzata, è una società che conosce un certo tasso di mobilità interna. Manumissione, barriera salda nelle società arcaiche, tra liberi e schiavi, che a Roma poteva essere spezzata. 3 novembre RAPPORTO DEL SINGOLO CON LA POLITICA In un ambiente gerarchizzato, anche il rapporto con il potere sarà tale. Il potere a Roma era rappresentato in forma terrorifica, con una potenza repressiva spesso schiacciante. Simboli primari del potere erano per i consoli e i magistrati dotati di imperium i fasci con le verghe, simbolo della possibilità di verberare, fustigare, e talvolta con le scuri, che indicavano il diritto di morte. Littori e viatores armati di bastoni. Ciascuna magistratura, esperibile nella competenza specifica, un potere di coercitio. I Romani rappresentavano la loro storia anche come una lenta ma inarrestabile storia di conquista della libertas. Il concetto di libertas è polisemantico, interpretabile in modi disparati. Forse già da epoca precedente, al cives romanus era riconosciuto il possesso di una serie di diritti, garanzie della persona. Per esempio, il iux auxilii al tribuno della plebe. Diritto che nasce in un contesto conflittuale, e a vantaggio inizialmente soltanto dei plebei, ma che poi permane, come dice Cicerone, come ars libertatis, baluardo della libertà per tutti. Manilia era una prostituta, dunque di rango inferiore come dama e per attività disonorevole. Fu accusata dall’edile OSTILIO MANCINO, nella seconda metà del II secolo, di lesioni personali, lancio di una tegola, mentre stava esercitando le funzioni magistratuali. Gli edili si occupavano anche dei bordelli, tra le varie cure. Tali tribunali speciali, inizialmente extra ordinem, straordinari, instaurati soltanto in alcune occasioni per perseguire un episodio criminoso, sono permanenti dalla seconda metà del II secolo a.C. delle questiones con tribunali dalle giurie ristrette per categorie i reati. Il primo tribunale del genere è la questio de repetundis, votata a perseguire il reato di repetunde  reato di malversazione da un soggetto preciso, il governatore di una provincia, ai danni dei provinciali. Primo fondato perché gli abusi dai magistrati romani sono oggetto di protesta dai provinciali, già agli inizi del II secolo. Giungono a Roma delle delegazioni di spagnoli soprattutto, che si lamentano della condotta dei pretori governatori delle Spagne. Si sperimentano vari sistemi per placare gli animi, fino all’istituzione nel 149 a.C. di una questio de repetundis. Nasceranno problemi, perché la quaestio de repetundis comprenderà una giuria costituita da senatori o appartenenti all’ordine senatorio, come il governatore accusato di abusi, dunque possibilità di conflitto di interessi. Con il tempo le giurie saranno composte in modo disparato. Notevoli limiti dalla possibilità dai cives di esercizio del ius suffragii, che paiono mostrare il carattere aristocratico dell’ordinamento, in cui il potere era concentrato nelle mani di pochi -nell’esercizio del ius suffragi vi erano livelli distinti di fruizione del voto e di partecipazione al processo di scelta -non era egualitario l’accesso al voto, perché le 4 assemblee si tenevano a Roma, ergo erano svantaggiati i cives che avevano ricevuto lotti di terra viritanamente distribuiti in territori lontani, per esempio Lex Flaminia, 232, territori dell’Agro piceno e delle Marche distribuiti ai cittadini romani, O quelli che abitavano nel contado verso coloro che abitavano in città. L’infrequentia, poca partecipazione popolare alle assemblee, era un problema ricorrente. Le fonti ricordano con toni enfatici quando vi erano comizi o concili, elettorali o legislativi, con un’ampia partecipazione di popolo. Gaio Gracco è eletto da molta gente in concili della plebe gremiti, tanto che la gente sale sui tetti. E’ un unicum sottolineato dalle fonti. L’organismo votante non è rappresentativo di tutto il populus, ancor più quando i confini si dilatano e la cittadinanza è espansa. Per la peculiare organizzazione delle assemblee per gruppi e per unità di voto, il voto del singolo non è egualitario, egualmente distribuito. Nei comizi dei concili tributi, per esempio, conta di più essere in una tribù rustica, perché le tribù urbane erano soltanto 4, ma soprattutto nell’ambito dei comizi centuriati. I membri delle classi più elevate, pur inferiori, disponevano di un numero più elevato di voti a disposizione. Anche la libertà di espressione della propria volontà votando, con il ius suffragii era una libertà limitata, che subiva condizionamenti. Fino alla fine del II secolo, il voto era palese. Con gli anni ’30 del II secolo sono varate le leges tabellarie, che introducono la tabella, il voto segreto, nel 139 nei comizi elettorali, nel 137 nei comizi giudiziari, nei processi, ad eccezione dei processi per duelio, per alto tradimento, e nel 231 per i comizi legislativi, che votavano le leggi. Le leges tabellarie sono promulgate come leggi per potenziare la libertas populi come facoltà di libera espressione, la tacita libertas della tabella. Legami personali, vincoli clientelari, l’importanza del nomen, della popolarità, del genus, le liste civiche rimangono condizionanti, anche dopo l’approvazione delle leges tabellarie. Nel 129, Gaio Mario, tribuno della plebe, fa votare la lex Maria per restringere le passerelle su cui devono incamminarsi i votanti per recarsi alle urne, i pontes, perché mentre il singolo era in attesa di passare poteva essere fermato, tirato per la giacchetta, sottoposto a pressioni. Il restringimento dei pontes era finalizzato ad evitare ci fossero persone che condizionassero in extremis nell’esercizio del voto. Tali condizionamenti spiegano la formazione della nobilitas, un’élite quantitativamente ristretta nella scena pubblica, e la tendenza all’ereditarietà. C Le proposte di legge presentate dai magistrati e sottoposte ai concili, soprattutto della plebe perché proposte da tribuni della plebe, sono in genere approvate. Nelle fonti, notizie di rogationes respinte al momento della votazione sono rare. Oltre che quasi sempre approvate, le leggi, plebisciti, deliberazioni votate sia dai comizi che dai concili della plebe, sono ridotte. Molte materie riguardo la res publica sono regolamentate via senatus consulta, da decreti senatori, la gestione dell’ager publicus, il territorio demaniale, la gestione di budget dello Stato. Si nota il ruolo passivo dell’assemblea, che non poteva convocarsi, e la sua funzione era soltanto di una risposta ad una domanda, assolvimento o condanna, o al massimo di nomi in caso di elettorale. Non vi è un ruolo più attivo. Connotare la repubblica in modo più aristocratico che democratico, ma vi sono anche aspetti distinti. Gli studiosi della scuola di Colonia insistono sulla propaganda dai funera, i trionfi. Tutti i grandi momenti di aggregazione civica erano quasi grandi spettacoli, che esaltavano il ruolo dei grandi viri e le grandi famiglie della storia repubblicana, ma anche Ritualità civiche che esaltano anche il valore del popolo, per esempio la virtus militum. Nelle fonti, parlando di sconfitte, per esempio del II libro di Livio, in caso di un colpevole da individuare, è sempre il comandante. I soldati sono quasi sempre immuni da colpe. Qualora si lasciassero prendere dalla paura, dallo sconforto, era soltanto perché il comandante non era in grado di incoraggiarli o di punirli all’occorrenza. I soldati di Appio Claudio si lasciano sconfiggere soltanto per reazione ad un’acerbitas imperii, un potere troppo crudele e immoderato. Le medesime ritualità civiche propagandano anche la maiestas populi romani, la superiorità del popolo, sugli altri popoli e civitates, ma anche verso gli altri componenti della civitas, un popolo sovrano. Il potere elettorale del popolo, della plebe, si esercitava in una rosa di candidati, e per le cariche più elevate il voto era scelto dai più ricchi, nei comizi centuriati. La critica più recente sottolinea che le classi più elevate, gli equites e la 1’ classe detenevano la maggioranza, ma soltanto se votavano compatte. I membri della 1’ classe detenevano un censo elevato, ma non elevatissimo. I ricchi erano quelli delle 18 centurie equestri. Nei comizi centuriati contava il requisito censitario, ma non erano le uniche assemblee. I concilia plebis e i concilia tributa non votavano i magistrati superiori, ma determinavano l’inizio della carriera di un magistrato, questura, pretura. Esercitano una prima selezione. I concilia plebis erano coloro che più votavano le leggi. La lezione di Brunt, inoltre, mostra che i risultati dei comizi tributi non adempivano sempre alle aspettative. Candidati sulla carta vittoriosi che subivano repulsa. In ambito legislativo, leggi e plebisciti non regolamentavano tutta la vita pubblica. Molto era regolato per via senatoria, da decreti. Comizi e concili si esprimevano su questioni di fondamentale importanza, per esempio il dichiarare guerra, il promulgare la pace, scegliere sulla di un cives, revocare la cittadinanza, condanna a morte. Rare leggi ma su ambiti importanti. Comizi e concili non erano posto di dibattito, ma il singolo poteva far giungere la propria voce, dai legami interpersonali, carattere distintivo delle società. Rare leggi erano respinte, ma non significava un accordo al magistrato rogante. Vi è notizia di molte rogationes cancellate precedentemente la sottoposizione al voto. Dalla tesi della cives romana come organismo unitario, per cui non si considerano le divisioni interne e orientamenti disparati, era importante l’unanimità. Dove il magistrato credeva di non raccogliere consensi elevati, ritirava le leggi. Lelio, l’amico di Scipione Africano, cui lui dedica un’opera, è chiamato Sapiens perché aveva promulgato una legge di riforma agraria ma dopo per le condizioni, per cui la lex contrastava interessi e non avrebbe conseguito l’unanimità, la ritira. Rogatio Fulvia de civitate danda, 125, che propone la cittadinanza o la possibilità della revocatio, è ritirata. Vi erano leggi sgradite alla maggioranza senatoria e votate, per esempio la lex Flaminia, o il plebiscito Claudio, o lex respinte, come quella di dichiarazione di guerra contrastante la Macedonia. Dopo la guerra contrastante Annibale, guerra verso Filippo V di Macedonia, il popolo respinge la rogatio. Ricorso all’oratoria e metodi persuasivi, vantaggi, categoria dell’utile verso l’onestum, per convincere il popolo all’approvazione. Le rare leggi respinte erano anche dovute al fatto che soprattutto nella media repubblica vi era una coesione tra classi elevate e inferiori, perché l’élite, tra I e inizi II secolo riesce a distribuire in modo abbastanza ampio i benefici dalle conquiste. Un’aristocrazia con grande parte nel processo decisionale della res publica, ma che ci appare alla ricerca di un consenso, attenta ad esibire reiteratamente le proprie lodi, non si cura sempre della riconferma nel risultato elettorale, disponga di un potere indubitabile, ma sia anche in continua verifica. Il sistema romano è inclassificabile, non univoco, e varia nel corso del tempo. La cooperazione giuridica si fondava su un consenso politico tra le parti. Nella tarda repubblica, quando la società sarà divisa da sperequazioni economiche, l’equilibrio consensuale sarà cancellato, aumenteranno gli attriti, fino alle guerre civili. Nella media repubblica vi è quiete, non perché il popolo sia quiescente, ma perché vi era una convergenza di interessi e vantaggi. Da tali argomenti si può dedurre che ciascuna valutazione è soggettiva, parziale e condizionata, e che anche l’analisi politica vada storicizzata. McFlower, repubblica romana come successione di tante repubbliche. Tra metà IV e metà II secolo, Roma è protagonista di un grandioso processo di conquista. Le guerre sannitiche sono ardue, Roma è in difficoltà, disfatta di Caudio, alle fonti caudine, per cui Roma dovette stringere una tregua con i Sanniti. E’ però vittoriosa. Con ulteriori opere in Umbria, in Etruria e nella Sabina Adriatica, consegue il dominio nell’Italia centro sud. Raggiunge una superficie di 13 mila km quadrati circa. Ormai rappresenta il IV Stato per estensione tra quelli che si affacciano nel Mediterraneo, dopo la Siria e Cartagine. Crescita esponenziale e potenza. Ai conflitti si aggiunge, tra il 280 e il 275, la guerra contrastante Taranto. Roma inizia a contrastare militarmente la Magna Grecia, le città italiote, e soprattutto la città più importante, Taranto. La guerra tarantina è definita anche guerra pirrica, perché Taranto, non avendo l’abilità di contrasto con uno Stato militarmente avanzato come Roma, si avvale di un aiuto, il re dell’Epiro Pirro. Roma subisce sconfitte, per la prima volta pare, cosa infrequente, incline a patteggiare con il nemico, dopo le sconfitte di Eraclea, 270, e di Ascoli Sapiano, 279. Interviene Cartagine, rinnovando il patto stipulato nel 340, 3’ trattato romano cartaginese, e induce Roma a proseguire il conflitto con Pirro. Ha paura che Pirro miri alla Sicilia. Pirro vantava la parentela e ambizioni politici anche verso Siracusa, e mira alla Sicilia. Ci abita dal 278. Roma continua le guerre con le popolazioni del sud Italia che si erano alleate con Pirro, Lucani, Abruzzi e Sanniti, popolo bellicoso, con potente identità nazionale, che coltiva ambizioni di indipendenza, spesso non acquiescenti a Roma, fino all’epoca sillana, che elimina le loro resistenze. Con il 275, la vittoria di Maleventum, poi Benevento, si conclude la partita con Taranto e con Pirro, e Roma signora in tutta l’Italia peninsulare, da Rimini, Pisa, lo stretto, e domina un’area di 25mila km quadrati, di cui 25mila di territorio costiero. Conquista l’ambasceria da Tolomeo II Filadelfo, come omaggio alla città, che appare alla platea internazionale come una potenza. Con la guerra pirrica si conclude la prima fase della guerra d’Italia, cui segue un ulteriore allargamento dei confini oltre l’Italia, verso ovest, l’area tirrenica, est e nord, area adriatica e la Gallia. 274, 241, 1’ guerra contrastante Cartagine, nata quasi casualmente, perché nasce in Sicilia da conflitti esterni, in cui Roma non c’entra niente. Il Casus belli è dagli attriti tra i Mamertini, mercenari di origine campana che avevano rubato Messana, la città di Messina, e i Siracusani. I Mamertini avevano esercitato varie scorrerie, con le proteste del tiranno di Siracusa. I Mamertini non potevano competere con Siracusa, e chiamano in aiuto Cartagine e poi Roma. La dinamica delle vicende sfugge, perché le fonti filo romane e filo cartaginesi ricostruiscono in modo distinto, attribuendo agli avversari la colpa. Giunge il presidio cartaginese, forse troppo gravoso. Una fazione di Messana chiede invece aiuto a Roma, che lotta con qualche incertezza. Il Senato non è convinto. La scelta è dei comizi, che, convinti dai consoli, che prospettano una guerra rapida e con ingenti bottini, dalla ricchezza della Sicilia, votano per la dichiarazione di guerra. Inizia il conflitto, di 23 anni, complesso, tra due contendenti di primissimo ambito, con risorse umane e materiali. Si combatte per terra e per mare, in Sicilia, nel Tirreno, addirittura in Africa, con ATTILIO REGOLO. I Romani detengono successi ma anche problemi, per esempio sconfitta di Trepana nel 249, con PUBLIO CLAUDIO PULCRO. Chiudono i Cartaginesi con soltanto Trapani, Erice e Lilibeo, ma non riescono a chiudere la partita. Negli ultimi anni, un generale cartaginese, ANNIBALE BARTA li contrasta. Tuttavia con grande sforzo riescono ad allestire una grande flotta e a vincere in modo risolutivo la flotta cartaginese presso le isole Egadi, nel 241. Roma acquisisce il primo territorio extra Italia, i possedimenti cartaginesi in Sicilia. Sall. Iug. 63.6-7: …consulatum adpetere non audebat: etiam tum alios magistratus plebes, consulatum nobilitas inter se per manus tradebat. Novos nemo tam clarus neque tam egregiis factis erat, quin is indignus illo honore et quasi pollutus haberetur. “… non aveva mai osato ambire al consolato, poiché allora la plebe gestiva le altre magistrature, ma il consolato se lo passavano i consoli di mano in mano e non c’era uomo nuovo per quanto valoroso e di alti meriti che non fosse ritenuto indegno di quell’onore, e quasi capace di contaminarlo”. Sall. Iug. 85.4, 22-23: … alii si deliquere, vetus nobilitas, maiorum fortia facta, cognatorum et adfinium opes, multae clientelae, omnia haec praesidio adsunt… atque etiam cum apud vos aut in senatu verba faciunt, pleraque oratione maiores suos extollunt; eorum fortia facta memorando clariores sese putant. … Et profecto ita se res habet: maiorum gloria posteris quasi lumen est; neque bona neque mala eorum in occulto patitur… “…se quelli commettono un errore, la stirpe vetusta, le gesta degli avi, le influenze di parenti prossimi e lontani, le numerose clientele si schierano a difenderli… quando poi prendono la parola nelle assemblee o in senato, non la finiscono mai di esaltare le nobili imprese degli antenati, e rievocando quelle azioni gloriose si lusingano di ricavarne lustro … poiché è così: per i discendenti la gloria degli antenati è come un lume, non lascia all’oscuro né le buone azioni né le cattive”. 3 novembre Le conquiste di Roma nel IV e III secolo, -l’espansione del dominio in tutta l’Italia peninsulare, da Rimini, Pesaro e lo stretto, -la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, o meglio i possedimenti cartaginesi ivi, dopo la 1’guerra romano punica, 274, 241 -e dopo la protesta dei mercenari dei cartaginesi, -le operazioni in nord Italia, la Gallia, offensiva delle popolazioni che abitavano la Pianura Padana, con la vittoria di Clastidium o Casteggio nel 222, -deduzione delle colonie di Piacenza e -le spedizioni in Illiria, tra 229 e 219, per la tranquillità dell’Adriatico tali eccezionali risultati, in tempi relativamente brevi, sono messi a repentaglio e quasi annichiliti nell’ultimo ventennio del III secolo, in quello che Livio chiama il bellum omnium memorabile, la guerra più memorabile di tutte, la 2’guerra cartaginese, 218 e 201. Per Livio, guerra più memorabile per la potenza, le risorse umane e materiali poste in campo, la dilatazione geografica del conflitto. La guerra fu combattuta soprattutto in territorio italico. Intuizione del comandante supremo delle contee cartaginesi, e che ebbe parte attiva nel conflitto, ANNIBALE, figlio di Amilcare Barca, di condurre la guerra in Italia, tentando di ridurre Roma a potenza subalterna, staccando da essa i suoi alleati, il sistema di alleanze su cui si fondava il potere di Roma. Fu una grande intuizione, che sorprende i Romani, che credevano di combattere in altri posti. I consoli dell’anno in cui scoppia la guerra, il 218, Publio Cornelio SCIPIONE, padre di Publio Cornelio Scipione Africano e il suo collega, TIBERIO LONGO, furono inviati a Genova o in un porto del nord Italia per sbarcare in Spagna, in Sicilia, o eventualmente in Africa. Consideravano l’Italia intoccabile. Tutto parte dalla Spagna. Tra le cause che inducono la guerra è infatti l’inizio di una vasta offensiva scatenata dalla guida dei Barca alla penisola iberica. Cartagine era stata sconfitta nella 1’ guerra punica, aveva dovuto rinunciare a navi, ma non era stata atterrita. Era ancora florida e potente, soprattutto dai commerci, e animata, con alcune famiglie, soprattutto dei Barca, da volontà di rivalsa. Mentre Roma combatte in Gallia cisalpina e in Illiria, i cartaginesi avanzano in Spagna, in modo rapido tanto da preoccupare i Romani, che si affrettano a stilare un trattato, trattato dell’Ebro, fiume a nord della Spagna, che stabiliva un limite all’espansione dei cartaginesi. I Romani concedevano ai Cartaginesi mano libera a sud dell’Ebro. La guerra scoppiò perché Annibale fece attaccare da tribù sue alleate la città di Sagunto, a sud dell’Ebro, area di pertinenza cartaginese, ma alleata dei romani. Nacque un contenzioso che i romani tentarono di calmare pacificamente, ma Annibale non cedette. Sagunto fu assediata e conquistata, e i Romani dichiararono guerra. Furono però colti di sorpresa dalla rapidissima marcia dei cartaginesi presso i Pirenei e le Alpi. I tentativi di intercettare il nemico a Marsiglia fallirono, Scipione ritorna a Pisa, risale la penisola, e combatte con Annibale nel Ticino, sconfitto. Non è una sconfitta molto onerosa per i Romani, coinvolse soltanto delle cavallerie degli eserciti, non la fanteria, che per i Romani era il nervo dell’apparato militare. Scipione comprende la grande abilità del nemico soprattutto nell’adoperare la cavalleria. Fa chiamare il collega TIBERIO LONGO dalla Sicilia, e con due legioni a testa affrontano Annibale presso il fiume Trebbia, a sud, e ricevono una dura sconfitta. Subiscono perdite consistenti, ma riescono a riparare nei porti di Piacenza e Cremona. Annibale inanella varie vittorie, per esempio Vittoria del Trasimeno, 217, quando Annibale distrugge l’armata consolare di Gaio Flaminio, console ancora nel 217, tribuno nel 232, e distrugge la cavalleria del console inviata a supporto a Flaminio. 216, la grande claves, la disfatta di Canne. Due intere armate consolari fatte a pezzi, un’armata romana di 80mila uomini, romani e alleati. E’ una deblace, Annibale crede i romani cedano, iniziano delle defezioni. I galli erano passati da Annibale, iniziano defezioni di città come Capua, Taranto, Siracusa, da tempo alleate di Roma. Il re di Macedonia Filippo V si allea con Annibale. Roma ricorre a tutti i mezzi possibili. Arruola anche schiavi, delinquenti liberati dalle prigioni, i giovinetti inferiori ai 17 anni, ri adopera la dittatura, da decenni non più istaurata, magistratura d’emergenza, ricorre a tutti gli aiuti della religio, ad un cambiamento nella tattica e nella mentalità. Assedio a Napoli, 327, preludio alla 2’ guerra sannitica, quando vi era stata la pro magistratura, il prolungamento di un console in scadenza. Prorogatio in quell’anno perché il console che aveva avviato l’assedio era QUINTO POBLIBLIO FILONE . Cognome di origini greche. Egli sfrutta fazioni filo romane della classe dirigente napoletana. Prevale sugli avversari, e conclude il trattato con Roma. E’ incaricato di condurre la campagna napoletana, e il comando è prorogato, con un’innovazione istituzionale, perché possa concludere i negoziati avviati. Il conflitto si risolve per via diplomatica. 3’guerra sannitica, 298,290 Più corretto guerra italica, perché Roma contrasta una coalizione di popoli, i Sanniti, ma anche gli Etruschi, Umbri e i Galli Senoni. Il conflitto, come nella battaglia di Sentino, con 4 armate nemiche non era facile, neanche per un apparato militare potente. I Romani paiono aver indebolito la coalizione, smussato la determinazione soprattutto di Umbri ed Etruschi. Nel 301, ad Arezzo, riprendono il potere con un golpe i Cinni, famiglia di Arezzo che era stata emarginata, con l’appoggio dei Romani. E’ una fazione filo romana. Incominciano a levarsi in varie città etrusche voci contrastanti la guerra. A Sentino, etruschi e umbri giungono in ritardo. Sarà un caso, ma in quegli anni a ricoprire la carica suprema di console sono personaggi del mondo umbro ed etrusco, LUCIO VOLUMNIO FLAMMA, di origini umbre, nel 296, e QUINTO FABIO MASSIMO RULLIANO, membro di una famiglia, quella dei Fabii, con molti legami con l’ambiente etrusco, tanto che i propri rampolli studiavano a Cere. 3- Consenso ad una politica di espansione Era importante creare intorno alla politica espansionistica un vasto consenso, espanso ai ceti dirigenti e condiviso agli strati inferiori. A Roma, la guerra e tutto quello che vi ruotava intorno erano presentate in modo positivo. Vi era un ethos della guerra considerato come elemento distintivo e fonte di prestigio, per esempio la cerimonia del trionfo. Il massimo riconoscimento per un uomo politico era la vittoria in una battaglia. Ne parla Polibio. Vi era una serie di onorificenze, premi, a soldati che si distinguevano per valore, la corona civica, di un soldato che salvava un concittadino, la corona per colui che assaltava per primo la cittadina in un assedio. Polibio parla di come tale sistema di onorificenze detenesse un valore sociale fondamentale. Chi deteneva un riconoscimento godeva di fama. La classe dirigente introietta tale ethos militarista, che spinge, anche in guerre molti difficili, alla caparbietà. Durante la 1’ guerra punica, molto complessa, è ciò che distingue romani e cartaginesi. I cartaginesi erano più attenti alla valutazione di costi e benefici, e quando ATTILIO REGOLO, a circa metà del conflitto, 255, 254 li sconfigge in Africa, in loro territorio, sono pronti dopo anni di guerra ad avviare trattative di pace. E’ soltanto l’errore politico di Attilio Regolo, che impone condizioni troppo onerose, a farli saltare. A Roma pare prevalere una alla resistenza, anche nei momenti drammatici come nella seconda guerra punica. Dopo aver inanellato una serie di vittorie trionfanti, Trasimeno, Canne, Annibale non credeva i romani volessero seguitare a combattere. Credeva i romani patteggiassero. Invia un gruppo di prigionieri da Canne per il riscatto. Le trattative del riscatto preludevano di solito le trattative di pace. Il Senato rinvia i prigionieri ad Annibale non versando soldi, e prosegue la resistenza. La determinazione, pur con delle oscillazioni. Durante la guerra pirrica, come unicum, Roma pare voler patti. Tale carattere è da una mentalità militarista, ma non poteva essere soltanto la volontà dell’élite dirigente. Il consenso per una politica di guerra di espansione avrebbe dovuto essere allargato anche agli strati più umili, che da III e IV secolo, con la leva per tribù, rappresentavano il nervo dell’esercito. L’elemento fondamentale è l’abilità dell’élite di coinvolgimento e motivazione degli strati più umili, resi compartecipi ai vantaggi delle conquiste. Nell’epoca dell’espansione in Italia si risolvono situazioni di maggior disagio economico per molti soladati romani. Nel corso della 1’ guerra sannitica, 342, vi fu una protesta oscura delle legioni romane di stanza a Capua, che traggono consapevolezza della propria povertà. Molti erano ancora indebitati o poveri, nonostante le lex licinie sestie. E’ promulgato il plebiscito genucio, a vantaggio dei debitori. Nel 326 o 313, la lex pretelia papiria che abolisce il nexum. Saranno poi distribuite territori ai cittadini poveri. Tale abilità di compartecipazione dei vantaggi è importante. L’ascesa economica dei ceti inferiori, della nuova plebe, con il significato innovativo del termine dopo il 367, tra III e IV secolo, si collega ad una crescita demografica. Migliori condizioni economiche concedono possibilità di più figli. 4- Potenziale umano e gestione delle sconfitte Abilità di Roma di disporre di un potenziale umano che gli avversari giudicavano talvolta inesauribile. Le sconfitte incidono più sul potenziale dell’esercito tarantino e pirriota e inferiormente sull’esercito romano sconfitto, che deteneva un ampio bagaglio di uomini. Roma riusciva in una politica di gestione dei territori conquistati vincente. La capacità romana di alleanze, dominio e gestione del territorio conquistato è un fattore chiave che spiega il fenomeno delle conquiste e la creazione dell’impero. Come opera Roma, quando gestisce i territori conquistati? Quali linee guida? Dopo la vittoria contrastante i Campani, i Latini, i Volsci, nella guerra latina, che termina nel 338. Dopo aver vinto tali avversari, Roma scioglie la Lega latina. La lega che riuniva i popoli latini da tempo immemore, che era stata la stipulatrice del foedus cassianum dopo la battaglia del lago Legillo, smette di esistere. Roma stipula con i popoli assoggettati e quelli della Lega dei trattati di alleanza, dei federa. Gli abitanti federati di qieste città non sono cives ma socii. Sono trattati disparati, non con uno schema univoco, in base alle condizioni della resa, i vantaggi, l’affinità tra Roma e i popoli. Roma concede ampia indipendenza, gli Stati mantengono magistrature, governi, ma è loro imposto di seguire la politica estera romana e di contribuirvi con un contingente di soldati. Non vi sono tributi, presidi o forme di dominio, ma un appoggio militare. I popoli legati a Roma da un foedus detengono lo statuto di socii, alleati, ma si distinguono socii di serie A, i socii nominis latini  che godono del diritto latino, il ius latii, una condizione giuridica con alcuni diritti, di conubium, commercium, ius migrandi (ius connubii, ius commerci), possibilità di cittadinanza con il trasferimento a Roma, e ius suffragium, pur in modo limitato. Votavano, se a Roma, in una tribù estratta a sorte,di serie B, socii con condizioni vantaggiose o no in base alla situazione del patto. Altre comunità erano invece integrate nella cittadinanza. Ad alcune città era concessa la cittadinanza romana, optimo iure (sono cives a tuti gli effetti), piena, come abitanti di Lavinio, Ariccia o civitas sine suffragio (non hanno diritto di voto), abitanti delle città meno etnicamente e culturalmente vicine a Roma, città volsche come Velletri, Anzio, città campane come Capua, Cuma, i Sidicini. Lo stato romano, verso i popoli vinti, opera confische di territorio, che diventa ager publicus, posseduto collettivamente dal popolo romano, o venduto, affittato, appaltato dai censori, distribuito virìtim ai cittadini, o oggetto di distribuzione, anche agli strati inferiori. Non creano un centro, una comunità, generalmente in territori ridottamente abitati, posti di raduno in cui ogni tot arrivava un magister, un ufficiale, per dirimere questioni amministrative. Non si crea una città, ma soltanto distribuzioni di territori a cittadini. In altri casi, in tali territori conquistati è dedotta una colonia. Concetto non come quello attuale, possedimento territoriale di uno Stato europeo in un’altra area del mondo. Per i Romani le colonie erano lo stanziamento di cittadini romani in un territorio confiscato e diventato ager romano, scelto dallo Stato romano, sovrainteso dal Senato, che inviava una commissione di triumviri agris dandis adsignandis (magistratura straordinaria temporanea), che avrebbero fondato una città,e presieduto a tutte le condizioni per la creazione di una città e la distribuzione dei territori ai nuovi coloni. 2 tipologie di colonie, romane o latine 1)Colonia romana, di cittadini romani, che rimanevano cives romani, come costola di Roma dislocata altrove. Città fondata da Romani, per esempio Anzio, Sena Gallica. Tali cittadini dovevano presidiare l’area. Contavano circa 300 coloni. Pani sottolinea la distinzione tra questo caso, delle colonie romane, e l’integrazione nella civitas di altre comunità preesistenti. In quel caso era il ius romanum a migrare, la comunità preesistente diventa città romana, qua invece non è il ius romanum a migrare, ma i cives romani che emigrano. 2)Colonie latine, in cui i coloni erano romani, ma perdevano la propria cittadinanza per acquisire lo status di socii nominis latini. Le colonie latine erano comunità indipendenti, alleati, tenute, come tutti i socii, a fornire un contingente di soldati, indipendenti all’interno ma allineate in ambito di politica estera, legate a roma da un trattato. La rinunci alla civitas è compensata da miglioramento di status economico. Tali modi di trattamento del territorio, e poi anche linee guida nella conquista di territori italici dopo, mostrano Elemento caratteristico di adozione di modelli non univoci, cittadinanza, cittadinanza parziale, foedus. Roma costituisce un grande dominio, ma discontinuo. Gli organismi federali, come la Lega latina, sono sciolti. Vi è la volontà di Roma di evitare convergenze di interessi e collusioni tra i confederati. La confederazione romano italica è una confederazione che esclude i rapporti tra i confederati, che detenevano rapporti soltanto con Roma, centro e unica interlocutrice. Divide impera, distinzione ed evito di rapporti, per non formazioni antiromane. Generalmente, quello romano era un dominio che lasciava molta indipendenza interna, non pareva essere, almeno in tale periodo, oneroso, pur tale richiesta di aiuto militare diventerà gravosa nel corso del tempo.Gli alleati metteranno in campo nelle guerre di Roma addirittura il 60% delle truppe, più che partecipi agli oneri delle conquiste. COLONIZZAZIONE Fenomeno condotto su vastissima scala, tra IV e III secolo. Ad inizi II secolo, Roma ha dedotto 35 colonie latine e 18 romane, un numero notevole. E’ il fenomeno che accompagna la conquista dell’Italia. Gli studiosi hanno a lungo dibattuto, anche in toni accesi, sull’obiettivo della colonizzazione. -colonizzazione con obiettivi militari. Alcuni dicono che seguendo le tappe della colonizzazione si seguivano quelle dell’avanzamento romano -obiettivi politico sociali Prevale una tesi combinatoria. Le colonie detenevano una funzione militare. Erano dedotte colonie in territori appena conquistati per dominarli, o come teste di ponte in territori che si accingevano a conquistare. Nel 314, 13 furono fondate colonie che servivano come contorno ai Sanniti da sud e nord, Lucera, Saticula, Suessa Aurunca, Venosa. Nel 301, data incerta, è dedotta Narni, in territorio umbro, per dominare il territorio, conquistato dalla 2’guerra sannitica.Vi erano motivi militari, ma anche motivi economici e sociali. Concede di dare territori ai cittadini, di sopprimere tensioni interne, formando blocchi di fedelissimi, dando loro migliori condizioni economiche e promulgando la crescita demografica, dunque risorse umane non come tutti gli stati arcaici. Con l’acquisizione di Sicilia, Sardegna e Corsica dopo il primo conflitto punico, i modi di gestione dei territori oltre mare cambieranno. Non si è più in Italia, e pare che in tale epoca, tra IV e III secolo, la penisola italica, ad eccezione della Gallia, a nord, sia avvertita come una koinè culturale prima ancora che etnica. Indipendentemente dalle forme con cui si esplica il dominio romano, inclusione nella cittadinanza, rapporti confederativi, patrocinium, modello provinciale, tale dominio è indiscusso già dal I decennio del I secolo, decennio che sconvolse gli assetti del Mediterraneo. Già dall’antichità, la fondazione di un impero da Roma attrasse le menti più argute. Polibio, per primo, in modo sistematico, affronta il tema, che per lui determina una svolta storiografica, perché dalla conquista romana dell’ecumene, l’unificazione dell’intero mondo abitato, per Polibio è possibile comporre per la prima volta una storia universale,perché le vicende sono irrelate ed è possibile seguirle insieme. Precedentemente Polibio, anche altri studiosi avevano tentato di capire i motivi di popolarità di Roma, già Eratostene, in ambito alessandrino, individuava nei caratteri della politeia romana i motivi di grandezza dell’Urbe. In tempi più recenti, l’Impero Romano è stato riferimento per i grandi imperi, per esempio, per l’Impero asburgico. Il modello della res publica è spesso stato addotto ad esempio per i francesi, per i padri fondatori d’America, la repubblica romana era chiamata come modello nell’Inghilterra vittoriana, per l’impero coloniale britannico. Esso si reputava però superiore all’Impero Romano, per la maggior parsimonia di concessione della cittadinanza.Anche in epoca moderna, dopo la caduta del muro di Berlino, dopo la fine del sistema bipolare, della guerra fredda, si fondò una situazione caratterizzata da una leadership unipolare, quella degli USA, ma che presentava affinità con la situazione dell’Impero Romano. Lavoro miscellaneo di Pani, Storia romana e storia moderna, contribuiti sull’argomento.Propensione ad accostare l’Impero Romano arcaico all’Impero statunitense, con il quale si notano affinità nella mancanza di concorrenti.Ci sono dei rivali, ma più deboli, si parla di guerra asimmetrica, per il ruolo di arbitri che spesso i due soggetti rivestivano, - per gli USA si parlava di impero light, non territoriale ma indiretto, con abilità di comando come la Roma arcaica-, analogie per i modi di giustifica delle guerre, del Golfo, in Afghanistan, contrastante Saddam Hussein, con argomenti di bellum iustum, guerra preventiva, superiorità etica ed esportazione di un modello considerato vincente, per esempio la democrazia, diffusione di elementi materiali e culturali, per Roma, diffusione di strade, acquedotti, la lingua, lingue neo latine, il diritto,per gli USA, prodotti commerciali ma anche culturali, nel mondo occidentale. Zecchini osserva che il regno partico, romano, l’altopiano iranico, l’India e la Cina sono esclusi dal dominio romano come esclusi dal dominio statunitense, ulteriori affinità. Nel dibattito politico, esempio in articoli di giornale all’epoca della guerra del Golfo, in Afghanistan, contrastante Saddam Hussein, è stata riproposta l’equiparazione tra gli uomini moderni e i greci e i romani di un tempo. Gli americani erano equiparati ai romani figli di Marte, e gli europei, non tutti in modo concordo in appoggio della linea interventista, come figli di Venere, greci, oppure si sottolineava la discrepanza tra mondo europeo che si cullava nella presunta superiorità culturale di fronte gli americani, ma era anche diviso, incapace di condurre una linea politica unitaria, e militarmente debole, situazione che ricordava quella delle poleis greche di fronte alla potenza romana. Tutti gli esempi mostrano come, condizionate dall’attualità, le riflessioni di arcaici e moderni sull’espansione di Roma non sono mai asettiche, ma si traducono in una valutazione di legittimità, un giudizio di valore, spesso disparati. Polibio, ammiratore di Roma, lascia trasparire dei dubbi. Tali considerazioni, perplesse, risalgono alla fase di rifacimento dell’opera delle Historie, dopo il 146, una seconda redazione, dopo la distruzione di Corinto e Cartagine, quando l’imperialismo romano pare più prepotente.i giudizi positivi prevalgono, i dubbi lasciano posto ad un’accettazione e condivisione del ruolo dominante di Roma dal mondo greco. Dubbi sulla presunta predestinazione del mondo romano, soprattutto nella prefazione del libro III. Il giudizio sulla qualità del dominio romano è rinviato alle generazioni future. E’ una pausa di giudizio, anche dal filo romano Polibio. Tra I e II secolo d.C., i giudizi positivi prevalgono, e vi è una generale accettazione e condivisione del dominio romano. Dionigi di Alicarnasso, ancora in epoca augustea, considera utile comporre una storia di Roma arcaica per controbattere i pregiudizi ancora circolanti nel mondo grecofono. Tale esigenza di giustificazione di Roma pare però calare. Esempio di una posizione ormai apertamente entusiasticamente filo romana, frasi del discorso, A Roma, pronunciato da Elio Aristide, per adempiere ad un voto fondato durante il viaggio dall’Asia Minore alla capitale. Tiene un discorso di fronte all’Imperatore, Antonino Pio, un manifesto di adesione del mondo greco all’impero. Riconosce ai Romani una vocazione congenita al dominio. Hel. Arist. Rom. Enc. 60-61 e 63: “né mare né distanza terrestre escludono dalla cittadinanza, e tra l’Asia e l’Europa non c’è differenza riguardo a ciò. Tutto è alla portata di tutti; nessuno è straniero se merita una carica o la fiducia. Un’organizzazione politica comune a tutta la terra è instaurata sotto l’autorità unica del miglior governante e ordinatore, e tutti convergono qui, come verso una comune agora, per ottenere ognuno ciò che merita. … Noi riconosciamo che, nella vostra grandezza, avete dato alla vostra città dimensioni grandiose. Lungi dal compiacervi e dal decidere, per renderla più ammirevole, di non farne partecipe nessun altro, avete cercato una popolazione degna di questa e avete fatto del nome di Romano un nome che designa non una città ma una sorta di etnia comune, e soprattutto non una popolazione tra le altre, ma una popolazione che controbilancia tutte le altre…”. Ma più che sulla conquista, si focalizza sul momento di integrazione dei vinti dall’impero, insistendo sulla concessione della libertà, la volontà, il consenso, l’integrazione dei vinti anche nei gambi del potere, tramite l’espansione della cittadinanza e l’adozione di una valutazione meritocratica. Il risultato è secondo lui una straordinaria unità di intenti e di sentire, coronata da pace e benessere. Adduce all’immagine del coro che canta all’unisono. Per tutti, elleni e barbari, il mondo è diventato una casa comune. Tematiche assomiglianti si ritrovano anche tra i contemporanei di Elio Aristide, nel II secolo, spesso funzionari a servizio di Roma, coinvolti nell’amministrazione dell’Impero. Rutilio Namazziano, inizi V secolo, prefetto dell’Urbe nel 414 d.C. , voce di un’epoca ormai di crisi, di adesione all’impero e alla romanità, ma con accenti nostalgici per un mondo che cominciava ad essere attaccato dall’esterno. Brano tratto dal poemetto De redibus suus, che Rutilio compone per ricordare il viaggio suo da Roma per raggiungere la Gallia narbonese, la sua patria, devastata dai Goti. Vi sono elementi già di Elio Aristide. Il soggetto è Roma. Rut. Nam.1.59-66: “te non ha fermato l’Africa con le sue sabbie infuocate, né ha respinto l’Orsa armata del suo gelo: quanto la zona abitata si stende verso i poli tanto la terra s’apre alle tue conquiste. Delle diverse genti unica patria hai fatto; un bene è stato, per i popoli senza legge, il tuo dominio. E offrendo ai vinti di unirsi nel tuo diritto tu del mondo hai fatto l’Urbe”. Grandezza della conquista, dilatazione dei confini fino al mondo abitato. Tema di unificazione di un impero che diventa un’unica patria. Considerata soprattutto un’unificazione civilizzatrice, concretizzata soprattutto nel regalo del diritto, uno degli elementi caratteristici del popolo romano. A tali voci di elogio, adesione che prospettano l’impero come elemento positivo si accostano anche voci di dissenso, che sottolineano la matrice violenta e l’opposizione. Dissenso, da autori romani, che non pongono in discussione loro stessi, ma si fanno portavoce della voce dei nemici. Historiae, Sallustio, opera frammentaria, di cui rimane una lettera, attribuita a Mitridate del Ponto, che accingendosi a combattere contrastante Roma invia al re dei Parti per convincerlo a sposare la sua causa. Lettera fittizia, elaborata da Sallustio, ma che riprende argomenti adoperati dal re del Ponto. Mitridate è uno dei grandi avversari di Roma. Fin dalla fine del II secolo, animato da aspirazioni di dominio tenta di espandere il suo regno ai danni dei popoli vicini, minacciando città della provincia romana e i regni alleati di Roma. Roma interviene più volte per frustrare le ambizioni di Mitridate. La vicenda forse più importante è dell’88 a.C., quando Mitridate riesca a suscitare un allargato movimento anti romano, che si traduce in una protesta delle città della provincia romana in Asia, che addirittura, con un’azione orchestrata, mette a morte tutti i cittadini romani e italici del posto. Le cifre fornite dalle fonti sono discordanti. Roma interviene, ma la campagna guidata da Silla si intreccia con i dissidi a Roma e la guerra civile. Nel brano di Sallustio, il dominio dei romani è raccontato come fosco. Quella che per Aristide era una propensione naturale al comando, dovuta alla virtù, diventa una propensione congenita alla prevaricazione e al saccheggio. I Romani sarebbero nati per mettere a ferro e fuoco l’Orbe, per depredarlo e rovinare il mondo intero. Ignori forse che i romani arrestati nell’oceano nella loro marcia verso Occidente hanno rivolto qua le loro armi, che fin dai primordi non possiedono che non sia frutto di rapina, case, mogli, terre, che addietro fuggiaschi si sono costituiti in Stato, e che nessuna legge, umana o divina li trattiene dal depredare e annientare popoli lontani e vicini, amici e nemici. I romani fanno guerra a tutti, ma soprattutto a quelli la cui disfatta promette spoglio o pime, osando, ingannando, passando da una guerra all’altra si sono arricchiti. Uno solo e antichissimo è il motivo per cui i romani fanno guerra a tutti, nazioni, popoli e re, l’insaziabile fame di ricchezze Insaziabile volontà di dominio con motivi economiche cupidigia di denaro. Fame di potere insaziabile, incapace di limitarsi, iscritta nel DNA. Fuggiaschi, mancanti di patria e parenti, eco delle polemiche greche sull’origine non pura dei Romani, come i romani raccontano nei loro miti di fondazione, origine negativa e un impero che è frutto di rapina. Non avrebbero creato niente, soltanto rubato. Medesime tematiche si ritrovano in un testo più tardo, L‘Agricola di Tacito, biografia che compone in onore del suocero, che per conto di Domiziano condusse una campagna in Britannia contrastando i Caledoni. Tac. Agr. 30.6-7 Il brano è tratto da un discorso messo in bocca al capo dei Caledoni, Calgaco, che rappresenta la posizione di chi non sottomette al dominio romano. Non è un re vivente, come Mitridate, ma un personaggio storiografico, ma i personaggi sono i medesimi. Tema dell’insaziabilità inarrestabile del dominio romano. Dopo aver depredato tutte le terre, depredano il mare. Insaziabili da Oriente e Occidente. Smaniano ricchezze e povertà di tutti. Volontà di dominio anche in mancanza di motivazione. Trucidare, saccheggiare  rapina violenta, carnale Raptores orbis, saccheggiatori del mondo intero. Denuncia della pretesa di civilizzazione dell’Impero. Non sarebbe portatore, come volevano Aristide e Rutilio Numaziano di unione, armonia e unificazione nel diritto, di pace e benessere, ma un dominio che eradica l’identità del popolo vinto. Vi è oltre lo sfruttamento del patrimonio economico, l’annullamento della loro individualità etnica. Agricola condurrà la conquista della Britannia non soltanto con le armi ma anche un’azione diplomatica e di romanizzazione, fondando scuole e acquedotti. Calgaco la considera un’imposizione che annulla l’identità del popolo. E’ un’assimilazione corruzione, annichilimento dell’individualità. Comunque valutabile, dato interessante in un’epoca di globalizzazione come quella moderna. 4 novembre L’espansione imperialista, soprattutto nell’ultima fase, prima metà II secolo a.C., e acquisizione di superpotenza e dominio di Roma comportano una serie di fenomeni a vasto raggio, che riguardano gli ambiti sociali, politici, amministrativi, la religione, la mentalità e la cultura. Nell’arco di 100 anni, causano una crisi irreversibile della res publica, fino a decretarne la dissoluzione. Premesse per un nuovo regime, il principato da Ottaviano, con potere distintamente distribuito e gestito. E’ l’epoca della TARDA REPUBBLICA, 133-31 a.C. Delimitata convenzionalmente tra 133, anno del tribunato di TIBERIO GRACCO, primo uomo politico che pone sul tappeto problemi e criticità emersi nel corso del secolo, e il primo a promulgare un progetto di riforma. Data finale della tarda repubblica, 31 a.C.  battaglia di Azio, Ottaviano sconfigge Marco Antonio, ultima delle guerre civili, rimane l’unico capo di Roma, e avvia la costituzione del capolavoro istituzionale che è il principato. Già gli arcaici percepivano tale epoca l’inizio di una nuova era, dal tribunato di Tiberio, 133, o dal 46, distruzione di Cartagine, era percepita in connotazione negativa, di declino, deterioramento dei mores, a cui si attribuivano varie spiegazioni, soprattutto in termini moralistici. I cambiamenti prodotti dalla conquista di un impero così vasto sottopongono il sistema a sollecitazioni inusitate, tali da modificarne profondamente la natura. Sollecitazioni foriere di problemi, difficoltà e di conflitti. E’ quella che Toynbee definiva The Annibal legacy, che avrebbe lanciato una mela avvelenata, pur sconfitto, lasciando ai Romani problemi che avrebbero decretato la fine della res publica. Roma non sarà sconfitta, ma continuerà a dominare per secoli. Cambiamenti -economia  l’acquisizione di un impero di così vaste proporzioni in tempi così brevi comporta cambiamenti economici. Produce un afflusso di ricchezza, come bottini, opere d’arte, tributi provinciali, acquisizioni di ager publicus, tramite confische di territori ai vinti o per punire alleati ribelli, proventi dallo sfruttamento di miniere. È un afflusso di ricchezze mancante di precedenti, che inizialmente arricchisce un pochetto tutti, poi si distribuisce in modo sperequato. -Cambiano le attività produttive. L’allargamento dei confini dell’impero comporta una dilatazione dei commerci, una maggior articolazione delle attività imprenditoriali, crescita delle opere pubbliche, moltiplicarsi delle attività finanziarie. -Modifica delle colture L’agricoltura, che rimane l’attività produttiva ancora di eccellenza in tale società, cambia. In Italia, per esempio, gli approvvigionamenti garantiti dai tributi provinciali, soprattutto come decime di grano, inducono molti proprietari a convertire le proprie colture, prima di grano o di farro, in colture specializzate, arboricole, di olivo, o alla grande transumanza. La Sicilia, prima provincia, già negli anni della 2’ guerra punica è convertita a monocultura, granaio di Italia. Dal 146 si aggiungono la provincia d’Africa, di produzione cerealicola, dal 133 anche la provincia d’Asia, con derrate analoghe. Cambiano anche le aziende agricole, per l’impiego superiore che in precedenza di manodopera servile. In conseguenza ai cambiamenti economici, anche cambiamenti -Sociali  fondazione di nuovi ceti, non esistenti o non così definiti, o emersione di ceti precedentemente marginali, ora di primo piano, o cambiamento delle condizioni economiche dei ceti sociali tradizionali. I ceti elevati sono quelli che più si avvantaggiano dell’espansione. I membri dell’ordine senatorio, che sono anche i generali che guidano gli eserciti alla vittoria, guadagnano bottino, legami personali, clientele. Anche tra i ceti alti inizia una distinzione. L’ampliarsi delle attività commerciali, affaristiche e finanziarie determina la nascita di un nuovo gruppo sociale. Già dal 219, 218, con il plebiscito Claudio, chi si dedicava alla politica era escluso dal grande commercio. Le attività fondiarie dovevano essere esercitate da altri. Emerge un ceto, quello equestre  con il censo elevato, della classe equestre, ma si distingue dal ceto senatorio per il non dedicarsi alla politica. I confini tra i membri del ceto equestre e quello senatorio sono talvolta labili. Una dicotomia dei ceti elevati si fonda gradualmente. Il termine equites indica gruppi distinti. Equites come membri della classe equestre, che detenevano il censo più elevato nella società, ed erano membri della super classe, superiore alla 1’, nell’ordinamento centuriato, suddivisa in 18 centurie. Con la fine del II secolo, equites indica parallelamente un classificato nell’ordinamento centuriato tra le 18 centurie equestri, ma si distingue dagli altri ricchissimi della città perché non si dedica all’attività politica. Detengono medesimo censo equestre dei membri del ceto senatorio, ma non ricoprono le cariche politiche. L’ordine equestre, alla fine del II secolo, all’epoca dominata da Gaio Gracco, si configura come ordo, gruppo definito, contraddistinto da privilegi e simboli, per esempio porta l’anello d’oro, l’angusti clavo, la toga con la fascia porpora più stretta, detiene dei posti riservati a teatro. Tale dicotomia è operante soprattutto nel dibattito politico, quando membri del ceto equestre e del ceto senatorio confliggeranno per alcune questioni. Il medesimo concetto di concordia ordinum sbandierata da Cicerone presupponeva vi fosse una divisione in primis tra gli ordini più elevati. Altro elemento caratteristico e nuovo degli assetti sociali di tale epoca. Il numero di schiavi, soprattutto come prigionieri di guerra, cresce molto. Nell’isola di Delo, dal 167 porto franco, dunque centro nevralgico di commerci nel Mediterraneo, si vendevano ogni giorno 10 mila schiavi. La presenza di schiavi ha notevoli ripercussioni. Introduce nell’attività agricola nuove forme di manodopera a bassissimo prezzo, ed è anche fonte di tensioni e possibili disordini sociali. In tale epoca vi sono le grandi rivolte, in Etruria e soprattutto Sicilia. Non si crea un movimento unitario servile, che metta in discussione i principi della schiavitù, perché le condizioni degli schiavi sono disparate. Gli schiavi domestici potevano anche detenere cariche elevate, qualora di buona educazione, peggiori erano le condizioni degli schiavi nelle miniere. Il grande numero di schiavi comporta che molti schiavi, soprattutto domestici, erano affrancati, la manumissione. Ciò cambia la società, perché cresce il numero di liberti, che detenevano inizialmente una carica limitata, per esempio ius suffragi ma circoscritto, perché votavano in una tribù estratta a sorte, ma il loro figli, libertini, godevano di pieni diritti. Entra nell’organizzazione comunitaria un insieme di personaggi conducenti nuove istanze. -aspetto più rilevante, i ceti meno abbienti, della plebe. Nella media repubblica erano in ascesa economica, valorizzati militarmente, in ambito civico, e distribuzioni viritanee e colonizzazione, abolizione del nexus. Dall’espansione imperialistica, tale gruppo è però danneggiato. La distribuzione abbastanza equa della ricchezza iniziale avvantaggia anche i ceti inferiori. La sospensione del tributum, varata nel 167. Roma è talmente ricca da sospendere la raccolta delle tasse, della tassa sulle persone, il tributum. Nel corso del tempo, il ceto di piccoli e medi proprietari, IV e V classe nell’ordinamento centuriato, inizia a subire contraccolpi dai cambiamenti in atto tanto da entrare in crisi. Le cause sono -concorrenza delle derrate provenienti dalle province, dunque abbassamento del prezzo del grano, colture non redditizie. -Tali proprietari non potevano passare ad altre colture, perché esse richiedevano grossi investimenti iniziali, pur essendo dopo molto remunerative. I proprietari non disponevano di tale patrimonio di partenza. -Inoltre erano i principali responsabili della milizia. Le guerre erano sempre più lunghe, non guerre stagionali, e i contadini si allontanavano dunque da casa per molto tempo. In Spagna, per esempio, vi era un esercito quasi stanziale. -Il piccolo medio contadino non può neanche arrotondare le sue entrate lavorando come presso i grandi proprietari, che impiegavano la manodopera servile. Tale ceto inizia ad impoverirsi. E’ talvolta costretto a vendere il proprio podere. La perdita della capacità economica si traduce in una perdita dello status giuridico di cui godevano, dunque del loro ruolo nella società. Per esempio, un membro della V classe che avesse venduto il proprio podere non avrebbe più detenuto un censo minimo, e sarebbe passato degli infra classem. Non avrebbe dunque più potuto militare nell’esercito. La crisi irreversibile di quel ceto di contadini che aveva fino ad allora costituito la maggioranza. Fondata sull’equivalenza cives agricola miles. Paradosso che Roma, proprio quando deve fronteggiare guerre in tutto il mondo, inizia a non disporre più di quel potenziale umano che ne aveva invece assicurato la grandezza nell’epoca precedente. La società che ancora nella media repubblica era abbastanza omogenea e coesa appare percorsa da profonde distinzioni. Articolata in gruppi sempre più disparati, con interessi vari e non di rado contrastanti. A Roma non vi è una crisi economica, ma tali situazioni. Gli studi sociologici mostrano che la conflittualità della società non dipende tanto dal grado di ricchezza di quella società, quanto dalla sua omogeneità interna. L’ampliarsi dei confini dell’impero comporta sfide mancanti di precedenti, nuove questioni al governo, strutturato come una città stato. Nel corso degli anni, era aumentato il numero di alcuni magistrati, questori e pretori, ma l’apparato magistratuale, esecutivo, resta limitato. Manca un apparato burocratico amministrativo, per cui Roma deve sfruttare società private, come i pubblicani, membri del ceto equestre. Le società espletavano le cariche dello Stato, per esempio riscossione, rifornimento degli eserciti. Iniziano i grandi scandali. Vi erano già stati dei precedenti durante la 1’e la 2’ guerra punica, quando lo Stato aveva fatto ricorso a società private per allestire flotte, per trasportare il carico di rifornimento agli eserciti, a condizioni vantaggiose per le società private. Per esempio, in caso di affondo, era lo Stato a risarcire i privati. Scandali celebri durante la 1’e la 2’guerra punica, alcune società che facevano appositamente colare a picco le proprie navi, svuotate, per essere risarcite. Problema non soltanto strutturale, ma anche morale. La classe dirigente che fino ad allora aveva guidato Roma alla conquista del mondo, ma anche in grado di distribuire i bottini delle conquiste, diventa esclusivista. L’importanza della nobilitas aumenta, come classe sempre più chiusa. E’ una classe incapace di gestire i vari interessi della civitas, ma anche i rapporti all’esterno, perché si incrinano anche i rapporti con alleati e provinciali.
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