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Storia Romana: dalle origini alla Tarda Antichità., Sbobinature di Storia Romana

Sbobine dalle lezioni del 2023/2024: Parte monarchica, Repubblicana e Imperiale senza approfondimento monografico.

Tipologia: Sbobinature

2023/2024

In vendita dal 25/05/2024

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Scarica Storia Romana: dalle origini alla Tarda Antichità. e più Sbobinature in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Storia Romana. Lezione 28/02. La Storia Romana viene suddivisa in periodi convenzionali: Roma Monarchica, Roma Repubblicana dal VI al I secolo a.C. e Roma imperiale che comincia nel 27 a.C. fino al V secolo d.C. Questo lunghissimo periodo viene suddiviso in una fase alto-imperiale la cui fine possiamo collocare con il II secolo d.C. III secolo età di crisi e trasformazione e IV/V secolo tarda antichità. Ci occupiamo di una città che all’origine si presenta come un villaggio a circa 20km dalla foce del Tevere. Va subito sottolineata l’importanza della correlazione tra spazio ed eventi, non possiamo prescindere dalla collocazione nello spazio cosi come da quella nel tempo. Siamo in una zona vulcanica del Lazio dove l’attività vulcanica determina continue eruzioni che danno vita al tufo da cui si formano i famosi sette colli della tradizione storiografica: Aventino, Campidoglio, Celio, Esquilino, Palatino, Quirinale e Viminale; Roma sorge sopra uno di questi sette colli. All’inizio parliamo soprattutto del Palatino, Aventino e Quirinale. Questi colli iniziano a presentare elementi umani a partire dal XIV secolo a.C. quindi prima del primo millennio ma la peculiarità di questi insediamenti è la mancanza di continuità; in questa fase non possiamo ancora parlare di insediamenti perenni ma occasionali. Solo a partire dal IX secolo a.C. possiamo parlare di un sito come perennemente abitato senza nessuna interruzione. Ma perché questo villaggio diventò una potenza regionale, poi nazionale e poi un impero ecumenico o mondiale? Proprio per la posizione strategica, la collocazione sulle alture tiene lontana la malaria e rappresenta un luogo protetto dalle epidemie, scendendo lungo il Tevere poi fino alla zona di Ostia (colonia creata dai primi sette re di Roma) troviamo le saline, fonte di ricchezza e di contesa alla base della guerra tra Roma e Veio. La Roma delle origini è una comunità pastorale, composta da pastori che si muovono sui vari colli, la nascita di Roma come città si ha quando si crea un’organizzazione centrale riconosciuta, cioè quando si esce dalla sfera del privato e subentra la sfera del pubblico, quindi la città nasce proprio quando avviene questo passaggio dalla dimensione privata alla dimensione pubblica; infatti quando nasce il centro abitato non necessariamente si parla ancora di centro politico. Le origini dalle fonti letterarie. A proposito delle origini di Roma, troviamo una notevole tradizione letteraria: abbiamo testimonianza in autori latini, Livio, Virgilio, Varrone; ma anche in autori della letteratura greca: Dionigi di Alicarnasso, Diodoro Sicuro, Plutarco. Con Livio siamo a cavallo tra I secolo a.C. e primo secolo d.C., per arrivare addirittura con Plutarco al II secolo d.C. Si tratta infatti di testimonianze parecchio postume rispetto ai fatti narrati e così come diceva Benedetto Croce: ogni storia è storia contemporanea, ogni uomo ricostruisce la storia di un determinato periodo sulla base della sua mentalità, le letture fatte dagli storici non possono prescindere dall’attualità in cui lo storico vive; e questo avviene per esempio con Livio e Virgilio, che si trovano a scrivere sotto una Roma che diventa impero, quindi nasce il problema dell’attendibilità di queste fonti. Gli autori ricostruiscono le vicende del passato in base alle categorie politico-sociali del loro tempo, ad esempio molti autori hanno vissuto le guerre civili del primo secolo a.C. quindi la contesa tra i due gemelli Romolo e Remo potrebbe essere la proiezione di queste guerre civili, guerre tra cives/cittadini alla stregua delle lotte tra fratelli. Quando nasce la letteratura latina, soprattutto quella che interessa a noi, l’annalistica? Nel III secolo a.C. e abbiamo visto che convenzionalmente Roma nasce nel 753 a.C. quindi c’è un gap temporale notevole. E il problema storiografico delle origini di Roma è proprio in questi cinque secoli, dall’VIII al I secolo a.C. (27 a.C.) periodo in cui da villaggio diventa città e da città diventa una potenza mediterranea. • Livio (59 a.C.-17 d.C.) Storia di Roma dalla sua fondazione (142 libri) • Virgilio, Eneide. • Varrone (116-27 a.C.) Antichità. • Dionigi di Alicarnasso (60 a.C.-7 a.C.) Antichità romane (20 libri dalle origini al 264 a.C.) • Diodoro Siculo (80 a.C.-27 a.C., Biblioteca storica (40 libri) • Plutarco (40-120 d.C.) Vite parallele (50 biografie di cui 46 a dittico…) Vita di Romolo e Vita di Numa. Ma già gli storici che abbiamo citato si rendevano conto dell’impresa quasi impossibile di queste ricostruzioni, Livio ci dice proprio questo nella prefazione all’opera “Ad urbe condita”, la storia di Roma a partire dalla fondazione: «Le leggende che corrono circa l’età anteriore alla fondazione di Roma o circa la fondazione stessa […] non mi sento né di accettarle né di respingerle. Alle antiche età si suole fare questa concessione, di rendere più venerabili i primordi delle città mescolando l’umano con il divino». Abbiamo anzitutto la denominazione precisa di “leggende” e non storia, nel suo animo non può né accettarle né respingerle. Livio non può attestare ciò che ci tramanda attraverso altre fonti. Nel I secolo a.C. Roma diventa un impero e bisognava nobilitare le origini di un’umile città di pastori, quindi non è casuale l’interesse per le origini di Roma. Lo storico del primo secolo a.C. però non ha dati certi e si fa la concessione di mescolare le cose divine a quelle umane. I primi annalisti sono Fabio Pittore e Cincio Alimento, siamo nel III secolo a.C. quindi sono autori che non ci sono giunti, abbiamo qualche estratto in quanto tramandatoci da Cicerone. Se possiamo dire che Cicerone e Livio hanno attinto alle opere di questi storici annalisti, non sappiamo se questi storici abbiano avuto la possibilità di avere a portata di mano le leggende romane e greche preesistenti. Sulle origini di Roma abbiamo un filone greco e uno romano. Un ciclo troiano, quindi greco e un ciclo romuleo. Ma tra le due tradizioni c’è un’incompatibilità, ossia i secoli che separano Enea da Romolo. I due eroi che troviamo alla nascita di Roma. Un autore della letteratura latina come Ennio nel II secolo ci presenta tranquillamente Romolo come nipote di Enea e Sallustio ci presenta Enea come fondatore di Roma. • Ma in realtà la storia di Enea come eroe greco esule troiano che fugge dalle ceneri di Troia per arrivare sulle coste del Lazio è una tradizione che risale alla letteratura greca e abbiamo un nome di uno storico specifico: Ellanico di Lesbo che scrive nel V secolo a.C. “i fatti di Troia”. Quindi agli occhi degli autori greci Roma diventa una fondazione greca, alla base della fondazione di Roma c’è Enea, ma solo per la tradizione greca, l’unico autore latino che parla di Enea come fondatore è Sallustio. • Mentre dall’altra parte abbiamo una tradizione latina/romana che pone alla base della fondazione di Roma Romolo. o Queste due tradizioni si uniscono attraverso la mediazione dei Tarquini, la fase in cui a Roma regnano dei re di origine etrusca. L’archeologia, attraverso i ritrovamenti di una serie di vasi rossi a figure nere che presentano scene con Enea, dimostrano come la tradizione greca fosse giunta in occidente tramite gli etruschi. E’ uno storico vissuto tra il IV e il III secolo, Timeo di Tauromenio, che fa una chiara divisione tra le vicende di Enea e quelle di Romolo e tra le due ci sono secoli di distanza, Enea lascia Troia nel XII secolo a.C. e le vicende di Romolo fanno riferimento all’VIII secolo a.C.. o Ovviamente viene fuori anche una tradizione, forse risalente a Fabio Pittore che risponde ad un interrogativo ben preciso: come riempire questi secoli tra il XII e l’VIII a.C.? Abbiamo la famosa leggenda in cui si viene a creare una dinastia che è quella dei re Albani, i re di Alba Longa. Enea arriva sulle coste del Lazio portando con sé il padre Anchise, che aveva generato Enea unendosi con la dea Venere, e il figlio avuto dalla moglie troiana, Assiano. Ad Assiano si fa risalire la fondazione di Alba Longa. Arrivando sulle coste laziali Enea sposa Lavinia e dal matrimonio con Lavinia nasce Silvio, alla morte di Assiano avremo a regnare Silvio. Ma di chi sarà figlio Romolo? Ad Alba Longa abbiamo la contesa tra Silvio e Assiano, poi la contesa tra Numitore e Amulio. Plutarco, Vita di Romolo 3, 1-6: «Tra i discendenti di Enea, che regnarono in Alba, la successione passò a due fratelli, Amulio e Numitore. Amulio propose di dividere tutto in due quote, mettendo in una il regno, nell’altra le ricchezze e l’oro portato da Troia; Numitore scelse il regno. Avendo quindi le ricchezze e divenuto grazie a esse più potente di Numitore, Amulio gli tolse facilmente il regno; temendo che dalla figlia di Numitore potessero nascere figli, la costrinse a farsi vestale, in modo che restasse sempre nubile e vergine. Alcuni la chiamano Ilia, altri Rea, altri Silvia. Non molto tempo dopo, si scopre che è incinta, contravvenendo alla regola imposta alle vestali: e la figlia del re, Anthò, riuscì a ottenere che non fosse uccisa, supplicando lungamente il padre; così venne imprigionata e visse senza contatti con nessuno, in modo tale che Amulio potesse essere informato al momento del parto. Partorì due bambini di bellezza e grandezza straordinarie. Ancora più spaventato per questo, Amulio ordinò a un servo di prenderli e di toglierli di mezzo. Secondo alcuni, il suo nome era Faustolo; altri però sostengono che Faustolo non era costui, ma quello che li raccolse. Posti i bambini in una cesta, scese al fiume per abbandonarli alla corrente; tuttavia, vedendo che l’acqua era troppo alta e scorreva vorticosamente, ebbe paura di accostarsi troppo e, dopo averli abbandonati lungo la riva, si allontanò. La corrente del fiume in piena, dopo aver fatto galleggiare e sollevato la cesta dolcemente, la spinse in un luogo dove il terreno era abbastanza soffice, quello che ora chiamano Cermalo, ma che un tempo si chiamava Germano, a quanto sembra perché i fratelli sono detti “germani”». Quindi quando il regno passò a Numitore e Amulio, Amulio propose di dividere tutto in due quote, una per il regno e l'altra per le ricchezze portate da Troia. Numitore scelse il regno. Avendo quindi le ricchezze, Amulio divenne più potente di Numitore e gli tolse facilmente il regno. Per evitare che i discendenti di Numitore reclamassero il trono, Amulio costrinse la figlia di Numitore a diventare una vestale, in modo che rimanesse vergine e non potesse avere figli. Le vestali erano giovani legate ad una castità trentennale, delle vergini, cosa che garantiva ad Amulio il fatto che la nipote non generasse dei figli. Facendo della nipote una vestale pensava di aver messo al sicuro il suo regno. Rea, Ilia o Silvia. Così non fu, ebbe un parto gemellare, che a Roma era un portentum, non è un caso che Romolo e Remo presentano una nascita eccezionale. Amulio ordinò ad un servo di prenderli e liberarsene e posti i bambini in una cesta scese al fiume per abbandonarli ma vengono poi ritrovati sotto un albero di fico. Fabio Pittore racconta invece che la Vergine uscì ad attingere l’acqua alla sorgente che si trovava nel bosco di Marte, quindi questa giovane, Ilia o Rea, va nel bosco di Marte ad attingere acqua per compiere riti sacri. All’improvviso però venne violentata da Marte e dall’unione di Rea Silvia e il dio Marte nascono i gemelli Romolo e Remo. Il Dio le disse che i figli nati da lei sarebbero risultati degni del loro padre. Questa è la leggenda e ci sono stati poi tentativi di razionalizzarla; ossia ci sono versioni che tentano di sottrarre gli aspetti mitici: la fanciulla non sarebbe stata violentata da Marte ma dallo zio stesso Amulio, quindi avremmo alla base della nascita di Roma una relazione incestuosa. Oppure c’è un’altra versione secondo cui la giovane sarebbe stata concupita da un fallo misterioso che sarebbe comunque un’emanazione di Marte. Ma quale sarà la sorte di questa donna che ha violato la regola di vita delle vestali? Secondo Ennio sarebbe stata gettata nel fiume Tevere, secondo Dionigi di Alicarnasso invece la vestale viene punita con la fustigazione in quanto si era macchiata di incesto. Secondo un’altra versione che vuole la madre dell’eroe come vivente, la donna sarebbe semplicemente stata messa in prigione. Per quanto riguarda invece la nascita prodigiosa dei due gemelli, secondo alcuni storici fa parte della leggenda originaria, secondo altri invece sarebbe una leggenda postuma. Secondo Theodor Momsen non è un caso che alla base della fondazione di Roma ci siano due gemelli perché quando si passa dalla monarchia alla repubblica non avremo più un singolo rex ma due consoli, quindi questa nascita gemellare sarebbe lo specchio di una realtà posteriore. Ci sono altri attori legati alla nascita dei gemelli, tra cui la lupa. Accanto ai gemelli compaiono delle potenze ancestrali salvatrici tra cui la lupa che allatta, l’albero di fico sotto cui va a incagliarsi la cesta con i gemelli, poi il picchio, un guerriero dell’aria che si occupa della sorveglianza. Ma cosa stanno a rappresentare? Sono espressione di una natura benevola che tenta di salvare ciò che l’uomo, in questo caso Amulio, aveva cercato di sopprimere. Anche per quanto riguarda la lupa c’è un tentativo di razionalizzare il mito: la lupa di cui parlano le fonti è davvero un animale? Lupa in latino è legata alla realtà dei lupanaria, il luogo in cui le prostitute o cortigiane esercitavano il loro mestiere. Secondo questa visione razionalizzante la lupa non sarebbe un animale ma sarebbe una prostituta che avrebbe adottato questi fanciulli. Qualsiasi sia l’interpretazione, la lupa animale o la lupa donna, rappresenta l’alterità, rappresenta l’animale o l’essere umano che sta ai margini della civiltà: il lupo è un animale che vive nei boschi e crea anche paura e la prostituta rappresenta colei che esercita un mestiere infamante, una donna esclusa dalla società. Ci sono Ed è interessante notare come un archeologo, Andrea Carandini, e un latinista, Mario Lentano (autore del libro Romolo. La leggenda del fondatore), arrivano alla stessa conclusione: potrebbe non essere mai esistito un personaggio di nome Romolo, ma è comunque esistito un personaggio che ha svolto quella funzione di fondatore, alla base di Roma antica abbiamo un personaggio, Romolo, che è espressione di tutto un popolo, quello romano, che va a ricostruire le proprie origini. Chiudiamo con il discorso su Romolo e le origini e la fondazione di Roma, un discorso che ci ha portato all’accettazione critica delle leggende sulle origini, laddove queste leggende sono supportate da discipline parallele. L’età monarchica. Anche qui i dati come nomi precisi e date vanno presi con cautela. Tra la data di fondazione di Roma e il 509/508, data a cui perverremo per collocare l’inizio dell’età repubblicana, avremo soltanto 7 re, quindi avremo dei regni che durano più generazioni, e questa leggenda, ancora una volta, è stata stabilita da Fabio Pittore. Quello che ci interessa e che è già stato appurato è che ci sia stata un’età monarchica. Georges Dumézil, studioso francese, ha cercato di ricostruire le origini di Roma servendosi di categorie che riprendono il mondo degli indoeuropei, Dumézil cerca di dare un significato a queste figure regali secondo l’ideologia rivoluzionale che è tipica della società indoeuropea; gli indoeuropei pare che classificassero la società con riferimento a tre funzioni: religiosa, a cui Dumézil lega Romolo che era rex e pontifex allo stesso tempo e Numa, il secondo re a cui si devono l’organizzazione dei collegi sacerdotali; l’altra funzione sarebbe quella militare legata a Tullo Ostilio, un re che condurrà una serie di campagne belliche; poi abbiamo Anco Marcio legato alla funzione della prosperità/benessere perché darà vita alla colonia di Ostia che stando alla foce del Tevere si affacciava sul mare e beneficiava della ricchezza delle saline. Questi primi re sono re eletti dalle famiglie aristocratiche, dai patres, i patres familias, coloro che stanno a capo di questa struttura che corrisponde alla famiglia allargata. Abbiamo quindi una monarchia elettiva e non ereditaria e poi abbiamo accanto a questa monarchia un senato, un’assemblea formata dagli esponenti delle famiglie più in vista, i patres (istituzione che viene attribuita a Romolo come tutte le istituzioni di età monarchica). Il re era coadiuvato da questa assemblea dei patres ma soprattutto era un’investitura che doveva passare per il popolo. Il popolo era organizzato in comizi curiati che emanavano, dopo l’elezione del re, una lex curiata, la ratifica dell’avvenuta elezione che conferma l’elezione di quel determinato rex. Questo ci fa capire poi la reazione dei romani di fronte a una monarchia che diviene gradualmente più autocratica; se ricordiamo la spiegazione razionalizzante della morte di Romolo rinveniamo le tracce dello spirito di libertas. Abbiamo un rex che deve dar conto del suo operato a un senato e la cui elezione deve essere ratificata dal popolo mediante una lex curiata. Poi il rex non agisce completamente da solo, in quanto è coadiuvato da un magister equitum, una figura che troveremo quando parleremo della dittatura. Poi, siccome il re si occupava della sfera civile e militare ma anche della giustizia, abbiamo i questores parricidii. Il re non è isolato, non agisce da solo ma abbiamo tutta una serie di figure. I re sono anche capi religiosi e la carica di pontifex che si assimila a quella di rex permarrà fino alla fine del IV secolo quando l’imperatore cristiano Graziano rifiuta la carica di pontifex, mentre Costantino, il primo imperatore cristiano, manterrà il titolo di pontifex. Il connubio tra politica e religione era molto forte, lo testimoniano i collegi feziali, prima di dichiarare una guerra infatti si devono prendere gli auspicia ma anche compiere i riti prescritti dai feziali. Romolo, essendo il primo re, viene a fissare le sfere di competenza del rex. E’ un fondatore, legislatore politico, detentore del potere militare, potere giudiziario e religioso con caratteri sacrali. Con Numa Pompilio abbiamo l’istituzionalizzazione della religione, tutti i collegia sono stati organizzati da Numa Pompilio. Il fatto che sia sabino ci dice qualcosa di importante, si tratta di un popolo che è stato assimilato in una fase successiva e che non ha partecipato all’origo di Roma, ma che comunque poteva ambire alla carica più elevata. Ancora una volta capiamo che i romani sono aperti all’integrazione, una costante anche quando perdono e saranno sconfitti; saranno sempre pronti ad accogliere l’altro. C’è la volontà di non precludere nulla a chi è arrivato dopo. Nel momento in cui organizza la sfera religiosa organizza anche il calendario romano diviso in giorni fasti e nefasti. Nei giorni nefasti non si poteva dichiarare una guerra, prendere decisioni importanti, non si poteva convocare un’assemblea. Oltre i collegi sacerdotali crea anche i collegi degli artigiani. Tullo Ostilio, torniamo all’etnia latina, dal 672 al 640, in media abbiamo questi regni di 30/35 anni. E’ la fase in cui Roma comincia ad espandersi. Di questa fase non ci interessa troppo il fatto che Tullo Ostilio sia veramente esistito o meno, ci interessa che ci sia stato un re che ha combattuto con Alba Longa, che probabilmente coincide con l’odierna Castel Gandolfo. Al di là delle leggende la cosa importante è che anche in questo caso, come era avvenuto per i sabini, gli Albani si trasferiscono su uno dei colli. Quel processo di cui parlava Carandini: Roma fondata nella metà dell’VIII secolo ma abbiamo una formazione graduale e continua e con gli Albani l’inserimento in questo contesto cittadino di una nuova gens, la gens Iulia. Per questo era preferibile parlare di Iulio e non di Ascanio, perché dal figlio di Enea, Iulo, si fa derivare la gens Iulia, la gens di Giulio Cesare e la gens del primo imperatore romano Ottaviano Augusto, figlio adottivo di Giulio Cesare. Anco Marcio, con lui l’obiettivo era controllare il territorio delle saline, creare una colonia, una fondazione dove si installa un manipolo di cittadini che si organizza in comunità; Ostia è la prima colonia di Roma e consentiva di controllare le saline non più solo tramite il Tevere ma anche con un avamposto. Sempre riguardo l’attività edilizia è importante lo scalo portuale del Tevere e la costruzione del ponte Sublicio legato alla cacciata della componente etrusca da Roma. Crea poi una zona commerciale che è la zona del foro boario. Infine una prima sistemazione delle leggi che erano appannaggio dei pontefici, venivano tramandate oralmente di generazione in generazione e pare che con Anco Marcio vi sia stata una sistemazione, chiaramente non si parla di leggi scritte per cui queste leggi organizzate da Anco Marcio le ritroveremo più avanti nel cosiddetto ius papirianum. Con Anco Marcio si chiude la prima fase dell’età monarchica. La componente etrusca dominerà la seconda parte dell’età monarchica e ci riferiamo a quella che è stata definita, la grande Roma dei Tarquini, abbiamo quindi un giudizio positivo ma in realtà questi sovrani etruschi portano a Roma delle peculiarità tipiche del loro mondo con il tentativo di rafforzare l’aspetto autocratico del potere del rex. Potere che viene sottolineato mediante tutta una serie di simboli esteriori che hanno avuto tanta fortuna nei regimi totalitari. Abbiamo da una parte il rafforzarsi del potere del re e dall’altro lato quell’assemblea dei patres che si indebolisce e soprattutto il senato che la tradizione attribuisce a Romolo, formato da 100 membri, viene ampliato da Tarquinio Prisco. Tarquinio Prisco è il primo di questi re e pare che sua moglie, Tanaquilla, l’abbia aiutato a prendere il trono. Quello che ci interessa di Tarquinio è l’aumento del numero di senatori, politica che avrà molta fortuna ad esempio con Silla, quella d’immettere all’interno del senato membri della propria fazione seguendo una politica demagogica. Un momento importante sotto Tarquinio Prisco avrà l’urbanistica, sotto di lui Roma assume l’aspetto monumentale, quindi la costruzione di opere difensive, la canalizzazione e la rete fognaria. La parte più importante è l’inserimento all’interno del senato non più solo dei patres ma l’inserimento dei patres conscripti, aggiunti; coloro che vengono aggiunti nella lista dei senatori sebbene non fossero patrizi, abbiamo l’aggiunta di nuovi membri sui quali la storiografia si interroga, da 100 si passa a 300 membri, per un ulteriore ampliamento bisognerà aspettare il I secolo a.C. con Silla quando i senatori diventeranno 600. Questi individui aggiunti potevano essere plebei oppure potevano essere plebei assurti al rango di senatori, era il re che faceva da censore e andava a scegliere, quindi il criterio era particolarmente soggettivo, ciò che c’interessa è l’apertura delle fila del senato in cui confluivano adesso due diverse identità: da una parte il senato formato dai 100 patres originari riconducibili a Romolo e dall’altra parte coloro che erano stati scelti da Tarquinio, quindi tratti dalla fazione a lui vicina. I simboli esteriori, i simboli della romanità nell’immaginario comune sono rintracciabili da un passo tratto dalla storia di Roma arcaica di Dionigi di Alicarnasso, una fonte greca: trono di avorio, uno scettro con un’aquila collegata in cima, l’aquila appollaiata, la toga, le asce che andranno a costituire il fascio littorio. I littori li troviamo nella Roma monarchica e li troveremo nella Roma repubblicana perché ogni console aveva a disposizione 12 littori, il potere coercitivo/possibilità di dare la pena di morte. Quindi parliamo di simboli della romanità ma che sono di origine etrusca. Servio Tullio, è stato definito secondo Romolo perché molte delle istituzioni che la tradizione fa risalire a Romolo sono probabilmente di Servio Tullio, così come alcune istituzioni risalenti a Servio Tullio sono anticipazioni di quello che sarebbe stato introdotto in età repubblicana. Legislatore, urbanista, e la cosa più importante è la costituzione centuriata. A noi interessa Tanaquilla, la donna che affianca Tarquinio Prisco nella sfera del potere e che orchestra la successione: vedremo spesso donne che stanno dietro le quinte ma esercitano un potere politico vero e proprio. Quando il marito si ammala cerca di organizzare la successione e a corte c’era il figlio di una serva, madre di Servio Tullio, e Tanaquilla decide di farlo sposare con sua figlia e ne prepara la successione al trono. Che questa storia sia vera o sia una leggenda, si passa da un potere elettivo a uno ereditario e magari orchestrato da una donna, in ogni caso c’è stata una trasformazione nel sistema di trasmissione del potere. La storia in sé è spia di una trasformazione istituzionale, cosa che ai senatori ovviamente non piace. Tarquinio il superbo è espressione del re che stabilisce un potere tirannico vero e proprio, qui i parallelismi con la storia greca e con la tirannide dei pisistratidi sono notevoli, anche a livello temporale, come se il mondo greco e quello romano stessero vivendo la stessa storia. Il regno dei tarquini sarà splendido ma si tratta di propaganda politica e politica demagogica. Ma ai patres delle origini non poteva piacere questo tipo di monarchia e si ha un vero e proprio moto rivoluzionario guidato dall’aristocrazia. Anche in questo caso troviamo una leggenda e una donna: Lucrezia, colei che ha cristallizzato il prototipo della donna romana ideale, colei che se ne sta in casa a filare la lana mentre il marito combatte e questo modello della donna romana si forma perché in una fase in cui si parla di scontri tra città, i latini e gli etruschi, i patres romani e i tarquini, iniziano a dibattere sulle virtù delle rispettive mogli e in questo dibattito decidono di arrivare all’improvviso a casa e constatare cosa stessero facendo le loro mogli. Le mogli dei Tarquini, a differenza dell’ideale incarnato da Lucrezia, si presentano in maniera antitetica. Queste constatazioni instillano in Tarquinio la volontà di tornare a far visita a Lucrezia per possederla ma ovviamente lei rifiuta, cederà solamente di fronte alle minacce (l’avrebbe fatta trovare uccisa accanto ad un servo nudo) ma dopo la violenza subita si presenta al marito e si uccide. Abbiamo due immagini diverse di Lucrezia, Ovidio ci parla di una Lucrezia che ha pudore a rivelare quanto le sia accaduto, una Lucrezia che ha subito una violenza psicologica superabile solamente con la morte; non le fa dire cosa sia accaduto, abbiamo una donna travagliata nella sua psicologia. In Tito Livio abbiamo invece una Lucrezia che dice tutto al marito al padre, una donna sicura della sua castità che è stata violata. Questa leggenda di Lucrezia sta a motivare l’insofferenza dei patres che insorgeranno contro la monarchia: ancora una volta il motore della ribellione nel dato leggendario parte da una donna. Lezione 1/03. In questa fase della Roma monarchica della Roma dei tarquini troviamo ancora una volta una figura femminile le cui testimonianze sono diventate l’emblema della donna romana ed allo stesso tempo sono vicende che cercano di spiegare il passaggio dalla monarchia alla repubblica. Non è casuale l’attenzione per le vicende di questo periodo da parte di Tito Livio o altri storici vissuti nel I secolo d.C. e che hanno vissuto il Cesaricidio del 44 a.C.. Lucio Giunio Bruto, il liberatore di Roma dai tarquini, non fa altro che richiamare Marco Giunio Bruto, uno dei più importanti cesaricida; c’è un caso di omonimia tra Lucio Giunio Bruto, liberatore di Roma dalla tirannia di Tarquinio il superbo, così come Marco Giunio Bruto lo sarà da colui che acquistava sempre più tratti monarchici. Questa vicenda ci fa capire che il passaggio dalla monarchia alla Repubblica non è stato indolore, ci sono state frizioni tra i sostenitori dei tarquini e gli aristocratici romani. Appiano, autore greco delle “guerre civili” si concentra sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo e sul Cesaricidio e fa un parallelismo con le vicende del Bruto capitolino e Lucio Giunio Bruto, in questo caso la vicenda che sta alla fine della monarchia potrebbe risentire di una riscrittura a posteriori che si trova a rivivere il dramma di una temuta tirannide, ma allo stesso tempo potremmo dire che si ha paura della monarchia perché i romani hanno il trauma dello strapotere dei tarquini. Pare che la cacciata dei tarquini non abbia visto subito un passaggio alla res pubblica, ci sarebbe stata una fase di disordini, come dimostrano le tradizioni storiografiche su Porsenna, re di Chiusi, che per un periodo avrebbe avuto il controllo di Roma. Dopo i tarquini avremmo ancora una dominazione etrusca, non più all’interno della famiglia dei tarquini ma probabilmente sotto il re di Chiusi. Pare che questa influenza cessi con il figlio di Porsenna, Arrunte, che viene sconfitto nella battaglia di Aricia e qui vediamo per la prima volta un’unione tra romani e latini a cui si aggiungono i cumani contro Arrunte figlio di Porsenna. A dimostrazione di come questo mutamento non avvenga dall’oggi al domani, ma che ci sia stata o meno questa fase di reggenza ad opera di Porsenna, ci sono anche delle fasi di anarchia, dei momenti in cui il potere non si sa da chi sia retto, addirittura sembra che non ci sia un’autorità che gestisca il potere. Nelle liste dei magistrati troviamo addirittura dei consoli con una nomenclatura plebea, quindi c’è una fase confusa all’inizio della repubblica in cui anche i plebei poterono accedere al consolato. Fonti che ci fanno percepire una fase di transizione in cui ci allontaniamo dalla monarchia ma non abbiamo ancora l’ordinamento repubblicano. Il passaggio all’età Repubblicana. Per quanto riguarda la data di nascita della res pubblica canonicamente le tradizioni letterarie la fissavano al 510 a.C. ma sarebbe troppo strana la coincidenza con la cacciata di Ippia, l’ultimo dei pisistratidi, per cui si tratta di una data che viene rigettata, sarebbe infatti frutto di un parallelismo tra la storia greca e romana. Si giunge invece ad una datazione che non è del 510 ma è vicinissima. L’ipotesi che la data di nascita della Repubblica sia il 509 è supportata da una serie di elementi tratti da fonti letterarie o archeologiche: • A Roma era attestata una cerimonia dell’infissione dei chiodi nel tempio di Giove capitolino, ogni anno venivano conficcati questi chiodi e ciò consentiva di numerare gli anni, in questo caso partiamo da un evento posteriore che viene datato al 304 a.C. in cui viene consacrato il tempio della Concordia 204 anni dopo la consacrazione del tempio di Giove capitolino. Siamo nel 304 in cui sto inaugurando il tempo della Concordia e dico che quest’inaugurazione del 304 è avvenuta 204 anni prima, quindi si arriva a 508 a.C. La peculiarità di questo evento che viene ricordato da Tito Livio è che Tito Livio per indicare il console non utilizza il sostantivo consul ma praetor, e questo è importante perché ci fa capire che all’inizio i consoli venissero denominati pretori. Cogliamo la difficoltà del passaggio da un regime istituzionale ad un altro: ci sono una serie di incertezze che caratterizzano la fase iniziale di questa trasformazione. • Un altro elemento datante è di carattere archeologico ed è la reggia perché effettivamente l’esistenza della reggia, ossia la residenza del rex, ci fa cogliere che nel VI secolo non fosse più la residenza del re ma avesse assunto un carattere religioso. Quindi era diventata un tempio, perché non c’era più un rex ma erano rimasti i pontifex. • L’altra giustificazione a favore di questa datazione si trae da una fonte letteraria greca, Polibio. Il primo trattato romano-punico che testimonia contatti tra romani e cartaginesi secondo Polibio sarebbe stato sugellato nel primo anno della res pubblica. E ci dice che il primo anno coinciderebbe a 28 anni prima dell’invasione della Grecia da parte di Serse: 480+28 ci riporta al 508 a.C. A supporto di questa tesi del 509/508 a.C. ho due fonti di carattere letterario e una testimonianza archeologica. Sono i tre elementi datanti che vengono utilizzati per collocare nel 509/508 il primo anno della res pubblica. Aspetto costituzionale di età monarchica/primo repubblicana: Abbiamo visto che il rex era coadiuvato dal senato ed è proprio quando il potere diventa autocratico che al senato non va più bene la situazione. Si parlava di assemblea popolare a proposito della lex curiata che ratificava l’elezione del re. Il re era elettivo, aveva poteri giudiziari “ius vitae necisque” nel senso che era il re a giudicare se l’individuo era condannabile a morte o meno ma era coadiuvato dai quaestores parricidii; aveva poteri militari quindi comandava l’esercito ed era coadiuvato da un magister equitum, il comandante della cavalleria; poteri religiosi e abbiamo visto come Numa Pompilio avesse organizzato la sfera dei collegi sacerdotali. Ora ci concentriamo sull’assemblea più importante per influenza e potere, il senato, da senex, l’assemblea dei patres, degli anziani, in principio formato da 100 membri e composto dai patres ma sarà Tarquinio Prisco che inserirà la factio regia. Quello dei senatori era un rango esclusivo con poteri consultivi nei confronti del re e poi tra la fine del regno di un re e quello dopo, vi era una fase di interregno in cui veniva nominato un inter-rex: tra un re e un altro c’era questa figura di inter-rex che gestiva anche la sfera religiosa quindi gli auspicium per la nomina del re. Il senato delle origini si trasforma per opera di Tarqunio Prisco con la factio regia: nel mondo antico non ci sono partiti ma fazioni, dei sostenitori, in questo caso dei sostenitori del re. Aggiunge questo gruppo di patres che non sono gli originali patres di Romolo, ma patres minorium gensum, espressione di gentes di minore importanza. Questo ampliamento serviva a supportare l’azione politica dei Tarquini visto il potere consultivo del senato. Si partiva con 200 membri a favore dell’operato politico del re. La familia: non corrisponde alla nostra famiglia nucleare, era una famiglia che comprendeva più generazioni ma anche i servi. A capo c’è il pater familias che aveva gli stessi poteri all’interno della famiglia del rex all’interno della cittadinanza, quindi il ius vitae necisque, il diritto di vita e di morte che spesso entrava in gioco quando si doveva stabilire la sopravvivenza o meno di un figlio, ma soprattutto nel caso delle figlie. La famiglia era anche unità economica e comprendeva infatti i servi che lavoravano per la famiglia dentro la domus e nei campi. Era unità religiosa perché all’interno della famiglia come all’interno della città venivano celebrati dei riti, dei culti per gli dei mani. Il fine di questa struttura era la perpetuazione della specie, ecco il ruolo importante all’interno della domus della donna. Era anche possibile diseredare un figlio che non si era comportato in maniera consona ai costumi della famiglia o dello stato romano. I sacra privata sono questi riti familiari e i mani sono gli antenati del lato paterno. La familia romana è un piccolo stato nello stato. Ciò che emerge chiaramente è la supremazia dell’uomo sulla donna e questo rapporto di subordinazione è chiamato manus, da qui la manomissio, ossia la modalità secondo cui un patronus poteva concedere la libertà a uno schiavo: manus entra in gioco tanto con il rapporto con la donna quanto con gli schiavi. La finalità del matrimonio era chiaramente la procreazione, la donna sterile poteva essere ripudiata perché veniva meno alla sua funzione e i matrimoni non avevano nulla a che fare con l’amore, le donne venivano destinate al matrimonio fin da bambine ed avveniva intorno ai loro 12 anni con uomini molto più grandi. La fanciulla era promessa attraverso una cerimonia precisa, gli sponsalia. Il matrimonio era un’istituzione privata e poteva svolgersi secondo diverse modalità e la prassi attestata nella prima fase della storia di Roma era o la divisione di una focaccia di farro o la mancipatio, ossia un atto di compravendita e la forma più indolore, quella di una sorta di convivenza di un anno. Una volta avvenuto il matrimonio la vita della donna era all’interno della casa a gestire l’economia interna di quest’ultima come ancelle e servi e oltre alla sua principale funzione, ossia la maternità, spesso anche in questo veniva mutilata perché i figli venivano allattati dalle ancelle. caso del dibattito sull’intervento o meno di Roma nella prima guerra punica. In politica estera e nelle situazioni di guerra i consoli devono tenere conto del senato. Ad esempio, sarà Scipione, detto poi l’Africano, a decidere di salpare dalla Sicilia per portare in Africa l’ultima fase della seconda guerra punica. Delle numerose guerre, a primeggiare c’è sempre la figura del console. Come accadeva per il rex anche il console è accompagnato da un questore, il quale esegue ogni suo ordine. Il console non si sposta da solo ma è accompagnato da una serie di figure e in particolare per la sfera economica dal questore. Scheda riassuntiva: ▪ L’origine del consolato si fa risalire al primo anno della Repubblica, 509-508. ▪ Il potere: prendere gli auspici; detenere 12 fasci ma 1 mese ciascuno mai contemporaneamente. Il diritto di agire con il popolo: convocare e prendere parte alle assemblee in particolare ai comizi centuriati. ▪ Età minima per diventare console: 42 anni, norma che non troviamo già nel 509 ma sarà aggiunta successivamente e definita tra il secondo ed il primo secolo a. C. con il cursus honorum stabilito da Silla. ▪ I consoli sono 2 e annualità e collegialità sono due caratteristiche delle magistrature romane onde evitare che si potesse ricadere nello strapotere di età monarchica. Quindi essere due magistrati comportava che l’uno potesse vegliare sull’altro e porre il veto, bloccare una decisione non condivisibile o ritenuta erronea. ▪ Infine non si muovono da soli ma oltre ai questori troviamo del personale che costituiva il seguito quali i lettori (simbolo del potere di coercizione quindi del potere che potevano infliggere i consoli), praecones e viatores. Che cos’è il fascio? Il fascio rappresentava il potere di fustigazione riservato agli strati più bassi della popolazione. Alla sommità di questo fascio c’era la scure che rappresentava la decapitazione e in questa vi è la semplificazione visiva del potere di coercizione. Il console può punire o con la fustigazione o con una forma di morte che poi era meno savia cioè con la scure. Se il magistrato poteva condannare a morte (esempio di Cicerone che condanna a morte i Catilinari), di fronte ad ogni condanna a morte un cittadino si poteva appellare al popolo cioè ai comizi centuriati e rimandare al loro parere la decisione del console. L’ultima decisione era riservata al popolo (DIRITTO DI APPELLO AL POPOLO) soprattutto per punizioni capitali. Dionigi di Alicarnasso, Storia di Roma arcaica, V, 19, 4: “Se un magistrato vuole che un Romano sia messo a morte, frustato o multato, i privati cittadini possono convocare in giudizio il magistrato o davanti al popolo, e nel frattempo il suddetto cittadino non sarà passibile di penda da parte di quel magistrato, fino a quando il popolo non abbia espresso il suo voto su di lui.” Il popolo può decidere al posto di quella che era la somma autorità cioè il console, poteva mettere in discussione la decisione del console. Finché non si sarà espresso in materia il comizio, non potrà essere combinata la pena stabilita dal magistrato. La decisione dal console passa al comizio centuriato. La decisione finale spettava al comizio, cosa che non fece Cicerone e per questo fu condannato all’elisio. La provocatio ad popolum doveva essere rispettata, perché era una garanzia di libertà per il popolo romano: se il cittadino ricorreva al popolo, il magistrato sospendeva il castigo e rinviava la questione ai comici centuriati che giudicavano al suo posto. Ma solo i comizi centuriati avevano il potere di emanare una sentenza capitale, mentre i comizi tributi e i concili della plebe potevano comminare solo pene pecuniarie. Quindi sicuramente c’è una gerarchia, non solo tra le magistrature, ma anche tra i vari comitia: in primis troviamo i comizi centuriati, quelli che discendono dalla riforma di Servio Tullio e poi abbiamo per importanza i comizi tributi e i comizi curiati. La dittatura. Digesto I, 2,2 18-19 (dal participio perfetto digestus, disporre classificando gli argomenti in modo ordinato: compilazione in 50 libri di frammenti di opere di giuristi romani realizzata su incarico dell’imperatore Giustiniano) Pomponio II d.C.: “Accresciutosi il popolo, poiché scoppiavano frequenti guerre portate dalle popolazioni confinanti, si ritenne opportuno, in caso di necessità, creare una magistratura dotata di maggiori poteri. Comparvero quindi i dittatori, che non erano soggetti al diritto di appelli e ai quali fu data anche la facoltà di infliggere punizioni capitali. Poiché questa magistratura era dotata dei sommi poteri, non era lecito detenerla per oltre 6 mesi.” In situazione di normalità il sommo potere è esercitato dai consoli, due consoli che duravano in carica un anno. In situazioni di carattere bellico si ricorre invece ad una magistratura eccezionale. Il consolato è una magistratura ordinaria perché risponde alle prerogative dell’annualità e della collegialità, poi ci sono delle magistrature straordinarie in cui non troviamo il carattere della collegialità, ed è una sola questa magistratura, e durava meno di un anno proprio perché pericolosa. Roma non voleva più trovarsi nella situazione dei Tarquini, non voleva dar vita ad un modello Tarquinio il Superbo, quindi, crea la magistratura della dittatura, cioè di porre al comando unificato in situazioni di emergenza ma per un lasso di tempo limitato, massimo sei mesi. Cosa scompare subito? Quella che era la principale fonte di libertas, la provocatio ad populi, nel momento stesso in cui c’è il dittatore, al dittatore non posso appellarmi. Se il dittatore mi condanna a morte, i comizi centuriati non possono intervenire per salvarmi. Quindi somma decisione è quella del dittatore. È data anche la facoltà di infliggere punizioni capitali, cioè quello che i consoli non potevano fare, possono farlo i dittatori. Poiché questa magistratura deteneva sommi poteri, non era lecito detenerla per oltre 6 mesi. Questa è la teoria, ma avremo violazioni di questa regola nel corso del primo secolo avanti cristo, il secolo delle guerre civili, avremo una dittatura già con Silla e poi una dittatura prima decennale e poi a vita con Giulio Cesare. Scheda riassuntiva della dittatura: • data di origine: a cavallo tra sesto e quinto secolo, • durata: sei mesi massimo, • poteri: anche qui poteva prendere gli auspicia, aveva potere civile e militare, era superiore a tutte le altre magistrature, anche perché quando c’era il dittatore, non c’era il console, perché appunto l’esigenza era quella di un potere unificato, una persona che decidesse in tutto e per tutto. • Competenze: generali e assolute • Tipologie: rei gerendae, rei pubblicae consituendae, comitiorum habendoru, causa. Nel primo caso si tratta di una figura che si occupi dell’intera gestione dello stato; nel secondo caso la dittatura per creare una forma di Stato dopo un periodo di sommosse varie e guerre civili (ad esempio Silla); nell’ultimo caso si tratta della dittatura che ricoprirà Giulio Cesare nel periodo della guerra civile tra Cesare e Pompeo, momento in cui mancavano i consoli che venivano eletti dai comizi curiati, ma a loro volta i comizi curiati dovevano essere convocati dai consoli e siccome non c’erano viene affidata a Giulio Cesare questa dittatura finalizzata a riempire i comizi di assemblea. • Designazione: consolare o pretoria, su indicazione senatoria. • Numero: 1 affiancato da un magister equitum a lui subordinato, e in genere da lui scelto: collegialità diseguale. • Personale: 24 littori. L’imperium e potestas. Fin ora abbiamo parlato soltanto del consolato e della dittatura. Parlando del consolato si è parlato di quella che è una somma magistratura dotata di imperium. Adesso cerchiamo di capire che cos’è questo imperium. L’imperium è un potere molto forte, proprio dei magistrati superiori, civile e militare insieme, giurisdizionale e coercitivo; ma soprattutto si estende al diritto di prendere gli auspici e abbiamo visto quanto è importante sin dalla Fondazione di Roma, concretizzatasi poi con il solco del pomerium, osservare il volo degli uccelli, e di come poi con Numa Pompilio si fosse venuto a creare un collegio di sacerdoti, gli auguri, che erano preposti, coadiuvavano l’attività in quel caso nel Rex, nel nostro caso, ossia in età repubblicana, quello dei Consoli. Sono tutti poteri che abbiamo già visto con la magistratura del consolato, il console ha potere civile, militare, giurisdizionale, può emanare editti, prendere provvedimenti legislativi, ha il potere di coercizione, quindi la possibilità di condannare a morte e il diritto di prendere gli auspici, diritto importantissimo perché abbiamo detto che mette in comunicazione l’umano col divino, l’essere umano col divino. L’imperium chiaramente è tipico dei Consoli, è tipico dei dictator e poi vedremo anche del pretore, e probabilmente, non è certo, anche dei censori. La potestas invece è un potere proprio dei magistrati inferiori che resta a livello inferiore rispetto all’imperium, e conferisce soprattutto la possibilità di esprimere la propria volontà in editti, ossia provvedimenti di carattere legislativo. Le caratteristiche comuni a tutte le magistrature romane, sia quelle maggiori dotate di imperium sia quelle minori dotate di potestas, sono: o Si dividono anzitutto in ordinarie e straordinarie→ quelle ordinarie sono quelle che dispongono di caratteristiche della manualità e della collegialità; quelle straordinarie sono quelle che eccellono, che vanno oltre queste caratteristiche, una tra queste è la dittatura, che dura sei mesi e che in estreme conseguenze può diventare anche vitalizia, ma soprattutto che non gode della collegialità. o Sono gerarchizzate→nel senso che vengono organizzate in un cursus ben preciso, per cui, posso iniziare la mia carreira politica a 30 anni ma se non compio 42 anni non posso diventare console ed in ogni caso prima di arrivare al consolato devo aver percorso il mio cursus onorum, devo essere stato questore, edile, pretore e poi console. o Sono collegiali→unica eccezione la fa la dittatura, negli altri casi abbiamo sempre 2 magistrati o anche più, specializzati in una magistratura. o Ogni magistratura ha poi la sua sfera di competenza. o Sono tutte elettive→ o comizi centuriati o comizi tributi, ad eccezione del dittatore che viene designato dal console su indicazione del senato. o Gratuità→ ricoprire una magistratura era una fonte di onore, quindi sono io, aspirante alla magistratura, a spendere nella compagna elettorale, perché è una forma di onore diventare console, pretore o questore. La questura. Adesso riprendiamo con le altre magistrature minori e riprendiamo con la questura che collochiamo al gradino più basso del nostro cursus onorum: la figura del questore fu istituita quando ancora comandavano i re, “quaestores parricidi” con Romolo e rimase poi ai consoli il compito di eleggerli fino a quando passò al popolo, cioè venivano eletti dai comizi tributi. Si tratta di una magistratura che ha delle competenze per metà riguardanti la sfera economica e per metà la sfera processuale. L’età minima per diventare questore è 30 anni ed è la base del cursus onorum. La censura. C’è poi la magistratura dei censori, per la quale ancora si discute se fosse dotata di imperium o potestas. Il loro compito è censire il popolo: Cicerone, Le leggi III, 7: “I censori censiscano il popolo per età, prole, insieme degli schiavi e sostanze, abbiano la cura sui templi della città, le vie, gli acquedotti, il tesoro e le rendite dello stato, e dividano il popolo in tribù e poi lo ripartiscano per ricchezze, età e ordine di appartenenza, ripartiscano i giovani tra cavallerie e fanteria, proibiscano che vi siano celibi, regolino i costumi del popolo, non permettano che alcuno che si sia macchiato di azioni vergognose rimanga in senato. I censori siano due e detengano la magistratura per cinque anni, mentre le altre magistrature siano annuali. Il loro potere sia sempre in vigore.” I censori censiscono il popolo per età, quindi il censimento è la loro prerogativa, il popolo viene censito anche per prole, insieme degli schiavi, (la famiglia comprendeva anche gli schiavi, che fanno parte della ricchezza di una domus). Abbiano la cura sui templi della città, le vie, gli acquedotti, quindi la manutenzione della vita cittadina e infine il tesoro e le rendite dello stato. E da qui si divide il popolo in tribù, divisione etnica che abbiamo visto con Romolo e poi su base cittadina o territoriale con Servio Tullio. Poi proibisca l’incrementare delle nascite, proibiscano che vi siano celibi, regolano i costumi del popolo , erano custodi del “mos maiorum”. Ed ecco che ai censori spettava la scelta degli individui che avessero le prerogative per diventare senatori, il controllo del censo ma anche della moralità è la professione da loro ricoperta. Scheda riassuntiva: • I censori devono essere due e detengono la magistratura per 5 anni, ma rimangono in carica solo 18 mesi; quindi vengono eletti ogni 5 anni ma rimangono in carica solo per 18 mesi. Solitamente il censimento veniva fatto ogni sei anni, quindi grosso modo la loro carica durava il tempo di effettuare il censimento. • E’ una magistratura istituita a metà del V secolo (443 a. C.). • L’età per ricoprire la censura è di 44 anni, quindi normalmente io cittadino romano maschio mi trovo a ricoprire la censura dopo aver ricoperto il consolato. • Competenze: il censimento; la lectio senatus ( la scelta di coloro che potevano far parte del senato) la cura morum, la cura del mos maiorum, rispetto delle norme magistrali legate alla tradizione; la gestione di controllo del patrimonio dello stato. Il senato. Alla fine delle cariche ricoperte si entra a far parte di quel contesto di patres che abbiamo già incontrato con Romolo, che è il Senato, che è un’assemblea di 100 membri. Per entrare a far parte del Senato, io cittadino romano, devo avere dei requisiti di carattere censitario: ▪ reddito di almeno 100.000 assi, che poi si modifica man mano chiaramente che ci avviciniamo ai secoli avanti ▪ cittadinanza romana ▪ residenza a Roma (anche se pian piano questo requisito scemerà soprattutto in età imperiale) ▪ devo svolgere un mestiere non infamante (altrimenti il console mi spedirà nella lista nera) es. no l’attore, no il danzatore ▪ La funzione riguardava invece: la politica estera, quindi rapporto con gli stati stranieri; i decreti di leva, quindi in fase di guerra; la supervisione dei conti pubblici. Insomma una sorta di assemblea che sta a controllare dall’alto quello che gli altri magistrati ordinariamente gestiscono. Alla fine delle cariche ricoperte si entra a far parte di quel contesto di patres che abbiamo già incontrato con Romolo, che è il Senato, che è un’assemblea con 100 membri. Per entrare a far parte del Senato, io cittadino romano, devo avere dei requisiti di carattere censitario: ❖ reddito di almeno 100.000 assi, che poi si modifica man mano chiaramente che ci avviciniamo ai secoli avanti ❖ cittadinanza romana ❖ residenza a Roma (anche se pian piano questo requisito scemerà soprattutto in età imperiale) ❖ devo svolgere un mestiere non infamante (altrimenti il console mi spedirà nella lista nera) es. no l’attore, no il danzatore La funzione riguardava invece: la politica estera, quindi il rapporto con gli stati stranieri; i decreti di leva, quindi in fase di guerra; la supervisione dei conti pubblici. Insomma una sorta di assemblea che sta a controllare dall’alto quello che gli altri magistrati ordinariamente gestiscono. Soprattutto abbiamo la ratifica delle decisioni nelle assemblee. Ma che cos’è questa ratifica del senato? È la così detta “auctoritas patrum”, ovvero il diritto di sanzione e approvazione dei comizi. Tutto ciò è l’espressione di una politica senatoria che è costante nel tempo, una politica conservatrice di mantenimento del mos maiorum, anche perché quella di senatore era una carica vitalizia, i senatori li troviamo dalle origini alla fine di Roma. Il senato poteva anche emanare dei pareri i “senatus consulta”, ossia i provvedimenti con cui il senato romano, in caso di eccezionale pericolo per le istituzioni dello stato, conferiva ai magistrati poteri straordinari. Lezione 7/03 Il senato è un’istituzione romulea composta da 100 patres, implementata a 300 membri con i patres constripti delle genti minori e soggetto ad essere ulteriormente implementato prima da Silla e poi da Cesare per trovare un assestamento con l’imperatore Ottaviano Augusto a 600 membri. Requisiti: per diventare membri del senato bisognava essere: cittadini romani; possedere un adeguato censo, grossomodo della prima classe (100.000 assi) (tali parametri saranno soggetti a variamenti con il variare del denaro); residenza a Roma, perché far parte del senato implicava far parte della assemblea. La professione di un mestiere non infamante e sottolineiamo che la ricchezza del senatore doveva provenire dal possedimento terriero. Dobbiamo aspettare il censore Appio Claudio Cieco che intorno al 312 circa stabilisce che non solo i proprietari terrieri ma anche coloro la cui ricchezza proveniva da beni mobili potesse far parte al senato. All’origine la terra era la fonte della ricchezza dei patrizi e poi della nobiltà aristocratica per eccellenza. Ci vorrà tempo perché venga inclusa anche la ricchezza che viene da altre attività come ad esempio quella commerciale, che non veniva ben vista di buon occhio dal mos maiorum. Competenze: interlocuzione con i consoli, con i vari comizi e le decisioni prese all’interno dei comizi dovevano essere ratificate dal senato. Questo diritto di ratifica è quello che abbiamo definito auctoritas patrum: l’autorità dei patres, del senato. Una decisione presa da un’assemblea poteva diventare legge se veniva ratificata dal senato. Dal momento che essa costituiva un’assemblea caratterizzata non solo dalla ricchezza ma anche dalla condivisione di valori del mos maiorum possiamo dire che questa carica vitalizia si connaturava per una continuità d’azione, l’approccio del senato è sempre un approccio conservatore. Rappresenterà sempre l’espressione di una classe privilegiata, nonostante ci sarà successivamente un apertura ad accogliere anche i ricchi non necessariamente patrizi. Un aspetto importantissimo è il senatur consultum e in particolare il senatus consultus ultimum: il senato poteva emanare dei pareri, chiaramente ciò avveniva in tutte le assemblee figuriamoci nel senato. La differenza tra senatur consultum e i consultum ultimum è che i pareri del senato non erano vincolanti nel primo caso, il consultum poteva esprimere disaccordo ma non era vincolante, il senatur consultum ultimum invece era un parere vincolante. Per la prima volta viene utilizzato in occasione di disordini legati alla riforma del secondo dei Gracchi (Caio Gracco) anche se i giuristi tendono ad anticiparlo al primo dei gracchi (Tiberio Gracco). La data canonica è quella dei disordini creatisi con Caio Gracco. Una situazione di disordine sociale, conflitto tra le varie componenti della cittadinanza che porta il senato a avrebbero giudicato le cause che quelli avessero affidato loro e si sarebbero occupati dei templi, dei luoghi pubblici e del mercato, affinché fosse rifornito in abbondanza” Gli edili della plebe si sarebbero occupati dei templi, dei luoghi pubblici e del mercato, affinché il mercato fosse fornito in abbondanza. Vengono istituiti nel 494, anno della secessione, così come i concili e i tribuni della plebe, tra le competenze abbiamo la cura urbis, cioè dei templi, dell’apparato monumentale della città; cura annone, la cura del mercato, del rifornimento della città; cura ludorum, l’organizzazione dei giochi, soprattutto quelli legati alle divinità plebee. L’età si abbassa, 36 anni, quindi è il secondo gradino. Questura alla base poi l’edilità. Leggi delle XII tavole. Questa è una prima tappa molto importante, da una fase in cui i plebei non potevano partecipare alla vita politica, non solo si creano uno strumento per partecipare, cioè un'assemblea, ma riescono ad avere dei magistrati che li rappresentano. Ma in questo processo di parificazione, manca un corpo di leggi scritte. I pontefici sono depositari di un sapere orale di usi, costumi e tradizioni, e che si fanno interpreti, che emanano dei responsa, delle decisioni, ma non abbiamo delle leggi. Laddove i pontefici operano su un piano a metà tra l’umano e il divino, ciò che urgeva era un corpus di leggi che operasse su un piano umano. Che non fossero opera dell’interpretazione dei pontefici, ma che fossero delle leggi scritte uguali per tutti. Avremo presto il primo corpus di leggi scritte, che sono le leggi delle 12 tavole, testo di carattere epigrafico; frutto del lavoro di una commissione. Periodo in cui anche nel mondo greco abbiamo anche un corpo di leggi scritte, anche se il diritto greco presenta delle differenze, non si parla più di diritto greco a differenza di quello romano. Abbiamo due commissioni: la prima formata soltanto da patrizi, pertanto ritenuta ingiusta; e una seconda formata da patrizi e plebei, da questa seconda commissione sarà formato un corpus di leggi che non ci sono giunte se non per trasmissione indiretta, l’obiettivo di questo corpus di leggi scritto è quello di sostituire a quello vecchio: orale, arbitrario, ingiusto, aristocratico, patrizio; attraverso i responsa ad personam, che quindi potevano cambiare da una persona all’altra, un corpus di leggi cittadine, scritte e quindi certe, che non fossero di carattere particolare, cioè designate al singolo caso ma che fossero di carattere generale, in caso di furto. Leggi scritte non significa leggi giuste, è un primo tentativo: rimaneva questa grande cesura, un patrizio non poteva sposare una plebea, c’era questa netta divisione per evitare che venissero ad incrociarsi due mondi che dovevano rimanere paralleli. Oltre a questa tara, un'altra difficoltà riguarda la comprensione di queste leggi, che il cittadino comune o di cultura media non riusciva ad interpretare. Nel mondo Romano queste competenze di interpretare il diritto rimaneva nelle mani di una cerchia ristretta che era costituita dai pontefici, cioè dai patrizi. Diritto sempre nelle mani di una classe privilegiata. Il pontefice quindi interpreta la legge come meglio si addice alla propria “classe” di appartenenza, quindi nonostante le leggi siano scritte la loro interpretazione rimane appannaggio dei pontefici. Quindi nonostante si sia cercato di creare una commissione mista lo sforzo interpretativo chiamava comunque in causa sempre i patrizi. Plebiscito Canuleio. Questa situazione viene chiaramente colta dai plebei ed in particolare abbiamo l'intervento di un tribuno della plebe, Canuleio, di cui Tito Livio ci riporta un discorso sottolineando quanto ingiusta fosse la legge che vietava il matrimonio tra patrizi e plebei. IV, 3, 1-7: “Quanto i patrizi vi disprezzino, o Quinti, e quanto vi considerino indegni di convivere con loro in un’unica città, entro le stesse mura, mi pare davvero di averlo più volte notato anche prima d’ora; ma in questo momento più che mai me ne rendo conto, poiché essi sono così minacciosamente insorti contro queste nostre proposte di legge, con le quali che cos’altro ci proponiamo se non di avvertirli che noi siamo loro concittadini e che; se non abbiamo lo stesso potere, tuttavia abbiamo la stessa patria? Con la prima proposta noi chiediamo quel diritto di connubio che si è soliti concedere ai popoli confinanti e agli stranieri.” Era quindi assodato che i patrizi considerassero “indegni” i plebei, addirittura era indegno il fatto che convivessero. Vedremo successivamente che tra i latini, seppur abitassero città diverse era previsto il ius connubii ovvero il diritto di matrimonio a cui fa riferimento Canuleio. Abbiamo già osservato matrimoni tra popoli diversi, pensando ad esempio alle origini di Roma e al ratto delle Sabine, che pur nella leggenda di uno stupro di massa si cela l'incontro tra due diverse etnie latini/sabini. In quel caso viene sottolineata l'apertura allo straniero. Questa situazione porta infatti ad una tappa importantissima, il 445 a.C. in cui viene emanato il Plebiscito Canuleio. Ciò significa che l'assemblea della plebe si è riunita insieme ai tribuni della plebe ed è stato abrogato il divieto di connubio tra patrizi e plebei. Il Plebiscito diventerà poi Lex nel momento in cui assumerà valore per tutta la cittadinanza romana. Con questo, cade praticamente quella che era una cesura; i patrizi perdevano terreno e i plebei si avvicinavano ai privilegi dei patrizi, l'obiettivo di questi ultimi era quello di tenere i plebei lontani dal consolato che rappresentava la somma magistratura dell'età repubblicana che era dotata di imperium, con la presa degli auspici il magistrato poteva entrare in contatto con la sfera divina. I tribuni militari. I patrizi volevano fortemente tenere lontano dai plebei questo potere, viene così istituita una magistratura intermedia composta dai Tribuni militum consulari potestate: dei tribuni militari con potestà consolare. Cosa significa? Livio IV, 6, 8: “in seguito a queste adunanze si giunse a concedere che venissero eletti dei tribuni militari con potestà consolare, scelti indifferentemente tra patrizi e plebei, mentre nulla doveva essere mutato per quanto riguardava l’elezione dei consoli; e di questi risultati furono contenti i tribuni e fu contenta la plebe.” Parliamo innanzitutto di potestas quindi un potere minore rispetto all'imperium di cui parlavamo prima. Molto probabilmente doveva trattarsi di una magistratura intermedia, con potere inferiore ai consoli, che fungeva da contentino per i plebei. Era una magistratura per la prima volta aperta sia ai patrizi che ai plebei, non doveva però essere mutato nulla riguardo all'elezione dei consoli. Di questo risultato la plebe e i tribuni furono contenti, ed era proprio questo l'obiettivo dei patrizi. Le leggi Licinie Sestie. Nel 367 a.C. si raggiunge il culmine di questo percorso con la volontà dei plebei di arrivare alla somma magistratura del consolato. Questo avverrà con un pacchetto di leggi: le leggi Licinie Sestie. Livio VI, 35, 3-5: “Una volta eletti, i tribuni Caio Licinio e Lucio Sestio promulgarono delle leggi tutte dirette contro la potenza dei patrizi e a vantaggio della plebe: una sui debiti, in virtù della quale, defalcato dal capitale quanto era stato pagato per gli interessi, il resto venisse liquidato in tre anni in rate uguali; un’altra sulla limitazione della proprietà terriera, in virtù della quale nessuno potesse possedere più di 500 iugeri di terra; una terza in virtù della quale non si tenessero i comizi per l’elezione dei tribuni militari e in ogni caso uno dei due consoli fosse scelto tra la plebe.” Leges Liciniae-Sextiae dal nome dei tribuni che le proposero (Gaio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano): 1. Debiti. 2. Limitazione ampiezza dell’ager publicus occupato da privati. 3. Abolizione del tribunato militare con poteri consolari e consolato accessibile alla plebe. Si tratta di “Lex Satura” cioè una mescolanza, una raccolta di vari provvedimenti su vari argomenti. Esse cercano di risolvere il problema economico dei plebei, nex e nexus, debitore e rapporto di asservimento tra debitore e padrone. Questi sono anni in cui Roma si sta espandendo territorialmente tantissimo, viene quindi proposta una più equa distribuzione del terreno pubblico che veniva dato in affitto ai proprietari terrieri. Questo pacchetto di leggi va però associato all'estensione del consolato ai plebei. Per la prima volta nel 366, anno successivo all'emanazione di queste leggi, sarà un plebeo a coprire il consolato. I tribuni pubblicarono delle leggi contro la potenza dei patrizi. Per quanto riguarda la seconda legge, essa si riferisce soltanto al territorio pubblico e non alla proprietà privata. Nessuno poteva possedere più di 500 iugeri di terra, stessa quantità di cui ci parlerà nel 133 a.C. Tiberio Gracco. La terza legge è stata invece promulgata affinché non si tenessero i comizi per l'elezione dei tribuni militari, uno dei due consoli doveva essere scelto tra la plebe. Le leggi Licinie Sestie rappresentano quindi il punto di arrivo di un percorso di parificazione iniziato nel 494 a.C. con la secessione, l'istituzione dei concilia plebei, quella dei tribuni della plebe, le leggi delle XII tavole, il Plebiscito Canuleio, i tribuni militari che vengono successivamente aboliti dagli stessi tribuni della plebe che danno il via per l'accesso al consolato dei plebei. Nel 366 c’è il primo console plebeo: Lucio Sestio Laterano. Chiaramente a questo punto i plebei hanno raggiunto i loro obiettivi: i patrizi ne escono sconfitti e probabilmente questa volta, proprio per dare il contentino ai patrizi, vengono create due magistrature. Nel 366 a.C. verrà creata un’edilità curule. Si potrebbe dire che sia assurdo che ancora si parli di divisione nel momento stesso in cui possono patrizi e plebei possono sposarsi e questi ultimi possono raggiugere il consolato; che senso ha, a questo punto, creare delle magistrature che siano appannaggio dei patrizi? Era un modo per dare una misura compensativa alle grandi famiglie patrizie. Nonostante alla fine di questo percorso si crei una nuova nobilitas, che è la nobilitas patrizio-plebea, cioè un tutt’uno, permarranno sempre le grandi famiglie patrizie di nome e le grandi famiglie plebee. Quindi alla finesi parlerà di nobilitas patrizio-plebea, però continueranno a permanere le grandi famiglie patrizie e le grandi famiglie plebee. Appannaggio di queste grandi famiglie saranno le edilità curule per cui avremo un’edilità plebea e una curule. Le competenze sono quasi uguali. Poi abbiamo la pretura, che è tra le magistrature più importanti, nel cursus honorum stabilito da Silla, immediatamente prima rispetto al consolato. Abbiamo così completato il cursus honorum: questura, edilità, pretura, consolato, censura. Andiamo adesso a vedere queste nuove magistrature affidandoci a delle fonti di diritto al Digesto. Vengono istituite nel 366 a.C., forse per compensare la perdita di quel monopolio del consolato da parte dei patrizi. • Pretura. Digesto I,2, 2, 27-28: “In seguito, poiché i consoli erano chiamati sui confini dalle guerre e non vi era chi potesse amministrare la giustizia in città, si decide si creare anche un pretore, che fu chiamato urbano, poiché amministrava la giustizia nell’Urbe. In seguito, qualche anno dopo, poiché quel pretore non era sufficiente, essendo giunta in città una gran folla, costituita anche da stranieri, venne creato anche un altro pretore, che fu chiamato peregrino, poiché in genere amministrava la giustizia tra gli stranieri.” I consoli avevano anche prerogative in ambito giudiziario. Dal momento che i consoli avevano sia potere civile che militare, quando c’erano delle guerre loro si spostavano. Allora, si veniva a creare una magistratura che ricoprisse questo potere di dirimere le contesse e le cause quando il console si trovava fuori per cui venne eletto un pretore che fu chiamato urbano (questo ci fa capire che presto ci sarà un altro tipo di pretore). Ci sarà il pretore urbano poiché amministrava la giustizia nell’Urbe (quando Urbe è scritto in maiuscolo è sempre Roma). Abbiamo inoltre l’attestazione da parte della fonte dell’afflusso di stranieri, di peregrini, da cui l’elezione del praetor peregrinus. Il praetor urbanus si occupava di cause che sorgevano tra cittadini romani; il praetor peregrinus, invece, di contese tra un cittadino romano e uno straniero. Questo per quanto riguarda la pretura. Anche in questo caso abbiamo una carica basata sull’annualità e sulla collegialità e all’inizio abbiamo due pretori. Poi saranno aumentati fino a diventare 8 sotto Silla. Poteri: auspici maggiori perché la pretura, come il consolato, è una magistratura dotata di imperium, quindi i pretori potevano prendere gli auspici. La specificità di questa magistratura è la giurisdizione civile, poi diritto di edicere (emanare degli editti) e diritto di agire con il popolo. Quando abbiamo fatto i diritti centuriati dicevamo che potevano essere indetti da consoli e pretori, i quali possono partecipare ai comizi centuriati; questo significa agire con il popolo: prendere parte alle assemblee del popolo, riferirlo al senato e fare da tramite, proprio come abbiamo visto oggi con i tribuni della plebe che lo facevano con i concilia plebis. Le competenze sono giudiziarie e politiche nell’Urbs e giudiziarie fuori dall’Urbs, infatti li troveremo nelle province quando ci incontreremo con questa nuova forma di organizzazione territoriale. Dall’80 a.C., cioè da Silla in poi, abbiamo dei tribunali speciali a cui sono preposti i vari pretori. Ecco perché ne avremo 8. Per quanto riguarda il praetor peregrinus dobbiamo aprire una parentesi importante: così come a Roma c’era stata l’attenzione ad avere un corpo di leggi scritte, quindi poi ad esigere il rispetto di queste norme, effettivamente i romani nel rapportarsi agli altri, agli stranieri, fanno seguire ad essi sì le proprie leggi, ma mostrano enorme rispetto per lo ius gentium, cioè per il diritto comune a tutte le genti. Il diritto romano da una parte, ma attenzione sempre allo ius gentium, cioè al diritto comune che poi sarà importante durante la creazione delle province come attenzione alle norme tradizionali dei vari luoghi. Ci soffermiamo sull’importanza dei pretori nell’emanare editti, di edicere; e da qui deriva iuris dictio per cui giurisdizione. Potevano amministrare la giustizia sulla base dei processi stabiliti dalla lex e poi potevano emanare degli editti. I pretori ius dicebant avrebbero dovuto amministrare la giustizia civile sulla base del leges agere, dell’agire processualmente secondo quanto stabilito dalla lex. Scopo: sostituire allo scontro fisico tra i contendenti una messa in scena depotenziata e simbolica • Edilità. Digesto I, 2, 2, 26: “In seguito, avendo deciso di creare consoli anche dalla plebe, si iniziò a scegliere questi magistrati da entrambi gli ordini. Ma proprio allora, affinché i patrizi conservassero una qualche preminenza, si decise di creare due magistrati dall’ordine dei patrizi e così furono chiamati edili curuli.” C’è meno da dire per quanto riguarda le edilità curule perché le prerogative grossomodo erano quelle degli edili plebei tranne qualche differenza che riguarda l’entità dei numi: in questo caso avrebbe diritto ai numi maximi, quelli in onore di Giove capitolino. Quindi in seguito, avendo deciso di creare consoli anche dalla plebe, si cominciò a scegliere questi magistrati in entrambi gli ordini. Vennero chiamati edili curuli dalla sella curule, ovvero uno di quei signa esteriori di potere che venne introdotto da Tarquinio Prisco. Quindi vediamo ancora annualità e collegialità. Le competenze sono identiche: cura Urbis, cura annonae e cura ludorum; mentre gli edili plebei si occupavano dell’organizzazione dei giochi delle divinità come Demetria, in questo caso abbiamo l’organizzazione di riti più importanti in onore della triade capitolina, in particolare i numi maximi dedicati a Giove. Vengono designate dai comizi tributi tutte le magistrature minori. Quindi le magistrature di potestas eleggevano i magistri tibuti, quelle dotate di imperium consoli, pretori e censori eletti dai comizi centuriati. Si servivano di personale aggiunto quali gli scribi. Il plebiscito Ogulnio. Nel 300 a.C. abbiamo il plebiscito Ogulnio con cui viene consentito ai plebei l’ingresso nei collegi sacerdotali dei pontefici e degli auguri. Si tratta di un’ulteriore tappa di successo e di conquiste per i plebei. I plebei, con questo plebiscito, possono entrare anche nei collegi sacerdotali e diventare pontefici e auguri, quindi risolviamo anche quel problema dell’interpretazione del diritto, ma del resto nel momento in cui apro il consolato ai plebei non ho più paura di chi detiene il monopolio degli auspicia, perché nel momento in cui il pontefice è plebeo non importa se anche l’augure sia plebeo perché ormai la battaglia è stata vinta. La lex Hortensia. L’ultima tappa la troviamo nel III sec., 287 a. C. data in cui, in seguito all’ennesima secessione, questa legge, fatta passare dal dittatore plebeo Q. Ortensio, si prescrisse che i plebiscita votati dai concilia plebis avessero valore per tutta la cittadinanza romana, equiparandoli così alle leggi votate dai comizi centuriati e dai comizi tributi. La Lex Hortensia prende il nome da un dittatore, quindi evidentemente ci sono delle fasi in cui si è ricorso alla dittatura ed è una fase importante perché dà valore ai plebiscita: le decisioni prese all’interno dei concilia plebis nel momento in cui decade questa netta distinzione tra patrizia e plebei avevano valore per tutta la cittadinanza, quindi non soltanto per i patrizi, ma anche per tutta la mobilitas patrizio plebea. Prima trovavamo la dicotomia plebiscita - lex come nel caso di plebiscito canuleio o lex canuleia perché nel 445 a. C. quando l’editto viene emanato è un plebiscito, ma nel momento in cui entra in vigore la Lex Hortensia che mette sullo stesso piano i comizia plebis con quelli dei tributi e quelli dei comizi centuriati, può diventare lex se otteneva l’auctoritas patrum, cioè la ratifica del senato. Quindi è un percorso che porterà anche le decisioni emanate in seno ai concilia plebis ad avere valore di lex generali per tutta la cittadinanza romana. Il percorso incomincia nel 494 a. C., 451-50 a. C. le leggi, 445 a. C. divieto di matrimonio spezzato, 367 a. C. leggi Licinie sestie, 300 a. C. plebiscito Ogulnio con apertura ai plebei anche dei collegi pontificati e poi l’ultima tappa è la Lex Hortensia. Il percorso comincia nel V secolo a. C. e si ferma nel III secolo a. C., quindi dura due secoli. Lezione 8/03 Ieri abbiamo visto il percorso evolutivo della storia romana dal V al III secolo per quanto riguarda le istituzioni. Abbiamo svolto lo studio di quella che possiamo definire la morfologia della storia, quelle strutture e quelle caratteristiche che stanno alla base degli avvenimenti; oggi invece andremo a studiare quegli avvenimenti che per certi aspetti accelerano il corso della storia. Possiamo dire che quella di ieri era una storia che ha posto le basi di quella che sarà l’impalcatura dello stato romano e su cui spesso torneremo per vedere le evoluzioni di questo stato romano nel corso dei lunghi secoli della repubblica - dal VI sec al I sec a.C. - ma, in alcuni casi, alcune magistrature e alcune istituzioni ci accompagneranno per tutto il nostro percorso di storia romana. Dal primo giorno della scorsa settimana in cui avevamo lasciato Roma come un piccolo villaggio, fatto di capanne e di frasche e di canne, ci troviamo dinanzi ad una città - quale aveva assunto i connotati già sotto Tarquinio Prisco - che dopo la fase del dominio etrusco (in cui già l’avevamo vista impegnata in scontri) si pensi alla caduta di Tarquinio e alla parentesi di Porsenna. Oggi vedremo come Roma continui a scontarsi con le popolazioni limitrofe per la gestione di zone di ricchezza: la prima che oggi vedremo è proprio la zona a sud di Roma, che costituiva la ricchezza, e la strategicamente importante posizione di Roma quale la zona delle saline, contesa con gli etruschi. Poi vedremo questa espansione di Roma prima all’interno del Lazio e infine passeremo all’espansione di Roma: A nord e quindi allo scontro con i Galli; A sud, quindi allo scontro con i Sanniti. L’espansione di Roma. V SECOLO a.C.: Roma potenza regionale. Prima fase: occupazione di Fidene, zona in cui stavano i Veienti e che si trova nella riva latina del Tevere. I Veienti cercano di espandersi verso la zona latina, zona ormai di influenza romana. Qui abbiamo una guerra particolare. (Pensiamo ad esempio alla battaglia delle Termopili). Quindi non abbiamo una guerra di Roma contro Velio, ma abbiamo i Veienti che scendono verso Fidene; troviamo un clan familiare (avevamo parlato di gentes con la propria clientela, con i propri clientes). Abbiamo la Gens dei Fabi, (tra le gens più importanti), che si muove con il suo esercito privato, formato dai clientes. Quindi in questo caso, non pensiamo all’esercito oplitico, di cui abbiamo parlato con la riforma di Servio Tullio; quindi, non è una guerra ufficiale di Roma urbs, di Roma entità statale, ma è una guerra privata, aristocratica, mossa dalla gens dei fabi, che servendosi dei suoi clientes, equipaggia questo esercito, che viene annientato, sconfitto: da qui, il parallelismo con le Termopili, con la guerra aristocratica dei ‘300. Questo è un aspetto particolare di questo scontro. Seconda fase: intervento di Roma, che riesce a conquistare Fidene, così questa entra nell’orbita romana. Terza fase: va dal 405 al 396, in cui viene collocato l’assedio decennale di Veio. Veio, sarebbe stata assediata dai romani per dieci anni e solo dopo dieci anni, si sarebbe avuta la capitolazione degli abitanti di Veio. Anche in questo caso, abbiamo la figura di un dittatore, Marco Furio Camillo e anche in questo caso, abbiamo un elemento leggendario. Siamo a cavallo tra V e IV secolo. Plutarco, Vita di Camillo 6, 1-2: “Dopo il sacco della città, Camillo decise di trasferire a Roma la statua di Giunone, secondo il voto. Radunati allo scopo gli operai, cominciò a sacrificare e invocò la dea di gradire il loro zelo e di abitare propizia con gli dei di Roma; la statua allora, dicono bisbigliò sommessamente che accettava volentieri. Livio racconta, invece, che Camillo pregava e invitava la dea tenendo una mano sulla statua, e alcuni presenti risposero che essa accettava volentieri e bramava di seguirli.” Cosa è questo espediente della evocatio a cui si affida il dittatore? (Questo ci fa capire che c’è una difficoltà concreta di sconfiggere il nemico). A questo punto, Marco Furio Camillo si affida alla religio. Plutarco, nella biografia di Camillo, ci spiega perfettamente in che cosa consiste questa evocatio: Giunone, era la divinità protettrice di Veio. Camillo avrebbe proposto un furto adeguato a Roma, se la dea avesse accettato di lasciare la protezione di Veio e accettare il furto da parte dei romani. Capiamo bene che si tratta di una leggenda, ma ci fa capire che siamo in una fase in cui, non solo si stabiliscono i rapporti tra diverse popolazioni, ma inizia a definirsi quella che è la religione romana. È come se Giunone, entrasse a far parte, pienamente del Pantheon romano. Soprattutto, ci fa comprendere, la difficoltà del momento. Quindi questa lotta, contro l’ultima resistenza etrusca di Veio, è stata veramente dura: in primis, perché Roma ha dovuto ricorrere ancora una volta, alla figura di dittatore, a una figura straordinaria e addirittura, vi è l’esigenza di un intervento divino che, fittizio o meno, c’era sicuramente la difficoltà dei romani a gestire la situazione. (Non ci interessano tanto le tre fasi, ma ci interessa capire perché è stata importante e difficile la presa di Veio). Perchè diventa importante? Perché, in realtà, vediamo che è stata una guerra in tre fasi. A parte la prima fase aristocratica, privata della guerra, ha impegnato per lungo tempo i soldati romani e da qui quell’esigenza e difficoltà per i piccoli proprietari terrieri a supportare l’impegno militare. E quindi, l’introduzione di uno Stipendium. Abbiamo detto che con la riforma centuriata, è il cittadino a doversi procurare la sua armatura, ma è chiaro che se si è impegnati per lungo tempo e non si può mantenere il proprio status, è chiaro che occorre un intervento dello Stato. Questo sarebbe accaduto proprio in occasione di questa lunga guerra che si protrae tra la fine del V e l’inizio del IV secolo, per cui viene introdotto lo stipendio. Livio ci dice che il senato decretò che i soldati ricevessero la paga dallo stato. Questa è una misura innovativa, perché fino a quel tempo, avevano compiuto il servizio militare a proprie spese. (Questa eccezione sarà portata avanti, fino a Gaio Mario, primo secolo a.C.). Per pagare lo stipendio, lo stato, a sua volta, aveva bisogno di avere delle entrate, e quindi abbiamo l’introduzione di un Tributum. Dunque, da una parte lo stato dà, dall’altra toglie. Un altro aspetto importante, è che Veio, nuova conquista romana, viene divisa in lotti che vengono distribuiti ai plebei. I plebei, chiedevano una più equa distribuzione di terre, ma questo avverrà più avanti, nel 367. Nel 396, non c’erano ancora state delle misure in tal senso, quindi la distribuzione di piccoli lotti, ai plebei che ne avessero bisogno, è anche essa importante. Livio, riporta un altro aspetto importante: “su proposta dei consoli, si fece un decreto del senato in virtù del quale dovevano essere assegnati a ciascun plebeo 7 iugeri della terra di Veio, e non soltanto ai padri di famiglia, ma in modo che in ogni casa si facesse calcolo su tutte le persone libere, e in vista di ciò si fosse invogliati ad allevare figli”. IV SECOLO a.C.: Roma potenza nazionale. L’invasione gallica. Fino a questo momento, abbiamo visto un’espansione di Roma verso sud, tranne la parentesi di Veio che era leggermente a Nord rispetto a Roma. Mentre con i Galli abbiamo un’espansione di Roma verso nord, dovuta a quella che fu definita Invasione gallica. In realtà si tratta di movimenti di popolazioni che scendono da nord ed è molto frammentaria la documentazione che ci è giunta a tal riguardo. • Polibio pensa ad un movimento, presentato dalle fonti come un’invasione, avvenuta in un breve periodo (nel 387 a.C. grossomodo) nei primi decenni del IV secolo. • Mentre per Livio, già nel VI secolo, arriverebbe questo afflusso di genti nuove provenienti dal nord. L’analisi congiunta delle due fonti, cioè Polibio che parla del IV secolo e Livio che parla del VI secolo, porta lo storico, in generale, a propendere per una teoria (che il nostro manuale presenta): LA TEORIA DEL FARSI DELLA CELTICITA’→ questi movimenti delle popolazioni furono un processo lento, che avvenne sulla lunga durata. Dunque non si può stabilire un periodo preciso in cui avverrebbe un’invasione gallica. Ma avremmo un movimento di popolazioni celtiche, che dura nel corso anche di due secoli. Possiamo congiungere, in questo caso, le due testimonianze: tanto Livio, quanto Polibio. Iniziamo con Livio, VI secolo, fino a scendere al IV secolo, di cui ci parla Polibio. Dunque, si tratta di movimenti di popolazioni piuttosto che invasioni, soprattutto in questa fase della storia di Roma. Fra l’altro, i galli, sono una popolazione molto complessa, perché sono divisi in tribù. Quindi, a seconda della tribù, abbiamo dei movimenti diversi e anche delle sedi di destinazione diversa: • i Galli Boi, (da cui viene Bonomia.. Bologna), vanno a sistemarsi in Emilia; • I Galli Insubri, in Lombardia; • I Galli Cenomàni e Gesàti, in Italia del nord. Come possiamo vedere, tutta la zona transpadana, dal Po al di fuori del Po; • i Galli Sènoni, (da cui viene Sena..gallica..Senigallia), nelle Marche. I galli sono delle comparse intermittenti nella storia di Roma, però li ritroveremo qua e là, anche all’interno della seconda guerra punica. Quindi ci interessa localizzarli ma soprattutto arriveremo al momento in cui i romani riusciranno a neutralizzarli. Perché i galli, per i romani, saranno un tallone di Achille, non si rassegneranno mai alla supremazia romana e cercheranno sempre di ferire Roma, alleandosi con il primo nemico di turno, in primis Annibale. Quindi, è importante collocarli geograficamente. Tant’è che la storiografia ci parla di Metus Gallicus: locuzione latina che letteralmente significa "timore gallico". Si riferisce al terrore che i Romani provavano nei confronti delle incursioni dei Galli. Dal 387 a.C. al 50 a.C. Il 50 a.C., non è altro che la conquista della Gallia, da parte di Giulio Cesare, con la provincializzazione della Gallia. Quindi la Gallia diventa romana, però, la Gallia, anche in età imperiale, non si rassegnerà. Sarà sempre terra di usurpatori. Per il 387 a.C. data dell’”incendio gallico” a proposito di uno scontro che ci sarebbe stato tra i romani e i galli, ma in realtà è più corretto parlare di disastro sull’ALLIA che sarebbe avvenuto il 18 Luglio (dies nefastus). Ci sarebbe stata questa sconfitta sull’ALLIA e la difficoltà da parte dei romani di controbattere gli attacchi dei galli. Le fonti sull’avvenimento sono alquanto incerte: si parla di rivincita ad opera di Camillo/secondo Romolo e di incendio di Roma smentito dall’archeologia. Quindi si parla di questo incendio gallico di cui però non sono rimaste tracce, e poi se fosse realmente accaduto Roma non si sarebbe ripresa così velocemente, quindi che sia 386 o 388. Poco importa, ma da qui ad un ventennio circa vediamo Roma pronta ad intraprendere una guerra contro i sanniti, e a stipulare trattati, quindi una Roma che era pronta a guardare a sud. Quindi se fosse stata veramente prostrata da un sconfitta e poi addirittura da un incendio, avrebbe dovuto prima riprendere le proprie posizioni e le forze, e poi solo dopo pensare ad allearsi con altre popolazioni per espandersi a sud. Queste sono le motivazioni che vengono addotte, confermate in seguito anche dall’archeologia del fatto che non ci sia stato nessun incendio gallico. Anche il nome di Brenno, di questo eroe gallico è un pò sospetto perché l’etimologia celtica rimanderebbe al re o un animale (brenin=re; brannos=corvo). Quindi potrebbe essere il nome di un personaggio fittizio che viene usato nelle storie. Nel 390 a.C. viene collocato questo sacco gallico, ma non vuol dire che ciò sia sfociato in un incendio. Questo evento è interessante perché Roma in difficoltà riceve aiuto dalla vicina città di Cere, una città etrusca. E ciò testimonia come intanto i rapporti siano cambiati. La città di Cere offre ospitalità a donne e bambini, sacerdoti, Vestali e sacra. In cambio Roma concede la CIVITAS SINE SUFFRAGIO , cioè la cittadinanza romana, ma attenzione senza diritto di voto, quindi una cittadinanza a metà. La studiosa Marta Sordi si è soffermata su questo aspetto, quindi gli abitanti di cere avevano gli stessi obblighi dei romani, dovevano prestare servizio militare e pagare il tributum ma non avevano il diritto di voto. Per quanto possa essere una sorta di fregatura, essendo Cere una città etrusca in realtà è un grande passo avanti. Però sarebbe un modo per Roma di trarre un beneficio di cui aveva già goduto, accettando l’ospitalità offerta da Cere. Ci interessa questa vicenda dei galli, anche come strumento di lavoro che troveremo dopo, ricordiamo l’ episodio del sacco gallico e dell’incendio che pare sia stato smentito dall’archeologia, la cui conferma la troviamo nella rapida ripresa di Roma tanto in politica estera, tanto difensiva che offensiva. Parliamo adesso dell’altra forma utilizzata dai romani per organizzare i territori vinti. Le colonie le abbiamo viste come formazioni e insediamenti di cittadini romani o romani e latini insieme. Per quanto riguarda invece gli equi e i volsci abbiamo un altro tipo di organizzazione che verrà utilizzata da Roma sempre in età repubblicana, quella del Municipium. Municpium→ Ì municipi sono delle comunità preesistenti che mantengono la loro organizzazione, non spariscono o vengono annientate dai romani e rimpiazzate da altri abitanti, ma i municipia preesistono e rimangono tali mantenendo la loro identità. Il primo municipio romano è la città di Tusculum, ed è abitato da latini e rimane con i suoi abitanti, rimane con la sua organizzazione interna, mantiene le sue strutture di governo e quindi l’amministrazione cittadina che le era propria e mantiene la sua autonomia. I cittadini però in questo caso acquisiscono diritti e doveri dei cittadini romani. Ai romani interessavano soprattutto i doveri, infatti municipium viene da munia capere quindi il munus è proprio un dovere, un onere che una comunità ha rispetto agli altri. Anche i municipi si distinguono in due categorie: optimo iure e sine suffragio. Abbiamo detto che acquistano doveri e diritti, ma per quanto riguarda i diritti sono più smorzati di quelli dei romani. • Nei municipi optimo iure di pieno diritto romano, che mantiene la sua autonomia interna dal punto di vista amministrativo, ma ottiene il diritto di voto quindi la partecipazione attiva alla vita politica romana. • Oppure un municipio sine suffragio mantiene la sua autonomia ma non sono pienamente cittadini romani perché non hanno il diritto romano. Naturalmente ciò si stabilisce sulla base dei rapporti che Roma intratteneva con un determinato municipio, se aveva fiducia in quel municipio allora concedeva la piena cittadinanza e quindi l’optimo iure altrimenti il sine suffragio. Anche perché per poter votare devo essere inserita nel sistema centuriato, ricordiamoci che a Roma non si votava per singolo individuo ma all’interno del sistema centuriato per centurie, all’interno dei comizi tributi per tribù. Le guerre sannitiche. Dopo questa parentesi, riprendiamo la nostra scalata verso il potere di Roma, e verso le sue conquiste. Abbiamo lasciato il fronte nord dei galli, che ritroveremo più avanti, e iniziamo a vedere in che situazione si trova Roma. Si trova ad affrontare una serie e di pericoli incrociati perché tra le popolazioni ostili a Roma pian piano si vengono a creare delle trame di rapporti. Quindi abbiamo: • I Latini, che dovrebbero essere alleati di Roma, che hanno fatto arroccare i Galli sulle colline, quindi li hanno aiutati poichè in realtà tutti questi alleati di Roma sono insofferenti della sua supremazia, del suo potere perché era una realtà ingombrante, dal momento in cui poteva concedere qualche diritto ma a costo di molti doveri. Roma capisce che non si può più fidare dei Latini. • Oltre il pericolo latino-gallo abbiamo anche quello siracusano, questo perché i galli avevano creato una trama di alleanze con i sovrani di Siracusa, e più avanti vedremo com’era questo regno di Siracusa, un regno autonomo con la sua preminenza nella Sicilia orientale, visto che quella occidentale era in mano punica. Quindi Roma non potendo più contare sui Latini e sui Galli ecco che guarda altrove e guarda proprio alla Campania, per la ricchezza che offriva, ma guardando alla Campania doveva tener conto delle popolazioni che ruotano in questa zona, e dunque abbiamo i Sanniti, arroccati sull’Appennino. Il primo approccio di Roma è sempre diplomatico, infatti abbiamo una serie di trattati. Quando c’è un trattato però dobbiamo sempre aspettarci un guerra perché c’è sempre qualcuno che lo viola, Il trattato del Liri del 354 a.C., prende il nome dal fiume, che viene utilizzato ancora una volta come confine tra zone di influenza, sfocia presso Gaeta, e segnava il confine tra Roma e i Sanniti. Quindi i romani non dovevano scendere al sud del Liri mentre i Sanniti non lo dovevano oltrepassare a nord, si vengono a creare le sfere di influenza. La stessa cosa che Roma ha fatto per secoli con Cartagine, abbiamo visto il famoso trattato del 508 a.C. ma ne vedremo altri, ad esempio quello del 348 a.C. con Cartagine: con Cartagine si rinnovano sempre queste sfere d’influenza, è come se cercasse di sistemare la situazione con le potenze di cui aveva timore. Parlando del Sannio, zona impervia organizzata in pagi divisi in vici in villaggi, a capo di ogni villaggio vi era un meddis. Erano organizzati in tribù : carricini, pentri, caudini e irpini. Queste tribù insieme formavano la lega sannitica, quindi c’era questa abitudine a formare delle leghe ed è un modo per rafforzarsi rispetto ad un probabile nemico. Anche il Sannio aveva sposato il costume della primavera sacra, ossia della migrazione verso terre più fertili, peccato che questa migrazione nel caso del Sannio, li ha portarti a sfociare nel mar Tirreno e quindi in Campania. I Campani per difendersi formano la lega Campana, una sorta di lotta per la sopravvivenza, o comunque un momento di movimento di popolazioni alla ricerca di una collocazione migliore, quindi in questo caso di terre più fertili, nel caso di Roma per ricerca di ricchezza, ma nel caso dei sanniti no perché erano alla ricerca di una terra fertile da coltivare. Abbiamo una serie di 3 guerre o 4 in base all’interpretazione storiografica che faremo della seconda guerra sannitica, che è un problema storico vero e proprio: Nel 343 abbiamo l’occupazione di Teano, che sorgeva al disotto dell’Iri, zona di influenza dei sanniti. Quindi vanno ad occupare una località, Teano, che era dei Sidicini. Diciamo che i sanniti non stanno compiendo nessun danno, perché si stanno muovendo nel territorio di loro competenza. Succede però che i Sidicini, abitanti di Teano, chiedono aiuto alla lega campana. Nel momento in cui i sanniti quando erano scesi verso il tirreno si era formata questa lega campana. Quindi a questo punto, la lega campana da sola non ce la fa ad opporsi da sola ai sanniti e chiede aiuto a Roma. D’ora in poi avremo questa prassi della richiesta d’aiuto a Roma. Roma in teoria in base al trattato del 264 dell’Iri non poteva scendere al sud del fiume Iri, e Teano si trovava al sud del fiume Iri quindi la sfera di competenza era dei sanniti e Roma non c’entrava niente. Ma Roma non sta intervenendo sponde sua, ma il suo intervento viene richiesto dalla lega campana a cui si erano appellati i sidicini. In questo caso la prof. nell’interrogativa diretta ha parlato di deditum in fidem e di bellum iussum. Quindi non c’è nessuna violazione della fides ma si tratta di deditum in fidem e di bellum iussum. Sono due concetti nuovi che caratterizzeranno tutta questa parte della storia di Roma che la porterà a diventare prima una potenza nazionale e poi una potenza mediterranea. Ma cosa è la deditium in fidem? • È la cessione della propria sovranità a Roma. Esempio: io, Teano, che è la località occupata, trasferisco la mia sovranità di città, quindi l’identità, a Roma. Così tutti i poteri passano a Roma. Questa è una delle interpretazioni che vengono date. • Un’altra interpretazione che viene data è di atto stipulato liberamente tra due parti con obbligazioni reciproche. Ossia nel momento in cui io Teano cedo la mia sovranità, mi affido e mi dono a Roma. Roma in cambio mi presterà aiuto. Con questo espediente Roma riuscirà a trasformare tutte le sue guerre in bella iussa, bellum iussum. Io Roma non intervengo per mire espansionistiche, per conquistare, ma intervengo per portare aiuto ad un’entità statale più piccola che ha bisogno e che mi ha ceduto la sua sovranità. Io Roma non ho colpa, sto interferendo perché mi hanno chiamato. • Un’altra interpretazione di bellum iussum era stata anticipata parlando dei feziali. Prima di iniziare una guerra bisognava seguire una serie di rituali, e se fossero stati seguiti dai consoli in maniera perfetta si sarebbe avuto un bellum iussum. Ma il bellum iussum quando parliamo di deditio in fidem e bellum iussum, si intende la guerra giusta in quanto difensiva: io Roma intervengo per difendere Teano e la stessa cosa verrà fatta con altre realtà. D’ora in poi, nelle guerre sannitiche, passando per la guerra con Pirro per arrivare ai Mamertini stanziati a Messina, Roma dirà sempre di non avere violato nessun trattato. Vedete questo sottile meccanismo che le fonti ci tramandano, Roma VS Magna Grecia. Chiudiamo le guerre sannitiche e procediamo in quella che è l’espansione di Roma verso la penisola italica e iniziamo a guardare alla magna Grecia formata da poleis sulle quali primeggiava la città di Taranto, una colonia di Sparta. Taranto era la più ricca ed esercitava una certa leadership in virtù ovviamente del suo primato economico; e spesso quando sorgevano dei conflitti si rivolgeva proprio alla madrepatria, Sparta, oppure ad altri sovrani nelle prossimità geografiche: di fronte infatti si trova l’Epiro (Albania e Grecia settentrionale) dove vi era installata la dinastia dei Molossi da cui discende la madre di Alessandro Magno e ovviamente i sovrani a cui Taranto si rivolgeva per via della vicinanza. Dinanzi la vittoria di Roma durante le guerre sannitiche Taranto incomincia a temere questa potenza ed ecco che quando due potenze (ricordiamoci che Taranto aveva la leadership sulle città della Magna Grecia) cominciano a guardarsi con un certo timore, ecco che ricorrono a stringere un trattato, in questo caso il trattato che viene stipulato tra Roma e Taranto è il trattato di Capo Lacinio (oggi Capo Colonna). In base a questo trattato Roma non poteva andare a sud di Capo Colonna, quindi questa era tutta zona di competenza di Taranto. Ma Taranto si trova geograficamente a nord di Capo Colonna, quindi, qualsiasi cosa Roma faccia all’interno del golfo tra Taranto e Capo Colonna, non andrebbe a violare nessun accordo. Qual è il casus belli? La richiesta d’aiuto a Roma da parte di Turi attaccata dai Lucani. Roma interviene inviando una guarnigione ma poi pone una piccola flotta anche nelle acque che erano nel golfo di Taranto. Questo intervento non avrebbe compromesso il trattato di Capo Lacinio ma a Taranto non piace questa ingerenza perché doveva mantenere la sua leadership, era una polis greca quindi con un governo democratico, una flotta dunque una potenza via mare ed un esercito fatto di mercenari. All’interno di Taranto si crea un dibattito perché di fatto Roma non aveva violato nessun trattato e allora prende corpo da una parte una fazione democratica che è ostile a Roma, un po’ quello che succede a Napoli: le masse sono ostili a Roma mentre le fazioni aristocratiche sono favorevoli ad un accordo con Roma. Vince la fazione democratica per cui Taranto attacca le navi romane e in seguito marcia su Turi per espellere la guarnigione romana. Nel momento in cui Taranto interviene attaccando prima la flotta romana e poi la guarnigione, scoppia la guerra. A questo punto Taranto si rende conto che da sola non può gestire Roma che era ormai diventata una potenza nazionale, le mancava soltanto la Puglia e l’Abruzzo, quindi a questo punto cosa fa Taranto? Così come era costume delle città della Magna Grecia chiede aiuto Pirro re dell’Epiro (attuale Albania e Grecia settentrionale) della dinastia dei Molossi (la stessa della madre di Alessandro Magno). Pirro accoglie l’invito e sposa l’ideologia del “novello Achille”, cioè si presenta come il liberatore dei Greci d’Occidente contro la troiana Roma, perché Roma era stata fondata da Enea. Quindi sposa questa battaglia ideologica e con questa linea propagandistica sbarca in Italia. In quest’occasione Roma si troverà in difficoltà e per la prima volta e in maniera occasionale sarà costretta ad arruolare i capite censi, i nullatenenti, ossia coloro che non avevano nient’altro che la propria persona e che quindi in quanto tali non potevano procurarsi l’armatura per combattere. Ma c’era bisogno di uomini perché Pirro accorre con un esercito di 25.000 uomini imperniato sulla fanteria pesante e puntellato dagli elefanti indiani: alti circa 3 mt, pesanti circa 4 tonnellate, zanne più piccole di quelli africani e che reggono la torretta. Sia per l’ampiezza dell’esercito sia per l’effetto sorpresa Pirro riuscirà a riportare tutta una serie di vittorie che passeranno alla storia come vittorie pirriche. Nel gergo una vittoria pirrica è una vittoria non risolutiva: Pirro vince le singole battaglie (con perdite enormi) ma non vince la guerra. La prima di queste battaglie è ad Eraclea e poi salendo Ascoli, è questo il tragitto fatto da Pirro. Tra la battaglia di Eraclea in Lucania e la battaglia di Ausculum, ancora una volta, le città italiche si alleano con Pirro: i sanniti, i lucani stessi, i gruzzi (abitanti della Calabria). C’è una forte paura delle popolazioni italiche verso la nascente potenza di Roma che le porta a schierarsi con chiunque si presentasse come il salvatore del momento. Quindi a questo punto Roma si trova in una situazione delicata ed è sul punto di accettare delle trattative di pace di cui ci parla Appiano nel resoconto delle guerre Sannitiche, per cui viene mandato a Roma un abitante della Tessaglia che stava per convincere i romani, quando interviene una figura su cui ancora non ci siamo soffermati che è un ex censore, il vecchio Appia Claudio Cieco (non è lo stesso delle leggi delle XII tavole) il quale appunto perorerà la causa della guerra a tutti i costi con una vera e propria orazione, un discorso in cui disse «ho sofferto per la perdita della vista ma ora lamento di non aver perso anche l’udito» del tipo “che mi tocca sentire?” Appiano, le guerre sannitiche, 10, 1-6: “Pirro, re dell'Epiro, avendo ottenuto una vittoria sui Romani e desiderando recuperare le sue forze dopo il duro scontro... inviò a Roma il tessalo Cinea, tanto famoso da essere paragonato a Demostene...I Romani esitarono a lungo, intimiditi dal prestigio di Pirro e dalle disavventure che avevano subito, finché Appio Claudio, detto Cieco, poiché aveva perduto la vista, ordinò ai suoi figli di condurlo in senato, ove disse: «Ho sofferto per la perdita della vista, ma ora lamento di non aver perso anche l’udito. Infatti mai mi sarei aspettato di vedere o sentire da voi decisioni di questo tipo. Una singola disgrazia vi ha fatto dimenticare in un momento chi siete, tanto da considerare amici invece che nemici l’uomo che di questa disgrazia è stato causa e coloro che lo hanno chiamato ... Che cosa significa ciò, se non rendere i Romani schiavi dei Macedoni? E qualcuno di voi osa chiamare tutto questo pace invece che asservimento!”. Questa è una figura particolarmente importante nella storia di Roma. Dopo questo discorso molto forte che aveva toccato l’orgoglio della nascente potenza romana ecco che Roma continua a combattere ma in realtà ancora senza successo, la meglio è di Pirro ma non in maniera definitiva. Approfondimento: Appio Claudio Cieco è stato il primo ad utilizzare come metodo di ricchezza non solo le proprietà terriere ma anche i beni mobili in metallo prezioso. Posso entrare a far parte del senato non solo se mi colloco nella prima classe di censo per le proprietà terriere che ho ma anche se ho capitale mobile. Solitamente si entrava a far parte del Senato dopo aver ricoperto una carica in magistratura, Appio Claudio Cieco concede di entrare a far parte del Senato pur non avendo ricoperto nessuna magistratura, si tratta di un’apertura nella scelta dei senatori. Questo altro aspetto permette di fare una puntualizzazione: riguardo la suddivisione in 31 tribù rustiche e 4 tribù urbane, quindi per un totale di 35 tribù; solitamente, quando si inserivano nuovi individui e soprattutto plebei, onde evitare che si scompaginasse il sistema della votazione si inserivano i nuovi membri nelle 4 tribù urbane quindi in ogni caso non potevano sconvolgere il voto, l’intervento di Appio Claudio è importante: i nuovi individui possono essere inseriti in tutte le 35 tribù. Per quanto riguarda la sfera giuridica, abbiamo parlato per giungere alle XII tavole di un diritto esclusivamente in mano ai pontefici che poi con il passaggio dall'oralità alla scrittura si assiste ad una progressiva laicizzazione del diritto quindi un diritto che non è più esclusivamente appannaggio dei pontefici e soprattutto si viene a creare un vero e proprio sapere giuridico. Appio Claudio Cieco sembra essere stato autore di una raccolta di formule che servivano in occasione dei processi ad esempio. Quindi quest’opera era chiamata De Usurpationibus, raccolta di sigle e formule utilizzate nei processi. Per quanto riguarda l’organizzazione della società si è parlato a proposito della società così come viene organizzata e concepita da Appio Claudio Cieco di uguaglianza geometrica, dunque a maggiori ricchezze corrispondono maggiori doveri. Un po’ come abbiamo già visto con la divisione in classi di Servio Tullio, più sono ricco più devo allo Stato ma è pur vero che ho più influenza politica. A maggiori diritti politici corrispondono maggiori doveri in ambito fiscale e militare. Questa forma geometrica possiamo applicarla già nei comizi centuriati e nella divisione in classi di Servio Tullio quindi più ricco sono, più ho influenza politica e più doveri ho verso lo Stato. Ricordiamoci che la prima classe doveva fornire 80 centurie di fanteria pesante ma è anche vero che ogni qual volta vado a votare ho ottanta voti che sommati alle 18 centurie dei cavalieri fanno 98 voti ma è vero che ho più obblighi, doveri, munera verso lo Stato. Ad Appio Claudio Cieco si fa risalire anche il ius Flavianum, anche qui un testo di diritto, chiamato così da un suo collaboratore probabilmente un liberto, cioè uno schiavo liberato, appunto Gneo Flavio il quale avrebbe sottratto questo testo ad Appio Claudio e lo avrebbe consegnato al popolo. Quindi siamo in una fase in cui c’era bisogno della certezza del diritto che fosse scritto. Questa è una parentesi inserita nel contesto della guerra contro Pirro (o guerra tarantina) in cui compare Appio Claudio come oratore, ex censore che cerca di muovere gli animi dei romani. A questo punto Pirro comincia a perdere terreno e allo stesso tempo riceve richieste d’aiuto dalla Sicilia. Un passo indietro: Pirro aveva sposato una certa Lanassa, figlia di Agatocle, che era stato re di Siracusa. In Sicilia abbiamo i Cartaginesi nella parte occidentale e poi abbiamo il regno di Siracusa con questi sovrani. Per cui Pirro che si era presentato come il novello Achille, che si era presentato come colui che riportava la libertà ai greci di Occidente contro la troiana Roma accoglie le richieste di aiuto dai siciliani contro i Cartaginesi. In questo caso “gli altri” erano i cartaginesi. E quindi Pirro accoglie le richieste e non poteva dire di no, perché altrimenti veniva meno a quello che era il suo obiettivo, a quella che era la sua propaganda. Quindi passa lo stretto di Messina e raggiunge la Sicilia, ma anche qui il suo intervento si conclude con un nulla di fatto. Infatti, i cartaginesi si rinchiudono nella roccaforte di Lilibeo e Pirro, ancora una volta, non riesce a vincere definitivamente perché non riesce ad espugnare Lilibeo. A questo punto, come spesso accade nella storia, quando si vedono segni di cedimento si hanno le prime defezioni, ecco che tutti coloro che avevano chiesto l’aiuto di Pirro o che, peggio, si erano aggrappati alla gonnella di Pirro (lucani, bruzzi e tutte le popolazioni citate prima) si allontanano da lui. A questo punto Pirro ritorna nella Penisola Italica, ma dà il presupposto ad un nuovo trattato di pace tra Roma e Cartagine: il trattato del 278 a.C. in cui Roma e Cartagine si giurano mutuo soccorso contro questo nuovo nemico. Tutti i trattati menzionati durante le lezioni ci sono giunti attraverso la testimonianza dello storico greco Polibio. Polibio ci dice “gli uni e gli altri mettano per iscritto” (quindi è un foedus) “che sia permesso portarsi soccorso a vicenda nel territorio di chi viene attaccato; a quale dei due abbia bisogno di soccorso, i Cartaginesi forniscano le imbarcazioni sia per l’andata, sia per il ritorno (Cartagine è una potenza navale), e gli uni e gli altri gli stipendi ai rispettivi uomini (la pratica dello stipendium introdotta quando si è costretti ad arruolare per un tempo eccessivamente lungo rispetto al normale servizio di recluta). I cartaginesi portino soccorso ai Romani anche per mare, se c’è bisogno. Nessuno costringa gli equipaggi a sbarcare contro la loro volontà”. Da questo momento, o meglio, dall’indomani del ritorno di Pirro in Italia, le sorti della guerra cambiano, quindi, come in tutte le storie a lieto fine, Roma che aveva subito una sconfitta dopo l’altra incomincia a vincere: vince nel 275 a.C. a Maleventum che da quel giorno diventa Beneventum, l’odierna Benevento (toponimo celebrativo). Il console, un certo Manio Curio Dentato, così chiamato perché è nato con un dente, è colui che ha vinto a Maleventum che diventa Beneventum. Il 275 a.C. quindi è la fine di questa guerra pirrica, Pirro se ne ritorna a casa e stando alle fonti si sarebbe recato in Grecia e muore accidentalmente, pare infatti che sia morto per la caduta di una tegola in testa. Guerre Puniche. Una data importante da ricordare è il 272 a.C.: Taranto, sconfitta, diventa una città socia e a Roma tornerà presto utilissima. Nel 264 a.C. Roma chiederà a Taranto aiuto per l’allestimento di una flotta, Roma aveva così conquistato la Basilicata, il Brutium. Quindi praticamente ormai tutta l’Italia era un possedimento di Roma e si apre il processo che si chiama romanizzazione, che non significa imposizione della cultura romana alle popolazioni vinte, in questo caso tutta la penisola, non si tratta di un processo univoco o unidirezionale, ma c’è un processo di assimilazione reciproca, Roma dà e riceve. Quindi la romanizzazione che nei periodi coloniali, secondo la tendenza per cui ogni storia è storia contemporanea, si tendeva a vedere Roma come una potenza quasi colonizzatrice in realtà non è più così, nell’era della globalizzazione quale la nostra si guarda Roma come una potenza che si apre ad altre e lo dimostrava adottando il pilum, lo ha dimostrato cambiando la struttura della regione, con lo scudo rettangolare e con l’inserimento di tutta una serie di usi, costumi e tradizioni. Taranto presto sarebbe tornata utile a Roma. Ricordiamo che nel 278 a.C. stringe un foedus, un trattato con Cartagine di mutuo soccorso. Le due potenze, infatti, sono consapevoli l’una della grandezza e della forza dell’altra, che nel corso dei secoli si sono guardate con sospetto ma affidandosi alla diplomazia e quindi stringendo trattati di mutuo soccorso, reciproco aiuto. La situazione cambia quando Roma si trova a raggiungere l’odierna Reggio Calabria. Ormai a dividere Roma, come potenza nazionale, e Cartagine c’era solo un braccio di mare, lo stretto di Messina. Da questo momento la Sicilia diventa spazio conteso tra Roma e Cartagine; infatti, è naturale che Roma guardasse con interesse la Sicilia, e che Cartagine guardasse con interesse la penisola italica. Lo stretto di Messina diventa il limes, il confine tra queste due potenze: oltrepassarlo dall’una o dall’altra parte sarebbe stato pericoloso. Non si ha al momento alcun trattato se non quanto ci dice Polibio: egli ci parla di un trattato per negarlo. L’esistenza di questo trattato cambierebbe quella che è la storia romana della I guerra punica. Polibio ci dice che lo storico Filino di Agrigento, di cui non ci è giunta opera, avrebbe attestato l’esistenza di un trattato secondo cui la Sicilia sarebbe stata sfera di influenza di Cartagine mentre la penisola italica sfera di influenza di Roma. Polibio però lo cita solo per negarlo. Qui sorge il dubbio sull’esistenza di questo trattato, in quanto Polibio avrebbe potuto negare questo trattato attestato da Filino perché lui era un ammiratore della forma di governo di Roma (costituzione mista) e quindi potrebbe essere una negazione strumentale al fine di rendere l’intervento di Roma come un bellum iustum e non come la violazione di un trattato. Questa cartina rappresenta la situazione geografica: In rosso troviamo Roma: quindi si va dalla Pianura Padana fino alla Calabria, Brutium. In blu vediamo l’immane impero di Cartagine: quasi tutta la Sicilia, buona parte dell’Africa settentrionale, parte della penisola Iberica, le Baleari, Sardegna, Corsica, Gozzo e Malta. In giallo il regno di Siracusa, autonomo con i suoi sovrani. Essendo questa la situazione era facile a questo punto che scoppiasse un incidente. L’incidente parte dai Mamertini (Mamers termine osco che significa Marte), questi ultimi sono soldati mercenari di origine osca che erano stati assoldati da Siracusa, da Agatocle. Siracusa si era servita di questi mercenari (soldati di professione che non combattono per un ideale ma per un compenso). I mamertini dopo essere stati congedati da Siracusa pensano di installarsi a Messina, determinando la reazione di Siracusa, che aveva come re Ierone II. Scoppia una conflittualità tra Siracusa e i mamertini posti a Messina, che contro Siracusa chiedono la protezione di Cartagine, l’unica altra potenza siciliana. Ad un certo punto questi mercenari si stancano dell'ingerenza dei cartaginesi anche perché avevano quest’ultimi avevano posto una flotta davanti Messina e c'era quindi un controllo continuo da parte di Cartagine, quindi stanchi di Cartagine chiedono aiuto a Roma. A questo punto la situazione di Roma cambia a seconda se si accetta l’esistenza del trattato di Filino o meno: se si accetta l'esistenza del trattato di Filino, secondo quale la Sicilia era sotto l’influenza dei Cartaginesi e la penisola italica di Roma, l’intervento di Roma significava la violazione di un trattato (e ricordiamo come Roma cercasse di non violare mai i trattati e intraprendere la strategia del bellum iustum); invece, nel caso in cui non vi fosse alcun trattato, nulla impediva a Roma di attraversare lo stretto e aiutare i Mamertini perché non c’era una violazione del trattato. La situazione però è delicata perché ci troviamo di fronte ad un impero territoriale enorme come quello di Cartagine, si tratta di una potenza da tutti i punti di vista ma soprattutto navale. Roma, invece, dispone di una piccola flotta navale. A questo punto sorge un dibattito: • Da una parte abbiamo il popolo, che è allettato all’idea delle ricchezze che potrebbero derivare dalla guerra e dall’eventuale conquista della Sicilia e i consoli sposano questa prospettiva del popolo che si esprimeva tramite i comizi centuriati e parlano di pubblico vantaggio riferendosi ad un’eventuale guerra e una grande utilità per i singoli dal punto di vista economico. • Dall’altra parte abbiamo il Senato, che assume una politica sempre più conservatrice e quindi una posizione cauta perché temeva un incidente diplomatico con Cartagine. Questo fatto ci fa presupporre che di fatto vi fosse un trattato. (anche se non ci è giunto, dunque non vi è alcuna certezza). possiamo parlare di governatori che potevano essere pro consoli o pro pretori però, chiaramente, questo è un processo graduale, cioè io vi sto parlando di un concetto di provincia che si completerà con Silla. La Sicilia sicuramente è la prima provincia, nel 227 a.C. è attestata la presenza di un governatore romano chiamato pretore, ma diciamo la lex de provincis la vedremo poi con Silla. La lex cornelia de provincis la vedremo appunto con Silla. Però adesso possiamo definire quelle che sono le caratteristiche della provincia, quindi viene in anzitutto emanata nel 227 a.C. una lex provinciae, cioè una legge contenente tutta una serie di disposizioni di carattere logistico. Vi dicevo si tratta di organizzare ex novum una realtà che i romani non conoscevano. D’altra parte l’empiria, l’esperienza pratica era la caratteristica dei romani. I romani imparavano dall’esperienza, si adattavano alle circostanze. Quindi a capo di questa nuova compagine editoriale vasta, quale è la nostra isola, ricordiamoci che in questa fase però è tutta l’isola ad eccezione di Siracusa, il regno di Siracusa rimane sotto praticamente Gerone II. Quindi tutta l’isola ad eccezione di Siracusa avrà a capo un magistrato romano, quindi è Roma che invia un magistrato che può essere un pro console o un pro pretore cioè un individuo che ha ricoperto o il consolato o la pretura. Vi dicevo che nel momento in cui divento governatore provinciale vado ad amministrare diciamo la sfera della giustizia, infatti, fissate fin da ora che il termine latino per indicare il governatore poteva essere anche quello di iudex, giudice; il governatore provinciale era giudice di prima istanza, quindi, quando c’erano processi, cause da dirimere, in prima istanza venivano risolti dal tribunale, dal dikasterion in greco, del governatore. Quello che vi sto dicendo adesso ragazzi, lo troverete per tutte le provincie cioè noi adesso stiamo facendo l’ordinamento della provincia Sicilia, ma ciò che vi sto dicendo varrà per tutte le provincie che d’ora in poi Roma andrà a conquistare. Cioè avrete capito che una volta che Roma conquista la Sicilia, conquisterà territori che andranno sempre fuori dalla penisola italica, quindi d’ora in poi avremo sempre provincie con quest’organizzazione, cioè Roma manda un governatore, pro console o pro pretore, giudice di prima istanza, quindi iudex che si occupava sia della politica interna sia dell’ordine interno, sia della politica esterna, estera e militare. Quindi aveva competenze sia in ambito civile che in ambito militare, va bene? Questo per quanto riguarda i poteri del governatore provinciale. Per quanto riguarda invece i doveri che questa nuova compagine territoriale aveva, territoriale e amministrativa insieme, aveva nei confronti di Roma, ecco l’isola conquistata doveva pagare un tributo a Roma. Anche qui Roma deve creare tutto ex novo, cioè è la prima volta che succede questo e si serve di una forma di tassazione che esisteva già nel regno di Gerone di Siracusa ed era il sistema della Decima, cioè una tassazione che consisteva nel versare a Roma in questo caso, la decima parte del raccolto. Quindi abbiamo visto come a Roma la proprietà, la ricchezza per eccellenza fosse la proprietà terriera, quindi il cittadino, in questo caso siciliano, doveva a Roma la decima parte del raccolto. Ma adesso, poi vedremo, Cicerone che è stato questore in Sicilia negli anni 70, perché ogni governatore aveva accanto un questore che si occupava abbiamo visto della sfera della fiscalità. E Cicerone è stato questore del terribile Verre, il governatore che si è macchiato del reato del repetundis e che ha veramente, possiamo dire assassinato le città della Sicilia privandole delle loro ricchezze. Da Tindari a Messina a piccoli centri dei Nebrodi, praticamente sono tutte diciamo città greche che sono state veramente derubate da questo governatore tant’è che Cicerone scriverà le Verrine. E proprio da queste orazioni di invettiva contro il governatore Verre possiamo ricavare una serie di informazioni sull’organizzazione della provincia Sicilia. Quindi è una nostra fonte privilegiata. E che cosa ci dice Cicerone a proposito della provincia Sicilia? Ci dice: “Fra tutte le popolazioni straniere la Sicilia fu la prima a ricercare l’amicizia e la protezione del popolo romano. Essa fu fra tutte la prima a essere chiamata provincia”. “omnium provincia est appellata” che fra tutte le provincie romane (ricordiamo che Cicerone scrive quando ormai Roma aveva esteso i suoi possedimenti in tutto il mediterraneo) che fino a quel momento erano state fatte, a quel tempo Roma aveva già conquistato anche la Siria, quindi era giunta anche in oriente provincia romana, e con la Sicilia per prima venne appellata, venne chiamata provincia. Quindi questa nuova forma di amministrazione territoriale inizia con la nostra isola, con l’isola Sicilia. Un’isola che durante la prima guerra punica ha avuto un comportamento diverso a seconda delle città perché ricordiamoci che la Sicilia, che era punica nella parte occidentale dell’isola, in realtà si presentava come un insieme di città, di poleis, di città stato greche. Tantissime erano le colonie greche, si pensi alla stessa Taormina che è praticamente la prima colonia che risale al 396 a.C. quindi IV secolo circa, e proprio Taormina, insieme a Messina, ha avuto un comportamento esemplare nei confronti di Roma. Un comportamento di fedeltà, ricordiamoci tra l’altro che il casus belli era partito da Messina vi ricordate? Dove c’erano stanziati i mamertini, quindi questi mercenari, per cui Messina e Taormina vengono da Cicerone definite città federate. Federate è un aggettivo che ci rimanda al sostantivo foedus, al sostantivo quindi che rimanda all’esistenza di un patto, di un trattato, che doveva esserci tra Roma e queste città. Proprio per questo atteggiamento di fedeltà nei confronti di Roma, Messina e Taormina verranno esonerate dal pagamento della Decima. Vediamo cosa ci dice Cicerone: “Ci sono due città federate, non sottoposte di norma al sistema di aggiudicazione delle decime, Messina e Taormina”. “foederatae civitates duae sunt” Ci sono due città federate, quindi legate a Roma ad un fedus. “quarum decumae venire non soleant” che non erano sottoposte alla decima cioè al pagamento della decima parte del raccolto a Roma e sono praticamente Mamertina, da mamers e mamertini quindi, questa è una delle tante denominazioni di Messina, messene mamertina, da mamers dai mamertini, e Tauromenitana, e Taormina. Quindi Messina e Taormina non dovevano pagare il tributo, cioè Roma le ricompensa in questo modo per la loro fedeltà. Ma Roma, sarà benevola anche nei confronti di altre città così come quella in cui ci troviamo in questo momento: Palermo. Cicerone: “E inoltre cinque città che, pur non essendo federate, sono anch’esse esenti da gravami e libere da imposte: Centuripe, Alesa, Segesta, Alicie, Palermo”. “quinque praeterea sine foedere immunes civitates ac liberae” quindi ci sono 5 città che nonostante non fossero legate da un foedus a Roma, quindi da un trattato, nei confronti di Roma sono immunes ac liberae, sono praticamente libere dalle imposte ed esenti da gravami. Quindi ci sono città, che pur non essendo legate da un foedus a Roma, vengono anch’esse trattate in maniera benevola. E vediamo quali sono queste 5 città: “Centuripina” quindi Centuripe, “Halesina” Alesa che corrisponde all’odierna Tusa, “Segestana” che sarebbe appunto Segesta, “Halicyensis” Alice che è una località della zona dell’ennese, e poi “Panhormitana” ecco che troviamo praticamente Palermo. Siamo di fronte a città che si trovavano nella sfera punica, ma che Roma agevola forse anche alla luce della loro importanza che avevano in questo contesto e in questo periodo storico. Quindi all’interno di un’isola che deve pagare il tributo della decima ci sono 7 città che vengono esonerate: 2 perché praticamente legate da un rapporto di amicizia, di alleanza, ed altre perché vengono beneficiate da Roma stessa in virtù del loro valore e del comportamento avuto all’interno di questa situazione. Il resto quindi dell’isola, al di fuori di queste 7 città, era definito Ager Decumanus, cioè territorio soggetto alla decima. La fonte è sempre “In Verrem”, cioè le orazioni contro Verre: “Tutto il resto del territorio delle città siciliane è sottoposto al versamento della decima.” Quindi quello che voi dovete fissare per questo sistema della decima, che Roma copia sul modello di tassazione vigente a Siracusa, e che applica all’isola con l’eccezione di sette città, di cui due sono federate, le altre “libere ac immunes”. Da questo momento, sempre stando a Cicerone, l’isola diventa la “cella penaria” di Roma, il granaio di Roma. Difatti sarà una vera e propria fonte di ricchezza per Roma, che consentirà quel sistema del “panem et circenses” che tanto teneva le masse legate a Roma, e quindi a vivere all’interno dell’urbs. Per cui, a un certo punto, la Sicilia non basterà più e Roma avrà bisogno di altri granai, che verranno dall’Egitto (ma ci arriveremo nel I secolo a.C.). Colui che definisce la Sicilia cella penaria è Marcus Cato Sapiens, Marco Catone il Saggio, il quale la definiva: “E così Marco Catone il Saggio chiamava la Sicilia dispensa del nostro Stato, nutrice della plebe romana” Questo ci fa ripensare a varie teorie che abbiamo passato in rassegna a proposito della politica Romana di intervento in Sicilia. Politica organica che prevedeva veramente una conquista? O escalation graduale? Ecco, col senno del poi, alla luce di quello che ha comportato la conquista della Sicilia, non possiamo negare l’interesse della res pubblica romana nella conquista di questa terra che si presentava così ricca. Quindi in sintesi (e questo sarà valido per tutte le province, ritorneremo sull’argomento solo con la riorganizzazione augustea, quindi quando Roma diventa un impero): • I Governatori provinciali hanno funzioni militari-amministrative-giudicanti. Tant’è che nelle fonti troviamo il sostantivo iudex. Tra l’altro l’edificio dove esercitava la sua funzione il governatore era il pretorium. • I provinciali non prestano servizio militare negli eserciti romani, siamo ancora in una Roma che si serve del sistema centuriato di Servio Tullio, quindi un sistema ricavato da classi sociali divise per censo. Ma pagano tributa (tasse dirette) di due tipologie: o Tributum capitis (tutti) la tassa sulla persona, io pago in quanto provinciale, e anche se sono povero in quanto provinciale devo pagare la tassa. o Tributum soli (possidenti) che è la tassa sulla proprietà terriera. o Inoltre, i provinciali pagano vectigalia (tasse indirette). Tutta una serie di tasse indirette come la tassa sui pascoli, sui trasporti. Adesso vediamo dal punto di vista strategico-militare e diplomatico, quindi dal punto di vista della politica estera, che cosa succede all’indomani della I guerra punica e alla vigilia della II guerra punica. Quindi tra le due guerre. Vi dicevo che Cartagine esce prostrata dalla I guerra punica, ha subito perdite enormi sia di uomini sia di navi, infatti la sua potenza era la flotta ma la flotta poi deve essere consegnata a Roma, quindi perde quella che era la fonte della sua potenza e della sua ricchezza. Altra cosa importante che avevo puntualizzato è che l’esercito di Cartagine non era formato da cittadini soldati come quello di Roma, ma da mercenari, soldati che combattevano dietro compenso e che quindi praticavano come lavoro quello di fare il soldato, quindi non c’era nessun attaccamento, non combattevano per la gloria di Cartagine (come il cittadino romano combatteva per la gloria di Roma). Vi ricordate i mercenari di Siracusa che poi, una volta stancatisi, si trasferiscono a Messina e sono anche pronti ad allearsi prima con i Cartaginesi, poi con Roma. Non hanno degli ideali. E questo sarà nocivo per Cartagine, perché quando non potrà più garantire ai mercenari i compensi a cui erano abituati, ecco che questi si ribellano. Perché a loro interessava il profitto. Quindi si ha una vera e propria rivolta dei mercenari che Cartagine non riusciva più a pagare, perché ricordiamoci tra l’altro che all’indomani del trattato di pace del 341 a.C. Cartagine doveva anche pagare a Roma un indennizzo di guerra. Quindi doveva procurarsi delle ricchezze per pagare anche questo indennizzo a Roma. Tra i possedimenti di Cartagine c’era anche la Sardegna e la Corsica, difatti la ribellione dei mercenari si estende anche in Sardegna, e nel momento in cui essi vengono sedati in qualche modo da Cartagine questi si ricolgono a Roma. È la seconda volta che dei mercenari chiedono aiuto a Roma, e Roma chiaramente non aspettava altro, è pronta all’intervento, chiaramente un’altra isola gli faceva comodo. In più Cartagine non aveva la forza militare per intervenire contro Roma, per cui la Sardegna diventa facilmente possesso romano. Ed ecco che abbiamo, in pratica, la seconda provincia romana. 237 a.C. è la data in cui la Sardegna entra in possesso di Roma, quindi potreste trovare un caso di anacronismo perché la Sicilia nel 237 a.C. diventa provincia romana. In realtà la Sicilia diventa domani di Roma nel 241. Ma è nel 237 a.C. che abbiamo la prima attestazione del termine “praetor”, quindi l’attestazione di questa forma di governo provinciale. Per quanto riguarda la Sardegna, chiaramente, il 237 a.C. va inteso come anno in cui Roma entra in possesso della Sardegna; lo statuto provinciale (la cosiddetta lex provinciae) avverrà gradualmente nel tempo. Quindi da una parte c’è l’evento, l’avvenimento, il momento in cui Roma si impossessa di un territorio, ma dal possedimento all’organizzazione amministrativa passerà del tempo. Le guerre Illiriche. In questo periodo Roma, in realtà, non doveva affrontare solo Cartagine. Dal momento in cui Roma si espande chiaramente il suo orizzonte va oltre la penisola italica. Da questo punto di vista va anche oltre la Sicilia, e deve confrontarsi con minacce che venivano da più fronti. Adesso ci spostiamo sull’Adriatico (c’eravamo stati con la guerra contro Pirro) per degli scontri che i romani devono affrontare contro i pirati. I pirati ogni tanto compaiono nella storia di Roma, minacciando la sicurezza delle attività commerciali romane, che sicuramente erano molto attestante nel Mediterraneo, ma che porteranno anche commerci con il Mediterraneo orientale. Per andare in Oriente si andava via terra fino a Brindisi, e da Brindisi poi ci si imbarcava per andare in Oriente, quindi capite bene l’importanza dell’Adriatico. Questo era anche importante per i contatti con la zona, che poteva essere del nord della Grecia, della Macedonia ecc. e soprattutto con l’Illiria che stava praticamente di fronte alle coste dell’Adriatico. Difatti le minacce venivano proprio da questi pirati illirici, capeggiati da una donna, la regina Teuta. Quindi Roma si trova a confrontarsi con questa donna, la quale osa far uccidere un ambasciatore romano. Roma, dunque, aveva deciso di agire per via diplomatica mandando un’ambasceria alla regina. Ma la regina Teuta crea l’incidente: anziché ascoltare gli ambasciatori ne fa uccidere uno. A questo punto scoppia il casus belli e darà il via a quella che chiamiamo I guerra illirica. I romani riescono a vincere questa guerra grazie al tradimento di un collaboratore della regina, un certo Demetrio che diventerà Demetrio di Faro, perchè ricevette da Roma in cambio di questo tradimento l’isola di Faro, in Dalmazia. Questi eventi per capire cosa succede a sommi capi tra la prima e la seconda guerra punica, e come si muoveranno poi i protagonisti. Ma Demetrio, una volta che si trova a capo di questa isola di Faro, riprende l’attività di pirateria. Quindi saltano gli accordi con Roma e scoppia la II guerra illirica. Ma capite bene che Faro era una piccola isola e Roma riuscirà a risolvere facilmente questa minaccia anche per la seconda volta. Prima e seconda guerra illirica per capire in sintesi che c’è questa minaccia sul fronte adriatico. Roma VS Galli. Un’altra minaccia che Roma deve affrontare sono i Galli. La Gallia fino a quando non sarà conquistata da Giulio Cesare (ma continuerà anche dopo, fino alla tarda antichità) creerà problemi a Roma. I galli non sopportano la subordinazione a Roma, nonostante quella sistemazione che abbiamo visto nelle lezioni precedenti sono sempre pronti ad estendere in qualche modo il loro dominio su quella che era l’Italia settentrionale. Li avevamo collocati grossomodo tra la pianura padana e le marche e li avevamo suddivisi in Galli Boi, Galli Senoni. Nel 236 a.C. c’è una prima incursione di Galli Boi a Rimini, nella colonia di Rimini. I Romani riescono a fermarli. Tra i Galli successivamente avverrà un malcontento a causa di una proposta da parte di un tribuno della plebe: Flaminio, il quale aveva proposto di distribuire l’ager gallicus (quello che era territorio dei galli ed era ormai agro pubblico) con un plebiscito. Flaminio propone la distribuzione di quello che era il territorio dei Galli, quindi dell'ager publicus perché i Galli erano stati sconfitti da Roma. Quindi quello che era territorio dei Galli è diventato territorio dei romani. Per cui Flaminio propone di distribuire questo territorio tra i cittadini disposti a trasferirsi. Quindi che significa? Se ti trasferisci in Emilia, ti dò un territorio da coltivare e ciò significava fondare delle colonie (colonie da “colere”= coltivare la terra). Quindi la proposta di Flaminio è la concessione di territori demaniali, sottratti ai Galli e adesso territorio dello Stato romano, per creare delle colonie. Ovviamente tale decisione fa impazzire i Galli, che si vedono espropriati delle proprio terre anche se consapevoli del fatto che fossero stati sconfitti e conquistati dai romani, ma i Galli si erano stanziati su quelle zone e preoccupati dalla politica di questo tribuno della plebe decidono di coalizzarsi. Ricordate che i Galli erano divisi in varie tribù. Quindi i Galli scendono, attraversano l’Appennino, e si scontrano con Roma a Telamone, in un piccolo centro, nel 225-224 a.C. Quindi Flaminio risponde con l’invasione della pianura padana (la localizzazione dei Galli ci servirà per la II guerra punica e li collochiamo nella pianura padana), l’obiettivo dei romani: eliminare la minaccia gallica. Una data importante è il 222 a.C., battaglia di Casteggio in cui il console Claudio Marcello sconfigge i Galli e occupa Mediolanum. Battaglia risolutiva con cui Roma conquista l’Italia settentrionale (quindi dalla pianura padana ci siamo spostati all’attuale Lombardia). Tale battaglia segna il momento di conquista del territorio dei Galli da parte dei romani. Venne inoltre costruita la via flaminia, che prende il nome dal console, siamo nella fase in cui viene costruita la rete viaria della Roma antica (ricordiamo anche la via appia che collegava Italia del sud). Quindi abbiamo una Roma che riesce a conquistare l’Italia settentrionale, ma anche una Roma che non riesce a sedare il malcontento dei Galli, i quali non si rassegnano al dominio di Roma e questo sarà fondamentale perché verrà percepito da Annibale, il quale riesce a cogliere il malcontento dei Galli e a servirsene contro Roma. Annibale e Cartagine: Annibale appartiene alla famiglia dei Barca, praticamente dei Barcidi (avevamo già visto Asdrubale nella I guerra punica, che faceva parte della famiglia dei Barcidi). Annibale cresce alimentato da un sentimento di odio verso Roma e di questo ne parla Livio (la professoressa non ha riportato il passo, ma c’è proprio un discorso all’interno del quale Annibale fa un giuramento, intriso di odio, contro Roma perché era cresciuto vivendo il dramma della sconfitta avvenuta durante la I guerra punica). In questa fase Cartagine cerca di ricomporre il suo impero territoriale puntando sulla Spagna (penisola iberica). Cartagine aveva perso la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e cercherà di raggruppare le sue posizioni in Spagna. Roma perciò si preoccupa di tale situazione, ma Cartagine dice che stava cercando nuove risorse per poter pagare il pegno di guerra, un onere nei confronti di Roma. Quindi abbiamo tra le due guerre una Cartagine che vede un certo scollamento tra il senato cartaginese (quindi la città Cartagine, città africana) e quelli che sono alcuni esponenti politici importanti della famiglia dei Barca, che sembrano quasi agire autonomamente nella penisola iberica senza il sostegno del senato cartaginese. Anche perché Cartagine, città con il suo senato, era preoccupata per le ingenti perdite subite da Cartagine stessa. Le fonti principali sono: Tito Livio ma anche Polibio di Megalopoli (città greca), quest’ultimo è particolarmente importante perché si sofferma sui rapporti diplomatici tra le varie popolazioni. Ancora una volta all’indomani della prima guerra punica ci riporta un ulteriore trattato che sarebbe stato stipulato NON tra Cartagine e Roma, ma tra Roma e Asdrubale. Quindi tra Roma, potenza, e un individuo non a caso esponente della famiglia dei Barca. Questo potrebbe avvallare il dubbio che vi ho avanzato: cioè che a Cartagine si fosse creato uno scollamento tra la città, rappresentata dal senato, e la volontà di vincita nei confronti di Roma di alcune famiglie e non è detto che il senato fosse d’accordo, questo lo dimostra ciò che ci dice Polibio: l’intervento, per gli attacchi. Tant’ è che finita la dittatura semestrale, perché ricordiamo che la dittatura dura sei mesi almeno fino a Silla, Roma riprende lo scontro con Cartagine. E arriverà quella che, dalle fonti, viene vista come il prototipo di tutte le sconfitte. Andiamo a vedere cosa ci dicono le fonti a proposito di Romani e Cartaginesi: • Livio ci fa pensare che la tattica di Fabio, quindi Fabio Massimo “cunctator” dittatore, ebbe successo nel contrastare i punici; perché, dice Livio, i romani non avrebbero avuto possibilità di vittoria nei confronti dei punici, soprattutto di fronte a questa potente cavalleria di Annibale; quindi, punto di forza dell’esercito annibalico era la cavalleria. • I cartaginesi, dal canto loro, avevano problemi di approvvigionamento, che dovevano arrivare dalla Spagna; quindi il trasporto era comunque difficile al di là della strategia di Fabio Massimo, e ce lo dice Polibio. Polibio ci dice che anche se non ci fosse stato Fabio Massimo con la sua strategia di blocco, l’approvvigionamento era comunque difficile, visto le comunicazioni del tempo e i trasporti. D’altra parte, Annibale attua una strategia di saccheggio e devastazione, cioè praticamente devasta le campagne per fomentare il malcontento degli alleati di Roma. Obiettivo di Annibale era sottrarre l’appoggio degli alleati a Roma; era convinto che il potere di Roma derivasse dal contingente umano, quindi dal numero degli alleati. La strategia di saccheggio e devastazione delle campagne attuata da Annibale era portata avanti guardando soprattutto agli alleati di Roma: Annibale sperava di portarli a staccarsi da Roma se questa si fosse dimostrata impotente a difenderli dagli assalti. È questo che avviene nei sei mesi della dittatura di Quinto Fabio Massimo cunctator, ma dopo i sei mesi Annibale torna all’offensiva. E punta non su Roma ma abbiamo una puntata su Capua, anche se a noi ora interessa la Puglia. Quindi 217 a.C. Lago Trasimeno, 216 a.C. l’epocale battaglia di Canne. Canne si trova in Puglia, in particolare a Canosa di Puglia. Pensate che nel IV secolo d.C. questa battaglia verrà ricordata come prototipo di tutte le sconfitte del popolo romano, come la più grande delle battaglie del popolo romano. Quando si parlerà della battaglia di Adrianopoli del 378, di cui forse avete sentito parlare in storia medievale, lo storico Ammiano Marcellino la vede come un preludio della fine dell’impero romano, quasi alla stregua della battaglia di Canne. A Canne, Annibale ancora una volta riesce a sconfiggere l’esercito di tutti e due i consoli, vedete in situazioni di emergenza sono presenti tutti e due i consoli, (solitamente uno stava a Roma e l’altro andava in guerra) abbiamo Gaio Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo. La manovra, ancora una volta, è quella a tenaglia. Per farvi capire l’entità di questa battaglia nel 216 a.C., abbiamo 50.000 morti e 19.000 prigionieri. Quindi una vera e propria ecatombe, possiamo parlare proprio di distruzione dell’esercito romano. Roma passa da una sconfitta all’altra, era veramente prostrata. A proposito del rapporto tra Annibale e Roma: perché Annibale non marcia su Roma? In parte se ne è parlato, si sono già accennati i motivi. ▪ Ci sono storici che attingono come fonte a Tito Livio, i quali sostengono che Annibale perse la possibilità di concludere la guerra, quindi la II guerra punica, proprio per il fatto che rinunciò a marciare su Roma. Se Annibale avesse marciato su Roma, dopo Canne, dopo che l’esercito romano era prostrato, avrebbe vinto. Quindi Tito Livio e gli storici che attingono a lui sostengono questo: peccato che Annibale non abbia marciato, dopo Canne, su Roma perché avrebbe chiaramente vinto. ▪ Però già in studi della Cambridge Ancient History (CAH), che abbraccia tutta la storia di Roma, dalle origini fino alla tarda antichità, quindi è un’opera che collochiamo negli anni ’30 del secolo scorso; lo studioso Hallward spiegava che Annibale non aveva i mezzi per espugnare Roma. Pare che Annibale avesse delle importanti macchine belliche ma che queste fossero bloccate a Sagunto, perché non potevano essere trasportate, non c’erano i mezzi odierni per trasportare quelle che dovevano essere ingombranti macchine militari. Quindi Annibale non aveva i mezzi per Espugnare Roma. E si insiste che l’obiettivo di Annibale era quello di ridimensionare la potenza di Roma, non voleva distruggerla ma infliggere una lezione come avevano fatto i sanniti col giogo, e sottrargli la sua forza, ossia gli alleati. Era questo il suo obiettivo. ▪ Invece, secondo Gaetano De Sanctis, lo abbiamo visto nelle teorie della I guerra punica a proposito dell’interventi di Roma in Sicilia, dice che da Canne a Roma ci sarebbero voluti 15 giorni e in questi giorni sarebbe svanito l’effetto sorpresa su cui giocava sempre Annibale, cioè Annibale, in pratica, riusciva a vincere sui romani grazie all’effetto sorpresa, che era la sua tattica. Quindi, non solo l’uso degli elefanti, della cavalleria numìda, ma proprio la tempistica, gli stratagemmi a cui ricorreva. In questi 15 giorni di marcia, che non potevano passare inosservati, dalla Puglia a risalire verso il Lazio, i romani avrebbero potuto organizzarsi ed incrementare le difese. Queste sono le varie spiegazioni e le varie motivazioni che vengono date da studiosi moderni sulla base delle fonti antiche. Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra Annibale e Cartagine: si parla di guerra annibalica, sin dal Trattato dell’Ebro che è un trattato stretto non tra le due potenze ma tra Roma e Asdrubale, ci fa pensare che in realtà Cartagine non avallasse molto questa impresa di Annibale, che riteneva pericolosa. Del resto gli approvvigionamenti provengono dalla Spagna e che non sono sufficienti, oltre ad essere difficili da far arrivare. Anche gli aiuti militari, uomini e elefanti, venivano implementati lentamente. E per il cibo stesso, Annibale, spesso, si poneva con le pratiche di saccheggio di cui parlavamo prima. Addirittura c’è chi pensa che non ci fosse una volontà da parte del governo cartaginese di aiutare Annibale. Non è un caso che si parli di guerra annibalica. Tuttavia, non c’è prova che il governo cartaginese sabotasse Annibale, però è chiaro che una città come Cartagine, basata sul commercio e sulla ricchezza derivante dalle attività commerciali, non poteva condividere una guerra così lunga. Iniziata nel 218 a.C. e siamo adesso nel 216 a.C. ma si profilava ancora lunga, contro le stesse previsioni di Annibale. L’obiettivo di Annibale era quello di staccare gli alleati di Roma, invece c’erano state battaglie campali: Ticino, Trebbia, Trasimeno; lo stesso Annibale, a Canne, vince ma perde uomini, già li aveva persi durante la marcia, senza combattere. L’obiettivo di Annibale era raggiunto per metà; l’obiettivo era staccare gli alleati da Roma, in realtà è riuscito soltanto parzialmente perché tutta l’Italia centrale rimane legata a Roma. Quindi, da Roma, si staccano soltanto i sanniti, i lucani e i bruzi, gli ultimi annessi, e le città del brutium e poi Capua, che sarà sempre legata ad Annibale. E poi, Annibale si era procurato un alleato inaspettato, Siracusa, perché alla morte di Gerone II, filoromano, gli succede il nipote Geronimo, il quale si allea con Annibale. Quindi Annibale riesce a staccare alcuni alleati ma non tutti, come si aspettava, ma ottiene una nuova alleanza, Geronimo di Siracusa. Lezione 20/04 Siamo all’interno della seconda guerra punica, in particolare ci eravamo lasciati con la disfatta di canne del 216 a.C., quindi avevamo lasciato gli eserciti romano e cartaginese a Canosa di Puglia (Canne). Cosa succede dopo la battaglia di Canne, questa disfatta che già nel I secolo verrà vista come emblema di tutte le sconfitte? Da una parte abbiamo una detenzione notevole, ma non determinante, di varie popolazioni che si staccano da Roma per abbracciare la parte annibalica cartaginese. Vediamo quindi quelle zone che erano state conquistate s mal sottostavano al potere di Roma, quindi Sanniti, Lucani, Prussi, popolazioni che erano entrate recentemente a far parte dell’orbita di Roma, con la guerra sannitica e la guerra tarantina, Crotone, Taranto, che sarà una città particolarmente legata ad Annibale. Tuttavia gli alleati dell’Italia centrale rimangono fedeli a Roma. Questo sarà importante, quindi il nucleo massiccio degli alleati rimane fedele a Roma. Annibale, dal canto suo, riesce ad ottenere delle alleanze importanti più sulla carta che sui fatti, quindi diplomaticamente importante sembra essere il ritorno dell’alleanza con Siracusa: morto Ierone II, il nipote Ieronimo passa dalla parte dei Cartaginesi. È un’alleanza che in concreto non si rivelerà così importante per i Cartaginesi. D’altra parte, invece, abbiamo un’intesa tra Filippo V di Macedonia e Annibale, quindi c’è il timore forte per Roma che Annibale possa ricevere aiuti sulla sponda dell’Adriatico. Per fortuna giunge in aiuto di Roma l’alleanza con la Lega Etolica, siamo in ambiente greco, per cui con una flotta di cinquanta quinqueremi si riesce a bloccare il passaggio di Filippo V di Macedonia nella penisola italica, quindi si evita che si abbia un novello Pirro. Quest’alleanza viene sostanzialmente bloccata sul nascere, si risolve con un nulla di fatto. Ma Roma, ovviamente, dopo una disfatta come quella di Canne, deve riorganizzarsi, ed ecco che si ritorna alla tattica strategica di Quinto Flavio Massimo , colui che avevamo trovato dittatore proprio prima della disfatta di Canne, invito a una strategia basata sul logoramento e sulla terra bruciata. Vi ricorderete che un problema dei Cartaginesi era quello dell’approvvigionamento, che doveva arrivare dalla Spagna dove intanto c’erano 2 Scipioni, Publio e Gneo, che cercavano di bloccare i rifornimenti che non sembravano sopraggiungere neppure da Cartagine stessa. L’obiettivo era quello della terra bruciata o guerra di logoramento: • Blocco dei rifornimenti via Cartagine, via Mediterraneo quindi via mare. • Rifiuto delle battaglie campali perché Roma non poteva permettersi una guerra, non aveva più un contingente adatto per affrontare queste guerre. • Aumento del numero dei reclutabili (abbiamo visto come, in casi di esigenza, già con Pirro). • Ricorso a una soluzione di prestiti allo Stato: i nobili cittadini romani vengono incentivati a fare prestiti allo Stato, prestiti che poi, in caso di vittoria, sarebbero stati restituiti con alti interessi. Siccome Roma vincerà, potete immaginare come coi prestiti si creerà quel ceto di latifondisti che daranno vita alla Villa romana; centro di produzione agricola e di surplus. In questa fase bellica vediamo come un ceto sociale ponga le basi per un arricchimento futuro. Stando così le cose, Roma passa in Sicilia, obiettivo la conquista totale della Sicilia. Se fino a questo momento era stata alleata con Roma grazie a Ierone II, nel momento in cui Geronimo passa dalla parte dei Cartaginesi, Roma punta alla Sicilia, con il console Marco Claudio Marcello che conquista e saccheggia Siracusa. C’è un importantissimo passo di Tito Livio che si sofferma su quest’episodio, ma abbiamo anche racconti incrociati di Livio e Polibio, che si soffermano sulla figura del matematico Archimede, in particolare sulla morte di questo geniale matematico che pare fosse in tempo a risolvere un problema e viene ucciso, con grande rammarico del console, dai soldati. Quindi: • nel 212 a.C. presa di Siracusa da parte del console Marco Claudio Marcello. • nel 210 a.C. presa di Agrigento da parte dell’altro console Valerio Levino. Nel 210 a.C., tutta l’isola siciliana è in possesso di Roma. Quella provincia Sicilia, che mancava solo di un pezzettino, ovvero il regno di Siracusa, adesso completava il suo puzzle. Anche il regno di Siracusa entrava a far parte di questa res pubblica romana. Nel 241 a.C. rimaneva il regno di Siracusa e nel 210 a.C. tutta l’isola è conquista romana. Eravamo partiti dall’Assedio di Sagunto del 219, e lo scoppio della guerra del 218 con l’intervento di Roma che comunque era impegnata a risolvere determinate situazioni nella penisola italica. In Spagna, c’erano i due Scipioni, Publio e Gneo Scipione, che per anni avevano tentato di bloccare il passaggio dei rifornimento verso l’esercito Annibalico. Vengono sconfitti anche Publio e Gneo Scipione, uccisi nel 211 a.C., 1 anno prima della conquista della Sicilia. Sconfitti i due Scipioni, che dallo scoppio della guerra avevano tenuto a bada la situazione in Spagna, viene inviato in Spagna il figlio di Publio Scipione, cui attribuiamo il cognomen ex virtute, il soprannome dopo la vittoria della II guerra punica, l’Africano. Si connota subito per il suo carattere belligerante, il suo obiettivo era una politica aggressiva. Quindi messa da parte la tattica di Fabio Massimo della guerra di logoramento, Scipione l’Africano, inizia una politica di aggressione nei confronti di Cartagine. Viene inviato in Spagna, possiamo dire che con Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano, ci troviamo di fronte alla prima figura carismatica nella storia romana, un personaggio che dalle fonti (Tito Livio), ci viene presentato come ispirato dall’elemento divino, dalla divinità, dal cielo). Egli stesso rafforzò la leggenda secondo cui alla stessa stregua di Alessandro Magno, la madre (come Olimpiade con Alessandro) lo avrebbe concepito con un serpente. Peculiarità che troviamo in vari personaggi della stria romana, anche in imperatori. Il serpente aveva una valenza particolare nel mondo romano: faceva paura per il veleno, ma era un simbolo divino, legato alla sfera della natalità. Comunque, faceva gioco a Scipione, questa origine leggendaria, perché era la medesima che si tramandava per Alessandro Magno. Ma vediamo cosa ci dice Tito Livio: “Compiva la maggior parte delle sue azioni dichiarando davanti alla moltitudine che egli era stato consigliato o da visioni notturne o da un'ispirazione divina, sia perché avesse l'animo dominato da qualche superstizione, sia perché volesse che i suoi comandi e disegni fossero eseguiti senza indugio come ispirati da responso di un oracolo...non diede mai esecuzione ad alcun atto né privato né pubblico prima di recarsi in Campidoglio. Entrato nel tempio di Giove si sedeva e solo ed appartato passava qui un po' di tempo. Questa abitudine...diede credito presso alcuni intenzionalmente, presso altri per puro caso, alla diffusa opinione che Scipione fosse di stirpe divina. Egli rinnovò la leggenda, che già si era sparsa intorno ad Alessandro Magno, del pari inconsistente e favolosa, che narrava che egli fosse nato dal connubio con un grande serpente e che il manifestarsi di quel prodigio era stato spesso avvertito nella camera da letto di sua madre; il serpente appariva snodandosi, e si dileguava poi improvvisamente quando interveniva qualcuno. La fede in questi prodigi non fu mai da lui resa vana; anzi la rafforzò con una certa arte di non negare il prodigio, né di confermare apertamente la verità. Molte altre circostanze di questo tipo, alcune vere, altre inventate, avevano fatto superare per Scipione il limite dell'ammirazione che si può avere per un uomo.” Siamo nel III secolo e parliamo già di visioni notturne e di ispirazioni divine. Oggi iniziamo un cammino che ci porterà alla vigilia del 28 ottobre del 212 a quello che sarà il sogno o la visione di Costantino; già nel III secolo c’è un personaggio che è ispirato da una divinità o comunque che sogna o ha una visione/apparizione notturna. Quando c’è una personalità che spicca per virtù o meriti allora c’è la tendenza a farla discendere o derivare dalla divinità. Il serpente era una sorta di apparizione che svaniva quando qualcuno si avvicinava alla camera da letto. Un repubblicano legato alla tradizione non avrebbe sopportato l’andare sopra l’umano. La sua politica di aggressione: si imbarca con 10.000 fanti e 1000 cavalieri e siamo nella primavera del 210 a.C. Claudio Marcello, intanto, nel 212 aveva conquistato Siracusa, nel 210 il console Marco Valerio Levino conquista Agrigento. Adesso ci focalizziamo sulla Spagna: sbarca in Spagna, procede fino a Tarragona, e una cosa importante per Scipione è proprio la strategia adottata, la stessa che Annibale aveva adoperato giunto alle Alpi, cioè l’alleanza con le popolazioni locali. E’ vero che era partito con un contingente cospicuo, parliamo di 10.000 fanti e 1000 cavalieri, ma Scipione sapeva benissimo che non sarebbe andato da nessuna parte senza l’appoggio delle popolazioni iberiche. Nei confronti di queste popolazioni si comporta con moderazione, non come colui che sta subentrando in un territorio altrui, ma con un atteggiamento di apertura, perché il fine era quello di indurli a combattere al suo fianco. Egli temporeggia, calcolate che l’obiettivo era Carthago Nova, questa colonia fondata dai Cartaginesi e che doveva diventare da città Cartaginese a base logistica per i romani, ma a Carthago Nova ci arriva soltanto successivamente, nel 209, anche perché a proteggerla c’era il cartaginese Mavone, che aveva soltanto 1000 uomini per difenderla; quindi 11.000 in totale contro 1000, la sproporzione è notevole. Scipione arriva all’improvviso, quindi il fattore sorpresa è importante, dalla primavera del 210, soltanto nella primavera successiva del 209, per farvi capire anche la difficoltà nei movimenti; soltanto nella primavera successiva effettivamente Scipione riesce a conquistare Carthago Nova. Questa diventerà la base logistica dei romani e la conquista sarà importantissima, soprattutto per i prigionieri e per gli ostaggi presi (vedremo che Scipione tratterà in maniera particolare), per il tesoro 6.600 talenti d’argento, e la Spagna era ricca di miniere, per cui effettivamente conquistare Carthago Nova significava poter mettere le mani su un tesoro che avrebbe consentito a Scipione di pagare direttamente i soldati, che erano stati reclutati, senza gravare sulle tasse dello stato: gestione autonoma della spedizione spagnola. L’elemento centrale su cui torna ad insistere è il sostegno da parte degli spagnoli: è vero che a Carthago Nova prende tanti ostaggi, ma allo stesso tempo li restituisce, è ad esempio di questa magnanimità di Scipione ci porta l’esempio di una fanciulla molto bella che viene portata in campo a Scipione stesso dai suoi soldati, secondo la tradizione, queste concubine che venivano riportate ai grandi generali di guerra. In questo caso Scipione rifiuta di “approfittare” di questa fanciulla nel momento in cui scopre che si tratta di una vergine promessa sposa già ad un altro e addirittura al principe dei Celtiberi, che è una popolazione alleata dei Cartaginesi. Questo ci fa cogliere l’aspetto umano che c’è dietro a un grande uomo di battaglia, un grande stratega e politico quale Publio Cornelio Scipione. E’ un caso molto importante perché sicuramente preserva questa giovane donna, forma di rispetto verso un altro uomo, che non era un uomo qualunque ma era il principe della tribù dei Celtiberi; quindi, preservando la donna del principe dei Celtiberi si procura l’alleanza da parte di questo popolo che fino ad ora aveva combattuto a fianco dei Cartaginesi; quindi, c’è anche una certa astuzia. Giusto per vedere cosa c’è dietro le guerre, ci sono spesso figure femminili, per esempio, per cercare rapporti con la politica matrimoniale. Ancora una volta la strategia è quella di servirsi degli spagnoli per indirizzarsi contro i cartaginesi, l’obiettivo era il sud della penisola spagnola, che era ricca di stagno, rame, ferro e argento, ma era quella parte che i Cartaginesi a loro volta non volevano farsi scappare. Asdrubale, il fratello di Annibale che avevamo già incontrato, si accampa vicino alla città di Baecula (ci sarà la battaglia), e si arrocca su questo altopiano, conoscendo la difficoltà dei romani a muoversi in territori impervi. Da una parte la strategia di Asdrubale cartaginese, dall’altra l’astuzia di Scipione e ancora una volta gioca sull’effetto sorpresa, soprattutto cercando di cogliere il nemico nelle parti più deboli. Scipione riesce a riportare lungo la ripa destra del fiume Baetis questa vittoria, colpendo ai fianchi, nelle parti più deboli l’esercito cartaginese. A questo punto la fama di Scipione cresce a tal punto che gli spagnoli stessi osarono acclamarlo re: per un romano quel termine era sconveniente dopo l’esperienza della monarchia dei Tarquini. Già Scipione correva dei rischi anche per via delle leggende che correvano sul suo rapporto con la divinità e sulle sue origini, figuriamoci se avesse accettato l’appellativo di re. I consoli erano due, i senatori erano tanti e quella romana doveva essere una politica tra pari, non doveva esserci nessuno che si poneva al di sopra degli altri. Scipione è lungimirante nel trattare gli ostaggi, già aveva in mente di spostare la guerra in Africa, quando libera un altro ostaggio, in questo caso il nipote di Massinissa (re dei Numidi alleati di Cartagine), Massiva, decidendo di restituirlo, appunto, a Massinissa, in modo che mi sia riconoscente: Scipione già guardava alla spedizione in Africa. Quello che dovete ricordare è l’atteggiamento di apertura verso gli spagnoli nel momento del bisogno e questa politica particolare verso gli ostaggi e i prigionieri che utilizza a fini diplomatici per creare nuove alleanze e nuove strategie belliche. Per quanto riguarda Asdrubale lo si lascia ritornare tranquillamente verso l’Italia, non aveva interesse in quanto Scipione era maggiormente preso dalla gestione di questi ostaggi e in particolare voleva preservare la Spagna dalle scorrerie di Massinissa (che verrà riconosciuto come rex della Numidia proprio dai romani). La bravura di Scipione sarà proprio quella di cercare di ruotare attorno per cercare di portare dalla sua parte questi Numidi, perché sottrarre la cavalleria ai cartaginesi sarebbe stato fondamentale. sbagliato ma era la brama di nuove terre.” Dal canto suo Scipione, invece, risponde che Cartagine si era comportata male perché appunto aveva violato queste trattative che erano state fatte, queste condizioni di pace dopo la vittoria ai Campi Magni. Precisazione: quando il senato cartaginese aveva chiesto la pace a Roma aveva addossato tutta la responsabilità della guerra su Annibale, quindi era un po’ uno scarica barile, anzi in questo caso Annibale cerca di salvare la faccia dei Cartaginesi, in realtà, però, questo incontro sarà un nulla di fatto, infatti Annibale si ritira nei suoi accampamenti, Scipione di ritira nei suoi; insomma lo scoppio era inevitabile. A questo punto abbiamo Scipione che organizza il suo esercito formato da quattro legioni più i soci italici e soprattutto la cavalleria Numida, quindi tanto quella di Siface, ormai prigioniero, quanto quella di Massinissa, ormai alleato. Quindi tutti i numidi ormai erano alleati di Scipione; dobbiamo dire che è proprio grazie alla cavalleria Numida se a Zama Scipione riesce a vincere su Annibale, che aveva 80 elefanti e 36000 fanti mentre come cavalleria soltanto 4000. Su questo scontro leggiamo il passo di Polibio: “Le belve, Annibale le dispose davanti all’intero schieramento: erano più di ottanta. Subito dietro, schierò i mercenari, il cui numero era più o meno di dodicimila: Liguri, Celti, Balearici, Mauretani. Alle loro spalle Annibale collocò i locali, africani e cartaginesi, e infine, dietro tutti quanti, le truppe che erano giunte con lui dall’Italia, e che mantenne staccate di più di uno stadio dalle prime fila che erano poste loro innanzi. Rese più salde le ali mediante la cavalleria, disponendo sulla sinistra gli alleati numidi, e sulla destra i cavalieri cartaginesi.” Ricordiamo che quello dei cartaginesi era un esercito di mercenari. Capiamo che Annibale porta con sé truppe dall'Italia. Capiamo, inoltre, che c’è ancora qualche alleato numida, ma la stragrande maggioranza è con gli Scipioni. Questo è un esempio degli schieramenti: gli elefanti in prima fila, i mercenari e poi i veterani che erano stati con lui in Italia. Mentre per quanto riguarda Roma abbiamo quell’organizzazione manipolare che si era avuta dopo la seconda guerra sannitica, quindi le legioni erano organizzate in triarii, principes e assadi, su tre linee praticamente. La battaglia come vi ho già preannunciato si risolse in una tragedia per i cartaginesi, morirono 20000 cartaginesi e soltanto 1500 romani, chiaramente sono le cifre che ci danno le fonti, vanno prese con il beneficio del dubbio ma ciò che emerge è la sproporzione numerica tra le perdite. Scipione inviò Lelio a Roma ad annunciare la vittoria; Scipione stesso si diresse verso Cartagine, che chiaramente non viene distrutta ma invia un’ambasceria che chiedeva la pace, questa volta l’ha implorata, l’aveva chiesta ai Campi Magni nel 201 e adesso viene implorata. Nel 201 abbiamo il Trattato di pace che prevede delle misure molto dure per i cartaginesi: ➢ Consegna della flotta; ➢ Pagamento indennità di guerra come era accaduto già con la prima guerra punica; ➢ Rinuncia dei possedimenti fuori dell’Africa; ➢ Riconoscimento del regno di Numidia, quindi un regno con a capo un rex Massinissa; ➢ Impossibilità per Cartagine di dichiarare guerra senza consultare Roma, ciò significa che Cartagine non aveva più autonomia in politica estera, qualunque iniziativa volesse intraprendere avrebbe dovuto prima consultare Roma. Dalla mancata osservanza di questa clausola scoppierà la terza guerra Punica. Giunta la notizia della vittoria Roma diviene centro di celebrazioni: viene celebrato il trionfo dei generali e dei consoli vittoriosi; vengono organizzati i ludi, quindi i giochi; vengono erette statue e monumenti, ma accanto a questa Roma che festeggia c’è una Roma prostata, una Roma che esce piena di ferite di questa guerra ed è la plebe rustica che era stata arruolata perché esigevano forze militari e quindi una plebe che aveva dovuto lasciare i propri campi con conseguenze economiche pari all’impoverimento, tant’è che alcuni di questi individui si sono dovuti trasferire lontano dall’urbe, dalla città, per recuperare la possibilità di sussistenza. Questo è un quadro molto importante (questo stato di prostrazione in cui si viene a trovare la plebe rustica, i piccoli proprietari terrieri) perché ci consentirà di capire la politica economica messa in atto prima da Tiberio e poi da Caio Gracco. Quindi le guerre puniche sono importanti non solo e non tanto per l’aspetto bellico, ma sono un momento in cui si hanno delle evoluzioni dal punto di vista sociale, economico e politico; tant’è che un libro che ha avuto molta fortuna è l’eredità di Annibale di Arnold J. Toynbee. Che cosa significa l’eredità di Annibale? Significa che Annibale era stato sconfitto, alla fine era Roma la vincitrice anche di questa guerra Punica, ma la seconda guerra punica, o la guerra Annibalica, aveva dato il via ad una serie di trasformazioni sul piano politico, ne emergono grandi personalità come Scipione, quindi di personalità che si stagliano al di sopra di altri; dal punto di vista economico pensiamo questi prestiti che vengono fatti da privati allo stato e che saranno poi alla base di un fenomeno di arricchimento e alla nascita di una nuova classe sociale che è quella dei cavalieri; dal punto di vista sociale l’emergere di nuove classi sociali, ma soprattutto l’arrivo a Roma e nella penisola italica e in particolare in Sicilia di un numero esorbitante di schiavi che porterà allo sfruttamento di tale manodopera servile nei campi e non solo. Quindi è questo quello che praticamente andremo a vedere da domani in poi, cioè le trasformazioni politiche economiche e sociali all’indomani della seconda guerra punica e della terza, la terza è un'appendice mentre la seconda si staglia al di sopra delle altre per importanza, impatto e lunghezza. Le guerre macedoniche, siriache e acaiche. Adesso dobbiamo andare a vedere cosa succede nel resto del mediterraneo orientale e nella zona della Grecia e dell’Asia Minore. Mentre Roma si stava espandendo e così è diventata una potenza nel Mediterraneo, anche se c’era in corso un'altra guerra punica. In realtà abbiamo visto fare qualche comparsa qua e là di qualche personaggio della Macedonia, perché? Com’era organizzato il mondo nelle altre terre che si affacciavano sul mediterraneo, in particolare su quello orientale? A proposito di Scipione abbiamo parlato di Alessandro Magno, questa figura di giovanissimo, imperatore di un regno possiamo dire in tal senso veramente enorme che arrivava fino alla valle dell’Indo ma che la sua morte, se ricordate avvenuta in giovanissima età, aveva portato ad uno spezzettamento del suo regno e che era stato spartito tra i suoi generali, ovvero i suoi diadochi. Abbiamo 3 dinastie principali di questi diadochi, questi successori che vengono dopo Alessandro Magno: 1. gli Antigonidi quindi Antigono e così via nella zona della Macedonia e della Grecia. (Macedonia e Grecia) 2. I Seleucidi in Asia Minore e in quello che è l’oriente asiatico in cui Roma si troverà e che darà filo da torcere alla stessa Roma. (Asia minore, Siria, Mesopotamia, Persia) 3. I Tolomei in Egitto. Tutte queste zone con le rispettive dinastie che vi sto elencando diventeranno dominio di Roma che creerà un impero che coincideva, escludendo i barbari, con il mondo allora abitato. Perché ci serve andare a vedere queste zone? Perché dobbiamo capire come Roma arriva in questi territori e il primo con cui ci siamo già incontrati è il territorio della Macedonia, ricordate Filippo V che sembrava volesse portare aiuto ad Annibale in Italia, per fortuna le navi pronte gli impedirono il passaggio nell’Adriatico. Filippo V così come Roma e tutte le potenze hanno manie e mire espansionistiche. C’era questa tendenza da parte di Filippo V di Macedonia di estendere i suoi confini sulla Grecia e in particolare, se vedete le frecce sulla cartina, sull’isola di Rodi e il regno di Pergamo. Cosa succede? Che quanto l’isola di Rodi quanto il regno di Pergamo essendo in difficoltà si rivolgono a Roma questo ci fa capire che è una potenza già conosciuta al di là dell’ambito locale. A questo punto come al solito Roma avvia un dibattito perché chiaramente questi sono gridi d’aiuto che vengono da lontano. Da una parte si poteva far leva su questo legame che c’era stato tra Filippo V e Annibale quindi c’era anche una sorta di desiderio di vendetta da parte di Roma per via di questo appoggio ad Annibale. Dall’altra parte meno giustificata poteva essere la paura di un'invasione del sovrano macedone in Italia. Comunque si viene a creare questo dibattito a Roma, come potete immaginare i comizi centuriati sono sempre a favore della guerra, perché si tratta di quella parte della popolazione che aveva interesse ad un guerra per via dei prestiti che sarebbero stati restituiti con un alto grado di interesse una volta riportata la vittoria. Quindi viene mandato un ultimatum a Filippo V che deve lasciare stare gli stati Greci e ripagare i danni di guerra agli alleati di Roma, quindi il Regno di Pergamo e l’isola di Rodi vengono visti come stati alleati di Roma. Da questo momento, un po’ come aveva fatto Pirro in Italia, Roma si presenta come la protettrice della Grecia, colei che sposa la causa della libertà della Grecia ma intanto il Senato aveva già dichiarato guerra. Una battaglia importante è quella di Cinocefale (siamo a sud della Macedonia), dove si ha la vittoria del 197 da parte dei Romani e insieme la proclamazione della libertà per tutta la Grecia ai giochi istmici, ma si tratta di una mossa propagandistica piuttosto che una proclamazione della libertà della Grecia nel 196. Quindi nel 197 a.C. Tito Quinzio Flaminio vince a Cinoscefale e l’anno dopo concede la libertà a tutta la Grecia, peccato che la Grecia sia ormai entrata nell’orbita di Roma e ci sarebbe rimasta. Un’altra guerra è quella contro i Seleucidi, la guerra contro Antioco III di Siria e dovete capire che le modalità di guerra sono sempre le stesse. Di queste guerra il meccanismo è che da una parte c’è una potenza che cerca di espandersi sulla base di stati autonomi e indipendenti, e questi stati chiedono aiuto a Roma che interviene. Perché la guerra siriana è importante? In primis perché Antioco III ospitava Annibale che era in cerca di rifugio. Roma, di fronte all’espansionismo di Antioco III sulla costa occidentale dell’Asia minore, intima di cessare il fuoco, abbiamo un rifiuto, quindi l’intervento di Roma con la battaglia di Magnesia nel 190 cui segue la pace di Apamea che prevede la consegna di tutti i nemici a Roma tra questi Annibale, che un po’ come Sofonisba preferisce farsi uccidere, fugge in Bitinia e si suicida. Inoltre i Seleucidi devono restituire tutti i territori dell’Asia minore dove si erano collocati e i territori vennero spartiti tra il re di Pergamo Eumene II e l’isola di Rodi. L’Egitto ci rimane ancora per qualche secolo. Però vedete non abbiamo nessuna provincializzazione da nessuna parte ma sono zone su cui torneremo proprio per vedere il processo di provincializzazione. Processo degli Scipioni→Sicuramente ricordate l’importanza del circolo degli Scipioni all’interno della letteratura latina del III secolo e il dibattito tra gli Scipioni e Catone Il censore. In questo processo agli Scipioni Lucio Cornelio Scipione e Scipione l’africano vengono condannati per le modalità con cui hanno gestito queste guerre contro Antioco di Siria. Il primo fu accusato di essersi impadronito di parte dell’ indennità di guerra. Quello che ci interessa è che abbiamo un attacco contro figure potenti. Si dice addirittura che Scipione l’africano avesse intrattenuto trattative personali con il re di Siria. Colpendo gli Scipioni si colpiva l'individualismo che rischiava di mettere in pericolo la gestione collettiva della politica. Io uomo romano, legato al mos maiorum, non posso sopportare chi alza la testa al di sopra degli altri, e il rischio, in questo momento storico, era stato forte. La politica doveva essere affare collettivo e non basata sugli individui. Lezione 21/03 Abbiamo già parlato delle trasformazioni di carattere politico, sociale ed economico avvenute a Roma dopo la seconda guerra punica, abbiamo parlato dell’importanza di Annibale, sconfitto, la cui eredità, come sottolinea Toynbee, si farà sentire a lungo su Roma; e abbiamo concluso con il processo agli Scipioni che è emblema della lotta all’individualismo che abbiamo visto emergere con la figura di Scipione l’Africano che veniva elevato al di sopra degli altri umani, già come sottolinea la nascita (per concepimento con un serpente da madre detta sterile). Aneddoto riportato anche da Quintiliano oltre che da Tito Livio. Si è, perciò, messo in evidenza l’emergere di questo individuo al di sopra di quella che doveva essere una storia collettiva e corale, così come la voleva un tradizionalista quale Catone il Censore→dicotomia tra il circolo degli Scipioni e un conservatore quale Catone il Censore. Sempre in questo contesto si colloca la Lex Villia del 180 a.C. che poi sarà perfezionata dalla “Lex Cornelia” di Silla sulle magistrature. C’è un primo tentativo di sistemare l’assetto magistratuale: nel 180 a.C. viene stabilita un’età minima per ricoprire le varie magistrature (42 anni, 32 anni, 36 anni a seconda delle magistrature) e la necessità di intervallare una carica e l’altra = la possibilità di ricoprire due cariche con un biennio. Questa è una bozza di quella che sarà poi la Lex Cornelia di Silla che perfezionerà la Lex Villia del 180. Probabilmente si temevano le mire di tipo individualistico quindi si pongono dei limiti di età e di tempo. Abbiamo già visto come la guerra annibalica o seconda guerra punica abbia avuto una fase centrale in Spagna e quindi come è avvenuto per la Sicilia, per la Sardegna e per la Corsica dobbiamo capire cosa è avvenuto in Spagna. Perché parliamo di Spagne al plurale? Perché la Spagna verrà organizzata in provincia romana solo successivamente nel 197 a.C. e verrà provincializzata soltanto la parte costiera perché Roma dovrà combattere contro la resistenza delle tribù dell’entroterra. C’è la famosa guerra Numantina che impegnerà Roma sul suolo Iberico con cui la penisola iberica verrà suddivisa in due province: la Spagna Citeriore a nord e la Spagna Ulteriore a sud. La parte interna, dove erano stanziate le varie tribù, diventa una sorta di protettorato romano nel senso che Roma è costretta a lasciare degli eserciti per sedare le ribellioni tra le tribù. Tutta la Spagna, però, diventerà provincia romana interamente soltanto sotto Augusto. Non è sempre così facile come è avvenuto per la Sicilia, lo vedremo anche per l’Africa e per altre realtà che la provincializzazione avviene in più fasi: ci sono delle zone che facilmente vengono sottoposte a questa organizzazione territoriale e governativa e altre, soprattutto dove c’è un’organizzazione tribale, che sono reticenti. Quindi dopo la seconda guerra punica abbiamo cambiamenti politici ma anche sociali. Abbiamo le prime inquietudini dello stato romano, che era legato alla religione fin dalle origini, per l’arrivo a Roma di nuove forme di culto. Caratteristica della romanizzazione è l’apertura agli altri: anche laddove Roma veniva sconfitta aveva la capacità di assorbire le caratteristiche delle altre popolazioni; quindi venendo a contatto con il Mediterraneo orientale, abbiamo la diffusione dei culti bacchici. L’avversione di Roma non era tanto contro il culto di Bacco (che comportava dei riti baccanali di carattere orgiastico che portavano ad uno stato di ebrezza, di invasione), né tantomeno contro i sacerdoti di bacco o contro le Menadi (sacerdotesse di Bacco) ma era la paura verso il carattere esoterico di questo culto: c’era qualcosa che sfuggiva, non era una religione basata sull’ortoprassia come quella romana, cioè, su dei punti tangibili che posso controllare e vedere dall’esterno; questi culti bacchici presentavano un carattere nascosto. (Questo sarà lo stesso atteggiamento di diffidenza che i Romani avranno verso il cristianesimo) Il carattere nascosto, il carattere esoterico porterà i romani a temere per il loro Stato, ossia che si venisse a creare uno Stato nello Stato. Il timore che i devoti di Bacco non fossero semplici adepti di una religione ma che questa religione avesse un’identità di carattere politico volta a creare uno “Stato nello Stato” o “Stato contro lo Stato”. Allora abbiamo l’emanazione di un Senatus Consultum de Bacchanalibus nel 186 a.C. quindi il Senato interviene a difesa del mos maiorum, della religione tradizionale, ma anche a difesa della Res Pubblica romana. Abbiamo già parlato della prima e della seconda guerra Macedonica, della pace di Cinocefale, e di Tito Quinto Flaminino ecc… le ostilità riprendono quando a Filippo V succede il figlio Pérseo a cui si rivolgono i greci (che hanno questo elemento nazionalistico e democratico) per liberarsi dall’ingerenza di Roma. Ricordiamoci che Roma, l’anno dopo i giochi istmici, l’anno dopo Cinocefale, aveva proclamato la libertà, “libertas”, “eleutheria” per tutta la Grecia ma i greci in realtà avevano capito che qualcosa era effettivamente cambiato, che c’era un’ingerenza diretta di Roma; quindi si aggrappano alla Macedonia per ottenere una protezione contro Roma. Dal canto suo Eumene di Pergamo, che era già stato attaccato da Filippo V, interviene contro Perseo → scenario per la terza guerra macedonica che vede la vittoria di Lucio Emilio Paolo a Pidna nel 168 a.C., vittoria importante perché ancora una volta abbiamo una Roma che subisce il fascino culturale di queste terre, infatti, a Roma come bottino di guerra viene portata l’intera biblioteca di Perseo. Dopo Pidna Perseo venne portato prigioniero in Italia e la Macedonia viene suddivisa in regioni che non potevano comunicare tra di loro quindi non abbiamo ancora la provincializzazione della Macedonia ma una divisione territoriale in 4 regioni che non potevano comunicare tra loro. Per quanto riguarda la Grecia, che era organizzata nella lega Achea, è costretta a fornire degli ostaggi a Roma tra cui lo storico Polibio, fautore della grandezza di Roma e della forma repubblicana romana. Quando la Macedonia diventa provincia romana? Nella quarta guerra macedonica che è un tentativo di usurpazione da parte di un certo Andrisco che si riteneva figlio di Perseo e quindi abbiamo l’intervento di Roma. La Macedonia era diventata un protettorato romano, quindi è Roma che interviene per sedare l’usurpazione ed ecco che abbiamo nel 148 la provincializzazione della Macedonia. La Macedonia diventa provincia romana. Per quanto riguarda invece la Grecia questa diventerà un protettorato romano, anche qui continuano ad esserci ribellioni da parte della lega achea che porteranno nel 146 alla distruzione di Corinto (presto vedremo un’altra distruzione avvenuta nel medesimo anno di un’altra città antagonista di Roma). Con la distruzione di Corinto non abbiamo la provincializzazione della Grecia ma il protettorato della Grecia; mentre diventerà provincia soltanto nel 27 a.C. sotto Ottaviano Augusto, età in cui ha inizio il principato. Terza guerra punica. Questi avvenimenti costellano e caratterizzano gli anni che ci separano (alcuni sono coevi) alla TERZA GUERRA PUNICA con cui finisce per Roma il metus punicus. Abbiamo già visto le trattative di pace tra Roma e Cartagine e ci siamo soffermati sulle ultime due clausole e in particolare su quella che vietava a Cartagine di decidere autonomamente in politica estera. Geograficamente dobbiamo ricordare che Cartagine confinava con il regno di Numidia, regno che Roma aveva riconosciuto anche in seguito agli aiuti bellici che erano stati dati da Massinissa (re di Numidia). (abbiamo visto i tentativi di alleanza con Siface, la prigionia di Siface, l’uccisione di Sofonisba) L’alleanza di Massinissa, con la sua cavalleria, sarà fondamentale per la vittoria a Zama del 202. [riferendoci alla cartina ci fa rendere conto di quanto fosse esteso il regno di Numidia e come effettivamente i confini non fossero ben definiti anche perché, per quanto riguarda la Numidia, si trattava di un regno riconosciuto da poco e riconosciuto da Roma; quindi Cartagine ha dovuto accettare questa nuova entità politica e territoriale.] Sicuramente si creano delle contese di carattere economico; ricordiamoci che Cartagine è una terra, oltre che fertile, molto ricca; gli stessi romani miravano alla zona degli emporia = zona commerciale di Cartagine; ma pare che presto sorsero delle scaramucce tra i Numidi e i Cartaginesi per questioni di confine legate alle pretese espansionistiche di Massinissa su Cartagine. Cartagine, uscita prostrata dalla seconda guerra punica, in una situazione di debolezza → Massinissa sembra approfittarne. In questo contesto Cartagine si rivolge a Roma, come previsto dal trattato, ma Roma sembra essere sorda e non ascolta le richieste di aiuto di Cartagine la quale, avvilita, decide di attaccare Massinissa nel momento in cui vede violata e attaccata a sua volta la zona degli empori (zona commerciale). Cartagine entra in guerra violando il trattato del 201 dopo la Battaglia di Zama del 202. In realtà non possiamo parlare di una vera e propria violazione visto che Cartagine si era rivolta a Roma più volte ma Roma non aveva dato aiuto. Tuttavia, ovviamente, la violazione del trattato porta Roma a intervenire. Una Roma forse che non aspettava altro che intervenire, anche se come sempre si crea il dibattito: c’è sempre una fazione conservatrice che è quella senatoria, sempre ostile alle guerre. Ma c’è poi un partito che è assertore della guerra, che Aristocrazia divisa in optimates e populares, e dall'altra invece gli equites, i cavalieri, in cui si aggiungevano i negotiatores che erano i ricchi commercianti. Questo è il contesto che si viene a creare dall’ enorme ricchezza giunta a Roma in seguito alle guerra puniche, macedoniche, alla guerra siriaca, alla guerra carica. Più una massa enorme e sconfinata di schiavi. Questo è il quadro: una res publica che si trasforma. D'ora in poi appunto ci muoveremo in questo quadro fatto di aristocratici, ottimati e popolari, cavalieri, e masse enormi di schiavi che saranno un problema per la manodopera invece non schiavile. Questa enorme ricchezza sarà causa di impoverimento invece per i piccoli proprietari terrieri. Infatti avremo la crisi della piccola proprietà. Avevamo già visto ieri che i proprietari erano spesso costretti alla fine della seconda guerra punica a trasferirsi, a lasciare le terre ormai abbandonate da anni. Si era ricorso a un reclutamento massiccio, per cui inevitabilmente queste terre erano state abbandonate. Adesso, tra l'altro, c'è la manodopera servile, giungono nuove derrate alimentari, il grano dalla Sicilia, che era diventata provincia romana, si aggiungono nuove culture da queste terre conquistate e diventate province, e si viene a creare una nuova struttura nel sistema produttivo romano che è praticamente la villa. Cos'è la villa? Vi parlavo di questi grandi latifondisti, di questi grandi proprietari terrieri che spesso riuscivano ad acquistare le terre dei piccoli proprietari terrieri, creando queste strutture, che sono le ville, diffuse soprattutto all'inizio nel Lazio e in Campania, ma poi anche in Sicilia, e si manterranno fino alla tarda antichità, e ancora si possono osservare (pensate alla villa del Casale di Piazza Armerina, o alla villa di Patti, o del Tellaro). Di cosa si tratta? Strutture che sono unità o meglio centro di coltivazione e di allevamento. Quindi centri che provvedevano all'auto sussistenza, e vendevano il surplus, cioè quanto praticamente risultava in eccesso. La coltivazione era data in mano agli schiavi, e il tutto veniva gestito da un vilicus. Dapprima si sviluppa in zone di campagna, poi si sviluppa anche lungo la costa, quindi non lontano dal mare (qui in Sicilia abbiamo l'esempio della villa del Casale, nell'entroterra, a Patti invece è vicino alla costa). Per una descrizione di quella che era la "villa perfecta" la troviamo in Varrone, nel De re rustica, dove questo descrive come la villa avesse una pars rustica, cioè dove si aveva l'allevamento, dove si avevano le piantagioni, e una pars urbana che era quella dove risiedeva il proprietario con tutta la sua famiglia (ricordiamoci sempre di questa grande entità che era la familia romana). Abbiamo poi, per quanto riguarda il sistema di produzione, una pastioagrestis basata sull'agricoltura e l'allevamento, e una pastio villatica, che andava a specializzarsi sulle nuove colture e su nuove forme di allevamento, come la selvaggina e i pesci. Quindi vedete che abbiamo una Roma che va sempre più specializzandosi ed aprendosi anche dal punto di vista della produzione, e quindi dal punto di vista dell'alimentazione. Ci starebbe una lezione sull'alimentazione romana per vedere come la povera alimentazione delle origini basata sulla puls, sul farro, diventi un'alimentazione sempre più ricca basate su queste nuove colture. Colture che a loro volta avvenivano all'interno della villa, in cui possiamo trovare i braccianti salariati, ma per lo più troviamo gli schiavi. Prima rivolta servile→All'interno di questo contesto, proprio in Sicilia, ad Enna, avremo la prima rivolta servile guidata da uno schiavo siriaco di nome Euno, che è a capo di un ribellione all'interno delle terre del proprietario alle cui dipendenze lavorava, un certo Demofilo. Questo sta ad indicare che le condizioni di lavoro, le condizioni di vita dell'elemento servile, erano veramente non agevoli. Seconda rivolta servile→Dopo Enna abbiamo una seconda rivolta servile ad Agrigento. Il siriaco Euno, che si faceva chiamare Antioco, perché ci dimostra la provenienza di schiavi dalle terre che Roma aveva conquistato (Siria). Così come ad Agrigento troviamo uno schiavo proveniente dalla Cilicia. Quindi stiamo parlando di zone che si affacciavano sul quel Mediterraneo orientale conquistato da Roma dopo la seconda guerra punica, quindi tra la seconda e la terza guerra punica, quindi in quella fase che tanto gli antichi quanto i moderni chiamano imperialismo romano. Che poi fosse difensivo o offensivo rimane ancora oggetto di dibattito. Però a Roma era giunta tanta ricchezza, e tra questa ricchezza abbiamo anche gli schiavi, che però si presentano come un'arma a doppio taglio, perché al momento opportuno li vediamo ribellarsi. Quindi la prima volta nel 140-132, sedati dal console Publio Rupilio, che quindi si reca direttamente in Sicilia (quindi non basta la presenza del governatore e del questore, ma c'è l'intervento diretto di Roma); una seconda ondata nel 104- 100, ancora una volta abbiamo uno schiavo cilicio quindi ci interessa proprio il fenomeno della rivolta in sé che viene repressa ancora dall'intervento di Roma con un luogotenente, Manio Aquilio. Questo è il contesto sociale ed economico che si viene a creare come conseguenza dell'imperialismo romano. Siamo arrivati nel 104, ma adesso ci muoveremo nella seconda metà del secondo secolo, tra il 133 e il 123 con i fratelli Gracchi. TIBERIO GRACCO. Da questo momento, cominciamo questo percorso della storia romana, passando in rassegna le singole personalità. Iniziamo la nostra rassegna con Tiberio Gracco. Concluderemo la seconda parte della lezione con la sua uccisione, quindi sappiamo che avrà una fine, diciamo, violenta. Ma chi è Tiberio Gracco? Tiberio Gracco appartiene ad una famiglia aristocratica, è figlio di Cornelia. Ne avrete sentito parlare: una donna che vede come sua ornamenta, quindi come suoi gioielli, i suoi due figli. Cornelia che, a sua volta, è figlia di Scipione l’Africano. Apparteneva alla famiglia degli scipioni, e il marito si chiamava Tiberio Sempronio Gracco, quindi portava il medesimo nome del figlio. Anche in questo caso incontriamo serpenti ma non per quanto riguarda il concepimento, bensì per quanto riguarda il rapporto coniugale. Cioè, pare che siano comparsi nella casa dei gracchi, due serpenti, e Tiberio Sempronio Gracco diciamo che è posto davanti ad un bivio, proprio perché riguarda il rapporto coniugale. Cioè, l’uccisione di questi due serpenti, dell’uno o dell’altro, avrebbe causato la sopravvivenza o la morte dell’altro coniuge. Quindi, se avesse ucciso il serpente femmina sarebbe morta la moglie, se avesse ucciso il serpente maschio sarebbe morto lui. E Tiberio Sempronio Gracco viene visto come un emblema dell’amore coniugale perché chiaramente sceglie di uccidere il serpente maschio e, quindi, così uccide sé stesso, si sacrifica, determina la propria morte. Ma dietro questa vicenda c’è una lettura che vuole sottolineare l’importanza di questa donna che rimane a gestire per 12 figli. Quindi è come se la vitalità, diciamo la vita, della dona stesse a sottolineare il valore della maternità, appunto e del ruolo nel processo educativo dei figli. Tiberio Gracco, quindi, appartiene ad una famiglia aristocratica ma, attenzione, appartiene alla fazione dei populares. Quindi, aristocratico ma aperto al miglioramento delle condizioni di vita dei ceti più disagiati. E’ questo che viene sottolineato nella biografia scritta da Plutarco, da cui attingeremo spesso. “Passando per l’Etruria e vedendo la desolazione di quella zona e che la coltivazione della terra o il pascolo delle greggi erano affidati a schiavi e barbari lì deportati […] Tiberio, lottando per un’idea nobile e giusta con un’oratoria che avrebbe saputo rendere insigne anche un tema da poco […] parlava dei poveri e diceva che le bestie feroci sparse per l’Italia avevano ciascuna la propria tana, un giaciglio, un rifugio, mentre quelli che per l’Italia combattevano e morivano non avevano che l’aria, la luce e nient’altro: andavano errando senza casa e senza fissa dimora con i figli e le mogli […] Si diceva che fossero i padroni del mondo ma di proprio non possedevano neppure una zolla di terra.” Plutarco pone come momento significativo, che sarebbe alla base della sua rogatio sempronia, della sua legge che emanerà, un viaggio fatto da Tiberio in Etruria. Passando per l’Etruria Tiberio rimane colpito dalla desolazione delle campagne. Abbiamo parlato delle campagne che erano state abbandonate perché i contadini e i piccoli proprietari terrieri erano stati costretti ad arruolarsi. E quindi vede che la coltivazione della terra o il pascolo del gregge è ridotto a schiavi e barbari deportati. Quindi, tutto è in mano agli schiavi, ovviamente. Siamo circa negli anni ’40-’30 del secondo secolo. A questo punto, Tiberio, lottando per un’idea nobile e giusta, con un’oratoria che avrebbe saputo rendere insigne anche un problema da poco. Quindi vediamo questi aristocratici romani che avevano una comune base di formazione sulla retorica e sull’ars dicendi, sull’oratoria. Parlava dei poveri. Rimane colpito dalla povertà di questi territori e diceva che le bestie feroci sparse per l'Italia avevano ciascuna la propria tana, un giaciglio, un rifugio, mentre quelli che per l'Italia combattevano e morivano, i cives, non avevano che l'aria, la luce e nient'altro. Dice che è assurdo, anche le bestie hanno un giaciglio, mentre coloro che hanno combattuto per Roma non hanno nulla. Andavano errando senza casa e senza fissa dimora con i figli e le mogli. Si diceva che fossero i padroni del mondo, cioè i romani, ma di proprio non possedevano neppure una zolla di terra. Quindi i romani, i padroni del mondo permettevano che ci fossero dei cives romani che erano sì padroni del mondo in quanto romani ma di fatto non avevano neanche un giaciglio, a differenza delle belve. Questa constatazione pare che abbia rafforzato l’interesse di Tiberio verso le fasce deboli, nulla toglie che un ruolo importante lo abbia avuto anche lo stoicismo, quindi l’egualitarismo proprio della filosofia stoica. Quello che ci interessa nel nostro discorso è una proposta di legge che è la rogatio sempronia, la lex sempronia agraria. La lex Sempronia agraria è una legge che riguarda la proprietà terriera e di cui si era accennato parlando delle leggi di liciniae sextiae. Anche lì, nella lex satura, nel pacchetto di leggi, si prendeva in considerazione l’agro pubblico. Naturalmente, dobbiamo sottolineare che parliamo di territorio demaniale, di territorio dello Stato che di norma veniva dato ai cittadini dietro un vectigal, un canone d’affitto. Succede però che questi territori che dallo Stato erano dati in affitto diventavano sempre più a vantaggio dei ricchi proprietari terrieri, di coloro che potevano permettersi di pagare il canone d’affitto. E quindi, diventa sempre più quasi un territorio ereditario, perché erano sempre gli stessi che si tramandavano di generazione in generazione l’affitto di queste terre. Non si tratta di proprietà privata, attenzione. Quindi che cosa stabilisce Tiberio Gracco? L’obbiettivo qual è? Quello di ricostruire un ceto di piccoli proprietari terrieri, in modo che tutti possano avere il minimo per vivere. E quindi, a questo punto, Tiberio pone un limite al possesso delle terre in affitto: massimo 500 iugeri con un’aggiunta di 250 iugeri per figlio maschio, fino ad un massimo di 1000 iugeri. Così spartita, la terra dell’ager publicus avrebbe avuto delle terre eccedenti. Queste terre eccedenti dovevano essere divise in piccoli lotti da 30 iugeri da affidare ai nullatenenti, in modo che si ricreasse il ceto dei piccoli proprietari terrieri. Ognuno doveva avere il proprio appezzamento da coltivare, ognuno doveva avere la propria casa. Quindi, in sintesi, fisso un limite di proprietà terriera che può essere presa in affitto. Raccolgo le terre eccedenti in piccoli lotti che distribuisco ai nullatenenti. Per distribuire queste terre, creo una commissione agraria, agris dandis, al fine di distribuire le terre. Tresviri agris dandis iudicantis adsignandis perché devo stabilire a chi toccassero queste terre. Nella commissione ci sono Tiberio Gracco, il fratello Caio Gracco e Appio Claudio Pulcro. Quindi è una misura, capite, rivoluzionaria, che non poteva chiaramente piacere ai ricchi proprietari terrieri, per quanto si trattasse di terreno demaniale che era stato ottenuto da Roma grazie alle conquiste. Quindi, non era proprietà privata ma era un terreno che io pagando tenevo come ocupatio, cioè, l’occupavo per un determinato periodo. Solo che dato che erano sempre gli stessi sembrava quasi una proprietà privata, ma non lo era. Altrimenti sarebbe una sorta di comunismo ante litteram, ma non lo era. Quindi, questa riforma non piace ai proprietari terrieri e che fanno? Teniamo conto del fatto che Tiberio Gracco propone questa legge da tribuno della plebe; quindi, ricorre la magistratura dei tribuni della plebe, quindi ha un suo collega. Vi ricordate i poteri dei tribuni della plebe? Ius auxilii, ius intercessionis. Quindi, i ricchi proprietari terrieri si servono del collega, dell’altro tribuno che volendo poteva esercitare il veto. L’altro collega, quindi Marco Ottavio pone il veto alla rogatio sempronia. Peccato che è un tribuno della plebe e doveva ius auxilii, doveva aiutare la plebe. Quindi, ponendo il veto ad una misura pro-plebe, a favore della plebe, andava contro il suo mandato, per cui viene destituito. Tiberio richiede la destituzione. La legge agraria viene approvata. Diritto di veto esercitato da Marco Ottavio, ma in realtà va a porlo contro una misura a favore della plebe, cosa che andava contro il suo mandato. La sua magistratura prevedeva il ius auxilii per la plebe. E’ quanto ci dice Plutarco sulla vita di Tiberio. “Disse dunque che il tribuno della plebe è sacro ed inviolabile” Ricordate questa prerogativa della sacrosantitas “perché è consacrato al popolo e difende il popolo” quindi io non posso essere ucciso perché comunque sono dedito interamente al popolo. “Pertanto, se cambiando comportamento” come fa Marco Ottavio “danneggia il popolo, ne attenua il potere e gli toglie la possibilità di votare, allora si priva da solo della sua carica perché non fa ciò per cui l'ha ricevuta” ed ecco che abbiamo la destituzione di Marco Ottavio. Resta il fatto che però c’è una parte che fa da opposizione a Tiberio Gracco, ed è quella che si è manifestata attraverso il veto di Marco Ottavio. Al che, Tiberio, temendo il peggio, fa una mossa falsa. Cerca, cioè, di presentare la sua candidatura nuovamente al Tribunale della plebe. Poteva ricandidarsi? Assolutamente no, perché i magistrati romani si basano su un’annualità. Quindi, questo tentativo di reiterare la carica viene visto come un tentativo di acquistare potere di tipo personale, personalistico. Ed ecco che viene proprio accusato di aspirare al potere personale. Ricordate la slide sulla crisi della res publica? Inizia quando un cittadino uccide un altro cittadino e questa uccisione rimane impunita. Ebbene, quello che succede a Tiberio Gracco: a decidere la sua morte sarà il pontefice massimo Publio Cornelio Scipione Nasica attraverso la procedura dell’evocatio. Quindi abbiamo il ricorso ad una prassi religiosa precisa, quindi il pontefice massimo con il capo velato indica Tiberio Gracco con l’indice e lo considera sacer agli dei inferi, significa che lo condanna a morte. E’ diciamo la costruzione religiosa che giustifica l’uccisione di un cittadino. Tu aspiri a un potere personale, stai attentando all’autorità e allora io, pontefice sacro, ricorro a questo rito della evocatio e ti indico sacer. Vi ricordate il famoso sacer esto? Dire ad un romano sacer significava consacrarlo alla divinità, significava immolarlo, ammazzarlo. La cosa grave è che viene decisa l'uccisione di un cittadino romano e questa viene vista dai giuristi come l'inizio della crisi della libera res publica. Cosa avrebbe detto Publio Cornelio Scipione nasica: "chi vuole la salvezza della patria mi segua". A quel punto finisce tutto con l'uccisione di Tiberio e dei suoi seguaci. CAIO GRACCO. Fortunatamente dieci anni dopo abbiamo un altro fratello di Tiberio, Caio Gracco - tribuno della plebe 10 anni dopo- 123 a. C. Anche lui figlio di Cornelia. (Quindi la cosa che stiamo vedendo già da adesso è il potere veramente grande dei tribuni della plebe) Cosa fa Caio Gracco? Innanzitutto riprende la lex Sempronia, quindi riattiva la legge del fratello, ma poi fa tutta una serie di proposte: • Una che riguarda la lex de coloniis deducendis, la deduzione di colonie. OBBIETTIVO DI GRACCO è in primis la creazione di una colonia sulle rovine di Cartagine e qui ecco che i suoi oppositori/avversari si avvalgono di omina nefasti dovuti al fatto che su Cartagine era stato sparso il sale e quindi non poteva più essere ricostruita. (Chiaramente tutto un gioco per bloccare l'azione di Caio Gracco). Una cosa IMPORTANTISSIMA DA RICORDARE è l'istituzione delle frumentationes. Questa è una misura importante che possiamo per certi aspetti definire come l'inizio di una sorta di welfare state, l’attenzione per i bisognosi. Gaio Cracco stabilisce che ogni cittadino residente a Roma aveva il diritto ad una frazione/parte mensile di grano ad un prezzo politico, calmierato e stabilito dallo stato. Questa è una misura importante che per la prima volta vede impegnato lo stato nel problema dell'approvvigionamento pubblico che in latino si dice Annona. Questo grano proveniva dalla Sicilia e veniva conservato in dei granari chiamati horrea Sempronia. Quindi questa istituzione è importante in quanto creerà quell'attaccamento della plebe romana all’urbs di Roma e al famoso panem et circenses, quindi uno stato, una res publica che si interessa a garantire le distribuzioni mensili di grano a prezzo politico. • Un'altra riforma importante è la lex Sempronia iudiciaria Spiegandovi della creazione della provincia romana di Sicilia vi dicevo che venivano mandati nelle province dei governatori provinciali, questi governatori erano scelti perlopiù da individui di rango senatorio che si macchiavano del reato di "de repetundis" ovvero concussione. Solitamente veniva poi giudicato dagli appositi tribunali, che sono le questiones de repetundis (sono quei tribunali per i reati di concussione). Di norma fino a Caio Gracco accadeva che i giudici che giudicavano questi reati di repetundis erano dei senatori, quindi si creava una sorta di solidarietà di classe nel giudizio (io senatore se giudico un senatore posso essere di parte). Onde evitare questa parzialità di giudizio Caio Gracco affida i tribunali ai cavalieri. Quindi Caio Gracco affida tutto questo ai cavalieri in modo che non ci sia più un conflitto di interesse (io cavaliere provo piacere se riesco ad incolpare un senatore). • La lex Sempronia de provincia Asia Nel 132 a. C. la gestione delle imposte dell'Asia veniva affidata a degli appaltatori chiamati publicani. Quindi c'erano dei cittadini romani che anticipavano il totale delle tasse che l'Asia doveva versare. Con Caio Gracco viene creato un gruppo di appaltatori istituzionali delle imposte. Cosa importante: Ci sarà d'ora in poi un filo conduttore della storia romana poiché Caio Gracco propone di concedere la cittadinanza romana ai latini e il ius latinum agli italici. Ricordiamoci che Roma era diventata una potenza mediterranea però ancora all'interno abbiamo un'organizzazione tra cittadini romani, latini e italici, quindi la cittadinanza romana rimaneva privilegio soltanto di una parte della popolazione. In sintesi Caio Gracco proponeva una serie di leggi che erano rivoluzionarie e questo crea un'opposizione oligarchia senatoria. Così Marco Livio Druso pone il veto a tutte queste proposte. Questa volta a Roma si crea una situazione più complicata, si creano dei disordini all'interno della città di Roma. Da una parte dei presagi funesti a proposito della deduzione della colonia di Cartagine. Non dicono il motivo preciso per cui non si poteva fondare una colonia sulle rovine di Cartagine, dicono soltanto che gli auspicia non sono favorevoli. Gli omina sono contrari. Scoppiano disordini e vengono a crearsi delle fazioni pro Caio Gracco e contro Caio Gracco per cui si ha quello che solitamente viene definito il primo "senatus consultum ultimum". Anche se secondo i giuristi non sarebbe il primo poiché in realtà il primo risalirebbe a Tiberio Gracco. L'IMPORTANTE è sapere che il senato da pieni poteri ai consoli, che hanno l'obiettivo di salvare la res publica e quindi, a quel punto, decadono tutte le misure a salvaguardia del popolo compresa la provocatio ad populum Dal momento in cui scompare la provocatio ad populum "io" console posso uccidere e condannare a morte chiunque. Provocatio ad populum è infatti la garanzia riconosciuta al cittadino che, condannato alla pena di morte o al pagamento di una multa superiore a un certo ammontare, poteva appellarsi al popolo. A causa di questo a Roma si hanno delle sommosse per cui si deve ricorrere al senatus consultum ultimum e in questo caso Caio Gracco pur di non farsi uccidere si farà uccidere da uno schiavo. Dopo i Gracchi i lotti attribuiti furono dichiarati alienabili e viene abolita quella commissione per la distribuzione dei lotti però l'archeologia ci dimostra che è avvenuta una spartizione dei terreni perché sono stati rinvenuti dei cippi graccani che indicavano la spartizione di queste terre, quindi l'attività della commissione triumvirale. Lezione 22/03 GAIO MARIO. Continuiamo con la crisi della libera res publica romana concentrandoci su un'altra figura miliare della storia romana che è Gaio Mario, che ricopre il consolato nel 107 a.C. e poi ritorna ad essere console dal 104 al 100 e poi ancora nell’86, quindi la peculiarità è il fatto che cominciano a non essere rispettate le regole delle magistrature romane in quanto non si rispettava più l’annualità della magistratura, quindi questa è già una spia di un’anomalia di questa figura. • Propone una distribuzione di terre nella Gallia meridionale a ciascuno dei veterani di Mario, la riforma di Mario prevedeva la concessione di donativi o di terre da coltivare nella fase di congedo; quindi, c’erano già dei veterani e allora Saturnino propone di concedere loro delle terre nella Gallia meridionale da coltivare. • Propone poi una Lex de Maiestate: quindi una legge che andava a colpire, con il reato di lesa maestà quei magistrati che travalicavano il loro imperium, quindi chi cercava di straripare nello strapotere veniva colpito con questo reato di lesione dell’autorità del popolo romano. Se io, magistrato dotato di imperium, se vado oltre quelli che sono i miei poteri sto agendo contro l’autorità del popolo romano, quindi compio un reato. Per quanto riguarda la legge agraria, quella che voleva le distribuzioni di terre ai veterani di Mario nella Gallia, vede Saturnino peccare di tracotanza: tutte le rogatio dovevano passare per il Senato, potevano essere accettate o rifiutate dal Senato. Saturnino obbligava invece i senatori a giurare di farla rispettare entro cinque giorni dalla sua promulgazione, utopia, imponeva ai senatori di far rispettare la legge entro 5 giorni, imponeva non solo di ratificarla ma anche di farla applicare, pena l’espulsione dal Senato. Il tribuno della plebe che si permette di porsi al di sopra di questa assemblea dei patres, quindi se entro 5 giorni non concedi, tu singolo senatore, insieme ai tuoi colleghi, le terre ai veterani di Caio Mario in Gallia, sarai espulso dal Senato e dovrai pagare un’ammenda. L’altro amico di Mario, Glaucia da pretore si candida per il consolato nell’anno successivo, succede che durante la campagna elettorale che a Roma era sempre molto vivace, il competitore viene ucciso. Si crea una situazione di grande disordine, di grande pericolo a Roma. In questo caso Mario, che è console, viene obbligato con un Senatus Consultum Ultimum ad agire contro i suoi sostenitori, che sono anche i suoi amici: Saturnino e Glaucia, sono dei Mariani per cui paradossalmente Mario è costretto ad agire contro dei Mariani. Questo lo farà cadere in disgrazia presso i Mariani stessi, ma nel momento in cui il Senato emette un Senatus Consultum Ultimum con cui conferisce pieni poteri ad un console, il quale deve riportare alla salute e alla sicurezza la res publica, Mario è costretto ad applicarlo, quindi i Mariani Saturnino e Glaucia vengono uccisi: Mario aveva così compromesso il suo prestigio e viene costretto ad allontanarsi da Roma. La guerra sociale: 91-88 a.C. Vediamo questo clima fazioso che si crea nella città di Roma, che si caratterizza soprattutto per questi fenomeni, soprattutto in prossimità dell’elezioni consolari, nel I secolo a.C. Ci sono tensioni politiche e sociali e in questo contesto viene emanata una legge: la lex Licinia Mucia con cui viene istituita una commissione per verificare le concessione di cittadinanza romana, coloro che non avevano i requisiti per ottenere la cittadinanza romana, sarebbero stati espulsi da Roma e dai registri dei cittadini, si ha un clima quasi di epurazione: controlliamo le concessioni della cittadinanza, chi non ha i requisiti deve essere cacciato da Roma, siamo nel 95 a.C. È un antecedente a quanto proporrà nel 91 un altro tribuno della plebe, vediamo l’importanza delle proposte dei tribuni della plebe, Marco Livio Druso, il figlio del Druso che abbiamo visto come colui che ha posto il veto a Caio Gracco; quindi, il tribuno della plebe del 91 a.C. propone una Lex Satura, cioè propone un pacchetto di leggi: a) Una legge agraria: distribuzione di nuovi appezzamenti, c’è questa esigenza di gratificare i veterani. b) Deduzione di nuove colonie: riprende il programma coloniale di Caio Gracco. c) Una legge frumentaria: riprendendo anche qui le frumentationes di Caio Gracco abbassando ulteriormente il prezzo politico del grano. d) La proposta più importante: la concessione della cittadinanza romana agli italici, abbiamo visto che nella penisola italica trovavamo da una parte i cittadini romani e dall’altra gli italici, alcuni dei quali godevano della ius latinum e) Una misura che si pone in antitesi a Caio Gracco riguarda le questiones perpetue quei tribunali in cui si giudicavano i reati di concussione, Caio Gracco li aveva concessi agli equites, questo ceto emergente di cavalieri, onde evitare che i senatori giudicassero senatori. Livio Druso da aristocratico, restituisce queste quaestiones perpetuae ai senatori, a seconda della fazione di appartenenza abbiamo sempre questo gioco. Tribunali per i reati di concussione ritornano ai senatori. Che cosa succede, come viene presa questa Lex Satura? Non viene vista bene dai senatori patrizi che non la ratificano, quindi rimane una rogatio, non diventa Lex, la proposta resta tale, resta rogatio e non diventa legge, e come scusa incolpano il carattere composito dei provvedimenti. Non era la prima volta che si proponeva una Lex Satura, però il Senato aveva trovato l’espediente per dichiarare nulle le proposte di Marco Livio Druso. Druso sente che si stava creando un clima di ostilità nei suoi confronti dalla parte senatoria, per cui come ci dice Appiano: “Druso che aveva avuto sentore di ciò raramente usciva in pubblico e dava sempre udienza nell'atrio della sua casa scarsamente illuminato. Una sera mentre congedava la folla, gridò improvvisamente di essere stato trafitto e mentre così diceva cadde fu trovato infisso nel suo fianco un coltello da calzolaio.” Questi passi testimoniano il clima fazioso, di tensione e di violenza che si respirava a Roma e sarà sempre peggio. Vediamo un tribuno della plebe viene fatto fuori dalla fazione senatoria che era ostile alle sue misure, che erano filo- popolari. Vi ho sottolineato la cittadinanza romana perché l’uccisione di Druso fa crollare le speranze agli Italici, determinando la loro esasperazione. Gli Italici che partecipavano attivamente alla vita di Roma e alla sua grandezza, di fronte a questa negazione del Senato, insorgono: Una prima volta era stata rifiutata la misura di Caio Gracco, ora è stata rifiutata quella di Druso, allora gli italici creano una sorta di Stato nello Stato. Abbiamo una ribellione ad Ascoli, ed a Corfinium viene creata una loro capitale, dal nome Italica, si danno una nuova capitale, che non è più Roma, ma Italica che sorgeva a Corfinium. Si danno una monetazione e non si riconoscono più nella Res Publica romana e creano questo stato nello stato. Il diritto di cittadinanza romana era così ambito perché: la pienezza dei diritti civili e politici. Posso partecipare attivamente alla vita politica, e ho una serie di diritti, posso partecipare ai comizi tributi e comizi centuriati, diritti di voto e una serie di privilegi tra cui l’opportunità di poter comprare il grano a prezzo politico. Accanto alla cittadinanza romana o civis Romanus, abbiamo il civis Latinus, che acquista una connotazione giuridica dal momento in cui viene sciolta la Lega Latina, dopo la guerra latina. La figura del civis latinus, è una figura intermedia tra il civis romanus e il peregrinus (lo straniero). Abbiamo quindi nella penisola italica: il civis Romanus, il civis Latino e in fondo il peregrinus, era l’estraneo dall’essere riconosciuto giuridicamente. Nel 90 a.C. si ha l’insurrezione degli italici, dei socii, di quelle popolazioni che come Taranto che erano diventate alleate di Roma. Ad Ascoli vengono massacrati i cittadini romani, ancora una volta una guerra degli italici contro i romani cittadini e gli insorti erano: Piceni, Marsi, Marrucini, Sanniti, Lucani, tutte le popolazioni incorporate da Roma ad esclusione degli Etruschi. Gli Etruschi e gli umbri, in particolare, che si dimostrano fedeli a Roma. Si danno una capitale e una monetazione. Gli Etruschi e gli umbri rimangono fuori. Si tratta di uno scontro, una guerra che chiamiamo sociale perché è una guerra dei soci contro i romani ed ebbe due soluzioni, una militare e una politica: Abbiamo, da una parte, dal punto di vista militare un settore Nord che è affidato al console Publio Rutilio Rufo e presenta come legato il padre di Pompeo Magno, Gneo Pompeo. Mentre a sud troviamo Silla ed ecco che per la seconda volta ritroviamo questo astro emergente (ricordiamo in particolare l’impegno di Silla nella guerra sociale). C’era dunque un fronte bellico al Nord e uno a Sud. Ma prima di arrivare alla sconfitta militare abbiamo una soluzione politica del conflitto: l’emanazione di tre leges, che cercavano di risolvere il problema della concessione della cittadinanza romana. • Lex Iulia de civitate (la legge giulia sulla cittadinanza) del 90 a.C → Nel 91 è avvenuta l’uccisione di Druso e lo scoppio dell’insurrezione, nel 90 a.C. si ha la prima soluzione politica. La legge prevede la concessione della cittadinanza romana agli alleati rimasti fedeli (abbiamo visto nella cartina che c’erano dei soci rimasti fedeli), oppure che avessero deposto già le armi o che le deponessero. Dunque, chi era rimasto fedele, chi aveva deposto le armi o chi si proponeva di farlo, diventava cittadino romano. • Lex Plautia Papilia dell’89 a.C. → concessione della cittadinanza romana agli italici che si fossero registrati entro 60 giorni presso il pretore di Roma. Calcolate che non era semplice questa misura visti chiaramente i tempi di trasporto. Gli italici se riuscivano a raggiungere Roma entro 60 giorni e si presentavano al pretore di Roma ottenevano la cittadinanza romana. • Lex Pompeia dell’89 a.C. → divide la parte nord transpadana, quindi oltre il Po, a cui non viene concessa la cittadinanza romana, ma il ius latinum. Quindi abbiamo la concessione della cittadinanza a tutti gli alleati e la concessione del ius latinum (cittadinanza di secondo livello) a coloro che abitavano al Nord del Po, quindi nella penisola italica transpadana. Questa è la soluzione politica della guerra. Per quanto riguarda la situazione militare, chiaramente non può non registrarsi un successo romano, a nord ad opera di Gneo Pompeo Strabone con l’espugnazione di Ascoli dove era sorta. Ma la fine definitiva si ha nel 88 a.C. con l’assedio di Nola da parte di Silla. Quindi Nola viene espugnata, era la roccaforte dove gli italici si erano arroccati. Quindi la soluzione militare arriva dopo quella politica, cioè nel 90-89 a.C. quella politica, mentre 90-88 a.C. quella militare. Perciò alla fine della guerra sociale, Roma diventa una metropoli cosmopolita e abbiamo tutta la penisola italica con concessione di diritto della cittadinanza, da raggiungere entro 60 giorni alcuni, ma comunque la volontà di Roma era di concedere la cittadinanza a tutta la parte della penisola italica a sud del Po. A nord del Po invece si concedeva il diritto latino. L’ASCESA DI SILLA. Abbiamo visto Silla, personalità importante del I secolo a.C., vincitore a Nola o quantomeno artefice appunto dell’assedio e dell’espugnazione di Nola. Intanto dopo la minaccia di Cimbri e Teutoni e dopo l’intervento in Numidia, Roma si trova a dover gestire un’altra situazione complessa in Oriente. Infatti, avevamo visto in seguito alla guerra siriaca come effettivamente si fosse creata in Oriente una situazione per cui spesso i greci ricorrevano all’aiuto del primo re arrivato che proponesse loro una libertà rispetto al dominio romano. E soprattutto abbiamo una situazione più o meno di questo tipo con tutta una serie di Stati, ovvero la Bitinia, la Cappadocia, la Paflagonia, il Ponto, ed è nel Ponto che troviamo il re Mitridate. Mitridate, re del Ponto, incomincia una serie di missioni espansionistiche a danno delle confinanti Paflagonia, Bitinia e Cappadocia. Quindi abbiamo questa politica espansionistica di Mitridate VI, re del Ponto. Intanto viene inviata da Roma un’ambasceria, quindi una negatio, ossia una negazione, che Mitridate non vede di buon occhio, perché Roma come abbiamo visto aveva provincializzato l’Asia, ma in realtà non c’era stata una provincializzazione sistematica ma si erano creati una sorta di Stati cuscinetto che erano legati a Roma da rapporti di amicizia. Questa ambasceria mandata da Roma viene vista da Mitridate come ostile e quindi si risolve con un nulla di fatto, anzi implementa queste mire espansionistiche di Mitridate, che si presenta come un novello Annibale per l’odio che pare nutrisse nei confronti dei romani. Questo è quanto ci scrive Velleio Patercolo. “Nel medesimo tempo, Mitridate, re del Ponto, uomo del quale non si potrebbe né tacere né parlare senza riflettere adeguatamente, pieno di ardimento in guerra, di eccelso valore, talora superiore ad ogni altro per buona sorte, sempre per coraggio, vero condottiero nel preparare i piani di guerra, soldato nel combattere, un Annibale per il suo odio contro i Romani, occupò l’Asia e mise a morte tutti i cittadini romani che vi si trovavano.” Quindi è un novello Annibale che si comporta come Giugurta. Giugurta aveva messo a morte i negotiatores di Cirta. In questo contesto, Mitridate fa trucidare i cittadini romani che si trovavano in Asia. Le fonti amplificando i numeri, parlano addirittura di 80.000 italici trucidati, ma al di là della cifra, si tratta di un atto che possiamo dire di totale intolleranza, che chiaramente non poteva non determinare l'intervento di Roma. D'altro canto, in Oriente c'era un mal contento verso Roma da parte dei Greci e Macedoni. Per cui c'è la richiesta di Greci e Macedoni di allearsi a Mitridate, contro Roma. Si allenano tutti contro l'impero, tranne l'isola di Rodi, isola che era stata minacciata, insieme al regno di Pergamo, da Filippo V di Macedonia. Quindi Rodi rimane fedele a Roma, un pò come gli Umbri nella guerra sociale. Tutta la Grecia, la Macedonia e la Tracia, chiaramente si prostrano a Mitridate nell'attesa che lui riuscisse a togliere l'oriente dall'orbita di Roma. Roma, dopo l'uccisione degli Italici, affida il comando della missione in Oriente contro Mitridate a Silla. Silla che nell'88 a.C. si trova a Nola, riceve da Roma questo nuovo comando. Intanto a Roma troviamo un altro influente tribuno della plebe: Publio Sulpicio Rufo. Lui propone una serie di leggi: • Inserimento dei neocittadini, che dovevano essere iscritti nelle 35 tribù attribuite a Servio Tullio. Chiaramente Sulpicio Rufo propone di distribuire questi nuovi cittadini in tutte e 35 le tribù. I ceti più elevati, invece proponevano di distribuirli solo in 8 tribù, in modo che non coartassero gli equilibri elettorali, perché le competizioni elettorali a Roma erano molto forti e i cittadini che andavano a votare nei comizi centuriati i consoli non si potevano più gestire. Così pensarono di distribuirli in 8 tribù così che la maggioranza dei voti potevano ancora gestirla. I senatori e gli aristocratici si impoverivano e ricorrevano a prestiti per la campagna elettorale, gestendo una fitta trama di clientele. Era infatti una misura che si proponeva contro gli aristocratici senatori. • Contro i senatori pone un limite massimo di indebitamento. I senatori si indebitavano e ricorrevano a prestiti presso gli equites e per questo motivo Sulpicio Rufo mette un limite massimo di indebitamento di 2000 denari. Se sforavano questo limite di indebitamento venivano espulsi dall’ordo senatorio. • Trasferimento del comando della guerra contro Mitridate VI, re del Ponto, da Silla a Mario. Lo stato romano aveva affidato il comando della guerra contro Mitridate a Silla, che si trovava a Nola. Sulpicio Rufo approfitta dell’assenza di Silla e tira fuori questi provvedimenti che sono contro i senatori e contro Silla. Quest’ultimo apparteneva a una famiglia aristocratica decaduta anche se forse Silla stesso gioca su questa sua povertà della propria famiglia. Comunque se Mario lo collocavamo tra i populares, Silla lo collochiamo tra gli optimates e questo ci fa capire l’astio di Sulpicio Rufo. A Silla giunge voce che era stato proposto da Sulpicio Rufo di togliergli il comando della guerra contro Mitridate ed è per questo che fa un discorso ai soldati. È proprio Silla che per la prima volta mette in atto la riforma di Mario, ci troviamo dinanzi a un generale che parla ai suoi soldati perché sono i SUOI soldati non i soldati di Roma. Quello che dice Silla lo sappiamo tramite Appiano, autore delle guerre civili: “Silla riunì in assemblea l’esercito, mise subito in marcia sei legioni di soldati. Ma gli ufficiali superiori dell’esercito lo abbandonarono non potendo tollerare di condurre le truppe contro la loro patria. Si ebbe così un vero combattimento tra nemici, il primo in Roma…e per primo questo esercito di cittadini invase la patria come una città nemica. Dopo di allora le sedizioni non cessarono di essere decise con gli eserciti, anzi si ebbero frequenti assalti di Roma.” Silla riunì l’esercito ma gli ufficiali superiori lo abbandonarono dopo il discorso ad eccezione di Lucullo, l’uomo fedele di Silla, che lo seguirà sempre e ovunque. Non potendo tollerare l’abbandono da parte dei generali, Silla decise di condurre le truppe contro la loro patria, Roma. Loro che erano romani avrebbero marciato contro Roma, ecco il paradosso della riforma di Mario. Così facendo si ebbe un vero combattimento tra nemici in realtà cives, cittadini. Per primo questo esercito di cittadini invase la propria patria come una città nemica. Questo è il risultato della riforma di Mario = un esercito che segue il proprio generale. Con questa invasione si ha la prima marcia su Roma della storia romana nel 88 a.C. Per la prima volta dei cittadini romani marciano contro Roma, contro la propria patria perché seguono il proprio generale che era stato spodestato dal comando. Dopo di allora, le sedizioni non cessarono di essere decise con gli eserciti. Si comprende il valore strumentale dell’esercito, saranno molti gli uomini di potere che giungeranno con l’esercito alle porte di Roma. Anzi si ebbero frequenti assalti nella città. Dunque, Silla, nell’88, marcia su Roma e preso il potere passa all’abrogazione delle leggi di Sulpicio Rufo. Chiaramente Mario è costretto a fuggire; ci troviamo dunque nella guerra civile tra Mario e Silla. Avrete capito l’importanza di questo passaggio: quindi la strumentalizzazione dell’esercito e un generale che con il proprio esercito marcia su Roma. Ristabilito l’ordine dopo aver marciato su Roma nell’88, nell’87 Silla parte verso l’Oriente, andando verso Brindisi via terra per sbarcare poi in Epiro, e da lì si proseguiva via terra. Silla, dopo aver preso Roma, parte per l’Oriente. A Roma riprendono posizione i MARIANI. Fazioni: Mariani e Sillani/ Populares e Optimates. A Roma si piazza Cinna, che era un Mariano -cioè seguace di Mario- Mario, che era fuggito in Africa dopo la marcia su Roma, ritorna a Roma. Per cui a Roma abbiamo: 1. UNA DOMINAZIONE MARIANA che agisce e che manderà un proprio esercito in oriente. 2. UNA DOMINAZIONE SILLANA Ci troveremo così con due eserciti paralleli: uno di Cinna e Mario, dall’altra parte l’esercito di Silla. Come se avessimo due eserciti paralleli che vanno a combattere in Oriente contro MITRIDATE. Non si rassegnavano i Mariani a lasciare il potere a Silla. Cinna ripropone l’iscrizione delle 35 tribù dei neo-cittadini. Cinna, che era console dall’87 e che continuerà ad esserlo insieme a Mario nel’86, viene dichiarato HOSTIS PUBLICUS. Aveva però ancora un mandato: quello di portare avanti la guerra contro Mitridate. Perché parliamo di crisi della libera Res Publica? Perché stiamo andando oltre quelli che erano i limiti del potere dato ai magistrati, dell’imperium dei magistrati, l’annualità in questo caso: Cinna va oltre la detenzione del potere annuale. In questo contesto, mentre Silla sta in Oriente a marciare contro Mitridate, a Roma, abbiamo questa dominazione mariana. Come abbiamo già visto Mario viene per certi aspetti, quasi equiparato, ad una divinità: innanzitutto è considerato un NOVELLO ROMOLO perché era come se avesse rifondato lo Stato romano. E’ quasi una divinità perché venivano offerte libagioni al suo genus; non a Mario stesso -perché a Roma, la divinizzazione in vita era vietata, poteva avvenire soltanto Post-mortem – ma allo spirito di Mario. IL GENUS è lo spirito che accompagna gli uomini in tutta la vita e che si protrae nel loro casato. Tutto ciò era effettuato per evitare la divinizzazione in vita. Lo stesso valeva per gli imperatori, come Augusto, che potranno essere divinizzati solo post-mortem. Come ha sottolineato Ross Taylor, abbiamo quella che è la peculiarità del primo secolo: LA CRESCITA DEL POTERE DEI SINGOLI UOMINI, che in realtà, noi abbiamo già anticipato a SCIPIONE L’AFRICANO. Abbiamo incominciato a delineare le singole personalità dei signori della guerra del I secolo a.C. Questo percorso di Mario si conclude nell’86 con la morte che avvenne probabilmente per una forma di PLEURITE. Quindi dalla dominazione Mariana, a Roma, passiamo alla dominazione di Cinna, dall’86 all’84. Intanto in Oriente c’è sempre Silla, che starà combattendo contro Mitridate. Abbiamo un potere politico situato a Roma in mano ai mariani (Mario e Cinna e poi soltanto Cinna). Dall’altro abbiamo un potere militare che era stato affidato già nell’88 a Silla che Intanto in Spagna erano giunti altri nostalgici dal punto di vista politico e in particolare ci interessa Perperna che faceva parte di una corrente politica che non si trovava identificata col nuovo corso della storia. Non abbiamo quindi con Pompeo un imperium pro pretore, come quello che gli era stato conferito contro i Mariani in Africa e in Sicilia, ma stavolta contro Sertorio abbiamo un imperium pro consulare, pur non essendo stato ancora console. In realtà non poteva neppure essere console perché era giovanissimo, era un trentenne. Pompeo parte per la penisola iberica e questa resistenza mariana in Spagna si chiude fra gli anni 76-71. In Spagna Pompeo chiede aiuti e rinforzi a Roma, già a Roma c’erano i governatori delle due Spagne, ma non erano riusciti a sedare la rivolta, quindi si colgono le difficoltà nel campo avversario, ma in realtà Sertorio viene ucciso da Perperna, un altro romano giunto in Spagna. Sertorio e Perperna quindi giungono a un conflitto fra di loro per cui a Pompeo e ai romani non resta che far fuori Perperna che verrà ucciso dai romani e giustiziato da Pompeo. Questa è la prima missione del periodo post sillano affidata a Pompeo. Pompeo, di ritorno della Spagna via terra, si imbatte in un’altra situazione particolare, ossia la terza rivolta servile, stavolta non di contadini o schiavi utilizzati nell’ agricoltura, ma di schiavi utilizzati nella gladiatura, ossia schiavi gladiatori capeggiati da Spartaco che si trovava insieme altri gladiatori nella scuola di gladiatura di Capua, dove scoppia nel 73 questa rivolta servile. Vediamo l’origine straniera di questi schiavi, Spartaco è un trace ed è aiutato da schiavi di origine celtica che sono Crisso ed Enomao. In questo caso abbiamo una evasione sul Vesuvio e la peculiarità di questa rivolta servile è che schiavi si uniscono anche i civili che erano scontenti del governo romano, quindi uomini liberi che si erano ridotti in miseria perché venivano da secoli di guerre e soprattutto i piccoli proprietari terrieri erano prostrati. Al di là dell’evasione dalla scuola di gladiatura e della collocazione alle pendici del Vesuvio, questi schiavi non avevano un progetto preciso, si presentavano scissi, per cui da una parte abbiamo coloro che marciano verso nord guidati da Spartaco con la finalità di oltrepassare le Alpi affinché ognuno potesse raggiungere il proprio paese d’origine; dall’altra parte vi erano gli altri che si davano al saccheggio alla razzia, addirittura si pensava che volessero oltrepassare lo stretto di Messina e poi congiungersi. Proprio questa mancanza di una progettualità fa sì che vengano facilmente stroncate queste due masse di schiavi, una a nord, infatti dalla Campania andando verso le Alpi, c’è un tizio che dalla Spagna ha varcato i Pirenei, valica le Alpi e si imbatte negli schiavi ed è Pompeo. Da una parte abbiamo Pompeo che poté vantarsi ancora una volta di aver massacrato centinaia di schiavi, e questo ce lo dice Plutarco ne La vita di Crasso (Crasso è un altro personaggio che incontreremo oggi, coevo e collega e poi rivale di Pompeo stesso). Quindi una schiera finisce sotto le grinfie di Pompeo mentre in realtà era stato dato il comando di sedare la rivolta a Marco Licinio Crasso, il Crasso appena accennato. Pompeo e Crasso si trovano, l’uno fortuitamente, e l’altro per incarico della res pubblica, a sedare la rivolta di Spartaco. Anche Crasso è un sillano, un sillano molto ricco. Cosa succede con Crasso? Crasso procede alla crocifissione degli schiavi lungo la via Appia, furono crocifissi 6000 schiavi: furono sconfitti nella valle del Sele perché pare che tentassero di oltrepassare lo stretto di Messina e poi congiungersi con i pirati ma vennero precettati prima da Crasso che li fece bloccare e crocifiggere (la crocifissione era una pena capitale riservata agli schiavi e per questo era signum infamiae, segno di infamia, la croce in sé era simbolo di infamia perché appunto era la pena capitale riservata agli strati più bassi della popolazione). Alla fine della rivolta servile del 71 a.C. sulla scena politica di Roma troviamo Pompeo e Crasso, due sillani, anche se Pompeo aveva avuto un attimo di tentazione durante la dominatio Cinnana di raggiungere Cinna ad Ancona; ma probabilmente ha ragione Ronald Syme quando ce lo presenta come una sorta di arrampicatore opportunista. Alla fine di questa esperienza abbiamo queste due grandi figure: Pompeo possiamo definirlo un uomo della guerra mentre Crasso era un ricco finanziatore delle carriere militari, un uomo molto influente, un sillano, che militarmente però non aveva le qualità di Pompeo, quindi non possiamo chiamarlo un signore della guerra ma egli riusciva a compensare questa sua inferiorità bellica con le sue sostanze e ricchezze. Ci troviamo di fronte a due sillani e ci aspetteremmo la continuazione di quanto Silla aveva messo in atto nella sua dittatura lègibus scribùndis, finalizzata proprio alla nuova creazione dello Stato Romano. Invece, siamo nel 71 a.C., e i due pensano di coalizzarsi per proporre la loro candidatura al Consolato per il 70 a.C. (quindi le candidature avvengono l’anno prima per l’anno dopo). Crasso era stato incaricato di porre fine alla rivolta di Spartaco in quanto pretore, quindi nel 71 a.C. aveva ricoperto una magistratura, invece Pompeo non aveva ricoperto nessuna magistratura ma aveva soltanto avuto degli imperia straordinari e quindi in realtà non aveva percorso il cursus honorum stabilito da Silla, ma soprattutto aveva 34 anni, cioè non aveva l’età per ricoprire il consolato. Ci troviamo davanti a due sillani che smantellano l’ordinamento sillano perché Crasso era stato pretore nel 71 a.C. e quindi non poteva candidarsi a Console nel 70 a.C. perché dovevano passare due anni; Pompeo invece non aveva percorso il cursus honorum ma soprattutto aveva 34 anni; da Silla però egli aveva appreso una cosa importantissima: ricorda che Silla aveva rubato la pretura di Mario procurandosi un suo esercito quindi dinanzi al rifiuto della sua candidatura si presenta col suo esercito davanti Roma, quindi minaccia una marcia su Roma come aveva fatto Silla, porta le sue legioni davanti Roma e a questo punto per evitare una nuova marcia su Roma, ecco che nel 70 a.C., con la forza, abbiamo il consolato da lui voluto. Abbiamo il pretore dell’anno prima, Crasso, e il trentaquattrenne Pompeo che di cursus honorum non aveva percorso nulla, però aveva compiuto delle azioni militari e aveva vinto contro in Africa, contro in Sicilia e in Spagna, quindi contro Sertorio, e aveva trucidato un sacco di schiavi, quindi in realtà aveva compiuto delle azioni pro Roma; azioni che però portava a compimento perché già iniziate da altri. Quindi due consoli sillani smantellano l’ordinamento costituzionale sillano, cioè agiscono contro quanto aveva sancito colui che doveva essere il loro leader politico. Una volta arrivati al potere cominciano ad emanare una serie di leggi che portano completamente all’oblio quanto Silla aveva stabilito, in particolare capiscono l’importanza dei tribuni della plebe e quindi ne ripristinano totalmente i poteri, ecco perché abbiamo cominciato con la Lex Aurelia: già questa lex aveva dato la possibilità ai tribuni di continuare il loro cursus honorum ma Crasso e Pompeo si rendono conto che se volevano delle leggi, e soprattutto leggi ad personam (dimostrano di avere degli interessi personali perché ambiscono a delle cariche), hanno bisogno di promotori di leggi, quindi tribuni della plebe. Quindi una volta arrivati al potere ripristinano nella loro pienezza i poteri dei tribuni della plebe: è la Lex Pompeia Licinia de tribunicia potestate. Una seconda legge che ristabilisce tutti i poteri e soprattutto quello più importante ossia quello di emanare e proporre delle leggi e il diritto di veto. Silla aveva votato a sé la censura, cioè era lui a stabilire chi poteva entrare al senato e chi no, addirittura aveva piazzato dei cavalieri che lo avevano supportato nella sua ascesa politica; a questo punto la censura viene ripristinata come magistratura autonoma, non più appannaggio del dittatore o dei consoli ma del censore; e approfittano per ripulire le fila del senato epurandolo di 60 o più senatori indegni che erano stati inseriti da Silla ma non avevano i prerequisiti (quindi erano stati inseriti solo in quanto supporters di Silla). Ancora una volta abbiamo la questione dei tribunali, Silla aveva creato 8 quaestiones perpetuae, 8 tribunali, per 8 tipologie diverse di reati, attribuendole tutte ai senatori; ci trovavamo di fronte a senatori che giudicavano per lo più senatori (soprattutto nel reato de repetundis che coinvolgeva i governatori provinciali). In questo caso le quaestiones perpetuae vengono tripartite, quindi a dirimere le cause sono: senatori, cavalieri e la nuova classe dei tribuni aerarii, ossia degli individui che avevano un reddito più basso dei cavalieri. Questa è la Lex Aurelia iudiciaria. Questo è il quadro che ci consente di definire Pompeo “allievo imperfetto di Silla” e lo stesso per Crasso: due sillani che ribaltano l’ordinamento sillano. Una volta ripristinato il potere dei tribuni della plebe ecco che notiamo come a beneficiarne sarà Pompeo: grazie ai tribuni della plebe si rafforzerà il potere personale di questo personaggio. Si serve della forza del tribunato per potenziare del suo potere. Ancora una volta abbiamo il conferimento di un imperium particolare, dopo il consolato del 70 a.C., nel 67 a.C. il tribuno Aulo Gabinio propone una Lex Gabinia de piratis persequendis: i pirati erano una presenza nefasta sulle sponde del mediterraneo, adriatico ecc… e quindi questo tribuno affida a Pompeo la lotta contro i pirati conferendogli un imperium proconsulare infinitum, il fatto che sia infinitum è molto importante, ci fa capire che si creano dei poteri nuovi che non abbiamo studiato, è questa la crisi della libera res pubblica, ossia l’emergere delle singole individualità che aumentano sempre di più il loro potere e la loro influenza con espedienti particolari. Questo imperium proconsulare è il potere che avevano i proconsoli cioè i governatori provinciali (i governatori provinciali potevano essere proconsoli o propretori), quindi Pompeo aveva il potere dei governatori ma non sulla terra, bensì sul mare: fino a 50 miglia dalla costa ancora c’era l’influenza del governatore provinciale, da 50 miglia in poi il potere era di Pompeo, sul Mediterraneo orientale perché questi pirati funestavano proprio le coste del Mediterraneo orientale. Si tratta di un potere infinitum, un potere per 3 anni; ma dobbiamo dire che Pompeo era veramente in gamba e ciò che lo stato romano si aspettava di risolvere in 3 anni viene risolto in 3 mesi. In realtà da una parte Pompeo è spregiudicato e dall’altra parte riesce a combattere valorosamente: abbiamo una flotta di 500 navi, un esercito di 120.000 uomini e riesce a sbaragliare questi pirati che si era annidati a Creta e Cinicia. Queste zone vengono liberate dai pirati e quel comando che Pompeo doveva detenere per tre anni effettivamente viene risolto in 3 mesi, ma si tratta ancora una volta di un imperium particolare. Vedete che c’è una serie di circostanze e vicissitudini che Pompeo porta a termine, spesso porta a termine quanto era stato iniziato già da altri. Un’altra questione portata a termine da Pompeo è quella che aveva impegnato Silla contro Mitridate e che lo aveva portato a marciare su Roma perché gli era stata negata da Sulpicio Rufo che voleva affidare questa guerra a Mario. Questa pace con Mitridate non era mai stata ratificata dal senato, in realtà Mitridate era stato riportato nel suo territorio, erano state sistemate le situazioni precedenti, ma non era stata ratificata la pace vera e propria per cui Mitridate continuava la sua azione di espansione e sempre di sguardo attento a carpire qualcosa che lo portasse a reagire contro Roma. La motivazione più grande gli viene dal regno di Bitinia perché quando muore Nicomede IV di Bitinia si scopre che Nicomede aveva lasciato la Bitinia per testamento in eredità ai romani. Per evitare che la Bitinia passasse nelle mani dei romani, quindi per evitare che si piazzassero in un territorio confinante con il Ponto, Mitridate invade nel 73 a.C. la Bitinia prima che i romani prendessero possesso di questa terra. Chiaramente Roma manda dei consoli, in particolare spicca la figura di Lucio Licinio Lucullo (l’unico generale che aveva acconsentito alla marcia su Roma e aveva sempre seguito Silla). Lucio Licinio Lucullo riesce a ricacciare Mitridate nella provincia d’Asia, quindi libera la Bitinia. Mitridate non si rassegna e si rifugia in Armenia dove c’era il genero Tigrane (sovrano in Armenia). Il fatto che Mitridate si rifugi qui determina l’invasione dell’Armenia da parte dei Romani; infatti c’è tutta una branca di romanisti che studiano l’Armenia perché anche questa entra a far parte dell’orbita romana anche se in maniera intermittente. Lucullo riesce ad assediare Tigranocerta quindi dal punto divista militare è un generale valoroso che riesce a riportare la vittoria; ma i soldati erano stremati, l’esercito non ce la faceva più perché si ritrovava a combattere in una terra impervia come quella dell’altopiano armeno, che appunto non era una zona agevole. Seguono poi degli insuccessi in Mesopotamia quando si cerca di spingere ancora nella parte più orientale. Abbiamo quindi un esercito molto provato e qualche insuccesso che si cominciava ad avvertire ma soprattutto Lucullo compie un’opera meritoria ai nostri occhi ma non a quello degli equites e degli appaltatori (quel ceto di romani che riscuotevano le imposte nelle province): egli cerca di agire a favore della provincia d’Asia per rateizzare o addirittura condonare in parte i debiti che le città avevano verso Roma, quei debiti dovuti ad un’inadempienza nel pagamento delle tasse. Consentire ai provinciali di rateizzare o addirittura garantire la possibilità del condono ha fatto infuriare la classe dei cavalieri che ci lucrava. Lucullo comincia a porsi in cattiva luce presso gli equites e i soldati e in aggiunta vi sono anche degli insuccessi; insomma si crea il contesto ideale perché nel 66 a. C. Lucullo venga sostituito da Pompeo. Ecco che dopo i mariani, dopo Sertorio (anche lui mariano), dopo Spartaco, dopo i pirati di Creta e Cilicia, ci troviamo lo scontro con Mitridate. Pompeo nel pieno del suo vigore come un novello Alessandro Magno è pronto a partire verso l’Oriente. Ancora una volta la legge è proposta da un tribuno della plebe, ecco perché vi sono gli interessi a ripristinare i poteri dei tribuni della plebe. Pompeo basa la sua forza su questo potere e in questo caso abbiamo sempre un imperium proconsulare maius e non infinitum. Sono tutti questi aggettivi che troveremo con il primo imperatore romano, Ottaviano Augusto. Già negli anni 60 del 1 secolo a.C. si comincia a respirare un’aria nuova, quella del potere individuale di stampo personalistico. In due anni Pompeo riesce a riconquistare il Ponto, riesce laddove era riuscito Silla e neppure Lucullo, che da questo momento odierà Pompeo perché si vede quasi spodestato nella gestione di questa guerra. Pompeo riesce subito ad agire diplomaticamente, e fa un po' come aveva fatto Silla con Bocco e Giugurta: in questo caso stacca il genero Tigrane dall’alleanza con il suocero Mitridate. Quest’ultimo aveva infatti finora trovato la forza per resistere grazie al genero. Quindi Mitridate abbandonato dal genero e dal figlio Farnace si suicidò in Crimea pur di non cadere nelle mani dei romani (ci ricorda Annibale per l’odio che entrambi nutrivano nei confronti dei romani ma anche per questa fine). Prima di questa spedizione in Oriente Pompeo (ci rifacciamo al primo imperium propretorea conferitogli da Silla stesso) era ritornato vittorioso dopo aver vinto i mariani in Sicilia e in Africa e declamava il trionfo, peccato che a Roma non era stabilito il trionfo di un equites come lui, ed ecco che allora si è avuto la prima frizione tra Silla e Pompeo; pur di raggiungere le sue mire di potere ecco che quest’ultimo si scagliò contro Silla. Ebbe qui l’epiteto di Pompeo magno. Tornado all’Oriente è chiaro che veramente Pompeo era a confine con il regno dei Parti e per la prima volta abbiamo dei contatti diplomatici tra Romani e Parti che entrano nella geografia politica di Roma. Nel momento in cui quest’ultima si estende sempre di più territorialmente è chiaro che viene sempre più ad avvicinarsi a quest’altro grande impero della storia, che era il regno dei Parti. Le nuove province sono quelle di Ponto e Bitinia che diventano una provincia sola, ma soprattutto la Siria che viene provincializzata nel 64 a.C.; poi abbiamo l’arrivo di Pompeo a Gerusalemme ma non si assiste alla provincializzazione della Giudea che invece diventa una sorta di protettorato romano sotto la sorveglianza del governatore di Siria. Nelle province abbiamo dei governatori provinciali che potevano essere proconsoli o propretori, mentre la Giudea, la Cappadocia, l’Armenia e la Colchide possono essere definiti stati cuscinetto/alleati che erano sotto l’influenza di Roma e che presto diventeranno tutte province romane. Plinio il Vecchio fornisce una sintesi nella Naturalis historia nel terzo libro in cui si leggono le gesta di Pompeo: “Inserire a questo punto la menzione completa delle gesta vittoriose e dei trionfi di Pompeo Magno torna ad onore di un solo uomo, ma di tutto l’impero romano… dunque, dopo aver riconquistato la Sicilia…e dopo aver sottomesso e assoggettato l’intera Africa, da cui riportò come bottino l’appellativo di Magno, lui, un cavaliere romano (circostanza senza alcun precedente prima di lui), tornò in patria su un carro trionfale e subito ripartì per l’Occidente dove, innalzando trofei sui Pirenei…con grande magnanimità, non fece menzione di Sertorio…poi inviato in tutti i mari e quindi in Oriente…avendo liberato le coste dai pirati e avendo restituito il dominio del mare al popolo romano, ha trionfato su Asia, Ponto, Armenia Paflagonia, Cappadocia, Cilicia, Siria, …Giudei. Il culmine massimo fu quello di aver ricevuto l’Asia come provincia di frontiera e di averla restituita alla patria come provincia interna.” Le fonti antiche si accorgono già della sua eccezionalità, di un uomo che andava contro le regole; torna infatti a Roma con un carro trionfale. Si era spinto al di là fino a stringere rapporti diplomatici con il regno dei Parti. A questo punto un po' come era successo al genius di Gaio Mario, anche a Pompeo, non il suo genius, in Oriente che era più incline ad onorare gli individui ancora in vita ebbe templi, vennero eretti templi a Pompeo liberatore da Mitridate, dai pirati e anche monete che vennero emesse. Finora abbiamo visto una parabola ascendente, un Pompeo che scala la vetta del successo tanto che Plutarco, biografo autore della vita di Crasso e anche di una vita di Pompeo afferma che per lui sarebbe stato meglio morire a questo punto: “A quel tempo, secondo coloro che lo paragonano e lo rassomigliano in tutto ad Alessandro, aveva meno di trentaquattro anni, ma in realtà si avviava ai quaranta. Che guadagno sarebbe stato per lui se avesse finito di vivere allora, finché ebbe la fortuna di Alessandro! Il tempo che seguì gli portò invidiabili successi e irrimediabili sventure.” Ciò ci fa presagire che incomincia una parabola discendente. La campagna contro Mitridate, la provincializzazione della Siria, la sistemazione degli stati cuscinetto in Oriente sono la sommità raggiunta da Pompeo, ma da questo momento dobbiamo evidentemente aspettarci delle nuvole sul suo percorso. Siamo intorno al 62 a.C. e Pompeo aveva quasi 40 anni e a questo punto dall’Oriente ritorna con il suo esercito a Brindisi (tutti tornavano via mare fino a Brindisi e poi da qui si raggiungeva Roma via terra). A questa punto la domanda da porsi è “Cosa avrebbe fatto Pompeo con il suo esercito?” Dopo la riforma di Gaio Mario infatti l’esercito riceveva una paga dal proprio generale ma soprattutto alla fine di campagne vittoriose doveva essere compensato e solitamente a quel punto interveniva lo Stato con la ratifica del Senato che poteva assegnare terre ai veterani o comunque fare dei donativi. Soprattutto Pompeo aveva creato un nuovo assetto delle province, con nuovi stati cuscinetto e un nuovo assetto e quindi il Senato doveva ratificare tutto questo. Ma come ha detto Plutarco la fortuna crea invidia; si creano due fronti, i sostenitori e gli avversari di Pompeo. Tra i sostenitori abbiamo Cicerone, per lui Pompeo rappresenta colui che doveva prendere e detenere le redini dello Stato e Marco Porcio Catone; possiamo dire quindi che i difensori dell’autorità senatoria erano i sostenitori di Pompeo. Mentre gli avversari erano Marco Licinio Crasso che aveva interessi commerciali in Oriente e che quindi guardava sempre in maniera attenta allo svolgersi delle campagne di Pompeo in Oriente e Giulio Cesare che faceva parte dei populares (ricordiamo che Mario aveva sposato una zia di Giulio Cesare, la sorella del padre). Abbiamo quindi da una parte la politica anti-senatoria contro Pompeo e quella filo-senatoria a suo favore, anche se abbiamo poi all’interno di quest’ultima successive ostilità. Si temeva che Pompeo giunto a Brindisi potesse marciare su Roma come aveva fatto Silla che aveva posto l’esercito a Roma per diventare console, ma invece Pompeo non fa nulla di ciò: finita la sua missione che era la conquista dell’Oriente arriva a Brindisi e scioglie l’esercito. La guerra era finita ma il Senato non ratificherà il nuovo ordinamento dato all’Oriente da Pompeo e soprattutto non distribuisce le terre ai suoi veterani. Da questo momento quello che ci è apparso come un deus ex machina, colui che arriva dall’alto e risolve tutti i problemi, viene praticamente congedato, rimane ai margini della vita politica. Il consolato di Cicerone e la congiura di Catilina. si candida nel 60 per il 59 e così avviene, come abbiamo capito dal passo che abbiamo letto di Appiano, Cesare diventa console per il 59 a.C. insieme a Bibulo. Ed è proprio con il consolato di Giulio Cesare e con le misure prese da Giulio Cesare che tutti si rendono conto che tra i tre, cioè tra Cesare, Crasso e Pompeo c'è un accordo, perché appena arriva al consolato Cesare comincia ad emanare tutta una serie di leggi ad personam. o Le prime a favore di Pompeo, cioè, la distribuzione delle terre ai suoi veterani, aveva fatto veramente una figuraccia, aveva perso il suo prestigio, ed ecco che abbiamo la Lex Iulia Agraria; Giulio Cesare, Gens Julia, Lex Iulia. Distribuzione di terre, chiaramente dell’agro pubblico, ai veterani di Pompeo, terre che potevano essere di tutta la penisola italica ad eccezione della Campania. Anche se poi abbiamo una seconda legge agraria in cui si estende la possibilità di concedere terre anche in Campania e non solo ai veterani di Pompeo, ma anche ai padri di famiglia di figli maschi che ne avessero bisogno. A queste due leggi agrarie che palesano già che ci fosse un patto con Pompeo, di fronte a queste leggi, il console collega, Bibulo, ricorre alla procedura dell'obnunziatio, quello che si era fatto con Caio Mago. Bibulo sostiene che gli auspici non erano favorevoli e quindi bisognava differire i comizi, quindi, in pratica, le leggi non potevano essere votate. A questo punto Pompeo che era la parte in causa perché le due leggi lo riguardavano, riguardavano i suoi soldati, i suoi uomini, con le sue bande paramilitari procede all’intimidazione di Bibulo. Le bande di Pompeo spezzano i fasci di Bibulo; vi ricordate che se li scambiavano periodicamente, rappresentavano il potere di coercizione del console; spezzano i fasci e ricoprono di sterco il capo di Bibulo. Questo voleva essere un gesto umiliante ed effettivamente l'intento è riuscito perché Bibulo si chiuderà in casa per il resto dell’anno. Per cui Svetonio nella vita di Cesare definirà il 59 come l'anno di Iiulio et Cesare consulibus, dei consoli Giulio e Cesare, perchè Bibulo si chiude in casa e non esce più per la vergogna. Quindi capite come stanno cambiando le cose, si ricorre alla minaccia, si ricorre all’intimidazione, è una politica diversa ed è la politica della Roma degli anni 50, perché ormai siamo nel 59, intanto con queste due leggi agrarie Cesare aveva accontentato Pompeo. Vediamo quali sono gli altri provvedimenti presi da Cesare in questo anno: o Mancava ancora una cosa di Pompeo, la ratificazione dell'assetto orientale e lo farà con la Lex Iulia, sempre Giulia, di Giulio Cesare, ‘de actis Cn. Pompei confirmandis’, quindi una legge volta a confermare l'assetto territoriale dato all'Oriente da Pompeo. o Poi arriva la legge per favore di Crasso, chiaramente non esplicitamente, ma si capisce dal contenuto, ‘Lex Iulia de publicanis’, i pubblicani sono i riscossori delle imposte, o meglio, coloro che riscuotevano le imposte per conto di Roma ma che di fatto vi lucravano. Che cosa fa Cesare? Riduce di un terzo il canone di appalto, quindi una misura a favore dei pubblicani, quindi cambi di appalto delle imposte nella provincia Asia a vantaggio degli appaltatori, chiaramente dei pubblicani, come voleva Crasso. o Poi non può che pensare a se stesso il console in carica e a se stesso ci pensa mediante una legge proposta dal tribuno della plebe Vatinio, infatti abbiamo la ‘Lex Vatinia', quindi abbiamo un plebiscito che viene fatto approvare dal tribuno della plebe Publio Vatinio e che diventa ‘Lex Vatinia de provinciis Caesaris', sulle province di Cesare. Cesare si era garantito il consolato nel 59, ma adesso doveva pensare al suo futuro e quindi al proconsolato, ed ecco che ci pensava questo tribuno della plebe: per cinque anni Cesare sarebbe stato governatore, quindi proconsole della Gallia Cisalpina, strategicamente importante, ricordate che i proconsoli potevano avere esercito. Poi abbiamo l'Illirico e la Narbonese. Praticamente della Gallia rimane fuori la Comauta. Lezione 28/03. Ci eravamo lasciati con l’instaurazione del cosiddetto primo triumvirato, ossia di questo patto privato a tre teste tra Cesare, Crasso e Pompeo. Tre personalità diametralmente opposte, diverse tra di loro, ma unite dalla volontà di perseguire un fine, un obiettivo, per cui ad un’ostilità di fondo per cui ci troviamo con ottimati e populares insieme (il popularis è Cesare, l’optimates per eccellenza è Pompeo). Queste ostilità vengono annichilite dinanzi ad un accordo che faceva balzare ai loro occhi quanto pericoloso fosse il danno scaturente da un eventuale disaccordo; quindi era meglio stare amici piuttosto che farsi la guerra a vicenda. C’eravamo fermati ieri al 59, anno del consolato di Cesare, che aveva portato Cesare a prendere tutta una serie di iniziative a favore di Pompeo con la distribuzione di terra ai veterani e la ratificazione dell’oriente, della sistemazione dell’Oriente con l'abbassamento del canone di interesse per gli appaltatori asiatici, quindi a favore di Crasso, che aveva lì, in quelle zone, degli interessi di carattere economico e poi avevamo visto la lex proposta dal tribuno della plebe, la Lex Vatinia, che conferiva a Cesare il proconsolato della Gallia per cinque anni. Quindi partiamo dal 58, ossia dall’anno in cui Cesare va ad insediarsi in Gallia: Cesare aveva avuto il proconsolato sull’Illirico, sulla Gallia Narbonese e poi strategicamente importante la Gallia Cisalpina, perché confinava con il Limes stabilito da Silla, ossia il Rubicone (e questo ci tornerà utile). Cesare dunque si trova in quelle parti della Gallia che erano cadute sotto il dominio romano, ma c’era tutta una parte caratterizzata da una serie di tribù che non erano state sottoposte al dominio di Roma, per cui la bravura di Cesare sarà quella di inserirsi nelle contese e nelle rivalità che vi erano tra le varie tribù, l’input per inserirsi in tal senso gli viene dalla tribù degli Edui, che si presenteranno come una tribù filo-romana, quindi pronta a sostenere i romani, e consentiranno a Cesare di riportare tutta una serie di vittorie sulle varie popolazioni. Cesare riuscirà a sconfiggere la tribù degli Elvezi nella battaglia di Bibracte (sono tutti eventi che si possono leggere nel De Bello Gallico scritto direttamente da Cesare forse anno per anno nei sette anni frapposti appunto a combattere in Gallia) e poi sugli Svevi di Ariovisto: quindi le prime tribù ad essere sconfitte sono appunto gli Elvezi e gli Svevi. Ancora in alleanza con gli Edui, si serve di questo elemento locale, riporta una vittoria sui Belgi, la Gallia belgica e dopodichè la vittoria sui Veneti, cioè si sposta all'estremità occidentale, quindi Gallia Belgica, parte abitata dai Veneti. Parte in pratica da Nord, ma ancora avremo degli scontri con queste popolazioni di germani che erano limitanei alla Gallia Belgica, ma vedremo perchè appunto queste guerre, questi scontri dureranno dal 58 praticamente al 52. Intanto cosa viene fuori già da queste prime imprese del 58? La figura di Cesare come di un grande generale che porta vittorie e che identifica la propria grandezza con quella dello Stato romano. Si riconosce quindi nello Stato romano e diventa sempre più una personalità dominatrice. In questo contesto, a Roma, si collocano delle figure particolari che caratterizzeranno gli anni 50 (siamo negli anni 50 del I secolo a.C.) come, ad esempio, il tribuno Publio Clodio Pulcro che emanerà quella famosa legge che è la Lex de exilio Ciceronis: Cicerone si era macchiato della colpa di aver condannato a morte i catilinari con l’accusa di perduellio senza ricorrere alla provocatio ad popolum. Quindi abbiamo la condanna di Cicerone all’esilio: viene esiliato non solo Cicerone, ma chiunque avesse condannato a morte un cittadino romano senza ricorrere al popolo, ai comizi centuriati. Quindi nel 58 abbiamo la Lex de exilio, ma Pompeo, di cui Cicerone era stato e continuava ad essere praticamente un fautore, fa richiamare Cicerone dall’esilio, e lo stesso Cesare è d’accordo. Cesare aveva pure avanzato le sue perplessità su una condanna a morte senza processo (infatti i catilinari erano stati imprigionati e poi uccisi, senza un regolare processo), ma comunque è d’accordo a far rientrare Cicerone. Politicamente questa mossa di Pompeo è una mossa a favore della fazione ottimate che darà subito in cambio a Pompeo un ruolo importante che è quello della cura annonae: Pompeo diventa cioè il responsabile dell'approvvigionamento della città di Roma che proprio nell’estate del 57 aveva conosciuto un periodo di carestia. Nelle grandi città del mondo antico, nelle metropoli, quindi non soltanto a Roma, spesso vi erano queste carestie. Bastava un raccolto andato male o una stagione non propizia per il raccolto che non era facile reggere facilmente la massa urbana che si trovava a Roma. Pensiamo alla stessa pratica delle frumentazioni, ben presto non basterà la sola Sicilia come granaio e quindi Roma avrà bisogno di guardare oltre. Chiaramente Cesare coglie questo avvicinamento di Pompeo alla fazione ottimate, è in Gallia ma è sempre vigile, osserva, è consapevole dei successi che sta riportando, ma è anche consapevole che Pompeo è rimasto a Roma e continua a giocarsi la partita politica in loco. Crasso è preso più dai suoi commerci, dai suoi traffici, è meno interessato, ed è per questo che si sente l’esigenza di rafforzare questo patto privato. Non c’era nulla di scritto, quindi diciamo che piuttosto che scindersi cercano di cementare ancora di più la loro alleanza incontrandosi a Lucca. Il primo triumvirato, chiamato così impropriamente, nel 60, mentre nel 56 si ha un nuovo incontro tra i tre uomini più potenti del I secolo a.C. Qual era l’urgenza? Quella di ostacolare l’ascesa al consolato di un esponente dell’aristocrazia ottimate, che era Domizio Enobarbo. Allora per provare quanto Pompeo si fosse avvicinato alla fazione ottimate, Cesare e Crasso gli propongono la candidatura insieme a Crasso (Cesare era proconsole quindi non poteva) al consolato, e Pompeo accetta. Quindi questo legame con la fazione ottimate non era irreversibile, cioè era più forte il legame con gli altri due triumviri, e perciò praticamente Crasso e Pompeo si presentano alle elezioni per l’anno 55 e le vincono, ma non senza ricorrere all’intimidazione. La caratteristica di questi anni è il ricorso a bande militari che venivano assoldate ed utilizzate soprattutto nella campagna elettorale. Quindi riportano questa vittoria e nel 55 a.C. mentre Cesare è in Gallia, Pompeo e Crasso sono consoli. Così come aveva fatto Cesare nel 59 questa volta tocca a Pompeo e Crasso emanare delle leggi a favore di Cesare ma anche di sè stessi, quindi si reitera la prassi del 60. • Abbiamo in primis Cesare che viene accontentato subito con la LEX LICINIA-POMPEIA (perchè Licinio Crasso è Pompeo) de provincia Cai Iulii Cesaris: è una legge sulla provincia di Giulio Cesare. Il proconsolato che solitamente aveva valore annuale, per un massimo di tre anni (in questo caso era stato per la prima volta di cinque anni), adesso viene confermato per altri cinque anni (siamo nel 55, quindi con questa legge a Cesare viene prolungato questo proconsolato per altri cinque anni). • Per quanto riguarda invece il futuro politico di Pompeo e di Crasso, consoli attualmente, viene garantito il proconsolato (quando parliamo di proconsolato pensiamo sempre alla carica di governatore provinciale) e quindi Crasso visti i suoi interessi in Oriente (interessi di carattere economico-finanziario), viene mandato nella provincia di Siria. • Mentre a Pompeo invece vengono conferite le Spagne: la penisola iberica era stata provincializzata soltanto nella costa e divisa in due province. In realtà però Pompeo, che era console attualmente, diventava così proconsole, ma allo stesso tempo era stato insignito nel 57 della cura annonae (quindi doveva provvedere all’approvvigionamento di Roma), carica che richiedeva la sua presenza a Roma, per cui gli viene concessa la possibilità di governare le Gallie attraverso dei rappresentati. Quindi Pompeo nonostante sia proconsole delle Gallie, se ne sta a Roma e cura le sue clientele, cura l’annonae, ma anche le sue fazioni politiche, mentre in Gallia manda dei delegati, cioè delle persone che per lui fanno da governatore in queste province. Si può capire come effettivamente si creano delle situazioni anomale e particolari che vanno contro quello che era lo statuto della res pubblica, ecco perché si parla di crisi, perché tutto è in trasformazione e viene cambiato in base alle esigenze ad personam in pratica (così come le leggi sono ad personam). Con questi provvedimenti del (55) dal (56) sia Cesare che Pompeo e Crasso sarebbero stati proconsoli→ tutti e tre i triumviri sarebbero stati in possesso di legioni, ed ecco che cominciano a provocare tensioni e paure presso l’aristocrazia optimate perchè si presentano come war lords quindi come “signori della guerra” → in quanto potevano effettivamente disporre nelle loro provincie delle legioni. Non potevano entrare a Roma in armi, però dopo la marcia di Silla e i vari tentativi intimidatori dello stesso Pompeo, l’aristocrazia optimate si accorge che stavolta sono in tre che potrebbero minacciare la città, quindi a Roma si cominciano a nutrire effettivamente paure. Cesare in Gallia. Cesare inizialmente si concentra su tribù che si trovano a Limes, tra la Gallia e la Germania e sono: Tencteri e Usipeti, in particolare la zona in cui vengono sconfitti corrisponde all’attuale Olanda. Poi abbiamo dei tentativi di sbarco in Britannia. Per ben due volte Cesare cerca di conquistare questa terra: la prima volta (55) sbarca con due legioni, ma trova una forte resistenza da parte delle tribù locali; l’anno successivo (54) si ha il secondo sbarco, questa volta con cinque legioni, però Cesare è comunque costretto a tornare in Gallia in quanto scoppia una rivolta delle tribù che vede questa volta la partecipazione anche dei sacerdoti della religione locale, appunto perchè la Britannia veniva considerata quasi una terra sacra, quindi non condividevano questi tentativi di espansione oltre la manica di Giulio Cesare. La Britannia rimarrà una zona esterna, per averne l’annessione all’impero Romano bisognerà aspettare l'imperatore Claudio. Nel (52) arrivati alla fine del proconsolato di Cesare in Gallia, ecco che spicca la figura del capo arverno Vercingetorige che diventa “l’eroe nazionale” degli Arverni, anche se, fino a questo momento, Vercingetorige aveva combattuto a fianco di Giulio Cesare. Così come gli Edui, anche lui aveva collaborato con Giulio Cesare perchè si aspettava che gli conferisse il titolo di Rex delle varie tribù, cosa che da Cesare non arriva, per cui si stacca e passa al contrattacco (avendo militato a favore dei Romani, aveva capito tutte le varie tattiche quindi sarà effettivamente un nemico difficile da gestire, anche perché riesce a tirare dalla sua parte anche gli Edui). Abbiamo due parti, prima si colloca a Georgovia, dove si rinchiude aspettando l’aiuto degli Edui; dopodiché passa ad Alesia ed è qui che la resistenza degli Alberni sarà molto dura (discorso de bello Gallico→ Critognato invita i Galli a non arrendersi). Ci troviamo in una fase dove cominciano a mancare anche i viveri → la voglia di resistere è dimostrata anche dall’invito a nutrirsi delle carni di coloro che purtroppo non potevano più combattere (episodio di cannibalismo pur di non lasciarsi prendere da Giulio Cesare). Alla fine, sebbene abbiano combattuto e resistito strenuamente, Giulio Cesare riuscirà a prendere Alesia (da qui la famosa espressione: “Alea iacta est”, il dado è tratto). Morte Crasso Intanto nel 53 a. C. uno dei tre triumviri muore. Il primo a scomparire dalla scena è Crasso che, mentre si trovava in Siria, fa la mossa fallimentare di intromettersi nelle contese dinastiche che c’erano nel regno dei Parti. Con Pompeo si era avuto il primo trattato diplomatico con i Parti, poiché nel momento in cui lui si spinse fino all’Armenia era giunto fino al confine con questo grande impero. Crasso perciò cerca di andare oltre ed il risultato è che verrà sconfitto dagli uomini di Surena e dalla loro cavalleria catafratta che sbaraglia l’esercito romano nel deserto. Con la morte di Crasso nasce la contesa partica: i Parti riescono a catturare le aquile di sette legioni (simbolo dell’identità romana e dell’appartenenza alla legione in seguito alla riforma di Caio Mario) che tenteranno di essere recuperate da Cesare. A questo punto sulla scena politica rimangono soltanto Cesare e Pompeo, quindi due individui “ossimorici”: un principalis e un optimate, perciò due personalità completamente diverse. Ad iniziare ad allontanare i due sarà la morte per parto di Giulia (figlia di Cesare che era stata data in sposa a Pompeo per cementare il loro rapporto). Pompeo rifiuta la nuova proposta matrimoniale fattagli da Cesare (la politica matrimoniale era fondamentale negli assetti politici), ma addirittura sposa una Cornelia-Metella, una donna che apparteneva all’aristocrazia optimate, figlia di un leader aristocratico Quinto Cecilio Metello Pio Scipione. Questa mossa viene vista da Giulio Cesare come prova di questo avvicinamento alla fazione conservatrice di cui lui già temeva prima degli accordi di Lucca (l’incontro si era tenuto proprio al fine di vedere come Pompeo si sarebbe comportato nei confronti di Domizio Enobardo, esponente dell’aristocrazia optimate). Quindi avevamo fatto un passo indietro nel 53, adesso nel 54, ma con il nostro corso storico eravamo arrivati al 52: Cesare in Gallia vince ad Alesia, quindi riesce a vincere su Vercingetorige, mentre a Roma sono anni di anarchia totale. Ed ecco che ritroviamo Clodio e Milone che combattono tra di loro per le vie di Roma con queste bande paramilitari. Addirittura ci sono situazioni di pericolo e tensione tale che anche i comizi (quindi le assemblee) devono essere posticipate e vengono sciolte anche le corporazioni, proprio perché le corporazioni di mestieri erano diventate faziose; quindi era veramente un clima che vede la morte di Clodio in uno scontro contro Milone. Pompeo console unico: guerra civile tra Cesare e Pompeo. In questo contesto di grande tensione e di grande disordine (che sarebbe forse stato ideale per un senatus consultum ultimum), abbiamo il ricorso ad una formula particolare di consolato: Pompeo, che tra l'altro era stato console nel 55, nel 52, quindi soltanto tre anni dopo (niente rispetto del decennio tra le due cariche) viene praticamente fatto consul sine collega. I consoli dovevano essere due, situazione del tutto eccezionale è quella di Pompeo che viene fatto console dopo tre anni del consolato del 55 e per di più da solo, senza collega, e attenzione, mentre contemporaneamente era proconsole in Spagna. Quindi abbiamo un accumulo di cariche in una sola persona ed è in questo contesto che emanerà una lex de vi sulla violenza che c'era in questi anni a Roma. A questo punto chiaramente ormai Cesare a distanza dalla Gallia è uno spettatore attento e si rende conto di questo accumulo di potere di Pompeo, di questa posizione eccezionale (consul sine collega) e comincia ad organizzarsi, a cercare alleanze ma soprattutto cerca di piazzare uomini fidati nelle magistrature. Ed ecco che compare una figura che sarà importantissima nel cammino politico di Giulio Cesare che è Marco Antonio, che ricoprirà la magistratura della questura; e poi Curione che avrebbe sposato la vedova di Clodio, tribuno della plebe. Tutti erano personaggi che ruotavano attorno ai tribuni, quindi erano faziosi perché parteggiavano ora per l'uno, ora per l'altro. Siamo nel 52, quindi 51, perché le cariche che Cesare attribuisce ai suoi uomini vanno dal 52 al 51, dal 51 al 50, e Cesare deve organizzarsi perché presto sarebbe finito il proconsolato. Il suo obiettivo era quello di ritornare al consolato, che Cesare aveva ricoperto nel 59, quindi anche in questo caso bisognava aspettare un decennio se si rispettava la legge fissata da Silla durante la sua dittatura. Il proconsolato di Cesare era stato rinnovato negli accordi di Lucca, quindi dal 55. Per presentare però la sua candidatura al consolato, non poteva venire da proconsole nell'Urbe perché non si poteva attraversare il pomerium armati. Il proconsole poteva avere le legioni al suo seguito, quindi potete immaginare questo aspetto come il fatto che fosse dotato che poi non erano legati al loro generale. Diciamo che Cesare sarà abile nell'inventarsi una nuova strategia che blocca Pompeo, nonostante fosse dotato di cavalleria e di arcieri. Cesare praticamente crea una nuova linea: dalla terza linea sottrae delle coorti per ricavarne un'altra linea, che chiaramente era nuova con uno schieramento sconosciuto a Pompeo stesso; insomma, ci troviamo dinanzi ad una guerra civile, non si vengono a scontrare romani contro stranieri, ma cives contro cives. E’ chiaro che Pompeo conosceva bene com'era, come funzionavano le legioni romane per cui, quando si trova questa nuova linea, rimane spiazzato e alla fine dello scontro decisivo che si ha il 9 agosto del 48 a Farsalo, Cesare riporterà un migliaio di morti, mentre le fonti a proposito di Pompeo oscillano tra i 6000 e i 15.000. Resta il fatto che Pompeo viene sconfitto e, ancora una volta, si dà alla fuga; peccato che questa volta, va ad Alessandria d'Egitto dove subisce una fine di cui lo stesso Cesare cercherà di vendicarsi: era comunque un cittadino romano nonché suo ex genero quindi di colui, che per una certa fase, era stato anche suo parente. Quindi Pompeo cerca rifugio ad Alessandria d'Egitto ma viene tradito da Tolomeo XIII, e viene assassinato; quindi, diciamo che Cesare parte alla volta di Alessandria con l'obiettivo di vendicare la morte di Pompeo, che pur sempre era un cittadino romano. Cosa faranno gli ottimati, sostenitori di Pompeo? Si rifugeranno in Numidia, stato che i romani avevano sempre protetto ed in cui adesso c'era Giuba I. La Numidia di Giuba I diventa la sede logistica degli Ottimati dei Pompeiani, Cesare rimane in Egitto più del tempo, si trattenne dal 48 al 47 perché interviene nelle contese dinastiche che scoppiano tra Tolomeo tredicesimo, colui che aveva fatto uccidere Pompeo, e la sorella Cleopatra VII che riesce ad irretire lo stesso Giulio Cesare che gli darà anche un figlio ovvero Cesarione. Dal momento in cui Cesare cerca di dirimere le contese tra fratelli, assegnando a Cleopatra la reggenza del trono, l'Egitto diventa una sorta di protettorato umano. Quindi l'Egitto, di cui finora non avevamo parlato, che nelle nostre cartine rimaneva sempre al di fuori, incomincia ad entrare nell'orbita romana e ci prepariamo all'annessione che avverrà a conclusione di un'ennesima guerra civile sempre nel primo secolo I a.C. Quindi nell’autunno del 48 (sono anni fittissimi, una storia fatta giorno per giorno) Cesare che era console con Servilio Isaurico, proprio da lui viene nominato dictator rei gerendae: l’obiettivo era quello di governare la Res Publica, e intanto ecco Marco Antonio, uomo di fiducia che era stato questore e tribuno della plebe viene designato come suo magister equitum, il dittatore aveva questa figura ma questo è un magister equitum particolare cioè preposto all’Italia. Significa che aveva competenze di dittatore, era una sorta di supplente del dittatore nella zona della penisola italica perché per Cesare si profilava un periodo che lo avrebbe portato lontano a combattere contro i Pompeiani. Mentre Cesare combatteva Marco Antonio, fermo in Italia, avrebbe fatto le veci del dittatore. È la prima volta che compare, è una continua innovazione, solitamente il magister militum era subordinato al dittatore mentre questa volta è una sorta di supplente rispettivamente alla penisola italica. Cesare poi continuerà la sua marcia in Egitto, come abbiamo visto nella cartina pretendente, da Alessandria procederà a Nord e andrà a combattere contro il figlio di Mitridate, Farnace, quindi questi re del ponto non si rassegnavano e abbiamo il famoso “Veni, vidi, vici !” nella battaglia di Zela del 47 in cui Cesare vince contro Farnace. Dopodiché lo vedremo a Tapso in Africa, e dicevamo che i Pompeiani si erano stanziati in Numidia, cioè nel regno di Giuba ed ecco che qui Giulio Cesare riuscirà a sconfiggere i Pompeiani e abbiamo qui il famoso sudicio di Catone Uticense (utilizzato da Dante nel purgatorio a simbolo di colui che difende la libertas). Infine nel 45 la vittoria di Munda, nella penisola iberica. Quindi dal 48 al 45 sono interi anni che Cesare dedica a sbaragliare i Pompeiani, così come era successo per le sacche mariane che vengono sbaragliate da Pompeo, questa volta il compito toccò a Cesare (E’ Cesare che deve sbaragliare tutti i pompeiani). In questo momento quindi era necessario che qualcuno rimanesse in Italia e rimane Marco Antonio come magister equitum. Il Bellum Africum in realtà non è altro che la sconfitta dei Pompeiani, adesso si aggiunge un altro pezzetto di Africa, la provincia di Africa Nova. Se prima la Numidia era una sorta di Stato-cliente adesso Giuba si era presentato un traditore perché aveva accolto i Pompeiani e quindi la Numidia viene inglobata in questa provincia di Africa Nova. Già avevamo l’Africa dopo la sconfitta di Cartagine e adesso abbiamo quella di Africa Nova. CESARE DITTATORE PERPETUO. Con la vittoria a Munda sono anni che Cesare continua a dimostrare le sue doti di generale ma come scrisse Syme che pubblica The Roman Revolution (1939) “Vinse la guerra (quella civile contro Pompeo) ma non ebbe una politica della pace”. A partire dal 46 Cesare infatti aveva sconfitto tutti, aveva ricevuto una prima dittatura per indire comizi, una seconda dittatura nel 48 Rei Gerendae e nel 46 dopo la vittoria di Munda, in Spagna, gli viene conferita la dittatura Rei Publicae Costituende, per riorganizzare lo Stato, per 10 anni. Questa volta cambia il magister equitum che adesso è Marco Emilio Lepido, un altro uomo di fiducia di Cesare. Siamo nella massima fase del potere di questo generale, tant’è che Plutarco nella vita di Cesare ci dice che era in una condizione di invidia di se stesso, i successi conseguiti non frenavano la sua ambizione. Viveva male, era sempre inquieto, voleva sempre di più. Questo è un po’ il ritratto dei grandi personaggi che spesso incappano nella Hybris, la tracotanza, per questa incapacità di accontentarsi. Del resto, una volta riportate tutte quelle vittorie abbiamo una serie di onori per cui lo stesso senato sembra quasi “addomesticato”. Uno storico francese afferma che era come se il senato si fosse davvero rassegnato ad accettare Cesare. Abbiamo il titolo di imperator (non però nell’accezione di O. Augusto), il titolo di Parens Patriae, Liberatore, avrà il primo posto in senato, avrà il trionfo con i cavalli bianchi, tipico dei generali vittoriosi ma i cavalli bianchi ci portano in una dimensione quasi trascendente, gli viene dedicato un tempio della libertà. Poi gli viene dedicata una statua con la scritta “Dio invincibile”, sono cose pericolosissime di cui egli stesso si rende conto. Un mortale non poteva essere un dio, si poteva diventare divi e Cesare lo diventerà, ma Post Mortem. Dopo la battaglia di Tapso ha avuto la dittatura decennale che abbiamo visto, ed egli stesso poteva scegliere i magistrati. Dopo Munda (45) questi poteri si amplificano per cui ottiene la censura, come aveva fatto già Silla che aveva avocato a sé i poteri dei censori; ma la cosa che bisogna comprendere è che il carattere eccezionale è l’insieme di tutti questi onori dati alla stessa persona. C’era stato un tentativo con Pompeo ma Cesare ha un elenco enorme di titoli. Addirittura ottiene la Tribunicia Potestitas e la Sacrosanctitas, questo ci fa capire che ci stiamo avviando verso un nuovo regime, il principato. Sono poteri che troveremo in Ottaviano Augusto. Vengono addirittura creati dei sacerdoti a lui preposti, e sono tutti onori che gli vengono conferiti, che non dipendono dalla sua volontà, mentre dalla sua volontà dipendono tutte queste misure: 1. Aumenta il numero dei senatori, si arriva a 900, aumenta il numero dei questori (da 20 a 40), i pretori da 8 a 16, riprende l’ordinamento sillano aumentando le misure e da 4 a 6 gli edili. 2. Per quanto riguarda le giurie dei tribunali che ieri avevamo visto divise tra senatori cavalieri e tribuni aerarii: fa scomparire i tribuni aerarii quindi abbiamo soltanto senatori e cavalieri. 3. Poi abbiamo delle leggi suntuarie per porre il freno al lusso, un po' quest' ambizione per la seta, per la porpora e coi collegi che erano diventati cursoriamente delle cellule effettivamente incontrollabili dove si creavano queste bande paramilitari, vengono riportate alla loro essenza originale quindi corporazioni di mestieri o corporazioni religiose che risalgono ai tempi di Numa Pompilio. 4. Silla aveva tolto le frumentationes e chiaramente un programma demagogico quale quello di Giulio Cesare che tra l'altro era attento ai ceti più bassi, alle masse, ricordiamoci sempre che è un popularis, non può che ripristinare le frumentationes però attenzione pone un limite, un tetto massimo: 150 mila erano coloro che potevano usufruire quindi ciò comportava un controllo degli aventi diritto. 5. Dopodiché propone la politica tipica dei filo popolari: la colonizzazione, programma che era stato anche di Caio Gracco, distribuzione di terre ai veterani, è chiaro che doveva ricompensare i soldati che avevano combattuto con lui. Vi ricordate che cosa aveva indotto Pompeo ad avvicinarsi a Cesare e a Crasso? Il fatto che il senato non aveva concesso queste terre ai veterani, quindi Cesare nel momento in cui detiene egli stesso il potere non può che ricompensare i suoi uomini. 6. Poi chiaramente si concentra anche sull'aspetto monumentale e urbanistico di Roma e poi pubblica una legge sull'amministrazione dei vari municipi e della stessa Roma. 7. Un aspetto importantissimo e che ci riguarda è la riforma del calendario, quello che vi dicevo quando parlavamo di Marzo, come inizio dell'anno per i romani: è con Giulio Cesare che cambia e che l'anno solare ha inizio come ai nostri giorni a Gennaio e che inizia praticamente il cosiddetto anno bisestile con l'aggiunta di un giorno supplementare ogni quattro anni e questo lo fa servendosi di un astronomo alessandrino Sosigene. Ricordiamoci che Cesare era stato ad Alessandria d'Egitto dove appunto aveva conosciuto Cleopatra e aveva avuto modo di viverci per un anno dal 48 al 47. Quindi si serve di questo astronomo Sosigene per la riforma del calendario civile. Quindi l'anno solare inizia a Gennaio e abbiamo l'introduzione dell'anno bisestile. Il nostro calendario è frutto di Giulio Cesare così come il nostro mese di Luglio, Iulus e pare che questo e così come agosto, agosto da Augustus. Pare che questa sia una moda che Cesare abbia portato dall'Egitto e sia stato ispirato dalla stessa Cleopatra. Il processo di divinizzazione: poteva portare sempre l'abito del trionfatore, un generale dopo aver vinto, aveva diritto al trionfo. Avevamo visto la creazione dei Luperci Iulii, di questi sacerdoti del divo Iulo, la statua che era stata creata, viene introdotta nei templi, nel tempio della Clementia, la Clementia Cesaris che è una virtù che viene personificata e diventa divinità, gli furono decretate delle offerte Lex Isternia e addirittura abbiamo monete con la sua effige. La cosa importante è che egli aveva paura di tutto quanto gli stava capitando, tant'è che a chi lo etichettava Re, diceva di non essere re ma Cesare. Cesare conosceva bene i romani e sapeva che nella tradizione romana non c'erano Re dei tempi di Tarquino il Superbo che era stato cacciato malamente e durante i Lupercalia del 44, questa festa che avveniva presso il Lupercal, presso la grotta dove erano stati allevati Romolo e Remo, abbiamo un gesto pericolosissimo fatto da Marco Antonio. Secondo alcuni Marco Antonio sarebbe stato manipolato dagli ottimati, ma effettivamente sarebbe in questo caso come insultare l'intelligenza di questo grande uomo politico quale Marco Antonio. Cicerone nella seconda Filippica che sono delle orazioni veementi contro Marco Antonio, scrive a proposito di questo avvenimento: “Tu Marco Antonio gli porgevi sul capo il diadema tra i lamenti del popolo”. Ecco il popolo non era per niente contento proprio perché significava tornare indietro di secoli, ma lui lo respingeva per la generale approvazione e quindi il gesto di Cesare di rifiuto viene ben visto. “Non si trovò dunque alcun altro all'infuori di te”, Marco Antonio scellerato, ma Cicerone lo odiava, “che fosse disposto a patrocinare un regime assoluto e ad aver per padrone quello che aveva per collega”, cioè Cicerone ci dice che Marco Antonio è un folle, Cicerone è un pompeiano, un difensore della libertas, quindi non può pensare che un individuo che era stato collega, magister equitum poteva accettare di avere al di sopra un rex, per giunta fece scrivere nei fasti quindi nei calendari alla data dei Lupercali, “a Cesare dittatore perpetuo il console Marco Antonio ha offerto il potere assoluto per volontà del popolo e Cesare non lo ha accettato.” Ecco questo è quanto ci scrive Cicerone, chiaramente in pagine intrise dell'odio che provava per Marco Antonio però effettivamente questo gesto è significativo ed è soprattutto significativo il rifiuto di Cesare perché si rende conto che per i romani l'eccessiva concentrazione di potere era motivo di risentimento ed è proprio questa eccessiva concentrazione di poteri che sta alla base delle Idi di Marzo del 44, giorno fissato per un'assemblea del senato, in cui si sarebbe dovuto parlare di una guerra contro la Persia. Da ricordare che c'erano da recuperare le 8 aquile delle legioni dopo l'uccisione di Crasso, Cesare quindi si aliena e si crea l'ostilità proprio per la posizione verticistica ed inedita, completamente nuova che si era creata. Le Idi di Marzo. Un quadro di Vincenzo Camuccini rappresenta la morte di Cesare che solitamente è collegata a questi 3 personaggi che sono: Marco Giuno Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto, ma in realtà i congiurati erano di più, all'interno della curia ce n'erano 23. Svetonio ci parla di 23 pugnalate perché Trebonio sarebbe rimasto fuori a trattenere Marco Antonio. In realtà da questa seduta del senato nelle Idi di Marzo, l'aruspice Spurinna lo aveva esortato a guardarsi. “Guardati dalla Idi di Marzo”, dicendo che c'erano tutta una serie di presagi funesti e Cesare effettivamente sembrava essersi deciso a spostare il giorno di quest'assemblea senatoria finché i congiurati stessi, egli stesso non sapeva che fossero congiurati, dicono di non prestare fede a queste superstizioni per cui di fatto si reca nella curia. Il progetto che possiamo ricostruire dalla Vita di Cesare di Plutarco, vedete l'obiettivo di Giulio Cesare era quello di conquistare in pratica tutta l'ecumene, di andare quindi oltre quella che era stata l'impresa di Alessandro Magno quindi dai parti ai germani. Col passo di Svetonio vediamo perché si ha questa seduta del senato, questa seduta ha luogo perché si sapeva che Cesare voleva fare questa spedizione in Persia/Partia (a seconda delle dinastie), ma si doveva considerare praticamente che gli oracoli sibillini avessero predetto che appunto a vincere i parti sarebbe stato un re. Quindi Cesare vuole conquistare la Partia, allora visto che gli oracoli sibillini dicono che deve essere un re, prima di partire per la Partia si farà nominare Re ed ecco cosa ci dice Svetonio. “Si diffuse insistentemente la voce che nella prossima seduta del senato cioè quella del 15 Marzo, il qui decemviro Lucio Cotta avrebbe avanzato la proposta che a Cesare venisse conferito il titolo di re, dato che nei sacri libri profetici, gli oracoli sibillini, era scritto che i parti non potevano essere vinti se non da un re. Questo chiaramente fa sì che le preoccupazioni per questo accentramento dei poteri vengono acuite, tanto bene che il 15 Marzo era la festa di Anna Perenna. Anna Perenna era una divinità romana che presiedeva al corso dell'anno. Questa divinità presiedeva il mese di Marzo e il cerimoniale, cioè la festa di questa dea, prevedeva giochi di gladiatori quindi capite bene che ai congiurati veniva semplice procurarsi dei gladiatori, assoldare dei gladiatori ed entrare armati nella curia di Pompeo. Era facile procurarsi le armi in quei giorni e soprattutto assoldare dei gladiatori, lo stesso Decimo Bruto aveva assoldato dei gladiatori e qui abbiamo il passo di Svetonio che ci parla del Tribus et Vigintis plagis, quindi dei 23 colpi, chiaramente rimane un numero ipotetico, non possiamo quantificare quanti avessero infierito sul corpo di Giulio Cesare. Svetonio ci parla di 23 però in realtà potevano essere stati di più o potevano essere stati di meno e pare che Cesare abbia smesso di combattere quando vide che tra coloro che impugnavano appunto i pugnali c'era anche Marco Giunio Bruto e sarebbe uscito con l'espressione “anche tu figlio mio”, c'era un legame particolare e la stessa scena verrà ripresa da Giulio Cesare di Shakespeare che focalizza l'attenzione su questa delusione di Cesare. Nicola di Damasco descrive la scena di Cesare steso sui gradini della curia di Pompeo. “Il morto giaceva ancora là dov'era stato colpito ignominiosamente macchiato del sangue di sé stesso, di un uomo che si era spinto fino all'isola della Britannia, fino all'oceano e che aveva previsto di andare fino al regno dei Parti e degli Indi per riunire in un solo impero tutte le potenze della terra e del mare e ora giaceva là senza che nessuno si prendesse la responsabilità di raccogliere il corpo.” Ci lasciamo col significato di Cesare, Cesare sarà il nome che verrà dato a tutti gli imperatori, gli imperatori saranno cesari perché Cesare indica l'elevazione della persona al di sopra delle altre. Lezione 17/04. IL SECULUM AUGUSTUM. Essendoci lasciati con la morte di Cesare, evento epocale, collocato nel marzo del 44 a. C., oggi voltiamo pagina, avviandoci verso il principato del 27 a. C. Questa parte del corso avrà un taglio diverso, un taglio critico, partendo dalla lettura della storiografia antica. Cominciamo subito con un giudizio dello storico Svetonio, il quale tornerà più volte a figurare in questa prima parte del corso. La definizione che ci dà Svetonio di un periodo particolare che vede connotato da una grande figura: il I secolo a. C. si caratterizzò per l’emergere di queste figure singolari, singole personalità che spiccavano al di sopra della coralità della storia romana. Oggi abbracciamo quello che, “nella vita di Augusto”, Svetonio definisce “SAECULUM AUGUSTUM”. Lo storico antico Svetonio attribuisce a quel periodo che va dalla nascita di Ottaviano Augusto fino alla morte di questo personaggio, un periodo a cavallo tra la fine del I secolo a. C. e l’inizio del I secolo d. C., l’espressione di Saeculum Augustum. Dal 23 Settembre 63 a. C. : nascita Augusto; sino al 19 Agosto 14 d. C : morte Augusto. La definizione svetoniana mette insieme l’età di Cesare con quella propriamente Augustea e ci dà la percezione sul fatto che gli uomini del passato vivevano e avvertivano un cambiamento, venutosi a creare con questa personalità dominante come Ottaviano, dando vita ad una vera e propria rivoluzione. Nella proposta di identificare con la vita di un uomo tutta l’epoca per cui quella vita s’era protratta, si rispecchiò mirabilmente il significato che il mondo romano amava dare alla sua rivoluzione. L’operazione di identificare tutta un’epoca con la vita di un uomo ci dà la percezione che gli antichi avevano di questa personalità come Augusto, che rappresenta l’avvento di una vera e propria rivoluzione. Percorrendo il nostro andamento evenemenziale degli eventi, ritorniamo dove c’eravamo lasciati: le idi di marzo, 15 Marzo del 44 a. C., in cui avvenne l’uccisione di Cesare, vedendo tramite l’analisi di immagini e passi tratti dalle fonti ciò che era stato messo in scena, ossia un vero e proprio ideale di tyrannoktonia , ideale di uccisione di un tiranno. Cesare, avendo accentrando vari poteri durante le sue plurime dittature, sino ad arrivare a quella perpetua, vita natural durante, aveva assorbito dei poteri che gli avevano determinato l’ostilità di gran parte dei senatori e di quei uomini di fiducia quali Bruto. Ripresa qui la famosa espressione: “ tu quoque Brute filii mi”. Dopo la morte di Cesare rimaneva quel mondo che lo stesso aveva creato; nel mondo romano non esistevano i partiti ma c’erano le fazioni come quella di Cesare costituita da senatori di antico lignaggio, da homines novi (ricordiamo Cesare era un populares), da veterani (soldati che avevano combattuto a seguito di Cesare), la plebe urbana, la quale beneficiava delle frumentationes ( a 150.000 individui al massimo previo controllo) e ripristinate dopo il periodo di abolizione da parte di Silla. Privata della figura del leader, questa fatio cesariana trova due rappresentanti: Antonio e Lepido, entrambi accanto a Cesare dittatore, avevano ricoperto la carica di magister equitum, prima l’uno, poi l’altro. Si trattava di uomini fidati di Cesare proprio perché erano stati scelti da Cesare stesso. Situazione politica: nel 44 a. C. troviamo Antonio console insieme a Cesare, il quale copre assieme la dittatura e il consolato. Antonio guida la seduta senatoria del 17 marzo del 44 a. C., due giorni dopo l’uccisione di Cesare, decidendo come comportarsi nei confronti dei cesaricidi, coloro che avevano partecipato alla congiura. La soluzione proposta da Marco Antonio è quella definita con il termine amnestia, per cui Antonio si presenta come un auctor pacis, fautore della pace. Secondo amnestia, bisogna vietare ogni accusa e concedere l’amnistia per l’uccisione, evitando nuove liste di proscrizione e ulteriori spargimenti di sangue, guardando oltre. Bisogna validare gli atti di Cesare, ciò che era da lui stabilito e ciò che Cesare avrebbe fatto, reperendo nelle carte eventuali progetti che lo stesso Antonio avrebbe portato a termine. Si continua secondo ciò che Cesare aveva fatto e secondo ciò che era in procinto di fare se non fosse morto. Morto Cesare e dovendo essere due i consoli, accanto ad Antonio viene designato Publio Cornelio Dolabella, il quale era già stato designato come successore da Cesare nelle sue carte, alla vigilia della congiura, prima di partire nella spedizione partica (era già destinato a sostituire Cesare al consolato dopo la sua partenza per la spedizione partica). La paura di Cesare di questo potere monocratico porta a designare come sostituto Dolabella. Tutto come previsto da Cesare. Ogni anno, oltre ad essere definiti i consoli, venivano definiti i proconsoli da mandare nelle province strategiche. La Gallia Cisalpina, da cui Cesare prende le mosse per varcare il Rubicone, veniva affidata a Decimo Bruto, distintosi durante gli anni di permanenza di Cesare in Gallia, mostrando grande valore; Antonio avrà affidata la Macedonia e La famosa battaglia di Filippi, vede contro Cassio le forze di Marco Antonio e contro Bruto quelle di Ottaviano. Il vero vincitore della battaglia di Filippi è M. Antonio che riesce ad avere la meglio su Cassio, mentre le forze di Ottaviano vengono sconfitte da Bruto. Cassio pensa che anche Bruto e gli altri si siano uccisi e si suicida. Questa sarà la fine di molti cesaricidi che preferiscono suicidarsi anziché farlo fare al nemico. Bruto, venuto a conoscenza della notizia vera del suicidio di Cassio, si uccide dinnanzi ad una mezza sconfitta. Ottavio è un grandissimo stratega ma il vero militare è Agrippa, tanto è che sarà il suo braccio armato. Fatto sta che il vero vincitore sarà M. Antonio. Dopo aver sconfitto i cesaricidi, i triumviri nel 42 a. C. si spartiscono nuovamente le zone di influenza, rinnovando il patto. Antonio manteneva le Gallie ma assumeva anche il controllo dell’Oriente, motivo di grandezza ma anche causa del suo declino politico. A Lepido toccò l’Africa e ad Ottavio le Spagne. Egli ebbe il compito di distribuire le terre ai veterani dell’esercito, in quanto possessore di una milizia privata doveva ricompensare i soldati. Il problema era quello di reperire le terre da distribuire, motivo che porta Ottaviano a guardare all’Umbria, zone di contadini e piccoli proprietari terrieri. Ottaviano procede alla confisca dei beni. Abbiamo sempre parlato di agro pubblico, di terre demaniali, diventate romane dopo conquiste, in questo caso si procede alla confisca. Questo porta al BELLUM PERUSINUM: I contadini si ribellano a queste conquiste e subentrano così due personaggi da noi visti prima: Fulvia, moglie di M. Antonio, dall’aspetto androgino che esercita un vero e proprio potere politico e il cognato, fratello di M. Antonio, Lucio Antonio console in carica. I due prendono le difese dei contadini perugini ma Perugia viene assediata da Agrippa. Ottaviano fu clemente con L. Antonio , mentre Fulvia, facendo ritorno da Antonio, morì in Oriente. In occasione della festa in onore del divus Iulius, vennero sacrificati 300 notabili perugini, senatori o cavalieri, nell’anniversario delle idi di Marzo. Riguardo il Bellum Perusinum, sono interessanti le particolari fonti archeologiche rinvenute: si tratta di “missili” a forma di ghianda, o anepigrafi o con iscrizioni. Questi, ci portano i nomi dei soldati, quelli dei duces, le invettive, le parti del corpo da colpire… Alcune di queste ghiande possono essere considerate delle vere e proprie epigrafi. NUOVI ACCORDI: Ci sono delle tensioni visto lo scontro tra Ottaviano e la moglie di Antonio e il fratello, che porta all’esigenza di accordarsi meglio e rinnovare i rapporti. C’è bisogno sempre di suggellare e cambiare qualcosa. Attraverso la politica matrimoniale, vengono messi a punto i rapporti tra M. Antonio e Ottavio. La moglie di Antonio è ormai morta e Antonio sposa Ottavia, sorella di Ottaviano, in modo da stringere ancor di più i rapporti. L’importanza delle politiche matrimoniali era stata già vista quando, morendo la figlia di Cesare, Pompeo sposa una metella, un’esponente dell’oligarchia senatoria. Antonio diventa padrone d’Oriente e si colloca sempre più in questi territori, mentre Ottaviano sposa Scribonia, imparentata con Sesto Pompeo. Ottavio si colloca in Occidente e Lepido, il terzo triumviro, mantenne l’Africa, avendo un ruolo politico decisamente passivo rispetto ai due uomini di punta, quali Antonio e Ottavio. Nel 40 a.C., con la IV ecloga di Virgilio, (sotto il console A. Pollone) si narra di una nuova genesi del mondo, di una nuova età dell’oro rappresentata dalla nascita di un puer. Probabilmente questo puer si ipotizza sarebbe nato o dall’unione di Ottavio e ScribonIa o dal console Pollone e sua moglie. Gli stessi intellettuali percepiscono il 40 come un anno di serenità; non mancano di certo le letture escatologiche della IV ecloga, tanto che c’è una lettura pagana ma anche una lettura cristiana, soprattutto di epoca medievale, che vede l’avvento del puer come la nascita di Cristo. Marco Antonio, in occasione del matrimonio con Ottavia e del Bellum Perusinum che vede coinvolta la moglie e il fratello, torna in Italia. Nel 39 a. C. si rincontrano M. Antonio e Ottavio, a causa di Sesto Pompeo. Pompeo infestava con le sue navi la vita nel Mediterraneo e i consoli triumviri di riconoscere il potere di S. Pompeo sulle isole a patto che questi togliesse ogni ambizione di conquista in Italia. L’accordo del Miseno del 39 è un tentativo temporaneo, fatto attraverso le promesse di farlo augure e console senza però avere validità certa, se non quello di creare un accordo per agevolare l’amministrazione dell’Occidente da parte di Ottaviano. Nel 38 a. C. abbiamo un altro matrimonio strategico: Ottaviano lascia la moglie Scribonia e madre di sua figlia Giulia, sposata per l’accordo sul Miseno e neutralizzare Sesto Pompeo, e sposa Livia Drusilla. Per certi aspetti, Ottavio si avvicina ai conservatori che erano molto più vicini a M. Antonio. Riesce a neutralizzare definitivamente Pompeo grazie al tradimento dell’ammiraglio dio S. Pompeo, Menodoro, consegnando ad Ottaviano la Sardegna, la Corsica e le 3 legioni e rimane solo ancorato alla Sicilia. Adesso bisognava essere coesi ed unitari, vedendo il rinnovo per altri 5 anni del secondo triumvirato, attraverso l’accordo di Taranto nel 37 a. C., prolungandolo sino al 32 a.C. Ci fu uno scambio di forze tra Ottaviano e Antonio, tanto che Ottavio ricevette 120 navi da guerra da parte di Antonio in cambio di 20.000 soldati legionari, che vengono a lui promessi in ottica della campagna partica, istituita in vista di recuperare le insegne di Crasso. Antonio, stanziandosi in Oriente, si presenta come “erede” di questa spedizione avviata da Cesare. GUERRA CONTRO SESTO POMPEO: aveva perso la Sardegna, la Corsica e rimane in Sicilia. Ancora una volta Agrippa, nei pressi di Milazzo, a Nauloco (c’era stata battaglia di Capo Milazzo durante la guerra Punica), riesce a vincere su Sesto Pompeo e dall’Africa arrivano aiuti grazie a Lepido. La flotta di Pompeo viene distrutta, grazie alla collaborazione dei triumviri, alle 120 navi di Antonio e gli aiuti di Lepido, tanto che Pompeo viene ucciso da un antoniano. La minaccia pompeiana viene completamente evitata. A questa battaglia, si fa risalire l’uso di un nuovo stratagemma militare: l’ harpax, bastone di legno fortificato con del ferro, nelle cui estremità abbiamo due anelli: in uno abbiamo un uncino che andava ad attaccarsi alla nave nemica, nell’altro nella parte posteriore erano legate diverse funi. Secondo lo storico Appiano, Agrippa avrebbe usato per la prima volta questa invenzione, ossia un legno di 5 cubiti (2 metri circa) rinforzato con del ferro intorno e con due anelli alle estremità, uno reggeva l’harpax, quasi come un uncino, l’altro reggeva parecchie funi che tiravano l’harpax dopo che con lancio di catapulta aveva afferrato la nave avversaria; una sorta di catapulta. Sconfitto S. Pompeo, Lepido che aveva partecipato con le sue forze, collaborando con Agrippa, voleva un riconoscimento consistente nel possesso della Sicilia, cosa che ovviamente non sarà accettata. Lepido viene abbandonato dai suoi stessi soldati, perde la potestas triumvirale e gli rimane la carica onorifica di pontefice massimo: praticamente esce fuori dalla scena politica. La scena politica del triumvirato non esiste più: nel 36 a. C. il triumvirato rimane composto da due uomini che diventeranno sempre più rivali tra loro: Marco Antonio e Ottaviano. Ottaviano, una volta sconfitto Pompeo ed eliminato Lepido, è unico padrone incontrastato dell’Occidente laddove Antonio lo diventa in Oriente. Ci sarà stato l’ingegno di Ottaviano ma il merito militare è di Agrippa Marco ANTONIO IN ORIENTE. Impone pesanti tributi alla provincia d’Asia, luogo in cui si era rifugiato Cassio, infatti la provincia d’Asia viene accusata di aver aiutato e convenzionato i cesaricidi, quindi gli vengono appesantiti i tributi. Si crea poi un’alleanza con i principi orientali e ne sarà beneficiario, in futuro, l’imperatore Caligola, imparentato con M. Antonio, mossa importante per la diplomazia e gli affari esteri del popolo romano. Una cosa fondamentale è la sua permanenza in Egitto: prima potenza alleata di M. Antonio. Come Cesare, anche Antonio avrà dei figli con Cleopatra, Alessandro Helios, Cleopatra Selene; questo non farà altro che peggiorare la sua figura politica agli occhi dei Romani. L’obiettivo di M. Antonio in Oriente è la guerra contro i Parti, per recuperare le insegne delle legioni romane sottratte a Crasso. In vari momenti Antonio è costretto a tornare in Italia viste le guerre, i reiterati rinnovi del triumvirato, i matrimoni attraverso i vari accordi. (nel 40- 38-37 a. C. M. Antonio torna in Italia) La campagna partica inizia di fatto nel 36 a. C. : invadendo l’Armenia invade la parte nord ma visto che è in arrivo l’inverno si blocca tutto. Nel 35 a. C. si ha la goccia che fa traboccare il vaso dell’alleanza: Ottaviano consegna attraverso la sorella Ottavia (nonché moglie di M. Antonio) solo 2.000 legionari, anziché i 20.000 che aveva promesso a M. Antonio. Antonio va su tutte le furie e rimanda tutto indietro, i legionari e la sorella compresa. Ottaviano fa l’offeso per l’oltraggio alla sorella, Antonio fa l’offeso per i legionari. Nel 34 a. C., Antonio riesce a conquistare l’Armenia e celebra la sua vittoria in Egitto (altro errore politico), confermando sul trono Cleopatra e Tolemeo Cesare, figlio avuto da Cleopatra con Cesare. A questo punto Antonio ha conquistato l’Armenia. (errore Antonio: festeggiare il successo della campagna partica in Egitto e non in patria!) Il senato cerca di ratificare le decisioni di Antonio ma Ottaviano pone il veto. Ottaviano decide di tirare in ballo un falso testamento in cui Antonio avrebbe scritto di voler essere sepolto in Egitto, con Cleopatra ad Alessandria. Questa è la propaganda orientale contro M. Antonio, che tanta fortuna avrà a Roma. Ottavio presenta Antonio come un personaggio interessato più all’Oriente che a Roma, che ha avuto figli con Cleopatra, che addirittura vuole essere sepolto in Oriente. Di fronte a questa notizia Antonio viene privato di tutti i poteri triumvirali, facendo rimanere Ottaviano come unico detentore dell’imperium che si presenta come difensore dell’Occidente contro lo stesso Antonio che appariva sempre di più come un despota orientale. Altra strategia molto furba di Ottaviano: dichiara guerra a Cleopatra non ad Antonio, perché se avesse dichiarato guerra ad Antonio sarebbe stato come dichiarare una guerra civile. Cleopatra è egiziana e la guerra di Ottaviano si configura come bellum iustum, una guerra giusta da intraprendere col fine di preservare il valore della res publica romana da queste mire orientaleggianti di Antonio. Si consolida così la posizione di preminenza di Ottaviano, tanto che riceve la sacrosanctitas (prerogativa dei tribuni della plebe) diventando sacro ed inviolabile; nel 33 a. C. ricopre il consolato e nel 32 a. C. ottiene la coniuratio totius Italiae, la fedeltà totale di tutta l’Italia, che gli permetteva di mantenere i poteri anche dopo la scadenza del triumvirato del 32 a. C. Ed è nel 31 a.C. come triumviro affronterà la Battaglia di AZIO: Presso il golfo di Ambracia, sulle coste dell’Epiro, si consumerà una battaglia navale. All’arrivo della flotta di Ottaviano, tanto la flotta di Cleopatra tanto quella di M. Antonio fuggono e si rifugiano in Egitto. Questo caso della battaglia di Azio è molto strano, tanto che gli storici hanno ipotizzato che, dietro questi eventi, ci fosse una trattativa a monte, tra Ottaviano e Cleopatra, per spiegare la diserzione e la fuga delle truppe egizie. Ottaviano entra in Egitto e nel frattempo corre voce che Cleopatra si sia uccisa. Alla notizia, M. Antonio decide di suicidarsi. Potrebbe anche darsi che Cleopatra finse di far circolare la notizia della sua morte e, ad oggi, né è ancora stata trovata la sua tomba né si conoscono le modalità della sua morte. Il passo di Plutarco parla di un aspide con cui si sarebbe fatta pungere Cleopatra, per cui sono stati trovati sul braccio della stessa due segni provocati da un morso di questa vipera. Questa versione farebbe pensare ad un aspide introdotto in una cesta di fichi, un’altra di averle messo uno spillone con del veleno. In un passo di Cassio Dione, pare che Ottaviano avesse detto a Cleopatra di consentirle tutto ciò che voleva, a patto che se ne andasse. È probabile che, a patto della salvezza, Cleopatra si sarebbe allontanata da Antonio. Non sappiamo neppure se Cleopatra fosse veramente morta con certezza durante questi eventi, sappiamo solo che la voce che Cleopatra morì arrivò ad Antonio e che, dopo aver appreso ciò, lui si suicidò. Il figlio di Cleopatra avuto con Cesare viene ucciso e l’Egitto diventa provincia romana. Provincia romana particolare perché aveva una tradizione in cui il monarca era anche divinità; era una terra di faraoni e termina qui la tradizione dei faraoni, dei monarca religiosi egiziani. Adesso, non bastava portare in questo regno un solo governatore ma l’Egitto diventa una provincia imperiale , possedimento personale dell’imperatore governato da un prefetto di rango equestre. Necessità di concepire un ordinamento provinciale che tenesse conto delle due culture presenti in Egitto: egizia e ellenistica…non bastava stanziare 3 legioni e dare un magistrato alla maniera delle altre province. Bisognava concedere agli egiziani dal punto di vista costituzionale qualcosa che li compensasse della perdita del loro monarca-dio. Così l’Egitto riceveva un’amministrazione direttamente ordinata dall’imperator, ed Ottaviano lo affidava ad un funzionario di rango equestre: il praefectus Alexandrae et Aegypti, mediante una lex data. Lezione 18/04. Il passaggio al principato. La lezione precedente si conclude con i versi del Carme I di Orazio legati alla sconfitta di Cleopatra contro cui Ottaviano aveva dichiarato guerra, (guerra che in realtà sappiamo essere rivolta contro Marco Antonio) vinta senza grandi difficoltà da Agrippa, per decisione di Ottaviano, grazie alla fuga delle navi della flotta egiziana. Il giallo che riguarda la morte di Cleopatra e la provincializzazione dell’Egitto (nel 30 a.C) che data la sua storia diventa più che una rivincita, un possedimento dell’imperatore (che ancora non è tale). Ottaviano non è ancora imperatore ma gli erano stati conferiti i poteri tripolizi anche dopo il 32 a.C, dopo la scadenza del II Triumvirato, che era già stato prorogato nel momento in cui Ottaviano aveva fatto passare Marco Antonio come una sorta di ossis publicus (avrebbe lasciato un testamento che ne voleva la sepoltura in Oriente) accelerando così l’ascesa della coniuratio totius Itaaliae (giuramento di fedeltà ad Ottaviano). Ritornato in Italia, Ottaviano inizia ad accumulare tutta una serie titoli e cariche che lo stesso Svetonio definirà come nuove, create proprio ad hoc per definire questa nuova forma di potere. Nel 28 a.C (due anni dopo l’annessione dell’Egitto) Ottaviano viene nominato princeps senatus (il primo all’interno dell’assemblea senatoria, il membro più eminente del senato), ma da lì a breve sarebbe diventato (nel 27 a.C.) princeps (titolo utilizzato soprattutto nella prima fase dell’impero rispetto al titolo di imperatur, quello che la storiografia definisce Alto Impero) operando in ogni campo rispetto a tutti, non solo rispetto al contesto senatorio. Questo avviene durante la seduta del senato del 13 gennaio del 27 a.C, in cui Ottaviano procede ad una prassi, che sarà poi reiterata da altri imperatori, restituendo quei poteri particolari (l’esempio di Pompeo). Nel momento in cui finisce l’era della guerra civile e viene restaurata quella della pace, Ottaviano procede con questo atto (secondo alcuni studiosi sarebbe meramente formale) di restituzione dei suoi poteri eccezionali, la res publica (vale a dire lo stato) all’arbitrio del Senato e del popolo romano. Quella creata da Ottaviano Augusto è una vera e propria rivoluzione ammantata nei panni della restaurazione, i romani non dovevano assolutamente percepire che qualcosa stesse mutando, proprio per questo motivo Ottaviano, che è una singola persona, restituisce il potere al senato e nelle mani del popolo romano, in nome della tradizione repubblicana. Ottaviano rinuncia all’imperium (potere eccezionale sull’esercito), al potere di riformare lo stato e ai poteri straordinari sulle province (poteri proconsolari), deponendo così tutti i poteri eccezionali, che gli erano stati affidati in quel lasso di tempo in cui era stato occupato nella guerra civile contro Marco Antonio (anche se di fatto egli muove guerra contro Cleopatra). Ottaviano era stato nuovamente console e aveva ricevuto la potestas delle magistrature ma con più auctoritas (c’è questa grande strategia politica di utilizzare il lessico tradizionale). Il potere di proconsole gli era stato affidato dal senato, per una durata di 10 anni, sulle province che erano state annesse di recente (in cui c’era bisogno di una presenza militare) vale a dire le Gallie, la Siria e le Spagne. Restitutio Republicae: utilizziamo la fonte di prima mano, Res Gestae, in cui Ottaviano ci spiega i momenti che lo hanno portato a diventare Augusto. Poi leggeremo per intero il capitolo 34 che è una summa ideologico-politica di Ottaviano Augusto. “Nel mio VI e VII consolato, (Il consolato viene ricoperto più volte, questo ci indica la crisi della libera res publica.) dopo che ebbi estinto le guerre civili, per universale consenso (per il favore dell’intera collettività, per il consenso dell’ordo senatorius, dell’ordo equester, del popolo e dell’esercito, con il favore di tutte le componenti sociali) ebbi il controllo di tutti gli affari dello stato, trasmisi il governo della repubblica dal mio potere alla libera volontà del senato e del popolo romano” (c’è questa restituzione che avviene nella seduta del 13 gennaio). 16 GENNAIO 27 A.C. OTTAVIANO AUGUSTO PRIMO IMPERATORE. Tre giorni dopo abbiamo il passaggio dalla res publica al principato (16 gennaio del 27 a.C), in cui viene conferito ad Ottaviano il titolo nuovo di Augusto (titolo che circonda la figura di Ottaviano di un’aura di sacralità), colui che accresce e migliora la res publica. Questa sfera sacrale di cui è circondato questo epiteto conferisce un potere particolare ad Ottaviano. Augustus = aggettivo deverbativo che viene dal verbo augeo > augere (accrescere, quindi colui che migliora/accresce la res publica). Ci rimanda alle origini di Roma all’augurium augustum, a quanto fossero attenti i gemelli Romolo e Remo a trarre gli auspici dal volo degli uccelli (Augustum per la creazione e fondazione della città di Roma). Per alcuni l’epiteto da conferire ad Ottaviano sarebbe dovuto essere quello di Romolo (che viene assegnato a Servio Tullio), come simbolo di un secondo fondatore di Roma (lo dice Svetonio nella vita di Augusto). Questo epiteto ci proietta in quella sfera della religio strettamente legata alla politica romana ma anche alla direzione sacrale e quindi al greco sebastos (σεβαστός) colui che è venerabile, che deve essere venerato. In Oriente c’è un’inclinazione particolare, quella di vedere nel monarca una certa sacralità, anche nello stesso Egitto dove c’era un potere di tipo teocratico (faraoni e i Tolomei). Ad Ottaviano vennero concessi, inoltre, una corona civica, formata da foglie d’alloro (riservata a chi in guerra salvava un cittadino romano) e uno scudo d’oro (clipeus virtutis) su cui erano incise le virtù di Ottaviano (la virtus: il valore, la clementia, la iustitias e la pietas). Siamo al capitolo XXXIV delle Res Gestae, che sintetizzano l’assetto istituzionale e costituzionale che veniva messo in vita in quei giorni. Questo è quanto ci dice Ottaviano stesso a proposito della seduta del 16 gennaio del 27 a.C: “Per questo mio merito, con decreto del senato, fui denominato Augusto e la porta della mia casa, per ordine dello stato, fu ornata con rami d’alloro (dato che aveva salvato la vita del popolo romano dalla guerra civile) e con una corona civica affissa alla mia porta e nella curia Giulia fu posto uno scudo d’oro, la cui iscrizione attestava che il senato e il popolo romano me lo donavano, a motivo del mio valore, della mia clemenza, della mia giustizia e della mia pietà” (basta pensare ad Enea e al valore della pietas per il cittadino romano). ❖ il praefectus praetorio: importantissimo. Se traduciamo letteralmente è il prefetto al pretorio, ma si può dire anche prefetto del pretorio. In questo periodo e fino all’imperatore Costantino il prefetto del pretorio è colui che sta a capo dei pretoriani, ossia la guardia del corpo dell’imperatore. Una domanda d’esame potrebbe essere “Che differenza c’è tra il prefetto del pretorio prima di Costantino e dopo Costantino?”; ❖ praefectus annonae: Roma diventava sempre più grande, era soggetta a crisi di approvvigionamento, dunque si viene a creare un prefetto preposto che si occuperà dell’approvvigionamento granario della città; ❖ praefectus vigilum: Roma era una città colma di insulae la cui impalcatura era di legno per cui spesso era soggetta ad incendi. Serviva dunque un corpo di vigili del fuoco e il praefectus vigilum era colui che stava a capo di quelli che oggi chiameremo vigili del fuoco. Essi non spegnevano solo gli incendi, ma vigilavano anche sulle strade di Roma; ❖ praefectus vehiculorum: Roma già dai tempi di Appio Claudio Cieco (dal III sec. a. C.) era dotata di un sistema viario eccezionale. Roma gestiva bene questo sistema dei trasporti e c’erano delle aree di sosta vere e proprie con delle stationes all’interno delle quali c’era la residenza per le bestie da soma e anche la residenza per gli andanti. Tutto questo era gestito dal praefectus vehiculorum; ❖ praefectus Urbi: l’urbs per eccellenza è Roma. È il prefetto preposto al governo di Roma ed è l’unico a non essere di rango equestre. È l’unico ad essere di rango senatorio e tale rimarrà sempre. Tutti i prefetti sono cavalieri e l’unico che non lo è il prefetto Urbi. Quindi questo nuovo ordo equestre ha una sfera di competenza militare e una sfera che riguarda l’amministrazione, l’ordine cittadino, l’ordine interno e soprattutto l’ordine interno della città di Roma dopo gli anni caldi del I sec. a.C. Infatti nel 7 a. C. la città di Roma viene divisa in 14 regiones, anche per meglio distribuire il lavoro tra i vigiles. Il corpo vigilum aveva delle zone, divise a loro volta in 265 vici (quartieri). La città è controllata ed è sicura per i cittadini con questo reticolato di regioni e quartieri. Ogni quartiere aveva preposti i vicomagistri, dei controllori della zona sia per il controllo degli incendi che della sicurezza cittadina. A capo di queste regioni e di questi vici, nell’amministrazione generale di Roma, c’era il praefectus Urbi, che gestiva le sfere politiche, religiose e tutti gli aspetti della sfera cittadina ed era coadiuvato da curatores. Piano monumentale: ci si prende cura non solo di ciò che abbiamo visto finora, ma anche dell’aspetto monumentale di Roma, che stava diventando un impero. Abbiamo la costruzione del famoso Mausoleo in cui bisognava affiggere le Res gestae, vengono creati altri acquedotti, terme, teatri, mercati. Viene creato il Pantheon dedicato ad Agrippa, il Tempio di Marte Ultore, il Forum Augusti, l’Ara pacis e il Tempio per Cesare divinizzato. Roma sotto Augusto diventa una “città di marmo”. AMMINISTRAZIONE DELL’ITALIA→Ci siamo soffermati su Roma ma guardiamo adesso a tutta la penisola italica: tutti gli abitanti dell’Italia sono diventati cittadini romani. L’Italia, così come Roma, per essere meglio gestita venne divisa in 11 regioni, (c’è la forte tendenza a parcellizzare che sarà poi ripresa da Diocleziano che nel IV sec renderà più piccole le unità territoriali per meglio governare) funzionali al censimento delle persone e delle proprietà. Il censimento era fondamentale per stabilire le tasse. ASSETTO PROVINCIALE→Dalla Sicilia, che inizialmente era l’unica provincia romana (nel 227 Livio attesta la presenza del pretore in Sicilia), siamo arrivati, al tempo di Augusto, a circa 25 province romane, dove risiedevano quasi 75milioni di persone. Augusto si comportava come il senato repubblicano: lasciava sul trono i re degli stati che si sottoponevano a Roma, altrimenti faceva del loro stato una provincia. Per quanto riguarda i territori al di fuori delle province, Augusto mantiene la politica degli stati cuscinetto, come con la Mauritania (che stava al confine con la Numidia) e con l’Oriente. Dei rapporti con i sovrani degli stati cuscinetto ne parleremo soprattutto con Caligola. Gli stati cuscinetto aiutavano Roma a gestire la situazione dei limites, dei confini e, laddove diventava difficile gestire una provincia poiché troppo grande, come nel caso della Macedonia, Augusto procede a parcellizzarla (staccando l’Epiro e l’Acaia). Tutto è funzionale al governo delle province, che sono tutte diverse ed eterogenee in base al tempo della loro annessione: alcune sono state formate già da secoli (come la Sicilia), mentre l’Egitto e l’Africa nova sono state fondate dopo. Abbiamo, quindi, una suddivisione in vari gruppi: - le province annesse da più tempo (Sicilia, Sardegna, Corsica > III secolo) sono province senatorie, pacate e tranquille, che vengono affidate a proconsoli o propretori, che vengono scelti/sorteggiati tra i senatori. Li affida a loro perché non hanno bisogno di truppe legionarie stanziate; i senatori erano anche i più ambiziosi e ambivano a un potere di stampo personale per cui vengono messi a capo di queste province che sono già pacificate. - Province imperiali, il cui governatore viene nominato direttamente dal princeps; spetta alla sua oculatezza scegliere dei legati Augustii propretore, in funzione di pretore. Qui abbiamo bisogno di legioni di istanza in quanto ci sono tribù reticenti a essere governate, sono zone non pacifiche, per cui l’imperatore sta attento a scegliere persone di fiducia che agiscono come rappresentanti di Augusto stesso. - Province equestri, assegnate a governatori di rango equestre. Sono aree di scarsa importanza e non esposte a rischi, tanto che troviamo truppe ausiliarie. - L’Egitto è una provincia a parte, un possedimento privato del princeps, gli imperatori possono entrarci solo con l’autorizzazione del princeps. Era una terra ritenuta pericolosa, tra l’altro, avendo come confine la zona sahariana, c’era esigenza di truppe. L’imperatore sceglie un praefectus di rango equestre per governare l’Egitto. RIFORMA DELL’ESERCITO→Questo sistema (di province) richiede ingenti risorse economiche ed anche una riforma dell’esercito. Viene introdotta una nuova tassa, la vicesima hereditatium, una tassa sull’eredità che finiva in una cassa speciale, creata nel 6 d. C. per finanziare l’erario militare. L’esercito continua a essere quello mariano, di professionisti che restavano in carica circa per 20 anni o più. Al solito i veterani andavano ricompensati ma il soldo viene aumentato > 225 denari l’anno. Le flotte più importanti dell’impero, assegnate al comando di prefetti, sono attestate a Miseno e a Ravenna. Augusto riorganizzò l’esercito in 28 legioni che diventano 25 dopo la disfatta a Teutoburgo nel 9 d. C., dove abbiamo la perdita di 3 legioni di Crasso, per un totale di soldati legionari che nel 14 d. C. ammontava a più di 150.000. La legione perfetta a livello teorico era composta da 6.000 uomini divisi in 10 coorti di fanti, formate ciascuna da 100 uomini. A capo di ogni legione c’era un legatus legionis, il quale era coadiuvato dai tribuni militari. Le legioni erano formate esclusivamente da cittadini romani e italici, mentre i peregrini/stranieri costituivano le truppe ausiliari (auxilia), divise in ali e coorti in numero pressoché uguale a quello dei legionari. Per quanto riguarda le truppe ausiliarie, quindi formate da peregrini, erano formate tanto da fanteria quanto da cavalleria e a capo potevano avere anche comandanti locali. Quindi l’esercito era formato da legioni e auxilia: le legioni sono formate da cittadini romani e gli auxilia da straniei/peregrini. GUARDIA PRETORIANA→Guardia del corpo dell’imperatore con a capo il praefectus praetorio, il prefetto al pretorio. Corpo militare d’élite composto da 9 coorti (9.000 uomini), reclutato tra non solo cittadini romani ma anche residenti in Italia. Avevano un trattamento particolare, erano privilegiati poiché avevano condizioni migliori di servizio > stavano di istanza a Roma, nella capitale, mentre un legionario qualunque poteva essere mandato anche nei confini più lontani dell’impero ed avevano anche un soldo più elevato. LEGES IULIAE→ La politica di Augusto è particolarmente attenta ai mores, ai costumi. Augusto infatti aveva la cura morum (aveva anche il potere dei censori) e in virtù di questa emana le 2 leges Iuliae: - la lex Iulia de maritandis ordinibus: si tratta di una politica volta a favorire i legami matrimoniali e la procreazione (sappiamo che a Roma era possibile il ripudio qualora una donna fosse sterile). Alla luce di questa politica volta alla procreazione venivano esclusi dall’asse ereditaria i cittadini (maschi) romani celibi tra i 25 e i 60 anni, era una legge volta a favorire i legami matrimoniali, se rimanevi celibe venivi multato. - la lex Iulia de adulteriis coercendis: per tutelare la sfera della famiglia, era finalizzata a disincentivare gli adulteri, per cui i reati sessuali diventavano crimini pubblici e viene creato un tribunale ad hoc, la quaestio de adulteriis. In generale una politica volta ad incentivare il matrimonio e attenzionare la procreazione: infatti Augusto e poi Costantino saranno i modelli di Mussolini. Mussolini si presenta come un novello augusto. POLITICA ESTERA→La sua è una politica di pace, infatti il tempio di Giano viene chiuso per ben tre volte (nel 29, nel 25 e nel 10 a. C.) poiché segnava la fine delle guerre e inaugura una stagione di pace. Augusto cerca di instaurare rapporti di filìa, di amicizia > ad es. con Erode re di Giudea, con Archelao di Cappadocia, con Polemone del Ponto, con Tigrane di Armenia, tutti regni clienti. Nel 20 a. C. riesce anche a farsi restituire le famose insegne delle tre legioni di Crasso da Fraate IV re dei Parti. In Egitto con il suo rappresentante Cornelio Gallo riesce a concludere un accordo con gli Etiopi (29-27 a. C.), che sconfinavano il limes. I prefetti dell’Egitto saranno importantissimi poiché rappresentano l’imperatore, per cui sono personalità che emergono e che conducono spedizioni importanti in nome di Augusto. Un’altra è quella di Cornelio Balbo che riuscì a sconfiggere la tribù dei Garamanti, che veicolavano i traffici e le merci che provenivano dall’Oriente asiatico, attraversavano il mar Rosso e giungevano in Africa; da lì erano trasportate da queste tribù verso l’Egitto > ciò darà potere a queste tribù. Un’altra zona in cui è impegnato Augusto è la zona danubiana, quindi dell’attuale Austria, della Pannonia, Ungheria, Bulgaria. Lezione 19/04. Ci siamo lasciati con la politica estera del primo imperatore romano, Ottaviano Augusto, che lo vede impegnato su un fronte bellico che non è più quello delle guerre civili ma quello con le popolazioni collocate sul confine, in questo caso il confine occidentale. L’impegno di Augusto è tra il fronte nord, renano e danubiano, e il fronte sud ossia il fronte sahariano. Abbiamo presentato la macchina amministrativa dell’impero ma ci rimane la parte della politica estera perché con questo imperatore abbiamo il ritorno alla pace dopo un secolo di guerre civili. Con la fine delle guerre civili si inaugura un periodo di pace, infatti quando si pensa ad Ottaviano Augusto si pensa a lui come l’imperatore della pace nonostante continuino a sussistere dei problemi di politica interna. Vediamo adesso i problemi con le popolazioni confinanti e il modo in cui Augusto cerca di sedare queste rivolte. Con Augusto possiamo già notare come l’impero si impegni su più fronti: il fronte orientale, il fronte subsahariano e il fronte nord. Nel 20-21 a.C. il prefetto Cornelio Balbo che ci consente di ricordare come l’Egitto fosse una prefettura amministrata da un prefetto e che estese il controllo dell’Africa meridionale e sud occidentale fino ai Garamanti una popolazione che si trova a sud della catena dell’Atlante. Questa popolazione era di fondamentale importanza per il trasporto carovaniero delle merci che provenivano dall’oriente quindi dall’India, ma successivamente anche dalla Cina attraverso il Mar Rosso e il Nilo. Per quanto riguarda l’Africa avevamo visto in precedenza ieri Cornelio Gallo impegnato con gli etiopi. Tra l’altro la presenza romana in Egitto era una novità pertanto anche le tribù sono destabilizzate e questo chiaramente crea delle ribellioni e l’intervento di Roma. Tutto questo avviene sul fronte sud (fronte sariano): prima gli etiopi e poi i garamanti. Mentre per quanto riguarda il fronte Nord ( fronte danubiano e renano)abbiamo visto impegnati i figliastri di Augusto, Tiberio e Druso. Augusto, dopo Scribonia da cui aveva avuto la figlia Giulia, aveva sposato Livia Drusilla Claudia la quale a sua volta era già sposata e aveva avuto dei figli con Tiberio Claudio Nerone che divennero figliastri di Augusto. Questi figliastri conquistano Rezia, Vindelicia e Norico(odierna Austria), la Pannonia(odierna Ungheria) e in seguito la Mesia (odierna Bulgaria). In seguito vediamo Druso impegnato nella rivolta delle tribù germaniche, queste popolazioni sono difficili da controllare proprio perché divise in tribù e, così come era stato per la Gallia Pomata ai tempi di Giulio Cesare, non si trattava di sconfiggere una popolazione ma una miriade di tribù differenti che potevano di volta in volta allearsi e scontrarsi anche tra di loro. Qui abbiamo una famosa battaglia, quella di Teutoburgo che porta alla sconfitta dei romani guidati da Quintilio Varo nella foresta di Teutoburgo, contro la tribù dei germani Cherusci guidata da un certo Arminio. Ci concentriamo su questo nome, su questo capo dei Cherusci. Arminio è la chiave della vittoria dei germani contro i romani, nel senso che era stato capo di un reparto degli auxilia formati da soldati che non erano cittadini romani. Stando all’interno di un reparto che combatteva alla romana, è chiaro che impara a conoscere le strategie dell’esercito romano ed egli stesso addirittura imparò anche delle espressioni latine. Ci fu dunque un processo di acculturazione o assimilazione culturale non solo a livello linguistico ma a livello tattico; ed è questo che spiazzerà i romani a Teutoburgo. Teutoburgo corrisponde all’attuale altura di Karkriese dove sono stati ritrovati dei reperti archeologici che hanno effettivamente consentito di localizzare e di arrivare ad uno schema ci presenta le 3 legioni romani e la fuga che si trasforma in una morte in quanto questi soldati romani sconfitti trovano la palude. Un altro fronte sarà quello spagnolo che vede impegnato sempre l’esercito romano contro delle tribù ( Asturi e Cantabri) nel 23 a.C. Quest’anno è importante perché per la prima volta si percepisce la difficoltà nel gestire il sistema di successione. Poiché Ottaviano Augusto nel corso di queste spedizioni in Spagna, si ammala e si teme effettivamente per la sua successione poiché non aveva figli maschi (ricordiamo la figlia Giulia nata dal matrimonio con Scribonia). Nel 23 si pensa come probabile erede a Marcello il marito della figlia Giulia quindi il genero; il problema è che poi muore anche Marcello e a questo punto si penserà al fedele e grande generale Agrippa. Non abbiamo eredi e dunque non possiamo pensare ad una successione dinastica, siamo in un sistema politico nuovo, ma finché non si presenta la minaccia della morte per Augusto stesso, non si pensa al problema della successione. Qui incomincia una cosa che già abbiamo visto in età repubblicana: ci si concentra sulla scelta di personaggi esterni alla linea di sangue e si inizia a rafforzare questo rapporto mediante il matrimonio, la politica matrimoniale. Si cercherà di fare sempre così lo vedremo nei vari secoli fino al quarto e ancora avanti. Agrippa viene dato in sposo alla figlia Giulia. Nascita della dinastia Giulio Claudia. Strategia dinastica: il tentativo è quello di cercare il successore all’interno della famiglia, la tendenza è quella all’endogamia, in modo da non portare fuori la trasmissione del potere. Quindi Giulia e Agrippa si sposano e avranno due figli che saranno definiti principes pueri che sono: Gaio e Lucio Cesari (cesari indica la carica). Questi due figli vengono adottati da Augusto stesso nel 17 a.C. designandoli così come successori. Agrippa muore nel 12 a.C. lasciando i figli ancora minorenni e quando succede ciò c’è bisogno sempre della figura del tutore che solitamente è la madre, dunque una figura femminile. A questo punto Augusto si rende conto della tenera età dei nipoti e decide di guardare altrove, a Tiberio e Druso, i figli della moglie Livia, che questa aveva avuto dal matrimonio con Tiberio Claudio Nerone. Questo matrimonio è importante perché, nel momento in cui in spedizioni Militari diverse vengono a morire anche i nipoti Lucio Cesare a Marsiglia e gaio Cesare in Licia, Augusto si trova qualcuno da scegliere come suo successore. Così Augusto adotta Tiberio, il figlio della moglie. Da questo momento la dinastia Giulia, a cui appartiene Ottaviano Augusto, si unisce con la dinastia Claudia di Tiberio. Ecco perché parliamo di dinastia Giulio Claudia: perché appunto Ottaviano Augusto era stato adottato da Giulio Cesare che era un Julius e poi adotta Tiberio che appartiene alla gens Claudia. Da gens diventa dinastia proprio per questa tendenza all’endogamia, quindi a scegliere il successore all’interno della famiglia. Il matrimonio con Livia è in questa prospettiva: essa è una donna che comunque aveva già due figli che avevano l’età per governare. Il problema di una mancata successione organizzata sarà il motivo per cui avremo dei periodi di crisi e degli anni di anarchia ed è un problema che ci porteremo per tutta la storia dell’impero romano. Sebbene Augusto avesse pensato di aver risolto il problema, ad un certo punto al principio dinastico cerca di associare una sorta di legittimità istituzionale conferendo a Tiberio dei poteri: imperium proconsolare e poi fa adottare Germanico da Tiberio perché Augusto si rende conto che il principato è carente proprio nel meccanismo della successione, per cui designa un successore che è Tiberio il quale a sua volta deve avere un suo successore, che è Germanico. Germanico era nato da Antonia a sua volta nata da Marco Antonio Ottavia. Quindi, Germanico era legato a questo ramo che discende da Marco Antonio. C’è una strategia dinastica vera e propria, anche perché, Germanico era nato da Antonia ma anche dal fratello di Tiberio. Un altro aspetto importante del principato di Augusto è la politica culturale e la collaborazione tra intellettuali e potere che vede come altro uomo di fiducia, Mecenate, che darà vita al cosiddetto circolo di Mecenate. Mecenate fu con Agrippa l’uomo di cui Ottaviano si fidava maggiormente. Si professava epicureo (aveva avuto come maestri Sirone e Filodemo di Gadara) pur senza osservare di questa filosofia alcun precetto troppo rigidamente; nel 29 avvenne il suo dibattuto ritiro dalla partecipazione attiva agli incarichi politico-amministrativi. Mecenate potè quindi dedicarsi in maniera prevalente a quella che dall’inizio degli anni Trenta del I sec. a.C. divenne la sua occupazione principale: il reclutamento e la promozione dei talenti poetici. In questo circolo i membri si possono effettivamente recuperare da una testimonianza di Orazio in cui ci parla di Plozio Tucca, Vario Rufo, Virgilio che non a caso autore di quel poema epico Eneide in cui eccelle la figura di Enea quanto artefice diciamo degli inizi di Roma ormai capitale dell’Impero. Ci sono una serie di altri intellettuali come Properzio che nonostante non sia ufficialmente riconosciuto come facente parte del circolo, comunque, le sue opere testimoniano una partecipazione emotiva alle imprese di Ottaviano. Chiaramente la definizione di circolo, così come quella di triumvirato è una definizione data dagli studiosi moderni e la definizione in cui ricorreva Mecenate è “far parte del numero degli amici”; quindi chi faceva parte di questo circolo si reputava “nel numero dei suoi amici”. Allora qual è l’accordo tra intellettuale e questo uomo di potere?! Tra Orazio e Mecenate, tra Ovidio e Mecenate? In pratica questi autori, questi grandi nomi della letteratura latina avevano libertà creativa, siamo sotto principato, dove alla base c’è un rapporto di fiducia, di amicizia, di stima, che si traduceva, poi, inevitabilmente, nella celebrazione delle opere di Augusto. Quindi la produzione di questi autori che vissero sotto il principato Augusteo è stata attenta veramente attenti ad una propaganda imperiale. Anche perché, da parte di Mecenate e quindi del potere imperiale, ricevevano tutta una serie di privilegi: la possibilità di dedicarsi esclusivamente alla loro attività intellettuale, potevano studiare senza preoccuparsi di procurarsi dei beni materiali, era tutto incluso. Avevano un pubblico ufficiale a cui riferirsi quindi la diffusione delle opere e di conseguenza il successo erano assicurati, ancora, vi era un ottimo riscontro di carattere economico, di fama, gloria. Si facevano promotori dell’attività dell’imperatore stesso e vi erano delle reciproche aspettative ma non c’era coercizione nel senso che non veniva ordinato loro di scrivere a favore di Ottaviano Augusto: erano le circostanze a renderli simpatizzanti. L’epoca Giulio-Claudia: il principato di Tiberio, 14-37 d.C. Ormai sappiamo che si definisce così nel momento in cui Augusto adotta Tiberio che è un Claudio e si unisce al ramo Giulio. Ne 14 d.C. muore Ottaviano e subentra Tiberio. Ad un mese dal 19 Agosto del 14 d.C., il principato veniva confermato al successore designato Tiberio. Tiberio si presenta come un princeps che insiste molto sulla prassi della Restitutio dei poteri al senato, la luctatio, ossia a differenza di Ottaviano, Tiberio, appartiene a una famiglia di rango senatorio ma secondo le fonti è definito falso in quanto ha il desiderio di presentarsi più come un cittadino uguale agli altri che come un superiore (ce lo dice Velleio Patercolo). Tiberio era desideroso di rendersi utile come aequalis civis piuttosto che come eminens princeps. Quindi, il primo suo atto è quello di restituire alcuni titoli imperiali, e con questi titoli la Res Publica al senato. Su questo gesto di Dopo questa ingerenza nella successione partica, Germanico si sposta in Siria, quest’ultima era una provincia romana e qui si hanno delle discordie politiche con il governatore romano presente che è Pisone. Si parla della presunta congiura di Pisone, non si hanno certezze, però sta di fatto che Germanico è arrivato in Siria nel 19, e nell’autunno dello stesso anno muore in circostanze misteriose. E a questo punto, ecco che giungono i sospetti che la gelosia di Tiberio nei confronti del nipote, che dal punto di vista bellico era diventato più famoso dello zio. I sospetti vengono acuiti dal fatto che Tiberio non prese parte alle cerimonie dell’esequie di Germanico. Tacito sottolinea che Tiberio è rimasto a casa in occasione del lutto per Germanico. Intanto sui fronti galli in questo periodo troviamo delle ribellioni ma in particolare l’Africa, troviamo altre due tribù che sono quelle dei Musulamii e dei Mauri che erano capeggiati da Tacfarinate e comincia a dare quella politica instaurata da Ottaviano Augusto per gli stati cuscinetto in particolare Tolemeo di Mauretania che avrà un ruolo determinante nell’aiutare Roma a sconfiggere la ribellione dei Mauri capeggiati da Tacfarinate. Questo è importante perché Roma poteva contare sull’aiuto di un sovrano del luogo, che conosceva la geografia del territorio e le modalità di combattimento delle tribù. Abbiamo anche l’intervento del prefetto d’Egitto, Publio Cornelio Dolabella. Questo per quanto riguarda la politica estera. Per quanto riguarda invece la politica interna la parola e il termine latino che rende l’idea per la politica di Tiberio è moderatio, cioè un tentativo di rapporti tranquilli con la classe senatoria. Contemperamento tra stato monarchico e dignitas senatoria: tentativo di moderatio. Soprattutto distingue tra gli onori dovuti all’imperatore e quelli dovuti alle divinità. Si pone questo atteggiamento di equalis civilis piuttosto come princeps. Poi è molto attento al reato di lesa maestà e pubblica questa lex maiestatis sollecitando e promuovendo la più spietata applicazione di quest’ultima. Ma soprattutto a Tiberio è legata l’organizzazione delle coorti pretorie (introdotte da Ottaviano), con l’istituzione dei castra pretoria, i 9000 uomini che facevano da guardia del corpo dell’imperatore sotto il comando del reperto del pretore. L’emblema di queste truppe sarà lo scorpione che era il segno zodiacale del mese di nascita di Tiberio e in realtà le guardie pretoriane consideravano Tiberio come il fondatore della loro milizia, di fatto si sentono più legate a Tiberio che ad Augusto. Questo discorso permette di anticipare e presentare quelle figure che saranno molto importanti nel I secolo e non solo: la figura del prefetto al pretorio, era il capo delle coorti pretorie ma allo stesso tempo un uomo molto influente nella politica imperiale. Il prefetto del pretorio di Tiberio sarà Seiano e questo potere diventa fortissimo quando Tiberio decide di ritirarsi nella villa a Capri nel 27 d.C. Tiberio amava vivere in disparte, non amava vivere in pubblico. È chiaro che rimanendo a Roma, solo il prefetto del pretorio Seiano, il suo potere si ingigantisce e diventa una sorta di Agrippa (Agrippa era il braccio armato) in questo caso, Seiano sostituisce l’imperatore a Roma, era di origine equestre, cavaliere etrusco e riceve anche il consolato nel 31. Fino a quando, probabilmente su istigazione di Antonia, la mamma di Germanico, Seiano viene accusato di tramare una congiura. A questo punto Tiberio che era molto sensibile al reato di maiestas, ha un rigurgito di orgoglio e si accanisce e mette la parte la figura di Seiano uccidendolo. Però possiamo notare come dietro le quinte della coorte di Cesare nel I secolo d.C. ci siano delle potenti donne, in questo caso è Antonia che va ad aizzare l’imperatore e a portarlo ad agire. Per quanto riguarda la politica finanziaria, abbiamo una lotta contro il rialzo dei prezzi e non fa alcuna legge, come aveva fatto Cesare contro l’uso dei beni di lusso. Anzi incoraggia i commerci gondolieri, poiché dall’Oriente venivano le merci di lusso. Incoraggiato il commercio con l’India, donde il lamento che la moneta pregiata prendesse le vie dei mercati stranieri “drenaggio di oro”. Nel 33 d.C. si ha la crisi della piccola proprietà terriera. L’orientamento politico dello stato romano, che è sempre stato quello di proteggere la proprietà terriera. Tiberio appartiene al rango senatorio ma ciò non toglie che anche lui fosse sensibile alle grinfie dei piccoli proprietari terrieri che spesso erano indebitati a tal punto da dover svendere i loro territori e venivano comprati dai grandi latifondisti senatori. I latifondi coltivati da schiavi rendevano impossibile una qualunque concorrenza da parte dei piccoli proprietari terrieri, questi si erano indebitati, ricorrendo a prestiti dei latifondisti senatori, sebbene fosse proibita l’usura ai senatori. I senatori si affrettano a ritirare i capitali e a comprare campi in Italia e i piccoli proprietari terrieri svendevano così i campi per pagare i debiti. Tiberio cercava di proteggere sia gli uni che gli altri, nel senso che, come vedremo le misure a favore dei piccoli proprietari terrieri, ma allo stesso tempo concedeva prestiti, anche ai senatori, e consentirà ai senatori indebitati di rimanere nell’ordo anche se il loro credito scendeva al di sotto di un milione di sesterzi. Anche se non ci arrivano non venivano estromessi dal consertio senatorio, torna la politica di moderatio. Che cosa fa per aiutare i piccoli proprietari terrieri? Mette a disposizione delle banche con 100 milioni di sesterzi. Ma a cosa servivano? A concedere mutui ai piccoli proprietari terrieri. Qual era la garanzia che questi potevano avere? Il loro territorio pieno di debiti. Per ammortizzare la cosa, questi territori se fossero stati 10 sarebbero valutati 20, vengono valutati il doppio. Ricapitolando: conce liquidità alle banche in modo che queste potessero concedere dei prestiti ai piccoli proprietari terrieri dietro una cauzione/garanzia/ipoteca, ossia il terreno. Ma il terreno era pieno di debiti: allora per compensare questa misura il terreno veniva valutato il doppio rispetto al valore d’origine. Sempre per quanto riguarda la politica estera, abbiamo sempre il problema dell’Armenia che è uno stato cuscinetto al confine con i persiani ed era importante per permettere il transito lungo la via della seta. Abbiamo uno scontro tra Tiridate, che era protetto dai romani, e Artabano (espressione del nazionalismo iranico), sono zone calde fin dall’antichità. Vince Artabano e non il ramo arsacidico, legato ai romani, vince dunque il nazionalismo iranico e non quello arsacidico che era quello più legato ai romani. Tiberio dopo la condanna a morte di Seiano, torna a Roma, sulla via del ritorno sta male, per cui si ha una sosta, per cui si pensa che stesse per morire e molti detrattori già festeggiavano l’ascesa di Caligola. Caligola è il figlio di Germanico, vi ricordate che Augusto aveva adottato Tiberio che a sua volta doveva adottare Germanico, ma quest’ultimo viene ucciso in una congiura in Siria nel 19. Quindi erede designato era inevitabilmente Caligola. Se Augusto aveva scelto Tiberio per i meriti in alcune campagne belliche e aveva già ricevuto l’imperium pro consolare; in questo caso viene a mancare quella che doveva essere la base della successione. Per cui Caligola subentrerà a Tiberio soltanto perché quest’ultimo lo delinea processore nel testamento. Vengono a cadere quelle basi su cui Augusto aveva cercato di creare l’impalcatura successoria dell’impero. Se a questo malore di Tiberio, si pensa che sia morto, già si inneggia a Caligola, lo stesso prefetto del pretorio Macrone subentrato a Seiano è lì pronto per gestire la successione ma Tiberio si riprende suscitando scompiglio tra coloro che avevano già acclamato il nuovo imperatore. Le fonti su questo periodo sono molto dettagliate, abbiamo ad esempio “Le vite dei Cesari” di Svetonio. Ma dal momento in cui tutto era pronto per la successione si accelera la morte di Tiberio: il prefetto Macrone ordinò che Tiberio fosse soffocato tra le coperte, il vecchio imperatore, debole e incapace di reagire spirò all’età di settantasette anni (egli che ha dato l’apoteosi al morto Augusto, non ha avuto alcuna apoteosi). Caligola: 37-41 d.C. E quindi abbiamo di fatto la successione di Caligola. Quindi con lucidità agisce Macrone, Tiberio viene soffocato tra le coperte, con un cuscino. Quindi muore tutto sommato in un’età che era veneranda per il periodo romano in cui l’età media era sessant’anni. Quindi a sessant’anni si era già anziani e lui muore a 67 anni, muore così senza apoteosi, e ad egli succede Caligola. Caligola succedeva a Tiberio non in virtù di meriti acquisiti con la carriera politico-militare ma solo in esecuzione del testamento di Tiberio; vengono mandate in frantumi le basi su cui Augusto aveva cercato di costruire la successione al principato. Tiberio ha regnato dal 14 al 37 d.C. e dal 37 al 41 d.C. Caligola. Quindi vediamo subito che ci troviamo dinanzi ad: un regno brevissimo e ad un imperatore pazzo, “folle”, infatti l’immagine di Caligola, che ci è stata tramandata dalle fonti ce lo rappresenta come l’emblema della follia, della follia che sale al potere o del potere che provoca la follia. Comunque, in ogni caso, c’è questo binomio Caligola\follia. Chiaramente bisogna dire che, ad esempio Svetonio, abbiamo delle fonti che sono di matrice senatoria, quindi di parte, per cui non abbiamo testimonianze oggettive, ma abbiamo testimonianze che tendono a coartare la realtà e soprattutto a non interpretare i fatti che accadono. Nel caso di Caligola addirittura abbiamo informazioni e narrazioni deformate dei fatti, strettamente legate alla politica attuata da Caligola, che, vedremo, filo-senatoria nella prima fase del regno, mentre, in una seconda fase, vedremo Caligola allontanarsi dal Senato e assumere un atteggiamento rispondente a una serie di vicissitudini. Egli non si accanisce così perché è pazzo, ma semplicemente in risposta all’atteggiamento del Senato. Caligola divenne vittima delle narrazioni deformate delle fonti antiche, la cui tendenza era ostile all’imperatore in relazione alle scelte politiche operate da lui nel corso del suo quadriennio di impero. Gli studiosi moderni a lungo hanno seguito alla lettera le fonti antiche, con il risultato di credere al personaggio mostro creato da quelle. Ancora il Quidde, 1894, parlava di una malattia di Caligola, aprendo il secolo ai non rari tentativi di ravvisarne la tipologia precisa (secondo Montgomery-Massaro l’ipertiroidismo, secondo Lucas la schizofrenia, e secondo altri il saturnismo, a causa dei contenitori in piombo usati per il vino). Quindi questo personaggio “mostro” è stato costruito dalle fonti. In realtà anche gli studiosi moderni a partire dal XIX secolo, ho citato qui l’opera del “Quidde”, del 1984, cerca di capire quale fosse la malattia di Caligola, se si trattasse di schizofrenia, di ipertiroidismo o saturnismo, dovuto alle tubature di piombo in cui passava l’acqua dei romani. Il problema sta, come dice Winterling, nel fatto che le fonti hanno preso alla lettera ciò che Caligola diceva e faceva, ma spesso, appunto, quanto faceva e quanto diceva aveva un carattere simbolico, cioè nascondeva quelle che erano le sue intenzioni ultime. Quindi il problema delle fonti è quello di decontestualizzare, di giudicare la persona di Caligola al di fuori del contesto in cui lo stesso vive → che è quello di un fanciullo che vive senza i genitori, il padre muore nel 19 d.C e subito dopo anche la madre. Winterling sostiene che le fonti abbiano preso alla lettera tutto ciò che diceva o faceva omettendo di specificarne le intenzioni ultime: “Molti capi di Stato, nell’estate del 2014, si gettavano secchi d’acqua in testa, e la cosa, tra duemila anni, se presa alla lettera, potrebbe essere funzionale a far parlare di una loro follia, mentre tutto cambia se si specifica che lo hanno fatto nell’ambito della sensibilizzazione per la Sclerosi Laterale Amiotrofica.” Solitamente quando si parla di Caligola si pensa all’imperatore che fece senatore il suo cavallo, ma perché? Non va giudicato in sé il gesto di rendere senatore il proprio cavallo, ma qual è il significato profondo di questo gesto? Perché lo fa? Le fonti sono rimaste alla superficie, hanno riportato il fatto in quanto tale. Quindi è all’inizio del XX secolo che la figura di Caligola comincia ad essere rivalutata, per cui abbiamo Willrich che parla di un principe valido, innovatore, e soprattutto, abbiamo la monografia del Barret, che risale alla metà del secolo scorso, che trova finalmente la chiave di lettura nel rapporto di Caligola con il Senato = è il contrasto tra Caligola e il Senato che ne ha distrutto la memoria e che ha determinato il ritratto che ci hanno dato le fonti. Momigliano ha posto l’accento sui suoi limiti e sulla sua mania orientalizzante ma giustificando il tutto con l’inesperienza; Balsdon incentrò l’attenzione su Caligola e Senato, che ne distrusse la memoria. Le fonti antiche hanno decontestualizzato quanto Caligola attuava, spesso in segno di sfida, o di dissacrazione di simboli e personaggi, far senatore un cavallo può sembrare una follia, ma tutto cambia se si ricorda che Caligola lo dovette annunciare per far vedere ai senatori quale conto faceva di loro. Per leggere Caligola, per interpretarlo, dobbiamo contestualizzarlo. L’ascesa avviene nel momento in cui Tiberio sta facendo il suo viaggio di ritorno da Capri a Roma, e in questo contesto, in questa prima fase, Caligola, si mostra e si mantiene reverente nei confronti del senato, ma più di tutti mostra la sua simpatia nei riguardi del popolo. Come? Attraverso le venationes, degli spettacoli che egli concede al popolo per ingraziarsene la simpatia, spettacoli di caccia, che anche ad egli piacevano particolarmente. Raddoppia anche il soldo dei pretoriani, quindi si ingrazia la simpatia delle guardie pretoriane, le guardie del corpo, e addirittura, in occasione dell’incendio di Roma si pone a capo del corpo dei vigiles, i vigili del fuoco → al posto del prefectus vigilum troviamo Caligola che coordina le operazioni. Nel momento in cui si presenta ai senatori, durante il suo primo discorso, si presenta come “loro figlio e rampollo”, quindi, abbiamo una certa simpatia verso il rango senatorio. Molto importante era il legame familiare con Marco Antonio, infatti Caligola, rimasto orfano di entrambi genitori, cresce presso la nonna Antonia minore, figlia di Marco Antonio e Ottavia; la nominò infatti Augusta e le concesse tutti i privilegi riservati alle Vestali. Avevamo anticipato quanto fosse importante il rapporto di Caligola con questi principes orientali, che continua anche dopo la scomparsa di Antonio stesso; quindi, questi principes andavano a trovare Antonia, quindi Caligola cresce a contatto con questi principes orientali, con cui creerà un vero rapporto di amicizia. Possiamo dire che crescerà insieme a Ptolomeo di Mauritania e questo rapporto di amicizia sarà per lui importante. Caligola cercherà di ricordare positivamente la figura di Antonio ponendo il giorno della battaglia di Azio come giorno festivo. Così come alla nonna concesse i privilegi delle vestali. Quindi avrete capito che solitamente nel I secolo gli imperatori costituiscono un binomio con i loro prefetti al pretorio, in questo caso è Macrone il perfetto prefetto del pretorio di Caligola, colui che, di fatto, l’aveva posto sul trono, accelerando la morte di Tiberio. Insieme a Macrone è coadiuvato anche dal suocero Marco Giulio Silano, cui Caligola restò molto legato anche dopo la precocissima morte della prima moglie Giunia Claudilla: importanza della gens dei Giuni Silani. Quindi abbiamo una prima fase del potere di Caligola, in cui è accompagnato nell’amministrazione imperiale da queste due figure, e una cosa importante, una tendenza che troverà il culmine con l’imperatore Claudio, è l’importanza crescente che assumano a corte i liberti, che sono gli schiavi liberati mediante la procedura della manumissio, liberati dal loro patronus ne prendono il nomen e diventano liberti. Ecco i liberti, da Claudio vedremo, verranno preposti a vari officia e possiamo vedere che saranno alla base della nascita della moderna burocrazia. Alla sua corte rivestirono una notevole importanza e uno dei suoi preferiti fu Callisto. Ricapitolando, in questa prima fase del regno di Caligola, nei primi mesi, il clima è quello lasciato da Tiberio, la riconciliazione generale, QUINDI: l’atteggiamento benevolo verso il Senato, atteggiamento benevolo verso il popolo, atteggiamento benevolo verso i pretoriani, promozione dei familiari e della memoria dei familiari, come Marco Antonio e la battaglia di Azio, la nonna che diventa quasi una sorta di vestale, per i privilegi concessi, e poi i circoli di corte, quindi personaggi legati a lui, tra cui i politici qualificati come Macrone e Silano o familiari come la sorella Antonia Minore. Soltanto che, nell’anno in cui lui sale al potere, nel 37 d.C., viene colpito da una grave malattia, non nasce malato, ma si pensa che abbia avuto un’encefalite. Non è facile ricostruire le malattie, si è pensato a una forma di epilessia, altri ancora all’ipertiroidismo, ma in realtà si è più propensi a pensare a un problema di carattere neurologico. Già questo punto, al primo sintomo della malattia, proprio colui che l’aveva posto sul trono, Macrone, il prefetto del pretorio, pensa subito alla successione → vedete che il tallone d’Achille del principato è proprio il problema della successione. Caligola ancora non aveva figli maschi, non ne avrà, ci sarà una fase in cui cercherà di procurarsi un figlio a tutti i costi, ma non avrà figli, però troviamo subito questi spregiudicati, proprio Macrone e il suocero Silano, suoi uomini di fiducia, uomini di corte, che fanno di tutto per pensare alla successione → così pensano al nipote di Tiberio, figlio di Druso, Tiberio Gemello, che ancora non era morto. Caligola si riprende, la malattia del 37 per lui rappresenta una cesura, Caligola, che comunque era cresciuto con la nonna, senza genitori, si ritrova ad essere tradito dai suoi uomini fidati, il suocero e il prefetto del pretorio; quindi, una volta che guarisce prendere distanze da queste figure e fa eliminare Tiberio Gemello, che era stato già designato come erede da Macrone. Dal canto loro, le sorelle di Caligola ambivano alla successione, quantomeno del cognato di Caligola, che era il marito della sorella Drusilla, con la quale Caligola aveva un legame molto particolare. Dopo la malattia del 37, quindi, si libera di Macrone e Silano, sottolinea, per rafforzare il suo potere, di essere discendente di Marco Antonio, vieta di celebrare la sconfitta di Azio perché deve essere celebrato Antonio e non la sconfitta di Azio. Liberatori anche di Macrone e di Giunio Silano assume subito il titolo di pater patriae, prima rifiutato, si presentava come un discendente non di Augusto (che in quanto padre di Giulia era suo bisnonno), bensì di Marco Antonio, che era in effetti egualmente suo bisnonno per parte di padre, in quanto la nonna paterna Antonia Minore era figlia di Antonio ed Ottavia. Nel 39 vieterà di far celebrare come ricorrenza festiva il giorno della battaglia di Azio. Per quanto riguarda la politica interna, si incomincia ad accanire, abbiamo un cambiamento radicale nell’amministrazione della politica interna; quindi, mette da parte e quelli che erano stati i provvedimenti presi da Tiberio, procede alla damnatio memoriae di Tiberio, e aumenta gli spettacoli di gladiatori, gli spettacoli di caccia, le venerationes, abbiamo quindi una politica demagogica per ingraziarsi il favore del popolo. Riabilitò gli storiografi che Tiberio aveva messo al bando e cercò il favore del popolo: la cittadinanza apprezzò notevolmente e un suo busto d’oro venne ammesso al Campidoglio. Meno era apprezzata la sua passione per gli spettacoli (che non si limitava a presiedere, ma cui spesso prendeva improvvisamente parte) e l’intimità con gli attori teatrali come Apelle e Mnestere. Si avvicina al popolo e si allontana dal Senato. Chiaramente il popolo lo appoggiava tantissimo, come dicevamo prima egli stesso amava gli spettacoli teatrali e le fonti ci parlano di rapporti promiscui con gli attori teatrali. Il mondo del teatro, infatti, sarà sempre oggetto di critica (era tra i mestieri infamanti quello dell’attore). Di pari passo prende le distanze sempre di più dal Senato. A questo punto cerca di vendicarsi dei senatori, infatti pare che durante la sua malattia del 37 certi senatoria abbiano fatto i voti più disparati se Caligola si fosse salvato, quindi egli si diverte sadicamente, riportano le fonti, prendendo alla lettera i voti che questi senatori avevano fatto, per esempio “se Caligola si salva mi getto in pasto alle belve” → quindi ci sarà un attimo di paura perché Caligola è lì per lì per prendere alla lettera questi voti. Con i senatori iniziò uno strano gioco, che consisteva nel porli di fronte alla loro ipocrita adulazione, ma anche a farli diventare responsabili di quanto sostenevano di essere disposti, per servilismo, a fare. Così fece mostra di prendere terribilmente sul serio i voti fatti quanto era malato, e costrinse chiunque ne avesse pronunciati a dare seguito ad essi, anche quando si trattava di morte o combattimenti nell’arena. Le fonti ci dicono anche che infieriva contro i senatori durante i banchetti, quando gli capitava di adocchiare qualche bella matrona romana e quando il marito si allontanava si univa a queste donne, chiaramente si tratta di amplificazioni, che non corrispondono alla verità, ma ci fanno capire sicuramente un atteggiamento irriverente da parte di Caligola nei confronti del Senato. Ed è in questo contesto che si colloca l’episodio del cavallo, cioè, nel momento in cui Caligola conferisce il titolo di senatore al suo cavallo, ricoprendolo della porpora e addirittura gli procurandogli una mangiatoia d’avorio su cui mangiare; in più gli comprò una cosa, con servi e ogni apparato a disposizione; perchè volle mandare ai senatori un messaggio preciso: “rendetevi conto di quanto basso sia diventato il vostro rango se posso concederlo anche il mio cavallo”. Quindi questo significa che egli voleva che loro sapessero che il loro ruolo era sceso veramente in basso. Con tutto questo, l’imperatore, ben lungi dall’essere pazzo, intendeva mettere alla berlina le aspirazioni al lusso e al potere che contraddistinguevano i senatori, e rendeva chiaro quanto ormai fosse “importante” il loro ruolo visto che poteva concederlo a suo piacimento anche a un cavallo. Quindi in questa seconda fase abbiamo l’abbandono della politica precedente, quindi della linea augustea, c’è il distacco anche da Tiberio, la promozione dei liberti, in particolare Pallante. Egli va alla ricerca di un’erede, poiché si rende conto di averne bisogno; quindi, praticamente cambierà una serie di donne, è stato studiato anche questo problema della sterilità, è strano che egli non generi figli maschi → questo si può spiegare con l’endogamia, per evitare che il potere venisse trasferito all’esterno, si sposavano tra di loro, nella rete familiare, e questo ci può spiegare il problema della sterilità. Poi va alla ricerca dell’assenso popolare quindi, aumenta i giochi e spettacoli, e abbiamo questa reciproca fonte di carattere epigrafico, chiamata Tabula di Lione, la cui denominazione deriva da Lione, la città in cui è stata trovata e scoperta nel XVI secolo, nello specifico nel 1528, sia da una sorta di parafrasi in Tacito, negli annales, libro Undicesimo. In Tacito troviamo una sorta di sintesi di quello che era il contenuto di questa Tabula di Lione. La tabula di Lione è un’epigrafe che ci mostra questa politica di apertura da parte di Claudio, la tabula clesiana ci mostra sempre l’apertura di Claudio per quanto riguarda la cittadinanza romana. Dunque, che cosa ci dice Tacito negli annales? Tacito si rifà alla tradizione, dunque ai suoi Antenati, che denominerà “maiores mei”, i quali lo invitano a seguire la stessa politica nell'amministrazione dello Stato, attirando qui da noi tutto ciò che c'è di buono in qualunque luogo, dunque la politica di inclusione, “transferendo huc quod usquam egregium fuerit” quindi l'importante è la qualità e non la provenienza, l'importante è che sia buono, egregium, anche se non è romano, anche se non è Italico. Il riferimento è ai Galli, “dai Galli dicono fummo conquistato ma anche dagli Etruschi, noi dovremmo consegnare ostaggi e dai Sanniti subimmo l'onta del giogo.” Quindi non si scontrarono soltanto con i galli ma pure con altre popolazioni che hanno la cittadinanza romana e quindi fanno parte del Senato Romano. “E Pur tuttavia, se si passano in rassegna tutte le guerre, nessuna si risolse in un minor lasso di tempo di quella contro i galli, da quel momento ci fu pace senza interruzioni e sicura.” Il riferimento è chiaramente al processo di conquista della Gallia Comata da parte di Giulio Cesare. “Ora che ormai per costumi, per tendenze e vincoli di sangue non si distinguono (Quindi dal 52, dalla battaglia di Alesia, ormai c'è questa amalgama di costumi, moribus, artibus, adfinitatibus, tendenze, arti e la parentela in sangue) Portino a noi il loro oro e le loro ricchezze anziché godersele da soli, O senatori (patres conscripti di cui abbiamo parlato con Romolo e poi Tarquinio Prisco) tutto ciò che ora è giudicato antichissimo un tempo fu un nuovo” . Quindi l'invito di Claudio è di accogliere la novità, infatti ogni fatto storico ha qualcosa di nuovo che poi con il tempo diventa antico. Anche nella Roma delle origini l'apporto degli Etruschi era un qualcosa di nuovo ma che poi entrerà a far parte della tradizione. L'invito è dunque quello di accogliere i Galli all'interno del Senato Romano, in base ad una affinità che non è più solo di mores, ma anche di adfinitas, di parentela di sangue, di una mescolanza. Questo è un secondo aspetto importantissimo della politica di Claudio. Pare dunque essere tutt'altro che “sciocco”. Non era neppure imbelle perché riuscì a conquistare quella terra che dalle fonti viene denominata come la terra al di là dell'oceano, che è la Britannia. Giulio Cesare ci aveva provato per ben due volte, ed era dovuto tornare indietro anche per un'insurrezione guidata dai sacerdoti. È dunque con Claudio che abbiamo la conquista della Britannia. Poi con l'uccisione da parte del Rex Tolomeo, la Mauretania viene divisa nel 42 d.C. in due province: • Mauretania Cesariense, ad est • Mauretania Tingitana ad ovest Perché due province? Perché siamo nella zona confinante con le tribù, che vari problemi ha già creato ai Romani già all'indomani della provincializzazione dell'Egitto. Abbiamo inoltre la provincializzazione della Tracia. Ricapitolando abbiamo: • La Provincializzazione della Mauretania, che verrà assegnata come guerra perché all'uccisione di Tolomeo si ha un’insurrezione guidata da un Liberto, e quindi un inevitabile intervento di Roma. La Mauretania era uno stato cuscinetto che faceva comodo a Roma per gestire stati come la Numidia. • La conquista della Britannia meridionale, definita alter orbis, così definita da Svetonio, un mondo nuovo che andava al di là dell'oceano, per raggiungerlo bisognava attraversare la manica. Tutto ciò che è al di là dello Stretto viene visto come qualcosa di diverso o alieno. • La Tracia ridotta provincia romana Tutto ciò ci permette di capire come Claudio non prediligesse gli stati-clienti, ma anzi, dove vi erano degli stati-clienti, cercasse di porre ordine, ricorrendo all'assetto provinciale. Si tratta di un imperatore che ha dato vita a tre, ma potremmo dire anche quattro (dividendo in due parti la Mauretania) nuove province. Per quanto riguarda invece l'ordine interno di questa città, Roma, città che si presentava come una megalopoli, spesso capitavano delle ribellioni, dei movimenti, delle varie popolazioni che vi risiedevano, e sempre Svetonio, nella vita di Claudio, ci dice: “bandì dalla città i Giudei che, istigati dalla dottrina di Cristo, creavano sempre disordini”. Claudio bandì dalla città, da Roma, i Giudei che creavano sempre disordini, istigati da un certo Cristo. Quindi caccia un gruppo di facinorosi che chiama “Giudei” perché creavano dei tumulti su istigazione di questo Cristo: ma chi sono? Sono dei Giudei veramente? Dei Giudei che agivano per conto di un loro capo che guarda caso, si chiamava Cristo? Come il personaggio storico che abbiamo incontrato con Tiberio? 1. Questa è una delle interpretazioni, che con Claudio si ha dunque un'espulsione dei Giudei da Roma, per via di tumulti promosso da un capo giudaico chiamato Cristo. 2. Un'altra interpretazione invece può essere quella che si trattasse di un tumulto di cristiani che vengono definiti Iudaeos, perché ancora non era chiara la distinzione, dato che ci troviamo negli anni 40 del primo secolo dopo Cristo, tra Giudei e cristiani. Quindi si trattava di tumulti, orditi dai cristiani, che si richiamavano alla predicazione di Gesù Cristo e la divulgano. Il cristianesimo comincia ad essere diffuso e dunque familiare a Roma negli anni Cinquanta, a partire da Nerone in poi. Ancora, quindi, questo passo di Claudio e il fatto che ci possa essere l'una o l'altra interpretazione, ci fa capire che non vi era una chiara distinzione tra i due gruppi etnici/religiosi. Ci poteva dunque essere un giudeo che guarda caso si chiamava Cristo o ci poteva essere proprio il riferimento specifico ai cristiani che predicando si diffondevano sempre più. Questa è la politica messa in atto da Claudio a partire dalla sua ascesa al potere, ma poi abbiamo un personaggio che non a caso viene identificato dalle fonti come in balia dei Liberti e in balia delle donne. In particolare, Claudio si ritrova quasi schiacciato tra due figure femminili imbarazzanti, sempre stando al ritratto delle fonti, che sono: Messalina e Agrippina. Messalina in particolare dalle fonti viene definita come una meretrix, come una donna caratterizzata da una libido particolare, cui si univa sevizia, avarizia, tutta una serie di difetti dunque. Se di solito siamo abituati a parlare di virtù, con Messalina parliamo invece di difetti. Questa moglie di Claudio è molto interessante perché, secondo la lettura che ne dà anche la professoressa Francesca Cenerini (la quale, oltre a storia romana insegna anche storia delle donne all'Università di Bologna) all'interno di un volume che raccoglie tutte le mogli, sorelle o madri di imperatori, da Augusto a Commodo, ci presenta Messalina come una donna che va alla ricerca di uno spazio politico autonomo. Non le basta essere la moglie di Claudio, ma vuole essere un Augusta con una sua dimensione vera e propria, ed è quello che si coglierebbe da quanto avviene nel 48 d.C. Anno in cui durante un rito bacchico, Messalina, che era sposata con Claudio e che da Claudio aveva avuto due figli, Ottavia e Britannico, inscena un matrimonio con quello che era definito un uomo pulcherrimus, Silio Italico. Silio Italico non era soltanto un bell'uomo ma era anche un personaggio politico molto influente, che poteva anche ambire al trono, dunque, come verrà interpretato questo matrimonio? Viene interpretato: • come un gesto provocatorio di questa donna dalla libido irrefrenabile. • come un innocuo rito bacchico inscenato e che dunque non aveva nulla di vero essendo Messalina sposata e avendo due figli. • secondo la lettura che ne fa invece la professoressa Francesca Cenerini potrebbe essere la spia che la donna tenti di mettere in pratica il suo potere. Non potendo farlo in prima persona in quanto donna ma perorando la posizione politica di Gaio Silio. Tant'è che Svetonio mette in bocca a Claudio la paura che l'imperatore prova dinanzi a questo gesto. Citando il passo: “Anche il suo amore per Messalina, per quanto pieno di passione, cedette non tanto per gli oltraggi, quanto a causa della paura del pericolo. (Claudio si era convinto che Messalina volesse dare l'impero al suo amante Silio.) In quei giorni preso dalla paura ndegna si rifugiò nell'accampamento dei pretoriani, (Essendo Claudio particolarmente amato dai pretoriani) e lungo tutto il tragitto chiedeva pubblicamente se l'impero fosse ancora nelle sue mani. Chiaramente quanto Svetonio mette in bocca a Claudio è funzionale all'immagine di un imperatore in balia di una moglie o dell'altra, in questo caso della prima, però effettivamente vedremo anche successivamente, il tentativo di figure femminili di supportare figure maschili, come se fosse una presa di potere, una manifestazione del loro potere che non potevano prendere personalmente essendo donne, ma attraverso una figura maschile che supportavano, in questo caso Silio. Messalina verrà poi condannata e rimarranno a corte i figli Ottavia e Britannico, e anche in questo caso, infatti, verrà rappresentato da Svetonio un Claudio in balia dei liberti. Avremo infatti una grandissima quantità di proposte matrimoniali, e a vincere sarà la proposta di Pallante; infatti, ogni Liberto proponeva la sua donna, in questo caso ad avere la meglio sarà Agrippina infatti. Qui ci troviamo di fronte ad un caso incestuoso, poiché Agrippina minore era la figlia di Germanico, in pratica sua nipote. Ciò ci porta a comprendere che effettivamente vi fosse molto materiale per presentare questo imperatore come debole. Questa donna viene presentata come da bambina venisse accarezzata dallo zio, viene evidenziato questo rapporto particolare. Tra zio e nipote che poi diverrà tra marito e moglie. Questa donna sarà una figura di potere, una stratega, al punto tale che, pur avendo Claudio un figlio maschio vivo e vegeto, ella gli fece adottare un figlio che aveva avuto precedentemente con Domizio Enobarbo, chiamato Nerone (49-50 d.C.). A Corte abbiamo quindi una presenza femminile ed un Princeps Puer, un ragazzo, che viene educato da Seneca, un filosofo, abbiamo dunque l'ideale aristotelico dei filosofi a corte, filosofo che si occupa di accostare l'imperatore, così come Aristotele aveva fatto con Alessandro Magno. In questo caso abbiamo Seneca che si pone accanto Nerone per il quale scrive il de clementia. A suggellare, ancora una volta, il legame tra Nerone e la sorellastra - con la quale non c’è nessun legame di sangue - Ottavia, subentra la politica matrimoniale nel 53. Gli anni tra il 48 e il 54 d.C. saranno importanti per i seguenti motivi: - 48: rito bacchico, inscenato il matrimonio con Gaio Silio come se fosse legittimo. Condanna di Messalina e Silio e suicidio di vari personaggi, soprattutto equestri, in complicità con loro. - Nuovo matrimonio di Claudio, dopo la condanna di Messalina, da cui aveva avuto nel 40 Ottavia e nel 41 Britannico. Il liberto Pallante sostiene con successo la candidatura di Agrippina Minore, sorella di Caligola. - 49/50: adozione di Nerone - 53: matrimonio Nerone-Ottavia figlia di Claudio. - 54: morte di Claudio. Leggendo le fonti, nello specifico “La vita di Claudio” di Svetonio, emerge il tentativo di Agrippina, la moglie, di avvelenare Claudio. Il primo tentativo è avvenuto per mezzo di un fungo avvelenato, ma non è andato a buon fine; ci riproverà una seconda volta con una minestra. In realtà, oggi, non si è più convinti che la morte di Claudio sia avvenuta per avvelenamento, fatto sta che esce dalla scena politica molto celermente e guarda caso ad essere acclamato imperatore ancora una volta dai pretoriani sarà Nerone, figlio di Agrippina. Si può notare che I pretoriani sono vicinissimi a tutte le figure che erano in qualche modo legate a Germanico; prima con il fratello Claudio, poi con Agrippina, sua figlia e moglie di Claudio; descritta come una donna forte e stimata per cui si dice che venne a costituirsi anche una fatio Agrippinae, una fazione di Agrippina, cioè dei fautori che sostenevano la sua politica. Nerone: 54-68 d.C. Di fatto, quando il figlio, Nerone otterrà il potere è giovanissimo, siamo nel 54 d.C. Viene acclamato dalle nuove norme pretorie ma non può governare da solo e accade quello che lo stoico tardo Aurelio Vittore, intorno al IV secolo d.C., definisce come il Quinquennium Neronis - Cinque anni di Nerone - e qualche altro stoico come Quinquennium Felix - Quinquennio felice -, sono i primi cinque anni di regno di Nerone, in cui il giovane princeps non governa da solo, ma è costantemente accompagnato dalla figura materna che si dice sedesse accanto a lui sulla lettiga e ovunque egli andasse e poi educato dalla figura di Seneca e dal prefetto al pretorio Afranio Burro, (saranno le due figure oltre alla madre, presenti fino alla svolta del 59 d.C.). Seneca, console nel 56 ed effettivo signore dello stato con Burro, nutriva l’ideale di una sorta di diarchia cioè di collaborazione, di dialogo tra il princeps e il senato, dopo gli anni di cesura che c’erano stati tra il princeps e il senato sotto Caligola. La politica di Nerone si presenta, in un primo momento, come filosenatoria, si registra, infatti, una riduzione del potere dei liberti a differenza di Claudio e di Caligola, una posizione di preminenza della madre, insieme a Seneca e Burro, (quasi tutti gli imperatori della gens Giulio-Claudia saranno affiancati da prefetti del pretorio, molto influenti). Ricordiamo di Seneca il De Clementia, un trattato boninnico che sottolinea come il potere sia nelle mani di una sola personalità, quella del princeps, che deve porre alla base delle proprie azioni politiche: virtus e clementia . - A questo sembra ispirarsi la politica di Nerone durante questi primi cinque anni -. Seneca afferma: «Nullum tamen clementia ex omnibus magis quam regem aut principem decet» (2, 1, 3) Nulla si addice al re o al princeps più della clemenza. Questo ci fa riflettere sul legame tra intellettuale e uomo di potere. L’importanza dell’educazione del princeps che non è una novità, lo troviamo già alla corte macedone di Filippo V, che aveva affidato la formazione di Alessandro Magno ad Aristotele. La realizzazione del progetto platonico dei governanti filosofi, della filosofia al potere, quindi nel momento in cui l’uomo di potere viene formato ad una formazione filosofica, abbiamo un intellettuale al potere, ricordiamo Marco Aurelio, l’imperatore Giuliano ecc… figure di intellettuali che di notte scrivevano e di giorno combattevano. In questo caso l'esperimento con Nerone riesce meno. Il governante deve apprendere dal filosofo, ma l’uomo di cultura come si deve comportare? Facendo un passo indietro, al Circolo di Mecenate, è evidente come diventava naturale la partecipazione emotiva al programma augusteo in riscontro ai beneficia che questi ricevevano. In questo caso Seneca sottolinea che l’intellettuale deve rifiutare la collaborazione con il potere se diventa servile acquiscenza al dispotismo del princeps. Finché il princeps è clemente, aperto al dialogo, che ben venga la collaborazione, se il potere diventa dispotismo allora c’è dittatura. Questo era già avvenuto in passato con Domiziano, ma questi dissensi si sono registrati anche con Ottaviano Augusto. La svolta di Nerone da questo ideale filosofico dell’intellettuale al potere si ha nel 59 d.C, ma si notano delle avvisaglie precedentemente, in particolare nel 55 d.C., anno in cui viene avvelenato il fratello Britannico, colui che di fatto avrebbe dovuto salire al potere. “La vita di Claudio”, scritta da Svetonio, si conclude con un Claudio che sembra avvedersi su quanto avesse sbagliato nell’adottare Nerone, quindi con Claudio che cerca di riabilitare il figlio Britannico, ma ormai era troppo tardi perché subentra l'avvelenamento o comunque all’uccisione, la messa fuori gioco di Claudio. Crescendo, Nerone diventa sempre più insofferente nei confronti dell’ingerenza di Seneca e della madre, che era una figura pesante, ingombrante nella vita del figlio e di fronte a scelte particolari del figlio, come vediamo nel caso di Atte, una liberta, (per un imperatore non era il massimo intrattenere una relazione con una liberta) e poi c’è questo innamoramento per questa Poppea Sabina che tra l’altro era sposata con Otone. L’ ingerenza della madre, l’impossibilità di fare ciò che desidera pur essendo un imperatore, porta al quel gesto che è il matricidio nel Marzo del 59 (uccisione della madre, Agrippina Minore), per la quale non può sentirsi dai pretoriani, loro erano legati a lei non avrebbero mai agito contro ed è per questo che si servirà del prefetto e della flotta, in questo caso cerca di tramare una sorta di naufragio, una specie di imbarcazione che nasceva difettosa ma la madre riesce a raggiunge la riva, ritrovata dai mandanti omicidi di Nerone, sdraiata a terra, mostrando il ventre dice: ventrem feri- L’episodio viene collocato a Baia. La cosa importante è che pretori mai avrebbero osato commettere un atto crudele contro la discendenza di Germanico, lui era amatissimo dalle milizie e forse era stato questo uno dei motivi che aveva spinto Tiberio a mandarlo in Oriente per poi essere stato assassinato in Siria. Questa è una fase importante che determina una svolta politica di Nerone: SVOLTA FILO-POPOLARE. (Troviamo lo stesso andamento della vicenda politica di Caligola), da qui si registrano una serie di provvedimenti a favore del popolo ma che lo portano ad allontanarsi dal senato. In questa ultima fase inizia ad ostentare la sua essenza artistica, vedremo che ama esibirsi e che organizza tutta una serie di giochi e feste che scandivano il calendario romano: • Iuvenalia: non vengono creati ex novo, ma simboleggiava il passaggio all’adolescenza. Cerimonia per il primo taglio della barba, lui ne fece una festa pubblica, in cui si esibisce suonando la cetra accompagnato da una claque teatrale di Augustiani (gruppo di sostenitori, pagati per applaudire); • Neronia: feste quinquennali con gare di corsa coi carri, musica e danze. Un anno importante è il 62 d.C. abbiamo il tripudio della moglie prima moglie Ottavia per sposare Poppea Sabina e viene condannato a morte Pallante, fautore della madre Agrippina per le nozze con Claudio. Nello stesso anno, Seneca, in maniera coerente per quanto scriveva nel suo De Clementia si allontana, passando dal negotium (partecipazione attiva alla vita politica), all’otium (si ritira a vita privata); non può più stare accanto ad un princeps che è diventato autocratico, dispotico. Muore anche il prefetto del pretorio Afranio Burro, anche qui non si sa se si tratta di morte naturale o per malattia o avvelenamento e subentra un prefetto del pretorio siciliano Ofonio Tigellino, un sanguinario, e poi Fenio Rufo. Cambia la politica di Nerone e iniziano i processi per lesa maestà che abbiamo visto anche sotto Tiberio, processi che accusavano alcuni senatori, si crea un clima politico di diffidenza e paura, pronto a punire, in questo caso attraverso il caso di lesa maestà. Sempre nel 62 si colloca una riforma importante che ci consente di proseguire con il nostro quadro diacronico riguardante i rapporti tra l’impero romano e il cristianesimo. Viene emanato l’editto di Nazareth: una fonte di diritto romano, prima dell’editto di Giustiniano. C’è giunto sottoforma di epigrafe, iscrizione su materiale duro, in questo caso un marmo che aveva una valenza retroattiva, era un editto che combinava la pena di morte per i profanatori di tombe, si intuisce facilmente a chi fosse rivolto, a meno che questa interpretazione non sia stata fatta a posteriori. Era indirizzato ai discepoli di Gesù che venivano accusati di aver tolto la pietra che chiudeva il sepolcro e sottratto il suo corpo. Cosa si legge in questo editto? “Mi è gradito che i sepolcri e le tombe, -un atto legislativo da parte dell’imperatore, - costruite per tributare i dovuti onori agli antenati, ai figli o ai familiari (ricordati già nel tempo antico con Omero che venivano lasciati allo scempio di cani e uccelli quei corpi di cui si voleva infierire anche dopo la morte, è un diritto naturale quello di preservare la sepoltura), debbano restare perennemente inamovibili. Se qualcuno denuncia uno che o li ha distrutti, o in qualsiasi altro modo ha portato via quelli che vi erano sepolti, o li ha traslati in altri luoghi, con azione dolosa e con offesa dei sepolcri stessi, o ha spostato le pietre o i blocchi del sepolcro, ebbene contro il denunziato io ingiungo che venga istituito un processo, comportandoci quindi nei confronti del culto rivolto agli uomini (con salvaguardia del rispetto) come se si trattasse del culto rivolto agli dèi. Ancora di più, bisognerà infatti onorare i sepolti: non sia lecito assolutamente a nessuno violarne le salme. In caso contrario, voglio che il colpevole sia condannato alla pena capitale con l’accusa di profanazione di tombe.” Vindice, ma viene sconfitto. In questo caso abbiamo l’intervento delle legioni provenienti dalla Germania in aiuto dell’impero, del potere centrale. Quindi questa è la Gallia Lugdunense; ma abbiamo un altro moto di ribellione che parte dalla Spagna Terraconense e questa volta abbiamo un governatore di rango senatorio che è Sulpicio Galba. Galba che poteva godere del sostegno di un altro governatore della Lusitania, Otone. Il primo moto in Gallia viene sedato, mentre in Spagna abbiamo l’emergere di questo imperatore di rango senatorio, quindi potete capire l’ostilità nei confronti di Nerone, che tra l’altro godeva del sostegno di un certo Otone, governatore della Lusitania. Otone aveva, oltre a motivi di carattere politico, motivi di carattere personale per detestare Nerone, perché non era altri che il marito di Poppea, quella donna di cui Nerone si era invaghito a tal punto e contro la quale la madre si accaniva da destare il matricidio. In questo clima di tensioni anche i pretoriani, cioè anche la guardia del corpo, abbandona l’imperatore, il senato lo dichiara hostis pubblicus e sappiamo dalla storia repubblicana quanto pericolo e grave potesse essere tale definizione. Dunque viene riconosciuto come princeps Galba. Quindi abbiamo un esponente locale della Spagna che viene riconosciuto come imperatore, quindi non siamo a Roma, non siamo nella penisola italica, ma siamo in Spagna. Un governatore di rango senatorio viene sostenuto e riconosciuto come princeps, non a caso viene riconosciuto dal Senato, essendo un senatore. Il Senato non ne poteva più di Nerone. A questo punto a Nerone non rimaneva che il suicidio nel 68 d.C. La fine di Nerone è importante perché non segna solo la fine di una persona, ma segna la fine di una dinastia. Nerone muore senza lasciare eredi. Fino ad ora abbiamo visto come all’interno della gens Iulio-Claudia si cercassero, all’interno delle ramificazioni familiari, possibili eredi al trono. In questo caso c’era il vuoto, non c’era nessun appartenente alla Gens Iulia o alla Gens Claudia che potesse aspirare al trono. Così si svela quello che era un arcanum imperi, il problema della successione al potere. Abbiamo il cosiddetto anno dei quattro imperatori, il 68-69 d.C. L'anno dei quattro imperatori. Nerone muore nel 68, quindi tra la morte di Nerone e l’ascesa al trono di un imperatore che potesse garantire una dinastia, abbiamo un anno di incertezze, quello che viene definito dalla storiografia e in particolare da Tacito nel dialogo “De Oratoribus”, come il longus et urus annus, cioè pur essendo solo un anno, è lungo. È connotato da ben quattro imperatori: il primo è Galba, questo governatore della Spagna, che viene riconosciuto nel giugno del 68 princeps dal senato romano e manterrà questo titolo, ma non in maniera indiscussa, fino al gennaio del 69. Vi ricordate, era stato appoggiato dall’altro governatore della Spagna, Otone, il marito di Poppea. Che succede il 15 gennaio del 69? Questo ci fa capire come l’imperatore fosse nelle mani dei militari, in questo caso dei pretoriani. I pretoriani così come si erano stancati di Nerone, si stancano anche di Galba, uccidono Galba e nominano imperatore Otone. Nel momento in cui non c’è una successione ordinata dall’alto abbiamo questo potere emergente delle forze militari. Già prima del 15 gennaio, il 2 gennaio del 69, le legioni delle due Germanie che abbiamo visto precedentemente intervenire, nominano imperatore Aulo Vitellio, il loro comandante: questo è un passaggio molto importante perché diventerà prassi nel periodo della cosiddetta anarchia militare del III secolo: avremo imperatori acclamati dalle proprie milizie. Quindi nel 68 abbiamo un vuoto di potere e poi spinte centrifughe provenienti dalle due Spagne; prima Galba che riesce a governare per un periodo più lungo, ma il potere è nelle mani dei pretoriani che sono pronti a buttare giù dal trono Galba, sostituendolo con Otone e ancor prima di Otone c’è stato il movimento delle legioni della Germania che presentano il loro uomo, Vitellio. Quindi del gennaio del 69 viene ucciso Galba e ci troviamo con due principes, due imperatori che sono Otone e Vitellio. • Servio Sulpicio Galba (09 Giugno del 68 – 15 gennaio del 69). • 15 Gennaio 69: i pretoriani uccidono Galba e nominano imperatore Salvio Otone, governatore della Hispania Lusitana. • 2 Gennaio 69: le legioni delle due Germanie nominano imperatore Aulo Vitellio, loro comandante. Questa è una cartina che ci fa vedere quali erano le zone di ingerenza dei quattro imperatori, quindi in marrone, la Spagna Tarraconense con Galba, la Lusitania in turchese, poi abbiamo Vespasiano, che lo troviamo nella zona dell’Egitto e poi Vitellio a capo delle due legioni poste in Germania. Quindi cosa abbiamo scoperte in questo unus et longus annus? Che l’imperatore poteva essere proclamato anche lontano da Roma. Quindi già adesso Roma non è più dentro Roma, ma Roma si trova laddove viene proclamato l’imperatore. Questa è una caratteristica che connota il terzo secolo. Il principato poteva essere coperto da un uomo di ramo senatorio, come Galba o Otone, ma anche di origini modeste. Per modeste intendiamo un homo novus, cioè che è da poco entrato nel Senato e che ha ricoperto per primo nella sua famiglia il cursus honorum: questo sarà il caso di Vespasiano. Quindi risolta quello che era l’arcanium imperium, andiamo ad esaminare un po' chi sono questi quattro individui: Di Galba abbiamo già detto quasi tutto, cioè che era un imperatore della Spagna Tarraconense, che era di origine senatoria, viene proclamato dai suoi soldati, ma il suo ruolo di princeps viene riconosciuto dal Senato. Perché viene ucciso dai suoi pretoriani? Perché nel momento in cui assumo il potere per il sostegno di una determinata fazione, è chiaro che quella fazione si aspetta una ricompensa e quando questa non arriva ecco che avviene il crollo dal potere: non mantenne la promessa del donativo di 30.000 sesterzi ai pretoriani, si rese impopolare a plebe e soldati per i tagli delle spese. Quindi Galba cosa fa? Taglia le spese, andando contro la plebe e gli stessi soldati, per cui diventa un imperatore impopolare, tanto da essere linciato nel Foro. Si era reso inviso da quella plebe che era stata abituata bene da Nerone, che nell’ultima parte del suo regno aveva attivato una politica di tipo demagogico. Per quanto riguarda invece Otone: era il marito di Poppea, era popolare tra i pretoriani, del resto, vi dicevo, sono stati gli stessi pretoriani a farlo salire al potere. Non viene riconosciuto come imperatore, come princeps dalle legioni dul Reno perché già nel 2 gennaio, le legioni sul Reno, avevano proclamato imperatore Vitellio, quindi già avevano un loro imperatore, laddove Otone subentra il 15 gennaio. Ecco che qui si ha uno scontro in cui le due legioni germaniche di Vitellio, vicino Cremona, sconfiggono Otone a Bedriaco il 14 aprile del 69. Dunque, anche Otone si suicida. Per quanto riguarda invece Vitellio, anche lui aveva ricevuto importanti incarichi come senatore. Abbiamo detto che era a capo di queste due legioni della Germania superiore, quindi era un legato della Germania superiore e una volta che sconfigge Otone nell’aprile del 69, viene nominato imperatore dal Senato. Abbiamo quindi due momenti di acclamazioni particolare, cioè quando c’è l’acclamazione da parte dei pretoriani o da parte dei legionari, c’è un secondo momento in cui può avvenire o meno, il riconoscimento da parte del Senato. È solo dopo la sconfitta di Otone che viene riconosciuto dal Senato. Abbiamo una politica a favore dei soldati, delle legioni che avevano sostenuto la sua acclamazione. Intanto si ha una ribellione delle legioni danubiane e quindi così come lo avevano portato al potere, gli stessi legionari delle legioni orientali danubiane, lo uccidono, quindi viene ucciso anche Vitellio. Siamo arrivati al dicembre del 69. A questo punto bisogna attingere ad un’altra zona dell’impero per trovare un imperatore, che era la zona fatta vedere poc'anzi quella in viola: la Giudea, l’Egitto quella che vedeva impegnato nella sommossa della Giudaica appunto un personaggio:quello che possiamo definire di umili origini nel senso che non aveva antenati illustri. Apparteneva ad una famiglia Italica quindi una famiglia di Rieti, era un personaggio della Sabina proveniva dalla Sabina. Il padre non era un senatore quindi non apparteneva ad una famiglia di rango senatorio, ma di rango equestre. Ormai abbiamo visto come con Augusto fossero stati organizzati due ordines: -ordo senatorio e -ordo equestre con un suo cursus ben definito. Quindi Vespasiano soltanto successivamente diventa senatore ma la sua origo è equestre. Entra sotto Tiberio a far parte del senato quindi grazie ai suoi meriti di cui si rende conto Nerone stesso che gli affiderà tre legioni per recarsi in Giudea. Nella sua ascesa al principato viene supportata dal prefetto di Egitto, vi ricordate l’Egitto era rimasto una prefettura con a capo un prefettus che era espressione dell’imperatore, perché l’Egitto era una proprietà dell’imperatore, quindi proprio il prefetto Tiberio Giulio Alessandro è importante sapere che organizza la proclamazione dell’imperatore, quindi non abbiamo le legioni, non abbiamo i pretoriani in questo caso ma abbiamo il prefetto d’Egitto, quello che rappresentava che governava di fatto l’Egitto in nome di Ottaviano. Dopodiché segue l’acclamazione ad opera degli eserciti presenti e delle legioni di Siria e poi le Danubiane. Con il sostegno prima del prefetto d’Egitto dei legionari di Siria e dei legionari delle legioni danubiane, ecco che Vespasiano arriva al potere. Questo longus et unus annus 68/69 si conclude nel 69 con il riconoscimento di Vespasiano come imperatore, come princeps. Non abbiamo più pretendenti sono morti tutti per cui Vespasiano avrà la meglio e rimane unico imperatore. Dando vita a quella che sarà la sua forza: la dinastia dei flavi. Dinastia Flavia: 69-96 d.C. VESPASIANO: 69-79 D.C. Perché dà vita ad una dinastia? Perché Vespasiano aveva due figli maschi, Tito e Domiziano che potevano garantire l’eternitas imperi. Dal 69 al 96 abbiamo la dinastia dei flavi, la dinastia Flavia: il capostipite è Vespasiano, i successori saranno i figli Tito e Domiziano, finalmente abbiamo un imperatore che poteva garantire la stabilità nella trasmissione del potere, quindi abbiamo un potere trasmesso all’interno della stessa famiglia quindi abbiamo una dinastia e l’eternitas imperi viene esaltata attraverso l’elemento Numismatico. Le monete: presentano sul retto al dritto la testa di Vespasiano mentre nel verso al rovescio i due figli che sono appunto le teste di Tito e Domiziano affiancate. E’ un momento importante che sembra ridare stabilità all'impero un po’ come era stato per Augusto dopo il periodo delle guerre civili. Anche in questo caso Vespasiano riusciva a garantire stabilità grazie alla sua discendenza, dopo un periodo che era stato di crisi (quello dei 4 imperatori) e forse è proprio per sottolineare questa ritrovata stabilità che ci è giunta un'epigrafe che possiamo leggere nel corpus iscrizionum latinarum nel 6 volume l’epigrafe 930 di questo corpus. Innanzitutto non ci è giunta per intero, ci è giunta la seconda parte secondo gli studi più recenti su Vespasiano, Arnaldo Marcone ha pubblicato una monografia che è uscita nel 2024/2023: È una legge, l’unica che ci è giunta, non possiamo dire che in assoluto sia l’unica legge sull’impero, cioè su quella che era il potere dell’imperatore, ma sicuramente l’unica lex di questo tipo che ci è giunta, e neanche che gli altri imperatori non hanno sentito l’esigenza di mettere per iscritto quali fossero i poteri del princeps, però sta di fatto che l’unica lex che ci sia giunta è quella di Vespasiano. È appunto una legge un testo in cui vengono passati in rassegna i vari poteri del princeps. C’è giunta questa iscrizione su tavolo di bronzo ecc.. abbiamo tutti i poteri del princeps probabilmente, ma nella parte che ci è giunta ad esempio manca il riferimento alla tribù di Ciapotestas, che sappiamo veniva rinnovata ogni anno ed era fondamentale per computare gli anni del regno e viene votata dall’inizio del 70; ci interessa la cronologia tra i comizi centuriati, è praticamente conforme ad un decreto del senato che elencava i vari poteri. Adesso come vedete abbiamo dei frammenti: della seconda parte, ma andiamo a vedere quali erano le clausole più importanti: • 1 clausola: Che all’imperatore Cesare Vespasiano Augusto, sia lecito concludere trattati con chiunque voglia. Così come fu consentito al divo Augusto a Tiberio Giulio Cesare Augusto e a Tiberio Claudio Giulio Cesare Augusto Germanico. *Sulla linea dei suoi predecessori l’imperatore può stipulare trattati con chi ritenga opportuno* • 2 clausola: Che gli sia consentito di convocare e presiedere il senato, sottoporre o di mettere al senato il tema della consultazione, far votare i senatus consulta tramite la presentazione di una proposta o senza discussione. Così come fu consentito al divo Augusto a Tiberio Giulio Cesare Augusto e Tiberio Claudio Giulio Cesare Augusto Germanico. -notate qualche anomalia Tiberio Giulio Cesare Augusto, Tiberio Giulio Cesare Augusto Germanico? Che non c’è nessun riferimento agli imperatori Nerone e Caligola, del resto Nerone era stato definito ostis publicus quindi damnazio memorie , abbiamo soltanto quelli che poi sono stati divinizzati e proclamati divi. Un’altra clausola: • 3 clausola: Che quando il senato sia convocato per sua volontà per volontà dell’imperatore o per sua autorità o comunque in sua presenza si mantenga e si conservi nello stesso modo la pienezza del diritto come se il senato fosse stato convocato e si ritenesse in base alla legge. *Quindi si fa riferimento ad una consesso assembleare come quello del senato, che poteva solo essere convocato non solo su ordine dell’imperatore ma anche seguire un ordine del giorno che era fissato e stabilito dall’imperatore. Incomincia a notarsi questa ingerenza del princeps su quelle che erano le istituzioni repubblicane che continuano ad esserci ma cambia sicuramente qualcosa.* • 4 clausola: Che nei comizi elettorali si tenga conto al di fuori dell’ordine dei candidati a una magistratura a una podestà o impero che egli abbia raccomandato al senato, *quindi abbiamo questa pratica della suffragium termine latino elegante (suffragrationem) per rendere il termine raccomandazione. Quindi laddove si doveva procedere all’elezione dei magistrati i comizi centuriati, nel caso dei magistrati superiori o i comizi tributi nel caso di magistrature inferiori, dovevano tenere conto se c’era quale “suffragato” per non dire raccomandato dell’imperatore, cioè se l’imperatore aveva una lista di suoi preferiti. L’imperatore poteva avere una lista di prescelti. La cosa interessante o meglio inquietante è che vedete tutto ciò era sancito, nel nostro mondo avviene ma non era sancito dalla legge, nel mondo romano avveniva ma era sancita dalla legge.* • 5 clausola: Che gli sia consentito di ampliare ed estendere i confini del pomerio quando riterrà che sia utile per la res publica così come fu consentito a Tiberio Giulio Cesare Augusto Germanico. *Il riferimento è a Claudio.* • 6 clausola: Che egli abbiamo il potere di compiere e realizzare qualunque cosa vi terrà utile alla res publica.(può fare quello che gli pare) è consono alla grandezza delle questioni divine umane publiche e private così come fu ecc… • 7 clausola: Che l’imperatore Cesare Vespasiano sia svincolato da quelle leggi e da quei plebisciti il quale fu scritto che non fossero vincolati ecc.. *qui il riferimento è il plebiscita->cioè quelle decisioni emananti appunto dai concilia che non sono solo più prerogativa delle plebe ma delle decisioni prese dal popolo.* Di tutto ciò che prima di questa legge sia stato compiuto, realizzato, decretato, ordinato dall’imperatore Cesare, Vespasiano Augusto ecc.. sia valido come se fosse stato compiuto per ordine del popolo o della plebe. *Quindi LA LEGGE AVEVA VALORE RETROATTIVO, anche perciò che già Vespasiano aveva deciso. • La SANCTIO: *norma di chiusura, questo è uno schema importante perché è lo stesso che troveremo nei corpora nel codice teodosiano ad esempio. Quindi ogni legge si chiude con una SANCTIO* se qualcuno importa della presente legge abbia compiuto o avrà compiuto atti contrari a leggi proposte per discidio , senato consulto oppure se importa della presente legge non avrà compiuto quello che dovrà compiere in base alla legge proposta per dissidio o senato consulto non subisca danno nessuno debba tenere conto al popolo per questi patti, nessuno sia accusato o citato in giudizio per questi patti, nessuno consenta che presso di se si intende un processo per questi patti. *Quindi questa è la sanzione che mira a rassicurare l’efficacia di questa legge, chiaramente il fatto che ne manchi una parte non ci consente di elencare in maniera perfetta, tant’è che ancora appunto si studia, e si arriva ad elencare alla fine tre o quattro punti salienti però mancano poteri come la tribunicia potestas o lo stesso imperium che sicuramente erano conservabili nella prima parte del testo.* Quindi che cos’è la lex dell’imperium? È appunto una legge che passa in rassegna le prerogative di poteri del princeps è l’unica che ci è giunta, non possiamo dire sia unica in toto, è probabile che gli altri imperatori l’abbiano emanata oppure è probabile che Vespasiano abbia sentito l’esigenza di mettere per iscritto i poteri del princeps dopo l’anno di turbolenze del 68/69 in cui effettivamente l’imperatore era in balia delle legione o dei pretoriani o del senato. Cronologicamente siamo nel 70 dove la legge viene votata accettata e l’anno successivo nel 71, abbiamo: consolidamento di questa successione dinastica perché nel 71 Vespasiano associa al potere il figlio Tito come Cesare. Abbiamo visto qui, di questa prassi già all’interno della dinastia Giulio Claudia che continua, quindi Cesare Tito futuro imperatore designato. Vespasiano dimostra di poter garantire una successione preordinata; Vespasiano, Tito, poi ci sarebbe stato Domiziano. Ma Tito tra l’altro siamo nel 71 già aveva aiutato il padre per quanto riguarda la guerra Giudaica. Nel momento in cui nel 69 dal senato viene riconosciuto il potere di Vespasiano in quanto princeps a quel punto Vespasiano non può condurre e guidare le legioni in prima persona, per cui affida la gestione della guerra Giudaica al figlio Tito, Quindi nel 69 Vespasiano Imperatore e Tito diciamo delegato alle gestione della guerra Giudaica. Ed è nel 70 che LA GIUDEA VIENE PRESA: Parliamo di presa del tempio di Gerusalemme ad opera di Tito, quindi il tempio di Gerusalemme viene distrutto. Infatti si dice che nel 70 inizia la diaspora degli ebrei, La dispersione del popolo ebraico. E nel 71 Tito infatti celebrerà il suo trionfo a Roma dove verrà costruito l’arco di trionfo o arco di Tito. Continua poi con la distruzione della rocca forte giudaica Masada. In giudea a questo punto succede che viene collocato una legione (le legioni venivano collocate in una terra una zona non pacata, una zona particolarmente predisposta alle sommosse e ribellioni quindi Iudaea Capta) governata da un legato imperiale perché c’era bisogno di persone di fiducia in quanto zona calda. Viene introdotto un Fiscus Iudaicus , cioè vengono sottoposti i giudei a pagare un tributo. Le notizie su questo periodo su questo evento ci vengono e sono concordi non solo da storici di tradizione romana ma anche giudaica come Giuseppe Flavio. Lo storico ebraico Giuseppe Flavio autore delle antichità giudaiche, che sono una fonte preziosa per ricostruire la rivolta giudaica. Venne fatto prigioniero ma poi venne allo stesso tempo insignito della cittadinanza romana, ci troviamo dinanzi una figura che sembra ripercorre la vicenda di Polibio che da prigioniero romano in quanto facente parte della lega Achea diventa poi un esaltatore di quella che è la res publica romana. Giuseppe Flavio dopo la prigionia effettivamente diventa cittadino romano. giunte sono di stampo senatorio quindi è normale che ci troviamo di fronte a testimonianze parziali, di parte, e quindi cercheremo di scindere quanto di buono Domiziano ha fatto così come hanno fatto Nerone e Caligola. C’è questa ostilità della tradizione storiografica per cui bisogna stare attenti e confrontare le fonti e c’è sempre la necessità di sapere chi ha scritto una determinata opera. Innanzitutto, Domiziano opera in maniera positiva per quanto riguarda l’amministrazione delle province perché come abbiamo visto sin dall’età repubblicana un problema era quello dei reati de repetundis quindi da questo punto di vista Domiziano ha cercato di reprimere gli abusi dei governatori quindi vi è un controllo e repressione degli abusi dei governatori. Poi, come aveva fatto il padre, favorisce il ceto equestre affidandoli ai cavalieri quelli officia che Claudio aveva riservato per i liberti. Ma la sfera che è più importante è la politica Limitanea. Fino ad oggi abbiamo parlato di confini e frontiere legati ad elementi naturali, con Domiziano abbiamo la creazione di confine artificiali, cioè abbiamo operazioni di consolidamento laddove ci sono confini naturali, ma anche la costruzione di questi edifici che si chiamano Castella, delle sorta di torri d’avvistamento, torri di guardia che collegavano i vari accampamenti; a livello visivo si poteva notare il limes romano. Non c’è più il solo elemento naturale, abbiamo delle vere e proprie frontiere artificiali che separavano l’impero dal barbaricum, l’impero dai territori esterni. Ovviamente queste zone erano presidiate da soldati ausiliari. In quel periodo compie una campagna sul Medio Reno contro i Catti e dinanzi ad una situazione che diventava sempre più difficile da gestire si sente l’esigenza di mettere dei limiti. Non a caso in concomitanza con una politica estera che presentava non pochi problemi: la sfida viene dalla Dacia, l’attuale Romania, in cui vi sono delle incursioni verso l’impero (solitamente si fanno risalire le prime incursioni al periodo di Marco Aurelio però in realtà abbiamo già parlato dei Cimbri e dei Teutoni). Quindi cosa si fa? Chiaramente si tratta di popolazioni divise in tribù per cui è difficile giungere ad un trattato/patto; ma che Domiziano riesce a stringere con Decebalo che è un capo tribù. In seguito, c’è anche una rivolta di un governatore della Germania, Saturnino. Quindi Domiziano interviene e punisce i ribelli. Tuttavia, in politica estera abbiamo una politica accorta e in politica interna che si fa la fama di autocrate, dominus. Cosa succede? Si assiste ad un periodo di eliminazione di tutti colori che si opponevano al potere quindi eliminazione del dissenso. Ma in questo caso si tratta di cristiani, giudei, quindi di tutti coloro che si opponevano al regime e che quindi non partecipavano attivamente alla vita politica. Tra questi cristiani vi sono il console Flavio Clemente e la moglie, Flavia Domitilla. Il fatto che vi fossero la condanna di questi personaggi (che erano molto in vista a Roma, perché il cristianesimo cominciava a diffondersi anche tra le classi più alte) ha fatto parlare alcuni studiosi di persecuzione ma non vi è mai stata una persecuzione da parte di Domiziano, bensì c’è stata una politica di condanna verso quanti non aderivano al suo regno. Ed ecco, i cristiani che vengono accusati di ateismo (condanna che permarrà anche successivamente), quindi non è la condanna di non essere seguaci di cristo, ma di non seguire i culti della tradizione pagana, la tradizione di quelle divinità che garantivano la pax deorum, l’equilibrio dell’impero. Flavio Clemente, oltre ad essere console, era patruleus, era suo cugino paterno. Nei passi di Svetonio leggiamo le motivazioni delle condanna: “era costui assai disprezzato per l’inettitudine” ossia questi individui erano accusati di non partecipare attivamente alla vita politica. Ateismo perché non praticavano la tradizione pagana, il culto dell’imperatore ecc… ma “inettitudine” perché non partecipavano alla vita politica, cosa che veniva vista come una forma di dissenso e per tanto condannata. Ma Domiziano aveva adottato i figli di Flavio Clemente designandoli come suoi successori e a mutare i loro nomi precedenti per chiamarli Vespasiano e Domiziano. Fu con questa azione che affrettò la sua distruzione. Questo sua tendenza al cambio repentino, dal designare i figli di Flavio Clemente come suoi eredi all’ucciderli. Quindi Domiziano ha esercitato un’azione contro tutti gli oppositori del suo regime, non in quanto cristiani ecc.., ma in quanto oppositori al suo regime. Molti ebrei non saranno condannati perché pagavano il fiscus iucalicus, infatti molti cristiani per non essere cacciati pagheranno il fiscus iudalicus; quindi, la tassa che dava quasi loro il diritto di professare, ma non era nient’altro che un provvedimento fiscale, infatti non pagarla era commettere un’evasione fiscale. In questo clima di tensioni, ostilità e sospetti, Domiziano si crea dei nemici e cade vittima di una congiura e della damnatio memoriae; Domiziano muore nel 96 senza lasciare un erede e ci troviamo di fronte al problema della successione, anche in questo caso siamo di fronte alla fine di una dinastia e quindi bisognava trovare un successore. Chi subentrerà nel 96 non sarà la soluzione perché dovrà cercare egli stesso di trovare soluzione al problema della successione al potere. Lezione 3/05. “The Golden Age” Marco Aurelio è l’ultimo di questo periodo che inauguriamo: “The golden age” definita così da uno studioso della storia dell’antichità: Gibbon, un’esponente della storiografia inglese di stampo illuminista che incontreremo molte volte, soprattutto nella tarda antichità. Nella sua “The History of the Decline and Fall of the Roman Empire” ha definito il II sec come un periodo aureo, un secolo d’oro, il secolo in cui ogni uomo dovrebbe desiderare di vivere, il periodo ideale in cui vivere. Questo perché si viene a creare una forma di governo perfetta, ossia che presenta quell’armonia tra il princeps ed il senatus che era venuta a mancare dopo l’età augustea. Dopo gli inizi, in cui si parlava quasi di una diarchia tra princeps e senatus, come sottolineato da alcuni studiosi a proposito del rapporto tra Augusto ed il senato, o come si era verificato sotto Tiberio che addirittura aveva restituito i suoi poteri particolari al senato: con gli altri imperatori della dinastia giulio-claudia questo rapporto era stato sempre più caratterizzato da tensioni. In questa fase si ha quindi il trionfo dell’oligarchia senatoria. Il giudizio positivo è dovuto ai concetti di ἰσότης, isotes, termine greco che sta ad indicare l’uguaglianza, questa sorta di parità che fa nuovamente del princeps un primus inter pares. Abbiamo accennato come fonte al “Dialogus de oratoribus” di Tacito, che fa riflettere sull’impossibilità di esercitare la libertà di espressione e di parola sotto un regime che presenta dei connotati tirannici: Domiziano si faceva chiamare “dominus et deus”, abbiamo visto come il dissenso veniva messo a tacere con le maniere forti. Nel secondo secolo si ha il recupero della Parrhesia, la libertà di parola, e torna a fiorire l’eloquenza. Il trionfo dell’oligarchia non significa immobilismo perché continua l’apertura del senato ai nuovi ceti emergenti, provenienti dalle province, continua il processo di inclusione inaugurato da Claudio e portato avanti anche dagli stessi flavi. Gli imperatori della “golden age” sono Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Traiano viene dalla Spagna: se ci aveva stupito Vespasiano, proveniente da Rieti, nella Sabina, ci stupisce ancor più un imperatore di origine provinciale. Ci allontaniamo sempre più dalla centralità di Roma: per la prima volta abbiamo al potere non solo un non romano, ma anche un non italico. Di origine provinciale sono anche Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. A questi imperatori di origine provinciale si arriva attraverso una figura di transizione, che, come tale, viene scelta, dopo la morte di Domiziano, il quale non aveva eredi. Costui è un anziano senatore, sessantenne (nel mondo romano un sessantenne era già nella senilità): Nerva. NERVA: 96-98 D.C. Nerva viene scelto dai grandi senatori per ripristinare l’ordine e cercare di risolvere il problema della successione che si presentava ogni volta che si aveva al trono un imperatore senza eredi o eredi designati mediante l’adozione (applicata per lo più all’interno della stessa gens o della stessa famiglia nella dinastia dei giulio-claudi). Con Nerva il principato diventa adottivo. Si sapeva benissimo che il suo principato sarebbe durato pochissimo, soltanto due anni, durante i quali cerca di risolvere il problema della successione procedendo alla scelta del successore per adozione ma non sulla base di rapporti di parentela o amicizia, ma sulla base delle virtù: si guarda ai senatori migliori e si sceglie il migliore. La fonte che ci lascia cogliere tutti i dettagli a proposito di questo processo successorio è Plinio il giovane, che sotto l’imperatore che verrà scelto da Nerva come optimus, Traiano, ricopre la carica di governatore della Bitinia. Plinio, in quanto governatore provinciale, intratteneva un carteggio, una corrispondenza epistolare con l’imperatore, per noi illuminante in quanto ci aiuta a ricostruire varie vicende che si verificavano in quei tempi. In particolare, la fonte che ci consente di enucleare i principi del principato per adozione è un discorso di elogio, un panegirico scritto proprio in onore del successore di Nerva, Traiano. Quindi la nostra fonte sarà il panegirico di Plinio il giovane a Traiano. E’ la nostra fonte per quanto riguarda il principato adottivo, ossia il principato che caratterizza il II sec, inaugurato da Nerva, imperatore che sceglie il suo successore in base alle virtù che questo spagnolo aveva dimostrato in vari ambiti. Nerva proviene da Narni, in provincia di Terni, è umbro (anch’egli, come Vespasiano, non è romano, ma è cittadino romano perché ormai sappiamo che tutta la penisola aveva la cittadinanza). È un uomo anziano (infatti è percepito come transizione), senza figli, quindi senza eredi diretti, e senza legami diretti con l’esercito; infatti bisognava staccarsi da tutto ciò che aveva creato scompiglio. Una volta arrivato al potere abolisce il Fiscus Iudaicus, quella tassa introdotta a sugello della distruzione del tempio di Gerusalemme ad opera di Tito nel 70. Mostra particolare cura per gli acquedotti di Roma, nel periodo in cui opera l’architetto Frontino, che viene nominato curator degli acquedotti. E comincia a profilarsi una politica che oggi chiameremmo di “welfare states”, una politica di attenzione verso le classi bisognose (avevamo utilizzato questo anacronismo anche con Gaio Mario). Nerva interviene a favore dei bisognosi concedendo terreni agli indigenti, ai poveri: l’obiettivo è sempre quello di rendere autonomi gli indigenti attraverso il ripristino della piccola proprietà terriera. Quindi la concessione di appezzamenti ed esenzioni fiscali. C’è la possibilità che Nerva sia stato l’ideatore degli assegni alimentari, gli “alimenta”, anche se ad oggi non se ne ha la certezza e si propende più verso Traiano per la paternità di queste istituzioni alimentari. Con Nerva comunque comincia questa propensione verso i bisognosi. Rimane due anni al potere, è un regno molto breve, alla stregua di quello di Tito, ma il motivo per cui lo ricordiamo principalmente è proprio il principio di adozione del migliore: adotta lo spagnolo Marco Ulpio Traiano. Il gentilizio di Traiano ci riporta alla gens Ulpia, una gens importante su cui torneremo più avanti per spiegare i rapporti più o meno veritieri di parentela. Era governatore della Germania superior ed aveva quindi già avuto modo di dimostrare le sue doti di amministratore. Ma andiamo a vedere quali sono i principi di questo principato adottivo, questa adozione basata sulle virtù. Anzitutto il cognomen, il soprannome, attribuito a Traiano è “optimus princeps”, incarna l’ideale dell’optimus princeps. Da Panegirico di Traiano 88, 4-10: “Furono legittimi i motivi per i quali il senato ed il popolo ti aggiunsero il soprannome di Ottimo? E’ vero che si tratta di un appellativo ovvio e a disposizione di tutti, ciò nonostante è nuovo…questo nome è così esclusivamente connesso con la tua persona, quanto lo è quello che ti è venuto da tuo padre, e non ti indica in maniera più netta e determinata chi ti chiama Traiano di chi ti chiama Ottimo. Difatti come l’appellativo Augusto rievoca alla nostra mente colui al quale fu per la prima volta attribuito, così questa qualifica di Ottimo non si ripresenterà mai alla memoria degli uomini, senza essere connessa con la tua figura e, tutte le volte che i nostri posteri saranno indotti a chiamare qualcuno ottimo, puntualmente ricorderanno chi meritò di farsene il proprio nome personale.” Optimus è il cognomen, l’appellatio tipica di Traiano, quindi quando diremo “optimus princeps” dovremo immediatamente pensare a lui, questo è il messagio che Plinio vuole far passare. Le caratteristiche poi dell’optimus princeps fanno riemergere l’ideale greco di καλοκαγαθία relativo all’eroe, deve essere καλὸς καὶ ἀγαθός. Quindi la bellezza fisica sarebbe specchio di virtù interiori. Da Plin. Paneg. 4: “il suo stesso fisico è solido e slanciato, la stessa autorevolezza del suo capo e la signorilità del suo volto, ed inoltre il pieno vigore degli anni, ancora alieno da qualsiasi cedimento, e la chioma nobilitata, per uno speciale dono degli dei, dai precoci caratteri della vecchiaia per aumentarne la maestà, non mettono subito in evidenza, da qualsiasi distanza lo si guardi che quello è un imperatore?”. La chioma bianca è segno di saggezza, tant’è che Plinio la definisce nobilitata. C’è tutta una serie di caratteristiche fisiche che sono specchio di virtù interiori: abbiamo una personalità nel pieno vigore degli anni ma, allo stesso tempo, la figura di una persona saggia, come dimostra la chioma bianca, vista quasi come un dono degli dèi per dare un tocco di maiestas in più. Dobbiamo però tenere conto del fatto che la fonte che stiamo utilizzando sia un panegirico, un discorso di elogio; quindi, è chiaro che tutto venga sottoposto alla tecnica dell’amplificatio (αὔξησις, aúxēsis in greco), tutto viene amplificato. La caratteristica di questo imperatore scelto in base alle sue virtù: è un imperatore portato al potere in un periodo di pace, non durante guerre civili come era stato per Ottaviano Augusto, o lo stesso Vespasiano. Plin. Paneg. 5 “E tale doveva essere colui che non ci era stato dato dalle guerre civili, né da una conquista armata dello stato, ma dalla pace, dall’adozione e dagli dei, che finalmente si lasciarono indurre a guardare benignamente la terra.” Ma la parola chiave è adoptio, si tratta di un imperatore che ci è stato dato sì dalla pace, dal volere degli Dei, ma soprattutto dall’adoptio: una scelta tranquilla dell’imperatore. Gli aspetti connotanti l’adoptio sono i seguenti: Nessun rapporto di parentela e nessun rapporto di amicizia. Plin. Paneg. 7 “Non intercorreva nessuna relazione né di parentela né di speciale amicizia tra l’adottato e l’adottante: unico legame era che entrambi spiccavano per ogni virtù, così che l’uno meritava di essere scelto e l’altro di sceglierlo.” La conditio sine qua non era che tanto chi sceglieva, tanto chi veniva scelto, fossero degli “ottimi”, avessero la καλοκαγαθία, le caratteristiche appena passate in rassegna da Plinio: virtù interiori palesate dallo sguardo fiero, dalla canizie e la fortitudo emanata dal corpo. TRAIANO: 98-117 D.C. Avviene così per Traiano che sale al potere scelto da Nerva sulle basi delle virtù dimostrato dal governatore della Germania Superior e la cui grandezza, probabilmente l’avrete incontrato nelle terzine dantesche, è riconosciuta anche dalla fortuna postuma dell’imperatore, lo si incontra nel XX canto del Paradiso, tra gli spiriti giusti, ed è qui che Dante cerca di recuperare il mancato processo di adesione al cristianesimo da parte di Traiano. Traiano che viene resuscitato dalle preghiere di San Gregorio e reincarnatosi si salva credendo in Cristo, quindi abbiamo una conversione post mortem in queste terzine del Paradiso dantesco. Lo si trova ancora prima nel Purgatorio nel X canto tra gli esempi di umiltà per i superbi, quindi, non abbiamo un imperatore ambizioso, quindi un “Dominus et Deus” quale era stato Domiziano, ma torna un imperatore che amava presentarsi come un civilis, come un uomo qualunque che si connotava per la sua affabilità. Per quanto riguarda questa mancata conversione al cristianesimo, giustificata dallo stesso Dante, per il periodo in cui visse, (ormai il cristianesimo era una realtà) ma evidentemente non c’era stata occasione perché si convertisse, però vediamo subito che Traiano si mostra ben disposto nei confronti dei cristiani. E come facciamo a saperlo? La nostra fonte è sempre Plinio. C’è giunta una mole enorme di notizie, tanto dal Panegirico quanto dalle lettere. La corrispondenza era molto fitta tra i governatori provinciali e l’imperatore, abbiamo visto che c’era proprio un ufficio ab epistulis, vi ricordate, che era stato affidato da Claudio ai Liberti e restituito ai cavalieri da Vespasiano. Queste lettere, questa corrispondenza, ci dimostra come effettivamente i governatori provinciali ponessero delle interrogazioni agli imperatori sui casi che non riuscivano a dividere, che non riuscivano a risolvere, e a tal proposito importantissima è l’epistola X di Plinio perché si tratta una lettera in cui Plinio chiede a Traiano come debba comportarsi nei confronti dei cristiani. Plinio il giovane, Epist. 10, 96, 1-2: “Non ho mai preso parte ad istruttorie a carico dei Cristiani; pertanto non so che cosa e fino a qual punto si sia soliti punire o inquisire. Ho anche assai dubitato se si debba tenere conto di qualche differenza di anni, se anche i fanciulli della più tenera età vadano trattati diversamente dagli uomini nel pieno del vigore; se si conceda grazia in seguito al pentimento, o se a colui che sia stato comunque cristiano non giovi affatto l’aver cessato di esserlo; se vada punito il nome di per se stesso, pur se esente da colpe, oppure le colpe connesse al nome.” Questo cosa ci dimostra? Ci dimostra che a differenza di come pensavano alcuni studiosi tra cui, Marta Sordi e Ilaria Ramelli non esisteva ancora una legislazione contro i cristiani, vi ricordate l’ipotetico SENATUS CONSULTUM del ’35, noi abbiamo parlato di questo senatus consultum, di questa propensione ad accogliere anche il Cristo tra le divinità del Phanteon romano e il rifiuto da parte del senato; ebbene non si ha però una legislazione che dicesse: NON LICET ESSE CHRISTIANOS, non è lecito essere cristiani. Non c’è una legge e lo dimostra proprio questa epistola di Plinio, perché sarebbe stato grave, per un governatore porre un’interrogazione all’imperatore palesando la sua ignoranza sulla legislazione; quindi, se io governatore provinciale che dovevo amministrare l’ambito civile e l’ambito militare, pongo l’interrogazione all’imperatore è perché evidentemente quell’ambito è scoperto dalla legislazione. Questa lettera è la prova tangibile che non esistesse nell’impero ancora una legislazione contro i cristiani, non c’era nessuna legge che vietava di essere cristiani. Allora cosa dice Plinio? “Non ho mai preso parte ad istruttorie a carico dei cristiani”, quindi “COGNITIONIBUS DE CHRISTIANIS”, cioè non ho mai preso parte a processi contro i cristiani; “e quindi non so che cosa e fino a quale punto si sia soliti punire o inquisire, PUNIRI SOLEAT AUT QUAERI”, la quaestio appunto l’inquisizione. “Ho anche assai dubitato se si debba tener conto di qualche differenza di anni, se anche i fanciulli della più tenera età vadano trattati diversamente dagli uomini nel pieno del vigore”, non sa come comportarsi, se con fanciulli bisogna comportarsi come gli adulti, e poi chiede, “se si conceda grazia, venia detur paenitentiae, in seguito al pentimento, o se a colui che sia stato comunque cristiano non giovi affatto l’aver cessato di esserlo”. Questo è importante: NOMEN IPSUM, SI FLAGITIIS CAREAT, AN FLAGITIA COHAERENTIA NOMINI PUNIANTUR, cioè “se vada punito il nome di per sè stesso , pur se esente da colpe” cioè se vengano puniti per il fatto stesso di essere cristiani (per il nomen), “oppure per le colpe connesse al nome” (flagitia coharentia nomini). Devo punire per il nome di essere cristiani oppure in quanto i cristiani hanno commesso delle colpe? Ecco questa è la domanda che pone con questa epistola un governatore provinciale, quale Plinio (governatore del Ponto-Bitina), all’imperatore Traiano. Quindi cosa dimostra questo passaggio della lettera, dell’epistola X? Che non c’era effettivamente una legislazione contro i cristiani, specificamente contro di essi: se poi ai cristiani voglio attribuire una colpa punibile, comunque per qualsiasi individuo, indipendentemente dalla religione professata, è un’altra cosa. Quindi Plinio non sa se i cristiani debbano essere condannati tout court per il fatto stesso di portare il nome di cristiani, quindi per il nomen, oppure per i crimini che venivano connessi con il fatto di essere cristiani. Avevano accennato all’abitudine di riunirsi in posti sotterranei che faceva pensare a pratiche strane; quindi, questo ci dimostra che non c’era limitazione. Allo stesso tempo comunque pone qualche dubbio su quella che era stata la tesi di Mommsen, grande studioso della romanità, il quale riconduceva al potere di coercitio del governatore (questo potere consisteva nell’esercizio di poteri di polizia). Il governatore Plinio non ricorre, come pensava Mommsem, al suo potere di coercitio, bensì si muove solo dietro denunce private; quindi, ci sono dei cittadini romani che denunciavano alcuni individui di professare il cristianesimo, di macchiarsi di crimini connessi al cristianesimo, è soltanto dietro queste denunce che il governatore interviene, non utilizza l’arma della coercitio. Adesso Plinio dice a Traiano come si è comportato fino a quel momento: “Ho seguito questa procedura chiedevo loro se fossero cristiani, INTERROGAVI IPSOS AN ESSENT CHRISTIANI, se confessavano li interrogavo una seconda e una terza volta, minacciandoli di pena capitale”, ricordate l’interrogatorio era finalizzato ad estorcere quello che il giudice si prefiggeva, “quelli che perseveravano, li ho mandati a morte”. Ma questo è un atteggiamento individuale di Plinio, cioè Plinio in quanto governatore sceglie questa misura. Ma vi ricordate il motivo per cui erano divisi gli imperatori? Perché non praticavano i riti legati all’impero, erano inadempienti verso il genius dell’imperatore stesso. “Coloro che negavano di essere cristiani o di esserlo stati, ritenni di doverli mettere in libertà”, NEGABAT SE ESSE CHRISTIANOS AUT FUISSE DIMITTENDOS PUTAVI. “Altri denunciati da un delatore”, la delazione era molto
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