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Storia romana, Dalle origini di Roma fino alla fine dell'impero romano di Occidente., Schemi e mappe concettuali di Storia Romana

Appunti integrati al libro di storia romana dalle origini di Roma fino alla fine dell'impero romano d'Occidente e Bisanzio.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 22/09/2022

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Scarica Storia romana, Dalle origini di Roma fino alla fine dell'impero romano di Occidente. e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Storia romana LOTTA TRA PATRIZI E PLEBEI Nei primi anni della Repubblica romana: - i patrizi erano i soli che potevano essere eletti magistrati e potevano fare parte del Senato; - i plebei, che erano la maggioranza della popolazione, partecipavano alle guerre come soldati. La cavalleria, reclutata tra i patrizi, iniziava ad avere meno importanza e il ruolo dei plebei nelle legioni diveniva sempre più rilevante dopo l'introduzione del combattimento oplitico da parte di Servio Tullio. La separazione tra le due classi era tale che erano vietati anche i matrimoni tra patrizi e plebei. Il peggioramento delle condizioni di vita dei plebei era legato alla fine della monarchia. Questa, infatti, si era appoggiata ai plebei per limitare il potere del ceto aristocratico che aveva nel Senato il suo punto di forza. Dopo la cacciata dei monarchi, i patrizi si sentirono liberi di affermare tutto il proprio potere. La serrata del patriziato consisteva in una monopolizzazione delle cariche politiche. Dato che i magistrati, e in particolar modo i consoli, erano tutti aristocratici, così come i senatori, i patrizi detenevano il potere di governare Roma. Le prime guerre combattute durante la Repubblica costrinsero i plebei a lasciare il proprio lavoro per poter combattere. Essi, per sfamare le proprie famiglie, furono costretti a contrarre debiti. Inoltre, dovendosi procurare le armi e i vestiti per la guerra, dovevano contrarre altri debiti. Chi aveva denaro da dare in prestito, erano i patrizi, nei confronti dei quali i plebei si indebitarono. I plebei potevano ripagare i propri debiti: lavorando per i patrizi; consegnando loro il raccolto degli anni successivi. Poiché alcune guerre durarono a lungo e distrussero i campi e i raccolti, i plebei si trovarono sempre più sommersi dai debiti. Inoltre, una antica legge romana, stabiliva che, chi non era in grado di far fronte ai propri debiti, diventava schiavo del suo creditore. Così molti plebei persero la propria libertà o rischiavano di perderla. I patrizi non risentivano delle guerre dal punto di vista economico perché potevano far lavorare le loro terre dai propri clienti e dagli schiavi. Inoltre, avevano un'altra fonte di guadagno, ovvero l'uso esclusivo dell'agro pubblico, cioè di quei terreni che erano stati sottratti ai nemici vinti. Ad aggravare le condizioni dei plebei c'era la mancanza di leggi scritte. Poiché i tribunali erano composti solamente da patrizi, essi applicavano le leggi sempre a proprio favore. Dato che i plebei, come soldati, contribuivano in modo rilevante alla crescita della potenza romana, essi iniziarono a chiedere: - condizioni di vita migliori per i più poveri; - l'annullamento o la riduzione dei propri debiti; - la possibilità di accedere alle cariche pubbliche. I patrizi non accolsero queste richieste. Conseguenza di tutto ciò fu la secessione dell'Aventino: la plebe, nel 494 a.C., si ritirò sul colle dell'Aventino, dove decise di fissare la propria dimora, lasciando la città senza alcuna protezione militare. La secessione dell'Aventino si concluse, dopo alcune trattative condotte dal patrizio Menenio Agrippa, che era già stato console ed era molto stimato dai plebei. Questi ultimi ottennero di eleggere alcuni magistrati come loro rappresentanti. Essi presero il nome di tribuni della plebe: inizialmente furono 2, poi 5 e successivamente giunsero ad essere 10. I tribuni della plebe si contrapponevano ai consoli e avevano il potere di veto: essi, cioè, potevano bloccare una legge quando pensavano che questa danneggiasse i plebei. I tribuni della plebe non potevano subire offese o violenze e le loro decisioni dovevano essere rispettate. Ad eleggere i tribuni della plebe era l'assemblea della plebe che, nel 471 a.C., fu istituita con la legge Publilia. L'assemblea era riunita per tribù. Nella Repubblica romana, le prime leggi scritte, civili e penali, furono emanate nel 451 a.C. Fino ad allora le leggi erano tramandate oralmente da giudice a giudice. Dato che i giudici erano tutti patrizi, spesso le norme venivano interpretate a danno dei plebei. L'incarico di scrivere queste leggi fu affidato a 10 magistrati, detti per questo decemviri. I Romani, nella stesura di tali leggi, si ispirarono alle leggi greche, mandando alcuni membri del Senato nella Magna Grecia e ad Atene, all'epoca sotto il governo di Pericle. Con le leggi Licinie-Sestie si stabiliva che uno dei due seggi consolari sarebbe spettato a un plebeo (i consoli erano due, adesso uno plebeo e uno patrizio) e che a ogni cittadino sarebbero spettati almeno 125 ettari dell’agro pubblico. In poco tempo tutte le cariche aperte solo ai patrizi furono aperte anche ai plebei. Con la legge Petelia Papiria nel 326 a.C. sì aboliva la schiavitù per debiti. Con la legge Ogulnia nel 300 a.C. i plebei poteva accedere al collegio religioso e alla carica di pontefice massimo. Con la legge Ortensia le leggi promulgate dall’assemblea della plebe valevano anche per i patrizi, come quelle promulgate dai comizi centuriati valevano anche per i plebei. È giusto ricordare che ci fu un altro tentativo di abbandono di Roma da parte dei plebei che però fu risolto con l’elezione a dittatore di un plebeo, prima volta nella storia. Siamo nel 287 a.C. e il dittatore si chiamava Quinto Ortensio, la legge Ortensia è opera sua. L’ESPANSIONE DI ROMA IN ITALIA. LA LEGA LATINA La Lega latina era un patto stretto tra alcune città latine che circondavano Roma e che non accettavano la sua supremazia, soprattutto dopo la cacciata degli Etruschi. Per Roma era molto importante difendersi dalla Lega latina per due ragioni: la prima era la necessità di difendere i territori in suo possesso; la seconda era che, le città della Lega latina, costituivano una fascia di territorio che circondava Roma e rappresentava un ostacolo ad ogni suo tentativo di espansione. Lo scontro decisivo tra i Romani e i Latini si ebbe nei pressi del Lago Regillo, nel 496 a.C. Il foedus Cassianum fu un accordo stipulato nel 493 a.C. tra i Romani e i Latini, in base al quale essi si impegnavano: alla pace perpetua; ad un reciproco aiuto in caso di attacchi da parte dei nemici; al comando, a turno, degli eserciti impegnati nelle guerre comuni; ad una giusta divisione dei bottini di guerra; alla fondazione, in comune, di colonie. In questo modo Roma entrava nella Lega latina, non in una posizione subalterna, bensì in una posizione di parità con i Latini avendo i loro stessi diritti e doveri. Il fodeus Cassianum prevedeva anche: il diritto di libero commercio; la possibilità di contrarre matrimoni misti tra i cittadini delle città della Lega. Il motivo che spinse i Romani e i Latini ad allearsi fu il pericolo rappresentato dai popoli che dai monti dell'Appennino si erano spinti verso il Lazio alla ricerca di terre più fertili. Equi, Volsci e Sabini avevano occupato Tivoli e Anzio. Sentendosi minacciati da popoli di stirpe diversa, Romani e Latini fecero fronte comune. L'INVASIONE GALLICA I Galli erano una popolazione di origine indoeuropea proveniente dall'Europa centrale. Si trattava di tribù prive di un'organizzazione civile, ma molto bene armate e, di conseguenza, molto minacciose. Intorno al IV secolo a.C. alcune tribù celtiche, superate le Alpi, si erano stanziate nella Pianura Padana. I Galli, guidati da Brenno, giunsero a Roma dopo aver attraversato, indisturbati, l'Italia centrale. Qui, gli Etruschi, si erano chiusi nelle loro città fortificate e li avevano lasciati passare. I Galli, infatti, non erano abili negli assedi e, pertanto, preferirono saccheggiare le zone circostanti alle città e proseguire verso sud. I Romani non disponevano di mura difensive come quelle delle città etrusche. Quindi, insieme ai propri alleati, tentarono di fermare i Galli prima che giungessero a Roma, al fiume Allia, un affluente del Tevere, nel 390 a.C. I Romani persero la battaglia e la città di Roma, priva di difese, fu nelle mani dei nemici. La vicenda si concluse con l'invasione dei Galli che incendiarono Roma e la saccheggiarono. Vi fu un tentativo di reazione da parte di un piccolo gruppo di Romani rifugiatisi nel Campidoglio. I Galli cercarono di conquistare il Campidoglio, ma non riuscendovi decisero di pattuire un riscatto per lasciare libera la città. Le città precedentemente sottomesse a Roma reagirono di fronte alla sconfitta dei Romani ribellandosi. Gli Equi, i Volsci, le città etrusche e anche alcune città della Lega latina cercarono di trarre vantaggio da tale situazione. Roma reagì al suo saccheggio da parte dei Galli ricostruendo la città e innalzando mura di cinta per evitare altre eventuali incursioni nemiche. Le abitazioni furono ricostruite, gli edifici del Foro restaurati, le strade Pirro giunse in Italia via mare con un esercito ben armato e dotato anche di una ventina di elefanti addestrati per il combattimento. I Romani, che non avevano mai visto questi animali enormi, furono sconfitti in due battaglie: ad Eraclèa nel 280 a. C.; ad Ascoli di Puglia nel 279 a.C. Quest'ultima, però, aveva comportato molte perdite anche per l'esercito di Pirro. I Romani reagirono alle sconfitte inviando dei rinforzi. Un nuovo scontro avvenne con le truppe di Pirro a Malevento nel 275 a.C. I Romani ebbero la meglio e Pirro si ritirò. Proprio in seguito a ciò la città cambiò nome in Benevento. A questo punto Taranto non si arrese e proseguì, da sola, la battaglia contro i Romani. Ma dopo alcuni anni, nel 272 a.C., dovette soccombere. Taranto entrò a far parte delle città alleate, le fu posto l'obbligo di fornire navi da guerra e truppe, e di accogliere nelle sue mura una guarnigione. Una volta che Taranto si fu arresa anche le altre città della Magna Grecia vennero a patti con Roma. Per Roma, questo significava, avere ormai libero accesso alle vie del mare. ROMA E CARTAGINE Inizialmente i rapporti tra Cartagine e Roma erano buoni. Le due città stipularono una serie di trattati. Un primo trattato fu concluso nel 509 a.C. e prevedeva che: i Romani non potevano oltrepassare un certo limite di navigazione e non potevano concludere contratti commerciali in Africa e in Sardegna senza che vi fosse la presenza di un funzionario cartaginese; i Cartaginesi non potevano attaccare le città latine controllate da Roma, né costruire fortificazioni nel Lazio. Durante la repubblica, Roma e Cartagine stipularono un nuovo accordo per fronteggiare l'invasione di Pirro che rappresentava una minaccia per entrambe le città. In quell'occasione stabilirono che Roma avrebbe combattuto Pirro nella penisola, mentre Cartagine lo avrebbe osteggiato in Sicilia. I rapporti tra Cartagine e Roma cambiarono dopo che Roma ebbe sconfitto Taranto ed esteso il suo dominio fino alla punta estrema della Calabria. Da quel momento in poi Roma iniziò ad interessarsi ai traffici mercantili poiché aveva tutto l'interesse a tutelare e potenziare le attività marinare di città come Napoli e Taranto. La Sicilia divenne oggetto di attenzione anche dei Romani. Proprio per questa ragione, quella che era stata fino a quel momento un'amicizia, si trasformò, ben presto, in una rivalità. LA PRIMA GUERRA PUNICA L'episodio che determinò l'inizio delle guerre puniche fu dato allo sbarco dei Romani in Sicilia nel 264 a.C. Essi giunsero sull'isola poiché il loro aiuto era stato chiesto dai Mamertini, soldati mercenari campani che avevano occupato Messina e vi avevano costituito uno stato autonomo. La situazione che si era venuta a creare non era piaciuta a Girone II, tiranno di Siracusa che da tempo mirava ad estendere il proprio potere su tutta la Sicilia I Mamertini chiesero aiuto ai Cartaginesi che inviarono un presidio a Messina. La presenza dei Cartaginesi in un punto così strategico preoccupava i Romani. Così, quando i Mamertini entrarono in conflitto con il presidio cartaginese, e chiesero aiuto ai Romani, essi intervennero dando inizio alle guerre puniche. Inizialmente Roma ottenne alcuni successi: sconfisse Girone II, che si era alleato con Cartagine, e stabilì con lui un'alleanza; conquistò Agrigento dopo un assedio durato 6 mesi. Ciò nonostante la guerra proseguiva dato che Cartagine, dominatrice incontrastata del mare, faceva sbarcare in Sicilia nuovi uomini con estrema facilità. Roma comprese che la vittoria sarebbe andata a chi era più forte sul mare e, di conseguenza, decise di armare una flotta. Le navi romane erano più pesanti e più lente rispetto a quelle cartaginesi, anche perché erano dotate di un pesante congegno denominato corvo. Il corvo era una sorta di ponte levatoio che terminava con un grosso uncino. Esso era usato per agganciare le navi nemiche e consentire ai soldati romani di salire a bordo e combattere corpo a corpo con gli avversari. Il fatto che i Romani avessero inventato questo meccanismo indicava chiaramente che essi erano consapevoli che, la loro unica possibilità di vittoria, era quella di trasformare le battaglie navali, nelle quali non erano particolarmente abili, in combattimenti terrestri, nei quali poteva avere la meglio la loro abilità nell'uso delle armi. La battaglia proseguì con una vittoria dei Romani, guidati dal console Caio Duilio, nelle acque di Milazzo nel 260 a.C. I cartaginesi furono sorpresi dalla nuova tecnica di combattimento dei Romani che avevano trasformato una battaglia navale in qualcosa di simile ad una battaglia terrestre. In seguito a questa vittoria i Romani divennero molto più sicuri sul mare e pensarono di spostare la battaglia in Africa per attaccare direttamente Cartagine. Tuttavia, le truppe sbarcate furono sconfitte. Inoltre una tempesta distrusse quasi completamente la flotta romana a Capo Passero. Il console Attilio Regolo, che guidava i Romani, venne catturato nel 256 a.C. La battaglia decisiva fu una battaglia navale tenutasi presso le isole Egadi nel 241 a.C. Qui i Romani, dopo essere riusciti a ricostruire una nuova flotta guidata da Lutazio Càtulo, distrussero le navi cartaginesi. La principale conseguenza della sconfitta dei Cartaginesi fu che la Sicilia passò completamente sotto il controllo dei Romani. Roma, impose a Cartagine, delle altre condizioni: il divieto di fare guerra agli alleati di Roma; la restituzione dei prigionieri di guerra senza versamento di alcun riscatto; il pagamento di un forte tributo. Alla conquista della Sicilia da parte dei Romani, fece seguito anche la conquista della Sardegna. Roma conquistò la Sardegna nel 235 a.C. Ciò avvenne quando i mercenari cartaginesi che si trovavano sull'isola, non essendo stati pagati, chiesero aiuto a Roma. Quest'ultima intervenne e conquistò l'isola. Successivamente Roma conquistò anche la Corsica. La Sicilia, la Sardegna e la Corsica erano molto distanti da Roma e ciò rendeva difficile poterle governare direttamente. Per questo i Romani pensarono di istituire delle autorità romane sul posto in modo che esse fossero in grado di comprendere al meglio le necessità del luogo e i provvedimenti da prendere. Per questa ragione i Romani istituirono le province. Le province erano territori guidati da magistrati inviati da Roma. Tali magistrati erano scelti tra uomini abili nell'arte di governare: spesso erano stati consoli o pretori e, allo scadere della loro carica, venivano mandati a governare le province. Essi restavano in carica per un anno. LA GUERRA CONTRO GLI ILLIRI Due furono i principali fatti che coinvolsero Roma nei vent'anni successivi alla prima guerra punica: la guerra contro gli Illiri e la guerra contro i Galli. Gli Illiri erano un popolo di origine indoeuropea stanziati nella penisola balcanica e separati dai territori Romani dal Mare Adriatico. Il regno illirico era governato dalla regina Teuta. Gli Illiri praticavano la pirateria e rappresentavano una seria minaccia per tutte le navi che percorrevano l'Adriatico. Per questa ragione i Romani decisero di attaccarli. La guerra contro gli Illiri ebbe inizio nel 230 a.C. La guerra contro gli Illiri si concluse con la distruzione, da parte dei Romani, delle navi illiriche e con la conquista di Durazzo e Apollonia: due importanti città del regno illirico. I Romani crearono un principato autonomo nei territori conquistati e lo affidarono a Demetrio di Faro un avventuriero greco che era stato, in precedenza, al servizio della regina Teuta. LA GUERRA CONTRO I GALLI Le tribù dei Galli erano stanziate nella valle padana. I Galli rappresentavano un pericolo per i Romani perché effettuavano continuamente incursioni nei loro territori. Per questo motivo i Romani decisero di far loro guerra. Le battaglie fondamentali della guerra contro i Galli furono due: quella presso il fiume Oglio, vinta dal console Gaio Flaminio; quella presso Casteggio, nella zona di Pavia, vinta dal console Marco Claudio Marcello nel 222 a.C. In seguito alla vittoria dei Romani sui Galli, Roma: conquistò la Pianura Padana che divenne la sua terza provincia (dopo la Sicilia, la Sardegna e la Corsica); fondò le colonie di Piacenza e di Cremona. La conquista della Pianura Padana fece sorgere l'esigenza di creare una via di collegamento tra Roma e il Nord Italia. Per questa ragione, il console, Gaio Flaminio fece costruire la via Flaminia. LA SECONDA GUERRA PUNICA Cartagine rivolse le proprie attenzioni verso la Spagna, ricca di miniere e dotata di una posizione vantaggiosa per creare delle basi per un'eventuale rivincita su Roma. Amilcare Barca, nel periodo compreso tra il 237 e il 229 a.C, riuscì a conquistare buona parte della Spagna meridionale. La sua opera continuò con il genero Asdrubale e con il figlio Annibale. I Cartaginesi fondarono in Spagna la città di Cartagena. La reazione di Roma, di fronte alla conquista di parte dei territori spagnoli da parte dei Cartaginesi, fu quella di allearsi con la città spagnola di Sagunto, colonia greca situata sulla costa nord-est della penisola. L'episodio che fece scoppiare la seconda guerra punica fu l'assedio posto da Annibale alla città di Sagunto (219 a.C.). La città resistette all'assedio per otto mesi, fino a che, cadde nelle mani dei Cartaginesi. Annibale, consapevole della superiorità navale di Roma e del vantaggio dovuto al possesso delle tre maggiori isole del Mediterraneo (Sicilia, Sardegna e Corsica), pensò di attaccare Roma da settentrione attraversando molto rapidamente la Spagna, i Pirenei, la Gallia, le Alpi, la Pianura Padana e l'Appennino. Annibale pensava che Roma, trovandosi il nemico in casa, sarebbe rimasta pietrificata. Inoltre sperava che le popolazioni italiche si sarebbero ribellate contro i Romani in modo da farsele alleate. Nel 218 a.C. Annibale partì alla volta dell'Italia attraversando i Pirenei e le Alpi con grandi sacrifici dato il clima rigido, la presenza di pochi sentieri, le scarse possibilità di approvvigionamento. Una volta arrivato in Italia, Annibale non fu in condizioni di puntare subito su Roma: il suo esercito era stanco per la fatica di superare le Alpi: questa impresa, infatti, era durata per mesi. Così Annibale preferì, fermarsi nell'Italia settentrionale, dove si alleò con i Galli. Il primo scontro tra Romani e Cartaginesi si ebbe presso il Ticino e si risolse con la sconfitta dei Romani. Nel 218 a.C. i Romani furono sconfitti nuovamente nella battaglia della Trebbia. Infine, nel 217 a.C., i Romani furono sconfitti ancora sul lago Trasimeno. Le aspettative di Annibale, convinto che i popoli italici si sollevassero contro Roma, si rivelarono non realistiche perché le città italiche non si schierarono contro Roma anzi, continuarono a fornire soldati ai Romani. Annibale, non se la sentì ancora di attaccare direttamente Roma e decise di girare al largo e dirigersi verso l'Italia meridionale. Quinto Fabio Massimo, nominato dittatore era propenso alla prudenza. Egli si limitò a controllare da lontano le mosse dei Cartaginesi, senza scendere in battaglia e lasciando che il nemico si stancasse nel suo girovagare. Per questo motivo egli fu chiamato in modo dispregiativo il Temporeggiatore. Questa sua tattica non era condivisa da tutti, anche perché i cittadini impegnati nell'esercito erano preoccupati perché i Cartaginesi avrebbero devastato i loro campi, mentre loro rimanevano fermi negli accampamenti senza poter combattere. Allo scadere del mandato di Fabio Massimo, furono eletti consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone, i quali preferirono scontrarsi con Annibale a Canne in Puglia. Qui, nonostante l'esercito romano fosse di gran lunga più numeroso rispetto a quello Cartaginese, i Romani subirono l'ennesima sconfitta nel 216 a.C. Fu una sconfitta disastrosa, con moltissimi morti e prigionieri tra i Romani. I Cartaginesi, nonostante le vittorie, non si sentirono forti abbastanza per attaccare direttamente Roma. Così tergiversarono per parecchi anni.I Romani, invece, approfittarono di questo tempo per colpire qualsiasi città si fosse schierata con Annibale facendo in modo che egli si venisse a trovare isolato. I Cartaginesi si ritrovano nell'estremo lembo della Calabria e l'unica via che avevano per ricevere aiuti era la stessa che aveva seguito Annibale per entrare in Italia. Il fratello di Annibale, Asdrubale, tentò di superare le Alpi, ma venne sorpreso e ucciso dai Romani al fiume Metauro, nelle Marche, nel 207 a.C. Roma passò alla controffensiva. Il generale Publio Cornelio Scipione attaccò i Cartaginesi: dapprima in Spagna, conquistando Cartagena e instaurando buoni rapporti con gli Spagnoli; poi, dopo essere stato eletto console, fu mandato in Africa dove sbarcò nel 204 a.C. In Africa, Scipione si alleò con Massinissa, re di Numidia e nemico dei Cartaginesi. Massinissa fornì a Scipione la cavalleria che gli mancava per affrontare al meglio Cartagine. Annibale fu richiamato in patria per affrontare l'attacco dei Romani. I due eserciti si scontrarono a Zama nel 202 a.C.: qui i Romani riportarono una grande vittoria sconfiggendo Annibale. Dopo la sua vittoria, Publio Cornelio Scipione fu soprannominato l'Africano. Tiberio si rivolse ai Comizi chiedendo la deposizione del tribuno che aveva avuto un comportamento contrario agli interessi del popolo. La proposta di deporre il tribuno Ottavio Cecina fu approvata all'unanimità: era questo, però, un atto incostituzionale dato che i Comizi non potevano revocare la nomina di un tributo. Dopo la deposizione di Ottavio Cecina la riforma agraria fu approvata e venne creata la commissione che doveva occuparsi della redistribuzione delle terre pubbliche. Tuttavia, l'applicazione della legge fu piuttosto difficile dato che i contadini non avevano i mezzi necessari per mettere a coltura i terreni che venivano loro assegnati e c'era quindi bisogno, di concedere loro dei finanziamenti affinché potessero acquistare attrezzi, sementi e bestiame per far rinascere la piccola proprietà terriera. Proprio nel 133 a.C. Attalo III, non avendo figli, lasciò in eredità il suo regno e i suoi averi a Roma. Tiberio Gracco pensò di utilizzare tali beni per finanziare la ricostruzione delle fattorie dei piccoli contadini. Egli fece una proposta, in tal senso, che presentò ai Comizi. Ancora una volta la decisione presa da Tiberio Gracco fu vista dal Senato come un tentativo di scavalcare la sua autorità: infatti si trattava di una decisione di politica estera che competeva al Senato e non ai Comizi. Tiberio Gracco, di fronte all'opposizione della nobiltà, temendo che la legge agraria potesse non trovare una piena applicazione, per poter seguire personalmente la sua attuazione, ripropose la sua candidatura come tribuno per l'anno successivo. La nobiltà sfruttò a proprio vantaggio una disposizione che prevedeva che tra una magistratura e l'altra dovessero trascorrere 10 anni. Per questa ragione fu mossa contro di lui l'accusa di voler diventare un tiranno. In questo modo la nobiltà cercò di impedirgli di portare a termine la riforma agraria. Le elezioni per eleggere il tribuno della plebe si svolsero nel mese di luglio, quando molti dei contadini erano impegnati nei lavori nei campi. Di conseguenza, coloro che erano maggiormente interessati, alla questione, finirono col non poter votare. Il contrasto tra la nobiltà e Tiberio Gracco si concluse con la morte di quest'ultimo, assassinato insieme a molti dei suoi sostenitori nel 132 a.C. durante una serie di tumulti scoppiati a Roma. CAIO GRACCO Dieci anni dopo la riforma agraria, nel 123 a.C., il fratello di Tiberio, Caio Gracco, fu eletto tribuno della plebe. L'obiettivo di Caio Gracco fu quello di farsi amici ma tutti quei gruppi che potenzialmente erano ostili alla nobiltà: gli Italici, la plebe, i cavalieri e tutti quelli che appartenevano al ceto commerciale e che erano esclusi dal potere. Il fratello, invece, aveva cercato il consenso della sola plebe. Tra i primi provvedimenti che fece approvare Caio Gracco vi furono: la legge frumentaria; la legge giudiziaria. La legge frumentaria prevedeva che venisse distribuito grano, ad un prezzo inferiore quasi della metà rispetto a quello di mercato, a favore dei proletari romani. Il grano da distribuire era comprato con denaro proveniente dalla nuova provincia d'Asia. La legge permise a Caio di ottenere il consenso del proletariato urbano. Inoltre, nel momento in cui questa classe sociale non era più nella miseria più assoluta, non era neppure facilmente manovrabile, da parte dei nobili, durante le elezioni politiche. La legge giudiziameria modificò la composizione del tribunale che giudicava i reati di concussione nelle province, attribuendo tale compito ai cavalieri. Sempre ai cavalieri venne affidato l'appalto per la riscossione delle tasse in Asia, nell'ex-regno di Pergamo. Caio Gracco propose anche: - la concessione della cittadinanza romana a tutti gli Italici, cosa che avrebbe portato alla distribuzione dell'agro pubblico anche tra costoro; - la fondazione di quattro colonie: due nell'Italia meridionale, una a Corinto e una a Cartagine detta colonia Iunonia. Esse avrebbero rappresentato una collocazione per i ceti meno abbienti di Roma in modo da risolvere in modo più efficace il problema della disoccupazione agricola; - un nuovo sistema di votazione dei comizi centuriali, il cui compito era quello di eleggere i magistrati e prendere le decisioni sull'entrata in guerra, in modo tale che non fossero sempre le centurie dei più ricchi a scegliere. Le proposte di Caio Gracco furono viste con sospetto dal Senato, che temeva di veder diminuiti i propri potere. I Senatori fecero leva sulla paura che la plebe aveva di dover dividere i propri privilegi con gli Italici. Di conseguenza fu facile dividere gli oppositori dell'aristocrazia. La mossa successiva del Senato fu quella di trovare un tribuno della plebe, Livio Druso, disposto ad accrescere il dissenso tra Caio Gracco e il proletariato urbano. Egli, a tal fine: dapprima pose il veto all'estensione della cittadinanza a tutti gli Italici; successivamente presentò una proposta di legge per creare nel territorio italico 12 colonie, composte ciascuna da 3.000 uomini e non far pagare ai coloni l'affitto per le terre. Quando Caio Gracco ripresentò la sua candidatura a tribuno della plebe per la terza volta non venne riletto (rispetto ai tempi del fratello era intervenuta una legge che consentiva il rinnovo delle cariche). Al suo posto fu eletto Quinto Minucio Rufo fermo oppositore delle riforme proposte da Caio Gracco. Durante la discussione della legge per la fondazione della colonia a Cartagine scoppiarono dei tumulti e il Senato dichiarò lo stato d'assedio dando pieni poteri ai consoli. I seguaci di Gracco si rifugiarono sull'Aventino dove furono sbaragliati. Caio, dichiarato nemico pubblico e, di conseguenza, non più protetto dalla legge si fece uccidere, nel 121 a.C., da uno schiavo pur di non cadere nelle mani dei suoi nemici. La morte di Caio Gracco rappresentò un duro colpo per le classi popolari. La riforma agraria fu privata di ogni valore e si tornò appieno al latifondo con una nuova scomparsa della classe dei piccoli proprietari terrieri. La protesta degli italici Dopo la morte di Tiberio Gracco, il Senato conservò la legge agraria e si limitò a ricostituire la commissione dei tre pensando che questa avrebbe dovuto affrontare tali difficoltà che la riforma non sarebbe approdata a nulla. Inoltre il Senato verificò che gli Italici non disponessero delle terre pubbliche, cosa questa non consentita dalla legge. Le terre sottratte agli Italici furono distribuite tra i Romani poiché la legge prevedeva che esse potessero essere attribuite solamente ai cittadini romani. I diritti degli Italici furono difesi da Scipione l'Emiliano il quale riuscì ad assicurarsi che: venissero sospesi i lavori della commissione dei tre; fosse attribuito l'incarico ad un console per risolvere la questione. A far aumentare la tensione tra gli Italici, soprattutto tra coloro che erano stati colpiti dalla legge agraria, vi fu l'improvvisa morte di Scipione l'Emiliano. Molti sospettarono che fosse stato avvelenato da un seguace di Tiberio Gracco. Per indurre gli Italici a restituire le terre dell'agro pubblico, il console Marco Fulvio Flacco offrì loro: o la cittadinanza romana; oppure il diritto di appellarsi ai magistrati romani. Tali proposte non furono ben viste né dal Senato e neppure dal popolo che avrebbe dovuto dividere con gli Italici le terre dell'agro pubblico. Nella colonia di Fregelle, nei pressi del fiume Liri, scoppiò una sommossa che fu domata in tempi brevi. Di fronte a questa sommossa, il Senato non poté più ignorare lo scontento delle città alleate. Così decise di concedere la cittadinanza romana alle città latine, ma solamente a coloro che avevano ricoperto una carica pubblica nel proprio paese. Dopo la morte dei Gracchi, nel periodo compreso tra il 121 e il 111 a.C., l'aristocrazia mantenne un atteggiamento piuttosto prudente: da una parte perseguitò i seguaci dei Gracchi; dall'altra conservò la legge agraria, la legge giudiziaria e i poteri conquistati dai cavalieri nella provincia d'Asia. La legge agraria, però, fu modificata a favore dei nobili prevedendo la possibilità: di vendere le terre dell'agro pubblico ottenute in concessione; di poter aggiungere ulteriori quote ai propri latifondi. La colonia Iunonia fu soppressa, mentre ne fu fondata un'altra a Narbona in Provenza. A Roma si formarono due schieramenti politici opposti: quello degli ottimati, ovvero degli aristocratici; quello dei popolari, cioè dei proletari e dei cavalieri. L'evento che ruppe l'equilibrio che si era venuto a creare fu la guerra contro Giugurta. La guerra contro Giugurta Nel regno di Numidia, durante la terza guerra punica, il re Massinissa morì e gli succedette il figlio Micipsa, fedele alleato di Roma. Egli aveva due figli, Aderbale e Iempsale e un nipote Giugurta che era stato educato insieme ai cugini. Alla morte di Micipsa, nel 118 a.C., egli aveva disposto che gli succedessero i due figli, ancora giovani, e il nipote. Tra gli eredi iniziarono subito dei contrasti. Giugurta, per impadronirsi di tutto il regno, fece uccidere Iempsale, mentre Ardebale scappò a Roma dove chiese aiuto al Senato. Giugurta, ricuscì a corrompere molti nobili. Di conseguenza il Senato, anziché prendere le difese di Ardenale verso l'usurpatore, decise di dividere il regno di Numidia in due parti: quella occidentale assegnata a Giugurta; quella orientale assegnata ad Ardebale. La decisione di Roma non piacque a Giugurta che, nel 112 a.C., decise di attaccare Ardebale nella sua capitale Cirta (l'attuale Costantina). Cirta fu assediata e Ardebale venne ucciso. Giugurta divenne, così, il re di tutta la Numidia. Durante l'assedio di Cirta vennero uccisi anche molti mercanti Romani ed Italici che risiedevano nella città per ragioni commerciali e che si erano schierati dalla parte di Ardebale. Questa vicenda provocò il sorgere di contrasti a Roma. L'oligarchia avrebbe tranquillamente lasciato le cose così com'erano, mentre i cavalieri e la plebe erano convinti che la nobiltà avesse avuto un atteggiamento di debolezza dovuto al fatto che essa si era fatta corrompere da Giugurta. Di fronte all'accusa di corruzione, il Senato decise di mandare in Africa un esercito guidato dal console Lucio Calpurnio Bestia. Costui, però, invece di attaccare Giugurta, concluse con lui la pace nel 111 a.C. facendo sospettare che anche egli fosse stato corrotto dal re. Di fronte all'accordo tra Giugurta e Calpurnio Besta, si ebbero grandi proteste da parte del popolo e dei commercianti: i primi stanchi della dilagante corruzione, i secondi preoccupati per i loro interessi. Per questa ragione furono riprese le ostilità contro Giugurta, ma senza grandi risultati. Allora Roma, in seguito alle proteste popolari, decise, nel 109 a.C., di mandare in Africa il console Quinto Cecilio Metello che riuscì a sconfiggere l'avversario. Giugurta non accettò la resa incondizionata. Egli si alleò con Bocco, suo suocero e re della Mauritania, proseguendo così la guerra. Nel frattempo, nell'esercito romano, era stato eletto console nel 106 a.C. Caio Mario, luogotenente di Metello che si era già distinto in Spagna combattendo con Scipione. Caio Mario era capo del partito popolare. Egli apparteneva alla classe dei cavalieri, ma proveniva da una famiglia che non aveva mai rivestito cariche pubbliche: per questo era considerato l'uomo nuovo (homo novus) estraneo alle logiche del potere. Già prima della nomina a console Caio Mario era stato tribuno della plebe ed era divenuto molto popolare perché aveva fatto approvare alcune leggi che avevano come scopo quello di limitare la corruzione elettorale. La guerra numidica si concluse con la sconfitta di Giugurta, nel 105 a.C. grazie anche all'aiuto del questore Lucio Cornelio Silla che convinse Bocco a tradire Giugurta e a consegnarlo nelle mani dei Romani. Uno dei principali motivi del successo militare di Caio Mario fu la riforma del reclutamento. La guerra contro i Cimbri e i TeutoniI Cimbri e i Teutoni erano popolazioni nomadi di origini germaniche che si diressero verso Sud alla ricerca di nuovi luoghi dove vivere. Così facendo essi si spinsero pericolosamente, intorno al 115 a.C. verso le zone della Gallia Narborese controllate dai Romani. Nel 105 a.C. i Cimbri sconfissero un grosso esercito romano ad Arausio nella Gallia Narbonese. Poi si diressero verso la Spagna. I Teutoni, invece, cercavano un'altra via per entrare in Italia. Caio Mario, che era stato rieletto console per la quinta volta, sconfisse: stabiliva che i pretori e i consoli dovevano restare durante il primo anno di carica in Italia. Solamente nel secondo anno potevano essere inviati dal Senato nelle province come proconsoli e propretori, rispettivamente per governale e per guidare le legioni lì stanziate. In questo modo Silla volle impedire quello che aveva fatto lui, cioè ricorrere alle forze armate nella lotta politica; elevava il numero dei pretori ad 8; toglieva ai cavalieri il compito di amministrare la giustizia prevedendo la creazione di giurie penali formate solamente da senatori. Così facendo anche l'autorità giudiziaria veniva accentrata nelle mani del Senato; aumentava il numero dei senatori da 300 a 600 includendo anche i cavalieri; toglieva ai tribuni il diritto di convocare il popolo e parlare nelle assemblee; ampliava il confine intorno a Roma, nel quale era considerato sacrilego introdurre armi e persone armate. In questo modo Silla sperava di evitare che altri si impossessassero di Roma con la forza, dato che l'ampiezza della barriera sacrale avrebbe consentito al Senato di preparare un'adeguata difesa in caso contrario. Un altro provvedimento preso da Silla fu quello di dare, ad ognuno dei suoi fedeli soldati, che avevano avuto un ruolo determinante nella sua ascesa al potere, un piccolo campicello. Questo fece tornare l'Italia a riempirsi di piccole proprietà terriere coltivate da uomini liberi. La dittatura di Silla si concluse nel 79 a.C. quando lui stesso decise di lasciare la carica e di ritirarsi a vita privata. Questa scelta forse maturò per motivi di salute o forse perché il dittatore riteneva di aver portato ormai a termine la sua opera di restaurazione. Nel 78 a.C. Silla morì. DA POMPEO A GIULIO CESARE: LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LA NASCITA DEL PRIMO TRIUMVIRATO L'ASCESA DI POMPEO: LA RIVOLTA DI LEPIDO E QUELLA DI SERTORIO Dopo la morte di Silla, Roma tornò una Repubblica. Tuttavia, continuarono le lotte per il potere tra: la nobiltà, che desiderava conservare i propri privilegi e per questo voleva lasciare immutati gli antichi ordinamenti; e coloro che desideravano una nuova organizzazione dello Stato. Dopo la morte di Silla, il Senato si appoggiò a Gneo Pompeo, un giovane generale che aveva dato il suo aiuto a Silla contro Mario. Il Senato fece ricorso, per la prima volta, all'aiuto di Pompeo durante la rivolta capitanata da Lepido nel 77 a.C. A Pompeo fu affidato il comando di un esercito, nonostante fosse molto giovane e non avesse ancora ricoperto nessuna carica pubblica come prevedeva il cursus honorum voluto dalla riforma sillana. Marco Emilio Lepido, pur essendo un aristocratico, si era già fatto portavoce delle richieste delle classi popolari e dei ceti dei piccoli proprietari che erano stati espropriati dai veterani di Silla. Nel 78 a.C. fu nominato console insieme a Quinto Lutazio Catulo. Nel 77 a.C., venne inviato in Etruria, dove molte città erano insorte contro l'esercito di Silla, ma anziché sedare la rivolta, si pose alla guida dei ribelli. Pompeo riuscì a stroncare la rivolta. Lepido e i suoi uomini si rifugiarono in Sardegna. Qui Lepido morì, mentre i superstiti si diressero in Spagna per unirsi a Sertonio. Quinto Sertonio, era un seguace di Mario che aveva preso parte alla guerra sociale. Nell'82 a.C. fu inviato in Spagna come pretore. Nelle sue intenzioni vi era l'idea di creare uno Stato romano-iberico indipendente da Roma nel quale le popolazioni locali potessero partecipare al governo. Nel 76 a.C. il Senato inviò Pompeo nella penisola iberica. Nel 72 a.C. Sertonio fu ucciso a tradimento da un suo luogotenente: in questo modo Pompeo riuscì a stroncare la rivolta e ad assoggettare tutta la Spagna al controllo di Roma. SPARTACO E LA RIVOLTA DEGLI SCHIAVI: I SUCCESSI MILITARI DI POMPEO La rivolta degli schiavi scoppiò nel 73 a.C. a Capua, in Campagna dove si trovava una delle prime scuole gladiatorie costituite in Italia. La rivolta fu capeggiata da Spartaco, un soldato che aveva militato nell'esercito romano e che era stato fatto schiavo per diserzione. Durante le sue guerre di conquista, Roma aveva fatto molti prigionieri. Il numero degli schiavi era aumentato e il loro prezzo era diminuito notevolmente. Gli schiavi erano spesso maltrattati, per cui c'era un grosso malcontento tra di loro. Spartaco, insieme ad una settantina di altri gladiatori, aveva abbandonato il campo di addestramento di Capua per rifugiarsi sulle pendici del Vesuvio. A Spartaco si unirono molti schiavi fuggitivi e alcuni briganti. Questo esercito iniziò a minacciare le città della Campania con scorribande, saccheggi e distruzioni. Il Senato, preoccupato per la situazione venutasi a creare, inviò molti generali nel tentativo di porre fine alle scorrerie di Spartaco e dei suoi uomini senza riuscirvi, fino a quando Marco Licinio Crasso riuscì a sconfiggerli ai confini tra l'Apulia e la Lucania: circa 60.000 uomini furono uccisi in battaglia insieme a Spartaco. Molti fuggirono verso il Nord dove vennero uccisi da Pompeo che stava rientrando in Italia dalla Spagna. Altri furono fatti prigionieri e crocifissi lungo la via Appia da Capua a Roma, a titolo di monito. La rivolta degli schiavi cessò nel 71 a.C. La rivolta degli schiavi, guidati da Spartaco, è nota anche con il nome di terza guerra servile perché si tratta della terza guerra combattuta dalla repubblica romana contro degli schiavi ribelli. La prima guerra servile si ebbe tra il 135 e il 131 a.C. in Sicilia. La seconda guerra servile fu combattuta, sempre in Sicilia, tra il 102 e il 98 a.C. IL CONSOLATO DI POMPEO E DI CRASSO Pompeo, dopo i successi militari contro Lepido, Sertorio e Spartaco, era divenuto un uomo di grande prestigio. Il suo sogno era quello di diventare console, tuttavia non poteva accedere a tale carica dato che la riforma sillana prevedeva che potevano diventare consoli solamente coloro che avevano già ricoperto delle cariche pubbliche. Così egli pensò che le resistenze del Senato potevano essere superate alleandosi con Marco Licinio Crasso, uomo molto ricco, anche lui reduce dalla vittoria contro Spartaco e i gladiatori. Pompeo e Crasso, quindi, posero la loro candidatura alla massima magistratura dello Stato. L'alleanza tra i due generali non portò i frutti sperati: il Senato si oppose alla loro nomina a consoli. Pompeo e Crasso, pur restando due ottimati, non esitarono ad accordarsi con i popolari minacciando di sollevare una guerra civile se non fossero stati eletti consoli. Con l'appoggio dei cavalieri essi ottennero il consolato nel 70 a.C. Pompeo e Crasso procedettero a riformare la costituzione di Silla: furono restituiti, ai tribuni della plebe, gli antichi diritti di veto; fu tolto il divieto di accedere ad altre cariche pubbliche da parte di coloro che avevano ricoperto la carica di tribuno della plebe; venne ripristinata l'elezione dei censori; i tribunali furono trasferiti dai senatori ai cavalieri. L'obiettivo di tali norme fu quella di abolire le leggi antidemocratiche che erano state istituite da Silla. Pompeo e Crasso, pur appartenendo all'aristocrazia, fecero delle leggi a favore dei popolari non perché fossero particolarmente interessati ai diritti dei cavalieri e dei proletari, ma perché volevano sfruttare la forza dei popolari per raggiungere i propri fini personali ed imporre il proprio dominio. L'alleanza tra Pompeo e Crasso iniziò a vacillare negli ultimi mesi del consolato, tanto che al termine dell'anno della loro carica, i due assunsero un atteggiamento di aperto antagonismo. Crasso, che non voleva perdere le sue ingenti ricchezze, volle evitare una nuova guerra civile. Pompeo, da parte sua, rifiutò di divenire proconsole di una provincia, sciolse le sue legioni e rimase a Roma come privato cittadino nel periodo compreso tra il 69 e il 67 a.C. per controllare da vicino l'evoluzione della vita politica. LA GUERRA CONTRO I PIRATI La pirateria, da alcuni anni, non rappresentava più un fenomeno isolato: i pirati insidiavano costantemente i traffici nel Mediterraneo. Non si trattava più di navi isolate, ma di flotte che avevano le loro basi nella Cilicia (l'attuale Tuchia) e nell'isola di Creta. I pirati assalivano le navi catturando gli equipaggi e i passeggeri, che venivano rivenduti come schiavi; intercettavano i trasporti di truppe e di denaro pubblico, ma soprattutto attaccavano le imbarcazioni che trasportavano il grano verso Roma rendendo difficili gli approvvigionamenti. I viveri iniziavano a scarseggiare nella città, mentre i loro prezzi aumentavano creando grande malumore nella plebe. La pirateria, quindi, rappresentava una minaccia per i traffici di Roma e delle sue province. Di fronte alle crescenti difficoltà economiche di Roma, il tribuno Aulo Gabino, nel 67 a.C., propose ai Comizi di conferire a Pompeo, per 3 anni, i pieni poteri allo scopo di annientare i pirati nel Mediterraneo. Il Senato si rese conto che la concessione di un simile potere, che mai prima di allora era stato attribuito, comportava un grande rischio e per questa ragione si oppose. Successivamente, il Senato dovette acconsentire a tale proposta perché pressato dal popolo che temeva di restare senza rifornimenti. Venne quindi approvata la legge Gabinia. I romani schierarono, contro i pirati: navi; uomini; cavalieri. Pompeo riuscì a sconfiggere i pirati nell'arco di 3 mesi. LA GUERRA CONTRO MITRIDATE Ai tempi di Pompeo, nell'Asia minore, vi era un continuo fermento. Con la pace di Dardano, firmata nell'84 a.C. tra Mitridate VI, re del Ponto, e Silla, Roma non poteva ritenersi del tutto tranquilla. L'inizio di una nuova guerra contro Mitridate fu determinato dalla morte di Nicomede III, re di Bitinia, avvenuta nel 74 a.C. Egli lasciò il suo regno in eredità al popolo romano. Mitridate, si sentì minacciato dalla presenza di questa nuova provincia romana ai confini del Ponto. Per questo, insieme al suo alleato e cognato Tigràne, re dell'Armenia, occupò la Bitinia approfittando del fatto che Roma era impegnata nella lotta contro Sertorio in Spagna e contro i pirati nel Mediterraneo. La reazione di Roma fu quella di inviare Licinio Lucullo. Egli combatté, per 7 anni, contro Mitridate e contro Tigràne, fino a quando i suoi uomini, oramai stanchi, si ammutinarono. Nel 68 a.C. Lucullo fu costretto a ritirarsi. Roma, nel 66 a.C. emanò la legge Manilia, dal nome del tribuno Gaio Manilio che l'aveva proposta. Con questa legge furono nuovamente conferiti pieni poteri a Pompeo per condurre la guerra contro Mitridate e Tigràne. Pompeo arrivò in Asia. Egli iniziò un'azione diplomatica con lo scopo di isolare Mitridate. In particolare si alleò con il figlio di Tigràne, desideroso di prendere il posto del padre. Mitridate, rimasto solo, fu sconfitto da Pompeo presso il fiume Lico. Nel 64 a.C. il Ponto fu dichiarata provincia romana. L'anno successivo, Mitridate, abbandonato dai suoi alleati, si suicidò. Quindi venne firmata la pace con Tigràne, che nel frattempo aveva sconfitto il figlio. Tigràne fu dichiarato re dell'Armenia e divenne alleato di Roma. La pace con Tigràne segnò la conquista dell'Asia Minore da parte di Roma. La Siria, che era stata conquistata da Tigràne insieme alla Cappadocia divenne una provincia romana. Alla Palestina fu concessa l'autonomia, ma fu costretta ad accettare il protettorato romano. In questo modo Roma estese il suo controllo su un territorio che andava dal mar Egeo fino al fiume Eufrate. Pompeo tornò a Roma nel 62 a.C. carico di tesori e di gloria. LA CONGIURA DI CATILINA Mentre Pompeo era impegnato in Asia, a Roma dilagavano la corruzione, il disordine e il malcontento. Il popolo viveva in condizioni di miseria e coloro a cui erano stati confiscati i beni, poiché erano stati inseriti nelle liste di proscrizione di Silla, erano disposti a tutto pur di riacquistare i propri diritti. Lucio Sergio Catilina era un giovane nobile che si era riempito di debiti a causa dei suoi facili costumi. Egli aveva proposto la sua candidatura al consolato in più occasioni cercando di trovare seguaci, sia tra i nobili decaduti ed indebitati come lui, che nella plebe sempre più insofferente. Proponendo la cancellazione dei debiti e una nuova distribuzione delle terre, iniziò ad avere un buon numero di sostenitori. D'altra parte egli era fortemente osteggiato dalle classi più agiate che erano quelle che controllavano il corpo elettorale dei Comizi. Quando, per l'ennesima volta, non riuscì a conquistare il potere che desiderava in modo legale, decise di prendere il potere mediante una congiura. Catilina, nel 63 a.C., preparò un piano audace: quello di togliere il potere al Senato. La congiura di Catilina fu scoperta prima ancora che l'azione iniziasse. Catilina riuscì a fuggire in Etruria dove radunò un esercito. - Crasso partì per la Siria. Egli non si rivelò un grande condottiero, infatti fu sconfitto dai Parti e morì in battaglia nel 53 a.C. Quando Cesare fece ritorno in Gallia, nel 56 a.C., si trovò a dover assicurare le conquiste fatte a causa: di continue incursioni da parte di popolazioni germaniche insediate al di là del Reno; di aiuti giunti ai Galli dalla Britannia. Cesare decise, nel 54 a.C., di fare una spedizione in Britannia. Quindi, oltrepassato il Tamigi, sconfisse i Brittani, facendo molti ostaggi e imponendo loro tributi. Nel 52 a.C. scoppiò una insurrezione guidata da Vercingetorige, re degli Arverni. Costui riuscì a mettere contro i Romani tutti i Galli, anche quelle popolazioni, come gli Edui, che erano sempre state alleate dei Romani. Cesare attaccò Gergovia, la capitale degli Arverni, ma questi riuscirono a resistere ai suoi attacchi. La tattica di Vercingetorige era quella di distruggere i raccolti e le città, in modo da impedire i rifornimenti dell'esercito romano, senza scontrarsi direttamente con esso. Inizialmente questa tattica apparve vittoriosa, tanto che Cesare fu costretto a ritirarsi, ma quando i Romani, che stavano cercando di rientrare nella Gallia Narbonense, attaccarono Alesia, cingendola d'assedio, i Galli furono sconfitti. Nel 51 a.C. tutta la Gallia divenne una provincia romana. GUERRA CIVILE TRA CESARE E POMPEO: LA SECONDA GUERRA CIVILE Quando Cesare concluse la guerra gallica, Crasso era già morto in Siria (53 a.C.) con la conseguenza che era venuto meno l'uomo che bilanciava il potere tra Cesare e Pompeo. Nel 52 a.C. era morto anche Clodio, che fiancheggiava Cesare a Roma. Nel frattempo erano scoppiati dei disordini e il Senato aveva conferito pieni poteri a Pompeo nominandolo console senza collega, una sorta di dittatura seppure chiamata in modo diverso. Questa nomina rappresentava, per Pompeo, il raggiungimento di un traguardo molto ambito: era diventato l'uomo di fiducia del Senato a cui, quest'ultimo, affidava il compito di difendere la Repubblica. In questo modo, Pompeo controllava tutto il territorio dello Stato e aveva a disposizione l'esercito e le entrate pubbliche. Cesare, invece, governava solamente su due province e poteva avvalersi soltanto delle legioni dislocate in Gallia. Dopo questa nomina, Pompeo si preoccupò di ristabilire l'ordine. Inoltre si fece prorogare per altri 5 anni la nomina a proconsole della Spagna scegliendo, però, di rimanere sempre a Roma e lasciare la guida della provincia ai suoi generali, così come aveva fatto in passato. Inoltre Pompeo riuscì a convincere il Senato a togliere a Cesare il controllo delle Gallie prima del tempo stabilito: egli, dunque, sarebbe dovuto tornare a Roma come privato cittadino. Cesare decise di difendere i suoi diritti. Nel 49 a.C. egli attraversò, con una sola legione, il Rubicone che rappresentava il limite oltre il quale non ci si poteva avvicinare a Roma con eserciti armati senza essere dichiarati nemici dello Stato, così come aveva stabilito Silla. Con questo gesto Cesare proclamava l'inizio della seconda guerra civile. Famosa è rimasta la sua frase: "Il dado è tratto". Roma aveva ampliato i suoi confini diventando uno Stato vasto, ricco, ma anche carico di problemi e di conflitti. A ciò si aggiungeva il fatto che, coloro che governavano le province avevano un enorme potere, potevano creare alleanze ed erano sostenuti dalle loro legioni. Il Senato, preoccupato soprattutto di difendere la propria autorità, ormai non era più in grado di governare questa nuova realtà. E il fatto che esso fosse ricorso alla forza militare di Pompeo ne era la dimostrazione: il Senato da solo non era in grado di far fronte alle nuove situazioni venutesi a creare e, tra Cesare e Pompeo, aveva scelto l'uomo ritenuto meno pericoloso. Né Pompeo, né il Senato e i senatori si aspettavano il passaggio del Rubicone da parte di Cesare. Poiché Pompeo non aveva forze sufficienti per combatterlo, decise di fuggire a Brindisi dove si imbarcò per l'Oriente sperando di poter organizzare la difesa grazie agli aiuti dei sovrani del luogo. Cesare arrivò a Brindisi quando ormai Pompeo era riuscito a partire. Successivamente Pompeo formò a Salonicco, in Grecia, un governo provvisorio. Cesare, di fronte alla fuga di Pompeo, tornò a Roma, dopodiché si diresse in Spagna dove lottò contro i seguaci di Pompeo. Quando Cesare tornò a Roma fu nominato dittatore. Egli, però, rifiutò il titolo e si fece eleggere console insieme a Publio Servilio, in modo da creare un governo legittimamente costituito che si contrapponesse a quello formato da Pompeo. La mossa successiva di Cesare fu quella di sbarcare a Durazzo, nel 48 a.C., città che Pompeo aveva fatto fortificare. Cesare tentò di assediare Durazzo, ma non vi riuscì. Dato che Pompeo ebbe distrutto tutte le navi di Cesare, rendendogli così impossibile la ritirata, Cesare dovette proseguire verso l'interno, in Tessaglia, anche per trovare viveri per i suoi uomini. L'esercito di Cesare e quello di Pompeo si scontrarono a Farsalo nel 48 a.C. Qui Cesare riportò un'importante vittoria, mentre Pompeo si rifugiò in Egitto dove venne ucciso dal re Tolomeo. Quest'ultimo sperava, con l'uccisione di Pompeo, di farsi amico Cesare e di portarlo dalla sua parte nella lotta che lo vedeva coinvolto con la sorella Cleopatra per la divisione del regno. Ma Cesare, una volta giunto in Africa, non premiò Tolomeo anzi, gli tolse il trono e lo affidò alla sorella nel 47 a.C. L'Egitto entrò, così, sotto l'influenza romana. In Asia, Farnace, re del Ponto e figlio di Mitridate, approfittò della situazione venutasi a creare per occupare la Bitinia e la Cappadocia. Cesare, per tutta risposta, lasciò l'Egitto nel 47 a.C. e tornò in Asia dove sconfisse Farnace a Zela in soli 5 giorni. Egli diede la notizia ai Romani della sua repentina vittoria con il famoso veni, vidi, vici, ovvero venni, vidi, vinsi. Un folto gruppo di pompeiani, compresi Catone e i figli di Pompeo Sesto e Gneo, si era rifugiato in Africa dopo la sconfitta di Farsalo. Per questo Cesare si recò in Africa e, nel 46 a.C., sconfisse l'esercito pompeiano a Tapso in una battaglia decisiva. Sesto, Gneo e alcuni loro compagni, si rifugiarono in Spagna. Molti uomini dell'oligarchia repubblicana, come Catone, preferirono uccidersi piuttosto che essere catturati da Cesare. Cesare creò, in Numidia, una nuova provincia dal nome Africa Nova. Nel 45 a.C. Cesare sconfigge l'ultima resistenza pompeiana a Munda in Spagna mettendo fine alla guerra civile. LA DITTATURA DI CESARE Dopo la vittoria di Munda, Cesare aveva trasformato la Repubblica romana in una vera e propria monarchia concentrando su di sé tutti i poteri politici. Cesare era convinto che la Repubblica, oramai, risultava inadeguata rispetto ad una realtà storica sempre più complessa. Il Senato si era sempre preoccupato di difendere solamente gli interessi dei nobili e dei ricchi e aveva trascurato le esigenze del popolo e delle province. Il vasto impero venutosi a formare aveva bisogno di un governo forte ed unitario che tenesse conto dei bisogni di tutti. Le guerre civili ne erano una dimostrazione. Cesare voleva concentrare tutti i poteri nelle sue mani. Così, anche se in passato aveva rifiutato il titolo di re, ora fece trasformare la dittatura decennale, che il Senato gli aveva conferito in precedenza, in dittatura a vita (45 a.C.). Egli divenne imperator, ovvero comandante in capo degli eserciti, si fece proclamare tribuno della plebe e pontefice massimo, assumendo su di sé tutti i poteri dello Stato. Cesare usò la sua autorità per creare a Roma un clima di pace. In campo politico ed amministrativo, Cesare: inviò molti cittadini nelle colonie d'oltremare con lo scopo di ripopolare i centri urbani disabitati e i campi, ma anche al fine di romanizzare le province; fondò colonie romane anche in zone lontane dalla capitale; raddoppiò il numero dei magistrati; concesse la cittadinanza romana alla Gallia Cisalpina. Cesare desiderava che i popoli sottomessi considerassero Roma, non come una nemica da temere e contro la quale ribellarsi, bensì come un'alleata che incoraggiava il loro progresso economico e civile. Cercò di favorire il processo di romanizzazione delle province, attraverso l'uso del latino e l'applicazione della legge romana, con lo scopo di ridurre la rivalità esistente tra l'Italia e i territori occupati. In campo economico Cesare: assegnò terre ai veterani delle sue legioni; rivide la lista dei cittadini che avevano diritto alla distribuzione gratuita di grano; promosse grandi lavori pubblici a Roma e in tutto l'impero al fine di ridurre la disoccupazione; favorì lo sviluppo delle attività industriali e commerciali. In campo giuridico Cesare: vietò il delitto politico, cioè l'uccisione o la condanna a morte di un cittadino senza un regolare processo; combatte il disprezzo della legge che orami era molto diffuso a Roma. L'ASSASSINIO DI CESARE Cesare desiderava eliminare quella netta differenza che esisteva tra cittadini e sudditi e voleva trasformare, gradualmente, gli abitanti delle province in cittadini romani. Questo avrebbe tolto all'Italia il suo ruolo di dominatrice. Inoltre, la nomina di Cesare a dittatore perpetuo faceva ipotizzare che la concentrazione del potere nelle mani di un solo uomo non fosse un provvedimento temporaneo, ma avrebbe posto definitivamente fine alle libertà repubblicane in quanto Cesare, a differenza di Silla, non sembrava disposto a ritirarsi a vita privata. Per questo motivo i vecchi senatori pensarono che, eliminando Cesare, si sarebbe potuti tornare a ristabilire l'oligarchia e il vecchio ordinamento repubblicano. Da qui nacque l'idea di un complotto ai danni di Cesare. Alla congiura contro Cesare parteciparono circa 60 persone, tra cui: Gaio Cassio Longino; Marco Giunio Bruto, suo figlio adottivo. Entrambi erano seguaci di Pompeo ed erano stati perdonati da Cesare e da lui designati magistrati per gli anni successivi. Cesare aveva annunciato la sua partenza per l'Oriente, pertanto la sua uccisione doveva avvenire prima di tale data. Il 15 marzo del 44 a.C., giorno delle Idi secondo il calendario romano, egli avrebbe tenuto la sua ultima seduta pubblica in Senato, prima della partenza: si decise, quindi, di ucciderlo proprio in quel giorno. L’IMPERO ROMANO LA NASCITA DELL'IMPERO ROMANO La battaglia di Azio rappresentò la fine di un secolo di lotte interne e l'inizio di un periodo di pace per Roma. Una volta tornato a Roma, dopo la battaglia di Azio, Ottaviano divenne il capo indiscusso della vita politica romana, concentrando nelle sue mani un enorme potere che non derivava, però, da nessuna legge. Ottaviano era consapevole di non avere ormai più rivali. Egli percepiva anche, che il popolo era stanco di guerre. Cercò, quindi, di ottenere il consenso in modo da non imporsi con la forza: questo, infatti, avrebbe molto probabilmente portato a nuovi scontri. Ottaviano riuscì ad impadronirsi del potere senza avere un atteggiamento che lasciasse pensare che volesse diventare un dittatore. Augusto fece chiudere le porte del tempio di Giano, che venivano lasciate aperte durante le guerre. Questa chiusura voleva simboleggiare la pace ottenuta. Egli fece costruire l'Arca pacis, ovvero un altare dedicato alla dea della pace con il quale voleva dimostrare l'importanza che aveva la pace per lui. Per ottenere la pace, Ottaviano seguì alcune strategie: tenne fermo il comando dell'esercito; mantenne uno stretto controllo sul Senato che era formato da uomini di sua fiducia; cercò di ingraziarsi il popolo con distribuzioni di denaro e di grano; cercò di apparire sempre come un servitore della Repubblica, rispettoso delle libertà di tutti e oppositore delle dittature. Nel 27 a.C. Ottaviano, in Senato, dichiarò di voler rinunciare alla carica di console che aveva esercitata per alcuni anni, in modo che anche altri potessero accedervi. Fu allora che il Senato gli conferì il titolo di Augusto, ovvero degno di essere venerato: il che indicava la sua superiorità, in quanto ad autorità, rispetto a tutti. Tale titolo fu, in seguito, assunto da tutti i suoi successori. Questo appellativo non corrispondeva a nessuna carica particolare, ma conferiva ad Ottaviano un prestigio che lo poneva al di sopra di tutti. Nel 13 a.C., alla morte di Lepido, divenne Pontefice massimo. Questo ruolo gli consentiva di essere il capo di tutti i sacerdoti dello Stato. Egli assunse anche il titolo di Imperator, imperatore, cioè comandante supremo dell'esercito. Durante il principato restarono in vigore tutte le magistrature della repubblica, ma lo Stato era divenuto, di fatto, una monarchia. Augusto, pur riconoscendo in apparenza l'importanza del Senato, di fatto, ridusse il suo potere. I senatori continuavano ad avere un compito di prestigio, ma concretamente non prendevano decisioni politiche: queste ultime, infatti, erano di competenza di Augusto e il Senato si limitava semplicemente ad approvarle. Nel 65 d.C., alcuni senatori e cavalieri d'accordo con la guardia pretoriana si accordarono per uccidere Nerone e assegnare la carica di imperatore a Gaio Calpurnio Pisone. La congiura fu scoperta e molti dei suoi partecipanti furono uccisi, mentre altri vennero esiliati. Tra i congiurati sembrava esservi anche Seneca al quale fu dato l'ordine di suicidarsi, cosa che egli fece avvelenandosi con la cicuta. Nel 68 d.C. Nerone fu deposto dal Senato e dichiarato nemico della patria. Rifugiatosi in campagna, prima di essere catturato dai pretoriani si fece uccidere da un suo liberto. L'ANNO DEI QUATTRO IMPERATORI LA MORTE DI NERONE E L'ANARCHIA MILITARE Nerone non aveva figli, quindi alla sua morte venne a mancare un legittimo successore. La mancanza di un successore portò ad un periodo di anarchia militare durante il quale, in molte province dell'impero, le truppe militari proclamarono imperatori i loro comandanti. In poco tempo si vennero ad avere, contemporaneamente, ben 4 imperatori: Galba; Vitellio; Otone; Vespasiano. Costoro si combatterono a vicenda dando vita ad un periodo di lotte. Questo periodo durò circa un anno, dal 68 d.C., anno cui era morto Nerone, fino al 69 d.C. Questo periodo si concluse con Vespasiano, generale in Oriente, che sconfisse i propri rivali e prese il potere. Con Vespasiano iniziò la dinastia Flavia. LA DINASTIA FLAVIA VESPASIANO: Nel 69 d.C. divenne imperatore Vespasiano. Vespasiano fu il primo imperatore appartenente alla dinastia Flavia. L'impero di Vespasiano durò dieci anni, dal 69 al 79 d.C. Durante il suo impero Vespasiano: riuscì a risanare le finanze dopo i dissesti provocati da Nerone; limitò le spese della corte favorendo le spese a favore della plebe urbana; organizzò un catasto; favorì lo sfruttamento dei terreni incolti; riportò l'ordine e curò la difesa dei confini; concesse la cittadinanza alle province più romanizzate permettendo ai loro nobili di far parte del Senato; intraprese molte opere pubbliche. In particolare fece iniziare i lavori dell'anfiteatro Flavio, meglio noto con il nome di Colosseo. Durante l'impero di Vespasiano vi furono delle rivolte nelle province più lontane. Vespasiano usò sempre le armi per reprimere i disordini. In particolare, sotto l'impero di Vespasiano, si ebbe la rivolta degli Ebrei che fu sedata dalle truppe romane comandate da Tito, figlio di Vespasiano, nel 70 d.C. TITO: Il successore di Vespasiano fu il figlio Tito. L'impero di Tito durò solamente due anni, dal 79 d.C., anno della morte di Vespasiano, all' 81 d.C. Il periodo in cui fu imperatore Tito fu caratterizzato da una certa tranquillità. Tito era considerato un uomo generoso e clemente tanto che venne chiamato delizia del genere umano. Durante l'impero di Tito si verificò, nel 79 d.C., una terribile eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei ed Ercolano ricoprendole di cenere e di lava. L'anno successivo, invece, Roma fu devastata da un incendio che distrusse buona parte della città. A ciò si aggiunse anche un'epidemia che decimò la popolazione. Di fronte a queste catastrofi Tito si dimostrò un uomo attento ai bisogni del popolo che sostenne con viveri e denaro. Tito è ricordato anche per aver sedato la rivolta degli Ebrei nel 70 d.C. quando era ancora imperatore il padre Vespasiano. DOMIZIANO: Il successore di Tito fu il fratello Domiziano. L'impero di Domiziano durò dall'81 d.C., anno della morte di Tito, all' 96 d.C. Domiziano fu un tiranno che governò in modo assolutistico. Durante il suo impero Domiziano rafforzò le frontiere. In particolare: fondò delle zone difensive tra il Reno e il Danubio; riuscì a frenare i Daci che effettuavano continue scorrerie nei territori romani; bloccò i Sarmati che si trovavano nella zona tra il Danubio e il Don. Inoltre Domiziano: adottò una politica restauratrice degli antichi costumi allontanando da Roma filosofi e retori; abbellì Roma con edifici ricchi di marmi e di opere d'arte. Fece costruire uno stadio, le terme e il palazzo imperiale sul Palatino di cui possono essere ammirati ancora dei resti. Domiziano adottò una politica autoritaria nei confronti del Senato dando vita ad una serie di processi e di oppressioni contro i senatori che, carichi di rabbia e di malcontento, progettarono diversi complotti nei suoi confronti. Domiziano si difese dalle congiure tramate contro di lui con estrema durezza arrivando a condannare a morte anche persone della sua famiglia. L'impero di Domiziano finì proprio in seguito ad uno di questi complotti, organizzato nel 96 d.C., che portò alla morte dell'imperatore. Il successore di Domiziano fu Cocceio Nerva, un senatore già avanti negli anni, che si impegnò con solenne giuramento a non infliggere condanne ai senatori. Egli governò dal 96 al 98 d.C. e a lui succedette Ulpio Traiano. TRAIANO: Il successore di Nerva fu Traiano che fu adottato da Nerva come figlio ed erede al fine di evitare lotte per la successione. L'impero di Traiano durò dal 98 al 117 d.C. Con Traiano inizia un periodo caratterizzato da un nuovo criterio di successione: la scelta da parte dell'imperatore del suo successore e la sua adozione. In questo modo l'imperatore non viene più designato tra i famigliari, ma in base alle effettive capacità di governare. Questo nuovo criterio di scelta piacque anche al Senato, riuscì ad instaurare ottimi rapporti col Senato, amministrò saggiamente l'impero evitando sprechi e pretendendo da tutti il rispetto delle leggi. Sotto di lui l'impero raggiunse la sua massima espansione. Infatti, in seguito a delle fortunate campagne militari, Traiano conquistò: la Dacia, al di là del Danubio, terra ricca di miniere d'oro e di ferro; l'Armenia; l'Assiria; la Mesopotamia; l'Arabia. Molte furono le opere pubbliche da lui realizzate, soprattutto Traiano ampliò le strade e costruì porti in modo da migliorare la viabilità: costruì il porto di Traiano, di forma esagonale, nella zona di Fiumicino; costruì il porto di Civitavecchia; fece ampliare il porto di Ancona in modo da favorire i collegamenti con le province orientali; fece ampliare anche il porto di Terracina. Tra le altre opere da lui realizzate ricordiamo la costruzione del Foro che prese il suo nome, vicino al quale si ergeva la Colonna traiana. L'atteggiamento di Traiano nei confronti dei cristiani fu fermo, ma al tempo stesso moderato. L'impero di Traiano finì con la sua morte avvenuta durante un viaggio di ritorno dall'Oriente nel 117 d.C. ADRIANO: Traiano scelse come suo successore il cugino Adriano. L'impero di Adriano durò dal 117 d.C., anno in cui morì Traiano, al 138 d.C. Durante il suo impero Adriano viaggiò moltissimo visitando dapprima le province occidentali e successivamente quelle orientali e soggiornando a lungo ad Atene. Egli fece realizzare anche delle grandi opere difensive con lo scopo di proteggere i confini dell'impero. Tra queste ricordiamo il Vallo di Adriano, una muraglia dotata di torri e di trincee, costruita in Britannia da dove spesso avvenivano incursioni di popolazioni barbare provenienti dalla Caledonia (l'attuale Scozia). Adriano represse anche una rivolta ebraica in Giudea avvenuta tra il 132 e il 135 d.C. Sulle rovine di Gerusalemme fece edificare una colonia in modo da poter tenere sotto controllo quella zona dove si verificavano frequenti ribellioni. Adriano è ricordato anche per la imponente Villa Adriana, fatta costruire a Tivoli, vicino Roma. GLI ULTIMI IMPERATORI ROMANI DEL II SECOLO D.C. Il successore di Adriano fu Antonino Pio. L'impero di Antonino Pio durò dal 138 al 161 d.C. Antonino Pio era un senatore di origini galliche. Il suo vero nome era Elio Antonino, ma fu detto Pio per le sue grandi doti di umanità e di clemenza nell'applicare le leggi. Il periodo in cui fu imperatore Antonino Pio lo ricordiamo come il periodo più prospero e pacifico dell'impero romano: le attività economiche si diffusero, la pace regnava sia all'interno che ai confini, la spesa pubblica aumentò mentre diminuirono le tasse, vennero costruite nuove opere pubbliche, ma ci si occupò anche della manutenzione di quelle già esistenti. Il successore di Antonino Pio fu Marco Aurelio. L'impero di Marco Aurelio durò dal 161 al 180 d.C. Marco Aurelio, figlio adottivo di Antonino Pio, era un uomo appassionato di studi e di meditazione. Durante l'impero di Marco Aurelio tornò a farsi sentire, dopo alcuni secoli, la minaccia dei barbari: i Marcomanni e i Parti attaccarono l'impero, assediarono alcune città, uccidendo la popolazione e saccheggiando i loro raccolti. I soldati romani riuscirono a fronteggiare questo attacco. Nel 180 d.C. la peste colpì gran parte dell'impero facendo moltissime vittime. Marco Aurelio morì di peste nel 180 d.C., mentre stava preparando una spedizione contro i barbari oltre confine per impedire loro altre invasioni. Il successore di Marco Aurelio fu il figlio Commodo. Con Commodo, nella nomina dell'imperatore, dopo quasi un secolo, non si seguì più il criterio della scelta bensì si tornò alla successione dinastica. L'impero di Commodo durò dal 180 al 192 d.C. Quando giunse al potere Commodo, l'impero era in crisi a causa. Commodo non riuscì a tenere rapporti di collaborazione con il Senato e non era ben visto neppure dall'esercito. Per questa ragione la corte tornò ad essere luogo di sospetti e di congiure. Fu proprio in seguito ad una congiura che, nel 192 d.C., Commodo morì. LA CRISI DELL'IMPERO ROMANO Dopo la morte di Commodo si succedettero una serie di imperatori. In questa fase, la storia dell'impero romano può essere divisa in quattro periodi: - il primo, quello della dinastia dei Severi; - il secondo, quello dell'anarchia militare; - il terzo, quello di Diocleziano e della monarchia assoluta; - il quarto, quello di Costantino. LA DINASTIA DEI SEVERI Dopo Commodo, a guidare l'impero romano fu la dinastia dei Severi. Gli imperatori romani appartennero alla dinastia dei Severi dal 193 al 235 d.C. Questo periodo fu caratterizzato dal crescente potere dell'esercito: da una parte gli imperatori erano imposti con la forza dall'esercito; dall'altra gli imperatori attribuirono maggiori poteri ai soldati. Di questa dinastia ricordiamo maggiormente Settimio Severo e Caracalla. Settimio Severo era di origine africana. Non fu il primo imperatore proveniente dalle province, ma fu il primo che modificò il rapporto tra Senato ed esercito, riconoscendo particolari privilegi a quest'ultimo. Per poter coprire le crescenti spese militari imposte nuovi tributi ai possidenti. Sotto Settimio Severo l'Italia fu equiparata al resto dell'impero e l'imperatore accentrò nelle sue mani anche il potere giudiziario. Egli riportò delle importanti vittorie contro i Parti che minacciavano il confine orientale. Caracalla era uno dei due figli di Settimio Severo. Egli uccise il fratello per restare solo al potere. Viene ricordato: per aver messo in atto delle durissime persecuzioni contro i cristiani; per aver aumentato il salario dei militari con lo scopo di assicurarsi la loro amicizia; per aver nuovamente aumentato le tasse; per aver emanato l'editto di Caracalla, era un provvedimento con il quale la cittadinanza romana veniva estesa a tutti gli abitanti dell'impero. In questo modo cessò completamente la distinzione tra cittadini romani, che avevano pieni diritti, e altri abitanti dell'impero, che avevano una situazione giuridica inferiore. L'alleanza tra Costantino e Licinio resse per il tempo che fu necessario a Costantino a rafforzare il suo potere in Occidente. Successivamente Costantino pensò di tenere solo per sé la carica di imperatore. Per realizzare il suo progetto Costantino prese come pretesto il fatto che Licinio, nel 320 d.C., dopo aver tollerato per un po' di tempo i cristiani, tornò a forme di repressione nei loro confronti. Questo portò allo scontro tra i due Augusti nel 324 d.C., scontro che si concluse con la sconfitta e la morte di Licinio. In seguito alla morte di Licinio, Costantino riunificò l'impero sotto il suo comando. Iniziò, così, una fase di assolutismo durante la quale l'imperatore accentrò in sé il potere di fare le leggi, di farle eseguire e il potere giudiziario. Costantino decise di spostare la capitale là dove sorgeva l'antica Bisanzio, l'attuale Instanbul. Da questo momento Bisanzio fu chiamata Costantinopoli, dal nome del suo fondatore. LE INVASIONI BARBARICHE I BARBARI: La parola barbaro deriva dal greco e significa colui che balbetta. Con questo termine venivano indicati gli stranieri che, in quanto tali, non sapevano parlare con disinvoltura la lingua greca. I barbari appartenevano a due stirpi diverse: quella germanica, uomini di origine indoeuropea, con capelli biondi, carnagione rosea, alti e robusti; quella mongolica, uomini di statura più bassa, carnagione bruna, occhi piccoli, naso schiacciato. I barbari di stirpe germanica erano stanziati nella pianura compresa tra i fiumi Reno, Danubio e Vistola. Queste zone ricche di foreste inaccessibili, paludose e fredde non erano mai state conquistate dai Romani che le avevano sempre considerate impenetrabili. Molte erano le tribù che appartenevano alla stirpe germanica e che erano tutte chiamate con il nome di Germani. Esse si differenziavano soprattutto per il luogo di provenienza. Tra i Germani vi erano: gli Alamanni, stanziati in Germania; i Franchi, stanziati nella regione del Reno; i Goti che, nel tempo si divisero in Ostrogoti e Visigoti, entrambi stanziati nelle pianure russe; i Sassoni, che vivevano nella Germania Settentrionale; i Vandali, stanziati nella zona del Mar Baltico; i Longobardi provenienti dalla Scandinavia. I VISIGOTI IN ORIENTE Intorno al 370 gli Unni, un popolo nomade di origine mongolica che viveva nelle steppe dell'Asia centrale, si iniziò a spostare verso la Russia sud-occidentale. In seguito allo spostamento degli Unni, i Visigoti si diressero verso il Danubio che segnava il confine dell'impero romano d'Oriente. Nel 375, i Visigoti chiesero di poterlo varcare. L'imperatore dell'impero romano d'Oriente era, all'epoca, Valente. Egli permise ai Visigoti, nel 376, di stabilirsi all'interno dei confini romani e diede al loro re la carica di generale romano. Valente fu spinto a prendere tale decisione perché pensò di potersi di avvalere dei barbari come suoi alleati. La scelta di Valente non fu però saggia. Spinti dalla fame, alcuni gruppi di barbari iniziarono a depredare i Balcani meridionali. Valente attaccò i Visigoti. Lo scontro si concluse con la battaglia di Adrianopoli del 378, nella quale i Romani furono sconfitti e Valente venne ucciso. Il successore di Valente fu Teodosio. Teodosio, poiché capiva di non poter sconfiggere i Visigoti, firmò con loro la pace accettando che essi si insediassero nella regione del Danubio e attribuendo loro delle terre disabitate da coltivare e dove fondare le proprie città. Questo istituto prese il nome di hospitalitas, ovvero ospitalità. I barbari divennero dei federati dell'impero cioè, in cambio delle terre, dovevano arruolarsi nell'esercito. In pratica, l'imperatore, non riuscendo a sconfiggere i barbari pensava di farli diventare dei cittadini romani e di impiegarli per combattere altri eventuali invasori. Prima di morire Teodosio stabilì che l'impero fosse definitivamente diviso tra i due suoi figli nell'impero romano d'Occidente e quello d'Oriente. LE INVASIONI BARBARICHE NELL'IMPERO ROMANO D'OCCIDENTE Dopo il 400, in Occidente, le invasioni barbariche divennero un problema gravissimo. Le incursioni erano ormai all'ordine del giorno e l'esercito romano non era più in grado di contenerle. I Visigoti, sotto il re Alarico, non furono più contenti dei loro insediamenti nella penisola balcanica e decisero di conquistare Roma. Dopo aver saccheggiato la Macedonia e la Grecia giunsero in Italia dove si sparsero nella Pianura Padana. Stilicone, generale dell'esercito romano, riuscì a batterli. Nel frattempo, l'imperatore Onorio trasferì la capitale a Ravenna, ritenuta più sicura rispetto a Roma poiché, essendo circondata da paludi e posta sulle rive del mare, offriva maggiori possibilità di difesa. Nel 410, Alarico, approfittando della morte di Stilicone conquistò Roma che venne saccheggiata in modo spietato: gli edifici furono bruciati e la popolazione fu massacrata. Tale evento viene ricordato con il nome di sacco di Roma. Dopo il sacco di Roma, i Visigoti, con l'intenzione di raggiungere l'Africa, si diressero verso l'Italia meridionale. Qui Alarico morì. Il nuovo re rinunciò al progetto del suo predecessore, così i Visigoti risalirono la penisola e si diressero verso la Francia meridionale e la Spagna dove si stabilirono creando un proprio regno. L'arrivo dei Visigoti in Spagna costrinse i Vandali a spostarsi nell'Africa Settentrionale dove, nel 429, conquistarono la provincia di Cartagine. GLI UNNI Gli Unni erano una popolazione di stirpe mongolica formata da cavalieri nomadi che vivevano nelle steppe dell'Asia centrale. A guidare gli Unni c'era Attila, uomo estremamente violento, denominato per questa ragione flagello di dio. Egli era però anche un validissimo condottiero. Attila era riuscito a conquistare un territorio estremamente vasto che comprendeva tutta la Russia meridionale e il bacino del Danubio. Nel 451 gli Unni varcarono il Reno con l'intenzione di conquistare la Gallia. Durante il loro cammino verso la Gallia, Attila fu fermato dal generale romano Ezio che era riuscito a radunare un esercito abbastanza numeroso formato soprattutto da Germani. La mossa successiva di Attila fu quella di dirigersi verso l'Italia dove l'esercito romano era poco numeroso e, di conseguenza, era facilmente battibile. In Italia gli Unni si diressero nell'attuale Friuli. Successivamente si diressero verso Milano e Pavia, che saccheggiarono e distrussero. A questo punto, nel 452, si fermarono ai pressi di Ravenna. Secondo la tradizione, a Ravenna, Attila incontrò papa Leone I che riuscì a convincerlo a ritirarsi, probabilmente offrendo in cambio oro e argento. LA FINE DELL'IMPERO ROMANO D'OCCIDENTE Dopo che gli Unni si furono ritirati, Roma fu nuovamente attaccata, questa volta da parte dei Vandali che vi giunsero via mare dall'Africa dove si erano insediati. Nonostante i tentativi di papa Leone I di convincerli a non entrare nella città, essi la saccheggiarono. Nel 455 i Vandali presero possesso anche della Sardegna, della Sicilia e della Corsica. Gran parte dell'impero romano d'Occidente era, ormai, nelle mani dei barbari: rimaneva solamente l'Italia. Qui, dal 455 in poi si succedettero ancora nove imperatori, ormai senza alcun potere effettivo. Anche l'esercito romano era controllato dai barbari grazie ai ruoli di rilievo che essi avevano assunto al suo interno. Nel 476 Odoacre, un barbaro divenuto generale dell'esercito romano, si ribellò contro Oreste, un patrizio che aveva fatto eleggere imperatore il proprio figlio, Romolo Augustolo, ancora molto giovane e privo di qualsiasi autorità. Odoacre depose l'imperatore e diventò capo della penisola italica. La capitale fu fissata a Ravenna. Una volta salito al potere, Odoacre come prima cosa inviò le insegne imperiali a Bisanzio: con tale gesto egli riconosceva l'autorità ed il ruolo dell'imperatore romano d'Oriente. L'insediamento al potere, in Italia, di un regno barbarico rappresentò la fine definitiva dell'impero romano d'Occidente. Dopo la fase iniziale delle scorrerie e dei saccheggi, in Occidente i re barbari lasciarono immutate le leggi, le istituzioni e le strutture romane.
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