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Storia Romana. Dalle origini alla caduta dell'Impero., Dispense di Storia Romana

Dispense di storia romana: dalla creazione di Roma alla fine dell'impero romano d'Occidente.

Tipologia: Dispense

2023/2024

Caricato il 20/05/2024

Kheyra16
Kheyra16 🇮🇹

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Scarica Storia Romana. Dalle origini alla caduta dell'Impero. e più Dispense in PDF di Storia Romana solo su Docsity! ROMA ARCAICA. La storia è una necessità sociale che serve per definirsi e confrontarsi, essa permette di sviluppare uno spirito critico e una capacità di sintesi tale da far dialogare gli eventi fra di loro. Un’adeguata conoscenza della storia ci permette di discernere il vero dal falso. Lo storico è colui che indaga, ricerca, si pone degli interrogativi continui sul tempo e sulle azioni dell’uomo. La descrizione della storia, tuttavia, presenta un grande problema che è quello della soggettività. Noi sappiamo bene che la storia non potrà mai essere del tutto oggettiva, anche se ammettere l’elemento soggettivo non significa influenzare il racconto bensì rendere innocua tale soggettività. Karl Popper diceva che lo storico è come il manovratore di un faro: rende visibile il tutto a seconda della posizione, dell’intensità e dei movimenti che egli stesso dà alla luce. Ernesto De Martino con la teoria dell’etnocentrismo critico dà una risposta alla domanda “come superare la presa di coscienza della soggettività storica?”. Egli afferma che bisogna prendere coscienza dei propri limiti e superarli, solo così con queta tensione etno-spuculativa si può realizzare l’umanesimo etnografico che implica la storicizzazione di sé e della propria cultura. Benedetto Croce, infatti, riteneva che “ogni storia è storia contemporanea” ammettendo l’eterna attualità di essa. L’eternità e l’assoluto, però, non competono allo storico, infatti, molti personaggi che in epoca a loro contemporanea risultavano essere dei grandi, si sono dimostrati poi tutt’altro. Il metodo storiografico non può prescindere dalla suddivisione della storia in periodi. Il tutto è molto antico, dal metodo annalistico. La periodizzazione più nota è: -STORIA ANTICA, -STORIA MEDIEVALE, -STORIA MODERNA, -STORIA CONTEMPORANEA. Gli strumenti essenziali dello storico sono le fonti che possono essere primarie e secondarie: -Le fonti primarie sono testimonianze storiche. Gli elementi da valutare sono: pertinenza al tema, autenticità e attendibilità delle informazioni. -Le fonti secondarie riguardano l’interpretazione dei documenti. Per selezionare le fonti bisogna distinguere il vero dal falso. Le fonti possono essere: scritte, non scritte, entrambi. Fondazione di Roma. Per quanto riguarda la nascita della storiografia vera e propria in lingua latina si dovrà attendere il II secolo a.C. con Catone il Censore e le sue Origines, giuntaci in forma frammentaria. I primi storici dei quali si può leggere in forma più o meno completa la storia della Roma arcaica vissero tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I secolo d.C. Tito Livio nel primo libro dell’Ab Urbe condita si sofferma sulla nascita di Roma e sulla fase monarchica, pur consapevole della scarsità delle fonti a causa dell’incendio gallico del 390 a.C. Dionigi di Alicarnasso scrisse la Storia di Roma arcaica, opera nella quale copre il periodo che va dalla fondazione alla prima guerra punica, con lo scopo di dimostrare le origini elleniche dei romani. Il terzo grande autore che permise di sapere di più sulla storia romana fu Virgilio con l’Eneide. Un’altra fonte molto importante, che tuttavia non risale sino all’età regia, è composta dagli Annali redatti dai pontefici che si occupavano di annotare gli avvenimenti più significativi dell’anno. Questi vennero raccolti nel 130 a.C. da Mucio Scevola in ottanta libri sotto il nome di Annales Maximi. Ovviamente la mancanza di testi precedenti non deve indurre nell’errore di credere che i Romani non adoperassero la scrittura. Si pensa, infatti che in una prima fase della monarchia la trasmissione dei ricordi storici fosse orale. L’elaborazione di leggende rispondeva alla duplice finalità di individuare soluzioni facilitate di memorizzazione degli eventi trascorsi ritenuti fondanti per la storia cittadina. Sono, infatti, tanti i miti legati alla fondazione di Roma, dei quali, il più comune e conosciuto è Il mito di Romolo e Remo: Romolo e Remo sono i due gemelli nati dall’unione di rea Silva (discendente dell’eroe troiano Enea) e del dio della guerra Marte. I due fratelli però erano nipoti del re Numitore, spodestato dal fratello Amulio. Nel timore che crescendo potessero rivendicare il trono, Amulio ordinò che i gemelli fossero annegati nel fiume Tevere. La cesta s’incagliò in un’ansa del fiume, ai piedi del colle Palatino; qui una lupa (animale sacro a Marte), richiamata dai loro vagiti, li raccolse e li allattò fino a quando non furono trovati dal pastore Faustolo, che li accudì e li allevò assieme a sua moglie. Divenuti adulti, Romolo e Remo uccisero Amulio e, secondo il volere degli dèi, fondarono una città proprio sul colle Palatino, Fu Romolo a scegliere il nome della città, Roma, e a tracciare il solco che nessuno poteva attraversare armato, questa procedura era legata ai riti di fondazione, come riportato da Varrone, che prevedevano il tracciamento di una linea sacra (pomerium da postmoerium) che delimitava il perimetro della città in corrispondenza con le mura. Remo, però, invidioso del fratello, decise di varcare il solco con le armi in pugno. Fu così che Romolo uccise il fratello Remo e divenne il primo re dei sette re di Roma il 21 aprile 753 a.C (data proposta da Varrone). Nella tradizione trova spazio anche l’origine mitica delle rivalità con Cartagine. Infatti, Enea, nel suo peregrinare, era giunto a Cartagine dove regnava Didone. Questa innamorata non accettò di buon grado la ripartenza di lui e giurò che un odio eterno avrebbe contrapposto Cartagine alla città che Enea e quelle che i suoi discendenti avrebbero fondato. La leggenda della fondazione di Roma creò non pochi contrasti tra gli storiografi moderni, ma si è giunti alla convinzione che molto probabilmente siano state fuse due versioni (quella di Enea e quella di Romolo) ma che, nonostante si tratti di un racconto fondamentalmente leggendario, vi siano alcuni elementi storici, come la compresenza di popolazioni all’origine della storia di Roma e la parentesi etrusca nella fase finale della monarchia. Reale nascita di Roma: È difficile immaginare la nascita di una città dall’oggi al domani, molto più probabile è pensare che sia il risultato di un processo lento e graduale che vide l’avvicinamento di più villaggi no a fondersi. Roma. Per quanto riguarda il nome, che la leggenda ricollega a Romolo secondo alcuni però deriverebbe da ruma (“mammella” nel senso di collina) o Rumon (termine latino per indicare il Tevere). Inoltre, l’area in cui sorse Roma era già stata colonizzata, stando ai ritrovamenti archeologici, a partire dal 1600 a.C. L’organizzazione dei villaggi era molto semplice e si basava su rapporti di parentela, età, sesso e ruolo nella famiglia. L’economia si basava su agricoltura di sussistenza e allevamento. Un primo passo verso le forme di specializzazione si ebbe con l’introduzione della lavorazione dei metalli. La svolta si ebbe nel corso del VIII secolo a.C. quando la popolazione conobbe un notevole aumento e, in parallelo, crebbe la ricchezza, come testimoniato dai ritrovamenti archeologici nelle tombe arredate con oggetti provenienti anche dalla Grecia. La scelta del Palatino per la fondazione di Roma, Secondo Livio e Cicerone, è stata influenzata da una serie di motivazioni sia pratiche che strategiche. Gli dèi, secondo Livio, hanno guidato questa scelta, Cicerone invece riprende le medesime motivazioni, aggiungendo la lungimiranza di Romolo nella scelta del sito. Entrambi poi concordano sulle ragioni logistiche che hanno reso il luogo ideale per lo sviluppo della città, queste includono: la presenza di colline salubri, un fiume adatto al trasporto di merci, la vicinanza al mare per vantaggi commerciali senza il rischio di attacchi navali, e una posizione centrale in Italia per facilitare i contatti politici e commerciali. Inoltre, sono state considerate motivazioni politiche e strategiche, come la ricerca di protezione dai vicini Etruschi e la necessità di espansione territoriale per garantire risorse e protezione. Ulteriori fattori, come la presenza dell'isola Tiberina che facilitava il guado del fiume, la vicinanza alle saline e la presenza di vie di comunicazione importanti come la via Salaria, hanno contribuito alla scelta del luogo. I sette re di Roma. La tradizione fissa il periodo monarchico dal 753 a.C. al 509 a.C. in cui regnarono sette re. Tuttavia, non si trattava di una monarchia assoluta, il re è vincolato ad ascoltare il parere del Senato e alla sua morte il potere torna nelle mani dei patres che eleggono un nuovo sovrano. ROMOLO latino 753-716 fondatore delle prime istituzioni: tribù, curie, senato, tra 50.000 e 25.000 assi. Avevano anch'essi 20 centurie e svolgevano un ruolo importante come soldati di fanteria nell'esercito romano. V classe (onda e pietre): I cittadini di questa classe avevano un reddito compreso tra 25.000 e 11.000 assi. Erano suddivisi in 30 centurie. Capitecensi (proletari): Questa classe rappresentava i cittadini più poveri, con un reddito al di sotto di 11.000 assi. Essi costituivano una sola centuria e non partecipavano ai compiti militari. Romolo fece numerose introduzioni all'interno della società romana arcaica che comprendevano diversi elementi: Divisione della cittadinanza: Romolo distinse i patrizi, eminenti per stirpe e ricchezza, dai plebei, che erano generalmente meno abbienti e non provenienti da famiglie nobili. Questa divisione era originariamente basata sul possesso di terre produttive e pascoli, piuttosto che sulla virtù o la nobiltà. I patrizi ricoprivano ruoli di prestigio nella società, come magistrati e sacerdoti, mentre i plebei erano principalmente coinvolti nell'agricoltura e nell'artigianato. Clientela/Patronato: Romolo istituì il sistema di clientela, in cui ogni plebeo doveva scegliere un patrizio come suo patrono. Il patrono aveva il compito di assistere il cliente nelle questioni legali e testimoniare in suo favore. In cambio, i clienti dovevano mostrare gratitudine nei confronti del patrono, ad esempio fornendo una dote per le figlie del patrono o pagando un riscatto se necessario. Asylum: Romolo accoglieva coloro che fuggivano da regni dispotici nell'area tra il Campidoglio e l'arce, concedendo loro asilo e, in alcuni casi, la cittadinanza e terre. Questo gesto era mirato a popolare la città e ad aumentare la sua forza militare. Tribù e Curie: Romolo istituì tre tribù, probabilmente di origine etrusca, e ogni tribù era divisa in dieci curie durante la monarchia etrusca. Questa divisione tribale e curiale serviva da base per l'organizzazione militare e politica della società romana. I re etruschi hanno svolto un ruolo significativo nella storia di Roma, portando cambiamenti politici, sociali ed economici durante il loro dominio. Tarquinio Prisco, il primo re etrusco di Roma, è stato descritto come figlio di un greco che si è trasferito a Tarquinia e ha successivamente trovato rifugio a Roma. Grazie al sostegno di Anco Marcio, è stato eletto re dopo la morte di quest'ultimo. Durante il suo regno, Roma ha adottato una politica di apertura nei confronti degli stranieri, e i contatti con la Grecia sono stati rafforzati. Si dice che abbia aumentato il numero di senatori a 300. Servio Tullio, il secondo re etrusco di Roma, nacque da una schiava e un uomo di nome Tullio. Ottenne il favore della regina Tanaquilla, moglie di Tarquinio Prisco, grazie a un evento prodigioso. Dopo l'assassinio di Tarquinio Prisco, Tanaquilla nascose la sua morte e fece assumere a Servio Tullio il potere regio, anche se la successione non era stata legittimata. Questa presa di potere irregolare portò all'adozione del principio dinastico. Nonostante non fosse stato nominato tramite la lex de imperio, aveva l'approvazione del Senato. Si crede che abbia introdotto la guardia del corpo. Servio Tullio è attribuito l'istituzione dei comizi centuriati e di quattro tribù territoriali, distinte tra urbane e rustiche. La proprietà terriera determinava l'iscrizione nelle tribù rustiche, mentre i nullatenenti si trovavano nelle tribù urbane. Il terzo e ultimo re etrusco, Tarquinio il Superbo, governò con un regime tirannico. Promosse grandi opere pubbliche e una politica espansionistica. Si dice che abbia assassinato il suocero, Servio Tullio, e governato con il terrore, ignorando spesso il senato. Il suo regno consolidò il potere monarchico e portò a un notevole sviluppo urbanistico e territoriale a Roma. L'ambiziosa politica estera degli Etruschi era evidente anche dalla testimonianza di Polibio riguardo a un documento del 508 a.C., in cui i Cartaginesi promettevano di non interferire negli affari romani. Le strutture interne. La famiglia romana era un'istituzione sociale più ampia di quella moderna, comprendendo tutti coloro sottomessi all'autorità del pater familias, inclusi gli adottati. Il padre aveva il diritto di rifiutare o accettare i figli, e poteva diseredarli in qualsiasi momento. La religione era un vincolo fondamentale della famiglia. Le donne aristocratiche ricevevano un'educazione intellettuale e condividevano il compito di educare i figli con il marito, ma rimanevano subordinate alla sua autorità. Il potere del marito sulla moglie, chiamato manus, era illimitato e poteva arrivare fino all'omicidio in certi casi. Il matrimonio avveniva spesso presto, con il padre che trovava un marito per la figlia. Il divorzio era possibile e poteva avvenire attraverso vari riti o semplicemente con la convivenza interrotta per un anno. Nella Roma arcaica, l'agricoltura era influenzata negativamente dalle condizioni poco favorevoli del terreno e dalle tecniche agricole di bassa qualità. Le colture principali includevano orzo, farro e farrago. Il piatto tipico era il puls, una sorta di polenta a base di farro, che ha dato ai Romani la reputazione di "mangiatori di puls". Il bestiame era utilizzato per la produzione di concime e per aiutare nei lavori agricoli. Gli studiosi come Varrone sottolineavano le origini rurali di Roma, collegando la data della fondazione (21 aprile) alla festa dei Parilia, legata al mondo della pastorizia. LA REPUBBLICA. Le fonti che raccontano la nascita della Repubblica romana provengono principalmente da autori antichi come Dionigi di Alicarnasso, Tito Livio, Diodoro Siculo, Plutarco e Cassio Dione. Anche se questi scrittori hanno vissuto dopo gli eventi che descrivono, si sono basati su fonti precedenti, molte delle quali non sono sopravvissute fino ai giorni nostri. Tra gli autori più influenti della seconda annalistica, che hanno avuto un impatto significativo sulla storiografia successiva, si annoverano Lucio Cassio Emina e Lucio Calpurnio Pisone Frugi. Polibio, con il suo trattato sulle istituzioni romane, ha fornito una preziosa analisi delle strutture governative repubblicane. Inoltre, ci sono fonti letterarie come Plinio il Vecchio, Varrone, Pompeo Festo e Aulo Gellio, che hanno contribuito con le loro opere al nostro sapere storico, mentre Cicerone ha offerto importanti scritti politici. Le fonti epigrafiche, come i Fasti, sono fondamentali per comprendere la cronologia dei magistrati eponimi, come i consoli. Questi elenchi sono pervenuti fino a noi attraverso tradizioni letterarie e documenti epigrafici come i Fasti Capitolini. Tuttavia, ci sono alcune incertezze sulla precisione dei Fasti, poiché potrebbero esserci discrepanze con altre fonti cronologiche e alcune anomalie, come la presenza di consoli plebei prima del 367 a.C., quando il consolato era tradizionalmente riservato ai patrizi. Alcuni storici suggeriscono che all'inizio della Repubblica romana potrebbe non essere stata così netta la distinzione tra patrizi e plebei. La storia della nascita della Repubblica romana, secondo la tradizione, è legata a un evento drammatico che coinvolge Lucrezia, moglie di Collatino, e Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo. Nel 510 a.C., Sesto Tarquinio, respinto da Lucrezia, decide di violentarla. Lucrezia, prima di suicidarsi, racconta l'accaduto al padre, al marito Collatino e ad altri aristocratici, tra cui Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola. Questi aristocratici guidano una rivolta che porta alla caduta della monarchia, approfittando dell'assenza di Tarquinio il Superbo, impegnato ad Ardea. Nel 509 a.C., viene istituita la Repubblica e i poteri del re passano a due magistrati eletti dal popolo, i consoli, uno dei quali è Lucio Giunio Bruto. Tuttavia, gli storici antichi e moderni hanno sollevato perplessità sulla veridicità storica di questo evento, notando somiglianze con altre cadute di tirannie greche e suggerendo che potrebbe essere stato un colpo di stato orchestrato dal patriziato romano. È importante sottolineare che la caduta di Tarquinio non ha portato immediatamente alla creazione di un regime repubblicano, ma potrebbe essere stata seguita da un periodo di instabilità durante il quale Roma fu soggetta al controllo di vari leader militari, come Porsenna e i fratelli Vibenna. Gli studiosi hanno notato alcune coincidenze e discrepanze nelle fonti storiche e negli eventi che possono aver influenzato la datazione. Una teoria suggerisce che la fondazione della Repubblica Romana potrebbe essere avvenuta intorno al 470-450 a.C. Questo periodo è stato identificato come un momento di interruzione dei contatti con gli Etruschi, che potrebbe aver contribuito alla rinascita o alla ridefinizione delle istituzioni romane. Tuttavia, ci sono anche argomenti a favore di una datazione più vicina al 508 a.C., come proposto da Varrone. Ci sono alcune prove che supportano questa datazione: 1) Livio menziona un rituale in cui il massimo magistrato inseriva un chiodo nel tempio di Giove Capitolino, che era stato inaugurato il primo anno della Repubblica. Questo rito era eseguito ogni anno alle idi di settembre. 2) Le informazioni tramandate da Cneo Flavio indicano che questo evento si sarebbe verificato nel 508 a.C. La Regia, che era la residenza del re romano, presenta delle caratteristiche architettoniche che suggeriscono una trasformazione avvenuta verso la fine del VI secolo a.C. Questa trasformazione potrebbe essere stata correlata alla fondazione della Repubblica e alla creazione del ruolo del rex sacrorum, il sacerdote capo, che avrebbe occupato la Regia dopo l'abolizione della monarchia. Il consolato. Inizialmente, la tradizione sosteneva che i poteri del re erano stati trasferiti a due consoli eletti dai comizi centuriati. Tuttavia, alcuni studiosi suggeriscono che inizialmente potrebbe essere esistito un solo magistrato con tutti i poteri del re, e solo in seguito, intorno al 450 a.C. o al 367 a.C., sia stato introdotto un secondo console. Un argomento a favore di questa teoria è l'uso dell'espressione "praetor maximus" (console massimo) durante una cerimonia dedicata a Giove, che è al singolare. Tuttavia, altri sostengono che l'uso del singolare nelle formule cerimoniali non costituisca una prova schiacciante, in quanto era comune anche quando si faceva riferimento a più persone. Sebbene ci fossero due consoli, ognuno con poteri uguali, il testo elenca una serie di compiti e responsabilità che spettavano loro, tra cui il comando dell'esercito, il mantenimento dell'ordine in città, l'esercizio della giurisdizione civile e criminale, la convocazione del senato e delle assemblee. Per evitare abusi di potere, i consoli erano soggetti a limitazioni come la durata annuale del loro mandato, il potere di veto reciproco, la collegialità (cioè entrambi avevano gli stessi poteri e potevano opporsi l'uno all'altro), e la possibilità per i cittadini di appellarsi al giudizio dell'assemblea popolare contro le condanne a morte (provocatio ad populum). È interessante notare che la provocatio ad populum, inizialmente una semplice richiesta di aiuto, potrebbe essere stata formalizzata dalla lex Valeria de provocatione presentata dal console Valerio Corvo, anche se alcuni dubbi persistono sulla sua effettiva origine storica. Simboli. Fasces et scures: I littori (ufficiali incaricati di portare e proteggere i simboli del potere dei magistrati romani) che precedevano i magistrati romani portavano fasci di verghe legate insieme con una scure al centro. Questo simbolo rappresentava il potere e l'autorità del magistrato, con le verghe che simboleggiavano l'unità del popolo e la scure che rappresentava il potere di punizione del magistrato. Il numero di littori che accompagnava i magistrati indicava il loro grado di autorità. I consoli ne avevano dodici, i pretori due a Roma e sei fuori, mentre i dittatori ne avevano ventiquattro. I magistrati curuli (come consoli, pretori e dittatori) indossavano una toga speciale chiamata toga praetexta nei giorni comuni, orlata da una striscia di porpora. Nei giorni festivi indossavano una toga di leggi che fosse accessibile a tutti i cittadini e che garantisse loro diritti e protezioni contro l'arbitrio dei patrizi. Inoltre, l'accesso ai diritti politici a Roma era strettamente legato alla capacità di difendere lo Stato con le armi. Questo sistema trovava attuazione nell'ordinamento centuriato, dove ogni centuria doveva fornire un numero fisso di reclute per l'esercito, indipendentemente dalla ricchezza o dalla classe sociale dei suoi membri. Tuttavia, poiché il potere politico era esercitato esclusivamente dai patrizi, i plebei più ricchi non ottenevano vantaggi politici, nonostante il loro contributo economico e militare. Questo creava un senso di disuguaglianza e frustrazione tra i plebei più abbienti, che non vedevano riconosciuto il loro status sociale nel governo della città. La prima secessione della plebe avvenne nel 494 a.C. a causa del crescente conflitto tra i due ordini sociali, patrizi e plebei. La plebe, esasperata dalla sua situazione sociale ed economica, si ritirò sull'Aventino, una delle colline di Roma legata alle tradizioni plebee, e prese una serie di decisioni che cambiarono l'organizzazione interna della plebe e il suo ruolo politico. Queste includevano: Concilia plebis tributa: Questa era un'assemblea della plebe in cui i cittadini si riunivano per discutere e votare su questioni di interesse comune. Inizialmente, questa assemblea votava per curie, che erano gruppi di cittadini divisi in base alla loro origine e status sociale. Tuttavia, in seguito, si cominciò a votare per tribù territoriali, che favorivano i plebei più poveri, riducendo l'influenza dei patrizi. Le decisioni prese in questa assemblea, chiamate plebiscita, avevano valore vincolante per la plebe e, in seguito, per l'intera cittadinanza. Tribuni della plebe: Questi erano funzionari eletti dai plebei per rappresentare i loro interessi e proteggere i loro diritti. Inizialmente erano solo due, ma il loro numero crebbe poi fino a 10. I tribuni avevano il potere di porre il veto su decisioni politiche che ritenevano dannose per la plebe e potevano anche intervenire per proteggere i plebei da abusi o ingiustizie commesse dai magistrati patrizi. Edili plebei: Questi erano funzionari incaricati dell'amministrazione della città, compresi l'organizzazione dei giochi pubblici, la manutenzione delle strade e la sorveglianza dei mercati. Sebbene le loro funzioni esatte siano state oscure, svolgevano un ruolo importante nel garantire il benessere della plebe e la giustizia sociale. Comitia tributa: Questa era un'assemblea legislativa in cui i cittadini si riunivano per votare sulle leggi proposte e per eleggere alcuni magistrati minori. Le votazioni si svolgevano divise in base alle tribù territoriali, garantendo una rappresentanza più equa per la plebe e consentendo loro di partecipare attivamente al processo decisionale. In sostanza, queste istituzioni sono state create durante la prima secessione della plebe per garantire una maggiore partecipazione politica e una migliore tutela dei diritti per i plebei, che fino a quel momento erano stati spesso trascurati o oppressi dai patrizi. Nell'apologo di Mennio Agrippa, le varie parti del corpo umano - braccia, gambe, bocca, denti e stomaco - rappresentano le diverse classi sociali all'interno della società romana antica. Le braccia e le gambe rappresentano i lavoratori manuali e i contadini, la bocca e i denti rappresentano gli oratori e coloro che comunicano, mentre lo stomaco rappresenta i patrizi o l'élite politica. Quando le braccia, le gambe, la bocca e i denti decidono di smettere di lavorare per lo stomaco, questo simboleggia la secessione della plebe, che si ribella contro i patrizi perché si sente sfruttata e non adeguatamente rappresentata. In altre parole, le classi lavoratrici e i contadini decidono di interrompere la loro produzione e di non supportare più l'élite politica. Tuttavia, quando queste parti del corpo smettono di lavorare, lo stomaco rimane affamato e debole. Questo illustra che, nonostante la plebe si ribelli contro i patrizi, l'intera società dipende comunque dall'interazione e dalla cooperazione tra le varie classi sociali. Ogni parte del corpo umano ha bisogno dell'altra per funzionare correttamente, così come ogni classe sociale ha bisogno del contributo delle altre per il benessere generale della società. La morale dell'apologo è che, anche se le varie classi sociali possono sembrare separate e autonome, in realtà sono interdipendenti e il benessere di una classe dipende dal lavoro e dal sostegno delle altre. Menenio Agrippa utilizza questo concetto per convincere la plebe a riconsiderare la sua posizione e a ristabilire l'unità sociale, mostrando che il loro benessere è legato al benessere dell'intera società. La legge delle XII tavole. Dopo la prima secessione della plebe, che ha evidenziato le tensioni tra patrizi e plebei a causa dell'assenza di una legislazione chiara e codificata, fu così nominata una commissione composta esclusivamente da patrizi, chiamata decemvirato, con l'incarico di redigere un codice scritto di leggi. I plebei, pur essendo esclusi dalla commissione, accettarono di essere estromessi in cambio del mantenimento di alcuni privilegi, come l'assegnazione dell'Aventino. Secondo la leggenda, ci fu un tentativo di studiare la legislazione di Solone ad Atene per trarne ispirazione. Tuttavia, molti studiosi credono che i romani si siano invece ispirati alle legislazioni delle colonie della Magna Grecia. Il decemvirato assunse il controllo completo dello Stato, sospendendo temporaneamente le elezioni di altre magistrature per evitare veti che avrebbero potuto paralizzare la creazione del codice legislativo. Inoltre, la commissione decise di non essere soggetta al diritto d'appello per lo stesso motivo. Durante il primo anno di lavoro, furono redatte una serie di norme che furono approvate dai comizi centuriati e trascritte su dieci tavole esposte nel Foro. Queste norme erano principalmente basate su leggi consuetudinarie già esistenti, che vennero semplicemente codificate. Nel 450 a.C. venne eletto un secondo decemvirato, che potrebbe essere stato composto anche da plebei. Non essendo ancora nito il lavoro, nel 450 a.C. venne eletto un secondo decemvirato, forse composto anche da plebei, ricordato principalmente per la legge contro i matrimoni misti (da qui tabule iniquae) e la svolta in senso autoritario. Livio racconta come il secondo decemvirato incutesse terrore: giravano tutti circondati da dodici fasci ciascuno e resero solenne il primo giorno della loro magistratura. Le leggi furono incise su dodici tavole e collocate nel Foro Romano per essere accessibili a tutti. Dopo la deposizione del secondo decemvirato, l'ordine costituzionale tradizionale romano fu ripristinato con l'elezione di due consoli, Marco Orazio e Lucio Valerio. Questi consoli si impegnarono a soddisfare le richieste della plebe che aveva organizzato la seconda secessione. Tra le richieste della plebe vi erano alcune garanzie fondamentali, tra cui l'inviolabilità dei rappresentanti plebei e il diritto di appellarsi contro le decisioni delle magistrature senza diritto d'appello. Queste garanzie erano importanti per assicurare che i plebei non fossero soggetti a ingiustizie o abusi da parte dei patrizi. Inoltre, Marco Orazio e Lucio Valerio fecero sì che i plebisciti, le decisioni prese dall'assemblea della plebe, diventassero vincolanti per tutta la cittadinanza. Questo significava che le leggi votate dalla plebe avrebbero avuto la stessa autorità delle leggi votate dall'assemblea dei cittadini romani, chiamata comizi centuriati, che era controllata principalmente dai patrizi. Tuttavia, c'è incertezza sulla reale esistenza di questa disposizione legislativa, poiché alcuni studiosi ritengono che potrebbe essere stata un'anticipazione della lex Hortensia, una legge successiva che confermò l'autorità legislativa dei plebisciti. Inoltre, intorno al 445 a.C., venne promulgata la lex Canuleia, che abrogò il divieto di matrimoni misti tra patrizi e plebei. Questo divieto aveva origini nel desiderio dei patrizi di mantenere la purezza del loro sangue e la distinzione sociale tra le due classi. Tuttavia, con l'abolizione di questo divieto, si aprì la strada a una maggiore integrazione sociale e politica tra patrizi e plebei, segnando un momento significativo nella storia di Roma. tribuni militum consulari potestate. Dopo un periodo di tensioni tra patrizi e plebei riguardo all'accesso di questi ultimi al consolato, il più alto ufficio politico a Roma, si arrivò a un compromesso intorno al 444 a.C. Secondo questo compromesso, il Senato avrebbe avuto il potere di decidere se lo Stato sarebbe stato governato da due consoli oppure da un certo numero di tribuni militari con poteri simili a quelli dei consoli, ma senza il diritto di prendere gli auspici (pratica religiosa e politica molto importante. Gli auspici erano presagi divini interpretati dagli auguri, sacerdoti specializzati nel leggere il segno divino). Questo compromesso rappresentava un tentativo di risolvere il conflitto tra le classi sociali, in quanto permetteva ai plebei di accedere a posizioni di potere politico. Tuttavia, i patrizi conservavano un certo grado di controllo, in quanto il Senato, che era composto principalmente da patrizi, aveva il potere di decidere il numero e il ruolo dei magistrati. Anche se questa soluzione offriva una via di accesso al potere per i plebei, i patrizi riuscirono comunque a mantenere il controllo per un periodo significativo. Infatti, i tribuni militari consolari, che erano stati introdotti come alternativa ai consoli, inizialmente non sostituirono completamente quest'ultimi, ma vennero aggiunti come una nuova figura politica nel sistema romano. Il primo plebeo a diventare tribuno militare è registrato solo nel 401 a.C., il che significa che per un certo periodo di tempo i patrizi continuarono a dominare la carica. Inoltre, nonostante l'accesso dei plebei al consolato fosse teoricamente possibile tramite i tribuni militari consolari, la loro nomina effettiva fu inizialmente rara. Le Leggi promulgate nel 367 a.C., rappresentano un importante momento di riforma politica e sociale nell'antica Roma. Queste leggi furono proposte dai tribuni della plebe Caio Licinio e Lucio Sestio per rispondere alle richieste della plebe riguardo alle questioni economiche e alla distribuzione della terra. La prima legge: Riguardava i debiti. Questa legge stabiliva che gli interessi già pagati dai debitori dovessero essere detratti dal debito totale, e il rimanente sarebbe stato diviso in tre rate. Ciò avrebbe alleviato il peso dei debiti per i plebei e avrebbe protetto contro l'usura eccessiva. La seconda legge: Limitava l'estensione massima di terreno che una persona poteva possedere a 500 iugeri. Sebbene ci siano dubbi sulla sua attuazione effettiva, questa legge potrebbe essere stata una precorritrice delle riforme agrarie successive, come quelle proposte dai Gracchi. Infrangere questa legge avrebbe comportato una semplice multa anziché una confisca o ridistribuzione della terra. La terza legge: Aboliva il tribunato militare e ripristinava la carica di console. Non è chiaro se questa legge stabilisse che almeno uno dei consoli dovesse essere plebeo o se entrambi potessero essere patrizi. Tuttavia, questa legge rappresentava un ritorno alla forma tradizionale di governo repubblicano, con consoli che detenevano il potere supremo. Di fronte alla perdita del potere politico principale rappresentato dalla carica di console, i patrizi decisero di creare nuove cariche riservate a loro. Queste nuove cariche includevano: Pretore: Il pretore era responsabile dell'amministrazione della giustizia tra i cittadini romani. Originariamente, il pretore era subordinato al console, ma successivamente venne istituito anche il praetor peregrinus per le questioni legali tra cittadini romani e stranieri. Edile Curule: Gli edili curuli, che prendevano il nome dalla sella curulis su cui sedevano, erano responsabili dell'organizzazione dei giochi e della gestione dell'ordine pubblico e dell'infrastruttura urbana. Queste nuove cariche offrivano ai patrizi una forma di compensazione per la perdita del monopolio del consolato e sottraevano alcuni compiti ai consoli, ridistribuendo così il potere all'interno della classe dirigente romana. Le leggi Liciniae-Sextiae, promulgate nel 367 a.C., hanno avuto importanti conseguenze per la struttura politica e sociale di Roma, queste stabilivano: Accesso dei plebei al consolato: Queste leggi hanno permesso ai plebei di accedere alla carica di console, il più alto ufficio politico a Roma. Prima di queste leggi, i consoli erano sempre patrizi, ma grazie a esse, nel 366 a.C., Sestio Laterano è diventato il primo console plebeo. Limiti alla rielezione: Un'altra disposizione delle leggi Liciniae-Sextiae è stata quella di vietare la rielezione alla stessa carica entro dieci anni, soprattutto per la carica di console. Questo ha favorito il ricambio delle élite politiche e impedito l'accumulo eccessivo di potere. Accesso dei plebei a tutte le magistrature: Grazie a queste leggi, i plebei hanno iniziato ad accedere a tutte le cariche pubbliche, comprese quelle tradizionalmente del Lazio, avvicinandosi sempre più a Roma. Gli Equi, contemporaneamente, avanzarono anche loro, conquistando città importanti come Tivoli e Preneste e minacciando Tuscolo. Un episodio famoso riguarda il dittatore Lucio Quinzio Cincinnato, che, dopo aver liberato l'esercito romano assediato dagli Equi, tornò ai suoi impegni agricoli. I Sabini: I Sabini avevano già avuto contatti con Roma, come dimostra il noto episodio della migrazione della gens Claudia. Essi rappresentavano una minaccia seria per Roma, tanto che nel 460 a.C. riuscirono persino a impadronirsi della rocca del Campidoglio. Tutte queste popolazioni erano caratterizzate da un aumento demografico significativo, il che portava a conflitti e tensioni per il controllo delle risorse e del territorio. La pratica della primavera sacra, dove i bambini nati in anni di carestia dovevano essere sacrificati o esiliati seguendo un animale totemico, è indicativa di queste tensioni e dell'espansionismo delle popolazioni italiche. Oltre a Volsci, Equi e Sabini, vi erano anche altre popolazioni italiche importanti come i Piceni, gli Irpini, gli Apuli, i Lucani, i Bruzi e i Sanniti, che occuparono vaste aree dell'Italia antica. Nel V secolo a.C., le fonti riportano una serie di conflitti tra Roma e queste popolazioni, anche se spesso non si trattava di vere e proprie campagne militari, ma di scorrerie e raid che comunque indebolirono Roma. Questi conflitti contribuirono a plasmare la storia e la geopolitica dell'Italia antica. Le guerre veiente. Anche la situazione con i vicini etruschi, e principalmente la città di Veio, era abbastanza tesa soprattutto per quanto riguarda il controllo delle vie di comunicazione nei pressi del Tevere e delle saline. Il contrasto tra Roma e Veio attraversò tutto il V secolo a.C. e sfociò in tre guerre: Prima guerra veiente (483-474 a.C.): Questa guerra si concluse con una vittoria per i Veienti, che riuscirono ad occupare un avamposto sulla riva sinistra del fiume Tevere e ad affermare il loro controllo su Fidene, una città latina. Seconda guerra veiente (437-426 a.C.): I Romani, in questa occasione, riuscirono a vendicare la sconfitta precedente riconquistando Fidene e distruggendola. Terza guerra veiente (405-396 a.C.): Questa guerra raggiunse il suo culmine con l'assedio di Veio. Un evento simbolico fu la promessa di Marco Furio Camillo di costruire un tempio per la dea protettrice di Veio, Giunone, a Roma. Questo atto, chiamato evocatio, fu un tentativo di minare il morale dei Veienti. Dopo un assedio di dieci anni, Veio cadde e fu distrutta. L'esito di questa guerra dimostra il declino del particolarismo etrusco, poiché alcune città etrusche, come Cere, si schierarono addirittura con Roma. Queste lunghe guerre ebbero pesanti conseguenze per Roma. L'assedio decennale richiese una considerevole mobilitazione di risorse e soldati, che causò un'importante distrazione dalle attività agricole e commerciali. Per sostenere l'esercito durante l'assedio, fu introdotto lo stipendium, una forma di paga per i soldati. Inoltre, per far fronte alle crescenti spese militari, fu istituita una tassa straordinaria chiamata tributum, che colpì maggiormente le classi più ricche, poiché l'imposta era basata sul censo. Questo significava che coloro con una maggiore ricchezza dovevano pagare una quota maggiore della tassa. Il sacco di Roma. Contemporaneamente alla vittoria su Veio, Roma dovette dedicarsi ad un altro nemico: i Galli. I Galli, un popolo celtico proveniente dall'Europa centrale, avevano già intrapreso incursioni in Italia settentrionale. Queste tribù celtiche avevano fondato insediamenti come Mediolanum (l'odierna Milano) e avevano espanso il loro controllo sulla pianura Padana. Nel 390 a.C., i Galli Senoni, guidati dal loro capo Brenno, invasero l'Italia centrale con l'obiettivo di saccheggiare e razziare. Il loro primo obiettivo fu la città di Chiusi, dove si trovavano tre ambasciatori romani, tra cui M. Fabio Ambusto. Questi ambasciatori aiutarono i chiusini a resistere agli invasori, violando le norme diplomatiche che proibivano ai diplomatici di impugnare le armi. Questo gesto provocò l'ira dei Galli, che si rivolsero al senato romano per ottenere giustizia, ma la richiesta fu respinta. Dopo il rifiuto del senato romano di accogliere le richieste dei Galli, Brenno e le sue truppe decisero di marciare su Roma per vendicarsi. L'esercito romano, non adeguatamente preparato e rapidamente arruolato, si scontrò con i Galli presso il fiume Allia. La battaglia fu un disastro per i Romani, che subirono una sconfitta schiacciante. Dopo la battaglia, Roma venne lasciata indifesa e venne saccheggiata dai Galli, che razziarono la città e la saccheggiarono. Il sacco di Roma ebbe conseguenze devastanti per la città e la sua reputazione. Le fonti antiche descrivono il sacco come un momento di grande umiliazione per Roma. Tuttavia, la città si riprese successivamente e riuscì a ricostruire e rafforzare le sue difese. L'evento servì anche da spinta per implementare miglioramenti e riforme nell'esercito e nella struttura difensiva di Roma. Ripresa. Dopo il sacco gallico, Roma si riprese rapidamente e intraprese una serie di azioni che contribuirono alla sua ripresa e al suo rafforzamento: Distribuzione del territorio di Veio: Roma distribuì il territorio di Veio ai suoi cittadini, creando quattro nuove tribù. Questo ampliamento territoriale fornì risorse e opportunità di sviluppo per la città. Costruzione delle mura serviane: Tradizionalmente attribuite a Servio Tullio, le mura serviane furono costruite per proteggere Roma. Sebbene alcune fonti suggeriscano che le mura furono costruite in seguito al sacco gallico, alcuni studiosi ritengono che potrebbero essere state costruite successivamente per consentire l'accesso alle cave di pietra nei pressi di Veio, fornendo così materiali da costruzione per la città. Consolidazione dei confini settentrionali: Roma rafforzò i suoi confini settentrionali grazie ad accordi con Cere, che durante il sacco gallico aveva assistito alcuni esuli romani. Inoltre, Roma sconfisse gli Equi, eliminando una minaccia potenziale. Lotta con i Volsci e gli Ernici: I Volsci, alleati con gli Ernici e altre città latine, rappresentavano una minaccia per Roma. Tuttavia, nel 381 a.C., Tuscolo, una città che si era schierata con i Volsci, fu annessa al territorio romano, diventando il primo municipium. In seguito, Roma costrinse i Volsci e gli Ernici a cedere parte dei loro territori, permettendo l'insediamento di cittadini romani e la creazione di due nuove tribù. Queste azioni dimostrano la resilienza di Roma dopo il sacco gallico e la sua capacità di ricostruire e rafforzare la propria posizione nonostante le avversità. La città si ristabilì rapidamente e iniziò ad espandere il suo dominio e la sua influenza nella regione circostante. Espansione. Dopo il sacco di Roma, l'espansione territoriale e l'incremento della potenza romana furono guidati da diversi fattori: Imperialismo difensivo: Questo tipo di espansione avvenne in risposta a minacce esterne o a conflitti necessari per mantenere la sicurezza del territorio romano. Le fonti romane tendevano a presentare ogni guerra come un "bellum iustum", cioè una guerra giusta o legittima secondo i criteri rituali e legali dell'epoca. Questo approccio condizionò la narrativa storica romana, che spesso dipingeva le guerre romane come risposte a provocazioni o ingiustizie subite. Espansionismo consapevole: Questo tipo di espansione era basato su obiettivi strutturali e strategici, come il militarismo accentuato di Roma e la ricerca di vantaggi economici. L'espansione territoriale garantiva risorse e opportunità economiche che attiravano sia i cittadini romani che gli alleati a sostenere l'Impero Romano e a partecipare attivamente alle campagne militari. Anarchia interstatale multipolare: Questa teoria considera gli antichi stati come naturalmente bellicosi, impegnati in conflitti per il potere e la sopravvivenza. Roma, tuttavia, si distinse per la sua abilità nel costruire una vasta rete di alleanze e relazioni internazionali che si rivelarono cruciali per il suo successo. La superiorità di Roma non risiedeva solo nella sua forza militare, ma anche nella sua capacità di gestire un sistema di alleanze e relazioni diplomatiche efficace, che le permise di emergere come una potenza dominante nel Mediterraneo antico. Prima guerra sannitica. Nel 354 a.C., Romani e Sanniti stipularono un trattato che stabiliva il fiume Liri come confine tra le rispettive zone di influenza. Tuttavia, nonostante questo trattato, i Sanniti erano ancora molto potenti e controllavano un vasto territorio, sebbene fosse relativamente povero. Il territorio sannitico era organizzato in cantoni (pagi), che comprendevano villaggi governati da un magistrato. Più pagi formavano una tribù (touto), e le quattro tribù costituivano la Lega sannitica. La povertà del territorio e l'aumento demografico portavano spesso alla necessità di migrazione. Alcune popolazioni staccatesi dai Sanniti durante il V secolo a.C. occuparono parte della Campania e si organizzarono in città-stato. Nella prima metà del IV secolo a.C., queste città-stato si unirono nella Lega campana, guidata principalmente da Capua. Nel 343 a.C., i Sanniti attaccarono Teano, una città occupata dai Sidicini. Questi ultimi chiesero aiuto a Capua, che a sua volta si rivolse a Roma per assistenza. Nonostante il recente trattato con i Sanniti, Roma intervenne a difesa di Capua, poiché i capuani si consegnarono completamente a Roma secondo la procedura della deditio in fidem, obbligando Roma a difenderli. La prima guerra sannitica si concluse con la vittoria di Roma e il controllo sulla Campania, mentre Teano fu riconosciuta ai sanniti. La guerra Latina. Dopo l'esito della guerra precedente e la vittoria di Roma, alcune popolazioni come i Campani e i Sidicini furono insoddisfatte e desideravano separarsi da Roma. Allo stesso tempo, i Volsci, desiderosi di vendetta, si unirono a questa coalizione contro Roma. La battaglia decisiva avvenne a Suessa Aurunca, dove il console romano Decio Mure compì un atto di grande coraggio attraverso il rituale della devotio, sacrificandosi per il bene della Repubblica romana. Nonostante la dura battaglia, Roma prevalse. La vittoria di Roma portò allo scioglimento della Lega latina e all'incorporazione delle città latine sotto il controllo romano. Questo consentì a Roma di estendere il suo dominio su un vasto territorio che si estendeva dalla sponda sinistra del fiume Tevere fino al golfo di Napoli. Le città latine furono incorporate nel dominio romano secondo diversi sistemi: Municipium optimo iure: Queste città godevano di piena cittadinanza romana, ma erano tenute a prestare aiuti militari e a pagare le tasse. Civitates sine suffragio: Queste città non avevano il diritto di voto, ma godevano dei diritti civili. Dovevano anche prestare servizio militare per Roma, anche se in molti casi questa mancanza di diritto di voto fu solo temporanea. Socii: Queste città avevano completa autonomia interna per quanto riguarda magistrature, leggi e culti, ma erano legate a Roma per la politica estera e dovevano fornire truppe in caso di guerra. Dovevano anche sostenere le spese per i contingenti di truppe che fornivano. Colonie: Le colonie potevano essere di due tipi: Colonie civium Latinorum: Erano colonie di diritto latino senza diritto di voto. Colonie civium Romanorum: Erano colonie di diritto romano con piena cittadinanza. Solitamente erano composte da 300 capifamiglia e si occupavano di sorvegliare le coste, quindi erano chiamate colonie marittime. La seconda guerra sannitica fu un conflitto lungo e complesso che vide Roma e i Sanniti, una potente confederazione di tribù dell'Italia centrale, combattere per il controllo della regione. La guerra ebbe origine a causa delle tensioni tra Roma e i Sanniti dopo la fondazione di colonie romane in aree rivendicate dai Sanniti, come Cales e Fregellae. Lo scoppio della guerra venne causato da Napoli, un'importante città greca indipendente nella Campania, dove si fronteggiavano le masse popolari favorevoli ai sanniti e la classi più agiate favorevoli ai romani. Inizialmente, Roma ebbe successo e conquistò Napoli, Tuttavia, i Sanniti ribaltarono la situazione e costrinsero i Romani alla resa al passo delle Forche Caudine nel 321 a.C. Successivamente, le ostilità ripresero con attacchi da entrambe le parti. Per affrontare la minaccia sannitica e altri nemici contemporaneamente, Roma Roma mise da parte il compatto schieramento a falange a favore dell’ordinamento manipolare, molto più flessibile. Premesse alla prima guerra punica nel 264 a.C.: Roma aveva esteso il suo controllo su tutta l'Italia peninsulare fino allo stretto di Messina. Tuttavia, i suoi interessi entrarono in conflitto con quelli di Cartagine nella regione. La situazione si accese quando i Mamertini (mercenari italici il cui nome derivava da Mamers, il nome osco di Marte), dopo essere stati congedati da Siracusa alla morte di Agatocle, presero il controllo di Messina. I Siracusani, guidati dal generale Ierone, si opposero ai Mamertini e cercarono di ricacciarli da Messina. I Mamertini chiesero aiuto a Cartagine, che era già presente nella regione e approvò l'intervento per prevenire che i Siracusani prendessero Messina. Dopo aver ottenuto l'aiuto dei Cartaginesi, i Mamertini, insoddisfatti della tutela cartaginese, si rivolsero a Roma per chiedere aiuto. Il Senato romano, consapevole delle conseguenze di un intervento e attirato dalle ricchezze dell'isola, decise di accogliere la richiesta dei Mamertini. Roma decise di intervenire e inserì i Mamertini nella sua confederazione italica, rendendoli alleati di Roma. Gli storici dibattono se l'ingresso di Roma in Sicilia costituisse una violazione del trattato con Cartagine. Alcuni storici sostengono che la Sicilia era inclusa nella sfera di egemonia cartaginese, ma questa clausola non è stata confermata nei documenti romani. Questi eventi prepararono il terreno per lo scoppio della prima guerra punica, segnando l'inizio di uno dei conflitti più significativi della storia antica. La prima guerra punica (264-241 a.c.) iniziò quando Roma, senza dichiarare formalmente guerra, attraversò lo stretto di Messina per aiutare i Mamertini, una comunità italica, che si era impadronita di Messina e aveva chiesto aiuto a Roma contro i Cartaginesi e i Siracusani. Tuttavia, già l'anno successivo, il re Ierone di Siracusa si rese conto della pericolosità dell'alleanza con Cartagine e decise di schierarsi dalla parte romana, contribuendo così alla causa romana. I primi scontri furono favorevoli ai Romani, ma presto divenne chiaro che per vincere la guerra avrebbero avuto bisogno di una forte flotta e a tale scopo si fecero aiutare dalle città greche dell'Italia meridionale che fornirono buona parte dei marinai e dei comandanti; le navi vennero fornite di corvi, ovvero ponti mobili, che agganciati alla nave nemica ne consentivano l'abbordaggio dando modo ai romani di far valere le loro abilità nel corpo a corpo. Il materiale per la flotta romana venne preso dalle risorse boschive del Bruzio e della Sila, dove oltre a legname si produceva anche la pix bruttia, un collante impermeabile. Lo sforzò romano fu premiato dalla vittoria del 260 a.C. nelle acque di Milazzo. Alle vittorie mare si affiancarono anche successi sulla terra, tuttavia non sufficienti per vincere la guerra, per questo motivo nel 256 a.C. i romani proposero l'invasione dei possedimenti cartaginesi in Africa. Approdato in Africa, il console Marco Atilio Regolo riuscì ad occupare la città di Tunisi, a poca distanza da Cartagine, dove si accampò per l'inverno. Tuttavia, Regolo impose condizioni di pace durissime che vennero rifiutate, così l'anno successivo venne duramente sconfitto e, a completare la situazione disastrosa, una tempesta distrusse buona parte delle navi della flotta. Dopo alcuni anni di stallo, i Romani costruirono una nuova flotta nel 242 a.C., che distrusse la flotta cartaginese nelle Isole Egadi nel 241 a.C. I Cartaginesi chiesero la pace, che venne concessa con il trattato che prevedeva la ritirata dei Cartaginesi dalla Sicilia, la restituzione dei prigionieri di guerra e il pagamento di un indennizzo. La prima provincia romana: Sicilia. Dopo aver conquistato la Sicilia, Roma impose alle comunità siciliane il pagamento di un tributo annuale, generalmente costituito da una parte del raccolto di cereali. L'amministrazione della Sicilia era gestita da un magistrato romano inviato annualmente nell'isola. Tuttavia, a partire dal 227 a.C., vennero eletti due nuovi pretori: uno per la Sicilia e uno per la Sardegna. Il governatore principale della Sicilia era assistito da un questore, responsabile delle finanze, e da alcuni legati che collaboravano nell'amministrazione della giustizia. I reati gravi venivano giudicati dal governatore provinciale in assemblee che si tenevano periodicamente nelle principali città, mentre i reati minori venivano giudicati dai tribunali locali. Le tasse venivano riscosse da compagnie di privati cittadini che ottennero il servizio tramite appalto, ma ciò spesso portava a gravi abusi. Non tutte le regioni dell'isola erano sotto il diretto controllo romano. Alcuni stati indipendenti, come il regno siracusano di Ierone e la città alleata di Messina, mantenevano una certa autonomia. Inoltre, vi erano comunità privilegiate, chiamate "civitates liberae et immunes", che si erano consegnate volontariamente a Roma e quindi erano esenti dal controllo e dal tributo romani. La maggior parte delle città siciliane era invece considerata "civitates stipendiariae" perché dovevano pagare il tributo. Le varie comunità e i loro differenti statuti erano elencati in un documento chiamato "Formula provinciae", mentre i principi della loro amministrazione erano contenuti nella "Lex provinciae". La seconda provincia romana: Sardegna e Corsica. Dopo la fine della prima guerra punica, Cartagine si trovò in una situazione finanziaria precaria, incapace di pagare le numerose truppe mercenarie che aveva arruolato. Questi mercenari, insieme ad alcune popolazioni dell'Africa settentrionale soggette a Cartagine, si ribellarono, creando una grave minaccia interna. Amilcare Barca fu incaricato di sedare la rivolta, riuscendo alla fine a ristabilire l'ordine. Tuttavia, contemporaneamente, anche le guarnigioni cartaginesi presenti in Sardegna si ribellarono. Queste guarnigioni, vedendo il proprio governo indebolito, fecero appello a Roma per ottenere soccorso. Quando i Cartaginesi giunsero in Sardegna per reprimere la rivolta, i Romani li accusarono di prepararsi ad aprire ostilità contro Roma stessa. Di fronte alla minaccia di una possibile guerra con Roma, Cartagine accettò di pagare un indennizzo supplementare e di cedere sia la Sardegna che la Corsica ai Romani. Questi territori andarono così a formare la seconda provincia romana nel 237 a.C. Tuttavia, questa cessione della Sardegna e della Corsica aumentò il risentimento dei Cartaginesi nei confronti di Roma, contribuendo ad alimentare le tensioni che porteranno allo scoppio della seconda guerra punica. Sebbene la Sardegna avesse un'economia agricola significativa e potesse contribuire come secondo "granaio" all'approvvigionamento di cereali per Roma, il controllo romano sull'isola non fu facile. Roma dovette regolarmente inviare eserciti per reprimere le rivolte delle popolazioni, dimostrando la complessità e le sfide del governo provinciale romano in questa regione. La prima e la seconda guerra illirica. Dopo la sconfitta e la morte di Pirro, il regno dell'Epiro entrò in declino, consentendo al regno di Illiria di estendere la sua influenza sull'Adriatico. Questo aumento di potere illirico provocò danni alle città greche lungo la costa adriatica e ai mercati italici. In risposta alle richieste di aiuto provenienti dalle città greche e dagli insediamenti mercantili italiani, il Senato romano inviò proteste alla regina Teuta di Illiria. Tuttavia, Teuta non solo rifiutò di porre fine alle azioni ostili, ma addirittura fece assassinare uno degli ambasciatori romani. Questo gesto portò alla dichiarazione di guerra da parte dei Romani nel 229 a.C. La prima guerra illirica si concluse con la vittoria dei Romani. Teuta fu costretta a cedere la reggenza, e agli Illiri fu imposto il divieto di navigare con più di due navi disarmate a sud di Lissus. Questa restrizione aveva lo scopo di proteggere le città greche lungo la costa adriatica da future aggressioni illiriche. Demetrio, un ex collaboratore di Teuta che si era schierato con i Romani, fu ricompensato con la concessione dell'isola di Faro. In riconoscimento del supporto romano, le città greche invitarono i cittadini romani a partecipare ai Giochi istmici che si tenevano ogni quattro anni a Corinto. Questa ammissione dei Romani ai giochi istmici simboleggiava una sorta di riconoscimento della loro "paternità greca", conferendogli un prestigio e un'importanza culturale significativi. Tuttavia, pochi anni dopo, i Romani intervennero nuovamente in Illiria, scatenando la seconda guerra illirica. Questa volta l'obiettivo era fermare Demetrio di Faro, la cui possibile alleanza con il re Filippo V di Macedonia suscitava preoccupazioni a Roma. La guerra si concluse con la sconfitta di Demetrio, che fuggì alla corte di Filippo. Nel 219 a.C., l'isola di Faro entrò a far parte del protettorato romano. Questi eventi gettarono le basi per l'ostilità tra Roma e la Macedonia. La conquista dell’Italia settentrionale. Dopo aver rafforzato il controllo sull'Etruria meridionale, Roma si concentrò sulla conquista dell'Italia settentrionale. La regione attirò l'attenzione di Roma dopo un'incursione gallica respinta davanti alla colonia latina di Rimini nel 236 a.C. Quattro anni dopo, il tribuno della plebe Caio Flaminio propose di distribuire un'ampia area chiamata ager Gallicus a singoli cittadini romani, tuttavia, il Senato romano si oppose a questa proposta. I cittadini che si andarono ad insediare nella zona vennero organizzati in centri non dotati di autonomia chiamati fora o conciliabula, nei quali la giustizia era amministrata da prefetti che rispondevano direttamente al governo centrale di Roma. La lex Flaminia de agro Gallico aveva principalmente l’obiettivo di proteggere il corridoio adriatico, che rappresentava una via di penetrazione dei Galli nell'Italia centrale. Questa mossa preoccupò i Galli Boi, una tribù gallica nella regione attorno all'odierna Bologna, e fu una delle cause della guerra che scoppiò poco dopo. Le principali tribù galliche della Gallia Cisalpina, come i Galli Boi e gli Insubri di Milano, ricevettero supporto militare dalla Gallia Transalpina, mentre altre tribù galliche, come i Galli Cenomani (a Brescia e Verona) e i Veneti, si schierarono con Roma. Nonostante i Galli fossero riusciti a penetrare in Etruria, nel 225 a.C. vennero circondati e annientati a Telamone. I Romani compresero l'importanza strategica della valle Padana e avviarono una campagna militare guidata da Flaminio nel 223 a.C., seguita poi da Marco Claudio Marcello e Cneo Cornelio Scipione. Durante questa campagna, non solo Milano fu conquistata, ma furono fondate anche le colonie di Piacenza e Cremona nel 218 a.C. La conquista definitiva dell'Italia settentrionale si concluse solo dopo la fine della seconda guerra punica e portò alla fondazione di numerose colonie come Bononia (Bologna), Mutina (Modena), Parma e Luca (Lucca). La costruzione di una rete stradale fu fondamentale per l'organizzazione e il consolidamento della conquista dell'Italia settentrionale. Alcune delle principali strade costruite includono la via Flaminia, che collegava Roma a Rimini passando per l'ager Gallicus, la via Emilia, la via Postumia e la via Annia o via Popilia. Queste strade facilitarono i movimenti delle truppe romane, oltre al commercio e allo spostamento di persone nella regione. La seconda guerra punica. (218-201 a.C.) Dopo la fine della Prima Guerra Punica, Cartagine, pur sconfitta, non rinuncia alla sua ambizione di contrastare l'espansione romana. Nel frattempo, Roma sta consolidando il suo controllo sull'Italia centrale e meridionale. Dopo aver sofferto perdite territoriali e finanziarie durante la Prima Guerra Punica, Cartagine cerca nuove opportunità di espansione. Concentra i suoi sforzi nella penisola iberica (Spagna) sotto la guida di comandanti come Amilcare Barca e suo genero Asdrubale. Annibale, figlio di Amilcare, decide di conquistare la città di Sagunto, nonostante fosse un'alleata di Roma. Questo atto viene visto come una provocazione diretta a Roma, che risponderà scontrandosi con Cartagine. Annibale, dopo la conquista di Sagunto, decide di sfidare direttamente Roma, ma, consapevole della superiorità navale romana, decide di sfidare Roma attraverso una marcia via terra. Attraversa i Pirenei e le Alpi con il suo esercito, nonostante le difficoltà bestiame. Tuttavia, queste pratiche portarono a una maggiore disuguaglianza economica e sociale, con un numero crescente di contadini costretti a lavorare come braccianti o schiavi nelle grandi tenute. La prima guerra macedonica (214-205 a.C.) fu innescata dalla scoperta che il re macedone Filippo V stava invadendo l'Italia. In risposta, Roma formò una coalizione di stati greci ostili a Filippo V, tra cui la Lega etolica (aveva negli Etoli la propria guida e che raccoglieva la maggior parte delle polis della Grecia centrale) per fermare l'avanzata del re macedone. La Lega etolica era una confederazione di città-stato greche che si opponevano al dominio macedone. I romani stipularono un trattato con la Lega etolica per la spartizione del bottino di guerra. Livio e Polibio sono due delle fonti storiche che ci forniscono informazioni su questo trattato e sugli eventi della guerra. Quando divenne chiaro ai romani che gli etoli stavano considerando di ritirarsi dal conflitto, anche Roma decise di porre fine alla guerra attraverso la stipulazione di una pace. Questa pace, conosciuta come la pace di Fenice, fu firmata nel 205 a.C. Questo accordo di pace lasciò intatto il quadro territoriale esistente, senza apportare modifiche significative alle frontiere o alle posizioni di potere dei vari attori coinvolti. La seconda guerra macedonica (200 e il 196 a.C.) fu principalmente causata dall'attivismo del re Filippo V di Macedonia sulle coste dell'Asia Minore. Filippo attaccò alcune città alleate della Lega etolica e si scontrò con i regni di Pergamo e Rodi, provocando l'indignazione di Roma e delle sue alleanze. Roma, vedendo le azioni di Filippo come una minaccia per l'equilibrio di potere nella regione, decise di intervenire. Dopo un periodo iniziale di incertezza e dibattiti politici, Roma inviò un ultimatum formale a Filippo, chiedendo il rispetto delle città greche e la fine delle sue azioni aggressive. Tuttavia, Filippo ignorò l'ultimatum e questo portò Roma ad avviare azioni militari contro di lui nel 200 a.C. Le prime fasi della guerra non furono molto significative, ma nel 198 a.C., il console romano Tito Quinzio Flaminio ottenne una vittoria importante contro le forze di Filippo. Successivamente, Flaminio intraprese trattative di pace con Filippo, chiedendo la restituzione della Tessaglia, una regione che era stata sotto il controllo macedone per lungo tempo. Nonostante il rifiuto di Filippo, Flaminio riuscì a guadagnarsi il sostegno di molte città greche e della Lega achea (era egemonizzata dagli Arcadi, e che comprendeva la maggior parte del Peloponneso esclusa però Sparta) che erano stanche del dominio macedone. La battaglia decisiva della guerra si svolse nel 197 a.C. a Cinocefale, dove i romani ottennero una vittoria schiacciante. Come risultato della guerra, Filippo fu costretto a ritirare le sue guarnigioni dalla Grecia, a pagare un'indennità di guerra e a cedere gran parte della sua flotta. Tuttavia, fu in grado di mantenere il suo regno di Macedonia, cosa che deluse alcuni dei suoi avversari. Le decisioni prese durante la guerra, inclusa la proclamazione dell'autonomia per la Grecia durante i Giochi istmici del 196 a.C., riflettevano il desiderio di Roma di ristabilire l'ordine e l'equilibrio di potere nella regione, limitando l'influenza macedone. La terza guerra macedonica (172-168 a.C.) ebbe origine da una serie di tensioni tra le città greche, con Roma che prendeva posizione a favore delle fazioni aristocratiche contro quelle democratiche, alienandosi le masse popolari. Quando nel 179 a.C. Filippo V di Macedonia morì, suo figlio Perseo salì al trono, uccidendo il fratellastro che godeva dell'appoggio di Roma. Questo gesto alienò ulteriormente le simpatie romane e fu interpretato come un atto di sfida. Nel 172 a.C., Eumene, re di Pergamo, accusò Perseo di vari crimini, tra cui un attentato contro di lui. Questo evento fu utilizzato come pretesto per iniziare i preparativi bellici. Nonostante alcuni successi iniziali da parte di Perseo, la guerra non vide grandi eventi fino al 168 a.C. La svolta avvenne con la sconfitta decisiva di Perseo da parte dei Romani a Pidna. Questa sconfitta portò all'abolizione della monarchia in Macedonia e alla divisione del regno in quattro repubbliche separate, ciascuna tributaria di Roma e non autorizzata a intrattenere relazioni tra di loro. vietato era contrarre matrimonio tra due abitanti di stati diversi o possedere terreni in più stati; ovviamente i quattro stati dovevano versare un tributo a Roma. Simile fu la sorte dell'Illiria, divisa in tre stati, anch'essi tributari, di Roma. La Lega achea che aveva mantenuto un atteggiamento prudente fu costretta a consegnare mille persone di realtà sospetta che furono deportate in Italia, tra di esse anche Polibio. I molossi che si erano schierati con Perseo furono puliti con la totale devastazione dei loro territori e la riduzione in schiavitù. Rodi, per il solo torto di aver tentato una mediazione tra Roma e macedonia, fu privata della Caria e della Licia, venne, inoltre colpita economicamente dalla creazione di un porto franco a Delo, che danneggiava notevolmente le sue attività commerciali. La quarta guerra macedonica (149-148 a.C) ebbe inizio quando un uomo di nome Andrisco, fingendosi il figlio del defunto re Perseo, cercò di riunire le forze macedoni sotto il suo comando. Anche se ottenne alcuni successi iniziali, come riunire un esercito e sconfiggere alcune forze romane minori, alla fine fu sconfitto dalle truppe romane guidate dal pretore Quinto Cecilio Metello. Nel frattempo, il Senato romano prese la decisione di porre fine all'influenza della Lega achea, una confederazione di città-stato greche. Decisero di staccare città importanti come Sparta, Argo e Corinto dalla Lega, indebolendo così significativamente l'organizzazione. La Lega achea, privata delle sue principali città membri, decise di resistere militarmente, ma i Romani, determinati a porre fine alla loro opposizione, condussero una campagna militare rapida e decisiva. Corinto, il principale centro della Lega achea, fu assediata, saccheggiata e infine distrutta dai Romani nel 146 a.C. Questo evento segnò la fine definitiva della Lega achea e il consolidamento del controllo romano sulla Grecia. Dopo la vittoria su Andrisco e la distruzione di Corinto, i Romani presero misure più drastiche per stabilire il loro dominio sulla regione. La Macedonia fu trasformata in una provincia romana e le leghe greche furono sciolte o ridotte al potere. I Romani instaurarono regimi aristocratici leali in tutta la Grecia, assicurandosi così il controllo politico e militare dell'intera regione. Il governatore della Macedonia fu incaricato di gestire le questioni in Grecia, diventando di fatto il rappresentante dell'autorità romana nella regione. Questo significava che la Grecia era ora sotto il protettorato romano, con il governatore macedone che agiva come agente di Roma per mantenere l'ordine e garantire la fedeltà delle città greche alla dominazione romana. La guerra contro Nabide (195 a.C.). Nel 195 a.C., Marco Fulvio Nobiliore (detto Flaminio) guidò una campagna militare contro il re Nabide di Sparta. Il conflitto scaturì da una disputa tra Nabide e gli Achei, alleati di Roma, riguardante il controllo della città di Argo. Tuttavia, la vera ragione del conflitto risiedeva nelle riforme di Nabide, che minacciavano le élite romane tradizionali. Flaminio sconfisse rapidamente Nabide, ma Roma non cercò di annettere il territorio spartano. Invece, nel 194 a.C., Roma decise di ritirare le proprie truppe dalla Grecia, come stabilito durante i giochi istmici. Questo gesto potrebbe essere stato fatto per mantenere un certo equilibrio di potere nella regione e per evitare tensioni ulteriori. La guerra siriaca (192-188 a.C.) fu un conflitto tra Roma e il regno di Siria, guidato dal re Antioco III, detto anche Antioco il Grande. Il contesto della guerra era complesso: Antioco stava cercando di estendere la sua egemonia sulle città greche della costa occidentale dell'Asia Minore, approfittando della debolezza dell'Egitto e della Macedonia. La situazione si acuì quando le città di Lampsaco e Smirne, minacciate dall'espansione di Antioco, chiesero aiuto a Roma, sostenute dal re di Pergamo. Tuttavia, le richieste di Roma affinché Antioco cessasse gli attacchi furono respinte. Antioco assicurò di non avere intenzioni ostili nei confronti dei Romani, ma la situazione precipitò comunque verso il conflitto. Roma era divisa sull'opportunità di intervenire: alcuni, come Scipione l'Africano, proponevano l'intervento militare, mentre altri, come Flaminio, erano propensi a mantenere le promesse fatte durante i giochi istmici ed evitare un coinvolgimento diretto. La Lega etolica, inoltre, faceva propaganda antiromana, complicando ulteriormente la situazione. La guerra scoppiò nel 192 a.C., quando Antioco, su richiesta della Lega etolica, mosse le sue truppe per liberare la Grecia. Tuttavia, sia la Lega Achea che Filippo V di Macedonia si schierarono dalla parte romana. Antioco subì una pesante sconfitta l'anno successivo alle Termopili. Nel 190 a.C., i due fratelli Scipione invasero l'Asia Minore via terra, mentre la flotta romana riportava successi navali. La vittoria decisiva si ebbe a Magnesia nello stesso anno. La pace di Apamea, siglata nel 188 a.C., impose ad Antioco di pagare una forte indennità, consegnare Annibale (che tuttavia riuscì a fuggire e poi si suicidò), e cedere alcuni territori che vennero distribuiti tra i più fedeli alleati di Roma, come Pergamo e Rodi. La potenza e l'influenza della Lega etolica vennero ridimensionate. tensioni politiche del II secolo a.C. nell'ambito della Repubblica Romana si manifestarono attraverso diversi eventi significativi: 1) Il processo degli Scipioni: Questo evento rappresenta un chiaro segno dell'accentuarsi dei contrasti all'interno della stessa classe dirigente romana. Lucio Scipione fu accusato di essersi appropriato di parte dell'indennità di guerra versata dal re di Siria, mentre Scipione l'Africano fu accusato di aver condotto trattative personali con lo stesso re. Il processo agli Scipioni, probabilmente ispirato dalla figura di Catone il Censore, fu principalmente un attacco contro una personalità brillante come Scipione l'Africano e, di conseguenza, contro l'individualismo che minacciava la gestione collettiva della politica. La legge Villa (180 a.C.): Questa legge introdusse l'obbligo di un'età minima per ricoprire diverse cariche pubbliche e un intervallo di due anni tra una carica e l'altra. Fu un tentativo di regolare una competizione politica che stava diventando sempre più intensa. La legge mirava a limitare l'ascesa rapida di individui ambiziosi e a garantire una maggiore stabilità nel sistema politico romano. Senatus consultum de Bacchanalibus: Questo provvedimento arrivò in Italia probabilmente dalla Magna Grecia. Il culto di Bacco era molto diffuso, ma la repressione operata dal Senato non riguardava solo un aspetto religioso, bensì anche sociale. Il Senato era preoccupato dal fatto che i devoti del culto di Bacco avevano creato un'organizzazione interna che poteva essere vista come una sorta di Stato parallelo o contro lo Stato romano. Pertanto, il Senato intervenne per sopprimere questa organizzazione e mantenere il controllo sulla società romana. I GRACCHI. Durante l'età dei Gracchi, che segnò un periodo di significativi mutamenti e squilibri sociali nella Repubblica Romana, si verificarono diversi cambiamenti che ebbero un impatto profondo sulla società romana. L'espansione del dominio romano portò ingenti quantità di ricchezze a Roma, derivate dai bottini di guerra e dagli indennizzi imposti ai vinti. Questa ricchezza si concentrò nelle mani di poche persone, aggravando gli squilibri sociali preesistenti. Numerose opere pubbliche furono finanziate da privati durante questo periodo, il che rifletteva il crescente potere e l'influenza delle élite quella latina agli italici per ampliare la base elettorale. Tuttavia, questa proposta non fu accolta. Legge de electionibus: Introduceva il sorteggio per le votazioni nelle centurie anziché basarsi sulla classe sociale. Legge militaris: Stabiliva l'età minima di arruolamento a 17 anni e prevedeva che lo Stato garantisse almeno l'uniforme ai soldati. L'oligarchia senatoria, preoccupata per i privilegi minacciati da queste riforme, si oppose attivamente a Caio Gracco. Utilizzò Marco Livio Druso, un altro tribuno, per contrastare le proposte di Gracco con proposte sproporzionate e dannose per le finanze dello Stato, indebolendo così la sua popolarità. Infine, durante il suo secondo tentativo di elezione nel 121 a.C., Caio Gracco non venne rieletto. Quando il Senato emise il senatus consultum ultimum, il console Lucio Opimio ordinò l'uccisione dei sostenitori di Gracco, compreso Fulvio Flacco. Caio Gracco preferì suicidarsi piuttosto che affrontare la violenza del Senato. le leggi graccane (120-111 a.C.) Dopo la morte di Caio Gracco, l'oligarchia senatoriale cercò di ridurre l'impatto delle sue leggi riformiste. Nel 120 a.C., l'uccisione di Caio Gracco portò all'accusa del console Lucio Opimio. Anche se fu assolto, ciò sollevò dubbi sulla legittimità delle azioni contro i Gracchi. Le leggi graccane non furono abolite, ma vennero ridimensionate nel tempo. Intorno al 121 a.C., i lotti di terra distribuiti ai cittadini poterono essere venduti o trasferiti, interrompendo il loro status di proprietà inalienabile. Nel 119 a.C., cessarono gli sforzi per recuperare e redistribuire le terre ai beneficiari delle leggi di riforma agraria dei Gracchi. La commissione agraria, responsabile della distribuzione delle terre, fu abolita. Nel 111 a.C., la lex Thoria eliminò il tributo sulle terre distribuite ai cittadini, trasformandole in proprietà private. La provincia romana d’Asia. Prima del 133 a.C. Roma aveva costituito sei province: 1) Sicilia: 241 a.C. al termine della I guerra punica 2) Sardegna e Corsica: 237 a.C. 3) Spagna Citeriore e Spagna Ulteriore: 197 a.C., 4) Macedonia 146 a.C. al termine della guerra acaica. 5) Africa: 146 a.C. al termine della III guerra punica Nel 133 a.C., alla morte di Attalo III, re di Pergamo, Roma ereditò il suo regno. Tuttavia, questa decisione non fu accolta favorevolmente da tutti. Aristonico, il fratellastro di Attalo III, noto anche come Eumene III, non accettò la decisione e si ribellò contro l'autorità romana. La rivolta di Aristonico, che durò per tre anni, rappresentò una sfida significativa per Roma, che nel frattempo era impegnata in altre operazioni militari, come la repressione delle rivolte servili e la guerra in Numanzia. Durante questo periodo, le città greche alleate di Roma furono incaricate di affrontare la rivolta e rimasero coinvolte fino alla cattura di Aristonico nel 129 a.C. Una volta sedata la rivolta, Roma iniziò il processo di riorganizzazione del territorio ereditato da Attalo III. Questo processo culminò nel 126 a.C. con l'annessione della regione dell'Anatolia, l'attuale Turchia, nell'ambito delle province romane. Questa mossa rappresentò un importante ampliamento del dominio romano e consolidò ulteriormente la presenza di Roma nell'area mediterranea. La provincia della Gallia Narbonese. La provincia della Gallia Narbonese, anche conosciuta come Gallia Transalpina, fu una regione importante nell'espansione romana in Europa occidentale. La sua fondazione risale al 118 a.C., quando i Romani stabilirono il controllo su questa regione dopo una serie di vittorie contro le popolazioni locali. La città di Narbo Martius (oggi Narbonne, in Francia) fu fondamentale per il controllo di questa regione. Situata strategicamente tra l'Italia e la Spagna, serviva come punto di connessione chiave per il commercio e l'amministrazione romana nella regione. La presenza romana in questa area facilitò anche il controllo dei passaggi terrestri tra la penisola iberica e il resto dell'Impero Romano. L'espansione della provincia della Gallia Narbonese contribuì notevolmente alla stabilità e alla crescita economica della regione, consentendo ai Romani di esercitare il loro controllo su una vasta area che comprendeva parti dell'odierna Francia meridionale e alcune parti delle regioni confinanti. Tensioni in Dalmazia. Le tensioni in Dalmazia erano dovute principalmente alla resistenza delle tribù illiriche locali contro l'espansione romana nella regione. Le campagne militari romane contro queste tribù erano ripetute e spesso violente, poiché i Romani cercavano di stabilire il loro controllo su queste terre. Durante queste campagne, le armi e i mercanti romani entrarono in contatto con le popolazioni dei paesi danubiani a nord-ovest della Macedonia, come gli Scordisci e i Taurisci. Questi contatti potrebbero aver portato a tensioni aggiuntive, poiché i Romani si scontravano con culture e popolazioni diverse lungo i loro confini orientali. Dopo anni di conflitti militari, le popolazioni della Dalmazia furono gradualmente sottomesse dai Romani. Le campagne militari contro di loro terminarono nel 106 a.C. Questo significava una maggiore stabilità nella regione e un allargamento dei confini dell'Impero Romano verso est. Per commemorare il successo di queste campagne militari, a Roma fu eretto nel 106 a.C. il Porticus Minucia in onore di Marco Minucio Rufo, uno dei protagonisti di questi scontri e tributo alla vittoria di Roma. La guerra giugurtina (111-105 a.C.) fu un conflitto che coinvolse Roma e il re di Numidia, Giugurta. Dopo la Terza Guerra Punica, Roma aveva creato la provincia romana d'Africa e aveva stretto ottimi rapporti con le città vicine e con i re della Numidia, tradizionalmente alleati dei romani. Dopo la morte di Massinissa, re di Numidia, nel 118 a.C., il suo regno fu diviso tra i suoi eredi, tra cui Giugurta, suo nipote e figlio adottivo. Giugurta eliminò uno dei suoi rivali, Iempsale, e si scontrò con l'altro, Aderbale, per il controllo del regno. Questo portò alla divisione della Numidia nel 116 a.C., con la parte orientale assegnata ad Aderbale e quella occidentale a Giugurta. Nel 112 a.C., Giugurta attaccò Aderbale, per il controllo della sua porzione di territorio, presso la città di Cirta, ma entrambi gli eserciti decisero di non combattere durante la notte. Tuttavia, prima che l'alba arrivasse, i soldati di Giugurta attaccarono l'accampamento di Aderbale, che si rifugiò nella città. Gli italici persuasero Aderbale a consegnarsi, promettendogli che Giugurta non lo avrebbe ucciso. Tuttavia, Giugurta non solo uccise Aderbale, ma anche loro. Roma, nonostante la riluttanza, fu costretta nel 111 a.C. a dichiarare guerra a Giugurta. Il console Calpurnio Bestia condusse operazioni militari ma optò per una pace molto favorevole a Giugurta, suscitando accuse di corruzione. Giugurta fu convocato a Roma per un'inchiesta ma sfuggì all'interrogatorio grazie al veto di un tributo e sfruttò l’occasione per far assassinare un suo cugino che si era rifugiato a Roma. La guerra riprese nel 109 a.C. e dopo una serie di scontri, nel 105 a.C. il comando fu preso da Gaio Mario. Dopo tre anni di scontri Giugurta fu catturato grazie al tradimento di Bocco, suo suocero e re di Mauretania, orchestrato dal legato di Mario, Lucio Cornelio Silla. La Numidia fu divisa, con la parte orientale assegnata a un nipote di Massinissa fedele a Roma e il resto affidato a Bocco con cui fu stipulato un trattato di alleanza. la riforma dell’esercito. Durante il periodo in cui Roma era minacciata dalle incursioni delle popolazioni germaniche dei Cimbri e dei Teutoni, l'esercito romano subì significative trasformazioni sotto la guida del console Mario. Inizialmente, i Romani subirono una serie di sconfitte contro i Cimbri e i Teutoni, consentendo a queste popolazioni di avanzare attraverso la Gallia e minacciare la provincia narbonese. Una delle sconfitte più vergognose avvenne ad Arausio nel 105 a.C. a causa del disaccordo tra i comandanti romani. Nel 104 a.C., Mario fu rieletto console e ricoprì questa carica per ben cinque volte di seguito fino al 100 a.C., mentre la minaccia germanica persisteva. Durante questo periodo, mentre i barbari erano dispersi in saccheggio per la Gallia, Mario riorganizzò l'esercito. Durante le guerre giugurtine, Mario aveva dovuto fare affidamento sull'arruolamento volontario dei cittadini per mancanza di soldati, ma con questa riforma ogni legione venne articolata in dieci coorti di circa 600 uomini, eliminando l'arruolamento basato sul censimento e optando per soldati e volontari salariati. A questi volontari veniva garantita una pensione alla fine del servizio, generalmente in forma di terra. Questa riforma portò alla nascita di un esercito professionale, ma anche alla creazione di un rapporto più personale tra le truppe e il generale. Nel 103 a.C., i nemici riapparvero, attaccando divisi, ma vennero comunque sconfitti tra il 102 a.C. ad Aquae Sextiae e il 101 a.C. a Campi Raudii. In queste occasioni, per la prima volta, venne concessa la cittadinanza romana sul campo per atti di valore da parte di un generale con imperium, una prassi che in seguito divenne più comune. Questa riforma dell'esercito sotto Mario contribuì significativamente alla capacità di Roma di affrontare le minacce esterne e alla creazione di un esercito più professionale e disciplinato. Mario, Saturnino e Glaucia rappresenta un momento significativo nella politica romana del periodo, caratterizzato da tensioni sociali e politiche interne. Mario, impegnato sul fronte militare, si alleò con Lucio Appuleio Saturnino, un politico popolare. Mario sostenne la candidatura di Saturnino a tribuno della plebe nel 103 a.C. In cambio, Saturnino propose e fece approvare una distribuzione di terre in Africa per i veterani delle campagne africane di Mario. Saturnino propose anche una legge per ridurre il prezzo del grano, un tema politicamente sensibile. Nel 100 a.C., Mario fu rieletto console per il sesto mandato, Saturnino fu eletto tribuno per la seconda volta e Caio Servilio Glaucia, anch'egli popolare, fu eletto pretore. Saturnino presentò una legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre nella Gallia meridionale e la fondazione di colonie in Sicilia, Acaia e Macedonia. Per evitare opposizioni, inserì una clausola che obbligava i senatori a giurare di rispettare la legge, minacciando l'esilio per chi non lo avrebbe fatto. Saturnino ottenne la rielezione a tribuno anche per l'anno successivo, mentre Glaucia si candidò al consolato. Durante le votazioni, scoppiò una rissa in cui uno dei rivali di Glaucia fu ucciso. Il senato, approfittando della situazione, proclamò l'applicazione del senatus consultum ultimum, che dava al console in carica (Mario) poteri straordinari per sedare la rivolta. Mario si trovò quindi in una situazione difficile, dovendo scegliere tra salvare i suoi alleati e rispettare la tradizione repubblicana. Alla fine, per mantenere l'ordine pubblico, Mario si schierò contro Saturnino e Glaucia. Entrambi furono uccisi e il prestigio di Mario ne uscì compromesso. Mario, preferendo evitare ulteriori conflitti, decise di allontanarsi da Roma ed andare in Oriente. La provincia romana di Cilicia fu istituita nel 102 a.C. come risposta al problema della pirateria che affliggeva le acque dell'Anatolia. Questa regione era particolarmente favorevole alla pirateria a causa delle sue baie profonde e nascoste, che fornivano rifugi sicuri per i pirati. La pirateria rappresentava una minaccia significativa per la sicurezza dei mari greci e dell'Egeo, e Roma decise di intervenire inviando il pretore Marco Antonio (nonno del futuro triumviro Marco Antonio) con il compito di distruggere le principali basi pirata in Anatolia. L'azione di Marco Antonio si protrasse per alcuni anni e fu accompagnata dalla costituzione della provincia di Cilicia. Questa provincia fornì a Roma una base dei sostenitori di Silla furono uccisi durante questo periodo. In questo clima di tensione e instabilità politica, Mario fu eletto console per la settima volta, insieme a Cinna, per l'anno 86 a.C. Tuttavia, Mario morì poco dopo aver assunto la carica. Cinna, rimasto al potere, fu rieletto console di anno in anno fino all'84 a.C., dando inizio a un periodo di dominio noto come "dominatio Cinniana". Durante il suo governo, Cinna intraprese diverse riforme: 1) attuò la proposta di iscrivere i nuovi cittadini italici in tutte le tribù romane, consentendo loro una partecipazione più piena nella vita politica della città. 2) ridusse l'ammontare dei debiti, alleviando così il peso economico su molti cittadini romani. 3) stabilì un nuovo rapporto tra la moneta in bronzo e quella d'argento, probabilmente per gestire meglio l'economia durante un periodo di turbolenza politica. Tuttavia, il dominio di Cinna fu interrotto quando si diffuse la notizia dell'imminente ritorno di Silla dall’Oriente. Cinna cercò di anticipare il ritorno di Silla, ma venne ucciso da una rivolta dei suoi stessi soldati, probabilmente perché temevano le rappresaglie di Silla. La morte di Cinna segnò l'inizio di una nuova fase di violenza e conflitto politico a Roma. La Seconda guerra mitridatica (83-81 a.C.) ebbe inizio a seguito della pace di Dardano, che non riuscì a porre fine alle ostilità in Anatolia. Licinio Murena, governatore della provincia romana d'Asia, continuò a compiere incursioni nel territorio del regno del Ponto, accusando Mitridate VI di prepararsi per riprendere le ostilità. In risposta a queste continue provocazioni, Mitridate espulse Murena e invase nuovamente la Cappadocia. La situazione spinse Silla a intervenire per porre fine al conflitto e stabilizzare la regione. La dittatura di Silla, che si estese dal 82 al 79 a.C., fu caratterizzata da una serie di azioni politiche e militari volte a consolidare il suo potere e a punire i suoi avversari. Dopo il suo ritorno a Roma nel 83 a.C., Silla impiegò due anni per sconfiggere i suoi nemici, tra cui Caio Mario il Giovane, figlio adottivo di Mario, che si suicidò a Preneste durante gli scontri. Con l'aiuto di Marco Licinio Crasso, Silla riuscì a sconfiggere le ultime resistenze nemiche nella battaglia di Porta Collina nel 82 a.C., e le restanti roccaforti caddero tra l'81 e l'80 a.C. Silla introdusse le liste di proscrizione, che erano elenchi di avversari politici condannati a morte. I loro beni venivano confiscati e venduti all'asta, mentre loro e i loro discendenti erano esclusi da ogni carica pubblica. Questo portò a una redistribuzione massiccia di ricchezza e potere tra le élite romane. Le comunità italiche che avevano sostenuto i mariani subirono pesanti confische territoriali, con terre utilizzate per istituire colonie a favore dei veterani di Silla. Poiché entrambi i consoli dell'82 a.C. erano morti durante il conflitto, il Senato nominò Lucio Valerio Flacco come interrex. Su proposta di Silla, Flacco nominò Silla dittatore a tempo illimitato, una carica che Silla mantenne insieme al consolato che assunse nell'80 a.C. La dittatura di Silla consolidò il suo potere e segnò un periodo di forte autoritarismo a Roma. Le riforme di Silla, implementate prima e durante il suo periodo di dittatura, furono significative e miravano a consolidare il suo potere e a stabilizzare la situazione politica a Roma. Aumento del numero dei senatori: Silla ampliò il Senato da 300 a 600 membri, aprendo l'accesso anche al ceto equestre e all'élite municipale. Questo ampliamento del Senato aumentò il sostegno politico di Silla e contribuì a consolidare il suo controllo sul governo. Aumento dei questori e dei pretori: Il numero di questori fu aumentato a 20 e al termine del loro mandato diventavano automaticamente membri del Senato. Silla aumentò anche il numero di pretori a otto e regolamentò le loro competenze, assegnando a ciascuno di essi la responsabilità esclusiva di un determinato tipo di reato. Regolamentazione delle magistrature e delle età minime: stabilì nuove regole per l'ordine di successione alle magistrature e le età minime per accedervi. Nessuna carica avrebbe potuto essere ricoperta prima di un intervallo di dieci anni, e le magistrature non potevano essere iterate nello stesso anno. Queste misure avevano lo scopo di prevenire l'accumulo eccessivo di potere da parte di singoli individui. Leggi contro il lusso e l'esibizione delle ricchezze: Silla introdusse leggi santuarie per limitare il lusso sfrenato e l'esibizione delle ricchezze da parte delle élite romane. Queste leggi erano volte a promuovere la modestia e la sobrietà tra i membri dell'aristocrazia. Limitazione del potere dei tribuni della plebe: Silla limitò drasticamente il potere dei tribuni della plebe, riducendo il loro potere di proporre leggi e il potere di veto. Inoltre, chi diventava tribuno della plebe non poteva più continuare la propria carriera politica. Ampliamento dei limiti del Pomerium di Roma: Silla estese i limiti del Pomerium di Roma fino al fiume Rubicone per evitare future marce su Roma e per dare alla città la possibilità di prepararsi meglio contro le minacce esterne. Dopo aver completato la riorganizzazione dello Stato, Silla abdicò nel 79 a.C., lasciando molti studiosi perplessi sulle sue motivazioni. Alcuni pensavano che potesse essere malato, mentre altri credevano che temesse per la sua sicurezza e la sua immunità politica. Silla morì l'anno successivo. La marcia su Roma condotta da Marco Emilio Lepido nel 78 a.C. fu un tentativo di sfidare il governo di Silla e di ripristinare alcuni degli ordinamenti politici e sociali precedenti alla sua dittatura. Lepido, uno dei consoli di quell'anno, propose diverse misure per contrastare le politiche di Silla: Richiamo dei proscritti in esilio: Lepido intendeva revocare l'esilio imposto da Silla ai suoi avversari politici, consentendo loro di tornare a Roma e di recuperare i loro diritti e le loro proprietà. Ripristino delle distribuzioni di frumento a prezzo politico: Lepido voleva reintrodurre le distribuzioni di grano a prezzi agevolati per la popolazione, politica che era stata interrotta durante il regime di Silla. Restituzione delle terre agli antichi proprietari: Lepido propose di restituire le terre confiscate da Silla e assegnate a nuovi coloni, restituendole ai proprietari originali. Questo avrebbe danneggiato gli interessi dei coloni insediati da Silla. L'opposizione a questi progetti da parte delle autorità e dell'élite romana portò a una rivolta in Etruria, dove le espropriazioni di terre operate da Silla erano state particolarmente dure. Lepido, quasi alla fine del suo consolato, decise di marciare su Roma con il sostegno dei ribelli, cercando di ottenere un secondo consolato e di ripristinare i poteri dei tribuni della plebe. Il Senato, per contrastare questa minaccia, emise il senatus consultum ultimum, una misura straordinaria che conferiva poteri eccezionali per reprimere la rivolta. Inoltre, per sostenere l'altro console in carica, Lutazio Catulo, il Senato concesse eccezionalmente a Pompeo l'imperium, senza che avesse ancora ricoperto alcuna magistratura superiore. La rivolta di Lepido fu infine soppressa, e lui stesso fuggì in Sardegna, dove morì poco dopo. I resti dell'esercito ribelle fuggirono in Spagna, cercando di continuare la resistenza contro il governo di Silla. La resistenza mariana di Sertorio. Quinto Sertorio, un ex alleato di Mario, aveva una profonda conoscenza del territorio spagnolo e godeva del sostegno delle popolazioni indigene. Dopo le prime vittorie di Silla, nel 82 a.C., Sertorio, in qualità di governatore della Spagna Citeriore, creò uno stato mariano in esilio, resistendo con successo agli attacchi delle forze di Silla. Sertorio riuscì a consolidare il suo potere grazie al supporto delle popolazioni locali e all'unione delle truppe superstiti di Lepido, che si erano ribellate a Roma. Questo gli permise di istituire a Osca, la capitale del suo stato, un senato simile a quello romano e una scuola dove i giovani capi delle tribù spagnole venivano educati secondo le tradizioni romane. Il Senato romano, vedendo Sertorio come una minaccia crescente, si rivolse nuovamente a Pompeo, attribuendogli un altro imperium straordinario per contrastare Sertorio. Tuttavia, Pompeo trovò difficoltà nel debellare la resistenza di Sertorio, soprattutto quando il Senato fu impegnato nella terza rivolta servile tra il 76 e il 74 a.C. La situazione migliorò solo quando Pompeo ottenne rinforzi dal Senato. La resistenza di Sertorio subì un duro colpo con il suo assassinio da parte di uno dei suoi stessi comandanti, Perperna, verso la fine del 77 a.C. Nonostante questo tradimento, la lotta continuò fino al 71 a.C., quando le forze di Pompeo riuscirono infine a sconfiggere completamente Sertorio e i suoi seguaci, mettendo fine alla loro resistenza. La terza guerra mitridatica, che ebbe luogo tra il 74 e il 63 a.C., vide un nuovo conflitto tra Roma e il re del Ponto, Mitridate VI. Dopo la morte di Nicomede IV di Bitinia nel 74 a.C., il suo testamento sospetto cedeva il regno di Bitinia ai Romani, dando loro il controllo strategico dell'accesso al Mar Nero. Mitridate, vedendo minacciata la sua posizione, decise di invadere la Bitinia. Contro di lui furono mandati i consoli Marco Aurelio Cotta e Lucio Licinio Lucullo, che condussero operazioni di successo costringendo Mitridate a rifugiarsi in Armenia presso suo genero Tigrane. Tuttavia, il prolungarsi della guerra causò insoddisfazione tra i soldati romani e i loro alleati nell'Asia Minore. Nel 67 a.C., approfittando della debolezza delle forze romane, Mitridate riprese le ostilità. L'anno successivo, Roma affidò il comando delle operazioni a Pompeo attraverso la lex Manilia, mentre Pompeo era già coinvolto nella lotta contro i pirati attraverso la lex Gabinia. Pompeo condusse con successo le operazioni, costringendo Mitridate a ritirarsi e venendo abbandonato anche dal suo alleato Tigrane. Mitridate, preferendo morire piuttosto che cadere nelle mani dei Romani, si suicidò nel 63 a.C. Tigrane, pur conservando il trono dell'Armenia, fu privato della Siria, che divenne provincia romana nel 64 a.C. Successivamente, Tigrane si mosse verso la Palestina, dove conquistò Gerusalemme, concedendo autonomia alla Giudea sotto la supervisione del governatore romano della Siria. Prima di tornare a Roma, Pompeo riunì la Bitinia e il Ponto in un'unica provincia, consolidando ulteriormente il controllo romano sulla regione. Il consolato congiunto di Pompeo e Crasso nel 70 a.C. segnò un momento significativo nello smantellamento dell'ordinamento creato da Silla. Nonostante Pompeo non avesse i requisiti tradizionali di carriera per la nomina al consolato, la sua recente fama militare e le sue vittorie decisive gli conferivano un'enorme influenza e sostegno politico. Durante il loro consolato, Pompeo e Crasso promossero una serie di riforme che andarono contro le disposizioni sillane: 1) Nel 75 a.C., il console Caio Aurelio Cotta abolì il divieto imposto da Silla riguardante la prosecuzione della carriera politica per i tribuni della plebe. Questo significava che i tribuni potevano aspirare a incarichi politici più alti senza essere limitati da restrizioni imposte da leggi precedenti. 2) Nello stesso anno, il fratello del console, il pretore Lucio Aurelio Cotta, riformò i tribunali permanenti togliendo l'esclusiva ai senatori e permettendo la partecipazione anche dei cavalieri e dei tribuni aerarii. Questo cambiamento ampliò la partecipazione politica e giudiziaria, aprendo la strada a una maggiore diversità di opinioni e interessi nelle decisioni legali. 3) Nel 73 a.C., la lex Terentia Cassia reintrodusse le distribuzioni di grano a prezzo politico, garantendo un sostegno fondamentale alle classi più povere e aumentando il consenso popolare verso i politici che promuovevano queste misure. 4) Infine, nel 70 a.C., Pompeo e Crasso restaurarono completamente i poteri dei tribuni della plebe nella loro pienezza . Questo dell'approvvigionamento di grano per la città di Roma (cura annonae). Tuttavia, alcuni oppositori di Cesare cercarono di revocare il suo proconsolato in Gallia e di impedire la proroga del suo comando. Per risolvere questa situazione, Pompeo, Cesare e Crasso si incontrarono a Lucca nel 56 a.C. Durante questo incontro, i tre concordarono diversi punti cruciali: 1) Prorogare il comando di Cesare in Gallia per altri cinque anni. 2) Garantire la vittoria di Pompeo e Crasso alle elezioni consolari del 55 a.C. 3) Dopo il termine del loro consolato, Pompeo avrebbe ricevuto il controllo delle due Spagne e Crasso della Siria, da cui sarebbe stata lanciata una spedizione contro i Parti. Gli Accordi di Lucca furono eseguiti esattamente come pianificato. Pompeo e Crasso vinsero le elezioni consolari e ottennero le province promesse, mentre Cesare vide il suo comando in Gallia prorogato. La provincia romana della Gallia Comata, o "Gallia Capellata" (così chiamata per il modo in cui i galli portavano i capelli, diversamente rasati rispetto ai romani), era una regione estesa che includeva gran parte della Gallia Transalpina, nota anche come Gallia Celtica o Gallia Romana, sotto il dominio di Roma. Cesare, tornato in Gallia, affrontò una rivolta in Bretagna, sconfiggendo le popolazioni costiere. Successivamente, nel 55 a.C., intraprese una spedizione in Britannia che portò alla sottomissione di alcune tribù lungo la costa. Nel 53 a.C., Cesare trascorse il tempo reprimendo rivolte nelle regioni settentrionali della Gallia, affrontando varie tribù ribelli. Nel 52 a.C., Vercingetorige, re degli Arverni, guidò una rivolta che portò all'uccisione di romani e italici residenti a Cenabum. Cesare si precipitò in Arvenia per affrontare la minaccia, ma non riuscì a espugnare la città di Alesia a causa della scarsità di forze e della defezione degli Edui, un'altra tribù gallese. Dopo che Vercingetorige si rifugiò ad Alesia, Cesare la assediò per molto tempo. Alla fine, con l'aiuto di rinforzi e la costruzione di fortificazioni circolari intorno alla città, Cesare riuscì a sconfiggere Vercingetorige. Nel 51 a.C., dopo aver annientato gli ultimi centri di resistenza, Cesare diede inizio all'organizzazione della Gallia Comata come provincia romana. Questo processo includeva la definizione delle strutture amministrative, l'assegnazione delle terre ai veterani e la stabilizzazione politica della regione. La morte di Crasso per mano dei Parti. Dopo il suo consolato nel 54 a.C., Crasso cercò di aumentare la propria fama e influenza inserendosi nella contesa dinastica tra Orode e Mitridate per il trono dei Parti. Crasso sperava di ottenere una gloria militare paragonabile a quella di Cesare e Pompeo. Dopo la morte del re Fraate III, Crasso decise di appoggiare Orode, il fratello rivale di Mitridate, spingendosi in Mesopotamia. Nonostante gli avvertimenti e senza una conoscenza adeguata dell'esercito, Crasso marciò attraverso le steppe mesopotamiche per invadere il paese. Quando romani e Parti si scontrarono nei pressi di Carre, i Parti ebbero la meglio nella battaglia. Il figlio di Crasso cadde sul campo di battaglia, e Crasso stesso fu preso e ucciso mentre si ritirava. Questa sconfitta fu una delle più gravi della storia romana, mettendo a rischio la provincia di Siria. Nella battaglia, i Parti si appropriarono delle insegne di sette legioni romane, causando un grave danno all'orgoglio e alla reputazione militare di Roma. La sconfitta di Crasso ebbe un impatto significativo sulla politica romana, indebolendo il cosiddetto Triumvirato tra Cesare, Pompeo e Crasso e aprendo la strada per la successiva guerra civile tra Cesare e Pompeo. Periodo dal 53 a.C. al 49 a.C. Dopo la morte di Giulia, la figlia di Cesare e moglie di Pompeo, e la scomparsa di Crasso nel 53 a.C., i vincoli familiari e politici che univano Cesare e Pompeo si indebolirono. Nel frattempo, a Roma, il caos e la violenza dilagavano a causa delle lotte tra bande, che portarono anche alla morte di Clodio, uno dei principali sostenitori di Cesare. Nel 53 a.C., a causa dei veti, Roma si ritrovò senza consoli per l'anno successivo. Questo portò alla proposta di nominare Pompeo dittatore, ma senza successo. L'anno successivo, la situazione peggiorò ulteriormente, e Pompeo fu nominato console senza collega. I nemici di Cesare approfittarono della sua assenza da Roma cercando ogni modo per rimuoverlo dalla sua carica e condannarlo per la guerra condotta in Gallia. Sorse una disputa sul termine del proconsolato di Cesare, con lui che sosteneva di terminare nel 49 a.C. e i suoi avversari che affermavano che doveva terminare nel 50 a.C. Ciò portò a una lotta legale e politica tra Cesare e i suoi oppositori. Nel tentativo di risolvere la crisi, il tribuno della plebe Caio Scribonio Curione propose di abolire sia i comandi straordinari di Cesare che quelli di Pompeo. Tuttavia, il Senato non riuscì a trovare un compromesso tra le parti. Minacciato dal veto di due tribuni, Marco Antonio incluso, Cesare si trovò costretto ad agire. Quando il Senato votò per rimuoverlo dalle sue cariche, Cesare decise di varcare il Rubicone, un fiume che segnava il confine del territorio romano, dando così inizio alla guerra civile nel 49 a.C. La guerra civile (49-48 a.C.). Quando Cesare attraversò il Rubicone, un piccolo fiume che segnava il confine tra l'Italia e le province romane, rappresentò un atto di sfida diretta all'autorità del Senato romano. Questo gesto mise in moto la guerra civile. Pompeo e molti senatori, temendo la crescente potenza di Cesare, abbandonarono Roma e fuggirono verso Brindisi, una città portuale nell'Italia meridionale, dove speravano di organizzare una resistenza. Cesare, dopo aver assicurato il controllo sull'Italia, si diresse in Spagna per affrontare le forze di Pompeo. Le battaglie furono aspre ma Cesare riuscì a ottenere una serie di vittorie che indebolirono significativamente le forze pompeiane. Tornato a Roma, Cesare fu nominato console per il 48 a.C. e immediatamente si diresse verso la Grecia (in particolare nella regione della Tessaglia), dove le forze di Pompeo si erano concentrate. Lì, a Farsalo, avvenne lo scontro decisivo tra le due fazioni. Nonostante fossero numericamente inferiori, le truppe di Cesare riuscirono a prevalere. Dopo la sconfitta a Farsalo, Pompeo fuggì in Egitto, sperando di trovare rifugio presso il re Tolomeo XIII, tuttavia, i consiglieri del re, temendo le conseguenze di un'alleanza con Pompeo, decisero di assassinarlo appena sbarcato. Questo evento segnò la fine definitiva della resistenza di Pompeo contro Cesare. Cesare, dopo essere venuto a conoscenza dell'assassinio di Pompeo, si recò in Egitto, dove intervenne nella complessa politica locale. Qui, entrò in contatto con Cleopatra VII, con la quale ebbe una relazione sentimentale e politica. Cesare risolse la crisi dinastica egiziana confermando Cleopatra come regina e stabilendo un'alleanza con il regno d'Egitto. Dopo aver risolto la situazione in Egitto, Cesare si diresse in Africa per affrontare gli ultimi sostenitori di Pompeo, tra cui Catone e il re di Numidia, Giuba. Le forze di Cesare ottennero una vittoria decisiva a Tapso, mettendo fine alla resistenza africana, Catone morì suicida ad Utica resosi conto della sua posizione senza speranza. Toltosi la vita anche Giuba, il suo regno divenne provincia romana col nome di Africa Nova. Cesare tornò a Roma trionfante nel 46 a.C., ma dovette affrontare ancora una volta l'opposizione in Spagna, dove i figli di Pompeo, Cneo e Sesto, avevano raccolto le rimanenti forze pompeiane. Cesare sconfisse definitivamente i suoi avversari a Munda nel marzo del 45 a.C., ponendo fine alla guerra civile e consolidando il suo potere su Roma. Le cariche rivestite da Cesare. Nel 48 a.C., mentre si trovava in Egitto, Cesare fu nominato dictator per un anno. La dittatura era una carica straordinaria che conferiva a Cesare il potere assoluto su Roma e sulle sue province per quel periodo di tempo. Dopo essere tornato dall'Egitto e prima della campagna in Africa, Cesare fu eletto console per la terza volta nel 46 a.C., con Marco Emilio Lepido come collega. A metà del 46 a.C., a Cesare fu conferita la dittatura per dieci anni con poteri praticamente illimitati. Nel 45 a.C., Cesare fu eletto console per la quarta volta, questa volta senza un collega. Questo gli conferì ancora più autorità. Nel 44 a.C. ottenne la carica di dictator perpetuus, dictator a vita. Oltre alle cariche ufficiali, Cesare ottenne una serie impressionante di poteri straordinari: Per tre anni, Cesare fu nominato praefectus moribus, incaricato di vigilare sui costumi e di controllare le liste dei senatori, compiti simili a quelli dei censori, una carica che normalmente sarebbe stata riservata a due magistrati chiamati censori. A Cesare furono riconosciute le prerogative di un tribuno della plebe, come l'inviolabilità e il diritto di veto, nonostante non avesse ricoperto effettivamente la carica di tribuno. Poteri militari e diplomatici: Cesare ebbe il potere di fare trattati di pace o dichiarazioni di guerra senza consultare il Senato o il popolo romano, oltre al potere di raccomandare candidati alle elezioni e di assegnare province ai propri legati. Ricevette onori straordinari, come il primo posto in Senato, il titolo di Imperator (detentore dell'imperium) a vita e quello di padre della patria (Pater Patriae). Inoltre, ebbe il controllo totale del tesoro pubblico e della circolazione monetaria, garantendogli una vasta risorsa finanziaria per sostenere le sue imprese militari e politiche. Le riforme di Cesare rappresentano un ampio e significativo programma di cambiamenti politici, sociali ed economici che hanno avuto un impatto duraturo sulla struttura e sul funzionamento della Repubblica romana. Perdono e richiamo degli esuli e dei condannati politici: Cesare concesse amnistia e permise il ritorno in patria a tutti gli esuli e i condannati politici. Facilitazioni ai debitori: Cesare introdusse facilitazioni per i debitori, consentendo loro di pagare i canoni arretrati e stabilendo modalità di rimborso dei prestiti più favorevoli. Estensione della cittadinanza romana: Cesare estese il diritto di ottenere la cittadinanza romana agli abitanti della Transpadana, ampliando così la base di cittadini romani fino alle Alpi e incorporando diverse comunità provenienti da Spagna, Gallia, Africa e altre regioni. Aumento del Senato e delle cariche magistratuali: Cesare aumentò il numero dei membri del Senato da 600 a 900, includendo molti dei suoi seguaci provenienti da tutte le regioni dell'impero. Inoltre, aumentò il numero di questori, edili e pretori, offrendo così più opportunità ai suoi sostenitori di ottenere cariche politiche di rilievo. Riforme giudiziarie e di governo provinciale: Cesare ridistribuì equamente le giurie dei tribunali tra senatori e cavalieri e limitò la durata dei governatorati a uno o due anni per i propretori e proconsoli. Ciò mirava a garantire una maggiore efficienza e equità nel sistema giudiziario e nell'amministrazione provinciale. Leggi sul crimine e sulla proprietà: stabilì la confisca di tutti i beni per i responsabili di parricidio e la confisca della metà dei beni per altri tipi di reati. Questo mirava a garantire una maggiore sicurezza pubblica e a punire i criminali con maggiore severità. Distribuzione di terre e colonie: Cesare promosse un vasto programma di distribuzione di terre e fondazione di colonie nelle province dell'Impero, offrendo terre ai veterani e ai cittadini meno abbienti. Riforme sociali e del lavoro: Cesare favorì i lavori pubblici per fornire occupazione, obbligò i proprietari a impiegare un terzo della loro manodopera nei pascoli per combattere la disoccupazione e riorganizzò il calendario per migliorare la gestione del tempo agricolo e civile. Partecipazione popolare e controllo: Cesare suddivise i comizi elettorali tra sé e il popolo, consentendo al popolo di scegliere una parte dei candidati, ma mantenendo il suo ruolo predominante nel processo politico. Le Idi di marzo. il 15 marzo del 44 a.C., segna uno dei momenti più significativi e tragici della storia romana, con l'assassinio di Giulio Cesare. Questo evento è stato il culmine delle tensioni politiche e delle preoccupazioni riguardo alla crescente concentrazione di potere nelle mani di Cesare e alle sue presunte ambizioni monarchiche. Giulio Cesare, all'apice del suo potere, era divenuto un autocrate indiscusso a Roma, grazie alla sua serie di cariche e poteri straordinari, Questo suscitava preoccupazioni tra molti esponenti politici, inclusi ex sostenitori di Pompeo e altri aristocratici romani, che temevano la trasformazione della Repubblica in un regime monarchico. La presunta vicinanza di Cesare a Cleopatra, regina d'Egitto, e il suo coinvolgimento in progetti militari ambiziosi, come la campagna contro i Parti, contribuirono ad alimentare i sospetti di aspirazioni monarchiche. Inoltre, la di consegnare il Peloponneso, e Sesto Pompeo, ancora una volta, bloccò le forniture nel 38 a.C. Nel frattempo, Ottaviano ripudiò la sua prima moglie, Scribonia, e sposò Livia Drusilla, ex moglie di Tiberio Claudio Nerone e madre del futuro imperatore Tiberio. Questo matrimonio contribuì a consolidare ulteriormente la posizione di Ottaviano e a stabilizzare la sua alleanza con Marco Antonio. L'accordo di Taranto, siglato nel 37 a.C., rappresentò un altro passo significativo nella politica romana del tempo. In questo accordo, Ottaviano e Marco Antonio rinnovarono il loro triumvirato e prolungarono il loro controllo sullo Stato per altri cinque anni. Inoltre, Antonio si impegnò a fornire a Ottaviano 120 navi per combattere contro Sesto Pompeo, che controllava le province occidentali, mentre Ottaviano avrebbe contribuito con 20.000 legionari per l'esercito contro i Parti. Con l'aiuto delle navi fornite da Antonio, il generale di Ottaviano, Agrippa, riuscì a sconfiggere Sesto Pompeo nella battaglia di Nauloco nel 36 a.C., non lontano da Messina. Sesto Pompeo fuggì in Oriente, ma venne ucciso l'anno successivo. Lepido, che aveva appoggiato Ottaviano durante queste operazioni, cercò di rivendicare per sé il controllo dell'isola di Sicilia, ma le sue truppe lo abbandonarono e Ottaviano lo dichiarò decaduto. Questo permise a Ottaviano di assumere il controllo dell'Africa. Nonostante Lepido conservasse formalmente il titolo di Pontefice Massimo, visse in disparte dalla vita politica, mentre Ottaviano consolidava il suo potere. Tra il 35 e il 34 a.C., Ottaviano e Agrippa furono impegnati in operazioni militari contro gli Illiri nella regione della Pannonia e della Dalmazia. Queste azioni mostrarono il continuo impegno di Ottaviano nel mantenere e rafforzare il controllo dell'Impero Romano, sia attraverso alleanze politiche che attraverso azioni militari dirette. Antonio in Oriente. La rivalità tra Ottaviano e Marco Antonio si intensificò mentre entrambi cercavano di consolidare il loro potere e di espandere le loro influenze, soprattutto in Oriente. Mentre Ottaviano si concentrava sul fronte occidentale e sulla gestione degli affari interni dell'Impero, Marco Antonio progettava una campagna militare contro i Parti, un regno ricco e potente che minacciava gli interessi romani in Oriente. Tuttavia, i piani di Marco Antonio furono ostacolati da varie difficoltà e ritardi. Dalle battaglie di Filippi fino al rinnovo del Triumvirato, Antonio fu costretto a rimanere in Italia, impedendogli di intervenire efficacemente contro i Parti mentre essi invasero la Siria e la Giudea. Quando finalmente Antonio riuscì a iniziare la sua spedizione in Oriente nel 36 a.C., subì gravi perdite a causa delle difficoltà logistiche e delle ostilità locali. La situazione peggiorò ulteriormente quando Ottaviano non fornì ad Antonio il supporto militare promesso, inviandogli solo una frazione delle truppe e delle navi concordate. Nonostante le difficoltà, Antonio riuscì a celebrare la conquista dell'Armenia nel 34 a.C., confermando a Tolemeo Cesare, il figlio di Cleopatra e Cesare, numerosi possedimenti romani. Questo atto fu visto come un'affronto da parte di Ottaviano, che si sentì minacciato dalla crescente influenza di Marco Antonio nell'Oriente romano e dalla sua alleanza con Cleopatra. La rivalità tra Ottaviano e Marco Antonio si intensificò ulteriormente, preparando il terreno per il conflitto finale tra i due leader che avrebbe portato alla fine della Repubblica romana e all'avvento dell'Impero. La battaglia di Azio, avvenuta nel settembre del 31 a.C., fu uno degli eventi cruciali nella lotta tra Ottaviano e Marco Antonio per il controllo dell'Impero Romano. Nel 32 a.C., i consoli, entrambi sostenitori di Antonio, tentarono di ratificare le decisioni prese da Antonio in Oriente, ma Ottaviano, che era contrario a tali decisioni, bloccò l'approvazione al Senato. Questo evento contribuì ad intensificare le tensioni tra Ottaviano e Antonio. In risposta, Antonio inviò a Ottaviano un atto formale di ripudio, segnando la fine ufficiale del loro rapporto. La propaganda di Ottaviano dipinse Antonio come un traditore per aver ripudiato Ottavia, sua moglie legittima, a favore di Cleopatra, la regina d'Egitto. Inoltre, la scoperta di un presunto "testamento" in cui Antonio disponeva di essere sepolto ad Alessandria accanto a Cleopatra e attribuiva regni e figli avuti con lei, fu usata da Ottaviano per screditare ulteriormente Antonio e privarlo dei suoi poteri e del consolato. La guerra tra l'Occidente, guidato da Ottaviano, e l'Oriente, rappresentato da Antonio e Cleopatra, si formalizzò. La battaglia decisiva si svolse dinanzi ad Azio, dove la flotta di Ottaviano, guidata da Agrippa, sconfisse quella di Antonio e Cleopatra. Dopo la sconfitta, Antonio e Cleopatra si rifugiarono in Egitto. Nel 30 a.C., Ottaviano penetrò in Egitto, costringendo Antonio e Cleopatra a commettere suicidio. Con la morte di Antonio e Cleopatra, l'Egitto fu dichiarato provincia romana. I loro figli, Tolemeo Cesare e il figlio maggiore di Antonio, furono eliminati, mentre i figli concepiti con Cleopatra furono portati a Roma e allevati da Ottavia, la sorella di Ottaviano. Cleopatra Selene, una delle figlie, sposò in seguito Giuba II di Mauretania, mentre sui figli maschi non si hanno informazioni. AUGUSTO. Dopo la guerra di Azio e la morte di Marco Antonio, Ottaviano (successivamente noto come Augusto) si trovò nella posizione di padrone assoluto dello stato romano. Tuttavia, la situazione non si risolse automaticamente, e ci furono diversi problemi da affrontare: Perdita di supporto nel Senato: Molti senatori che avevano sostenuto Antonio lasciarono Roma, riducendo significativamente l'organo decisionale. Congedo delle truppe e insoddisfazione dei soldati: La maggior parte delle truppe vennero congedate dopo la guerra, e molti soldati non ricevettero i premi sperati. Ciò causò disordini e tumulti che Ottaviano dovette gestire utilizzando il proprio patrimonio. Repressione di movimenti insurrezionali: Mecenate repressa un movimento insurrezionale, incluso il figlio di Lepido, che pagò con la vita per la sua opposizione. Mancanza di fiducia nei confronti dei senatori e dei cavalieri: Nonostante molti si fossero schierati con Ottaviano, rimaneva una diffidenza nei confronti di questi gruppi. Ottaviano dimostrò questa sfiducia durante la campagna di Azio, quando costrinse i senatori e i cavalieri a partire con lui per timore di una possibile ribellione a Roma. Difficoltà nel definire il ruolo di Ottaviano: Augusto doveva affrontare la sfida di consolidare il suo potere in modo legittimo. Non poteva instaurare una monarchia apertamente, poiché avrebbe contrastato la propaganda antiorientale che egli stesso aveva promosso. Questa complessa situazione politica e sociale dopo la guerra di Azio contribuì alla transizione verso il Principato, il regime istituito da Ottaviano (Augusto) che segnò l'inizio dell'età imperiale romana. Il periodo dal 30 al 23 a.C. è crucialmente importante per la trasformazione politica e istituzionale che portò alla creazione del Principato da parte di Ottaviano (poi conosciuto come Augusto). 30 a.C.: Dopo la vittoria ad Azio, Ottaviano iniziò a consolidare il suo potere. Organizzò l'Egitto assegnandolo a un cavaliere, Caio Cornelio Gallo, e limitò l'accesso dei senatori e dei cavalieri al paese senza la sua autorizzazione. Venne ridotto il numero delle truppe e molti soldati furono congedati, mentre le spese furono finanziate con il bottino di guerra. 29 a.C.: Ottaviano si impegnò nell'assegnare il controllo di alcuni territori orientali a quattro re vassalli, incaricati di controllare le frontiere, Polemone nel Ponto, Aminta in Galazia, Archelao in Cappadocia, Erode in Giudea. Le province romane in Asia furono ridotte a tre. 28 a.C.: Ottaviano e Agrippa procedettero alla "lectio senatus", purificando il Senato dai membri considerati indegni. Venne emesso un nuovo conio d'oro con l'immagine di Ottaviano, sottolineando la sua discendenza divina e i suoi meriti nel ripristinare l'ordine a Roma. 27-24 a.C.: Ottaviano rinunciò ai suoi poteri straordinari e accettò un comando decennale nelle province non pacificate, mentre il popolo ottenne il potere decisionale sulle province pacificate. Venne proclamato "Augusto", un titolo che lo innalzava anche a una dimensione sacrale. Ottaviano intraprese campagne militari in Gallia e Spagna settentrionale per consolidare il suo potere e rafforzare il contatto con l'esercito. 23 a.C.: Si cominciò a discutere della successione di Augusto, poiché si temeva il rischio di guerre civili in sua assenza. Augusto, credendo di essere vicino alla morte, consegnò il suo anello con il sigillo ad Agrippa, ma poi si riprese. Tuttavia, venne coinvolto in una congiura filorepubblicana, che portò alla sua decisione di deporre la carica di console a metà anno. 22-19 a.C.: Augusto riuscì a recuperare le insegne delle legioni di Crasso e Marco Antonio, segnando la definitiva pacificazione dell'Oriente. 18 a.C.: Augusto e Agrippa videro rinnovati i loro imperium proconsolare per cinque anni. Agrippa ricevette anche la tribunicia potestas e intervenne nuovamente contro il Senato, riducendo il numero dei senatori a 600. Le cariche e i privilegi di Augusto a partire dal 23 a.C.: Imperator: Questo titolo fu utilizzato per la prima volta da Augusto nel 40 a.C. e indicava il comandante supremo dell'esercito romano. Princeps: Il termine "princeps" significa "primo cittadino" o "primo tra pari". Augusto adottò questo titolo a partire dal 28 a.C., che rifletteva il suo ruolo di guida nella Repubblica restaurata. Imperium Proconsolare Maius: Augusto possedeva un imperium proconsolare, che gli conferiva l'autorità di agire in tutte le province romane, anche superando i governatori locali. Questo imperium era rinnovabile a vita. Nel 23 a.C., anche Agrippa ricevette un imperium proconsolare di 5 anni per dirigere gli affari orientali. Tribunicia Potestas: Augusto ottenne i pieni poteri di un tribuno della plebe, compreso il diritto di convocare i comizi, porre il veto e godere della sacrosanctitas (immunità personale). Questa carica era vitale e rinnovabile annualmente. Gli fu inoltre concesso il diritto di convocare il Senato. Nomination e Commendatio: Augusto aveva il potere di accettare candidature e raccomandare candidati per le elezioni, influenzando così il processo elettorale, che fu ripristinato regolarmente a partire dal 27 a.C. Destinatio: Era una pratica tramite la quale i comizi centuriati ratificavano i candidati preselezionati tramite votazione preliminare, con il contributo di 10 centurie speciali. Tiberio ne aggiunse altre 10, cinque dopo la morte di Germanico (19 d.C.) e cinque in onore del defunto Druso (23 a.C.). Cura Annonae: Durante una carestia a Roma nel 22 a.C., Augusto rifiutò la dittatura offertagli dal popolo e assunse l'incarico di gestire l'approvvigionamento di grano per la città, seguendo l'esempio di Pompeo. Censore e Console: Augusto esercitò i poteri di censore nel 19 e 18 a.C., combinando alcuni privilegi consolari, tra cui l'uso delle insegne consolari come la sella curulis e i fasci. Pontifex Maximus: Augusto ricevette il titolo di Pontifex Maximus nel 12 a.C. alla morte di Lepido, diventando il massimo sacerdote della religione romana. Pater Patriae: Questo titolo, che significa "padre della patria", fu conferito ad Augusto dal Senato, dai cavalieri e dal popolo nel 2 a.C., sottolineando il suo ruolo come guida e protettore della nazione romana. Queste cariche e privilegi conferirono ad Augusto un potere straordinario e una posizione di autorità senza precedenti nella storia romana, contribuendo alla sua centralità nel sistema politico dell'epoca. Senatori ed equites Tra il 29 e il 28 a.C., Ottaviano e Agrippa, in qualità di consoli, eseguirono una revisione del Senato. Questo processo, chiamato "lectio senatus", consisteva nel rivedere l'elenco dei membri del Senato e rimuovere coloro che non erano considerati idonei o degni di farne parte. Nel 18 a.C., Augusto utilizzò il potere della censura per rivedere ancora una volta la composizione del Senato. Durante questa revisione, ridusse il numero dei senatori a un massimo di 600, seguendo il modello introdotto da Silla, un politico romano del passato. Questo fu fatto per mantenere un Senato più Gallia furono organizzate in tre province sotto il dominio romano: Aquitania, Lugdunense e Belgica. Augusto e i suoi generali estesero il dominio romano nelle Alpi settentrionali e lungo il fiume Danubio, fondando colonie e sottomettendo popolazioni locali. Queste conquiste consolidarono la frontiera danubiana. Nonostante gli sforzi di Druso e Tiberio, la Germania rimase in gran parte inviolata. Tuttavia, nel 9 d.C., le truppe romane subirono una sconfitta devastante nella selva di Teutoburgo ad opera di Arminio, ma i Romani riuscirono in seguito a mantenere il controllo della situazione. Le leggi augustee, promulgate a partire dal 19 a.C., furono una serie di provvedimenti legali mirati a rafforzare e preservare l'ordine sociale e politico nell'Impero Romano, ripristinando alcuni valori tradizionali del mos maiorum. Legge sul matrimonio: Questa legge incentivava i matrimoni e la natalità attraverso una serie di benefici e privilegi per le coppie sposate e per le famiglie con figli. Offriva agevolazioni per l'accesso alle cariche pubbliche, esenzioni da alcuni doveri civili e il diritto per le donne di non essere soggette alla tutela di un uomo. Inoltre, la legge imponeva scadenze per il matrimonio: i celibi e le nubili dovevano sposarsi entro un certo periodo di tempo per mantenere i diritti ereditari, mentre le vedove e le divorziate avevano anch'esse limiti temporali per risposarsi. Legge contro l'adulterio: Questa legge rappresentava un tentativo di regolamentare la sfera sessuale della società romana, rendendo l'adulterio un reato punibile. Il tribunale speciale per i reati sessuali giudicava qualsiasi relazione extraconiugale o comportamento sessuale illecito al di fuori del matrimonio e del concubinato. Il marito tradito aveva il diritto di punire l'adultero, mentre il pater familias aveva il potere di uccidere sia l'adultero che la figlia coinvolta. Le punizioni per l'adulterio includevano la relegazione in isole remote e la confisca dei beni. Crimen maiestatis: Questa legge prevedeva severe pene per coloro che attentavano contro lo stato o contro figure pubbliche di spicco. Gli accusati di crimen maiestatis potevano essere condannati a morte, esilio volontario e confisca dei loro beni. L'obiettivo principale di questa legge era proteggere l'autorità e l'integrità dello stato romano e dei suoi leader. Le strategie di successione di Augusto furono complesse e influenzate da una serie di eventi familiari e politici. Inizialmente, Augusto cercò di promuovere Marcello, suo nipote e figlio adottivo, come suo erede. Marcello ricevette importanti incarichi politici e fu sposato con Giulia, la figlia di Augusto. Tuttavia, Marcello morì prematuramente nel 23 a.C., interrompendo i piani di successione di Augusto. Augusto poi si rivolse ad Agrippa, un fedele alleato e generale di talento, sposandolo con Giulia, la vedova di Marcello. Agrippa ricevette poteri significativi, simili a quelli di Augusto, ma morì nel 13 a.C., lasciando un vuoto nella successione. I figli di Agrippa e Giulia, Caio e Lucio Cesari, furono anch'essi considerati come possibili eredi, ma entrambi morirono giovani: Lucio nel 2 d.C. e Caio nel 4 d.C. Augusto si concentrò quindi sui figli di sua moglie Livia, Tiberio e Druso, che dimostrarono abilità militare e politica. Tuttavia, Druso morì in una missione in Germania nel 9 a.C. Tiberio, dopo una carriera altalenante e un matrimonio infelice con Giulia, figlia di Augusto, venne adottato da Augusto stesso insieme a Druso minore nel 4 d.C. Tiberio aveva anche l'obbligo di adottare Germanico, figlio di Druso e Antonia minore, rinforzando così il legame familiare. Il figlio di Druso, Germanico, divenne quindi una figura chiave nella successione. Augusto lo legò alla sua famiglia attraverso matrimoni strategici, sposando Agrippina Maggiore, figlia di Giulia e Agrippa. Germanico ottenne successi militari significativi, ma morì prematuramente nel 19 d.C. Alla fine, Augusto adottò formalmente Tiberio come suo erede nel 4 d.C., dopo una serie di complesse manovre politiche e familiari. Tiberio dimostrò le sue capacità come comandante militare e governatore delle province, assicurando la sua posizione come successore di Augusto. Opposizione e gli scandali. Durante il principato augusteo, nonostante il generale consenso, ci furono oppositori che ambivano al ritorno alle forme repubblicane. Questa opposizione venne principalmente da coloro che si illudevano di ripristinare le istituzioni repubblicane originarie o da individui gelosi del potere eccessivo di Augusto, che desideravano prendere il suo posto. Alcuni eventi chiave riflettono ciò: Congiura di Lepido (31-30 a.C.) e di Murena (23 a.C.): Queste furono due congiure contro Augusto, condotte rispettivamente da Marco Emilio Lepido e Fannio Cesare Murena. Entrambi cercavano di contrastare l'ascesa di Augusto e restaurare la repubblica, ma entrambi furono sconfitti. Caduta di Cornelio Gallo: Cornelio Gallo, un politico di spicco, cadde in disgrazia nel 26 a.C. dopo aver perso il sostegno di Augusto. Gallo, incapace di sopportare la sua rovina politica, si suicidò. Congiura di Marco Egnazio Rufo (19 a.C.): Rufo, sostenuto dalla popolarità guadagnata come comandante dei vigili del fuoco, cercò di sfidare Augusto presentandosi come candidato al consolato. Tuttavia, Augusto reagì prontamente e Rufo fu accusato di cospirazione contro il princeps. Gli scandali che coinvolsero direttamente la famiglia di Augusto, come l'esilio e le condanne di Giulia e Giulia Minore, figlie di Augusto, contribuirono ad aumentare le tensioni. Giulia fu esiliata nel 2 a.C. per immoralità e per frequentare persone politicamente pericolose. Nel 8 d.C., sua figlia Giulia Minore, accusata di cospirazione contro Augusto insieme a suo marito Lucio Emilio Paolo, fu condannata a morte per adulterio, mentre Paolo fu bandito. Questi scandali danneggiarono la reputazione di Augusto e scossero la stabilità del suo regime. L'organizzazione della cultura durante il principato di Augusto fu un elemento chiave della sua propaganda e del suo progetto di governo. La propaganda augustea si basava sulla glorificazione della pace portata dall'imperatore e sulla sua figura come salvatore e protettore dell'impero. Augusto si presentava come un leader pacifico e benefico, e questa immagine era diffusa attraverso varie forme di propaganda, inclusa la sua autobiografia, le "Res Gestae". Augusto si servì di letterati come Virgilio, Livio, Orazio e Ovidio per diffondere la sua propaganda attraverso le loro opere letterarie. Virgilio celebrò la pace e la restaurazione dell'ordine sotto il governo di Augusto nelle sue opere come le Georgiche e l'Eneide. Livio, Orazio e Ovidio riflettevano anche la propaganda dell'epoca nei loro scritti. Mecenate, un influente patrono delle arti e delle lettere, svolse un ruolo fondamentale nel coinvolgimento degli intellettuali nel programma di Augusto. Utilizzando persuasione e favori, Mecenate assicurò che gli intellettuali aderissero al progetto propagandistico di Augusto. Nonostante l'adesione di molti intellettuali al programma di Augusto, vi furono anche voci dissidenti. Augusto si concentrò anche sull'esaltazione della sua figura attraverso varie pratiche e celebrazioni. Il suo nome era inserito nelle preghiere dei sacerdoti, il suo compleanno veniva celebrato come un evento importante, e in oriente fu istituito un vero e proprio culto in suo onore. Le naumachie, spettacoli di battaglie navali, venivano allestiti per celebrare vittorie militari o eventi significativi. Augusto organizzò anche naumachie per enfatizzare il suo ruolo come leader militare e per celebrare il potere dell'Impero Romano. I GIULIO CLAUDI. Dopo la morte di Augusto nell'anno 14 d.C., il Senato romano ha rapidamente agito per deificare Augusto (conosciuto come Divus Augustus) e confermare i poteri di Tiberio, che era l'erede designato. Tiberio, però, si sentiva poco sicuro nel tentare di sostituire un leader così carismatico come Augusto e suggerì al Senato di dividere il potere tra più persone anziché concentrarlo tutto su di sé. Nonostante la riluttanza di Tiberio, il Senato insistette affinché accettasse i pieni poteri e le prerogative che erano state di Augusto. Questo significava che il Senato riconosceva la necessità di mantenere un sistema monarchico di governo, piuttosto che tornare a una repubblica. Pertanto, il periodo successivo al 14 d.C. fino al 68 d.C. fu caratterizzato dalla permanenza del potere all'interno della famiglia Giulio-Claudia. Questo avvenne attraverso la successione di Tiberio, che era legato alla famiglia Giulia tramite adozione da parte di Augusto, e successivamente con l'ascesa al potere di membri della famiglia Claudia, come Tiberio Claudio Nerone, ex marito di Livia, che era l'ultima moglie di Augusto. Punti di conflitto durante il principato di Tiberio fu la sua relazione con il Senato romano. Il Senato, tradizionalmente il principale organo decisionale di Roma, vedeva il suo ruolo minacciato dalla crescente centralizzazione del potere nelle mani dell'imperatore. Tiberio, da parte sua, cercava di mantenere un certo grado di controllo sull'amministrazione dell'Impero, il che portava inevitabilmente a tensioni con il Senato. Inoltre, la figura di Germanico, il figlio adottivo di Tiberio e un generale di grande talento e popolarità, aggiungeva un ulteriore elemento di tensione. Alcuni storici antichi suggeriscono che Tiberio fosse geloso del successo e della popolarità di Germanico, il che potrebbe aver contribuito alla percezione negativa della sua relazione con il figlio adottivo. Tuttavia, sebbene Tiberio sia stato oggetto di critiche e ostilità, ci sono anche elementi della sua politica che suggeriscono un impegno per la gestione efficace dell'Impero. Ad esempio, Tiberio era noto per essere un amministratore competente e attento, che si preoccupava del benessere dell'Impero e della sua stabilità. Durante il suo regno, l'Impero Romano godette di un periodo di relativa pace e prosperità, il che indica che Tiberio era in grado di affrontare le sfide dell'epoca con determinazione e capacità di leadership. Politica interna e problemi dinastici. L'inizio del Principato di Tiberio fu segnato dall’omicidio di Agrippa Postumo nel 14 d.C., seguito dalla morte di Germanico nel 19 d.C., ciò scatenò una lotta per la successione all'interno della famiglia imperiale. Con Germanico morto, la moglie Agrippina e i suoi figli diventano contendenti alla successione insieme a Druso minore, figlio di Tiberio. Le tensioni furono alimentate anche dall'ascesa di Lucio Elio Seiano, il prefetto del pretorio, che mirava ad ottenere più potere e influenza. La morte improvvisa di Druso minore nel 23 d.C., sospettata di essere stata causata da avvelenamento da parte di Livilla, la moglie di Druso, su istigazione di Seiano, intensificò le tensioni e i sospetti contro quest'ultimo. Nel frattempo, Tiberio si allontanò sempre più dalla vita politica di Roma, trasferendosi in Campania nel 26 d.C., consentendo a Seiano di esercitare un maggiore controllo sulla politica romana. La morte di Livia nel 29 d.C. scatenò la repressione contro Agrippina Maggiore, Nerone e Druso, mentre Seiano continuava a consolidare il suo potere. Nel 31 d.C., Seiano venne arrestato e giustiziato, ponendo fine al suo regno di terrore e portando a un cambio nel governo di Tiberio. Tuttavia, il governo di Tiberio rimase caratterizzato da crescenti tensioni con il Senato e instabilità politica. La crisi finanziaria e le sfide interne all'impero si acuirono ulteriormente, mentre Tiberio provo a mantenere il controllo della situazione. Infine, nel suo testamento del 35 d.C., Tiberio nominò come suoi successori congiunti Caligola e Tiberio Gemello, ma diretto dell'Impero Romano. La Commagene ritornò sotto il controllo di Antioco IV, che era stato allontanato da Caligola. Nel 49 d.C., Claudio ordinò l'espulsione degli ebrei da Roma per evitare tumulti e disordini. Claudio intervenne anche nella politica dell'Armenia, ripristinando il re Mitridate sul trono armeno dopo che era stato deposto per volere di Caligola. Tuttavia, quando il re dei Parti, Vologese, installò il fratello Tiridate sul trono armeno nel 51 d.C., l'Armenia tornò a essere un punto di tensione tra Roma e i Parti. Nerone. Il successore di Claudio fu Nerone. Egli fu l'ultimo imperatore appartenente alla dinastia Giulio Claudia. L'impero di Nerone durò dal 54 d.C., anno della morte di Claudio, al 68 d.C. Nerone divenne imperatore a soli 17 anni. L'impero di Nerone può essere diviso in due periodi: - un primo periodo compreso tra il 54 e il 58 d.C., durante il quale Nerone fu affiancato da saggi consiglieri, tra i quali il filosofo Seneca che era stato suo precettore. Durante questo periodo il governo di Nerone fu apprezzabile; - un secondo periodo nel quale l'imperatore volle liberarsi dei suoi collaboratori e assumere decisioni autonome. Questa seconda fase fu caratterizzata da una condotta deplorevole dell'imperatore che, preoccupato sempre di più di poter essere vittima di qualche complotto, fece uccidere tutti coloro di cui sospettava. Quando Nerone si liberò della tutela di Seneca, desideroso di governare direttamente: i suoi rapporti con il Senato peggiorarono sensibilmente; la sua vita privata evidenziò sempre più un atteggiamento tirannico: fece uccidere la madre Agrippina, ripudiò la moglie Ottavia e si sposò in seguito con Poppea, una donna molto ambiziosa e dissoluta. Nel complesso Nerone non si occupò molto dei problemi finanziari e militari dell'impero, trascorreva gran parte del suo tempo cimentandosi nella poesia, guidando il cocchio e suonando la cetra. Nel 60 d.C. fece istituire i giochi di Neronia imponendo ai senatori di parteciparvi. Nerone viene ricordato soprattutto per l'incendio di Roma. Nel 64 d.C. un grandissimo incendio devastò la città, probabilmente in maniera del tutto accidentale dato che moltissime case erano di legno e che venivano usate lampade ad olio e bracieri per illuminare e riscaldarsi. La colpa dell'incendio fu però attribuita a Nerone che venne accusato di aver distrutto la città per poterla ricostruire secondo i suoi ambiziosi progetti. Egli, infatti, dopo la distruzione della città fece costruire un grande palazzo imperiale, detto domus aurea, cioè casa d'oro, espropriando circa 80 ettari di terreno. L'imperatore, per liberarsi da questa accusa, incolpò la comunità cristiana e iniziò, così, la prima persecuzione contro i cristiani. I cristiani avevano l'abitudine di celebrare i propri riti in segreto. Per questa ragione essi erano guardati con sospetto: si diceva che praticassero la magia e, addirittura, che durante i loro riti sacrificassero i neonati. Fu questo il motivo per cui a Nerone risultò facile scaricare la colpa su di essi data l'ostilità che c'era nei loro confronti. Di conseguenza, i cristiani iniziarono ad essere perseguitati. Centinaia di loro furono portati davanti ai giudici. Essi si dichiaravano innocenti, rispettosi delle leggi dello Stato, ma non erano disposti a adorare l'imperatore perché ritenevano di dover adorare solamente il loro Dio. Per questo motivo venivano condannati a morte. Nel 65 d.C., alcuni senatori e cavalieri d'accordo con la guardia pretoriana si accordarono per uccidere Nerone e assegnare la carica di imperatore a Gaio Calpurnio Pisone. La congiura fu scoperta e molti dei suoi partecipanti furono uccisi, mentre altri vennero esiliati. Tra i congiurati sembrava esservi anche Seneca al quale fu dato l'ordine di suicidarsi, cosa che egli fece. Nerone, con il suo comportamento, si era fatto tantissimi nemici. L'ostilità nei suoi confronti si era ormai diffusa e nel 68 d.C. Nerone fu deposto dal Senato e dichiarato nemico della patria. Rifugiatosi in campagna, prima di essere catturato dai pretoriani si fece uccidere da un suo liberto. DINASTIA FLAVIA. Nerone non aveva figli, quindi alla sua morte venne a mancare un legittimo successore. La mancanza di un successore portò ad un periodo di anarchia militare durante il quale, in molte province dell'impero, le truppe militari proclamarono imperatori i loro comandanti. In poco tempo si trovarono così, contemporaneamente, ben quattro imperatori: Galba; Vitellio; Otone; Vespasiano. Costoro si combatterono a vicenda dando vita ad un periodo di lotte che durò circa un anno, dal 68 d.C. al 69 d.C. Questo periodo storico è conosciuto come l'anno dei quattro imperatori o anche come guerra civile romana del 68-69 d.C. Il tutto si concluse con Vespasiano, generale in Oriente, che sconfisse i propri rivali e prese il potere e con Vespasiano iniziò la dinastia Flavia Vespasiano. Si era fatto da sé, salendo per i suoi meriti e i gradi dell’esercito. Nel 69 d.C., con la lex de imperio Vespasiani, si fece assegnare in blocco tutti i poteri di cui i suoi predecessori avevano goduto. Dichiarò senza mezzi termini che gli sarebbero succeduti i figli Tito e Domiziano. In questo modo mise fine all’idea del principe come “primo fra pari”. Di fatto, spazzò via la finzione della repubblica, che ormai sopravviveva solo formalmente. Fu con Vespasiano che il principato incominciò a chiamarsi impero. Era consapevole che occorreva ristabilire il consenso intorno alla figura del principe e ripristinare la stabilità; perciò, attuò una politica mirante alla pace e alla sicurezza interna. Riassestò le finanze, stabilendo che ogni nuova spesa dovesse avere una adeguata copertura nel bilancio pubblico. Rinunciò ai fasti di corte. Non rinunciò a intraprendere importanti e utili opere pubbliche, tra cui il famoso anfiteatro Flavio, più noto come Colosseo. Per meglio avvicinare a Roma gli abitanti delle province, Vespasiano ampliò il diritto di cittadinanza, favorendo una massiccia immissione di elementi provinciali tra i funzionari imperiali e nell’aristocrazia senatoria. Sul piano militare pacificò la Britannia attraversata da continue ribellioni, e rinforzò il sistema difensivo romano nella regione tra l’alto Reno e l’alto Danubio. Nel 70 d.C. ordinò al figlio Tito la distruzione del Tempio di Gerusalemme. Ne restò in piedi solo la parte estrema del muro occidentale, il cosiddetto Muro del pianto. Il 23 giugno del 79 d.C. Vespasiano morì a causa di una malattia intestinale. Aveva 70 anni e aveva regnato per 10 anni. Tito. Alla morte di Vespasiano, divenne imperatore suo figlio Tito. Tito governò per due anni, Svetonio lo definì amore e delizia del genere umano (anche se all’inizio del suo governo non fu amato dal popolo). Al senato non era piaciuta l’idea di Vespasiano di associarlo al potere durante il suo principato. Infatti, una congiura ordita dai senatori contro Vespasiano era stata repressa nel sangue da Tito poco tempo prima della morte del padre. Mentre Svetonio ci parla di lui positivamente, abbiamo però anche fonti negative da considerare, queste vengono fuori dal Talmud (testo sacro ebraico). Il talmud babilonese lo evoca come Tito il malvagio, crudele oppressore e distruttore del tempio di Gerusalemme. Il principato di Tito fu pieno di sciagure: ricordiamo infatti l’eruzione del Vesuvio e la distruzione delle città di Pompei, Ercolano e Stabia. Ricordiamo la morte di Plinio il vecchio (si era avvicinato molto al sito dell’eruzione e trovò la morte), la peste e un grave incendio a Roma. Tito completò il Colosseo e le terme. La malattia non gli diede tempo di dimostrare quanto fosse valido, fu però divinizzato. Alla sua morte gli successe il fratello Domiziano. Domiziano. il successore di Tito fu il fratello Domiziano. L'impero di Domiziano durò dall'81 d.C., anno della morte di Tito, all' 96 d.C. Domiziano fu un tiranno che governò in modo assolutistico. Domiziano, etichettato come un cattivo imperatore, governò con un'autocrazia efficiente durante il suo principato. Rivestì il consolato, assunse la potestà censoria e introdusse una censura perpetua. Impose l'appellativo di "dominus et deus" per rafforzare il suo potere autocratico e per eliminare facilmente i suoi oppositori accusandoli di ateismo. Durante il suo impero Domiziano rafforzò le frontiere. In particolare: fondò delle zone difensive tra il Reno e il Danubio; riuscì a frenare i Daci che effettuavano continue scorrerie nei territori romani; bloccò i Sarmati che si trovavano nella zona tra il Danubio e il Don. Inoltre, adottò una politica restauratrice degli antichi costumi allontanando da Roma filosofi e retori; abbellì Roma con edifici ricchi di marmi e di opere d'arte. Fece costruire uno stadio, le terme e il palazzo imperiale sul Palatino di cui possono essere ammirati ancora dei resti. Domiziano aveva un forte legame con il culto di Iside, culto favorito già da suo padre Vespasiano durante la sua permanenza ad Alessandria d'Egitto. Dopo che l'Iseo Campense, il principale tempio di Iside a Roma, fu distrutto durante il regno di suo fratello Tito, Domiziano lo fece ricostruire nel 81 d.C. Dimostrando così il suo impegno nel mantenere e promuovere il culto di Iside nella capitale. Inoltre, finanziò la costruzione di un altro importante tempio dedicato a Iside a Benevento tra l'88 e l'89 d.C., contribuendo a farne uno dei principali centri del culto egizio in Italia. Domiziano adottò una politica autoritaria nei confronti del Senato dando vita ad una serie di processi e di oppressioni contro i senatori che, carichi di rabbia e di malcontento, progettarono diversi complotti nei suoi confronti. Domiziano si difese dalle congiure tramate contro di lui con estrema durezza arrivando a condannare a morte anche persone della sua famiglia. L'impero di Domiziano finì proprio in seguito ad uno di questi complotti, organizzato nel 96 d.C., che portò alla morte dell'imperatore. IL II SECOLO. Il II secolo d.C. è generalmente considerato un periodo di prosperità per l'Impero Romano, caratterizzato da stabilità politica, sicurezza interna e sviluppo economico e culturale. Una delle ragioni principali di questa prosperità è stata la politica di successione instaurata da Nerva e portata avanti dai suoi successori, in particolare dagli imperatori della dinastia degli Antonini. Il sistema di successione adottato da Nerva consisteva nell'adozione di un erede che non fosse necessariamente un parente biologico dell'imperatore regnante. Questo permetteva di selezionare come successore una persona che garantisse le migliori capacità di governo e di mantenere la stabilità dello stato, piuttosto che basare la successione esclusivamente su criteri di sangue. Questo approccio favoriva la scelta del miglior candidato disponibile al momento, spesso individuato tra i generali o gli amministratori più competenti. La presenza di questa nuova aristocrazia, che doveva in buona parte il proprio status all'imperatore, contribuiva alla stabilità del regime. Questi individui potevano ascendere socialmente grazie al favore imperiale, il che li rendeva solidali con il regime stesso. Per quanto riguarda le fonti storiche, il periodo è caratterizzato da una limitatezza di fonti scritte, con Cassio Dione e Plinio il Giovane come alcune delle principali fonti letterarie disponibili. Tuttavia, le fonti numismatiche, cioè i reperti monetari dell'epoca, forniscono importanti informazioni sulla politica economica, sulle immagini e sui simboli utilizzati dai governanti, nonché sulle relazioni commerciali e monetarie dell'impero. Nerva (96-98 d.C.) segnò una svolta importante nella storia dell'Impero Romano. Fu scelto come imperatore dopo l'assassinio di Domiziano per diversi motivi: 1) il suo non aver mai rivestito comandi militari e quindi essere privo di legami con l'esercito. La sua estraneità ai gruppi di potere precedenti lo rendeva un candidato relativamente neutrale, garantendo una certa stabilità politica dopo il regno di Domiziano. 2) la sua età avanzata e la mancanza di figli, segno della volontà di dar vita a un questa minaccia alla stabilità del suo governo. Antonino Pio morì nel marzo del 161 d.C., assistito dal suo figlio maggiore Marco Aurelio, che divenne poi suo successore. Lo statuto delle città nell'Impero Romano rifletteva la complessità e la diversità dell'amministrazione romana, garantendo un certo grado di autonomia locale mentre assicurava il controllo centrale di Roma. Città peregrine: Queste erano città preesistenti all'interno dell'Impero e potevano avere diversi status giuridici nei confronti di Roma. Le città stipendiare erano sottomesse a Roma e pagavano un tributo. Le città libere avevano diritti speciali concessi da Roma. Le città libere e immuni erano esentate dal pagamento del tributo. Le città federate erano autonome e avevano concluso trattati con Roma. Municipi: erano città a cui Roma aveva concesso di elevare il proprio status di città peregrina e ai cui abitanti aveva accordato il diritto latino o romano. Anche i municipi di cittadini romani conservavano una condizione giuridica autonoma e potevano scegliere autonomamente se aderire alla legislazione di Roma. Colonie: erano città di nuova formazione, fondate con l'apporto di coloni che godevano della cittadinanza romana. Solitamente erano stabilite su terre sottratte a città o popoli vinti. Le colonie adottavano il diritto romano e venivano organizzate seguendo il modello di Roma. A partire dall'epoca di Claudio, la fondazione di colonie poteva essere concessa anche come privilegio onorario, in base al grado di romanizzazione raggiunto dalla comunità. Marco Aurelio sorprese tutti prendendo una decisione senza precedenti: al momento di diventare imperatore, ottenne il riconoscimento del fratello adottivo Lucio Vero come co-imperatore. Questo rappresentò il primo caso di doppio principato nell'Impero Romano, con due imperatori che condividevano il potere in modo paritario. Le fonti antiche dipingono un ritratto contrastante dei due imperatori, esaltando le virtù di Marco Aurelio e descrivendo Lucio Vero come un individuo incline ai vizi. Durante il loro regno, l'Impero Romano condusse numerose campagne militari in Oriente, ma queste operazioni portarono anche a una terribile pestilenza che causò molte vittime e devastazioni in Italia, ossia la peste antonina, chiamata anche peste galenica in onore del medico Galeno che ne descrisse i sintomi. Gli storici ipotizzano che si trattasse probabilmente di vaiolo o morbillo, ma non vi è una certezza assoluta sulla sua natura esatta. Si ritiene che la pandemia abbia avuto origine nella Mesopotamia durante l'assedio di Seleucia condotto dalle legioni romane, guidate da Lucio Vero, contro i regni dei Parti. La malattia si diffuse rapidamente attraverso le truppe romane mentre rientravano in patria, portando la peste in tutto l'Impero. Si stima che la peste abbia causato un numero enorme di vittime, con stime che variano da 5 a 30 milioni di morti. Marco Aurelio e Lucio Vero intrapresero diverse azioni amministrative, tra cui il ripristino dei giudici circoscrizionali e dei distretti giudiziari in Italia. Estesero anche il programma di assistenza alimentare agli orfani, istituendo le puellae novae Faustinianae, e imposero l'obbligo ai cittadini di registrare i figli appena nati entro 30 giorni. Nel 177 d.C., sotto il regno di Marco Aurelio e Lucio Vero, si verificò un episodio di persecuzione violenta contro i cristiani. Durante i giochi gladiatori, alcuni cristiani furono condannati a morte, diventando i martiri di Lione. Inoltre, durante questo periodo si registra la prima ambasciata documentata in Cina, probabilmente inviata da Antonino Pio o da Marco Aurelio. Tuttavia, alcuni studiosi ritengono che si trattasse piuttosto di un gruppo di mercanti che giunsero presso l'imperatore cinese Huan. Dopo la morte di Lucio Vero nel 169 d.C., Marco Aurelio nominò suo figlio Commodo come co-imperatore nel 177 d.C. Poco prima di intraprendere una controffensiva contro i Marcomanni e i Quadi, Marco Aurelio morì nel 180 d.C. Commodo. figlio di Marco Aurelio, è considerato l'antitesi del padre e simbolo della degenerazione del potere imperiale. Durante il suo regno, il principato subì una serie di avvenimenti drammatici e corruzioni interne. Al momento della morte di Marco Aurelio, Commodo assunse il potere e si affidò agli stessi collaboratori del padre, in particolare a Pompeiano. Tuttavia, la sua ascesa al potere fu segnata da una serie di intrighi di corte, con tentativi di congiure e lotte per il potere. La prima congiura contro di lui avvenne nel 182 d.C., organizzata dalla moglie di Lucio Vero, che non tollerava la presenza della sposa di Commodo. Questo evento segnò l'inizio di una serie di condanne ed epurazioni, con Commodo che cercava di consolidare il suo potere e di eliminare potenziali rivali. Il prefetto del pretorio Perenne divenne una figura dominante durante il regno di Commodo, governando effettivamente lo stato a nome dell'imperatore dal 182 al 185 d.C. Tuttavia, fu successivamente accusato di corruzione e cospirazione contro l'imperatore, e sostituito dal cubiculario Cleandro. Cleandro, a sua volta, fu coinvolto in attività di corruzione e vendita di titoli, finendo per essere accusato da Commodo stesso come capro espiatorio per le difficoltà finanziarie dell'impero. La crisi economica che colpì Roma nel 190 d.C. portò a un ulteriore aumento della corruzione e dell'instabilità politica. Commodo intraprese anche una deriva autocratica, cercando di identificarsi con il dio Ercole e proponendo di rinominare Roma in suo onore. Gli ultimi anni del suo governo furono gestiti da consiglieri come Eclecto, Marcia e Leto, che cercarono di mantenere il potere sull'imperatore. La morte di Commodo avvenne in circostanze oscure la notte del 31 dicembre del 192 d.C., probabilmente come risultato di una congiura ordita dai suoi stessi consiglieri, temendo per la propria vita di fronte alle sue azioni oppressive. LA CRISI DEL III SECOLO. Il periodo che va dalla morte di Commodo (192 d.C.) all'ascesa di Diocleziano (284 d.C.) è caratterizzato da cambiamenti significativi che trasformarono radicalmente l'Impero Romano. Questo periodo, noto anche come la crisi del III secolo, vide molteplici sfide sia interne che esterne. L'Impero Romano subì sempre più frequentemente incursioni da parte di popoli esterni, come i Goti, i Franchi e i Sasanidi. Questi attacchi avvenivano spesso in diverse regioni contemporaneamente, rendendo difficile la difesa del vasto territorio. La mancanza di un sistema di successione chiaro e rigorosamente definito per la carica imperiale portava spesso a lotte di potere e guerre civili. Questo indeboliva ulteriormente l'impero, rendendolo vulnerabile agli attacchi esterni. La svalutazione della moneta, causata dalla necessità di finanziare le guerre e la difesa dell'impero, portò a una grave crisi economica. L'inflazione aumentò, impoverendo il ceto medio e creando instabilità sociale. Durante il III secolo, le strutture primitive della Chiesa cristiana si consolidarono. La Chiesa iniziò a giocare un ruolo sempre più importante nella società, ponendo le basi per la futura diffusione del cristianesimo in tutto l'impero. Il potere dell'esercito divenne sempre più centrale. Gli imperatori venivano spesso proclamati dalle loro truppe piuttosto che dal Senato o attraverso un processo dinastico. Questo portò a una trasformazione del potere imperiale verso forme più assolutistiche, poiché gli imperatori dovevano mantenere il favore dell'esercito per conservare il loro potere. Con il passare del tempo e l'ascesa di imperatori proclamati dall'esercito, il Senato perse ulteriormente la sua influenza. Gli imperatori del III secolo, spesso militari di carriera, non avevano lo stesso rispetto per le tradizioni senatoriali e amministravano il potere in modo più diretto e autocratico. La crisi del 193. Alla morte di Commodo, avvenuta senza un piano preciso per il futuro, la scelta ricadde su un anziano senatore, Pertinace, che aveva alle spalle una prestigiosa carriera. Si riproduce, in sostanza, la stessa situazione che l'impero aveva già conosciuto al momento della proclamazione di Nerva. Per quanto Pertinace tentasse di avviare una politica tesa a rinvigorire l'economia dell'impero, la soluzione non ebbe successo. Dopo appena tre mesi fu assassinato dalla guardia pretoriana (marzo 193). Il praefectus urbis Sulpiciano cercò, facendo leva sul sostegno dei pretoriani, di imporsi ma ebbe la meglio Didio Giuliano, console con lo stesso Pertinace. Anche il suo principato fu brevissimo a causa del suo assassinio, avvenuto a giugno, per cui la scelta del successore passò agli eserciti. Settimio Severo fu un imperatore romano che regnò dal 193 al 211 d.C., periodo durante il quale l'Impero Romano attraversò significativi cambiamenti politici e militari. Alla morte di Commodo, l'Impero Romano entrò in una fase di instabilità. Pertinace fu nominato imperatore ma fu rapidamente assassinato dai pretoriani. Didio Giuliano comprò il trono, ma la sua nomina non fu accettata dagli eserciti provinciali. Tre governatori provinciali si mossero per prendere il controllo: Settimio Severo, governatore della Pannonia; Clodio Albino, governatore della Britannia; e Pescennio Nigro, governatore della Siria. Severo, di origini africane (Leptis Magna), formò un'alleanza temporanea con Clodio Albino e marciò su Roma nel 193 d.C. per vendicare Pertinace, fece condannare a morte i suoi assassini e sciolse la guardia pretoriana, sostituendola con i suoi fedeli legionari. Severo combatté due guerre civili per consolidare il suo potere: Contro Pescennio Nigro: La guerra culminò nella battaglia di Isso nel 194 d.C., dove Severo sconfisse Nigro. Contro Clodio Albino: Dopo la vittoria su Nigro, Severo ruppe l'alleanza con Albino e nominò suo figlio Bassiano (futuro Caracalla) come successore. Nel 197 d.C., Severo sconfisse Albino in battaglia, consolidando definitivamente il suo controllo sull'impero. Severo inoltre condusse due campagne contro il regno partico: Prima Campagna (194 d.C.): Conclusasi senza risultati significativi. Seconda Campagna (197-198 d.C.): che portò alla caduta di Ctesifonte, la capitale partica, rafforzando il prestigio militare di Severo. Severo intraprese poi una campagna in Britannia, le cui motivazioni non sono del tutto chiare e non portò a risultati significativi. Per quanto riguarda la politica interna Severo aumentò la paga dei soldati e concesse loro numerosi privilegi, rafforzando la sua base di potere militare ma aggravando la situazione economica dell'impero. Il prefetto del pretorio Fulvio Plauziano divenne il braccio destro di Severo. Tuttavia, Plauziano fu assassinato su ordine di Caracalla, figlio di Severo, con l'accusa di cospirazione. Severo desiderava che i suoi due figli, Caracalla e Geta, governassero insieme. Alla sua morte nel 211 d.C., Caracalla e Geta divennero co-imperatori, ma Caracalla fece assassinare Geta pochi mesi dopo, consolidando il suo potere. Caracalla, che regnò come imperatore romano dal 211 al 218 d.C., è noto per il suo governo caratterizzato da abusi di potere, dissesto finanziario e importanti riforme amministrative. Alla morte del padre Settimio Severo nel 211 d.C., Caracalla e suo fratello Geta divennero co-imperatori. Tuttavia, Caracalla desiderava il potere esclusivo e nel dicembre dello stesso anno fece assassinare Geta, eliminando anche i suoi sostenitori e chiunque fosse legato a precedenti imperatori. Una delle riforme più importanti dell’imperatore fu La Costitutio Antoniniana che estendeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell'impero, esclusi i dediticii (classe di provinciali liberi che non erano né schiavi né cittadini in possesso della piena cittadinanza romana). Questo atto aumentò notevolmente il numero di contribuenti, aiutando a finanziare le spese militari e le concessioni economiche fatte all'esercito, una politica iniziata dal padre Settimio Severo. Caracalla condusse operazioni militari sul Le riforme di Diocleziano. Diocleziano ridusse le dimensioni delle province per rendere più efficiente il governo e aumentare il controllo centrale. L'Italia perse i suoi privilegi, venendo inclusa nell'organizzazione provinciale e sottoposta al pagamento delle imposte dirette. Circa un centinaio di province furono affidate a governatori di rango equestre con competenze civili, affiancati da comandanti militari nelle province di frontiera. Le province furono raggruppate in dodici diocesi, ognuna retta da un vicario rappresentante del prefetto del pretorio, e raggruppate in quattro grandi aree amministrative, semplificando il governo dell'impero. Diocleziano aumentò il numero delle legioni per rafforzare le difese dell'impero e affrontare le minacce esterne. Organizzò la cavalleria in unità indipendenti, alcune delle quali mobili, per una maggiore flessibilità nelle operazioni militari. Diocleziano introdusse monete d'oro, d'argento e di rame per rafforzare l'economia dell'impero, anche se le monete di oro e d'argento scomparvero rapidamente dalla circolazione. Nel 301, emise l'Edictum de pretiis, fissando il prezzo massimo consentito per vari beni e servizi nell'Impero. La persecuzione dei cristiani durante il regno di Diocleziano rappresentò un periodo oscuro nella storia dell'Impero Romano e della Chiesa primitiva. Diocleziano, pur promuovendo il culto imperiale, cercava di rafforzare l'unità religiosa dell'impero, il che portò alla persecuzione dei cristiani. Tra il 303 e il 304, furono emessi quattro editti contro i cristiani: il primo ordinò la distruzione delle chiese e dei libri sacri, il secondo e il terzo prescrissero l'arresto dei sacerdoti cristiani e l'obbligo di sacrificare agli dèi romani, pena la morte, mentre il quarto estese l'obbligo di sacrificio a tutti i cittadini. La persecuzione fu condotta con estrema durezza, soprattutto da parte di Galerio e Diocleziano, con molti cristiani imprigionati, torturati e uccisi per la loro fede. La persecuzione terminò gradualmente dopo il 304, soprattutto nelle regioni governate da Costanzo Cloro, e nel 311 Galerio promulgò un editto di tolleranza, concedendo al cristianesimo lo status di religione lecita in tutto l'impero. La persecuzione portò a molti martiri cristiani che divennero esempi di devozione e resilienza per la Chiesa primitiva. Nonostante tutto la Chiesa continuò a crescere, e la testimonianza dei martiri contribuì alla diffusione del cristianesimo. LA TARDA ANTICHITA’ E LA CRISTIANIZZAZIONE. Inizialmente questo periodo era denotato dall'espressione “Basso impero”, che tuttavia suggeriva un'epoca di semplice decadenza, quando in realtà vi sono anche degli aspetti positivi. L’espressione “tarda antichità” risale a poco più di cento anni fa e venne coniato a Vienna da uno storico dell'arte. Come data conclusiva si fa riferimento all'invasione longobarda per l'occidente (568) e alla fine del regno di Giustiniano per l'oriente (565). In questo periodo si evidenzia una netta divisione tra gli "honestiores", ovvero i privilegiati, e gli "humiliores", la massa dei più deboli ed umili. Questa divisione rifletteva le crescenti disuguaglianze sociali dell'epoca. Il trasferimento della dimora dell'imperatore segnò un distacco dall'aristocrazia senatoria e da altri organismi di potere tradizionali. Il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'impero. La produzione economica si spostò verso un modello più decentrato, con varie unità minori gestite tramite affittuari. La figura del colono, un coltivatore di stato libero legato alla terra, divenne comune. Le incursioni barbariche comportarono la chiusura dei circuiti commerciali mediterranei e causarono una grave crisi economica. Le continue richieste di tasse e prodotti aggravarono ulteriormente la situazione, portando a un abbassamento delle condizioni di vita e ad un declino demografico. Nonostante l'affermazione del cristianesimo, la legislazione era caratterizzata da un autoritarismo repressivo. La tortura divenne più diffusa, con l'estensione del suo utilizzo anche per reati legati alla magia, astrologia e falsificazione di documenti. La conquista del potere da parte di Costantino rappresenta un momento cruciale nella storia dell'Impero Romano e della cristianità. Nel 305, Diocleziano e Massimiano abdicarono e gli Augusti dell'Impero Romano d'Occidente e d'Oriente divennero rispettivamente Costanzo Cloro e Galerio, mentre i Cesari furono Valerio Severo e Massimino. Nel 306, alla morte di Costanzo Cloro, l'esercito acclamò imperatore il figlio Costantino. Anche Massenzio, figlio di Massimiano, rivendicò il potere imperiale, considerandosi usurpatore dagli altri imperatori. Nel 312, Costantino sconfisse Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio, ottenendo una vittoria che avrebbe avuto profonde implicazioni per il futuro dell'Impero e della cristianità. Costantino attribuì la sua vittoria a Cristo e, secondo la tradizione cristiana, si convertì al cristianesimo. Questo evento segnò l'inizio di una nuova era per la cristianità, in quanto Costantino favorì attivamente la religione cristiana e contribuì alla sua diffusione nell'Impero. La sua conversione ebbe anche profonde implicazioni politiche, poiché garantì all'Impero Romano l'inclusione delle strutture della Chiesa nelle strutture dello Stato, con l'imperatore che interveniva nelle questioni dottrinali della Chiesa. “L’editto di Milano” Nel 313, Licinio e Costantino si incontrano a Milano, dove si accordano su questioni religiose: il documento che ne scaturirà è noto impropriamente come editto di Milano. Questo accordo non era tecnicamente un editto, ma piuttosto una serie di disposizioni concordate tra i due imperatori riguardo alla libertà religiosa per i cristiani nell'Impero Romano. Contrariamente a quanto potrebbe suggerire il nome, questo accordo non fu promulgato a Milano, ma le sue disposizioni furono estese a tutto l'impero. Fu Licinio l'autore di questo accordo, anche se le disposizioni erano state in gran parte integrate dalle precedenti politiche di tolleranza religiosa introdotte da Costantino e da Galerio. Le misure contenute in questo accordo includevano la libertà di culto per i cristiani e la restituzione delle proprietà confiscate. È importante notare che i cristiani non ottennero la tolleranza per la prima volta tramite questo accordo, poiché già nel 311 Galerio aveva concesso loro la libertà religiosa. Tuttavia, questo accordo a Milano confermò e ampliò ulteriormente questa libertà, rendendola più ampia e applicabile anche nell'oriente dell'Impero. La battaglia di Adrianopoli e la fondazione di Costantinopoli. Nel 313, Licinio sconfisse Massimino Daia, garantendosi il controllo completo della parte orientale dell'Impero Romano. Tuttavia, i rapporti tra Licinio e Costantino, che erano stati alleati, si deteriorarono rapidamente, portando alla guerra tra di loro nel 324. Questa guerra culminò nella decisiva Battaglia di Adrianopoli, dove Costantino sconfisse Licinio, diventando così l'unico imperatore. Costantino, dopo la sua vittoria su Licinio, decise di fondare una nuova capitale che fosse distante da Roma e simbolicamente separata dal paganesimo. Questa nuova città divenne Costantinopoli (moderna Istanbul). I lavori per la fondazione della città iniziarono almeno cinque anni prima della sua proclamazione come nuova capitale e furono completati circa dieci anni dopo, nel 330. Costantino voleva una capitale immune dall'influenza del paganesimo, che stava gradualmente perdendo terreno a favore del cristianesimo. Costantinopoli forniva una nuova e neutrale base per il governo. Roma aveva perso il suo status di capitale imperiale a causa di vari fattori, tra cui l'abbandono dell'imperatore e l'usurpazione di potere da parte di imperatori rivali. Costantinopoli fu vista come una sostituta adeguata e più centrale per governare l'impero. La posizione geografica di Costantinopoli, situata all'ingresso del Mar Nero, la rendeva una posizione strategica per il commercio e il controllo militare delle rotte marittime. Costantinopoli fu progettata per essere una città di pari importanza a Roma. Fu dotata di strutture monumentali, compreso un Senato, anche se quest'ultimo non raggiunse mai lo stesso prestigio del Senato romano. La costruzione della città fu finanziata tramite il tesoro di Licinio, i beni confiscati ai templi pagani e l'imposizione di nuove tasse. Le riforme di Costantino. Costantino riorganizzò l'amministrazione provinciale, raggruppando le diocesi in quattro grandi prefetture, ciascuna retta da un prefetto del pretorio. Questo sistema rendeva più efficiente il governo e la gestione delle province. All'interno della diocesi d'Italia, Costantino istituì due vicariati: uno per la città di Roma e uno per l'Italia settentrionale con sede a Milano. Questo rifletteva l'importanza strategica e politica dell'Italia nell'Impero. Eliminò le coorti pretoriane e le sostituì con le cortes urbane, mentre istituì i comites per presiedere ai concili o sostituire i vicari. Costantino modificò i requisiti di reclutamento nell'esercito, abbassando l'altezza minima richiesta per i soldati per consentire un più ampio reclutamento. Rafforzò l'ereditarietà della professione militare, consentendo ai figli dei soldati di seguire le orme dei loro genitori. Iniziò a reclutare sempre più barbari nell'esercito, riconoscendo la loro forza e abilità nel combattimento. Costantino distrusse l'edificio costruito da Severo per la sua guardia del corpo e al suo posto costruì la Basilica Lateranense, il primo dei grandi edifici cristiani a Roma. Questo edificio divenne la sede del vescovo di Roma (Papa) a partire dal VI secolo. La scelta di costruire la Basilica Lateranense in una zona aristocratica di Roma rifletteva l'intenzione di Costantino di integrare la religione cristiana nella società romana, mantenendo anche un legame con le tradizioni pagane. La conversione di Costantino rappresenta un momento cruciale nella storia dell'Impero Romano e della cristianità. Il fallimento delle persecuzioni contro i cristiani, riconosciuto da Galerio nel 311, portò gradualmente Costantino a riflettere sulle questioni religiose. Politicamente, Costantino si stava allontanando dalla tetrarchia, mentre sul piano religioso era in cerca di una divinità personale che esercitasse una tutela esclusiva su di lui. Costantino si preoccupava di mantenere l'unità della Chiesa, come dimostrato dalle convocazioni dei sinodi ad Arles nel 314 e del concilio di Nicea nel 325 La sua conversione fu influenzata da una visione in cui Apollo, identificato con il Sole, gli porgeva un'insegna con il numero 30, simboleggiando trent'anni di regno. Costantino ricevette il battesimo nel punto di morte nel 337, con la convinzione che fosse l'unico modo per garantirgli la vita eterna. Originariamente, il suo progetto prevedeva un battesimo nel fiume Giordano, ma la sua morte imminente lo portò ad anticipare la celebrazione a Nicomedia da parte del vescovo Eusebio. Morì il giorno di Pentecoste, che nella tradizione cristiana celebra la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli, il che fu visto come un segno provvidenziale. Attorno a Costantino e alla sua famiglia circolano numerose leggende, inclusa quella del ritrovamento della croce di Cristo. Costantino e sua madre Elena sono tuttora commemorati il 21 maggio nella chiesa greca. visto come l'incarnazione della giustizia, il più giusto tra gli uomini, ma allo stesso tempo il suo potere doveva essere considerato irresponsabile, nel senso che non doveva essere soggetto a controllo o rendiconto da parte di altre istituzioni. Tuttavia, ciò non significava che il sovrano fosse al di sopra della legge; piuttosto, egli doveva agire come intermediario tra la legge e il popolo, presentandosi come un riflesso della divinità e un ponte tra gli uomini e Dio. In aggiunta a questi aspetti teorici, c'era anche una componente estetica e simbolica nel modo in cui il sovrano si presentava al popolo. Ad esempio, Costantino diede grande importanza alla sua immagine pubblica, cercando di proiettare un'immagine di potere, bellezza e maestosità. Le descrizioni di Costantino come un imperatore giovane, alto e bellissimo, con un portamento maestoso, non solo miravano a impressionare il popolo, ma anche a conferire al sovrano un'aura di divinità e potere. LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE. La relazione tra l'Impero Romano e i barbari, come i Goti, era complessa e in continua evoluzione durante il IV secolo. I Goti, divisi tra i Tervingi (o Visigoti) e i Greutungi (o Ostrogoti), operavano in regioni come il Ponto e la Tracia, cercando alleanze temporanee e guadagnando una certa indipendenza sotto l'egemonia romana. Il trattato di pace stipulato da Costantino nel 332 con i Goti Tervingi li pose come uno stato cliente dell'Impero Romano, fornendo soldati in cambio di protezione. Tuttavia, la pressione esercitata dagli Unni spinse i Goti a cercare rifugio all'interno delle frontiere romane. La loro richiesta di insediarsi nella Tracia nel 376 fu accettata, rappresentando una svolta nella politica romana, poiché solitamente l'ingresso di popolazioni straniere era legato a vittorie militari. La disfatta di Adrianopoli nel 382 segnò un altro punto di svolta, consentendo ai Goti di stabilirsi definitivamente all'interno dell'Impero Romano. Nonostante ciò, i Goti mantennero la loro struttura tribale e la loro presenza portò a tensioni sociali e culturali, specialmente riguardo all'assimilazione e all'integrazione. Dal punto di vista militare, già dalla fine del II secolo, l'Impero Romano si affidava sempre più a contingenti germanici, riconoscendo la loro importanza nell'esercito e nella gestione delle terre. Tuttavia, l'integrazione completa dei barbari, inclusi i Goti, era limitata e gli imperatori romani tendevano a mantenere le distanze, cercando di ostacolare l'assimilazione e punendo coloro che adottavano modi di vita barbari. Anche la Chiesa, sebbene sconsigliasse le unioni miste a causa delle differenze religiose, non le considerava illegittime. In generale, la presenza dei Goti e di altri barbari nell'Impero Romano durante il IV secolo contribuì a ridefinire le dinamiche sociali, politiche e culturali dell'epoca. Alarico e Stilicone. La complessa situazione politica dell'Impero Romano nel IV secolo si intrecciò con l'ascesa di figure come Alarico e Stilicone, le cui azioni e ambizioni influenzarono significativamente gli eventi dell'epoca. Alarico, un leader gotico, emerse come una figura di potere intorno al 395, periodo segnato da rivolte e tensioni politiche. La sua richiesta di trattato con l'Impero Romano portò a un accordo che lo riconosceva come generale romano e consentiva ai Goti di stabilirsi in Dacia e Macedonia. Tuttavia, le lotte di potere e gli intrighi politici a Costantinopoli portarono a una serie di eventi traumatici, tra cui il massacro di molti Goti residenti e il successivo trasferimento di Alarico e del suo popolo verso l'Italia. Stilicone, al comando dell'Occidente, cercò di negoziare con Alarico per mantenere la pace e proteggere l'Impero. Nonostante alcuni successi nel fermare l'avanzata gotica, Stilicone dovette affrontare molteplici minacce, comprese le invasioni barbariche in Gallia e la crescente instabilità in Italia. Il suo tentativo di riorganizzare l'impero sotto la sua guida lo portò ad avvicinarsi ai Goti, ma questo gli attirò anche le accuse di complicità con i barbari. La morte di Stilicone, accusato di intesa con i nemici, segnò un punto di svolta nella storia dell'Impero Romano e portò a un ulteriore deterioramento della situazione in Italia. Alarico, vedendo l'opportunità di sfruttare la debolezza dell'Impero, pose Roma sotto assedio nel 408 e nel 410 conquistò la città, provocando un'ondata di shock nell'Impero Romano. Il tentativo di Alarico di costringere l'imperatore Onorio alla trattativa portò alla nomina di un imperatore fantoccio, Attalo, ma presto le loro relazioni si deteriorarono ulteriormente, portando a un secondo assedio di Roma e alla deposizione di Attalo. Alarico si mosse quindi verso Ravenna, cercando un accordo con Onorio, ma un attacco subdolo lo spinse a rivolgere la sua attenzione nuovamente verso Roma. La tragedia del sacco di Roma nel 410 fu uno degli eventi più significativi nell'epopea dell'Impero Romano. Dopo tre assedi, i Goti sotto il comando di Alarico riuscirono a penetrare e saccheggiare la città, causando un'ondata di terrore e devastazione. Dopo il sacco, Alarico si diresse verso il sud dell'Italia, portando con sé Galla Placidia, sorella dell'imperatore Onorio, come ostaggio. Tuttavia, la morte improvvisa di Alarico in Calabria portò a un periodo di incertezza per i Goti. Il cognato di Galla Placidia, Ataulfo, divenne il successore di Alarico e sposò Galla Placidia, cercando di stabilizzare la situazione. Ma la stabilità fu di breve durata, poiché Ataulfo fu assassinato nel 415. Nel frattempo, Flavio Costanzo sposò Galla Placidia nel 417 e nel 421 si fece proclamare imperatore, ma la sua reggenza durò solo fino all'autunno dello stesso anno. Il potere tornò quindi nelle mani di Onorio fino alla sua morte nel 423. Seguirono anni di turbolenza, con l'ascesa di vari usurpatori. Finalmente, nel 425, il figlio di Flavio Costanzo e Galla Placidia, Valentiniano III, fu insediato come imperatore d'Occidente. Tuttavia, essendo ancora un bambino di sei anni, il controllo effettivo dell'impero fu esercitato da Galla Placidia e dal generale Ezio, che divenne una figura di grande potere e influenza nell'Impero Romano d'Occidente. L'ascesa dei Vandali. Nel 439, i Vandali invasero la provincia dell'Africa settentrionale, arrivando fino a Cartagine e privando Ezio di risorse cruciali per il suo piano di riscossa per ristabilire l'Occidente. Nonostante i tentativi di contrattacco nel 440, organizzati in collaborazione con Costantinopoli, non ebbero successo a causa dell'emergere di altre minacce, come quella degli Unni. Di fronte a questa situazione, nel 442 fu stipulato un trattato con Genserico, in cui veniva riconosciuta la sua posizione di re vassallo dell'impero. Questo trattato rappresentò essenzialmente l'abbandono dell'Africa da parte dell'Impero Romano d'Occidente, poiché Genserico e i Vandali ottennero un'autonomia significativa e il controllo effettivo della regione. Questo evento segnò un duro colpo per gli sforzi di Ezio nel tentativo di ristabilire l'Occidente romano. Attila, il re degli Unni, rappresentava un grave pericolo per l'Impero Romano, soprattutto nell'Occidente, dove Ezio era impegnato a contrastarlo. Gli Unni, un popolo nomade di origine eurasiatica, comparvero nelle fonti romane verso la fine del IV secolo d.C. Attila, poco prima del 440, chiese un aumento del tributo annuo da parte di Costantinopoli, che fu accettato, ma le ostilità scoppiarono comunque presto. Attila attraversò il Danubio e conquistò diverse città e fortezze di confine romane. Nonostante l'impero d'Oriente accettò una pace umiliante nel 442-443, Attila continuò le sue incursioni, devastando i Balcani e le coste dell'Egeo nel 447. Nel 451 attraversò il Reno e invase la Gallia, ma fu sconfitto da Ezio in una grande battaglia. L'anno successivo, assediò Aquileia e altre città della pianura padana, ma decise di ritirarsi dopo un incontro con il Papa Leone, probabilmente a causa della mancanza di risorse e delle minacce da parte di Ezio sulle sue retrovie. La morte di Attila nel 453 segnò la fine del suo impero unno. I popoli che erano stati assorbiti dagli Unni riconquistarono rapidamente la loro autonomia, e i successori di Attila non furono in grado di mantenere il controllo su di essi. Anche se Attila non riuscì a conquistare stabilmente né l'Impero d'Oriente, né l'Impero d'Occidente, le sue azioni indirette contribuirono ad aggravare la crisi dell'impero occidentale, poiché l'esercito e i comandanti romani erano impegnati a fronteggiarlo mentre altre popolazioni barbariche estendevano il loro dominio. La fine dell'Impero d'Occidente nel 476 fu il risultato di una serie di eventi che segnarono il declino irreversibile dell'autorità romana in quella regione. Dopo la morte di Ezio nel 454 e di Valentiniano III l'anno successivo, Roma fu saccheggiata per la seconda volta nel 455 dai Vandali guidati da Genserico. Successivamente, una serie di imperatori effimeri non riuscirono a stabilizzare la difficile situazione. Nel 474, l'imperatore d'Oriente Zenone nominò Giulio Nepote imperatore d'Occidente, ma il generale Oreste si ribellò contro di lui. Nel 476, Odoacre, un capo barbaro, depose Romolo, il figlio di Oreste, senza rivendicare il titolo di imperatore. Invece, consegnò le insegne del potere a Zenone, segnando così la fine dell'Impero d'Occidente senza causare grandi sconvolgimenti o eventi rumorosi.
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