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Storia Romana: dalle origini alla Repubblica, Dispense di Storia Romana

Le origini dell'Italia preromana e la fondazione di Roma, con un focus sulla nascita della Repubblica. Vengono descritti i poteri dei consoli e dei pretori, le loro limitazioni e le competenze degli edili curuli e plebei. Viene anche menzionata la figura del rex sacrorum. Il testo potrebbe essere utile come appunti o sintesi del corso per uno studente universitario.

Tipologia: Dispense

2020/2021

In vendita dal 17/09/2023

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Scarica Storia Romana: dalle origini alla Repubblica e più Dispense in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Storia Romana LE ORIGINI L’Italia preromana Nei due millenni precedenti la storia romana (età del bronzo e del ferro) notevole sviluppo umano e tecnico nella penisola italica, cercando di colmare il gap con vicino Oriente ed Egitto. Alcuni territori sul mar Adriatico commerciano con la Grecia, ci sono colonie greche (Sicilia, Calabria, Sud) e fenicie (Sicilia). Si parlano lingue indoeuropee (latino, italico sotto varie forme, celtico, messapico) e non indoeuropee (etrusco, ligure, sardo). Il nome Italia inizialmente era riferito alla sola Calabria (deriva dal termine osco “viteliu”, cioè bovini, perché ne era ricca) per poi allargarsi al resto del meridione e dopo la seconda guerra punica al territorio fino all’Arno. Gli etruschi Hanno origine tra l’Arno e il Tevere e tra VII e VI secolo conoscono la loro massima espansione controllando gran parte dell’Italia centro-occidentale, in competizione nel mediterraneo con greci e cartaginesi. Non vi fu mai uno Stato unitario, ma città indipendenti governate prima da un sovrano e poi da un magistrato, le 12 città principali erano legate tra loro da scopi essenzialmente religiosi. Nel 474 subiscono a Cuma una sconfitta ad opera dei greci di Siracusa, nel 296 i Romani prendono la città di Veio e nel corso del III secolo i Celti conquistano i loro territori nella val Padana. Roma Secondo la tradizione, dopo la fondazione di Alba Longa da parte del figlio di Enea, nel 753 è fondata Roma da Romolo, figlio del dio Marte e di una discendente del re di Alba Longa. I sette re di Roma hanno nella tradizione ognuno una sua peculiarità: Romolo (creazione delle prime istituzioni politiche e del senato di cento membri), Numa Pompilio (primi istituti religiosi), Tullo Ostilio (campagne militari tra cui distruzione di Alba Longa), Anco Marcio (fondazione di Ostia), Tarquinio Prisco (primo re etrusco, opere pubbliche), Servio Tullio (costruzione delle mura), Tarquinio il Superbo (vessazione del popolo). La fondazione nell’anno 753 è data dallo storico Fabio Pittore nel III secolo a.C. e poi fissata nel I secolo a.C. da Varrone. Alla base dell’organizzazione sociale dei Latini c’era un’articolazione per famiglie, alla cui testa stava il pater. Le famiglie aventi un antenato comune costituivano una gens, un gruppo organizzato politicamente e religiosamente. Hanno fondamento arcaico anche le curie e le tribù, ma è incerta la loro funzione iniziale. Solamente nell’epoca del predominio etrusco si sa che ogni tribù era divisa in dieci curie e ogni tribù sceglieva 100 senatori e forniva 100 cavalieri e 1000 fanti. La differenziazione tra patrizi e plebei probabilmente non esisteva in età arcaica (i nomi dei primi consoli e del re Anco Marcio sono di origine plebea) ma si è sviluppata in seguito all’afflusso di gente a Roma. Il potere del re, in assenza di una costituzione, era limitato di fatto da quello detenuto dai capi delle principali gentes. Egli era anche supremo capo religioso affiancato da un collegio dei sacerdoti, per le altre decisioni era affiancato da un gruppo di anziani che diventerà il senato. I depositari e gli interpreti delle norme giuridiche erano i pontefici, importanti vista l’assenza di norme scritte. Nel corso del VI secolo a.C. è forte l’influenza etrusca su Roma culminata con l’ascesa al potere di Tarquinio Prisco (secondo la tradizione figlio di un ricco greco di Corinto, Demarato, rifugiatosi a Tarquinia. Servio Tullio nella tradizione è figlio di una schiava e cresciuto alla corte di Tarquinio Prisco del quale sposa una figlia, assume i poteri quando il padre adottivo viene assassinato a testimonianza di come è un periodo di confusione tra monarchia elettiva e monarchia ereditaria. Nei cent’anni di regno dei tre tarquinii Roma si espande e consolida la sua egemonia nel Lazio. LA REPUBBLICA DALLE ORIGINI AI GRACCHI La nascita della Repubblica Secondo la tradizione Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo, violenta l’aristocratica Lucrezia; quest’ultima, prima di suicidarsi, racconta l’evento al marito Tarquinio Collatino ed ai suoi amici (Bruto), i quali fanno scoppiare una rivolta nel 510 approfittando dell’assenza di Tarquinio il Superbo impegnato in operazioni militari lontano da Roma. Nascerebbe così la repubblica che resiste anche al tentativo del re etrusco di Chiusi Porsenna di restaurare la monarchia etrusca. Questa storia di violenza carnale ricorda le vicende della caduta di diverse tirannidi greche, per cui è dubbia la sua credibilità; dubbio è anche che il 509 sia l’anno di immediato passaggio ad un regime repubblicano nelle forme già definite, è possibile che nei primi anni Roma sia stata in balìa di re e condottieri come Porsenna o Mastarna per poi arrivare gradualmente alla sua compiuta forma repubblicana. I poteri del re vengono passati in blocco a due consoli (inizialmente chiamati pretori), tranne alcune competenze religiose monarchiche inizialmente affidate a un rex sacrorum. Nel dettaglio:  Consoli: sono 2 e sono eletti dai comizi centuriati. Comandano l’esercito, mantengono l’ordine all’interno della città, convocano e presiedono il Senato e le assemblee popolari, propongono al popolo nuove leggi e controllano tutti gli altri magistrati esclusi i censori. Le loro limitazioni risiedono nella durata della loro carica (un anno), nella collegialità delle decisioni (uno dei due poteva opporsi all’altro) e nella possibilità per ogni cittadino di appellarsi al giudizio dell’assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dal console.  Pretori: nascono nel 366, numero variabile, aumentano quasi fino a diventare un organo collegiale, amministratori della giustizia, sostituiscono i consoli in caso di loro assenza (specie quando questi sono impegnati in missioni militari), hanno comando dell’esercito all’occorrenza  Edili curuli ed Edili plebei: sono 2 e 2, curano la manutenzione degli edifici pubblici e delle strade, vigilano sui mercati e sul rifornimento dei viveri, organizzano gli spettacoli  Questori: sono 4, 2 restano in città con il compito di amministrare l’erario mentre gli altri 2 coadiuvano i consoli come aiutanti di campo. Inizialmente erano solo 2 e scelti a discrezione dei consoli per assistenza nelle questioni finanziarie, poi la carica diventa elettiva (dai comizi tributi).  Censori: nascono nel 443, sono 2 e durano in carica 18 mesi. Sono eletti dai comizi centuriati. Hanno il compito di censire il popolo per età, prole e averi, dopo lo dividono in tribù e per ricchezza. Inoltre si occupano di “censura” cioè infliggevano le punizioni a coloro che non custodivano bene i propri terreni o le proprie proprietà.  Dittatore: magistrato straordinario nominato (da un console, da un pretore o da un interrex) in momenti di particolare crisi (specie militari) che sostituiva tutti gli altri magistrati. Era dotato di poteri straordinari per cui non poteva restare in carica per più di 6 mesi. A lui è affiancato un “maestro della cavalleria” a testimonianza della diarchia/dualità di poteri tipicamente romana  Pontefici: i depositari di tutte le norme e conoscenze della civiltà romana. Questo collegio nominava i tre flamini maggiori. A capo del collegio dei pontefici c’è il pontefice massimo, limite di estensione del terreno di proprietà demaniale occupato, abolizione del tribunato militare con potestà consolare per l’ingresso pieno della plebe alla carica consolare. Nel 366 vengono create due nuove cariche riservate esclusivamente ai patrizi, una sorta di compenso alla perdita del monopolio sul consolato: i pretori (con il compito di amministrare la giustizia) e gli edili curuli (organizzano i giochi connessi con il culto di Giove. Con le leggi Licinie Sestie finisce la fase più acuta della contrapposizione tra patrizi e plebei e nei decenni successivi i plebei ebbero progressivamente accesso alle altre cariche (edili curuli, dittatore, pretore, pontefice, augure, senato). Nel 326 con la legge Petelia Papiria è abolita la schiavitù per debiti e si fa sempre più massiccio l’impiego di prigionieri di guerra come schiavitù. Il punto finale di arrivo della lunga lotta è la legge Ortensia del 287: il plebeo Quinto Ortensio, nominato dittatore, fa passare un provvedimento per cui i plebisciti votati dall’assemblea della plebe avevano valore per tutta la cittadinanza di Roma (dunque equiparati alle leggi votate dai comizi centuriati e dai comizi tributi). Nasce dunque una nobilitas patrizio-plebea che si rivela progressivamente non meno gelosa delle proprie prerogative del vecchio patriziato, talmente esclusiva che i pochi in grado di raggiungere i vertici della carriera politica non appartenenti a questa nobilitas saranno definiti homines novi anche se appartenevano a famiglie ricche e di un certo prestigio sociale. La conquista dell’Italia (politica estera) Nel primo anno della Repubblica è firmato un trattato di non belligeranza con Cartagine. Tra la fine del VI e l’inizio del V secolo buona parte delle città latine approfittano delle difficoltà interne di Roma per affrancarsi dalla sua egemonia, stringendosi tra di loro in una Lega latina. È proprio questa Lega a sconfiggere il figlio di Porsenna nella battaglia di Aricia e, qualche anno dopo, ad attaccare Roma nel 496: sul lago Regillo i romani guidati dal dittatore Aulo Postumio Albo sconfiggono la Lega e gli esuli romani sostenitori di Tarquinio. A seguito della vittoria nel 493 è siglato il trattato Cassiano dal console Spurio Cassio, un accordo bilaterale con il quale le due parti si impegnano a mantenere la pace ed a prestarsi aiuto nel caso una delle due fosse stata attaccata (alleanza difensiva). Da questo momento in poi uno degli strumenti più efficaci del consolidamento delle vittorie militari è la fondazione di colonie latine (come quella di Anzio nel 467), città in cui confluivano abitanti romani, latini e locali e che entravano a far parte della Lega latina godendo dei diritti corrispondenti. Infine, nel 486, Roma completa il suo sistema di alleanze stringendo un accordo con gli Ernici. L’alleanza con gli Ernici è importante per affrontare diverse popolazioni che dagli Appennini premevano verso occidente, un movimento dovuto all’incremento demografico che spingeva a migrare verso le più fertili terre della piana costiera laziale. Con tre di queste popolazioni gli scontri sono maggiori, anche se più che di campagne di guerra su vasta scala si tratta di razzie di bande di guerrieri da entrambe le parti, e furono concause della recessione economica di Roma nel V secolo:  Volsci: nella parte meridionale del Lazio, tra il 490-488 guidati dal rinnegato romano Gneo Marcio Coriolano giungono addirittura a minacciare la città di Roma  Equi: nell’area dei colli Albani e dei monti Prenestini. Su di loro i romani ottengono due importanti vittorie, entrambe al passo dell’Algido, nel 458 e nel 431  Sabini: attivi ancora più nord. Questa popolazione in parte fu integrata pacificamente (si pensi alla gens sabina dei Claudii) e in parte portò a dei conflitti Se per bloccare l’avanzata di questi popoli montanari Roma contò sull’aiuto di Latini ed Ernici, dovete invece affrontare da sola la potente città etrusca di Veio, situata 15 km a nord di Roma e sua rivale nel controllo delle vie di comunicazione lungo il basso corso del Tevere e delle saline che si trovavano alla foce del fiume. Ci furono tre guerre: nella prima (483-474) vince Veio che occupa Fidene, avamposto sulla riva sinistra e quindi latina del Tevere, massacrando 300 soldati romani; nella seconda (437-426) i romani ottengono la vendetta conquistando e distruggendo Fidene; nella terza (405-396) dopo un assedio di 10 anni alla città di Veio questa viene conquistata e distrutta. Il lungo assedio di Veio aveva tenuto i soldati romani lontani dai loro campi, rendendo necessaria per la prima volta l’introduzione di una paga per assicurare il sostentamento dei soldati e dei loro familiari. Nel 390 c’è l’invasione gallica di Roma, perché da tempo vi era una presenza celtica nella pianura Padana dovuta ad una lenta infiltrazione di popolazioni dall’Europa centro-settentrionale. I Senoni, il più meridionale dei popoli celti dell’Italia, invadono l’Italia centrale e l’esercito romano si dissolve letteralmente al primo contatto (non fu un massacro ma un’immediata ritirata). Dunque il disastro gallico non fu traumatico come suggerito da alcune fonti, anche perché rapidamente Roma si riprende e dà nuovo impulso alla sua politica estera: annessione di Tuscolo che diventa il primo municipium (381, una comunità preesistente ora integrata nello Stato romano), costruzione delle mura serviane (378), consolidamento dei confini settentrionali con la fondazione di Sutri e Nepi, sconfitta degli Equi sul fronte sud-orientale, sconfitta dei Volsci ed Ernici ed altre città latine ora non alleate (358). Nel 354 Roma stringe un’alleanza con i Sanniti stabilendo il confine tra le zone di egemonia delle due potenze al fiume Liri. Il Sannio era politicamente privo di strutture urbane e organizzato in cantoni all’interno dei quali vi erano dei villaggi; più cantoni costituivano una tribù e le 4 tribù esistenti si riunivano in un’assemblea federale e potevano nominare un comandante supremo in caso di guerra. Il Sannio era una regione molto più vasta di quella romana ma con un territorio povero e incapace di sostenere una crescita demografica, tanto che nel corso del V secolo molte migrazioni portarono i Sanniti ad occupare le regioni costiere della Campania che si organizzano in città-stato, diventano Campani e di riuniscono in una Lega campana capeggiata da Capua. Nel 343 i Sanniti attaccano la città campana di Teano e Capua, incapace di fronteggiare l’offensiva sannita, chiede aiuto a Roma; quest’ultima interviene contro i Sanniti contravvenendo al trattato concluso pochi anni prima perché l’occasione di impadronirsi della regione più ricca e fertile d’Italia (o comunque di non lasciarla ai Sanniti) era imperdibile. Così la prima guerra sannitica (343-341) si risolve rapidamente con un parziale successo dei romani: rinnovo dell’alleanza con i Sanniti come da trattato del 354, riconoscimento a Roma della Campania e ai Sanniti di Teano. La grande guerra latina (341-338) nasce per l’alleanza romano-sannitica e vede contrapposti i romani ai vecchi alleati Latini, Campani e Volsci. Questa guerra molto dura è vinta dai Romani e gli esiti si rivelano decisivi per l’organizzazione dell’Italia romana: la Lega latina è disciolta, alcune città sono incorporate nello Stato romano in qualità di municipi (concedendo cittadinanza romana che rafforzava il potenziale demografico ma conservando le istituzioni peculiari delle città), altre conservano la loro indipendenza ma senza poter intrattenere relazioni tra di loro, vengono creati gli alleati (socii) che consentono a Roma di ampliare la propria egemonia e il proprio potenziale militare senza costringerla ad assumersi i compiti di governo locale. Il dato fondamentale è che lo status di Latino perde la connotazione etnica e diventa la condizione giuridica in rapporto con i cittadini romani: i Latini hanno l’obbligo di fornire a Roma truppe in caso di necessità ed hanno diritto di voto nelle assemblee popolari nel caso si trovino a Roma quando sono convocati i comizi. Al di fuori dell’antico Lazio, nelle città di Volsci e Campani, Roma in questa fase concede una forma parziale di cittadinanza (civitas sine suffragio) obbligando al servizio di leva ed al pagamento del tributo ma senza concedere diritto di voto nelle assemblee popolari di Roma (condizione non percepita come dannosa dalle popolazioni sottomesse perché potevano comunque regolare la loro vita politica a livello locale). In conclusione un processo lento e graduale, che avrà compimento solo nel I secolo a.C., porta sul piano culturale una graduale diffusione della lingua latina a scapito degli idiomi locali e sul piano istituzionale l’adozione di spontanea iniziativa di norme romane da parte di comunità locali slegate da Roma (fundus fieri). Alla vigilia della seconda guerra sannitica Roma controllava il territorio dalla sponda sinistra del Tevere al golfo di Napoli, dal Tirreno agli Appennini: un territorio meno ampio di quello dei Sanniti ma più ricco e più densamente popolato. La causa della seconda guerra sannitica (326-304) è la divisione interna a Napoli, ultima città greca della Campania rimasta indipendente, nella quale le masse popolari erano favorevoli ai Sanniti e le più agiate filoromane. Nel 326 Publilio Filone, primo console della storia a veder prorogata la sua magistratura per due anni (327-326), ha la meglio sulla guarnigione che i Sanniti avevano installato a Napoli. Ma il tentativo romano di penetrare nel Sannio si risolve in un fallimento con la resa alle Forche Caudine nel 321, a cui seguono anni di interruzioni delle operazioni militari durante le quali Roma rinforza le proprie posizioni in Campania (istituendo due nuove tribù) e stringe trattati con le comunità dell’Apulia e della Lucania in ottica anti-sannita. Le ostilità si riaccendono nel 316 e, dopo una prima fase favorevole ai Sanniti, Roma ottiene importanti successi riprendendo Fregelle, fondando una serie di colonie nell’Apulia settentrionale e costruendo il primo tratto della via Appia che la collegava a Capua. I successi militari erano dovuti ad una riforma dell’esercito, lo schieramento a falange utile nelle battaglie in pianura ma non adatto ai territori appenninici lascia il posto all’ordinamento manipolare (legione da 30 reparti detti manipoli, comprendenti 120 uomini ciascuno, schierata su tre linee da 10 manipoli) che assicurava maggiore flessibilità. La guerra si conclude nel 304 con la vittoria dei Romani ad Aquilonia ed il rinnovo dell’alleanza del 354, ma ora Roma aveva gran parte degli Appennini centrali ed era lo Stato più forte della penisola. La terza guerra sannitica (298-290) si apre quando i Sanniti attaccano alcune comunità della Lucania (con cui confinavano a sud) ed i Romani intervengono rapidamente in soccorso e sottomettendo tutta la Lucania. Nel frattempo, però, il comandante supremo dei Sanniti Gellio Egnazio riesce a costruire una coalizione anti-romana con Etruschi, Galli e Umbri. Lo scontro decisivo tra questi e Roma avviene a Sentino (tra Umbria e Marche) nel 295, con i consoli romani Quinto Fabio Rulliano e Publio Decio Mure che ottengono la vittoria approfittando dell’assenza sul campo di battaglia dei reparti etruschi e umbri. Un’ulteriore e schiacciante vittoria sui Sanniti viene ottenuta ad Aquilonia nel 293 e li costringe alla richiesta di pace nel 290. Nel frattempo anche a nord e sull’Adriatico Roma ottiene importanti vittorie contro Etruschi, Umbri, Sabini e Pretuzzi, sottomettendo gran parte dell’attuale Toscana e Abruzzo e arrivando a fondare le colonie di Senigallia e Rimini. A 30 anni dalla fine della terza guerra sannitica Roma aveva portato i confini settentrionali del suo territorio lungo la linea che andava dall’Arno a Rimini. Taranto era la più ricca e potente città greca dell’Italia ed era stata leader della Lega italiota tra le vecchie colonie della Magna Grecia. Nel 285 e nel 282 la città greca di Turi, che sorgeva sulle rive calabresi del golfo di Taranto, chiese aiuto ai Romani per la minaccia di invasione dei Lucani; così fecero anche Reggio, Crotone e Locri, dove Roma invia un presidio. A causa della provocazione di alcune navi romane nel golfo, a Taranto la fazione democratica ha il sopravvento su quella aristocratica e decide di attaccare le navi romane e marciare su Turi espellendo la guarnigione romana e gli aristocratici che la sostenevano. Inizia così il conflitto con Taranto, che ricorre, come già in passato, al soccorso dalla madrepatria greca da cui arriva Pirro: re dei Molossi e comandante in capo della Lega epirotica, Pirro dà alla sua spedizione il carattere di una crociata in difesa dei Greci d’occidente minacciati dai barbari romani (discendenti troiani, mentre lui si considerava discendente di Achille) e cartaginesi (era infatti interessato anche alla conquista della Sicilia divisa tra greci e cartaginesi, da cui era legato anche a livello matrimoniale perché sposato alla figlia del precedente re di Siracusa). Nel 280 Pirro sbarca in Italia e Roma è costretta per la prima volta ad arruolare anche i capite censi, anche a causa delle severe perdite demografiche subite durante la terza guerra sannitica, mentre alla fazione greca si uniscono Lucani, Bruzi, le città greche dell’Italia meridionale e i Sanniti. Pirro ottiene un’importante vittoria a Eraclea nel 280 e, dopo il naufragio delle trattative di pace, ad Ascolti Satriano nel 279, ma in entrambi i casi riportando gravi perdite e umano e finanziario degli alleati italici, ma a causa dell’inferiorità navale dopo la prima guerra punica non resta che l’invasione via terra da nord. Nella primavera del 218 Annibale parte da Nuova Cartagine con un esercito rinforzato dalle milizie iberiche, valica i Pirenei evitando lo scontro con l’esercito romano al comando di Publio Cornelio Scipione inviato per intercettarlo, attraversa le Alpi subendo gravi perdite per la stagione invernale e riscuote immediato sostegno dalle tribù galliche di Insubri e Boi; ottiene successi sugli eserciti del console Publio Cornelio Scipione sul Ticino e sul Trebbia. Nel 217 anche le truppe del nuovo console Caio Flaminio (che fu tra le vittime) vengono spazzate sul lago Trasimeno. Si ricorre allora alla magistratura straordinaria del dittatore, che era quasi caduta nell’oblio, Quinto Fabio Massimo, nominato il “temporeggiatore” perché consapevole che fosse impossibile sconfiggere Annibale in battaglia campale si limita a controllare le sue mosse impedendo che gli arrivino aiuti dall’Africa o dalla Spagna in attesa che restasse a corto di mezzi. Intanto però Roma assiste impotente alla devastazione dell’Italia mentre i Cartaginesi attraversano Piceno, Sannio e Puglia e, scaduti i sei mesi di dittatura, i consoli Caio Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo tentano una controffensiva: nonostante l’inferiorità numerica nella battaglia di Canne del 216 con una manovra di accerchiamento Annibale sconfigge i Romani. La battaglia di Canne permette ad Annibale di mettere in atto la sua strategia di disgregazione del sistema di egemonia romana sull’Italia. Su come ci sia (in parte) riuscito ci sono differenti interpretazioni, in particolare: una strategia “ellenistica”, essendo lui un attento osservatore del mondo greco del tempo, avrebbe promesso libertà e autonomia alle città magnogreche sensibili a questo tema, oppure un’interpretazione realistica (più di studi contemporanei) secondo cui le comunità conducono le proprie relazioni internazionali autonomamente e guidate da considerazioni concrete e razionali (garantire la propria sicurezza e ampliare il proprio territorio) e non in nome di principi astratti. Fatto sta che Sanniti, Lucani, Bruzi, Metaponto, Crotone, Locri, Capua, Siracusa (era morto Ierone e gli era succeduto il nipote Ieronimo) passarono alla fazione cartaginese (in modo parziale, anche all’interno di queste città/popoli vi erano divergenze. Inoltre Annibale stringe un’alleanza con il re macedone Filippo V. Quando la guerra sembrava persa, nonostante l’impossibilità per l’esercito cartaginese di assediare Roma, i romani riescono a resistere e risollevarsi anche grazie all’aiuto delle popolazioni dell’Italia centrale e di quelle meridionali rimaste fedeli. Con la rinnovata strategia attendista di Quinto Fabio Massimo e la mobilitazione di massa di schiavi con la promessa della libertà nel 212 è conquistata Siracusa e nel 211 riconquistata Capua, mentre un esercito cartaginese sbarcato ad Agrigento è decimato da un’epidemia. Intanto si intreccia la prima guerra macedonica con le truppe di Filippo V fermate in Grecia da una lega alleata dei Romani ed una pace siglata nel 205 che lasciava la situazione immutata. La svolta decisiva della guerra è in Spagna: Publio Cornelio Scipione è sconfitto e ucciso nel 211, così l’esercito romano in ritirata nella Spagna settentrionale decide di nominare comandante delle truppe il figlio omonimo Publio Cornelio Scipione l’Africano (era giovane ed era stato solo edile, un procedimento senza precedenti nella prassi istituzionale romana, ma scelto in virtù delle sue qualità personali) che nel 209 conquista Nuova Cartagine e sconfigge Asdrubale Barca (fratello di Annibale). Asdrubale arriva comunque in Italia ma viene sconfitto e ucciso (era l’ultima possibilità di Annibale di ricevere aiuti) mentre nel 206 Scipione l’Africano ha la meglio sui cartaginesi in Spagna nella battaglia decisiva di Ilipa. Tornato in Italia è eletto console nel 205 e si prepara a invadere l’Africa mentre Annibale è isolato a Crotone, così nel 204 grazie all’alleanza con il re dei Numidi Massinissa ha la meglio nella battaglia dei Campi Magni (vicino Cartagine). Annibale, dopo 15 anni di vittorie in Italia torna in Africa, ma nel 202 nella decisiva battaglia di Zama vincono i Romani e nel 201 è siglata la pace: alla flotta cartaginese dovevano restare solo 10 navi, si doveva pagare un’indennità e riconsegnare i prigionieri di guerra, Cartagine consegnava a Roma tutti i possedimenti non africani (la Spagna viene divisa in due province: Spagna Citeriore a nord e Spagna Ulteriore a sud), si doveva riconoscere il neonato regno di Numidia e infine ai Cartaginesi non era concesso dichiarare guerra senza il permesso di Roma. Seconda guerra macedonica (201-197): vedi appunti “Le guerre macedoniche” Guerra siriaca (192-188): vedi appunti “Le guerre macedoniche” Sono anni di tensione politica quelli successivi alla guerra siriaca, con accuse dei tribuni della plebe e di Marco Porcio Catone agli Scipioni (sia Lucio Cornelio Scipione che Publio Cornelio Scipione l’Africano) accusati di essersi impadroniti di bottini di guerra o di condurre trattative di carattere personale. Più in generale si voleva evitare l’individualismo di certe figure politiche, in questo senso la legge Villia1 del 180 impedisce un secondo consolato entro un decennio dalla prima elezione e introduce un’età minima per ricoprire le diverse magistratura. Sono anche anni di repressione del culto dei baccanali specialmente nell’Italia meridionale. Terza guerra macedonica (171-168): vedi appunti “Le guerre macedoniche” Quarta guerra macedonica (149-148) e Guerra arcaica: vedi appunti “Le guerre macedoniche” Terza guerra punica (149-146): Dopo la rovinosa sconfitta nella seconda guerra punica Cartagine economicamente si riprende in fretta. Dal punto di vista politico si comporta in modo irreprensibile, tanto che Annibale eletto ad uno dei due massimi magistrati nel 196 con l’appoggio dei ceti popolari viene denunciato a Roma dall’aristocrazia cartaginese e costretto a rifugiarsi in Siria da Antioco III. L’elemento di turbamento in Africa era il re numida Massinissa che aveva a poco a poco inglobato la regione degli Empori, uno dei territori più ricchi dello Stato cartaginese, senza che quest’ultimo potesse dichiarare guerra per gli accordi del 201. Nel 151 a Cartagine prevale il partito della guerra guidato dal leader Asdrubale, ma l’esercito cartaginese è distrutto da quello numida. Intanto a Roma la fazione guidata da Catone spingeva per la distruzione della città (mossa inutile visto che non poteva più costituire una minaccia, ma è realistico pensare che il distruttore di Cartagine avesse conquistato gloria e un bottino immenso e territorio fertilissimo): così nel 149 l’esercito romano sbarca a Utica, città che si consegna spontaneamente ai Romani. I Cartaginesi inizialmente acconsentono alle richieste romane per evitare una guerra persa in partenza, ma quando comprendono che l’obiettivo è la distruzione totale e l’esodo nelle terre interne dell’Africa affidano ad Asdrubale un’ultima resistenza. L’assedio non è facile e la situazione si sblocca solo nel 146 sotto il comando di Publio Cornelio Scipione Emiliano (figlio del vincitore di Pidna, Lucio Emilio Paolo, ma adottato dal figlio di Publio Cornelio Scipione l’Africano): decine di migliaia di vittime, città saccheggiata e rasa al suolo, trasformazione in provincia d’Africa con capitale Utica. Cartagine diventa, dopo Sicilia e Sardegna, la terza riserva cerealicola romana, ma nella ricostruzione di Sallustio la fine della città segna la fine della “paura per il nemico comune” che aveva garantito la concordia interna tra patrizi e plebei, così le ambizioni delle fazioni e dei singoli non avrebbero più avuto freni e si sarebbe ripiombati nelle contese interne e nella guerra civile. Nonostante le vittorie su Macedonia e Siria, la sottomissione dell’Oriente ellenistico e la distruzione nel 146 di Cartagine e Corinto, Roma nello stesso lasso di tempo non viene capo della situazione in Spagna. Le due province (Citeriore a nord e Ulteriore a sud) comprendevano solo le regioni costiere, mentre la penetrazione verso l’interno risulta lenta e difficile e sarà portata a termine solo in età augustea. Nel vasto territorio accidentato spagnolo vi erano forti resistenze a nord di tribù di stirpe celtibera e a sud dei Lusitani, con numerose sconfitte e vittorie mai decisive in una guerra “a bassa intensità” che sfiancava anche i soldati perché senza gloria, senza bottino e senza fine. Da ricordare le imprese di Marco Porcio Catone e Tiberio Sempronio Gracco (Padre), 1 si uniforma il cursus honorum per irrigidire il percorso politico con cui si stabilisce che si può ottenere la pretura solo a 38 anni e consolato soltanto a 43; sarà una legge molto violata nel periodo delle guerre civili. oltre ad un’importante vittoria nel 134 di Scipione Emiliano che distrugge Numanzia (12 anni dopo la sua distruzione di Cartagine). LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI Dai Gracchi alla guerra sociale Secondo la tradizione storiografica aristocratica l’età dei Gracchi è l’origine della degenerazione dello Stato romano: è una schematizzazione eccessiva e partigiana ma sicuramente è questo il periodo in cui maturano problemi preesistenti dovuti all’espansione romana. La seconda guerra punica è uno spartiacque nella storia romana, sia per lo sforzo bellico sia perché la presenza cartaginese sul suolo italico è la prima causa dell’età dei Gracchi. La prima conseguenza della presenza cartaginese è la proletarizzazione dei contadini, da cui deriva una maggiore formazione di grandi proprietà terriere e l’utilizzazione su vasta scala di manodopera schiavile2. Quest’ultima, insieme alla spinta verso colture più speculative e destinate al commercio (olio, vino, bestiame) ed alla grande quantità di grano importato spinge sempre più i piccoli proprietari terrieri a vendere i loro terreni ed a recarsi in città in cerca di fortuna (Roma raggiunge un milione di abitanti alla fine dell’età repubblicana). Scoppiano inoltre molte rivolte servili, specie in Sicilia. L’ager publicus era concesso in uso a privati a titolo di occupatio, cioè dietro pagamento di un canone irrisorio e che Roma non si preoccupava sempre di esigere, così si formano i grandi latifondi. L’imperialismo romano aveva portato ricchezze non solo fondiarie (da cui derivano i grandi proprietari terrieri che utilizzano la citata manodopera schiavile), ma anche bottini con cui si finanziavano opere pubbliche (affidate ai privati tramite appalti), una ricca classe mercantile e nuove professioni bancarie. Ne approfittarono il ceto senatorio (tramite prestanome, visto che la legge Claudia del 218 impediva loro il grande commercio marittimo) ed il ceto equestre (molto eterogeneo, coloro che appartenevano alle diciotto centurie equestri dell’ordinamento centuriato: figli e fratelli di senatori, pubblicani, uomini d’affari, mercanti. Tutti interessati a difendere i propri dalle cariche pubbliche). All’interno della nobilitas c’è la divisione tra optimates e populares3. Nel 140 una riforma dell’ager publicus è proposta da Caio Lelio ma attira l’opposizione concorde dei senatori. Tiberio Sempronio Gracco era membro della nobilitas, figlio del vincitore in Spagna Tiberio Sempronio Gracco padre e nipote (da parte di madre) di Scipione Africano. Tiberio Gracco è eletto tribuno della plebe nel 134 per essere in carica nel 133 (le cariche andavano dal 10 dicembre di un anno al 10 dicembre dell’anno dopo). Fa subito approvare dai comizi della plebe, senza preventiva autorizzazione del senato, una legge agraria per ricostituire la piccola e media proprietà contadina (lex sempronia). Essendo tribuno della plebe non è ancora chiaro come abbia proposta una legge e non un plebiscito e perché si sia rivolto ad uno dei comizi e non al concilio della plebe. La legge prevedeva che nessuno potesse possedere più di 500 iugeri di ager publicus (più 250 iugeri per ogni figlio per un massimo di 1000 totali), i fondi recuperati andavano redistribuiti tra i contadini poveri in lotti di 30 iugeri ciascuno inalienabili. La riforma viene acclamata dalla popolazione, Tiberio è convinto della bontà del progetto perché la massa schiavile nelle campagne poteva portare a rivolte servili e ricreando un piccolo ceto di proprietari terrieri c’erano nuovi uomini arruolabili nell’esercito. Contemporaneamente nel suo anno di tribunato circolano voci sulla volontà di Tiberio di aspirare al regno ed egli stesso compie delle sbavature istituzionali (tra cui quella di chiedere il rinnovamento al ruolo di tribuno della plebe). I suoi 2 Evidenziato anche da due autori di età imperiale, Plutarco e Appiano. 3 Secondo Cicerone la divisione era in optimates (persone moralmente oneste di estrazione romano-italica che condividono l’universo di valori riconoscenti l’autorità senatoria) e populares (singoli uomini politici inclini a compiacere il popolo). Mentre Romani e Italici si affrontano nella guerra sociale in Oriente si crea una situazione allarmante: i Parti avevano sottratto sistematicamente territori al regno seleucide occupando stabilmente la Mesopotamia, ma soprattutto il re del Ponto Mitridate VI dal 112 aveva inaugurato una politica espansionistica nella penisola anatolica (i Romani avevano interesse alla coesistenza di molti piccoli Stati dinastici nella penisola). Nel 103 Mario, dopo la morte di Saturnino, si era recato presso di lui in una missione diplomatica di osservazione. Mitridate approfitta della guerra sociale per espandersi e i Romani inviano nel 90 una legazione con l’incarico di rimettere sui troni i legittimi sovrani di Bitinia e Cappadocia, così Mitridate dichiara guerra. Tramite un’azione propagandistica si presenta come liberatore del mondo greco, sollecitando al bene ed alla libertà del mondo ellenistico contro l’usurpatore romano, riconquista l’Asia minore massacrando 80mila Romani e Italici, ottiene il sostegno di Atene, del Peloponneso e della Grecia centrale. Nell’88 un esercito pontico arriva in Grecia e così Roma affida il comando della guerra a Lucio Cornelio Silla, allora impegnato nell’ultimo assedio della guerra sociale a Nola. Intanto il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo (che era stato amico di Druso) propone delle riforme riguardanti la concessione della cittadinanza e il conferimento della guida dell’esercito nelle guerre mitridatiche a Mario e non a Silla. Riguardo la cittadinanza, mentre l’immissione degli Italici nei comizi centuriati non era problematica (perché la gerarchia sociale riproduceva grosso modo quella delle classi censitarie romane), l’immissione nelle tribù avrebbe portato gli Italici ad essere maggioritari in tutte le tribù (in ogni tribù si votava a maggioranza e la posizione maggioritaria valeva come un singolo voto nei comizi tributi), così la fazione conservatrice romana proponeva di immetterli in un numero limitato di tribù così da mantenere la maggioranza complessiva nei comizi tributi. Ma Sulpicio propone l’inserimento in tutte e 35 le tribù. Di fronte a queste proposte (inserimento in tutte le tribù e assegnazione della guerra a Mario) l’altro console rimasto a Roma Quinto Pompeo Rufo tenta di sospendere le votazioni, ma con un colpo di mano Publio Sulpicio Rufo convoca l’assemblea e fa approvare le leggi. Silla apprende la notizia e nell’88 marcia su Roma (per la prima volta un esercito romano entra in città, questo è frutto della riforma di Mario del 107 per cui l’esercito era costituito da professionisti della guerra). I soldati che marciano su Roma seguono Silla perché hanno paura che se il comando della spedizione fosse affidato a Mario questo avrebbe ingaggiato altri e diversi soldati, mentre andare in Oriente significava possibilità di buoni guadagni. Mario fugge da Roma e si rifugia in Africa, Sulpicio viene ucciso e le sue leggi abrogate, dopodiché Silla prevede che ogni proposta di legge avrebbe dovuto essere approvata dal Senato prima del voto popolare e parte nuovamente per le guerre mitridatiche. Nelle elezioni per il consolato dell’87 a.C. vengono eletti due consoli del partito di Mario, tra cui Lucio Cornelio Cinna. Quest’ultimo e il neo rientrato dall’Africa Mario marciano su Roma e massacrano i sostenitori di Silla. Nell’86 sono consoli Mario e Cinna ma il primo proprio quell’anno muore di morte naturale, intanto è inviato in Oriente un secondo contingente militare a combattere quasi in contrapposizione a quello di Silla, ormai dichiarato nemico pubblico. Intanto c’è una continua reiterazione del consolato per diversi anni di Cinna (un po’ come accaduto ai continui consolati di Mario nella guerra contro i Teutoni), simbolo di uno strappo con le usanze repubblicane originarie, che iscrive i neocittadini italici a tutte e 35 le tribù. Sul fronte della guerra mitridatica Silla aveva ottenuto nell’87 diverse vittorie in Grecia (Atene viene saccheggiata) mentre Mitridate perdeva consensi e l’altro contingente inviato da Cinna riconquistava la Macedonia e la Tracia fino al Bosforo. Conscio degli eventi a Roma Silla ha fretta di concludere una pace che stipula a Dardano nell’85 con condizioni miti nei confronti di Mitridate, mentre l’anno successivo Cinna cerca di radunare un esercito per affrontarlo ma viene ucciso da una rivolta dei suoi stessi soldati. Silla raduna una flotta e sbarca a Brindisi nell’83, qui è raggiunto da contingenti privati che si uniscono a lui (tra questi c’è anche un giovanissimo Gneo Pompeo) e impiega due anni per riprendere il potere, sottomettendo prima Apulia, Campania e Piceno, poi sconfiggendo Gaio Mario il Giovane (figlio adottivo di Mario) e prendendo Roma (82) con l’aiuto del giovane Marco Licinio Crasso. Le ultime resistenze avversarie, composte maggiormente da Sanniti, sono sconfitte nel massacro di Porta Collina (82), ponendo fine alla guerra civile che aveva causato più di 100mila morti e la quasi totale distruzione dei Sanniti e della loro cultura. Silla introduce il sistema delle liste di proscrizione (elenchi in cui sono esposti pubblicamente i nomi di tutti i nemici pubblici che potevano essere impunemente uccisi o depredati in nome di Silla stesso, i loro beni confiscati e i loro figli esclusi da ogni carica), viene nominato dittatore a tempo indeterminato, riporta il ceto senatorio alla sua potenza allargando il Senato a 600 membri ora comprendenti anche i cavalieri e affida ad esso i tribunali giudicanti, riorganizza il cursus honorum ribadendo il vincolo di ricoprire la carica di console esclusivamente se si è ricoperta la carica di pretore, depotenzia il tribunato della plebe annullando la sua funzione legislativa e prevedendo che chi diventasse tale non poteva ricoprire più altre e differenti cariche, estende il pomerio a tutte le zone italiche creando la provincia della Gallia Cisalpina. Nel 79 Silla volontariamente abdica e si ritira a vita privata in Campania dove muore l’anno successivo. I consoli del 78 sono tutti sillani, Silla aveva lasciato un’eredità pesante e molto eterogenea (sia sillani ortodossi e rigoristi favorevoli alla politica senatoria, sia sillani più morbidi e favorevoli ad alcune richieste dei populares). Dunque la dittatura sillana ha la finalità di porre fine all’anarchia, dare una regola alle carriere politiche, disarmare i magistrati in carica e risolvere il problema dei processi politici. Le radici di questa dittatura, delle liste di proscrizione e del fatto che queste siano accettate dalla popolazione romana risiedono in: le violenze autorizzate dal senato nei confronti di Gaio Gracco, la reiterazione del consolato di Mario e Cinna, la guerra civile dell’87-86. Nel 77 Pompeo, sconfessando le leggi sillane, ottiene l’imperium per sconfiggere le resistenze prima di Marco Emilio Lepido (padre del futuro triumviro) e poi di Sertorio (ultima resistenza mariana nella Spagna Citeriore). Rivolta di Spartaco nel 73-71: un gruppo di gladiatori di Capua si ribella, sono schiavi altamente specializzati nel combattimento (quasi 120mila uomini) contro cui Roma deve schierare otto legioni. Un gruppo di gladiatori di Capua fugge e si rifugia sul Vesuvio, tra questi spicca la figura carismatica di Spartaco. Probabilmente era un uomo libero originario della Tracia prima di essere gladiatore. Il gruppo ottiene vittorie nel sud Italia e si sposta verso Modena dove inizia a sfaldarsi per divergenza di obiettivi, mentre nello stesso momento a Roma si prende coscienza del pericolo e si organizza per contrastarlo un esercito nelle mani dell’allora pretore Crasso. Crasso applica la pena della decimazione (divisione dell’esercito in gruppi di 10 uomini e uccisione di un membro per ogni decina) per punire l’esercito romano che si era fatto sconfiggere dai gladiatori, un modo per incutere nel proprio esercito maggior paura del proprio generale che del proprio nemico. Le fratture nell’esercito di Spartaco e il rinvigorimento delle truppe romane portano, nello scontro finale in Lucania, dopo che i rivoltosi avevano provato ad attraversare lo Stretto ma erano stati traditi dai pirati alla vittoria romana ed alla repressione dell’esercito di schiavi nel 71 (i 6mila superstiti vengono crocifissi nella via Appia). Una parte dei rivoltosi, fuggendo verso nord, furono massacrati in Etruria da Pompeo di ritorno dalla Spagna. Nel 70 Pompeo ottiene il consolato sconfessando le leggi sillane, non aveva né l’età né il cursus honorum per poter accedere a questa magistratura. Pompeo è il vero erede di Silla, è molto legato al senato ed a tutta la classe senatoria. Insieme a lui è eletto console Crasso. In politica interna restaurano i poteri dei tribuni della plebe e tolgono l’esclusiva senatoria sui tribunali permanenti affidandoli per due terzi ai cavalieri. In politica estera il 67 è un anno di svolta: Pompeo viene inviato a combattere contro Mitridate ma non in qualità di console, bensì come privato cittadino per le sue qualità di comandante militare. È la prima volta che un comando militare è affidato in maniera extra costituzionale. Sempre nel 67 è approvata la lex gabinia (comando militare di 3 anni con amplissimi poteri di arruolamento, un fondo cassa quasi illimitato, possibilità di instaurare rapporti con altri stati senza consenso del senato). Pompeo torna a Roma nel 62 dopo aver riunito Bitinia e Ponto in un’unica provincia, conquistato Gerusalemme, spinto fino alla Siria e portato Mitridate al suicidio. Nel 63, con Pompeo lontano da Roma, c’è la congiura di Catilina, ben descritta dall’allora console in carica Cicerone. Catilina è presentato come un mostro che si era macchiato di nefandezze ed omicidi, si era arricchito negli anni sillani ed era politicamente e finanziariamente sostenuto da Crasso e dal giovane Caio Giulio Cesare ma perde le elezioni consolari del 63 sconfitto dall’homo novus Marco Tullio Cicerone. Abbandonato dai suoi due illustri sostenitori e nuovamente sconfitto nel 62 organizza un’ampia cospirazione per sopprimere i consoli e impadronirsi del potere, ma viene sventata da Cicerone che lo costringe all’esilio e morirà lo stesso anno in battaglia contro un esercito consolare nei pressi di Pistoia. Dal primo triumvirato alle idi di marzo Nel 62 Pompeo sbarca a Brindisi ma, contrariamente al timore di molti, smobilita il suo esercito e chiede al Senato la ratifica degli assetti territoriali e provinciali da lui decisi in Oriente e le usuali concessioni di terre ai suoi veterani. Nello stesso anno Cesare aveva ricoperto la pretura e l’anno successivo (61) diventa governatore della Spagna Ulteriore, dove dimostra capacità amministrativa e militare allargando il territorio ad Occidente. Nel 60 nasce il c.d. “primo triumvirato” composto da Cesare, Crasso e Pompeo: è un accordo esclusivamente privato e segreto di sostegno reciproco, in base alla quale Cesare avrebbe ricoperto la carica di console nel 59 e avrebbe varato una legge agraria a favore dei veterani di Pompeo (deluso dai continui rinvii sulla questione del Senato, specie ad opera di Marco Porcio Catone Uticense) e avrebbe concesso vantaggi i cavalieri e appaltatori legati a Crasso. Così avviene nel 59, nonostante l’altro console Marco Calpurnio Bibulo (genero di Catone) cerca di ostacolarlo nelle sue attività. Sul finire dell’anno il tribuno della plebe Publio Vatinio attribuisce a Cesare per cinque anni il proconsolato della Gallia Cisalpina, della Gallia Narbonese e dell’Illirico con quattro legioni. Nel 58 Cesare parte per le province attribuitegli e il triumvirato appoggia la candidatura di Publio Clodio Pulcro a tribuno della plebe, uomo ostile all’aristocrazia senatoria. Clodio approva una serie di leggi: nessun magistrato (tranne àuguri e tribuni) possono interrompere assemblee pubbliche, legalizzazione dei collegia (associazioni private con fini religiose che diventano un pericoloso strumento di mobilitazione delle masse urbane, cioè bande armate al suo servizio), distribuzione gratuita del grano ai cittadini residenti a Roma, esilio a chiunque condannasse o avesse condannato a morte un cittadino romano senza concedere diritto di appello al popolo (Cicerone costretto all’esilio per aver condannato i catilinari, anche Catone lascia Roma). Intanto Cesare tra 58 e 57 in Gallia sconfigge gli Elvezi, gli Svevi in Alsazia ricacciandoli nella sponda destra del Reno, i Belgi a settentrione della Senna, mentre il suo legato Publio Licinio Crasso (figlio di Crasso) ottiene successi in Normandia e Bretagna. Alla fine del 57 torna a Roma (vedi dopo) e fa ritorno in Gallia nel 55, trovando la Bretagna in aperta rivolta e sottomettendola. Di nuovo sconfigge due tribù germaniche sul Reno e nel 54 ottiene un successo anche in Britannia raggiungendo il Tamigi con cinque legioni e sottomettendo molte tribù costiere. Nel 53 successi nella Gallia settentrionale. Nel 52 è messo in crisi dallo sterminio di Romani compiuto dal re degli Arverni Vercingetorige nella Gallia centro-occidentale: dopo una prima sconfitta assedia il re ad Alesia (vicino l’odierna Digione) e dopo un lungo e duro scontro sostenuto contemporaneamente da assediante e da assediato li sconfigge e fa prigioniero Vercingetorige. I successi di Cesare sono dovuti sia alla sua abilità che trecento sesterzi a tutti i cittadini romani. Alle idi di marzo Caio Ottavio si trovava in Illiria, al confine con la Macedonia, pronto a seguire il dittatore nell’impresa contro i Parti, per cui torna in Italia, reclama e ottiene l’eredità, onora i lasciti in denaro previsti dal testamento, pone come caposaldo della propria politica la celebrazione della memoria del padre e la vendetta della sua uccisione; in questo modo entra nelle grazie sia dei cesariani più accesi sia di una parte del ceto senatorio (specie Cicerone) che scorgono in lui un mezzo per arginare lo strapotere di Antonio. Quest’ultimo, allo scadere del suo consolato del 44, si fa assegnare dai comizi al posto della Macedonia le due province galliche in modo da poter controllare più da vicino l’Italia, ma al rifiuto del governatore designato di cedergli le province scatta la “guerra di Modena” (43) nella quale Antonio esce sconfitto contro i due consoli (che muoiono per le ferite) e Ottavio ed è costretto a ritirarsi verso la Narbonese dove contava di unire le sue forze a quelle di Lepido. Morti i consoli Ottavio chiede il consolato e, al rifiuto del Senato, marcia su Roma prendendo la magistratura con la forza insieme al cugino e coerede Quinto Pedio. Nell’agosto 43 Ottavio revoca le misure di amnistia e istituisce un tribunale speciale per perseguire i cesaricidi, intanto Antonio e Lepido si erano riuniti e avevano attirato dalla propria parte altri governatori della Gallia e della Spagna, Ottavio revoca il provvedimento senatorio che dichiarava Antonio nemico pubblico e i tre si incontrano a Bologna nell’ottobre 43: nasce, con la lex Titia poi votata dai comizi tributi, un triumvirato per la riorganizzazione dello Stato, magistratura ordinaria della durata di cinque anni (fino alla fine del 38) con diritto di convocare il senato, promulgare editti e designare i candidati alle magistratura. Ad Antonio Gallia Cisalpina e Gallia Comata, a Lepido Gallia Narbonese e le due Spagne, a Ottavio Africa, Sicilia, Sardegna e Corsica. L’oriente restava nelle mani dei cesaricidi Bruto e Cassio che avevano eliminato anche Dolabella e avevano potere, denaro ed esercito in quei territori. Il secondo triumvirato resuscita le liste di proscrizione, uccidendo centinaia di senatori e cavalieri tra cui Cicerone. Provvede alla divinizzazione di Cesare istituendo il suo culto, ne beneficia soprattutto Ottaviano che diventa figlio di un dio. Nel 42 Lepido resta a Roma come uno dei due consoli e Ottaviano e Antonio combattono le battaglie di Filippi, in Macedonia, contro Bruto e Cassio che sono sconfitti e muoiono sucidi. Le proscrizioni e Filippi decimano l’opposizione senatoria più conservatrice e molte antiche famiglie scompaiono, lasciando spazio ad una nuova aristocrazia composta prevalentemente da italici inesperti e persone di fiducia dei triumviri, un’élite di governo assai più incline a rapporti di dipendenza politica e personale (premessa indispensabile dell’evoluzione verso il regime imperiale). A questo punto, a fine 42, Lepido perde le due province spagnole e gli viene assegnata l’Africa, Ottaviano perde l’Africa e gli vengono assegnate le due province spagnole, Antonio oltre alle Gallie prende tutto l’oriente. Invece in Sicilia, Sardegna e Corsica Ottaviano deve vedersela con Sesto Pompeo (figlio di Pompeo) che lì dominava e aveva riunito superstiti delle proscrizioni e di Filippi, e impediva i rifornimenti alla penisola. Dopo le battaglie di Filippi:  Ottaviano deve anche distribuire terre ai veterani ma non c’è più agro pubblico da assegnare, per cui ricorre all’esproprio ai danni di piccoli e medi proprietari terrieri causando rivolte.  Antonio ha necessità finanziarie e impone pesanti tributi alle comunità asiatiche che avevano sostenuto i cesaricidi; ha bisogno del sostegno di sovrani orientali e si rivolge allo Stato più ricco, l’Egitto, dove trascorre l’inverno 41-40 con Cleopatra da cui ha due figli. Le rivolte italiane causate da Ottaviano sono capeggiate da moglie e fratello di Antonio (Fulvia e Lucio Antonio) che si chiudono a Perugia; scatta la guerra di Perugia (inverno 41-40, proprio mentre Antonio è con Cleopatra) con un feroce assedio e la vittoria del triumviro. Antonio incontra la moglie Fulvia che si era rifugiata in Grecia e poi torna in Italia. Ottaviano incontra Antonio a Brindisi nell’ottobre 40 e prende per sé tutto l’Occidente (tranne l’Africa che resta a Lepido), inoltre si decide che ad Antonio vada in sposa la sorella di Ottaviano, Ottavia. Sesto Pompeo è deluso dal non essere stato preso in considerazione a Brindisi e blocca le forniture di grano, per cui nel 39 c’è un nuovo accordo a Miseno con Antonio e Sesto Pompeo in cui quest’ultimo si vedeva riconosciuto il governo delle tre isole, il Peloponneso (possedimento antoniano) e l’amnistia per tutti gli esuli nelle sue terre. Ma il ritardo nella consegna del Peloponneso fa riprendere a Sesto Pompeo le scorrerie contro l’Italia nel 38. Antonio vorrebbe muovere guerra contro i Parti e le condizioni sarebbero favorevoli per lotte intestine in Oriente e alcune vittorie dei suoi generali, ma a causa di questi avvenimenti deve tornare in Italia. Ottaviano e Antonio stringono nel 37 un accordo a Taranto (nel quale è rinnovato per altri 5 anni, fino al 32, il triumvirato) secondo il quale il primo avrebbe dato al secondo 20mila legionari per la sua campagna partica, il secondo al primo 120 navi per la guerra contro Sesto Pompeo. Nel 36:  Ottaviano vince la guerra contro Sesto Pompeo nel 36 sconfiggendolo a largo di Milazzo e costringendolo alla fuga in Oriente dove viene catturato nel 35. Lepido aveva preso parte alle operazioni del 36 a fianco di Ottaviano per cui reclama per sé la Sicilia ma viene abbandonato dalle sue truppe e dichiarato decaduto dal triumvirato, conservando solo formalmente la funzione di pontefice massimo e ritirandosi a vita privata (fino alla sua morte nel 12).  Antonio torna in Egitto da Cleopatra lasciando Ottavia in Italia e inizia la sua spedizione partica attraversando l’Armenia e invadendo il regno da nord, ma l’assedio a Fraaspa non ha successo ed è costretto alla ritirata (l’anno dopo conquisterà l’Armenia). Ottaviano nel 35 torna a Roma pieno di onori e ottiene l’inviolabilità propria dei tribuni della plebe, era ormai padrone di tutto l’occidente. Nel 35-34 Ottaviano conduce due anni di dure campagne contro gli Illiri in Pannonia e in Dalmazia. Il 35 è l’anno di rottura tra i due: Antonio aveva dato le 120 navi a Ottaviano ma questo aveva inviato al collega solo 2mila legionari e la sorella Ottavia. Antonio cade nella trappola e intima alla moglie di tornarsene indietro, ribaltando la situazione e facendo passare ora Ottaviano per l’offeso (sua sorella, donna romana, ripudiata per un’amante orientale). Nel 32 il triumvirato si avviava alla sua scadenza naturale, i due consoli (antoniani) chiedono di ratificare la conquista dell’Armenia e la nuova spartizione prevista da Antonio (che favoriva il regno egiziano) ma Ottaviano impedisce al Senato l’approvazione. I consoli e trecento senatori abbandonano l’Italia per rifugiarsi in Egitto da dove Antonio invia ad Ottavia un formale atto di ripudio. Ottaviano priva il collega dei suoi poteri e del suo consolato già previsto per il 31, attraverso la sua propaganda si propone come il difensore di Roma da una regina avida e infida dichiarando guerra formale contro la sola Cleopatra. Ad Azio (nel mar Ionio), nel settembre 31, Ottaviano vince, Antonio e Cleopatra si rifugiano in Egitto dove si suicidano, il figlio Tolomeo Cesare viene ucciso, l’Egitto diventa provincia romana. L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO Augusto Per Santi Mazzarino l’Impero è “unità supernazionale, di cultura romano-ellenistica, il cui ideale è una pax affidata ad un esercito permanente”. C’è sia l’elemento territoriale (supernazionale) che culturale (Roma ha assorbito la cultura e l’arte di governo ellenistico). Ottaviano nel 31 si trova ad essere padrone assoluto dello Stato romano, ma si ritrova diversi problemi da risolvere. Il formarsi dell’Impero non è né il frutto di un chiaro progetto politico di Ottaviano messo in atto freddamente e sistematicamente, ma neanche un frutto di isolati tentativi non rapportabili a un piano complessivo, piuttosto un’istituzione che si è definita e consolidata per tappe successive. Prima scansione per anni, poi le riforme. Dal 31 al 23 è ininterrottamente console assieme ad una persona fidata. Nel 30-27 sono anni di tentativo di ritorno alla normalità senza perdere la posizione di preminenza da parte di Ottaviano, che nel 30 nomina per l’Egitto un governatore di rango equestre (Caio Cornelio Gallo) con il titolo di prefetto e poteri assimilabili a quelli dei proconsoli. Nel 29 proibisce ai senatori di uscire dall’Italia e si trattiene i Oriente dove riduce le province a tre (Asia, Bitinio-Ponto, Siria). Nel 28 è console insieme ad Agrippa e con la lectio senatus epura il Senato da membri indegni per censo, inoltre viene nominato princeps senatus. Nel 27 rinuncia formalmente ai poteri straordinari e mantiene il comando decennale sulle sole province “non pacificate” e sulle rispettive guarnigioni legionarie (Spagna, Gallie, Siria, Egitto, Cipro, Cilicia); sempre nel 27 è nominato dal Senato Augusto (dal verbo augere, innalzare, un appellativo che lo sottrae alla sfera politica e lo introduce in una dimensione sacrale) e nonostante libere elezioni può raccomandare e dire l’ultima parola sui nomi dei magistrati. Tra 26 e 25 combatte in Gallia e Spagna contro popolazioni che insorgono. Il 23 è un anno di svolta, prima perché una malattia che lo colpisce nel 24 gli fa pensare di essere vicino alla morte e lo fa ragionare sulla successione (i poteri conferitegli erano individuali e non trasmissibili, ma era ormai impensabile tornare alla forma repubblicana senza un uomo solo al potere), poi affronta un processo di Stato e una congiura sventata. Per questo motivo depone la sua carica consolare e ottiene un imperium proconsolare rinnovabile a vita su tutte le province. Poiché questo potere proconsolare non permetteva di agire nella vita politica di Roma (convocare il Senato o il popolo) riceve dal Senato la tribunicia potestas (pieni diritti di un tribuno della plebe, può convocare comizi, porre veti e godere dell’inviolabilità). Nel 22 ottiene la cura dell’annona. Tra 22 e 19 si reca sul fronte orientale e chiude un negoziato recuperando le insegne delle legioni di Crasso e Marco Antonio. Nel 19-18 esercita anche i poteri di censore e ha diritto ad utilizzare le insegne dei consoli pur non essendolo più (sella curile e i 12 littori che portavano i fasci). Nel 18 scade il mandato di dieci anni sulle province non pacificate e lo estende per altri 5 anni (dà anche ad Agrippa, che aveva sposato sua figlia Giulia, l’imperium proconsolare e la tribunicia potestas). Nel 12, alla morte di Lepido, diventa anche pontefice massimo. Augusto somma una serie di poteri che, presi singolarmente, erano compatibili con la tradizione repubblicana, ma che assolutamente non potevano essere ricoperti contemporaneamente dalla stessa persona; infatti Augusto non vuole un assetto monocratico (a differenza di Cesare), usa formule repubblicane per avere un potere monocratico. Il Senato viene ridotto a 600 componenti (era arrivato a più di 1000). È innalzato da 400mila a 1 milione di sesterzi il censo minimo per entrare in Senato. I figli dei senatori acquisiscono automaticamente con la maggiore età il rango di senatori (mossa per stabilizzare l’ordine senatorio) e non sono più del ceto equestre. In ogni caso Augusto poteva direttamente cooptare delle persone inserendole in Senato con l’istituto dell’adlectio. Al ceto senatorio era riservato:  Il cursus honorum senatorio classico dell’ordinamento repubblicano (con al vertice il consolato, tutti eletti dai comizi)  militare (legato di legione < governatore provinciale < imperatore).  Organizzazione provinciale (con a capo della provincia un proconsole o un legato Augusto pro pretore, nominato direttamente da Augusto)  Curatores (curavano rifornimento di grano (annona), acqua, luoghi pubblici, vie)  Prefettura urbana (nominato direttamente da Augusto e temporali, è il massimo vertice della carriera senatoria) I Giulio Claudi (d’ora in poi è tutto dopo Cristo) Augusto muore in Campania nel 14, le sue ceneri tumulate nel Mausoleo fatto costruire in Campo Marzio. L’orazione funebre è tenuta da Tiberio e Druso minore (figlio di Tiberio) e il Senato sancisce la sua divinizzazione. A Tiberio vengono ribadite e rafforzate le cariche da lui detenute, anche se lui, già 54enne, accetta con riluttanza e sperando temporaneamente in quanto sapeva di non potere essere il sostituto di un uomo così carismatico e avrebbe preferito un governo di più persone. Si apre l’era dei Giulio-Claudi, discendenti della famiglia degli Iulii (Augusto era stato adottato da Cesare) e dei Claudii (discendenti di Tiberio Claudio Nerone, primo marito di Livia, l’ultima moglie di Augusto). Sono discendenti da Caligola in poi anche da Marco Antonio in quanto sua figlia Antonio Minore era la madre di Germanico. Tiberio (14-37): Malgrado la sua scarsa popolarità e la poca simpatia nutrita per lui dal suo predecessore il suo governo è sostanzialmente una prosecuzione di quello augusteo, un amministratore accorto dello Stato capace anche di fronteggiare bene alcune delicate congiunture economiche. Tiberio aggiunge le cinque centurie in onore di Germanico dopo la sua morte ed altre cinque nel 23 dopo la morte del figlio Druso minore, ma il ruolo dei comizi centuriati diventa sempre più puramente formale e limitato a sanzionare una lista unica di candidati designati dall’imperatore e dal Senato, mentre in parallelo decadono anche i comizi tributi. Il suo principato è caratterizzato da collaborazione istituzionale con il Senato ma diversi intenti politici, alimentati da una storia imperiale e familiare complessa. Viene subito eliminato Agrippa postumo, ultimo nipote maschio di Augusto, rimanendo così solo Agrippina maggiore moglie del nipote Germanico. Germanico continua la politica espansionistica in Germania attraversando il Reno nel 15, ma le sue campagne ottengono vittorie non decisive per cui ci si accontenta del raggiungimento della selva di Teutoburgo e la sepoltura dei caduti di Varo; Tiberio nel 17, consapevole del costo economico e umano delle guerre germaniche, assegna il trionfo a Germanico e stabilisce che la frontiera dovesse essere fissata sul Reno rinunciando all’espansione verso est. Tiberio invia Germanico in Oriente con imperium proconsolare maius su tutte le province orientali, mentre Cappadocia e Commagene diventavano province romane; Germanico organizza le due nuove province e pone sul trono armeno un re amico, poi nel 19 si reca in Egitto suscitando un grave incidente istituzionale disapprovato anche dall’imperatore (secondo le disposizioni augustee era vietato a senatori o cavalieri di entrare in Egitto senza esplicito permesso imperiale, probabilmente Germanico credeva che il suo imperium proconsolare maius lo esimesse dal chiedere il consenso ma l’imperium di Tiberio era superiore al suo). Germanico muore improvvisamente 33enne ad Antiochia nel 19 (forse su istigazione del legato imperiale in Siria, Pisone) e a questa si aggiunge anche la morte di Druso minore nel 23. Dal 23 acquisisce sempre più potere il prefetto del pretorio Seiano (forse fu promotore dell’avvelenamento di Druso minore), esponente equestre che aveva ricoperto la carica prima con il padre e poi da solo a seguito della promozione del padre alla prefettura d’Egitto. Seiano è in strettissimi rapporti di fiducia con Tiberio, ha al suo servizio le truppe pretoriane a Roma, sfrutta il trasferimento dell’ormai vecchio Tiberio a Capua (26) per organizzare i suoi intrighi in città esiliando e uccidendo Agrippina maggiore e primo e secondogenito Nerone e Druso III (tra 29 e 33), arriva anche a ricoprire il consolato senza carriera senatoria nel 31. Intanto il terzogenito Caio (Caligola) con la nonna Antonia minore mettono in guardia Tiberio che rinsavisce e nel 31 fa arrestare e condannare a morte Seiano. Negli ultimi anni di principato Tiberio deve affrontare una crisi creditizia (risolta con una massiccia immissione di liquidità), suicidi, processi per lesa maestà. Nel 33 Tiberio nomina come suoi successori (senza prendere in considerazione il fratello di Germanico, Claudio, che sarà poi imperatore) sia Caligola che Tiberio Gemello (suo nipote, figlio di Druso minore). Quest’ultimo sarà eliminato da Caligola dopo la morte di Tiberio nel 37. In politica estera Tiberio seda rivolte in Tracia, Gallia, Africa, attua un compromesso con il re dei Parti per il regno armeno, rimuove il prefetto della Giudea Ponzio Pilato reo di massacrare i Samaritani. Caligola (37-41): il suo principato breve è ricordato specialmente per le sue stravaganze amplificate da una storiografia nettamente ostile. Caligola è accolto con grande entusiasmo da esercito e plebe, specie perché il padre Germanico era molto amato, per cui nei primi mesi inizia una politica di donativi, grandi spettacoli e ambiziosi piani edilizi che portano ad uno svuotamento delle casse lasciate in buona salute dal predecessore. È colpito da malattia nella seconda metà del 37 ma è incorretto dire che la stravaganza del suo governo è dovuta alla malattia visto che non aveva combinato granché prima di allora, ma le fonti lo dipingono da questo momento come un tiranno ostile al Senato e preoccupato solamente di rafforzare il suo potere personale (probabile l’influsso orientale di queste scelte vista l’eredità orientale dei suoi ascendenti Marco Antonio e Germanico). Nominato imperatore, con giuramenti di fedeltà che arrivano da tutte le province, non aveva mai avuto né imperium proconsolare né potestà tribunizia. Elimina Tiberio Gemello, richiama esiliati e dichiara nulli i processi per maiestas degli ultimi anni, recupera le ceneri del fratello e della madre per porli nel Mausoleo augusteo, ricopre per ogni anno del suo principato (eccetto il 38) la carica consolare. È di continuo vittima di congiure vere o presunte, per cui fa uccidere il suocero, il prefetto d’Egitto da lui stesso promosso (Macrone) e Getulico (legato imperiale in Germania che nel 39 è accusato di cospirare, viene sostituito dal futuro imperatore Galba); inoltre fa esiliare le due sorelle Agrippina minore e Giulia Livilla. Progetta sia opere costruttive (un porto a Reggio Calabria) sia megalomani. Politica estera: in Oriente cambia atteggiamento rispetto al predecessore e cerca di ripristinare un sistema di Stati cuscinetto come Marco Antonio affidandoli a sovrani amici (ad esempio la Commagene da provincia romana diventa regno amico/cliente). Dà inizio ad una guerra in Mauretania (che sarà conclusa sotto Claudio) e si impunta per porre una propria statua nel Tempio di Gerusalemme, suscitando le proteste ebraiche che lo consideravano un sacrilegio e risvegliando i conflitti tra ebrei e greci nelle città della Giudea. Solo la morte dell’imperatore, ad inizio 41 a causa di una congiura di elementi senatori, equestri, pretoriani, liberti imperiali (Callisto e Narcisso), evita lo scoppio di un conflitto in Giudea. Claudio (41-54): fratello di Germanico e zio di Caligola, sempre tenuto in disparte e mai oggetto di considerazione, era rimasto sempre un Claudio e mai adottato dai Iulii. Mentre il Senato si interroga su quale soluzione adottare i pretoriani bruciano i tempi e lo acclamano imperatore, costringendo il Senato a ratificare la scelta. Era già 50enne ed è presentato dalle fonti antiche come sciocco, inetto e dedito a depravazioni, ma in realtà la sua attività di opere e scritti, la solida preparazione culturale, la capacità di valutazione, la visione politica e le scelte di politica interna ed estera durante il principato contraddicono questo ritratto. In primis Claudio condanna a morte i congiurati, revoca molti provvedimenti presi dal predecessore, abolisce l’accusa di lesa maestà e richiama gli esuli (tra cui le nipoti Agrippina minore e Giulia Livilla). In politica interna restaura buoni rapporti con il Senato cambiando alcuni senatori, rendendo obbligatoria la partecipazione e frequentando egli stesso assiduamente le sedute. Riforma l’amministrazione dell’Impero fino ad allora assente applicando a questo campo gli schemi del personale di servizio nell’amministrazione delle grandi domus private, fondato su liberti di grandi competenza e professionalità specifiche. L’amministrazione centrale è divisa in quattro grandi uffici (segretariato centrale, finanze, suppliche e corrispondenza, istruzione dei procedimenti da tenersi davanti all’imperatore) con a capo dei dipartimenti proprio dei liberti (scelta inusuale perché fa avere loro molto potere anche se prima di allora erano esclusi dalla vita politica perché non facenti parte né del ceto senatorio né equestre, l’impero di Claudio sarà definito “dei liberti e delle donne”). Aumenta la presenza imperiale anche in campo giudiziario (presente assiduamente ai procedimenti discussi al senato e avocazione a sé di alcune cause) e nei servizi urbani (approvvigionamento granario e idrico, fa anche costruire nuovi acquedotti e il porto di Ostia). In politica estera applica una politica di integrazione delle province, si spende per l’accesso al Senato ai notabili della Gallia Comata, concede molti diplomi militari e avvia un’intensa opera di fondazione di colonie in Britannia, Germania e Mauretania. Proprio in Mauretania nel 42 pone fine alla guerra iniziata dal predecessore organizzandola in due province (Mauretania Cesariense e Mauretania Tingitana) affidate a procuratori equestri. Nel 43 la Britannia meridionale è conquistata e ridotta a provincia da quattro legioni di cui fa parte anche Tito Flavio Vespasiano. In Germania nel 47 il legato Cneo Domizio Corbulone (impegnato anche nelle campagne partiche sotto Nerone) compie sporadiche operazioni al di là del Reno ma Claudio gli impone di non proseguire e ritirarsi nella sponda ad ovest del fiume. In Oriente a partire dal 43 sconfessa gli interventi caligoliani e torna alla politica tiberiana di provincializzazione in Licia, Giudea e Tracia. Nel 49 espelle gli ebrei da Roma e cerca una pacificazione nel mondo orientale tutelando sia greci che ebrei. Il suo principato infine è segnato da forti lotte politiche e intrighi condotti da senatori, potenti liberti (Callisto, Narciso) e mogli (Valeria Messalina, Agrippina minore). Claudio sposa in terze notte Valeria Messalina, donna più giovane e di liberi costumi, da cui ha due figli: Ottavia (futura sposa di Nerone) e Britannico. Messalina ha importanti appoggi ed è ambiziosa, fa esiliare Seneca e Giulia Livilla, ma nel 48 commette l’errore di legarsi in modo aperto e plateale a un giovane console approfittando dell’assenza di suo marito, per cui il liberto Narcisso chiede e ottiene la sua condanna e uccisione. Nel 49 Claudio decide di sposare la nipote Agrippina minore, già madre di Lucio Domizio Enobarbo (Nerone) che la donna convince a far adottare al neo marito imperatore nel 50 e la cui educazione viene affidata al richiamato in patria Seneca. La posizione di Agrippina minore si fa ancora più forte nel 51 con la nomina di unico prefetto del pretorio di Sesto Afranio Burro e con il matrimonio nel 53 tra Nerone e Ottavia. Nel 54 Claudio muore (in circostanze sospette, forse avvelenato dalla moglie) designando come eredi sia Nerone che Britannico. Nerone (54-68): Quando il potere passa all’allora sedicenne Nerone sono ormai consolidati i poteri dell’imperatore e sempre meno importanti i residui della tradizione repubblicana del governo dello Stato, erano manifesti gli elementi di arbitrio e autocrazia insiti nel potere imperiale. Era grande ammiratore della Grecia e dell’Oriente, con una vena artistica e culturale che provocano l’opposizione dei gruppi senatori tradizionalisti e delle antiche famiglie repubblicane. Il passaggio di potere avviene quasi senza scosse grazie a Burro che fa giurare alle milizie stanziate a Roma fedeltà al solo Nerone. Quest’ultimo inizialmente asseconda l’autorevole influenza che esercitano su di lui Seneca, Burro e l’invadente madre Agrippina minore, per poi distaccarsi progressivamente verso un’idea teocratica e assoluta del potere imperiale. Sotto l’impulso della madre vengono uccisi nel 55 Britannico e Narcisso e l’insofferenza nei confronti della madre cresce e precipita nel 59: Nerone vuole sposare Poppea Sabina ma Agrippina minore lo ostacola in ogni modo, tanto da portare l’imperatore a ucciderla provocando enorme sgomento a Roma (nel 62 ripudierà Ottavia per sposare Poppea). L’amministrazione generale è inizialmente efficiente e lungimirante con una riforma dell’erario nel 56 con il quale l’imperatore si dei c.d. agri decumantes lungo il corso superiore del Reno e del Danubio che consente una migliore saldatura difensiva. In Oriente è abbandonata definitivamente la politica degli stati- cuscinetto retti da re clienti in favore di una provincializzazione che durerà fino a Traiano: nel 72 i regni di Commagene e dell’Armenia Minore sono annessi rispettivamente alla provincia di Siria e di Cappadocia, nel 78 un’unica provincia Cappadocia-Galazia occupava tutta l’area centrale della penisola anatolica fino all’Eufrate ed alla provincia di Siria. L’opposizione a Vespasiano fu poca, si hanno notizie di due sole congiure entrambe sventate. Tito (79-81): aveva ricoperto insieme al padre consolato e censura, aveva mostrato durezza come prefetto del pretorio e nella campagna di Giudea, già dal 71 aveva ricevuto imperium proconsolare e potestà tribunizia. La buona fama guadagnata da Tito nel suo breve principato è dovuta sia al senso di responsabilità derivatogli dalla pratica di governo accanto al padre sia all’apprezzamento della tradizione senatoria rispetto al contraltare dell’odiato successore (il fratello Domiziano). La sua popolarità è dovuta anche all’elargizione di denaro (contrariamente al padre) specie per affrontare la rovinosa eruzione del Vesuvio nel 79, l’epidemia di peste dello stesso anno e un nuovo incendio di Roma nell’80. Organizza celermente soccorsi e piani di ricostruzione con molti e gravosi sforzi economici. Si ammala e muore l’anno successivo (81). Domiziano (81-96): la sua cattiva nomea è dovuta alla tradizione storiografica senatoria che ha costantemente connotato come cattivo imperatore chiunque non avesse un buon rapporto con il Senato o con propri amici o familiari. Se è vero che fu uno dei responsabili delle epurazioni del 69 prima dell’arrivo a Roma del padre e che negli ultimi anni mostra un carattere autocratico e assolutistico votato alla persecuzione dei nemici, è anche vero che il suo lungo principato ha aspetti comuni con i suoi due predecessori e la sua azione politica è efficace e utile per l’Impero per chiarezza d’idee e determinazione. Nell’81 Domiziano diventa imperatore pur avendo cumulato dignità (era stato console e lo sarà ancora tante volte) ma senza alcun effettivo potere di governo né alcun prestigio militare. In politica interna completa la riforma burocratica attribuendo i posti chiave degli uffici a funzionari dell’ordine equestre, è mite nei confronti degli occupanti abusivi dei subseciva concedendone il pieno possesso, costituisce molti nuovi municipi. Nel 92 vieta la piantagione di nuovi vigneti in Italia e ordina lo smantellamento della metà di questi nelle province (non si sa se è una misura dovuta a un rigido moralismo o alla necessità di incrementare le colture di grano, ma rappresenta comunque uno dei pochi esempi di dirigismo economico nell’età romana). Accentua il moralismo colpendo adulteri, immoralità delle donne, prostituzione dei bambini e perversione dei costumi sessuali. In politica estera affronta la popolazione dei Catti (germanici) sul medio Reno (82-83) e il territorio riconquistato viene controllato attraverso l’impianto di accampamenti fortificati collegati tra loro sul limes da strade e forti presidiati. I due distretti di Germania Superiore e Inferiore vengono costituiti in province formali e regolari. Inaugura un sistema di difesa dei confini che sarà molto adottato dagli imperatori successivi. In Britannia il legato Agricola ottiene un’importante vittoria sui Caledoni (scozzesi) nell’83 ma Domiziano lo richiama a Roma senza fargli portare a termine la conquista di Scozia e Irlanda (difficile immaginare perché, forse era mosso da invidia per i suoi successi o forse il mandato di Agricola durava da troppo tempo rispetto alla media o forse i vantaggi derivante dall’acquisizione stabile di quei nuovi territori non sembrava compensare le spese necessarie per presidiarli): in ogni caso il consolidamento della frontiera in Britannia rinunciando all’espansione risulterà realistica e lungimirante. Nell’84-85 sconfigge i Daci del re Decebalo che aveva fatto incursioni al di qua del Danubio; dopo una breve sospensione delle attività la guerra riprende nell’88, la Mesia viene divisa un due province (Superiore e Inferiore), ma Domiziano deve firmare velocemente una pace per la situazione in Germania, per cui Decebalo accetta la sua dipendenza dall’Impero senza perdere alcun territorio e ricevendo una corresponsione in denaro. Sul fronte pannonico una guerra molto dura si chiude solo nel 92 con la riconquista della Pannonia. A inizio 89, in occasione dell’annuale giuramento di fedeltà dell’esercito, le legioni della Germania superiore nominano imperatore il legato Lucio Antonio Saturnino (che forse aveva appoggi senatori). Domiziano si reca subito in Germania alla testa dei pretoriani ma il pericolo è sventato dalla prontezza e lealtà del legato della Germania Inferiore Lucio Appio Massimo Norbano, il quale sconfigge il collega in battaglia e ne brucia la corrispondenza epistolare. Al suo arrivo Domiziano esegue molte e spietate esecuzioni. Non si può sapere se questo episodio è correlato a esponenti senatori o dovuto alla posizione di secondo piano che gli eserciti della Germania Superiore venivano assumendo rispetto alle legioni del fronte danubiano (sul Reno erano occupati a costruire il limes), ma quello che è certo è che ha ripercussioni sull’atteggiamento di Domiziano che inizierà a sentirsi minacciato e inizia la sua epoca di persecuzioni ed eliminazioni di persone ritenute scomode. I contrasti con il Senato si acuiscono, l’opposizione filosofica del Senato è esiliata dall’Italia, Agricola viene rimosso dalla Britannia e muore nel 93, l’imperatore aumenta autocelebrazione e celebrazione dei trionfi con manifestazioni assolutistiche, nel 95 il parente e collega console Tito Flavio Clemente viene ucciso perché accusato di essere simpatizzante delle religioni ebraica e cristiana. Per tutti questi motivi nel 96 Domiziano è vittima di una congiura orchestrata sa senatori, prefetti del pretorio e funzionari di palazzo. Il giorno stesso della sua morte il Senato proclama imperatore Nerva e condanna alla damnatio memoriae Domiziano. Intanto sorge il cristianesimo, agli esordi considerato una forma di ebraismo dai Romani. Figura importante è Paolo di Tarso per la diffusione del Vangelo con le sue epistole. Con Augusto gli ebrei hanno la possibilità di conservare i propri costumi (rispetto del sabato, esonero dal servizio militare) e praticare il loro culto, per cui sono un elemento estraneo della società. Tiberio scaccia gli ebrei da Roma perché accusati di diffusione di culti stranieri contrari al mos maiorum, Caligola crea problemi perché vuole farsi venerare, Claudio ridà libertà di culto e tolleranza ma li espelle da Roma (qui forse era colpa dei cristiani, ma sono accomunati ebrei e cristiani), Nerone entra per primo in contrasto con i soli cristiani con l’incendio del 64 e le persecuzioni in cui muoiono anche Pietro e Paolo. Vespasiano e Tito bloccano rivolta in Palestina e il secondo saccheggia il Tempio, Domiziano in aperto contrasto con ebrei e cristiani perché vuole promuovere la figura del principe dome rappresentante di Giove sulla terra. Secondo alcuni studiosi Domiziano perseguita i cristiani per riacquistare il favore della parte più tradizionalista del Senato di cui si era alienato ogni simpatia con il clima di terrore creato. A partire dal II secolo il cristianesimo si diffonde e si consolida assieme alle persecuzioni nei loro confronti. Il secondo secolo Dopo l’uccisione di Domiziano il potere è affidato a Nerva che inaugura una linea di successione improntata ad un criterio meritocratico, lui per primo sceglierà Traiano. Dal 90 al 180 è il secolo degli imperatori filosofi e l’età degli Antonini. Sono imperatori che non hanno trascurato gli obblighi militari, ma caratterizzano il loro impero per la filantropia (amore per gli uomini, una politica attenta ai ceti inferiori specie gli indigenti) e per il buon ordine (inteso come ognuno resta al proprio posto della gerarchia sociale affinché la società sia armoniosa). Dunque rispetto all’effervescenza dell’età dei Giulio Claudi qui c’è una sorta di sclerosi delle gerarchie sociali, ma allo stesso tempo si inizia a migliorare la condizione di coloro che sono più in basso nella scala sociale (vedi “istituzioni alimentari” di Nerva). Le due ideologie di quest’epoca sono lo stoicismo e la seconda sofistica (si differenzia dalla prima perché non è una filosofia ma un movimento culturale che pone al centro del proprio essere la retorica, l’arte del parlare, l’elemento fondativo di tutte le altre discipline). La retorica diventa la base e il vertice del sapere L’età degli Antonini è considerata l’età d’oro di Roma, in particolare il regno di Traiano. Tramite l’adozione dell’imperatore si scelgono gli uomini migliori, c’è virtù sia in chi sceglie sia in chi è scelto. Ma il fatto che tutti gli imperatori della serie adottiva sono tutti uomini di prim’ordine non è un merito esclusivo del sistema dell’adozione, è singolare infatti come quattro imperatori successivi non abbiano eredi diretti e solo il quinto, avendolo, lo fa succedere a sé stesso. Nerva (96-98): Sotto il principato del vecchio Nerva, durato due anni, si ripristinano buoni rapporti tra imperatore e senato. Nerva era stato console due volte ma mai governatore provinciale e non aveva mai rivestito un comando militare. Proprio per quest’ultimo motivo viene scelto, lontano dagli eserciti, anziano, senza figli: un ideale principato di transizione di un uomo mite, saggio ed estraneo ai gruppi di potere precedenti. Appena eletto controlla le reazioni all’uccisione del predecessore scongiurando l’anarchia e tenendo a freno i pretoriani (aiutato dai due prefetti pretoriani, che avevano partecipato alla congiura, e da ampi donativi). Garantito l’ordine interno vara una legge agraria per assegnare lotti di terreno a cittadini nullatenenti e vara il programma delle “istituzioni alimentari”: lo Stato concede prestiti agli agricoltori con interessi al 5% e con l’interesse del prestito si sostentavano bambini indigenti: si realizza così la duplice finalità di finanziare gli agricoltori per aumentare la produttività dei fondi e sostenere famiglie meno abbienti e bambini orfani per contrastare la tendenza al calo demografico. La politica fiscale di sgravi fiscali e la politica sociale sono una svolta rispetto alla pressione tributaria dei Flavi ma accentuano le difficoltà economiche complessive già esistenti. Il principato non ha forti opposizioni, tranne che nel 97 quando i due nuovi prefetti pretoriani aizzano i pretoriani a chiedere la punizione degli assassini di Domiziano (cui Nerva deve cedere, una situazione imbarazzante che danneggia la sua immagine visto che si trattava degli stessi che lo avevano eletto imperatore). Nerva adotta e associa al potere il senatore di origine spagnola Marco Ulpio Traiano, uomo di grande esperienza politica e militare in quel momento governatore della Germania Superiore, che gli succede a causa della sua morte ad inizio 98. Traiano (98-117): arriva a Roma solo un anno dopo, preferendo prima completare il lavoro di consolidamento del confine renano e di riorganizzazione difensiva lungo il Danubio, dando vita ad un principato positivo sia per le legioni che per il ceto senatorio. In politica interna mostra marcato interesse per l’amministrazione e le infrastrutture, dà piena attuazione al programma di sussidi alimentari ideato dal predecessore, migliora la logistica del rifornimento granario, sostituisce il porto di Ostia con un nuovo grande bacino esagonale, crea la funzione di prefetto delle strutture portuali di Ostia e di Pozzuoli, costruisce la via Traiana da Benevento a Brindisi, avvia opere edilizie quali il Foro di Traiano e la Colonna Traiana, si circonda di un consilium principis con i più stretti collaboratori per la gestione dell’amministrazione e della giustizia. Sui cristiani Traiano informa il governatore di Bitinia Plinio il Giovane di condannare i cristiani solo se c’è un’accusa esistente, ma non di andare a cercarli per perseguitarli (una sorta di politica di “pacifica” convivenza e tolleranza). Ma i riscontri più importanti del principato di Traiano sono in politica estera, è ricordato per la marcata propensione all’espansione territoriale e creazione di nuove province. In Dacia, dopo la precedente pace dell’89, Decebalo non aveva cessato di rinforzarsi coagulando intorno a sé le popolazioni daciche e minacciando la vicina provincia romana Mesia Superiore. Traiano nel 101 attraversa personalmente il Danubio e dopo alcune vittorie si dirige verso la capitale Sarmizegetusa, ma la campagna aveva sguarnito le difese e i Daci nel frattempo attaccano la Mesia Inferiore nello stesso anno; l’imperatore torna indietro, vince e nel 102 riprende l’offensiva verso Sarmizegetusa sconfiggendo Decebalo e costringendolo a dure condizioni (il suo regno restava sotto stretto controllo militare romano ai confini). Nel 105 riprendono le ostilità in seguito ad un attacco dei Daci contro le guarnigioni romane, Traiano di nuovo personalmente assedia e conquista la Dacia, Decebalo si uccide, la Dacia diventa provincia romana e la popolazione deportata e le miniere d’oro daciche sfruttate. L’enorme quantità di oro finanzia le altre imprese belliche, le infrastrutture e avvicina il valore reale del denario d’argento al suo valore nominale in ritorno delle truppe dall’Oriente) superano il Danubio e arrivano fino in Italia assediando Aquileia (che resiste). L’invasione è momentaneamente contenuta e respinta ma nel 169 muore Lucio Vero lasciando sulle spalle di Marco Aurelio il peso di una guerra che si prospettava lunga e difficile. I successivi undici anni (169-180) sono quasi tutti impegnati in guerre continue sul fronte danubiano, mettendo all’asta anche beni accumulati dal tesoro imperiale per procurarsi fondi (la crisi economica era anche esasperata dall’epidemia). Nel 171-172 ha inizio la controffensiva sul limes alternate a trattative diplomatiche per spezzare l’unità della coalizione nemica con diverse tribù accolte all’interno dell’Impero. Nel 172 si entra in territorio nemico e si sottomettono i Marcomanni, nel 173 sono sottomessi i Quadi, nel 175 sono costretti alla resa gli Iazigi. La campagna danubiana si interrompe per le vicende egiziane (vedi oltre). Nel 178 Marcomanni e Quadi si ribellano alle dure condizioni imposte negli anni precedenti e Marco Aurelio riparte con il figlio Commodo per chiudere definitivamente la partita e puntare all’annessione, ma quando nel 180 stava per essere lanciata la campagna decisiva Marco Aurelio si ammala e muore. Nel 175 il legato di Siria Avidio Cassio è inviato in Egitto per sedare una rivolta; sopraggiunge all’imperatore la notizia che Avidio Cassio si era fatto proclamare imperatore ed era stato riconosciuto dalle province orientali (comprese Siria ed Egitto). La sanguinosa guerra tra loro è sventata dall’uccisione di Avidio Cassio dalle sue stesse truppe. È importante constatare che ogni volta che l’Impero è impegnato in guerra nelle zone occidentali l’Oriente si rivolta, è insofferente nei confronti dell’Occidente che spende i soldi delle ricche province orientali per pagare guerre espansionistiche in Occidente. Già dal 177 Marco Aurelio aveva associato all’impero il figlio sedicenne Commodo, ponendo fine al principato elettivo. Forse gli sembrava la via più semplice per assicurare stabilità al principato, affiancando al figlio un nutrito staff di consiglieri ed esperti. Commodo (180-192): diventa imperatore a diciotto anni e il suo principato per le fonti è molto sfavorevole, è l’emblema di come il potere imperiale sia a rischio di ogni sorta di degenerazione; in realtà nei suoi dodici anni di impero il suo operato è connotato a seconda dei collaboratori che agiscono al suo fianco perché Commodo si dimostra sempre disinteressato a condurre personalmente l’apparato statale. Dovendo affrontare subito la questione danubiana, ottiene inizialmente qualche successo ma in seguito non si attiene al parere dei collaboratori (che come il padre volevano continuare fino al completo assoggettamento) e interrompe le ostilità ponendo condizioni più dure alle popolazioni germaniche oltre il Danubio e rafforzando il limes. Nel 182 sventa una prima congiura ordita da Lucilla (moglie del defunto Lucio Vero) che viene eliminate insieme ad una serie di condanne ed epurazioni. Sempre nel 182 Tigidio Perenne diventa unico prefetto del pretorio (aveva eliminato il collega) e tiene di fatto il governo dello stato fino al 185, quando viene accusato di corruzione, favoritismi e cospirazione contro l’imperatore ed eliminato. Il suo posto viene preso dal liberto Cleandro (prima volta di un liberto, non appartenente al ceto equestre, nella prefettura del pretorio) che fino al 190 vende i titoli di console ed altre magistrature, fa entrare liberti in Senato, rovescia le decisioni dei tribunali in cambio di denaro. Tra 190 e 192 il governo è in mano al cortigiano Electo e il prefetto del pretorio Leto. In tutti questi anni Commodo si occupava solo di offrire lussi e giochi alla plebe di Roma, specie spettacoli di gladiatori; per rimpinguare le casse dello stato, già colpite dalla carestia e sotto pressione per gli spettacoli voluti dall’imperatore, vengono orditi processi di tradimento con conseguente confisca dei beni di senatori e cavalieri, oltre che sospesi i sussidi delle istituzioni alimentari e i donativi ai soldati. Commodo prende una deriva sempre più autocratica, introduce innovazioni anche in campo religioso (si faceva chiamare Ercole), rifonda Roma con il nome di Colonia Commodiana, si presenta in pubblico vestito da gladiatore. A fine 192 Commodo voleva recarsi ad assumere il consolato per l’anno successivo uscendo dalla scuola gladiatoria con abiti gladiatori e un seguito di campioni dell’arena, Electo e Leto provano ma non riescono a dissuaderlo e sono costretti a congiurare contro di lui uccidendolo. CRISI E RINNOVAMENTO La crisi del III secolo e le riforme di Diocleziano Il periodo che va dalla morte di Commodo (192) all’accessione al trono di Diocleziano (284) riforma radicalmente la natura dell’Impero romano, specie con una crisi che va dal 235 al 284. Il terzo secolo è caratterizzato dalle invasioni barbariche, ma ci sono diverse opinioni sul perché a partire da questo secolo si spingono entro i confini romani. Secondo alcuni è il frutto di un effetto domino delle migrazioni delle popolazioni baltiche su quelle germaniche che poi si riversano sull’Impero romano; questa crisi demografica e conseguentemente migratoria dell’Europa settentrionale potrebbe essere dovuto l’impoverimento del territorio o il cambiamento climatico. Secondo altre teorie il fenomeno è dovuto ad un cambiamento sociale delle popolazioni germaniche, che non ragionano più per singole tribù ma in confederazioni/leghe di scopo militare (una conformazione ibrida tra singola tribù e Stato) che le rendono più potenti e aggressive (ad esempio gli Alamanni o i Franchi). La certezza è però che le invasioni del terzo secolo, a differenza di quanto avverrà nel quarto e quinto secolo, non sono volte all’insediamento ed alla conquista del territorio, bensì solamente alla depredazione e saccheggiamento del territorio. Altre fondamentali problematiche sono: la mancanza di un sistema di successione ben definito della carica imperiale, il cambiamento nel panorama religioso con l’ascesa e la persecuzione del cristianesimo (favorito da una diffusa sfiducia nei valori tradizionali alimentata dalla crisi economica e sociale), la crisi in campo fiscale aggravata dalla rapida svalutazione della moneta che contribuisce alla decadenza economica, lo svilimento delle funzioni del Senato ad organo meramente burocratico mentre aumentano le tendenze assolutistiche del principato. Con l’uccisione di Commodo è nominato imperatore l’anziano senatore Pertinace, che aveva alle spalle una prestigiosa carriera. È una situazione simile a quella del periodo di Nerva, ma Pertinace non riesce nella sua opera di riforma perché nel 193 è ucciso dalla guardia pretoriana. È nominato imperatore Didio Giuliano, console con lo stesso Pertinace, ricco che cerca di ingraziarsi i pretoriani con il suo patrimonio. Come in occasione della crisi del 68-69 la parola passa agli eserciti provinciali, che nominano imperatore il governatore di Pannonia Settimio Severo. Settimio Severo (193-211): arrivato a Roma fa condannare a morte gli assassini di Pertinace, scioglie la guardia pretoriana e la sostituisce con uomini delle sue legioni. Trascorre la prima parte del suo principato per consolidare la sua posizione (erano scoppiate guerre civili e proclamazione di imperatori in altre parti dell’Impero), prima sconfigge il governatore di Siria nel 194, poi nomina suo figlio Caracalla come suo successore e nel 197 sconfigge l’ex alleato governatore della Britannia. Rientrato a Roma nel 202, associa al trono anche il figlio minore Geta. Intraprende una campagna britannica a partire dal 208 ma senza risultati significativi contro la resistenza scozzese, muore a York nel 211. L’eredità di Settimio Severo è contraddittoria: da una parte lascia l’Impero territorialmente integro, ma dall’altra designa successori indegni e inetti e i privilegi da lui concessi all’esercito (innalzamento della paga dei soldati) causa gravi conseguenze sulle condizioni economiche dell’Impero. Caracalla (211-218): questo è un principato di atti di crudeltà, abusi di vario genere e dissesto finanziario; alla morte del padre fa assassinare il fratello minore Geta, tutti i suoi sostenitori e chiunque potesse avere un legame di parentela, anche lontano, con un precedente imperatore. Nel 212, con la Constitutio Antoniniana, concede la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero ad eccezione dei dediticii (sudditi o barbari non ancora assimilati). Alla base di questa decisione non c’è solo la legalizzazione di una trasformazione di fatto della società romana (non vi era più differenza tra italici e provinciali) ma anche ragioni fiscali, perché quest’atto legislativo aumenta il numero dei contribuenti. Riforma monetale di Caracalla: introduce l’antoniniano, moneta del valore nominale di due denari pur avendo un valore effettivo di un denaro e mezzo (è un classico del III secolo l’immissione di moneta di pessima qualità). Dal 213 è impegnato contro i Marcomanni, nel 215-216 è in Egitto e ordina il massacro della popolazione di Alessandria, nel 218 in Siria viene ucciso da un soldato della sua guardia pretoriana. Dopo il suo assassinio è imperatore Macrino, un funzionario senza particolare distinzione che non era neppure membro del Senato. Intanto la zia materna di Caracalla, Giulia Mesa, aveva due nipoti da due diverse figlie, i futuri Elagabalo e Severo Alessandro. Proprio nel 218 circola voce che questi siano due figli naturali di Caracalla e che Macrino voglia imporre un programma di austerità economica, così gli eserciti sostengono Elagabalo e giustiziano Macrino. Elagabalo (218- 222) è uno dei momenti più oscuri dell’Impero, ricordato per innumerevoli stranezze, intenso misticismo e tentativo di imporre come religione di Stato un culto esotico e stravagante (il Dio Sole). Nel 222 è assassinato dai pretoriani che proclamano imperatore il cugino Severo Alessandro. Severo Alessandro (222-235): torna a buoni rapporti con il Senato anche grazie all’aiuto del prefetto del pretorio Ulpiano, giurista di notevole livello. Intanto i persiani, che avevano spazzato il regno partico, compiono diverse incursioni. Vengono affrontati a partire dal 232 ma senza vittorie decisive. Severo Alessandro nel 235 viene a conoscenza che ci sono state invasioni barbariche e arriva a Magonza sul limes renano. Qui le legioni della Pannonia, indispettite dal suo non interventismo (cercava una soluzione diplomatica con i barbari) nel 235 lo uccidono e nominano imperatore Massimino il Trace. Massimino il Trace (235-238), Gordiano I e II e III: con lui ha inizio il periodo di “anarchia militare” che terminerà nel 284. Massimino era in quel momento prefetto tironibus, cioè addetto alle reclute, un ruolo militare di molto basso livello, ma dall’aspetto fisico terrorizzante; era nato in Tracia, una terra considerata barbarica perché anche se entrata nell’Impero già nel I secolo d.C. la romanizzazione era avvenuta solo nelle coste e nelle principali città, il resto della popolazione della Tracia è estranea alla tradizione ellenistica. Di lui si dice che da piccolo fosse un pastore (un elemento connotativo tipico di altri imperatori del III secolo. La nomina di Massimino viene accettata anche da Senato e governatori provinciali. Nell’arco del suo triennio imperiale intraprende una serie di campagne contro i barbari non difensive ma offensive, spingendosi anche per trecento kilometri nel territorio barbarico. È il primo imperatore a non recarsi mai a Roma. Nel 238 Massimino è nominato nemico pubblico dal Senato. Sempre nel 238 nella provincia proconsolare d’Africa scoppia la rivolta dei Gordiani: nella città di Tisdro la richiesta del pagamento delle tasse da parte del procuratore ad alcuni giovani aristocratici porta questi ultimi a proclamare il proconsole Gordiano imperatore (è inusuale perché ci troviamo in una regione senatoria, del popolo, priva di legioni, sono dei civili a proclamarlo imperatore). Il Senato approva subito la proclamazione di Gordiano (quest’ultimo stesso era un senatore) e c’è un rapido giro di vite degli uomini fedeli a Massimino a Roma. Ma accanto all’Africa proconsolare vi era la provincia di Numidia (questa con legioni) dove il legato Capelliano, su indicazione di Massimino, guida le sue truppe contro Gordiano vincendolo facilmente e uccidendolo. A questo punto il Senato, con un unicum nella storia romana, nomina una commissione di venti uomini che devono difendere lo Stato dal tiranno Massimino, ed all’interno della commissione sono individuati due Augusti (non più una soluzione monocratica ma la diarchia tipicamente repubblicana). A questa notizia la plebe, che pure non ama Massimino, con una serie di rivolte di piazza reclama che l’Impero sia affidato al nipote di Gordiano, Gordiano III, rivendicando il principio dinastico di successione del potere. Gordiano III viene nominato Cesare dai due Augusti che sono poi uccisi dai pretoriani, Massimino destinati al mercato regionale); compare la figura del colono, coltivatore di stato libero ma di fatto vincolato alla sede in cui lavora, assimilabile per molti aspetti a uno schiavo. Costantino (306-337): proclamato Augusto nel 306, è subito messo in crisi il sistema tetrarchico con le aspirazioni in Occidente anche di Massenzio, figlio di Massimiano. Costantino adotta una politica prudente fino al 310, quando anch’egli abbandona l’ideologia della tetrarchia. L’anno successivo muore Galerio, che aveva già ordinato di cessare le persecuzioni contro i cristiani, e nel 312 viene sconfitto Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio alle porte di Roma (la vittoria che Costantino dice di aver ottenuto nel segno della croce di Cristo). Nel 324 sconfigge l’Augusto d’Oriente Licinio ad Adrianopoli e diventa unico imperatore. Riforme: vengono istituite 4 prefetture (Gallie, Italia e Africa, Illirico, Oriente) ciascuna retta da un prefetto del pretorio (al cui interno c’erano le diocesi che a loro volta contenevano piccole province). L’Italia è l’unica diocesi con due vicari del prefetto del pretorio, uno a Milano ed uno a Roma. Crea i “comites”, compagni dell’imperatore, un nuovo ordine di merito cui erano affidate funzioni legate alla sfera ecclesiastica o sostituzioni di vicari del prefetto presso una diocesi. Il prefetto del pretorio diventa un magistrato periferico con funzioni solo civili, l’esercito, affidato ai magistri militum, diventa mobile mentre i soldati impegnati sul limes sono peggio pagati e peggio istruiti. Per reclutare milizie si riduce l’altezza richiesta alle reclute, si rafforza l’ereditarietà della professione militare e si concedono privilegi ai veterani per attirare volontari: ma proprio perché i contadini sono sempre più legati alla terra l’esercito è sempre più composto da barbari. Fa costruire grandi edifici di culto cristiani. Fonda Costantinopoli a partire dalla vittoria del 324 inaugurandola come “nuova Roma” nel 330: la dota di un suo Senato e la pone in una posizione strategica. Religione: nel 311 Galerio aveva riconosciuto il fallimento delle persecuzioni contro i cristiani e decide di cessarla aggiornando in modo coerente il progetto dioclezianeo di cui lui si ritiene interprete fedele (visto il fallimento, non valeva la pena continuare). In questo sfondo Costantino, che l’anno successivo sarà unico Augusto d’Occidente) abbandona politicamente la tetrarchia e religiosamente la pluralità di dèi che presupponeva diverse divinità tutelari. Egli era alla ricerca di una divinità personale che esercitasse una tutela esclusiva su di lui, un monoteismo che non coincide inizialmente per forza con il cristianesimo ma forse con un generico dio Sole. Con la battaglia di Ponte Milvio aveva già iniziato un percorso di dialogo con il cristianesimo, fede e politica si incontrano e le sue scelte religiose sono un segno evidente della lucidità dei suoi istinti politici, tanto che inizia a presiedere anche a discussioni con i vescovi sulle questioni dottrinali della fede. Quello che appare fuori discussione è la scelta monoteista, infatti anche dopo la conversione esplicita al cristianesimo Costantino tollera definizioni neutrali della divinità purché quest’ultima sia unica e non più plurima. L’editto di Milano del 313 (che non è un editto ma un accordo), importante per la sua funzione propagandistica, in realtà viene sottoscritto da Licinio che d’accordo con Costantino concede ai cristiani orientali di ottenere la restituzione delle proprietà confiscate (già due anni prima Galerio aveva concesso libertà di culto) mentre in Occidente i cristiani avevano già pieni diritti. Il battesimo dell’Imperatore avviene solo in punto di morte, nel 337, con l’uso corrente di assicurarsi la vita eterna venendo lavati da tutti i peccati terreni prima di morire. Costantino muore il giorno di Pentecoste del 337, una coincidenza letta in chiave provvidenzialistica come benedizione divina a lui e ai suoi figli cui doveva spettare la successione; il primo imperatore cristiano è presentato come il vescovo di tutti i laici, sepolto a Costantinopoli e venerato come santo dalla Chiesa orientale. A fronte di un’opera di riforma così sistematica dello Stato, Costantino non affronta allo stesso modo la sua successione. Nel 337 si crea un clima di incertezza, i suoi tre figli erano stati investiti della dignità imperiale, per cui era plausibile un ritorno al potere retto da una pluralità di sovrani, ma un collegio di sovrani posti sullo stesso livello non poteva essere concepita dall’uomo che aveva ristabilito l’unità imperiale e il regno di un solo imperatore (forse nei suoi programmi il ruolo di Primo Augusto spettava al primogenito Costantino II). A Costantino II vanno Gallie, Britannia e Spagna, a Costante Italia e Africa e a Costanzo II Oriente. Ma è un accordo precario perché nel 340 Costantino II paga con la vita l’incursione compiuta nei territori di Costante e quest’ultimo muore per mano di un usurpatore nel 350 dopo un decennio di cattivi rapporti con il fratello governante l’Oriente. Costanzo II, rimasto unico imperatore, è costretto a nominare Cesare suo cugino Giuliano per l’Occidente, il quale ottiene un successo sugli Alamanni nel 357. Giuliano è nominato imperatore dai suoi soldati nel 360, sembra l’inizio di un nuovo conflitto fratricida che è prevenuto solo dalla morte di Costanzo II nel 361. I due anni di impero di Giuliano (che muore nel corso di una campagna contro i Persiani) è ricordato per un suo effimero tentativo di reintrodurre la religione pagana, riconoscendo la forza del proselitismo cristiano in virtù della sua organizzazione assistenziale invita i sacerdoti pagani a ripristinare il primato del paganesimo nel campo dell’assistenza a poveri e stranieri. Nel 363 nominato imperatore il cristiano Gioviano che inizia la ritirata dalla Persia e invia una missione in Illirico e in Gallia per dare notizia della sua elezione imperiale. Di questa missione fa parte Valentiniano, che convince alla fedeltà gli eserciti occidentali e ottiene una promozione a una carica imprecisa ma molto vicina all’imperatore. Nel 364 arriva la notizia inaspettata della morte di Gioviano e pochi giorni dopo l’esercito nomina imperatore Valentiniano, il quale prende governo dell’Occidente mentre associa al titolo di Augusto e affida il governo dell’Oriente al fratello Valente. Occidente: Valentiniano sposta la sua sede prima a Milano e poi a Treviri ma concentra le sue energie in Gallia dove resta fino alla sua morte riorganizzando l’esercito e la difesa della frontiera renana. Nel 368 guida una spedizione transrenana con il supporto di contingenti dall’Italia e dall’Illirico, è l’ultima spedizione romana vittoriosa oltre il Reno. Muore nel 375 e oltre al figlio designato Graziano i soldati elevano al trono anche l’altro figlio Valentiniano II per rafforzare la dinastia e la stabilità politica. Oriente: Valente deve affrontare l’incursione degli Unni nell’Europa centro-orientale che ponevano pressione su Goti, i quali a loro volta premono sulla frontiera danubiana e sconfinano in Tracia. Qui, nel 378, ad Adrianopoli l’esercito romano è sconfitto e Valente ucciso: è una sconfitta di estrema gravità che annuncia la fine dell’Impero d’Occidente, perché l’esercito non è più in grado di fronteggiare i barbari ed è a sua volta vittima di una barbarizzazione che provoca reazioni negative negli ambienti più conservatori. Graziano chiama il generale spagnolo Teodosio per guidare l’Impero ad Oriente e quest’ultimo conclude un accordo con i Goti che sono riconosciuti all’interno dell’Impero come popolazione autonoma (mantengono loro capi e loro leggi, sono solo tenuti a fornire soldati in caso di necessità): è la prima volta che un accordo con popolazioni straniere non avviene a seguito di un successo militare, condizione preliminare necessaria fino a quel omento per l’immissione di popolazioni straniere entro i confini romani al fine di esercitare su di esse uno stretto controllo. Intanto nel 383 l’usurpatore spagnolo Massimo invade la Gallia e Graziano, abbandonato dai suoi soldati, si suicida. Massimo punta verso l’Italia dove risiedeva Valentiniano II ma Teodosio interviene in favore di quest’ultimo sconfiggendo Massimo. Nel 392 Valentiniano II è vittima di una congiura e Teodosio si ritrova unico imperatore. Teodosio nel 380 aveva tramite editto reso il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero, ha continui confronti con il vescovo di Milano Ambrogio e convoca un concilio ecumenico a Costantinopoli. Dunque la svolta costantiniana a favore del cristianesimo è corroborata dalla legislazione antipagana degli imperatori successivi, dal rifiuto del titolo di pontefice massimo di Graziano e culmina nell’editto di Teodosio. LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE E BISANZIO La fine dell’Impero romano d’Occidente I Germani scalano sempre più le gerarchie militari, la carriera nell’esercito dipende da capacità personali e favore imperiale, non appartenenza a un ordine. Inoltre il ceto senatorio era stato escluso dai comandi militari e quindi cambia la base sociale di reclutamento degli ufficiali. Di regola le popolazioni germaniche non ottengono la cittadinanza. Fino ad Adrianopoli erano inclusi dentro i confini perché utili come militari e come contadini, ma con apposita legislazione si vietano matrimoni misti per ostacolare la loro integrazione. Nel 395 muore Teodosio e l’impero viene per la prima volta e per sempre diviso in due parti tra i suoi due figli: ad Arcadio l’Oriente e a Onorio l’Occidente: due imperatori, due corti, due amministrazioni, due eserciti. L’Oriente doveva affrontare i persiani, l’Occidente i barbari. Sempre nel 395 i Goti, ormai stanziati in Tracia e guidati da Alarico, chiedono un nuovo accordo di pace che non viene concesso e dunque lanciano un’offensiva in tutta l’area balcanica, così nel 397 Arcadio concede loro di stanziarsi in Dacia e Macedonia. A causa della confusa situazione orientale (manovre di palazzo) Alarico sposta il suo popolo verso l’Italia nel 402 e nel 406. La volontà unitaria di Teodosio era stata affidata al generale vandalo Stilicone che aveva entrambi i figli imperatori in tutela ma non può realizzarlo per l’aggravarsi della situazione militare: oltre all’invasione gotica dell’Italia del 402 e 406 (fermate da lui) deve affrontare il travolgimento della frontiera renana del 406 da molte popolazioni germaniche (vandali, alamanni, burgundi, franchi, svevi). La Britannia si stacca definitivamente dall’Impero. Stilicone tenta un accordo con Alarico e per questo motivo la corte imperiale (trasferita ora a Ravenna) lo uccide. Allora Alarico scende di nuovo in Italia nel 208, pone Roma sotto assedio e impone al Senato un pesante tributo, chiede a Onorio il titolo di generale dell’esercito romano ma la sua richiesta e rifiutata, quindi nel 410 attua il famoso sacco di Roma (episodio della gallina di Onorio). Dopo il saccheggio Alarico si muove verso sud e muore in Calabria, i Goti si recano nella Gallia meridionale dove danno vita a uno Stato autonomo così come i Burgundi. Nel 421 Flavio Costanzo, generale che aveva sposato Galla Placidia sorella di Onorio, si fa proclamare imperatore ma muore nello stesso anno senza essere riconosciuto dall’Oriente. 423 muore Onorio. 425 riconosciuto imperatore il figlio di Flavio Costanzo, Valentiniano III. Il regno di quest’ultimo è retto dalla madre Galla Placidia e dal capace generale Ezio. Ezio riesce a respingere Franchi e Alamanni e a sottomettere i Burgundi, ma nel 439 deve fronteggiare l’invasione dei Vandali di Genserico in Africa, cui concede nel 442 la posizione di re vassallo dell’Impero perché minacciato su altri fronti dagli Unni. Quest’ultima popolazione, che aveva spinto i Goti nel 376 oltre il Danubio provocando la sconfitta romana di Adrianopoli, occupava la pianura ungherese e negli ultimi decenni aveva collaborato con i Romani per aiutarli nella sottomissione dei Burgundi e dei Visigoti. Attila però nel 442 pone fine alla collaborazione arrivando a minacciare Costantinopoli e devastando Balcani e coste dell’Egeo nel 442-443 e nel 447. Nel 451 sposta le sue mire in Occidente e invade la Gallia, Ezio è all’altezza della situazione e con un esercito eterogeneo di contingenti italici, galli, burgundi e visigoti lo ferma. Attila ci riprova nel 452 assediando ed espugnando sia Aquileia che Milano, ma deve poi tornare sui suoi passi ritirandosi nell’Europa centrale perché il suo Impero non aveva le basi per un vero governo ma era adatto al solo saccheggio. A questo punto, nel 452, l’Impero d’Occidente aveva perso il controllo sulla Britannia, La ripresa della guerra e il problema dell’eccezionalità romana Pace non dura molto → Scarsa volontà dei contraen di rispe"arla Filippo rivolge lo sguardo dall’Adriaco all’Egeo  Visto che in Occidente non aveva trovato fortuna si rivolge altrove  204 A?data una @o"a corsara all’etolo Dicearco → Far bo0no – Intervenire con i Cretesi contro Rodi o Eraclide di Taranto nge di essere un fuggiasco, si rifugia a Rodi e da fuoco agli arsenali e danneggia la @o"a  202 Con la @o"a va verso la Tracia e gli stre0 → Controllare il commercio con il Ponto o Prese Lisimachia, Calcedone, Perinto e Cio (consegnata a re Prusia)  Rodii intervenu a favore di Cio → Inganna → Osli a Filippo  Etoli, allea delle ci"à, osli a Filippo o Presa di Taso → Filippo mostra di nuovo la sua slealtà  201 o Ba"aglia navale di Lade contro i rodii o Ba"aglia navale di Chio contro Rodi e Pergamo o Invasione dei territori pergameni  Di?coltà di approvigionamento → Bloccato nel golfo di Bargilia dalle @o"e di Rodi e Pergamo  Costre"o a rirarsi Ripresa immediata del con@i"o contro i Macedoni dopo la pace con Cartagine  Punire Filippo per l’alleanza con Annibale – Imporsi sul mondo greco → Militarismo aggressivo  201 o Ba"aglia navale di Lade contro i rodii o Ba"aglia navale di Chio contro Rodi e Pergamo o Invasione dei territori pergameni  Di?coltà di approvigionamento → Bloccato nel golfo di Bargilia dalle @o"e di Rodi e Pergamo  Costre"o a rirarsi Ripresa immediata del con@i"o contro i Macedoni dopo la pace con Cartagine  Punire Filippo per l’alleanza con Annibale – Imporsi sul mondo greco → Militarismo aggressivo  Necessità di prevenire possibili minacce dall’Adriaco → Imperialismo difensivo Pace non dura molto → Scarsa volontà dei contraen di rispe"arla Filippo rivolge lo sguardo dall’Adriaco all’Egeo La pace di Fenice non dura a lungo, probabile che i contraenti sapessero che fosse un accordo instabile tanto che nella tradizione romana prima e seconda guerra macedonica sono un unico conflitto interrotto solo per la defezione degli Etoli e poi ripreso immediatamente dopo la pace con i Cartaginesi. Filippo V distoglie lo sguardo dall’Adriatico e lo rivolge verso l’Egeo, stringendo alleanza con il re di Siria Antioco III e inimicandosi Rodii, Egiziani, Achei e Ateniesi, Etoli. La volontà del Senato romano di riaprire le ostilità dopo vent’anni di guerra annibalica devastante divide gli storici: imperialismo difensivo o militarismo aggressivo? Di sicuro nel 203 alcune città greche dell’area illirica inviano al Senato ambascerie lamentando devastazioni macedoni, ma i macedoni rispondono rigettando le accuse e le responsabilità agli alleati greci del popolo romano. Arrivano ambascerie richiedenti aiuto anche da Rodi, da Attalo I di Pergamo e dagli Ateniesi (tipico di Livio e in generale della tradizione romana riportare le guerre combattute dalla Repubblica alla generosa difesa degli alleati aggrediti). A una prima richiesta degli Etoli di essere di nuovo alleati Romani il Senato avrebbe risposto con un rimprovero per la pace separata conclusa con i macedoni qualche anno prima. Nel 202 vengono estratte le province per i consoli e la Macedonia va a Publio Sulpicio Galba che chiede di condurre la guerra ma la richiesta è respinta dai comizi centuriati (il popolo era stanco dalla guerra annibalica e il tribuno Quinto Bebio demagogicamente accusa il Senato di seminare continue guerre senza far godere la pace ai plebei). Una seconda votazione, secondo Livio qualche ora dopo la prima dopo pressioni del Senato e di Galba, ma più probabilmente a distanza di mesi e di nuove richieste di aiuto da diverse ambascerie, cambia il risultato e si dichiara guerra. La guerra preventiva è così la scusa di una classe dirigente bellicosa per imporre la via delle armi a una popolazione incline alla pace; e il preteso disinteresse senatorio per l’Oriente è più prudenza perché nel sistema politico romano era necessario il consenso popolare per dichiarare guerra. Sovrano tracio Teres aderisce ad Andrisco → Con le truppe reclutate nella regione invade la Macedonia  Primo scontro perso  149 Scongge i Macedoni sullo Strimone  Vince i Macedoni una seconda volta → Controllo di tu"a la Macedonia Reazione romana lenta  Inviato il legato Publio Cornelio Scipione Nasica o Informa il senato della gravità della situazione o [Polibio] → Ammesso il favore della popolazione per Andrisco [Diba0to contemporaneo] → Peso dato al favore per Andrisco e al rimpianto dei Macedoni dipende dal giudizio sulla sistemazione della Macedonia da parte di Emilio Paolo  Svaria con@i0 civili → Instabilità Fa"ori di complicazione per le scelte delle assemblee con Andrisco  Timore delle armi romane  Risenmen per lo smembramento della Macedonia  Contrapposizione tra i ce avvantaggia dal nuovo dominio e quelli che erano sta avvantaggia dal vecchio  Massiccio reclutamento di Traci → Oslità Macedoni- Traci fu fa"ore di sospe0 e avversione 133 Muore A"alo III → Regno di Pergamo lasciato in eredità ai Romani  Eredità contestata da un glio illegi0mo di Eumene II, Aristonico → Prende il nome di Eumene III  [Strabone] o Aristonico prende Leukai → Scacciato dopo la scon"a della @o"a di Efeso a Cuma o Ripiega verso l’interno → Raduna un gran numero di poveri e schiavi o Contro Aristonico si mobilitano i re di Binia e Cappadocia o Roma invia prima una legazione o 131 Console Publio Licinio Crasso trova la morte a Leukai o Apollonio messo a capo del conngente militare per comba"ere l’usurpatore  Focea o Risenmento per il saccheggio e le devastazioni contro i pa0 al tempo della guerra siriaca o Ci"à rischia di essere annientata alla ne della guerra  Salvata dall’intervento in sua difesa di un ambasceria della sua anca fondazione Massalia La seconda guerra di Macedonia (200-197) Nel 200 Attalo I entra ad Atene e la convince a dichiarare guerra a Filippo perché supportata da lui stesso, Roma e Rodi (segno che i sentimenti antimacedoni sono ancora molto diffusi nel mondo greco). Nello stesso anno Filippo saccheggia l’Attica e muove in Tracia e sulla costa asiatica (ad Abido, al cui ingresso i pochi superstiti si suicidano e uccidono i propri familiari per non cadere nelle mani macedoni, un segno dell’attaccamento alla libertà delle poleis greche). Ad Abido Filippo è raggiunto da Lepido che gli riporta le decisioni del Senato: non doveva muovere guerra a nessuno dei Greci, non doveva aggredire il regno tolemaico, doveva rispondere dei torti recati ad Attalo e i Rodii e se non avesse obbedito avrebbe dovuto affrontare la guerra con i Romani (l’incontro non poteva produrre altro che una rottura e i Macedoni si dichiarano pronti alla guerra se i Romani non avessero rispettato il trattato di pace). Filippo nell’autunno 200 lascia una guarnigione ad Abido, torna in Macedonia, apprende dello sbarco di Galba, cerca l’alleanza della Lega Achea ma riesce ad arruolare solo dei volontari (la Lega era divisa al suo interno tra posizioni filomacedoni e contrari per cui sceglie la neutralità). Il 199 vede l’entrata in guerra degli Etoli dopo un dibattito tra ambasciatori macedoni, romani e ateniesi: i primi insistono sulla libertà dei Greci e sulla barbarie dei Romani mentre gli ateniesi ricordano le empietà commesse dai Macedoni contro sepolcri e santuari a testimonianza di come siano loro i veri barbari. Gli Etoli si concedono un’ulteriore riflessione e prenderanno le parti dei Romani solo in estate 199 dopo alcuni successi di Galba (opportunisti, per loro la questione era capire quale minaccia fosse maggiore tra Macedoni e Romani). Sul finire del 199 Filippo, consapevole della superiorità militare della coalizione nemica, ha come obiettivi evitare la battaglia campale con i Romani fino ad ottenere condizioni di pace favorevoli e sfruttare l’eterogeneità della coalizione per far emergere i sentimenti antiromani diffusi in Grecia; in questo senso tenta di rinsaldare l’alleanza con gli Achei restituendo loro alcune località del Peloponneso. Nel 198 arriva il giovane console Tito Quinzio Flaminino che rileva gli eserciti romani e sottomette l’Epiro risparmiandolo (attirando così anche forze di volontari epiroti come truppe ausiliari); si dirige poi verso la Tessaglia inseguendo Filippo che svuota e brucia le città per tagliargli i rifornimenti. Intanto la flotta romana, guidata dal fratello del console Lucio Quinzio Flaminino arriva a Corinto dove grazie ad Aristeno l’assemblea della Lega Achea vota per l’ingresso nella coalizione antimacedone (non tutte le città aderiscono a questa drammatica assemblea, obblighi di riconoscenza antichi e recenti legavano gli Achei ai Macedoni); stessa cosa viene tentata con gli Acarnani che si dimostrano però fedeli ai Macedoni (in loro era forte l’odio nei confronti degli Etoli che avevano da tempo mire espansionistiche sull’Acarnania). Flaminino penetra fino ad Elatea dove pone il quartier generale romano, Filippo cerca di approfittare della stagione invernale in cui si interrompono le operazioni belliche per instaurare trattative di pace, Flaminino accetta la proposta del re macedone perché non sapeva se gli sarebbe stato prorogato il comando della spedizione (se sì, avrebbe fatto naufragare le operazioni di pace per perseguire la piena vittoria militare (e così avviene), se no, avrebbe trovato la soluzione negoziale del conflitto). Si arriva al 197, Flaminino ancora al comando attira a sé anche i Beoti (tra gli alleati macedoni c’era la diffusa consapevolezza dell’inevitabilità della sconfitta) e Filippo è costretto ad abbandonare tutti i presidi non irrinunciabili e a reclutare vecchi veterani e sedicenni. Allo scontro decisivo a Cinoscefale si arriva quasi per caso, in Tessaglia, dopo una lunga inconsapevole marcia parallela dei due eserciti: 8mila caduti e 5mila prigionieri macedoni contro 700 morti romani, Filippo si dà alla fuga. Ma il successo militare non contribuisce all’armonia della coalizione con incomprensioni e risentimenti tra Etoli e Romani: i primi volevano proseguire fino alla deposizione del re macedone, i secondi non volevano liberarsi di lui per poi concedere l’egemonia sul mondo greco agli Etoli. Ripiegato in Macedonia Filippo chiede una tregua per aprire trattative di pace e si riaprono le questioni già dette tra Etoli e Romani; il Senato nomina una commissione di dieci membri per collaborare con Flaminino nella definizione delle condizioni di pace, Filippo deve cedere le città greche occupate e Flaminino concede loro la libertà venendo acclamato e smentendo gli Etoli che pensavano le volesse controllare. Nel 195 Flaminino arriva a un negoziato con Nabide, tiranno di Sparta, intimandogli di lasciare Argo e nel 194 fa ritorno a Roma. La guerra contro Antioco III e gli Etoli Contatti diplomatici tra l’imperatore seleucide Antioco III e la coalizione antimacedone (specie Romani e Rodii) già nella seconda guerra macedonica per assicurarsi la neutralità dell’imperatore. Nel 197 Antioco si era mosso verso l’Asia Minore, intimato di fermarsi dai Rodii prosegue alla conquista della Licia, ma non si viene allo scontro perché nel frattempo con la battaglia di Cinoscefale era scemata la possibilità che potesse ricongiungersi a Filippo (in realtà la possibilità che macedoni e seleucidi si unissero era solo teorica, i due sovrani erano sì uniti da un trattato antitolemaico ma divisi da ambizioni contrastanti, interessi inconciliabili e reciproci sospetti). Nel frattempo a fine 197 Antioco conquista Efeso e a inizio 196 assedia Smirne e Lampsaco (la loro resistenza è alimentata dalla promessa romana di difesa della libertà di tutte le città greche, d’Europa e d’Asia). Nel 196 Antioco passa in Tracia e diverse città si sottomettono spontaneamente, qui a Lisimachia c’è un incontro tra il sovrano e alcuni legati romani, ecco richieste romane e risposte di Antioco:  Abbandonare città d’Asia sottratte a Tolomeo e liberare città d’Asia appartenute a Filippo V  come lui non si occupava dell’Italia i Romani non dovevano intromettersi negli affari dell’Asia  Rispettare città autonome  queste avrebbero ottenuto la libertà per sua concessione, non per ingiunzione dei Romani  Il passaggio in Europa era un atto ostile nei confronti dei Romani  il dominio seleucide sulla Tracia era stato ottenuto per diritto di conquista nel 281 (anche se poi perso a favore dei Tolomei e dei Macedoni) Le trattative poco proficue si interrompono per la falsa notizia della morte del sovrano egiziano Tolomeo V che mette in allarme entrambe le parti. Antioco torna in Asia e i legati tornano a Roma dove riferiscono della sua volontà di guerra in Europa, dell’aperta ostilità degli Etoli e della notizia che Annibale si era rifugiato proprio alla corte di Antioco. Nel 194 Scipione l’Africano, vincitore di Annibale, sostiene che quest’ultimo spinga il sovrano seleucide alla guerra, ma il Senato non gli concede il comando della guerra e invita Flaminino a riportare le truppe in Italia nell’ottica di farsi benvolere dai Greci dando loro libertà come promesso. Nel 193 Flaminino riceve a Roma l’ambasciata seleucide e promette loro di difendere le libertà delle città greche d’Asia se Antioco non avesse abbandonato l’Europa. Gli Etoli cercano di costruire una coalizione con Antioco, Filippo e Nabide, anche se i risentimenti e reciproci sospetti sono molti (alcune di queste parti erano in guerra tra loro nella seconda guerra macedonica), e con uno stratagemma/occupazione militare portano nella loro coalizione Demetriade, convincendo Antioco a salpare verso la Grecia. La sincera riconoscenza dei Romani è riconosciuta solo ad Atene, tra gli Achei, in Tessaglia e a Calcide. Inizia la guerra romano-siriaca (192-188): Antioco e gli Etoli cercano di convincere Calcide che però resta fedele a Roma, stessa sorte presso gli Achei che dichiarano guerra alla coalizione antiromana. Cinquecento romani sono massacrati senza formale dichiarazione di guerra, così Antioco convince Calcide e le altre città dell’Eubea a passare dalla sua parte. Epiroti, Beoti e Tessali si dimostrano amichevoli con il re seleucide ma vogliono restare neutrali: Annibale analizza lucidamente la situazione (l’alleanza con questi tre popoli era inutile perché militarmente ininfluenti e sarebbero passati dalla parte romana per paura appena sarebbero sbarcati i Romani, era meglio l’alleanza con Filippo perché più influente ed una volta sceso in campo non avrebbe potuto cambiare fazione) ma non viene ascoltato, anche perché in caso di vittoria gli Etoli non volevano cedere la Tessaglia alla Macedonia e Antioco non voleva cedere il ruolo di difensore dei Greci a Filippo. I Romani a fine 192 si preparano alla guerra: difesa delle coste, consultazione con alleati (Cartagine, Massinissa, Egitto e soprattutto Filippo V), arruolamento di soldati e affidamento del consolato nel 191 a Manio Acilio Glabrone. Antioco prova a conquistare città nella Tessaglia ma all’arrivo romano si ritira e la Tessaglia torna filoromana (si avvera la profezia di Annibale). C’è malcontento e sfiducia tra gli alleati seleucidi, i rinforzi dall’Asia non arrivano e l’esercito di Antioco viene massacrato alle Termopili nel 191 anche per colpa della negligenza degli Etoli, mentre Antioco si
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