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Storia romana dalle origini fino alla fine dell'età classica, Appunti di Storia Romana

riassunto completo per il superamento dell'esame di storia romana

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 09/04/2021

mattiamezio
mattiamezio 🇮🇹

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Scarica Storia romana dalle origini fino alla fine dell'età classica e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! STORIA ROMANA Le narrazioni storiografiche sulle origini di Roma risultano molto compromesse, tanto che, all’inizio del secolo scorso, alcuni (fideisti) conferivano loro una credibilità massima, mentre altri (ipercritici) le consideravano totalmente inaffidabili. Tuttavia, prima di addentrarci nella storia dell’antica Roma, bisogna chiarire alcuni concetti chiave che riguardano la storia. La storia è una necessità sociale che serve per definirsi e confrontarsi, essa permette di sviluppare uno spirito critico e una capacità di sintesi tale da far dialogare gli eventi fra di loro. Un’adeguata conoscenza della storia ci permette di discernere il vero dal falso. Ma chi è lo storico? Lo storico è colui che indaga, ricerca, si pone degli interrogativi continui sul tempo e sulle azioni dell’uomo. March Bloch recita un bellissimo aforisma che paragona lo storico all’orco delle fiabe. La descrizione della storia, tuttavia, presenta un grande problema che è quello della soggettività. Tucidide ne La guerra del Peloponneso scrisse che l’unica storia attendibile fosse la sua, sostenendo che l’attendibilità di essa fosse maggiormente presente in coloro che vissero gli eventi sulla propria pelle. Noi, però, sappiamo bene che la storia non potrà mai essere del tutto oggettiva, anche se ammettere l’elemento soggettivo non significa influenzare il racconto bensì rendere innocua tale soggettività. Karl Popper diceva che lo storico è come il manovratore di un faro: rende visibile il tutto a seconda della posizione, dell’intensità e dei movimenti che egli stesso dà alla luce. Ernesto De Martino con la teoria dell’etnocentrismo critico dà una risposta alla domanda “come superare la presa di coscienza della soggettività storica?”. Egli afferma che bisogna prendere coscienza dei propri limiti e superarli, solo così con queta tensione etno-spuculativa si può realizzare l’umanesimo etnografico che implica la storicizzazione di sé e della propria cultura. Un grande filosofo italiano centrò a pieno quella che è la comunicazione tra il presente e il passato. Benedetto Croce, infatti, riteneva che “ogni storia è storia contemporanea” ammettendo l’eterna attualità di essa. L’eternità e l’assoluto, però, non competono allo storico, infatti, molti personaggi che in epoca a loro contemporanea risultavano essere dei grandi, si sono dimostrati poi tutt’altro. È il caso di Cristoforo Colombo che al suo tempo era considerato gloria nazionale per la scoperta dell’America mentre, attualmente, la sua statua è stata distrutta perché considerata simbolo di razzismo. Le cinque domande che lo storico si pone: CHI? IL SOGGETTO COSA? L’AZIONE DEL SOGGETTO QUANDO? PERIODO DELL’AZIONE DOVE? IL LUOGO DELL’EVENTO COME? LA MODALITA’ DELLO SVOLGIMENTO PERCHE’? PERCHE’ È SUCCESSO Il metodo storiografico non può prescindere dalla suddivisione della storia in periodi. Il tutto è molto antico, dal metodo annalistico. Per dividere la storia in periodi bisogna avere dei preconcetti che scinde i momenti di cambiamento, la periodizzazione più nota è: -STORIA ANTICA -STORIA MEDIEVALE -STORIA MODERNA -STORIA CONTEMPORANEA Anche questo schema, però, verrà rivisto. Gli strumenti essenziali dello storico sono le fonti (lat. Fons- acqua, sorgente) che possono essere primarie e secondarie: -Le fonti primarie sono testimonianze storiche. Gli elementi da valutare sono: pertinenza al tema, autenticità e attendibilità delle informazioni. -Le fonti secondarie riguardano l’interpretazione dei documenti Per selezionare le fonti bisogna distinguere il vero dal falso. Le fonti possono essere: scritte, non scritte, entrambi. Fonti epigrafiche: storia locale, sociale Fonti papiracee: storia locale, economica e sociale Fonti numismatiche: storia economica delle monete Fonti archeologiche: storia e cultura materiale e Paris l’approccio nei confronti delle fonti antiche cambia. Gli storici erano tutti, chi più e chi meno, scettici riguardo la tradizione delle origini di Roma. A seguito dell’unità d’Italia furono effettuati i primi scavi dall’archeologo Giacomo Boni nella zona del foro romano e del palatino, i ritrovamenti sembravano affermare i racconti tramandati. Nella zona del foro romano, sotto il Lapis niger fu trovata un’iscrizione arcaica con la scritta Rex confermando l’esistenza di un periodo regio. Il lapis niger è un lastricato di colore scuro sotto il quale c’è il cosiddetto cippo del foro. Sotto vi è una sala ipogea. Esso prende il nome dal colore della pavimentazione, l’archeologo Boni qui scoprì un’antichissima colonna con un’iscrizione che corre su tutti i lati. L’iscrizione è una legge sacra in lingua arcaica e andamento bustrofedico (andamento dei buoi). Secondo Boni questa iscrizione riguardava la narrazione dei gesti di Romolo e questo è legato a delle fonti scritte da Dionigi di Alicarnasso. Egli però non parlava di qualcosa legato a Romolo, ma parlava di un’area sacra chiamata Volcanal dove veniva venerato il Dio vulcano. I commentatori di Orazio vi riconoscevano la tomba di Romolo. Dionigi di Alicarnasso parla, invece, della tomba del pastore Faustolo, colui che aveva allevato i gemelli. Festo ricorda il luogo come nefasto, registrando varie tradizioni. Plutarco, invece, dice che questo era il luogo dell’assassinio, da parte dei componenti dell’assemblea, di Romolo. Archeologi e Letterati Posizione antitetiche: Carandini e Grandazzi sostenevano che i dati archeologici e quelli letterari coincidessero. Gabba e Pouchet ritenevano che i dati archeologici potessero essere interpretati in vario modo. Le prime tracce di stabilimenti umani nel sito della futura città di Roma risalgono la X-XI secolo a. C. che corrisponde alla transizione fra l’età del bronzo e quella del ferro, micro- comunità stanziate sul colle Palatino e sul colle Esquilino. È possibile ricostruirne le principali connotazioni grazie alla somma dei dati archeologici e alla loro comparazione con i miti relativi alle origini di Roma, riportati dalle fonti letterarie. Si trattava di piccoli insediamenti ubicati a 5- 10 km di distanza in altura. La struttura delle abitazioni è ricostruibile sulla base degli scavi che hanno portato alla luce pavimenti in terra battura, tracce di cenere riconducibile a camini ecc. la forma delle case è comprovata anche dalla tipologia di numerose urne sepolcrali dette appunto “a capanna”. L’economia praticata da tali clan era di tipo Silvo-pastorale. Il contesto ambientale privilegiato era rappresentato dal bosco cui i latini si riferivano con una pluralità di termini dalle differenti sfumature: Silva, lucus, nemus. Non a caso ad essi sono legati dei miti, leggende e istituzioni: Silvii si sarebbero chiamati i primi re albani (la madre di Romolo era denominata Rea Silvia). L’agricoltura era circoscritta a forme di mera sussistenza: il solo cereale coltivato era il farro, compatibile con terreni paludosi e dotato di un buon potere nutritivo. Retaggio di una società egualitaria sarebbero inoltre due istituzioni che sono documentate in età successiva: ager publicus (la terra pubblica) terreno acquistato militarmente, reso comune e poi suddiviso; ager compascus (terra di pascolo) la parte indivisa delle proprietà fondiarie pubbliche, in cui i proprietari delle terre confinanti avevano facoltà di far pascolare le proprie greggi. Per quanto concerne alla politica, non si dispone di dati affidabili ma si ritiene esistesse una regalità prestatale connessa all’aspetto sacro, cui sarebbe riconducibile la figura del re-sacerdote del bosco sacro a Diana presso il lago di Nemi. La data della fondazione di Roma è collocata per lo più dalle fonti storiografiche nel corso dell’VIII secolo a. C. come momento fondativo, in età imperiale finì per affermarsi come più accreditata la cronologia fissata dall’autorevole erudito latino Marco Terenzio Varrone che, a metà del I sec. a. C. aveva individuato la notte fra il 20 e il 21 aprile 753 a. C. come la data in cui si sarebbe svolta fra Romolo e Remo la contesa che doveva indicare chi fra i due gemelli provenienti da Albalonga dovesse assolvere al ruolo di fondatore. Secondo la reinvenzione mitico-storica Remo avrebbe scelto il colle Aventino e il nome Remonia, mentre Romolo il Palatino e il nome Roma. Il primo segnalò il volo dei sei avvoltoi, rivendicando, per prevalere, l’anteriorità dell’avvistamento, mentre il secondo annunciò la comparsa di dodici uccelli, reclamandone la superiorità numerica quale espressione di un favore divino almeno doppio. Romolo figurerebbe la disciplina, l’ordine e la regola, mentre, Remo, agirebbe in modo selvaggio e pastorale. Il ciclo leggendario sulla nascita di Roma conosce molte versioni, stratificatesi nel tempo con le più diverse motivazioni ma riconoscendo l’uccisione di Remo nel corso del rito di fondazione, allorché l’attraversamento provocatorio della linea del confine cittadino tracciata dal gemello sarebbe stato punito con la morte. C’è chi ha inteso la morte di Remo come rito di sangue finalizzato alla sacralizzazione del confine, con lo scopo di sancire, attraverso un atto esemplare, la proibizione di varcare in armi il limite della città, chiamato pomerio. È stata però avanzata un’altra ipotesi circa la nascita della città di Roma: i ritrovamenti archeologici documentano infatti l’esistenza già dall’età del bronzo di insediamenti dell’altura su tre colli ove risultano stanziamenti allevatori appartenenti a due diversi gruppi. A metà dell’VIII secolo sarebbero maturate tra i due nuclei forme di aggregazione, le quali avrebbero progressivamente generato la fusione della comunità prima indipendenti; tale moto assimilativo noto come sinecismo (abitare insieme) sarebbe stato in seguito oscurato dal mito di fondazione attribuito a Romolo. Tracce di tale processo di progressiva coesione si rinvengono nella festa del Settimonzio cui prendevano parte le comunità di pastori insediate sui tre colli: Palatino, Esquilino, Celio. Il progressivo sviluppo dell'insediamento era dovuto alla sua favorevole ubicazione morfologico - topografica: la natura scoscesa delle alture che le rendeva facilmente difendibili, la presenza di ricchi pascoli particolarmente apprezzati da una comunità di pastori, la vicinanza rispetto al corso del fiume Tevere consentiva un agevole guado. Il luogo ideale per la costruzione di ponti, il più antico dei quali si chiamò ponte Sublicio. Ma il sito su cui sorse Roma si trovava, soprattutto, in corrispondenza di una tappa dell’antichissima strada che sarà in seguito nota come via Salaria. Da qui proveniva il sale che era un prodotto al tempo contesissimo perché non solo impiegato per la preparazione e la conservazione dei cibi, ma soprattutto per l'integrazione nutrizionale del bestiame che lo rendeva indispensabile alla sopravvivenza delle greggi. Roma sorse al crocevia di vie di comunicazione funzionali all’importazione e all’esportazione di merci che irradiavano. La tradizione ricorda concordemente per la Roma delle origini un governo monarchico che si protrasse ininterrottamente dalla Fondazione della città fino alla cacciata di Tarquinio il superbo avvenuta nel 509 A.C. Tutto ciò e comprovato da molteplici indizi, alcuni sono di tipo rituale: ad esempio la presenza del calendario in corrispondenza dei giorni 24 marzo e 24 maggio, della sigla Q.R.C.F. cioè q(quando) r(rex) c(comitiavit) f(fas), Indicava la data in cui era lecito per il re convocare il popolo in assemblea; analogamente, la cerimonia del regifugium consisteva in un sacrificio compiuto il 24 febbraio del re che poi fuggiva rapidamente. Si dispone peraltro anche di prove epigrafiche della presenza dire in Roma punto il famoso cippo del foro romano menziona nel suo testo per due volte tale carica. I Re di Roma sonno generalmente 7: - Romolo (753-716) - Numa Pompilio (715-672) - Tullio Ostilio (671-640) - Anco Marcio (640-616) - Tarquinio Prisco (616-579) - Servio Tullio (578-535) - Tarquinio il Superbo (534-509) La tradizione ci riporta appunto i 7 re di Roma, otto, se si considera anche la figura di Tito Tazio, il re Sabino con cui il fondatore Romolo condivise il regno all’indomani del leggendario ratto delle Sabine in funzione della fusione dei due popoli. Si pensa addirittura ad un nono re di Roma: Porsenna che in un trattato ordina di non utilizzare il ferro se non in agricoltura. Si è pensato, così, che Porsenna possa essere stato uno dei re, poiché nella fase di stallo dopo la cacciata dei re non si instaurò subito il regime repubblicano e molti condottieri, tra cui Porsenna, si contendevano Roma. I caratteri fondamentali della monarchia di Roma: - Sacra, ma non teocratica, doveva garantire la pax deorum - Monocratica, una sola persona al potere - Vitalizia, durata a vita - Elettiva, il senato decideva il successore - Aperto a gli stranieri, come Tito Tazio e gli Etruschi Il re ha potere esecutivo ma non legislativo, non può quindi cambiare la legge. In caso dovesse decidere da solo si tratterebbe di tirannide e il popolo potrebbe chiederne l'espulsione. Il primo periodo della monarchia romana è una monarchia costituzionale: - Il re elettivo - Consiglio dei nobili (senato) - Assemblea del popolo in 30 curie Alla scomparsa del re si entrava in una fase chiamata interregnum. Le competenze del re comprendevano le funzioni religiose; Il sovrano in qualità di mediatore tra uomini e dei, presiedeva ai riti collettivi, traeva gli auspici, fissava il calendario e lo comunicava il topo tramite la figura del kalator. I compiti del sovrano erano in questo ambito quanto mai delicati perché la religione romana era basata sullo scrupoloso rispetto delle prescrizioni rituali, le sole in grado di garantire la cosiddetta pace con gli dèi (pax deorum), cioè la Concordia fra la comunità degli uomini e quella divina; qualsiasi infrazione, anche involontaria, se non espiata tramite opportuni esorcismi riparatori era potenzialmente gravi da dolorose conseguenze per la vita comunitaria. La natura contrattualistica della religione romana costituiva il fondamento e il cemento della società la quale si riconosceva in comuni valori condivisi il cui complesso era chiamato mos maiorum cioè costumi degli antenati; Tali valori, fra cui spiccava la pietas, cioè il rispetto verso con un riconoscimento paritario delle due componenti etniche attraverso l’affiancamento a Romolo del re Tito Tazio. L'unione si tradusse anche nell’alternanza di re latini a re sabini e la città si andò caratterizzano sempre più per la sua dimensione di “città aperta”. COME SI INSTAURA LA MONARCHIA ETRUSCA? La storia personale del quinto re di Roma, Tarquinio Prisco, e in tal senso assai significativa; egli arrivò a Roma grazie al diritto di asilo e venne accolto da Anco Marzio. La successione a quest'ultimo avvenne secondo forme istituzionalmente corrette: alla morte di Anco Marzio Tarquinio Prisco fu nominato al suo posto dopo che furono soddisfatte tutte le formalità tradizionali. L'ascesa al regno di Tarquinio nel 616 a.C. segnò l'inizio di quella che viene comunemente chiamata dominazione etrusca a Roma, che si protrasse per circa un secolo fino alla cacciata dei re nel 509 a.C. Tarquinio Prisco fu il principale attore di una vera e propria rivoluzione tecnologica in quanto introdusse significativi cambiamenti. Fra le innovazioni importante dei clan etruschi figura, in primo luogo, la capacità di canalizzare le acque. L'agricoltura virgola in precedenza subalterna le attività Silvo-pastorali, si avviò a divenire la protagonista assoluta dell’economia romana. In città si procedette alla costruzione di una rete fognaria, la cosiddetta cloaca massima; l'area paludosa ai piedi del palatino venne bonificata attraverso successivi riporti di terreno e vi trovo spazio la piazza del mercato pavimentata in pietra, chiamata foro. Dal foro al Campidoglio venne poi lastricato una strada, la via sacra, che sarà percorsa da tutti i cortei cerimoniali, come quelli trionfali o circense. Nella valle tra il Colle palatino e Colle Aventino, su un'area anch'essa bonificata, il Circo Massimo ospitò per la prima volta i giochi cui si assisteva con ogni probabilità su gradini appositamente costruiti per gli spettatori. Fu questa la grande Roma dei Tarquini significative trasformazioni si produssero anche sul piano religioso; Vennero introdotti culti e modalità cerimoniali tipicamente etruschi punto si affermò inoltre nella vita pubblica il ricorso all’aruspicina, la scienza attraverso cui la classe sacerdotale si metteva in contatto con la divinità per interpretarne i voleri. Per la celebrazione delle vittorie militari si adottò un rituale etrusco virgola che culminava nella cerimonia del trionfo durante la quale il generale vittorioso percorreva la testa del suo esercito la via sacra fino al tempio capitolino. L'ascesa al trono di Servio Tullio: Secondo la tradizione, Servio Tullio avrebbe assunto il potere grazie ad un colpo di mano di Tanaquil, moglie di Tarquinio Prisco; si insediò infatti senza aver ottenuto il consenso del popolo e la ratifica del Senato. Le origini di Servio Tullio sono assai discordi, potrebbe essere the origine Etrusca ed è probabile che si chiamasse Mastarna. Queste informazioni le ritroviamo in un'orazione di Claudio del 48 d.C. Al re Servio Tullio la tradizione attribuisce un’intensa attività di riforme in vari cambi. L'azione politica di Servio Tullio sembrò ispirata dalla volontà di allargare il nucleo di quanti partecipavano alla gestione del potere, premiando i ceti emergenti. Così il Senato, che Romolo aveva costituito con 100 membri, accrebbe le sue unità fino a 300, con l'ammissione di quelle che vennero chiamate minores gentes. Il re procedette a una nuova definizione amministrativa; Alle tre tribù gentilizie nell'ordinamento romuleo ovvero: i tities, ramnes e luceres vennero sostituite quattro tribù territoriali, in quanto la popolazione fu distribuita in funzione del domicilio e non più in base alla nascita. Roma divenne allora quadrata, ovvero divisa in quattro distretti amministrativi. Le prime quattro nuove tribù si chiamarono: Suburana (monte Celio), Esquilina (colli Cispio ed Oppio), Collina (colli Quirinale e Viminale), Palatina (colle Palatino). Tale riforma serviana depotenziò la forza degli antichi gruppi gentilizi. La riforma dell'esercito rappresento forse la più incisiva novità riferita a Servio Tullio. Con quest'ultimo nacque una fanteria oplitica, cioè una formazione di linea che combatteva a ranghi serrati. Secondo una tattica acquisita dell'esperienza greca lo scudo era tenuto con il braccio sinistro e difendeva soldato vicino. Il carro da questo momento venne utilizzato solo come mezzo di trasporto, da parata o segno di prestigio. Nel nuovo esercito serviano ogni cittadino definiva qualitativamente il suo impegno bellico sulla base della personale capacità patrimoniale. Come molte società arcaiche, anche nella comunità romana che coltivò precocemente una vacazione espansionistica, la guerra era considerata un valore positivo in quanto costituiva uno strumento di arricchimento sia collettivo che individuale. A tal fine il sovrano provvide a bipartire la popolazione maschile libera in soggetti non arruolabili (detti anche proletari, poiché privi di risorse economiche) e soggetti arruolabili (poiché dotati di patrimonio, i quali andavano a costituire la legione). Sulla base della loro capacità patrimoniale, i cittadini furono divisi 193 unità, chiamate centurie: 170 di Fanti, 18 di cavalieri e 5 di corpi senza armi costituiti da fabbri, carpentieri, trombettieri, suonatori di corno, inservienti. Le centurie dei Fanti erano distribuite in cinque classi a seconda della complessità dell’armamento. - CAVALLERIA: 12 centurie di Equites equo publico (fanti a cavallo), aggregati alla prima classe; - I CLASSE: (fanteria) Reddito superiore a 100.000 assi. 80 centurie distribuite equamente fra iunores e seniores. Aggregate erano due centurie di Fabbri addetti alle macchine da guerra; - II CLASSE: Cittadini con reddito compreso fra 100.000 assi e settantacinquemila essi. 20 centurie; - III CLASSE: Tra 75.050 mila assi. 20 centurie; - IV CLASSE: Tra 50.020 5000 essi. 20 centurie con asta, giavellotto; - V CLASSE: Tra 25.011 mila assi. 30 centurie con fionde e pietre, aggregate due centurie di suonatori di corno e tuba; - Capitecensi o proletari: una centuria, immuni da compiti militari. Per garantire una corrispondenza tra l'impegno profuso da ciascuno nell’esercito delle armi e il peso politico esercitato dal singolo, Servio Tullio provvede all'istituzione di una nuova assemblea. Esse si riuniva nel campo Marzio al di fuori del pomerio, il confine della città entro il quale non si poteva entrare armati. Presero il nome di comizi centuriati poiché vi si partecipava divisi proprio come nell’esercito, la centuria costituiva l'unita di voto ma il numero di cittadini iscritti in ogni centuria era variabile. I comizi centuriati non rappresentavano un’assemblea democratica: i cittadini più abbienti e che più si impegnavano in guerra erano distribuiti in più Centurie e il loro voto pesava dunque di più. Si trattava quindi di un sistema politico Timocratico. L'ultimo re di Roma fu Tarquinio il superbo che prese il potere sposando la figlia di Servio Tullio, Tullia, e uccidendo il re grazie all’aiuto di sua moglie. Come possiamo notare vi sono degli schemi molto simili nella narrazione di tali eventi e per questo le notizie risultano poco affidabili. Lo stesso aggettivo “superbo” nel nome dell'ultimo re di Roma vuole disegnare un'immagine piuttosto negativa, e gli eventi vengono per questo falsati. Nonostante tali manipolazioni, è innegabile che durante il regno di Tarquinio il superbo si riportarono significativi successi bellici. Ulteriore segno di prestigio per la città fu il completamento del tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio, che adottava un modello costruttivo di tipo greco. Gli avvenimenti che determinarono la fine del Regno di Tarquinio superbo e la cacciata del suo clan da Roma sono dettagliatamente descritti dalla documentazione letteraria. Il pretesto dalla nascita della Repubblica trova terreno fertile nel rapporto tra Sesto Tarquinio e Lucrezia, una nobildonna moglie di Latino, amico di Sesto Tarquinio con la quale combattevano insieme nella città di Ardea. Secondo il racconto Sesto Tarquinio con un inganno si fa ospitare da Lucrezia, nella notte ella viene violentata, racconta tutto al marito implorando una severa vendetta e suicidandosi con una pugnalata al cuore. A seguito di questo tragico evento Giunio Bruto, nipote del superbo, raduna una massa infuriata alla cacciata dei re. Questa violenza fu la goccia che fece traboccare il vaso e l’intento fu quello di cacciare i Tarquini per sempre da Roma. LA TRANSIZIONE FRA MONARCHIA E REPUBBLICA: La cacciata dei Tarquini comportò un radicale cambiamento politico che produsse l'abbandono del regime monarchico. Secondo la tradizione letteraria, ispirandosi ai commentari attribuiti a Servio Tullio, il nuovo assetto istituzionale previde una costituzione detta repubblicana in cui il potere militare fu affidato a due nuovi magistrati di durata annuale, e Consoli, eletti dai comizi centuriati. I primi Consoli sarebbero stati Lucio Giunio Bruto e Marco Orazio. Un grande dubbio è se il passaggio dalla monarchia alla Repubblica fu graduale o immediato. Plinio il vecchio lascia pensare che il re di chiusi Porsenna per qualche tempo abbia avuto il controllo di Roma e dunque alla cacciata dei re non si istituì subito un regime repubblicano. La maggior parte degli storici fissava il 510 a.C. la data della cacciata dei re. Su questa datazione pesa però il collegamento con un evento simile che interessa Atene: la cacciata dei Pisistratidi Ipparco e Ippia, e l'affermazione di un governo democratico con Clistene e Isagora. Nonostante questi dubbi, ci può essere del vero: lo dimostra Polibio nel suo trattato che ci porta alla data del 508 a.C. Una cerimonia annuale a scopo apotropaico; quella di fissare un chiodo nel tempio di Giove, narrata da Livio. Livio scrisse che il tempio di Giove sul Campidoglio era stato inaugurato da uno dei Consoli del primo anno della Repubblica. Nell'ultimo decennio del VI secolo a.C. In tutto il quadrante del Mediterraneo occidentale si consumò una lotta per il controllo della rotta commerciale tirrenica fra tre elementi etnici: quello etrusco, quello fenicio- punico, quello greco. I dati archeologici attestano per tali frangenti differenti strategie di alleanza adottate dalle città etrusche per mantenere il controllo delle percorrenze marittime attraverso le quali transitavano materie prime e prodotti finiti. La Roma etrusca provvide a schierarsi all’interno del conflitto in atto e il suo ultimo re Tarquinio il superbo intavolò trattative per stringere un trattato interstatale con Cartagine che venne però siglato solo dopo il suo allontanamento dalla città nel 509 a.C. È questo il primo trattato fra le due grandi città, ce lo descrive Polibio nel suo trattato, sottolineando che questi eventi accaddero 28 anni prima del passaggio di Serse in Grecia. I PROFILI ISTITUZIONALI DELLA REPUBBLICA: Il mutamento istituzionale fu sancito da un giuramento con il quale la comunità romana si sarebbe solennemente impegnata a non farsi mai più governare da un re. Nonostante il dettato delle fonti letterarie racconti un passaggio repentino da monarchia Repubblica talune incongruenze che emergono dalla documentazione coeva prospetta in realtà l’avvio di una lunga fase di sperimentazione istituzionale. Per alcuni anni sono attestate figure magistratuali non ben definite dalle fonti, da connettersi a una fase fluida di transizione. Fra queste si segnala il re addetto al sacro (rex sacrorum) che sembra corrispondere al sovrano il quale mantenne dell’antica carica solo gli incarichi religiosi e cultuali, continuando a soggiornare nella sua residenza edificata presso il settore sud-orientale del foro. Una magistratura di eccellenza fu quella di Mastarna. Con il termine magistrato si designa il cittadino romano che riveste una carica politica al servizio del popolo romano. Nella fase di passaggio i poteri del re passarono sostanzialmente in mano ai nuovi magistrati. L'azione di questi ultimi era tuttavia limitata dall’annualità della carica e della sua collegialità. I simboli di potere erano: i fasci e lo scudo. Disattese parli principi solo la carica di dittatore che fu adottata in situazioni di emergenza quando un incombente pericolo bellico consigliava di unificare nelle mani di un solo soggetto la responsabilità del comando militare. In tali evenienze si produceva la sospensione del consolato e il dittatore, dotato di ampi poteri, nominava sua scelta un capo della divinità che si avviarono a impersonare il corrispondente plebeo della triade capitolina. Ma la conquista più significativa fu l'istituzione di due tribuni della plebe, anch’essi eletti annualmente dall’assemblea plebea con l'incarico di mantenere i contatti con la comunità Patrizia. In quanto magistrati- ponte tra i due ordini ed esposti in prima linea nel contrasto con gli antagonisti politici, si videro riconoscere il privilegio dell' inviolabilità (sacrosancitas); In base alla legge chiamata consacrata veniva infatti sacer, ovvero vittima sacrificale della divinità plebee, chiunque attentasse all’incolumità di un tribuno: poteva quindi essere impunemente ucciso senza che il suo assassinio fosse perseguibile. I tribuni della plebe per svolgere la loro opera di salvaguardia della comunità di appartenenza godevano di diritti: il ius auxilii ovvero il diritto di portare aiuto grazie al quale prestavano assistenza giudiziaria ai plebei contro gli abusi dei magistrati Patrizi e il ius intercedendi ovvero il diritto di veto per cui era sufficiente che un solo tribuno ponesse il veto alla liberazione di un magistrato Patrizio perché questa venisse subito annullata in quanto lesiva agli interessi della plebe. Nel 470 a.C. su proposta del tribuno della plebe Publio Volerone, si procedette a una modifica sostanziale riguardo i meccanismi di funzionamento dell'assemblea dei plebei. Si decise di non votare più per testa ma di assumere come unità di voto la tribù, secondo la divisione della popolazione operata da Servio Tullio, personaggio che i plebei consideravano un riferimento tutelare. Lo scopo era disperdere la compattezza della clientela attraverso cui Patrizi riuscivano spesso a garantirsi le elezioni dei tribuni della plebe compiacenti. I Consoli cercarono di opporsi, ma la riforma passò. Così il concilium plebis divenne concilium plebis tributum, cioè assemblea della plebe divisa per tribù; Prendeva anche il nome di comizi tributi. Nell’occasione i tribuni della plebe passarono da due a quattro il numero dalle tribù urbane cui erano iscritti i plebei maggiormente bisognosi di protezione e assistenza. Tra il 451 e il 450 a.C. i plebei ottennero la codificazione del diritto; si tratta però di un processo non indolore. Il racconto della tradizione parla di una missione preventivamente inviata in Grecia per consultazioni e dalla successiva sospensione della magistratura con la conseguente elezione di un collegio di dieci membri, Tutti i Patrizi, investito di pieni poteri e incaricati non di emanare una nuova legislazione ma di pubblicare le norme vigenti, nonché il calendario. I comizi persero pian piano la loro importanza quando Roma si espanse, finché Tiberio tolse ad essi la facoltà di eleggere i magistrati trasferendola al Senato. Rimase a loro il compito di deliberare questioni amministrative e giudiziarie. Una nuova figura emersa dopo la secessione dell'Aventino era una magistratura preclusa ai Patrizi sorta per aiutare plebei, essa ricorreva all’adozione per aggirare la legge. In questo contesto sorgono gli edili della plebe che in questa prima fase sono da intendere piuttosto come funzionari che come magistrati veri e propri. Il loro nome deriva da uno dei loro principali compiti, la custodia dei templi e la supervisione di mercati. Dopo aver ottenuto il riconoscimento della propria assemblea e dei propri rappresentanti, le richieste della plebe si concentrarono sulla redazione di un codice legislativo scritto che mettesse al riparo la popolazione di Roma dall'arbitrio dei Patrizi, incaricati di tramandare e interpretare norme consuetudinarie oralmente. Secondo la tradizione nel 454 a.C. è stata inviata in Attica, ad Atene, un'ambasceria per studiare la legislazione di Solone. Al ritorno dei legati venne decisa la creazione di una nuova magistratura, il decimvirato , con il compito di redigere in forma scritta un codice legislativo che fino ad allora esisteva solo oralmente. Quando arriva la commissione vi è uno scontro tra Patrizi e plebei per chi dovesse scrivere le leggi. I plebei cedettero ad una condizione, che il Colle Aventino dovesse essere loro. I decemviri rimasero dal 451 a 449 gli unici magistrati in carica. Il secondo decemvirato si comportò in modo poco consono. Alcuni vennero sostituiti altri, come Appio Claudio rimasero. Livio descrisse l'insediamento di questo secondo triumvirato alquanto dispotico. Una caratteristica notata dall’autore fu che i fasci, inizialmente portati da un solo rappresentante, erano portati da tutti i decemviri. Purtroppo, le 12 tavole non ci furono trasmesse nella loro forma originaria, originariamente erano poste all'interno del foro romano, la piazza dove tutti si riunivano. Conosciamo il loro contenuto grazie ad autori come Gellio e Cicerone. I frammenti a noi noti del codice legislativo riguardano il diritto privato e l'interesse alla vita pubblica. Alcuni esempi delle disposizioni tramandate dalle fonti letterarie sono: Se è un furto è commesso di nottevirgola.se il proprietario uccide ladro, lo si consideri ucciso legalmente. È proibito uccidere un ladro di giorno a meno che non si difende con un'arma. Un problema molto importante fu quello del divieto di matrimonio tra Patrizi e plebei, questo divieto si trovava nelle cosiddette tabulae iniquie. Da qui si arriva alla seconda secessione dov'è la plebe si ribella e il decemvirato crolla. I nuovi Consoli quali Marco Orazio e Valerio promulgarono una serie di misure che tributarono il giusto riconoscimento alla plebe per aver combattuto il regime dispotico. Si giunse così alla legge canuleia. Il divieto di matrimoni misti trovava radici solide nella scusa che Patrizi esplicavano per dimostrare la loro purità di sangue che non poteva essere contaminata. Caio Canueleio giunse al cuore del problema e riaffermò il diritto del popolo di eleggere sia un Patrizio e un plebeo. Viene a cadere , così, anche il divieto dei matrimoni misti (ius connubii). Il duro scontro tra Patrizi e plebei per l'accesso di questi ultimi al consolato venne risolto da un singolare compromesso: a partire dal 444 a.C. Al posto dei normali consoli Patrizi potevano essere eletti dei tribuni militari con poteri pari a quelli dei Consoli, scelti indifferentemente tra i due ordini. I Patrizi hanno fatto tutto ciò per poi concedere un potere molto importante ai plebei. Livio documenta in effetti che era prerogativa del Senato decidere di anno in anno se optare per l'elezione di tribuni consolari o di Consoli, che continuavano ad essere scelti esclusivamente tra i Patrizi. La scelta ricade su queste sei figure militari che possedevano già l'imperium, conferitogli dal console che rimaneva sempre il comandante supremo dell'esercito. Abbiamo attestazione dai fasti delle lezioni di diversi tribuni consolari quanto con le leggi Licinie sestie finalmente si concessa ai plebei di accedere al consolato. Questa magistratura, essendo ormai divenuta obsoleta, scompare. Il decennio tra il 450 e il 440 A. C. vide peraltro l’istituzione di nuove magistrature: nel 447 vennero introdotti i questori, in numero di quattro, eletti per gli affari finanziari e per l’amministrazione dell’erario, cioè il tesoro pubblico. Nel 443 A.C. Fu poi la volta di una nuova carica aperta esclusivamente agli ex console: quella dei censori che, in numero di due, restavano in carica 18 mesi. Avevano il compito di redigere ogni cinque anni la stima del patrimonio dei cittadini e di approntare la loro iscrizione nelle tribù territoriali in base alla residenza nonché nelle centurie appropriate in relazione al censo. Dopo breve tempo, i censori furono preposti anche alla stesura e alla revisione delle liste dei senatori, dalle quali provvedevano a espugnare i membri deceduti o macchiatisi di condotta immorale, sostituendoli con i magistrati eletti nel quinquennio. Le operazioni di censimento erano precedute e concluse da una cerimonia di purificazione sacra del corpo civico detta lustratio. Il conflitto fra i due ordini si protrasse anche nel corso del quarto secolo a.C. e il 367 a.C. fu l'anno della svolta nella strategia plebea, che passò dalla politica della separatezza a quella dell'integrazione. In quell'anno ricoprirono il tribunato della plebe due esponenti delle più ricche famiglie plebeo, Lucio Sestio Laterano e Gaio Licinio Stolone. Dopo lunghe lotte riuscirono a far approvare un pacchetto di leggi, chiamate dal nome Licinie Sestie, che intervenivano sui tre problemi avvertiti come maggiormente pressanti dalla comunità plebea: la schiavitù per debiti, la spartizione dei bottini di guerra e l’accesso al consolato. In merito alle magistrature venne sottratto il potere consolare ai tribuni militari essi ripristino o il consolato, ma con la condizione che uno dei due Consoli dovesse essere plebeo. Il primo console plebeo assunse la carica nel 366 a.C. e fu Lucio Sestio Laterano. Il patriziato, vedendo minacciate le sue posizioni di privilegio, riuscì a guadagnarsi il sostegno di alcuni colleghi di licinio e sestio, che posero il veto alla votazione dei provvedimenti; i due tribuni risposero impedendo l'elezione dei magistrati superiori della Repubblica . Questo periodo di anarchia si concluse nel 367 a.C, con l'approvazione delle leggi licinie sestie, dopo che l'anziano Marco Furio Camillo era stato scelto come dittatore allo scopo di porre fine alla contesa civile. Nel 367 Furio Camillo, nuovamente eletto dittatore, e il Senato deciso di accogliere le richieste della plebe. Vi furono due provvedimenti di carattere economico: - De aere alieno: Che era a favore dei debitori e introduceva una rateizzazione e una riduzione del debito. - De modo agrorum: Che fissava il limite massimo all’occupazione di terreno pubblico. L'approvazione di queste leggi aprì ai plebei l'accesso alla Suprema magistratura dello Stato. Tuttavia, nello stesso anno in cui l'ex tribuno della plebe Sestio Laterano veniva eletto console, si crearono due nuove magistrature riservate al patriziato. La prima, la pretura, era destinata a sollevare i Consoli sempre più spesso impegnati nella conduzione delle operazioni militari. La seconda magistratura era l’edilità curule, una carica gemella dell’edilità plebea , le cui competenze principali riguardavano le allestimento dei giochi in occasione delle festività. Il pretore era un magistrato eletto dai comizi centuriati, esso era fornito dalla capacità di disporre delle risorse pubbliche dello Stato punto i pretori rimanevano in carica un anno e al momento della nomina pubblicavano un editto nel quale preannunciavano le linee direttive cui avrebbero ispirato l'esercizio della loro giurisdizione nell’anno di carica. A partire dal 242 a.C. Il numero dei pretori fu portato a 2: - il pretore urbano al quale spettava l'esercizio della giurisdizione nelle controversie tra cittadini romani; - il pretore peregrino al quale spettava l'esercizio della giurisdizione nelle controversie tra cittadini romani e stranieri o tra stranieri; Da tale momento vennero approvate al ritmo serrato numerose leggi che portarono alla parificazione dei plebei per quanto concerne l'elettorato passivo, cioè la possibilità di votare e di essere eletti. L'annessione di nuovi territori portò alla distribuzione di terre a proletari anche plebei, contribuendo a dare sollievo alla piaga dei debiti. Riflesso di tali eventi fu nel 326 a.C. la legge Petilia Papiria che stabilì l'abolizione della schiavitù per debiti. Un'altra tappa fondamentale nel cammino della plebe verso la equiparazione fu rappresentata nel 312 dalla censura di Appio Claudio Cieco che osò inserire per la prima volta nell'albo dei senatori alcuni plebei e perfino dei figli di liberti, procedendo anche all’abolizione della distinzione tra senatori ordinari e senatori aggiunti. Egli costruì un nuovo acquedotto, l’acqua appia. Connessa alle guerre in atto fu anche la costruzione della strada che collegava Roma a Capua, in Magna Grecia, la via Appia. Fu una delle prime strade per le quali si sperimentarono le tecniche di lastricazione, cioè di pavimentazione nel Mediterraneo e la città venne riconosciuta come la signora Della Sicilia a ovest dal fiume Alico. Vennero battuti più tardi da Timoleonte, che aveva restaurato la democrazia a Siracusa. In Sicilia Cartagine andava sempre più espandendosi e in aiuto dei siciliani arrivò Pirro che dovette tuttavia abbandonare la Sicilia. La costituzione cartaginese, descritta in parte da Aristotele, non ci giunge per intero. Tuttavia, venne considerata una delle migliori. Guidavano lo stato due sufeti, delle figure simili ai Consoli, che detenevano il potere esecutivo e il potere giudiziario ma non detenevano il potere militare che era, invece, affidato a degli strateghi appartenenti a famiglie aristocratiche. Due assemblee elettive, Il Senato e la Corte dei 100, mentre le Pentarchie costituivano una sorta di commissione. I primi rapporti tra Roma e Cartagine sono descritti dallo storiografo greco Polibio. Egli ci riporta al primo trattato (509-508) fra le due potenze che risale al periodo di Giunio Bruto e Marco Orazio. Il trattato è probabile che sia una retrodatazione poiché alcuni vogliono far risalire la data di Fondazione di Cartagine a quella di Roma . Probabilmente si tratta di una tradizione a voler far camminare le due potenze insieme fino allo scontro finale. Questo primo trattato disciplinava rapporti economici a favore di Cartagine chiarendo la sua supremazia. Si imponeva ai romani di non oltrepassare il Golfo di Cartagine, a meno che non vi furono portati da tempesta o da emergenze. Ai cartaginesi si chiedeva di non intervenire nelle questioni interne del Lazio. I romani avevano da poco cacciato i Tarquini, e non potevano fare a meno di commerciare con gli etruschi, campani e greci. I cartaginesi, che insieme agli etruschi avevano combattuto, avevano una certa supremazia sul Mediterraneo occidentale. Per questo imporre ai romani il trattato non fu difficile. Questo trattato venne rinnovato più volte, la prima volta nel 348 a.C. Fra le due versioni non cambia però molto, vi è semplicemente una conferma di quello che era stato deciso 161 anni prima. Un particolare nel trattato ci fa capire come Cartagine, ad un certo punto, iniziò a vedere Roma come un territorio in continua espansione, e lo capiamo da una frase che recita: Sardegna e Libia nessun romano commerci o fondi città. Da un lato Cartagine attraverso il lavoro dei suoi commercianti che avevano anche la funzione di informatori, monitorava costantemente la politica romana e il suo originale modo di estendere e mantenere i suoi domini. Dall'altro l'evidente dinamismo mostrato negli ultimi tempi da Roma, sia politicamente che militarmente, faceva temere ai cartaginesi che la città quirita potesse cominciare a servirsi dei porti di Caere e Tarquinia per approdare in Sardegna e in Corsica e fondare ivi nuove colonie. Un’ulteriore rinnovo avvenne poi nel 343 a.C. e noi ne abbiamo notizie da Livio. I GUERRA PUNICA: L'estensione del controllo in Italia fino alla estremità del bruzio e la disponibilità non solo di truppe di terra ma anche delle prime flottiglie navali comportò per la Repubblica un radicale cambiamento di strategie espansive. Il sensibile cambiamento degli equilibri di forze in ambito Mediterraneo suggeriva la possibilità di contendere la supremazia nella frequentazione della rotta tirrenica e dello Stretto di Messina di cui Roma controllava ora la sponda peninsulare. Tale combinazione egemonica implicava però una collisione di interessi con la tradizionale alleata Cartagine che rappresentava al tempo una grande potenza commerciale. Governata da un' aristocrazia mercantile la città punica era in grado di controllare le coste dell'africa settentrionale, la Spagna meridionale, la Sardegna, la Corsica e la parte occidentale della Sicilia. Roma non esito a ingaggiare con l'ex alleata un estenuante guerra di logoramento che impegni ho uomini e risorse per un’intera generazione, protraendosi dal 264 al 241 a.C. La guerra con Cartagine. Il pomo della discordia interessa la Sicilia che nel 264 si trovava divisa in più parti. La lotta fra cartaginesi e siracusani andava avanti da molto tempo e si conduceva con una propaganda politica e assoldando i mercenari. I siracusani erano più deboli punto nella pace del 314 a.C. Cartagine aveva visto restringersi i propri possedimenti in Sicilia, ritirandosi a occidente riconoscendo l’egemonia di Siracusa sul versante orientale. Ma cacciato Pirro dalla Sicilia e dell’Italia nel 275 a.C. Più che la metà dell'isola cadde in mano cartaginesi, e a Siracusa non rimase che Taormina e la parte sud-orientale dell'isola. I mamertini sono un gruppo di mercenari campani che dopo aver servito Agatocle alla sua morte nel 289 a.C. rimasero in Sicilia e non tornarono in patria. Con il loro nome volevano ricordare il Dio mamerte che corrisponde al Dio Marte ovvero il protettore della guerra. Presero di mira la città di Messina Chen non vedevano di buon occhio. Messina passa quindi sotto il controllo dei mamertini. Cartagine vedeva di buon occhio questi avvertimenti perché i mamertini rappresentavano una spina nel fianco. La situazione cambia quanto nel 275 a.C. quando divenne tiranno di Siracusa un uomo destinato ad accendere una reazione a catena Che porta poi al primo scontro, stiamo parlando di Gerone. I mamertini vennero messi alle strette dai siracusani che avevano assediato Messina , così, i mamertini decisero di non stipulare un trattato e pensarono di cercare aiuto ai cartaginesi o ai romani. In primo luogo, i mamertini convennero che la scelta migliore fosse rivolgersi ai cartaginesi già mobilitati sul campo e che quindi avrebbero potuto intervenire più prontamente. I cartaginesi occuparono, così, il porto di Messina e i siracusani decisero di allontanarsi. I cartaginesi , però, costituivano una presenza importante così i mamertini ci ripensarono. Fu inviata una commissione a Roma per chiedere un coinvolgimento diretto dei romani all'interno della vicenda . Qualunque sia stata la decisione sarebbe cambiata la situazione geopolitica. Rifiutare avrebbe significato rispettare i trattati precedenti, il problema sarebbe stato poi reggere il confronto bellico con i cartaginesi. Allo stesso tempo però avrebbe significato dare la città di Messina ai cartaginesi che si sarebbero poi garantiti lo stretto. Il popolo romano rinfrancato dalle conquiste ottenute in Italia decise di intervenire e provare a superare i limiti giuridici del bellum iustum, i Mamertini che domandavano aiuto li nominarono come loro alleati. A tal modo i mamertini divennero membri oltre marini, fu così possibile intervenire per aiutare i loro alleati facendo una guerra in modo corretto. La prima fase della guerra iniziata nel 264 porta i romani a sbarcare a Messina e questa fase è caratterizzata da battaglie sulla terra ferma. Quando arriva notizia a Siracusa dell'alleanza dei romani con i mamertini , i cartaginesi e i siracusani misero da parte i loro problemi e si allearono per sconfiggere i romani che però in poco tempo conquistarono la città. Risolto il problema di Messina si mobilitarono verso Siracusa e, Gerone, sorpreso dall' abilità dei romani in guerra, si arrese e si alleò con loro facendoli impadronire nella Sicilia orientale e della città di Agrigento che cadde nel 262 a.C. Ben presto Roma si rese conto di aver bisogno di una flotta che fino ad allora non aveva, e che aveva sempre fatto appoggio sui porti magno-greci. Si servirà così belle risorse boschive della Sila dove si produceva anche la famosa pece bruzia. Di questo e della disponibilità delle città magnogreche nei confronti dei romani, ne parla Dionigi di Alicarnasso raccontando alcuni particolari interessanti sull'uso del legname della Sila e dell'utilissima pece bruzia. Grazie alla costruzione di questa flotta Roma aveva un'arma in più per scontrarsi con Cartagine. Essa come tecnica di combattimento introdusse il corvo, un gancio fissato ha una passerella che veniva abbassata per arpionare la nave nemica e consentire così alle truppe di combatterecome.se fossero sulla terra ferma. Anche grazie a questo il console C. Duilio riuscì a ottenere un importante vittoria contro i cartaginesi nelle acque di Milazzo, si tratta del primo trionfo navale celebrato dal popolo romano. Questo però non fu uno scontro breve , le forze in campo si equivalevano e non si riusciva a dare la sferrata decisiva per la fine della guerra. Roma decise di assalire Cartagine in casa propria , nella primavera del 256 a.C. Cominciava quindi una nuova fase della prima guerra punica. Fu così che Attilio Regolo, console romano, fece imbarcare quattro legioni. La spedizione fu però intercettata all'altezza di capo Ecmo, dove si combatté secondo Polibio una delle più grandi battaglie. Dallo scontro non ci furono né vincitori né vinti, anche.se Roma riuscì a sfondare lo sbarramento dei cartaginesi. I romani proseguiranno il loro viaggio verso l'Africa senza problemi. I cartaginesi chiesero la pace ma le condizioni ovvero cedere la Sicilia e la Sardegna e stringere con Roma il foedus iniquim. Rifornendo navi ai romani, erano troppe severe così non accettarono. Con l'avvento dell'inverno e la sospensione delle ostilità e cartaginesi ebbero il tempo di organizzarsi. Amilcare Giunse in Libia dopo aver assoldato molti mercenari in Sicilia e in Numidia e altri arrivarono dalla Grecia guidati dallo spartano Santippo. giunta la primavera i cartaginesi erano pronti a sferrare l'attacco nella fortezza di Clupea. i romani superstiti riuscirono a salvarsi su una flotta ma una tempesta distrusse tre quarti delle navi. scacciati i romani dall’Africa, Cartagine poteva riprendere le ostilità in Sicilia con nuove forze e fiducia nei propri mezzi. Attilio Regolo a Cartagine perse la sua vita con un terribile supplizio, mostrando il suo coraggio e la sua virtù. Negli anni successivi vi furono altri duri scontri, nel 242 a.C. I romani riuscirono ad impossessarsi del porto del Lilibeo e la città di Trapani. L'anno successivo nel 241 la flotta romana guidata da Catulo riuscì a sconfiggere il generale Amilcare presso le isole Egadi. Si concluse così la prima guerra punica. Due furono le conseguenze della prima guerra punica; Grazie a tale successo Roma iniziò a conseguire quel dominio sul mare Mediterraneo, al completamento del quale si applicò con successo negli anni successivi e cui in seguito non rinuncio mai. Attivò inoltre una politica di : progetta infatti all’annessione Della Sicilia abbandonata dai cartaginesi e poco dopo, nel 227 a.C, della Sardegna e della Corsica , approfittando della debolezza della città punica , prostrata dalla rivolta dei mercenari; a essa Roma inasprì ulteriormente gli indennizzi di guerra. I cartaginesi a questo punto volsero lo sguardo in Spagna. Amilcare parti nel 236 a.C. Verso la Spagna dove si trovavano numerosi giacimenti di argento. Nel giro di un decennio molte regioni sulle coste orientali divennero province di Cartagine, che in breve tempo si stava riprendendo molto bene. Il progetto egemonico di Roma sulle rotte marittime non si limitava al comprensorio tirrenico: si estendeva anche all’area adriatica dove contava ormai ben tre colonie: Rimini, Senigallia, Brindisi , fondata nel 244 a.C. Per tale motivo decise di arginare la pirateria degli illiri che condizionavano pesantemente i traffici per mare. Fra la costellazione di tribù costiere, emergeva la figura della regina Teuta che fece uccidere uno degli inviati romani, offrendo pretesto alla guerra. In conseguenza alle due guerre illiriche fu conquistata parte della costa dell’attuale Albania su cui furono insediate alcuni avamposti. PREMESSE ALLA SECONDA GUERRA PUNICA: La seconda guerra punica (219-202 a.C.) fu per Roma una guerra difensiva. Il pretesto dello scontro si produsse in Spagna, ove la famiglia cartaginese dei Barca si era insediata: aveva incrementato lo sfruttamento delle risorse minerarie e aveva esteso la propria egemonia nel sud della penisola. Tale intraprendente politica era però vista con sospetto da Roma che strinse con la città greca di Marsiglia un'alleanza strategica e siglò con Cartagine nel 226 il cosiddetto trattato dell'Ebro, così chiamato perché fissava il corso del fiume quale limite delle rispettive sfere di influenza nella penisola iberica. A dare l’avvio alle ostilità fu questa volta una deliberata scelta di Annibale, che sapeva bene di attaccare una città alleata di Roma e che Roma avrebbe reagito. La reazione di Roma non fu immediata , né il Senato era d'accordo sul da farsi. Questa fase di indecisione è cristallizzata dalla famosa frase riportata da Livio: dum Romae, consilitur Saguntum expugnatur. La città di un'ambasceria ad Annibale a Crotone aggirando i porti di Brindisi e Taranto controllati dalle navi romane punto gli ambasciatori macedoni riuscirono con un inganno a superare indenni le linee nemiche e raggiungere Capua, dove Annibale si trovava in quel momento. Stipulata la pace, gli araldi macedoni rientrarono a Crotone per imbarcarsi e tornare in Macedonia per la ratifica definitiva del trattato da parte di Filippo. Tuttavia, furono intercettati dalle navi romane e il tentativo di ingannare nuovamente romani questa volta non riuscì e il trattato venne scoperto appunto i prigionieri furono portati a Roma e il contenuto del trattato fu svelato al Senato. Se l'ambasceria non fosse stata intercettata il resto del trattato sarebbe andato perduto. Di fronte a un quadro tanto drammatico si impose In Roma la strategia attendista di Fabio Massimo, detto appunto il temporeggiatore il quale progettava di vincere la resistenza del cartaginese con una guerra di logoramento: egli incrementò le leve militari, evitò scontri diretti, impedì che truppe fresche raggiungessero Annibale dalla Spagna. I romani furono sconfitti molti altri episodi bellici dove perirono, alla testa delle loro truppe, i più bei nomi dell’aristocrazia plebea e Patrizia. Roma rispose all’intesa tra Annibale e Filippo stringendo alleanza con alcuni stati della Grecia, tra i quali il più importante era la Lega Etolica. si arrivò così alla prima guerra macedonica. Il trattato fra i romani e La Lega Etolica ci è tramandato attraverso un'iscrizione frammentaria in lingua greca, il patto riportava nello specifico clausole riguardanti la spartizione del bottino di guerra e dei territori conquistati. Se con le guerre illiriche Roma si era appena affacciata sul mondo greco e orientale, attraverso questo trattato vi entrava di diritto. La prima guerra macedonica protrattasi con scarso impegno e campagne saltuarie, si concluse nel 205 con la stipula di un trattato di pace a Fenice, con il quale Roma otteneva un utile disimpegno militare per potersi dedicare pienamente alla guerra contro Annibale, ormai in difficoltà in Italia. Dopo la catastrofe di canne lo stato romano mostrò la sua incontrollabile compattezza, puoi che le divergenze politico- strategiche vennero subito superata dalla guida sicura del Senato, Ottenendo la fiducia del popolo. Lo sforzo bellico ri chiese eccezionale ai romani e ai loro alleati, sia per i massicci arruolamenti, sia per il raddoppio del tributo punto per far fronte alla fortissima necessità di soldati, venne notevolmente abbassato il censo richiesto per la quinta classe virgola in modo che si potessero arruolare anche parecchi proletari. La carta vincente di Roma era costituita dalla sostanziale coesione fra la classe dirigente , i cittadini e gli alleati di fronte alle gravi necessità del momento. I cartaginesi, invece, rimanevano in carenza di potenziale umano poiché dagli italici ricevevano solo volontari punto si trovarono poi chiusi nell’Italia meridionale, poiché al di fuori della loro zona di controllo non avevano possibilità di approvvigionamenti dato che i romani facevano terra bruciata non portavano i raccolti entro le città fortificate. Nel 212 i romani assediarono Capua che si rese l'anno successivo punto la città fu duramente colpita per il suo tradimento attraverso la confisca del suo territorio. Nel 211 Siracusa fu nuovamente riconquistata dai romani n l'assedio perse la vita il famoso matematico Archimède, ucciso da un soldato romano che non lo riconobbe. Il 209 il console Quinto Fabio Massimo riconquistò anche Taranto. Nel 209 a.C. iniziò a operare in Spagna il giovane Publio Cornelio Scipione che sarà poi soprannominato l’Africano. in tre anni di straordinari successi , grazie al carisma e al genio tattico , ha niente o l'egemonia cartaginesi in Spagna e vi fondò la città di Italica, stanziando VI propri veterani che non erano più in grado di combattere ; Ricevette dai soldati il titolo onorifico di imperator, cioè di generale vittorioso. Nel 207 i rinforzi che il fratello Asdrubale aveva condotto in Italia ad Annibale vennero annientati presso il fiume Metauro e la testa del comandante fu gettata nell’accampamento del cartaginese. Stretto d'assedio a Crotone, si rassegnò ad abbandonare l'Italia imbattuto dopo 15 anni di guerra. In Africa era già sbarcato Scipione il quale era riuscito a imporre sul trono della vicina Numidia un re filoromano, Massinissa. Nella pianura di zama si venne nel 202 a.C. allo scontro finale : Annibale non riuscì a evitare la sconfitta e fuggi in Oriente dove fu ospitato da Antioco III re di Siria. Il vincitore Scipione impose a Cartagine la pace a condizioni durissime che sancirono il definitivo tramonto dell’egemonia punica sul mare e il controllo di Roma su tutto il meridione occidentale. Le guerre macedoniche: sono le tre guerre sostenute da Roma contro il Regno di Macedonia, tra il 215 a.C. e il 148 a.C. La prima guerra macedonica, 215-205 a.C. La prima guerra macedonica (215-205 a.C.) scoppiò in relazione alle vicende della seconda guerra punica. Subito dopo la battaglia di Canne, infatti, sembrandogli la Repubblica romana sull’orlo del tracollo, Filippo V di Macedonia strinse un’alleanza con Annibale. Roma reagì chiamando a raccolta i vari nemici che Filippo aveva sia in Grecia (primi fra tutti la Lega etolica) sia in Asia Minore, come il regno di Pergamo; i Romani non poterono intervenire con forze rilevanti perché duramente impegnati da Annibale in Italia. La prima delle tre guerre macedoniche si concluse con la pace di Fenice (205 a.C.). La seconda guerra macedonica, 200-197 a.C. Pochi anni dopo, Filippo V di Macedonia avviò una politica di espansione in Asia Minore. Aggredì infatti il regno di Pergamo, già alleato di Roma, e penetrò in Grecia, tentando la conquista di Atene (200 a.C.). Ebbe così inizio la seconda guerra macedonica. Il comando delle forze romane fu affidato a Tito Quinzio Flaminio, giovane esponente del circolo degli Scipioni. La guerra culminò nella battaglia di Cinoscefale (197 a.C.), in Tessaglia. Il sovrano macedone perse tutti i territori esterni alla Macedonia, consegnò la flotta e pagò una forte indennità. Nel 196 a Corinto, nel corso dei giochi Istmici, Flaminio proclamò la libertà della Grecia. Le clausole più importanti del trattato di pace prevedevano la consegna della flotta e il ritiro di tutti i presidi che teneva in città greche. Filippo V Filippo è costretto a ritirarsi nei suoi territori ma gli etoli non si ritengono molto soddisfatti del risultato. Oltre alla confisca della Sila furono dedotte nel bruzio alcune nuove colonie: Croto, Tempsa, Copia-Thurii, Valentia. Roma mirava così a un controllo ancor più capillare del territorio anche in funzione difensiva. La terza guerra macedonica, 171-168 a.C. Filippo V di Macedonia morì nel 179 a.C.; gli successe il figlio Perseo. Questi nel 171 a.C. iniziò una nuova guerra contro Roma, la terza delle tre guerre macedoniche. Per qualche anno, i Macedoni riuscirono a resistere, ma nel 168 a.C. il comando delle forze romane passò a Lucio Emilio Paolo, il figlio di quel console che era caduto durante la battaglia di Canne. Nella battaglia di Pidna i Macedoni furono sbaragliati. Perseo fu esibito in catene durante il trionfo del suo vincitore e morì in prigionia qualche anno dopo. Le città greche colpevoli di aver appoggiato il re macedone subirono delle riduzioni territoriali; parte dei loro abitanti furono deportati; un migliaio tra i loro cittadini più illustri consegnati in ostaggio a Roma (tra questi ultimi c’era il grande storico Polibio). Vent’anni più tardi, dopo la repressione di una ribellione, la Macedonia divenne provincia romana (148 a.C.). Con essa, l’intera Grecia entrò a far parte stabilmente dei domini romani. Nel 149 a.C. I romani aprirono un nuovo fronte di guerra con l'obiettivo di estirpare definitivamente la minaccia cartaginese: era la terza guerra punica. Dopo la fine del conflitto annibalico, Cartagine aveva ripreso la propria politica espansionistica nel territorio limitrofo. L'attivismo della nemica storica di Roma e la sua relativa vicinanza all’Urbe indussero a decidere per la guerra dei comizi , peraltro ben consci dei vantaggi che sarebbero derivati al popolo dall’acquisizione di un territorio produttore di grano. Il casus belli di questo nuovo conflitto furono le tensioni maturate tra Cartagine e il regno di Numidia , ampliato dai romani in conseguenza della guerra annibalica per premiare la fedeltà del re Massinissa. La città punica contestò l'arbitrato romano e, dopo un primo tentativo di accordo si aprì la via alle armi. La guerra fu difficile e i generali romani non diedero prova di grandi capacità. Nel 147 a.C. il comando venne affidato a Publio Cornelio Scipione Emiliano forte di una precedente esperienza in Africa ma ancora giovane e privo di quella carriera che le leggi romane ora imponevano come prerequisito per il comando. Nel 146 a.C. Cartagine cedette al lungo assedio , venne saccheggiata e rasa al suolo. Il territorio fu acquisito allo stato romano e trasformato nella provincia d'Africa. I romani mantenevano l'alleanza con il re di Numidia che avrebbe lasciato il suo regno hai figli e al nipote Giugurta, futuro nemico di Roma. L’annientamento di Cartagine segnò una svolta nella storia romana: ebbe fine il cosiddetto metus hostilis. secondo una parte della classe dirigente, che era contraria allo scontro, il confronto fra le due città riusciva a far mantenere ai romani una certa severità. Dal 146 secondo una visione acquisita da gran parte della storiografia romana, prese avvio quel degrado morale che si sarebbe riverberato nella vita politica e avrebbe portato alla crisi della Repubblica. Nel II secolo Roma impegnò le sue legioni anche in occidente. Nel 197 vennero istituite le due province di Spagna citeriore e Spagna ulteriore. Esse furono affidate all’amministrazione di due pretori, l'interno della penisola iberica rimase a lungo però territorio di scontri, tanto che solo in età augustea si ultimò la romanizzazione dell'intero territorio spagnolo , a cui i romani tenevano per le risorse minerarie della regione, ricca di giacimenti. La Spagna rappresentò un contesto in cui la dirigenza romana esercitò un intransigenza che non ebbe uguali altrove e nel 137 a.C. i romani si impegnarono nell'assedio di Numanzia che fallì. Nel 134 il comando passò a Publio Cornelio Scipione Emiliano che conquistò Numanzia e la rase al suolo nel 133. Roma una volta concluse le campagne militari comincia a sfruttare quelle che sono le conquiste ottenute. È questo il decennio dei gracchi. Questo periodo è considerato di grande violenza, la storiografia ha collocato l'età dei gracchi alla degenerazione dello Stato romano e, di conseguenza, l'inizio del tempo delle guerre civili. Questi problemi affondavano le radici nell’espansione stessa del territorio. Cicerone sul tribunato della plebe ci esprime il suo disprezzo nei loro confronti. Li descrive come dei mostri distruttori dei valori tradizionali. Sallustio, invece, analizza le cause della degenerazione. Con le guerre di conquista Roma entrò in contatto con civiltà diverse, spesso molto evolute. Roma assorbì stili di vita, gusti artistici, culturali e letterali della civiltà greca. Inoltre, si diffuse l'uso di fare viaggi di istruzione ad Atene o ad Alessandria d'Egitto. Le guerre di conquista portarono anche delle enormi trasformazioni sociali. Delle grandi ricchezze giunte a Roma in seguito alle guerre si avvantaggiarono solamente i generali vittoriosi, i commercianti e coloro che disponevano del denaro necessario per poter comprare i terreni conquistati. I contadini, che avevano lasciato le loro terre, per andare a combattere, si ritrovarono con i loro campi andati in rovina e furono spesso costretti a vendere i loro terreni anche a prezzi molto bassi. Tantissimi schiavi, fatti prigionieri durante le guerre, giunsero a Roma dove venivano acquistati dai ricchi per essere usati come manodopera a bassissimo costo. In seguito alle grandi conquiste fatte, Roma si trovò a dover governare un numero molto elevato di province. Questo portò problemi politici-territoriali e la necessità creare un sistema efficiente per guidare i territori conquistati. Roma assimilò i gusti culturali ed artistici dei greci e ciò portò alla nascita della letteratura latina. Le case romane furono abbellite dalle statue greche, vennero costruite ville, le feste divennero più ricche e sontuose: la società desiderava maggiormente il lusso e i divertimenti e si allontanava sempre più da quei costumi severi che avevano caratterizzato, fino ad all'ora, la vita dei Romani. Tra i primi scrittori latini vi furono Livio Andronico che fece conoscere ai Romani l'Odissea, Nevio, Ennio, Plauto e Cecilio Stazio. L'elemento che contraddistinse l'arte latina fu l'humanitas, cioè il senso e l'apprezzamento dell'umano. Esso consiste in un nuovo modo di vedere l'uomo in tutti i suoi aspetti, di porre attenzione agli altri a prescindere dalla loro condizione sociale e culturale e di creare rapporti umani basati sulla dignità e sul rispetto. Il circolo degli Scipioni fu un circolo culturale iniziato ad opera di Scipione l'Africano che metteva insieme intellettuali greci e nobili romani accomunati dall'ammirazione per la cultura greca. Di questo circolo fecero parte il filosofo greco Vi erano anche i contadini che vivevano in una condizione di estrema miseria dopo essere stati costretti ad abbandonare le loro terre. Fu Tiberio Gracco che cercò di porre rimedio al malcontento che regnava a Roma. Tiberio Gracco era un nobile, appartenente ad una delle famiglie più prestigiose di Roma. Egli era il figlio di: Tiberio Sempronio Gracco, che aveva avuto un ruolo importante nelle guerre di Spagna, e di Cornelia, figlia di Scipione l'Africano. Tiberio Gracco fu eletto tribuno della plebe nel 133 a.C. per porre fine alla crescente povertà del popolo, cercò di far approvare una legge di riforma agraria, detta legge Sempronia, secondo la quale il terreno pubblico sarebbe stato assegnato alle famiglie più povere. La riforma agraria proposta da Tiberio Gracco prevedeva che: - nessuno poteva possedere più di 500 iugeri di terre pubbliche, pari a 125 ettari (infatti uno iugero equivaleva a 0,252 ettari). A questi se ne potevano aggiungere altri 250 iugeri per ogni figlio maschio. In tutto non si poteva superare i 1.000 iugeri di terreni pubblici in proprio possesso. Chi possedeva maggiori terre pubbliche doveva restituire il di più allo Stato. Era comunque previsto un compenso che sarebbe stato concesso a coloro a cui sarebbero state espropriate le terre. Nessun limite era invece posto ai terreni di proprietà privata; - lo Stato avrebbe suddiviso i terreni restituiti, in quanto eccedenti le quantità massime che potevano essere detenute, in piccoli fondi da 30 iugeri, da assegnare ai cittadini romani poveri. Una commissione formata da tre membri eletti dai Comizi tribuni doveva controllare tutte le operazioni relative a tali terreni. Questa riforma aveva il vantaggio di consentire ai ricchi di continuare a detenere grandi estensioni di terreni, ma al tempo stesso avrebbe permesso ai disoccupati, poveri e agitati, di tornare ad essere tranquilli contadini. Per evitare che i piccoli proprietari terrieri si ritrovassero di nuovo ad essere nullatenenti veniva stabilita l'impossibilità di vendere i terreni che fossero stati loro assegnati. Per i nobili questa riforma avrebbe rappresentato la perdita di parte dei loro redditi, ma anche la perdita del controllo di una massa di persone che, potendo tornare al proprio lavoro nei campi, non poteva più essere manovrata durante le elezioni. La nobiltà, allora, portò dalla propria parte il tribuno della plebe Marco Ottavio Cecina che oppose il veto alla riforma. Tiberio si rivolse ai Comizi chiedendo la deposizione del tribuno che aveva avuto un comportamento contrario agli interessi del popolo. La proposta di deporre il tribuno Ottavio Cecina fu approvata all'unanimità: era questo, però, un atto incostituzionale dato che i Comizi non potevano revocare la nomina di un tributo. Dopo la deposizione di Ottavio Cecina la riforma agraria fu approvata e venne creata la commissione che doveva occuparsi della redistribuzione delle terre pubbliche. Tuttavia, l'applicazione della legge fu piuttosto difficile dato che i contadini non avevano i mezzi necessari per mettere a coltura i terreni che venivano loro assegnati e c'era quindi bisogno, di concedere loro dei finanziamenti affinché potessero acquistare attrezzi, sementi e bestiame per far rinascere la piccola proprietà terriera. Il documento epigrafico che c'è a testa di questa riforma e il lapis pollae. un documento di difficile definizione tecnica e di datazione controversa virgola che costituisce una delle fonti epigrafiche più importante della legge Sempronia agraria del 133. Proprio nel 133 a.C. Attalo III, non avendo figli, lasciò in eredità il suo regno e i suoi averi a Roma. Tiberio Gracco pensò di utilizzare tali beni per finanziare la ricostruzione delle fattorie dei piccoli contadini. Egli fece una proposta, in tal senso, che presentò ai Comizi. Ancora una volta la decisione presa da Tiberio Gracco fu vista dal Senato come un tentativo di scavalcare la sua autorità: infatti si trattava di una decisione di politica estera che competeva al Senato e non ai Comizi. Tiberio Gracco, di fronte all'opposizione della nobiltà, temendo che la legge agraria potesse non trovare una piena applicazione, per poter seguire personalmente la sua attuazione, ripropose la sua candidatura come tribuno per l'anno successivo. La nobiltà sfruttò a proprio vantaggio una disposizione che prevedeva che tra una magistratura e l'altra dovessero trascorrere dieci anni. Per questa ragione fu mossa contro di lui l'accusa di voler diventare un tiranno. In questo modo la nobiltà cercò di impedirgli di portare a termine la riforma agraria. Le elezioni per eleggere il tribuno della plebe si svolsero nel mese di luglio, quando molti dei contadini erano impegnati nei lavori nei campi. Di conseguenza, coloro che erano maggiormente interessati, alla questione, finirono col non poter votare. Il contrasto tra la nobiltà e Tiberio Gracco si concluse con la morte di quest'ultimo, assassinato insieme a molti dei suoi sostenitori nel 132 a.C. durante una serie di tumulti scoppiati a Roma. Negli anni immediatamente successivi alla sua morte la legge agraria non venne abrogata, ma continuo il suo corso attraverso la nomina dei nuovi commissari punto nel 129 però Scipione Emiliano sì adoperò per eautorare i triumviri agrari, assegnando la decisione sui terreni controversi ai Consoli. Questo portò a nuovi malcontenti e un giorno Scipione Emiliano venne trovato morto nel suo letto. Corsero voci di assassinio da parte di avversari graccani o di sua moglie Sempronia, ma le dicerie non erano dimostrabili. Il coinvolgimento degli italici nella riforma creò ulteriori complicazioni punto gli alleati si erano visti privati del lager publicus in eccesso che avevano occupato , mentre i cittadini meno abbienti non avevano ricevuto i vantaggi dei cittadini romani. Il malcontento serpeggiava e diversi italici cercavano di farsi iscrivere nelle liste dei cittadini romani. Per cercare di calmare gli animi il console Fulvio Flacco nel 125 aveva proposto di concedere la cittadinanza romana agli italici che ne avessero fatto domanda o la concessione della sola provocatio ad populum. le opposizioni furono così forti e Fulvio preferì lasciar perdere e la proposta non fu portata nemmeno ai comizi. La vecchia ripartizione in patrizi e plebei si era ormai dissolta dopo le aspre lotte che avevano attraversato la città di Roma 494 al 287 a.C. Le guerre di espansione condotte in Italia, ma soprattutto le conquiste nel mediterraneo, se da una parte avevano contribuito ad amalgamare il popolo romano davanti al medesimo nemico e creare una nuova forma di nobilitas, dall’altra portavano in nuce le radici di nuove diseguaglianze economiche, che avrebbero segnato la storia successiva di Roma a partire dal II sec. a.C. Il nuovo assetto economico-sociale ebbe come effetto la generazione di due fazioni, di due parti politici, sempre appartenenti alla nobilitas ma in aperta contrapposizione tra loro: il primo conservatore e ancorato ai privilegi di una ristretta élite aristocratica(optimates) il secondo potremmo dire progressista, a sostegno dei bisogni della plebe urbana (populares). Dieci anni dopo la riforma agraria, nel 123 a.C., il fratello di Tiberio, Caio Gracco, fu eletto tribuno della plebe. L'obiettivo di Caio Gracco fu quello di farsi amici ma tutti quei gruppi che potenzialmente erano ostili alla nobiltà: gli Italici, la plebe, i cavalieri e tutti quelli che appartenevano al ceto commerciale e che erano esclusi dal potere. Il fratello, invece, aveva cercato il consenso della sola plebe. Tra i primi provvedimenti che fece approvare Caio Gracco vi furono: la legge frumentaria; la legge giudiziaria. La legge frumentaria prevedeva che venisse distribuito grano, ad un prezzo inferiore quasi della metà rispetto a quello di mercato, a favore dei proletari romani. Il grano da distribuire era comprato con denaro proveniente dalla nuova provincia d'Asia. La legge permise a Caio di ottenere il consenso del proletariato urbano. Inoltre, nel momento in cui questa classe sociale non era più nella miseria più assoluta, non era neppure facilmente manovrabile, da parte dei nobili, durante le elezioni politiche. La legge giudiziaria modificò la composizione del tribunale che giudicava i reati di concussione nelle province, attribuendo tale compito ai cavalieri. Sempre ai cavalieri venne affidato l'appalto per la riscossione delle tasse in Asia, nell'ex-regno di Pergamo. Caio Gracco propose anche: la concessione della cittadinanza romana a tutti gli Italici, cosa che avrebbe portato alla distribuzione dell'agro pubblico anche tra costoro; la fondazione di quattro colonie: due nell'Italia meridionale, una a Corinto e una a Cartagine detta colonia Iunonia. Esse avrebbero rappresentato una collocazione per i ceti meno abbienti di Roma in modo da risolvere in modo più efficace il problema della disoccupazione agricola; un nuovo sistema di votazione dei comizi centuriali, il cui compito era quello di eleggere i magistrati e prendere le decisioni sull'entrata in guerra, in modo tale che non fossero sempre le centurie dei più ricchi a scegliere. Le proposte di Caio Gracco furono viste con sospetto dal Senato, che temeva di veder diminuiti i propri potere. I Senatori fecero leva sulla paura che la plebe aveva di dover dividere i propri privilegi con gli Italici. Di conseguenza fu facile dividere gli oppositori dell'aristocrazia. La mossa successiva del Senato fu quella di trovare un tribuno della plebe, Livio Druso, disposto ad accrescere il dissenso tra Caio Gracco e il proletariato urbano. Egli, a tal fine: dapprima pose il veto all'estensione della cittadinanza a tutti gli Italici; successivamente presentò una proposta di legge per creare nel territorio italico 12 colonie, composte ciascuna da 3.000 uomini e non far pagare ai coloni l'affitto per le terre. Il pretesto dello scontro avviene dopo la deduzione di Cartagine. Appiano Racconta questi episodi nella sua opera Le guerre civili. Il Senato virgola che gestisce la politica estera, in maniera astuta decide di dedurre la nuova colonia a Gaio Gracco e Fulvio Flacco. Mandato via Il Senato poté continuare il processo di inasprimento nei confronti di Gaio. i due tornarono a Roma e giunse la notizia che due Lupi avevano rimosso i cippi con finali. Il Senato, così, indusse un'assemblea per abrogare il programma di Gracco. i due resi furiosi dichiararono che il Senato mentiva circa l'episodio dei Lupi e lo faceva soltanto per non accettare il programma Gracchiano. di fronte a questo momento difficile Gaio Gracco si ricandidò per la terza volta consecutiva come tribunato della plebe. l'atmosfera era però cambiata e le lezioni fallirono, scoppiarono dei tumulti fra le fazioni. Il Senato allora emanò un senatus consultum ultimum, Ossia il decreto d'emergenza per la sicurezza della Repubblica punto i Consoli così entrarono e posero fine alla sommossa . Deluso dalla sconfitta Gaio Gracco decise di suicidarsi chiedendo aiuto ad uno schiavo. Tra il 120 e il 111 A.C. una serie di provvedimenti mirò a ridurre gli effetti delle riforme dei gracchi (lex theoria). Dopo la morte di Gaio Gracco Le proprietà terriere non erano più inalienabili. La condizione dei poveri divenne ancora più grave , finché Spurio Torio propose una legge per la quale l'agro pubblico non fosse più oltre diviso. La morte di Caio Gracco rappresentò un duro colpo per le classi popolari. La riforma agraria fu privata di ogni valore e si tornò appieno al latifondo con una nuova scomparsa della classe dei piccoli proprietari terrieri. senatus consultum ultimum E dichiaro i due nemici pubblici. In seguito all’uccisione di entrambi Mario lasciò Roma. Dopo questi episodi di violenza, Roma visse un periodo di relativa tranquillità interna fino al 91 a.C. quando il tribuno della plebe Livio Druso riprese in mano la vecchia questione, mai risolta e pruriginosa per il Senato, della concessione della cittadinanza romana agli italici. Ma come ci si poteva attendere anche in questo caso le speranze le promesse vennero disattesi e lo stesso tribuno figlio di Livio druso , venne misteriosamente assassinato appunto questo per gli italici era troppo e bisognava reagire con la forza. A sedare la pericolosa rivolta furono convocati Cornelio Silla e Mario, che fu richiamato in patria. Il partito aristocratico pensò di contrastare il crescente prestigio di Mario puntando su Lucio Cornelio Silla. Lucio Cornelio Silla era un giovane nobile, estremamente ambizioso, che si era già fatto notare durante la guerra contro Giugurta. Silla fu eletto console nell'88 a.C. e, l'anno successivo, divenne proconsole della provincia di Asia. Mitridate VI, re del Ponto, era salito al trono nel 120 a.C. a soli 12 anni. Egli era un accanito nemico dei Romani. Una volta allargati i suoi domini sulle coste del Mar Nero, si alleò con il re dell'Armenia e occupò la Cappadocia. Roma ordinò a Mitridate di abbandonare i territori occupati ma, poiché era impegnata nella guerra sociale, non poté inviare le proprie truppe sul posto per risolvere in modo adeguato il problema. Una volta ultimata la guerra sociale, il Senato romano affidò a Silla il comando dell'esercito con il compito di combattere Mitridate. Mario e il partito popolare non accettarono la scelta di nominare Silla come capo dell'esercito. Di conseguenza scoppiarono una serie di tumulti che si conclusero con la revoca del comando dell'esercito a Silla e il suo conferimento a Mario. Silla, appresa la notizia della revoca del suo comando, marciò con l'esercito destinato alla spedizione, su Roma. La città fu sconvolta da una guerra civile che si concluse con Silla che si impadronì della città e Mario, che privo di forze armate, fu costretto a fuggire in Africa nell'88 a.C. Con il gesto di Silla, per la prima volta, un comandante metteva l'esercito al servizio dei propri interessi personali compiendo un atto rivoluzionario che mai si sarebbe potuto pensare prima e aprendo la strada alle guerre civili. Da questo momento in poi , la storia di Roma non sarà più caratterizzata dal contrasto tra due partiti opposti, ma dalla lotta aperta tra due capi, che si appoggeranno sì a gruppi politici contrastanti, ma soprattutto alle forze militari. Liberatosi degli oppositori Silla si diresse verso l'oriente, non senza aver fatto prima votare dei provvedimenti che rafforzavano il Senato e indebolivano i comizi tributi, mai problemi non sarebbero finiti, perché l'anno successivo avrebbe raggiunto il consumato un Mariano: Cinna. Cinna , fautore di Mario è succeduto assilla come console nell’87 a.C, partito quest'ultimo per l'oriente propose di nuovo di iscrivere i neocittadini italici in tutte le 35 tribù. Nonostante la successiva abolizione delle leggi da lui promulgate, la validità del provvedimento non fu più messa in discussione. Cinna fu però in quel momento allontanato da Roma ma riuscì in breve tempo a rientrare grazie all’aiuto di Mario che nel frattempo era sbarcato in Campania con un grosso esercito punto i due si ripresero Roma con la violenza e Cinna fu reinsediato al consolato. Mario fu rieletto console per la settima volta nell’86 a.C. ma morì poco dopo. Cinna Durante il suo periodo promosse un'ampia opera legislativa. Fu definitivamente risolta la questione della cittadinanza con l'emissione dei neocittadini in tutte le 35 tribù. Fu affrontato il problema dei debiti riducendone di tre quarti la montare. Venne fissato un nuovo rapporto tra la moneta di bronzo e quella d'argento che sortì l'effetto di stabilizzarne il reciproco valore ufficiale. Fu inoltre inviato un nuovo contingente di truppe in Oriente contro Mitridate, perché quello di silla non rappresentava il governo in carica. I due neoeletti avevano promosso una severissima repressione nei confronti dei sostenitori di Silla ma nell’86 a.C. Mario Morì. Entrambi i Consoli morti , silla fu nominato dictator legibus scribundis et rei plublicae costituendae (dittatore con l'incarico di promuovere leggi e di organizzare lo stato), con mandato illimitato nel tempo. Subito dopo Silla emanò le liste di proscrizione o tavole di proscrizione. Esse erano liste contenenti i nomi di tutti coloro che avevano appoggiato Mario. Costoro erano posti fuori legge, il che significava che chiunque li trovava poteva ucciderli, senza bisogno di alcun processo. Inoltre, i loro beni venivano confiscati dallo Stato. Chiunque dava ospitalità o aiuto ai proscritti poteva essere ucciso. I discendenti dei proscritti non potevano accedere a cariche pubbliche. Per effetto delle liste di proscrizione molti furono inseriti in tali elenchi ed uccisi ingiustamente solamente per vendetta personale. Si creò un clima di terrore. I seguaci di Mario che riuscirono a fuggire erano costretti a vivere nascosti e in povertà. Inoltre, i simpatizzanti di Silla, finirono spesso col comprare a poco prezzo i beni che lo Stato aveva confiscato ai proscritti. Le liste di proscrizione non furono applicate solamente a Roma, ma anche nelle città italiche. Il provvedimento successivo di Silla fu la riforma sillana. La riforma sillana fu una riforma dello Stato effettuata secondo gli interessi degli ottimati con l'obiettivo di rafforzare il potere del Senato ed allontanare le minacce alla sua autorità. La riforma: prevedeva un preciso e severo cursus honorum per accedere al consolato; stabiliva che i pretori e i consoli dovevano restare durante il primo anno di carica in Italia. Solamente nel secondo anno potevano essere inviati dal Senato nelle province come proconsoli e propretori, rispettivamente per governale e per guidare le legioni lì stanziate. In questo modo Silla volle impedire quello che aveva fatto lui, cioè ricorrere alle forze armate nella lotta politica; elevava il numero dei pretori ad otto in modo che vi fossero più ex magistrati che potessero andare ad amministrare le province evitando la concentrazione del potere nelle mani di uno solo; toglieva ai cavalieri il compito di amministrare la giustizia prevedendo la creazione di giurie penali formate solamente da senatori. Così facendo anche l'autorità giudiziaria veniva accentrata nelle mani del Senato; aumentava il numero dei senatori da 300 a 600 includendo anche i cavalieri. In questo modo, includendoli nel Senato li portò dalla parte dell'aristocrazia isolando la plebe; toglieva ai tribuni il diritto di convocare il popolo e parlare nelle assemblee. Ad essi restava solamente la possibilità di porre il veto sulle leggi, ma anche tale diritto veniva limitato: i tribuni erano soggetti a multe in caso di interventi accertati come inopportuni. Inoltre, chi veniva eletto tribuno non poteva più accedere ad altre cariche pubbliche. In questo modo si toglieva ogni interesse nei confronti di tale carica; ampliava il confine intorno a Roma, nel quale era considerato sacrilego introdurre armi e persone armate. In questo modo Silla sperava di evitare che altri si impossessassero di Roma con la forza, dato che l'ampiezza della barriera sacrale avrebbe consentito al Senato di preparare un'adeguata difesa in caso contrario. Un altro provvedimento preso da Silla fu quello di dare, ad ognuno dei suoi fedeli soldati, che avevano avuto un ruolo determinante nella sua ascesa al potere, un piccolo campicello. Questo fece tornare l'Italia a riempirsi di piccole proprietà terriere coltivate da uomini liberi. La dittatura di Silla si concluse nel 79 a.C. quando lui stesso decise di lasciare la carica e di ritirarsi a vita privata. Questa scelta forse maturò per motivi di salute o forse perché il dittatore riteneva di aver portato ormai a termine la sua opera di restaurazione. Nel 78 a.C. Silla morì. Dopo la morte di Silla, Roma tornò una Repubblica. Tuttavia, continuarono le lotte per il potere tra: - la nobiltà, che desiderava conservare i propri privilegi e per questo voleva lasciare immutati gli antichi ordinamenti; - coloro che desideravano una nuova organizzazione dello Stato. Dopo la morte di Silla, il Senato si appoggiò a Gneo Pompeo, un giovane generale che aveva dato il suo aiuto a Silla contro Mario. Egli era figlio di un generale e ricco latifondista. Il Senato fece ricorso, per la prima volta, all'aiuto di Pompeo durante la rivolta capitanata da Lepido nel 77 a.C. A Pompeo fu affidato il comando di un esercito, nonostante fosse molto giovane e non avesse ancora ricoperto nessuna carica pubblica come prevedeva il cursus honorum voluto dalla riforma sillana. Marco Emilio Lepido, pur essendo un aristocratico, si era già fatto portavoce delle richieste delle classi popolari e dei ceti dei piccoli proprietari che erano stati espropriati dai veterani di Silla. Nel 78 a.C. fu nominato console insieme a Quinto Lutazio Catulo. Nel 77 a.C., venne inviato in Etruria, dove molte città erano insorte contro l'esercito di Silla, ma anziché sedare la rivolta, si pose alla guida dei ribelli. Pompeo riuscì a stroncare la rivolta. Lepido e i suoi uomini si rifugiarono in Sardegna. Qui Lepido morì, mentre i superstiti si diressero in Spagna per unirsi a Sertonio. Quinto Sertonio, era un seguace di Mario che aveva preso parte alla guerra sociale. Nell'82 a.C. fu inviato in Spagna come pretore. Nelle sue intenzioni vi era l'idea di creare uno Stato romano-iberico indipendente da Roma nel quale le popolazioni locali potessero partecipare al governo. Nel 76 a.C. il Senato inviò Pompeo nella penisola iberica. Nel 72 a.C. Sertonio fu ucciso a tradimento da un suo luogotenente: in questo modo Pompeo riuscì a stroncare la rivolta e ad assoggettare tutta la Spagna al controllo di Roma. La rivolta degli schiavi scoppiò nel 73 a.C. a Capua, in Campagna dove si trovava una delle prime scuole gladiatorie costituite in Italia. La rivolta fu capeggiata da Spartaco, un soldato che aveva militato nell'esercito romano e che era stato fatto schiavo per diserzione. Egli era un gladiatore, cioè uno schiavo che combatteva fino alla morte durante gli spettacoli nei circhi, con lo scopo di allietare le folle. Durante le sue guerre di conquista, Roma aveva fatto molti prigionieri. Il numero degli schiavi era aumentato e il loro prezzo era diminuito notevolmente. Gli schiavi erano spesso maltrattati, per cui c'era un grosso malcontento tra di loro. Spartaco, insieme ad una settantina di altri gladiatori, aveva abbandonato il campo di addestramento di Capua per rifugiarsi sulle pendici del Vesuvio. A Spartaco si unirono molti schiavi fuggitivi e alcuni briganti: così egli si trovò a capo di un esercito formato da circa 70.000 persone, di cui molti era Galli e Germani. Questo esercito iniziò a minacciare le città della Campania con scorribande, saccheggi e distruzioni. Il Senato, preoccupato per la situazione venutasi a creare, inviò molti generali nel tentativo di porre fine alle scorrerie di Spartaco e dei suoi uomini senza riuscirvi, fino a quando Marco Licinio Crasso riuscì a sconfiggerli ai confini tra l'Apulia e la Lucania: circa 60.000 uomini furono uccisi in battaglia insieme a Spartaco. Molti fuggirono verso il Nord dove vennero uccisi da Pompeo che stava rientrando in Italia dalla Spagna. Altri furono fatti prigionieri e crocifissi lungo la via Appia da Capua a Roma, a titolo di monito. La rivolta degli schiavi cessò nel 71 a.C. La rivolta degli schiavi, guidati da Spartaco, è nota anche con il nome di terza guerra servile perché si tratta della terza guerra combattuta dalla repubblica romana contro degli schiavi ribelli. La prima guerra servile si ebbe tra il 135 e il 131 a.C. in Sicilia. La seconda guerra servile fu combattuta, sempre in Sicilia, tra il 102 e il 98 a.C. Una volta che Cesare fu eletto console, egli realizzò il programma che aveva concordato con gli altri triumviri. Cesare fece approvare direttamente dai Comizi, data l'ostilità del Senato, i seguenti provvedimenti: ai veterani furono concesse terre dell'agro pubblico; alla plebe romana furono assegnate terre acquistate con i bottini e le entrate provenienti dall'Asia; ai pubblicani d'Asia venne ridotto il canone sugli appalti. Prima che scadesse il suo mandato, Cesare si preoccupò di farsi assegnare, per un periodo di cinque anni, la Gallia Cisalpina e l'Illiria, a cui si aggiunse poco dopo anche la Gallia Narbonese. In questo modo si contravvenne al principio dell'annualità degli incarichi proconsolari. Attraverso questi incarichi Cesare mirava a conservare il suo potere e a procurarsi quel prestigio militare che ancora non aveva, ma che gli era necessario per competere con Pompeo. A questi obiettivi si aggiungeva anche quello di ottenere l'appoggio di un proprio esercito. Il fatto che Cesare scelse come province proprio la Gallia e l'Illiria non fu casuale. Egli avrebbe potuto optare per delle province più ricche e tranquille, invece preferì delle province poco ambite, ma che potevano permettergli di fare nuove conquiste. Prima di partire Cesare, per evitare di lasciare campo libero ai suoi avversari, trovò un valido aiuto nel suo sostenitore Clodio, il quale era un patrizio che aveva rinunciato alla sua condizione per diventare tribuno della plebe. Clodio era un uomo ribelle e violento. Egli fece approvare una legge che dichiarava colpevole chiunque avesse fatto condannare a morte un cittadino romano senza un regolare processo e senza concedere loro il diritto d'appello. Questa legge aveva lo scopo di colpire Cicerone, esponente degli ottimati e fautore di una politica moderata, che aveva fatto condannare a morte i complici di Catilina. Cicerone, per evitare di trovarsi di fronte ad un tribunale come imputato, lasciò Roma per andare in esilio. Cesare riuscì a far allontanare da Roma anche Catone facendogli affidare l'incarico di trasformare in provincia l'isola di Cipro, donata dal re d'Egitto ai Romani. In questo modo Cesare era riuscito a mandare lontano i due uomini politici che potevano avere un certo ascendente su Pompeo e potevano indurlo a rompere l'alleanza del triumvirato. Ai tempi di Cesare, nella zona meridionale della Gallia, vi era la Gallia Narbonese che si estendeva lungo il Mediterraneo e fino ai Pirenei e che era una provincia romana come la Gallia Cisalpina che corrispondeva all'incirca alla Pianura Padana. Tutto il resto della Gallia era indipendente ed era divisa in tre parti: a Nord c'era la Gallia Belgica, dove vivevano i Belgi; al centro c'era la Gallia Celtica, dove vivevano i Celti; a Sud-Ovest c'era l'Aquitania, dove vivevano gli Aquitani. Divisione della Gallia all'arrivo di Cesare La Gallia Narbonese aveva subito un rapido processo di romanizzazione. Il resto della Gallia era un paese povero, barbaro e bellicoso. Vi vivevano diversi popoli, separati gli uni dagli altri, privi di una organizzazione unitaria, e dediti all'agricoltura e alla pastorizia. L'episodio che permise a Cesare di intraprendere la conquista della Gallia si presentò nel 58 a.C. quando gli Elvezi (abitanti dell'attuale Svizzera) minacciavano i territori degli Edui. Questi ultimi chiesero aiuto a Cesare che era da poco giunto nella Gallia Narbonese. Cesare colse l'occasione al volo e ne approfittò per entrare nella Gallia Celtica, sconfiggere gli Elvezi e mettere sotto la sua protezione quelle popolazioni che si sentivano in pericolo per le continue invasioni di genti che vivevano al di là del Reno. La conquista della Gallia da parte di Cesare proseguì con la sconfitta degli Svevi, popolazione di origine germanica, guidata da re Ariovisto che minacciava anch'essa gli Edui. Cesare appariva così come un difensore dei Galli contro i Germani e questo gli permise di stabilire un buon rapporto con molte tribù galliche. Parte della Gallia celtica entrò sotto il controllo di Roma. Tuttavia, alcune popolazioni rifiutavano l'amministrazione romana: erano i Belgi, i Veneti, i Nervi. Cesare approfittò di questo rifiuto per intraprendere una decisiva azione di conquista che lo portò, nel 56 a.C., ad impossessarsi dei loro territori. Molti furono i nemici uccisi in battaglia e altrettanti quelli venduti come schiavi. Le vittoriose campagne militari avevano fatto di Cesare un uomo potente e di grande prestigio, ma il Senato gli era ostile. Quest'ultimo preferiva sostenere Pompeo che sembrava essere maggiormente un uomo rispettoso delle regole. Per questo Cesare pensò di rinnovare il patto con Pompeo e Crasso in modo da avere insieme quella forza che nessuno dei tre possedeva singolarmente. Il suo obiettivo era quello di farsi rinnovare, per un altro quinquennio, il proconsolato in Gallia in modo da avere il tempo di conquistare tutto il territorio gallico. Per ottenere questo obiettivo aveva bisogno anche che il Senato aumentasse il numero delle legioni a sua disposizione. Così Cesare si incontrò a Lucca, nel 56 a.C., con Pompeo e Crasso per stringere con loro un nuovo patto. Con l'accordo concluso a Lucca tra Cesare, Pompeo e Crasso si stabilì: che a Cesare venisse prorogato, per altri cinque anni, il proconsolato; che il consolato venisse attribuito, per l'anno successivo, a Pompeo e Crasso; che successivamente all'anno di consolato, venisse assegnato il proconsolato per cinque anni: a Pompeo in Spagna; a Crasso in Siria. A quest'ultimo venne dato anche il comando della guerra contro i Parti. Il convegno di Lucca rappresentò una vera e propria divisione del potere tra i tre uomini politici. Al termine del consolato di Pompeo e Crasso: Pompeo rimase a Roma, per tenere sotto controllo la capitale, non fidandosi eccessivamente di Cesare e Crasso. Egli inviò in Spagna dei generali di sua fiducia; Crasso partì per la Siria. Egli non si rivelò un grande condottiero, infatti fu sconfitto dai Parti e morì in battaglia nel 53 a.C. Quando Cesare fece ritorno in Gallia, nel 56 a.C., si trovò a dover assicurare le conquiste fatte a causa: di continue incursioni da parte di popolazioni germaniche insediate al di là del Reno; di aiuti giunti ai Galli dalla Britannia. Cesare decise, nel 54 a.C., di fare una spedizione in Britannia. Quindi, oltrepassato il Tamigi, sconfisse i Britanni, facendo molti ostaggi e imponendo loro tributi. Crasso Di fronte ai successi di Cesare in Gallia e delle celebrità che Pompeo godeva a Roma, decise che era il momento di dimostrare che era all'altezza dei suoi colleghi. L'occasione propizia per riscattarsi era organizzare un imponente spedizione contro i Parti, sfruttando una crisi dinastica che stava affliggendo il regno e contrapponendo i due eredi al trono Orede e Mitridate. Crasso agì in maniera avventata. Sicuro di poter procedere speditamente nel territorio partico attraverso la Mesopotamia virgola non ascoltando i suggerimenti dei suoi consiglieri. Grasso non avevo una conoscenza diretta dei luoghi e quindi si dimostrò in tutta la sua debolezza all’esercito partico, Che quando attaccò si trovò davanti a truppe disorientate e stanche per il lungo peregrinare nella steppa. Questo fu un massacro , sia Crasso che suo figlio morirono e la stessa provincia di Siria sembra in pericolo. Pompeo, dopo il consolato del 55, non si era diretto nelle provincie assegnategli secondo gli accordi di Lucca , ma rimase a Roma con il pretesto di dover ancora badare alla cura annonae. con la morte di grasso, Pompeo cominciò progressivamente ad allontanarsi da Cesare. Intanto per le strade le lotte fra bande continuavano fino a quando si super ho il limite nel 52 a.C: in uno scontro trovò la morte Clodio. della sua scomparsa fu accusato Milone, oi difeso da Cicerone. Pompeo in questa situazione grave fu eletto console senza collega e si adoperò per condannare Milone alla pena dell'esilio e sedare la sommossa. a questo punto Pompeo aveva solo un ultimo dilemma da risolvere per rimanere da solo al comando: esautorare Cesare. La Riconciliazione del Senato e di Pompeo creò le basi per un nuovo è pericoloso scenario politico foriero di sciagure per il popolo romano. Gli optimates volevano ritirare il proconsolato di Cesare in Gallia , mentre quest'ultimo premeva per un ulteriore prolungamento del suo incarico. Ne nacque una tacita lotta a colpi di interpretazioni legislative e giuridiche che però non portò a nulla di fatto finché nel 50 a.C. fu proposto di obbligare successore che Pompeo di rinunciare ai loro poteri straordinari punto la soluzione più h al Senato virgola che la votò a maggioranza. Giunti al 49, al termine del suo incarico ormai decennale in Gallia, Cesare comuni core Senato che era disposto a deporre il suo incarico se Pompeo avesse fatto lo stesso. Il Senato non era però dello stesso parere e notifico a Cesare di sciogliere l'esercito e rientrare a Roma da privato cittadino. Con un senatus consultum ultimum Il Senato affidò a Pompeo e ai Consoli in carica il compito di difendere Roma per eventuali disordini che erano sul punto di scoppiare. Cesare alla notizia del rifiuto del Senato optò per una scelta politica dagli effetti reversibili e radicali per il futuro della Repubblica: attraversare il Rubicone e marciare su Roma. Con questo gesto Cesare proclamava l'inizio della seconda guerra civile. Famosa è rimasta la sua frase: "Il dado è tratto". Roma aveva ampliato i suoi confini diventando uno Stato vasto, ricco, ma anche carico di problemi e di conflitti. A ciò si aggiungeva il fatto che, coloro che governavano le province avevano un enorme potere, potevano creare alleanze ed erano sostenuti dalle loro legioni. Il Senato, preoccupato soprattutto di difendere la propria autorità, ormai non era più in grado di governare questa nuova realtà. E il fatto che esso fosse ricorso alla forza militare di Pompeo ne era la dimostrazione: il Senato da solo non era in grado di far fronte alle nuove situazioni venutesi a creare e, tra Cesare e Pompeo, aveva scelto l'uomo ritenuto meno pericoloso. Né Pompeo, né il Senato e i senatori si aspettavano il passaggio del Rubicone da parte di Cesare. Poiché Pompeo non aveva forze sufficienti per combatterlo, decise di fuggire a Brindisi dove si imbarcò per l'Oriente sperando di poter organizzare la difesa grazie agli aiuti dei sovrani del luogo. Cesare arrivò a Brindisi quando ormai Pompeo era riuscito a partire. Successivamente Pompeo formò a Salonicco, in Grecia, un governo provvisorio. Cesare, di fronte alla fuga di Pompeo, tornò a Roma, dopodiché si diresse in Spagna dove lottò contro i seguaci di Pompeo. Egli, però, rifiutò il titolo e si fece eleggere console insieme a Publio Servilio, in modo da creare un governo legittimamente costituito che si contrapponesse a quello formato da Pompeo. La mossa successiva di Cesare fu quella di sbarcare a Durazzo, nel 48 a.C., città che Pompeo aveva fatto fortificare. Cesare tentò di assediare Durazzo, ma non vi riuscì. Dato che Pompeo ebbe distrutto tutte le navi di la fine di un breve periodo di pace: di lì a poco sarebbe iniziata la terza guerra civile. Svetonio, con il suo fare tipico, racconta tragicamente l’episodio delle idi di marzo. L’episodio raccontato da Svetonio vede uno sfondo tragico, un Cesare ignaro di tutto e colto di sorpresa. Si narra che quando Cesare fu trafitto dalle lame si avvolse il capo con la toga, mentre con la sua mano sinistra ne fece scendere le pieghe fino in fondo ai piedi, per cadere con più dignità. Fu trafitto da 23 ferite, emettendo un solo gemito al primo colpo, alcuni però hanno raccontato che a Marco Giunio Bruto abbia detto “ anche tu, figlio?”. Alla morte di Cesare non si ebbe un ritorno alla vecchia repubblica oligarchica, come avrebbero voluto i congiurati. Si creò, invece, una situazione di grande tensione. Gli uccisori di Cesare si erano rifugiati in Campidoglio. Su proposta di Cicerone, il Senato concesse l'amnistia ai congiurati. Questo scatenò l'ira dei soldati di Cesare e del popolo. Quindi, se da una parte i seguaci di Cesare si facevano sempre più minacciosi, dall'altra i congiurati, invece di promuovere nuove iniziative politiche, temendo lo scoppio di tumulti, assunsero un atteggiamento di difesa temporeggiando. In questa situazione emersero due personaggi, entrambi desiderosi di ereditare il potere di Cesare. Il primo era Marco Antonio, amico di Cesare e console in quell'anno, uomo furbo e deciso, che si impadronì dei beni di Cesare e fece grandi donazioni in modo da accaparrarsi il favore di soldati e cittadini. Egli durante i funerali del dittatore tenne un discorso durante il quale elogiò calorosamente Cesare al punto che i congiurati, temendo una sommossa, preferirono lasciare Roma. Bruto e Cassio fuggirono in Oriente con lo scopo di radunare un esercito e fare ritorno a Roma. L'altro era Caio Ottavio, giovane pronipote di Cesare di soli 19 anni che, al momento della morte del dittatore, non era in Italia. Egli, venuto a sapere del fatto che Cesare, che non aveva figli maschi, lo aveva adottato come figlio e gli aveva lasciato in eredità le sue sostanza, tornò deciso ad accettare l'eredità e a prendere il suo posto nella vita politica. Per questa ragione, prese il nome di Caio Giulio Cesare Ottaviano. Ottaviano chiese a Marco Antonio di consegnargli i beni che gli spettavano. Marco Antonio si rifiutò. Poiché Cesare aveva lasciato 300 sesterzi a testa a favore dei proletari, Ottaviano vendette i suoi beni e quelli ricevuti in eredità in modo da pagare, con il ricavato, quanto era previsto dal testamento: questo gesto gli procurò un grande favore del popolo. Marco Antonio, che era ancora console, pensò che la cosa più importante, per poter prendere il posto di Cesare, fosse quella di avere un esercito ed ottenere una provincia vicino a Roma, in modo da tenere sotto controllo ciò che accadeva nella capitale. Così si fece affidare la Gallia Cisalpina che era già stata data a Decimo Bruto. Poiché Bruto non voleva cedere la sua provincia a Marco Antonio, questi lo assediò sconfiggendolo a Modena. Il Senato, temendo il successo di Marco Antonio, iniziò a parteggiare per Ottaviano, il quale, data la giovane età, sembrava essere più innocuo. All'interno del Senato un ruolo rilevante aveva Cicerone, che osteggiava Marco Antonio e iniziò a sostenere Ottaviano. Quindi, il Senato, pensando di potersi servire di Ottaviano per liberarsi di Antonio, lo inviò a combattere Marco Antonio insieme ai due consoli Aulo Irzio e Vibio Pansa. Fu questo l'inizio della terza guerra civile. La terza guerra civile si concluse nel 43 a.C. con la sconfitta di Marco Antonio, che fuggì nella Gallia Narbonese dove era proconsole Lepido. Egli venne dichiarato nemico pubblico da parte del Senato. Poiché in battaglia erano morti i due consoli, Ottaviano chiese il consolato a soli 20 anni. Il Senato, però, oppose un netto rifiuto. Ottaviano, quindi, marciò su Roma e si fece proclamare console dal popolo. Inoltre, fece revocare l'amnistia concessa dal Senato agli uccisori di Cesare. Questo atto rappresentava la rottura tra il Senato e Ottaviano. Dopo la nomina a console, Ottaviano stipulò un triumvirato con Marco Antonio e Lepido, nel 43 a.C. Il secondo triumvirato non fu un accordo privato, come lo era stato il primo. Esso fu una vera e propria magistratura, infatti il triumvirato fu approvato da una legge che riuniva nelle mani dei triumviri i principali poteri politici e militari dello Stato e che affidava loro, per cinque anni, il compito di mettere a punto una nuova costituzione al fine di riportare la pace a Roma. In questo modo si venne ad instaurare un nuovo regime che ormai non aveva più nulla a che fare con la repubblica oligarchica e che rappresentava una fase di transito tra questa e il principato. Ottaviano decise di stipulare il triumvirato perché le sue vittorie non erano definitive e la lotta con Marco Antonio poteva durare a lungo, mentre Bruto e Cassio si stavano riarmando e avrebbero potuto tornare a rappresentare un problema. L'obiettivo dei triumviri era quello di liberarsi dei loro nemici interni ed esterni. I triumviri si liberarono dei nemici interni mediante delle nuove liste di proscrizione. Marco Antonio ed Ottaviano inserirono in tali liste i propri nemici: furono uccisi molti senatori, cavalieri e uomini politici, e i loro beni vennero confiscati. Tra costoro vi fu anche Cicerone che aveva scritto un libro difendendo le libertà repubblicane ed accusando Marco Antonio. Si venne così a creare, a Roma, un clima di terrore. La mossa successiva dei triumviri fu quella di affrontare i principali nemici esterni, ovvero Bruto e Cassio che erano riusciti a mettere insieme alcune legioni in Oriente. Lepido, nominato console per il 42 a.C., rimase a Roma a difendere gli interessi del triumvirato, mentre Marco Antonio e Ottaviano si recarono in Oriente. Lo scontro con Bruto e Cassio avvenne a Filippi, in Macedonia, nel 42 a.C. Bruto e Cassio furono sconfitti e, non accettando il loro fallimento, si uccisero. Dopo la battaglia di Filippi, i tre triumviri si divisero i territori posseduti da Roma: ad Ottaviano andarono le province occidentali; a Marco Antonio quelle orientali; a Lepido venne assegnata l'Africa. Antonio si recò in Oriente, dove era necessario riordinare l'amministrazione provinciale. Qui si innamorò di Cleopatra e rimase ad Alessandria. Ottaviano rientrò a Roma per tenere sotto controllo le mosse del Senato e prepararsi a conquistare il potere. A favorire l'ascesa al potere di Ottaviano vi furono tre circostanze. La prima fu il comportamento di Marco Antonio in Oriente. Il fatto che egli si fosse innamorato di Cleopatra aveva alimentato voci secondo le quali il triumviro volesse spostare la capitale in Egitto e fare della donna la regina di un nuovo impero. Questo inquietava i Romani che iniziarono a diffidare di Marco Antonio. La seconda fu la vittoria di Ottaviano nei confronti di Sesto Pompeo, figlio di Gneo Pompeo. Sesto Pompeo era riuscito ad occupare la Sicilia, la Sardegna e la Corsica e, pirateggiando nei mari, rendeva difficile, per Roma, il rifornimento di viveri. Egli fu sconfitto nel 35 a.C. nel mare di Sicilia. La terza fu l'estromissione di Lepido dai giochi politici avvenuta nel 36 a.C. Ottaviano riuscì a privarlo del governo dell'Africa lasciandogli esclusivamente la carica di Pontefice massimo fino alla morte. In questo modo il triumvirato divenne un duumvirato. Ottaviano, intenzionato a liberarsi anche di Marco Antonio e approfittando del fatto che era ormai scaduto il mandato triumvirale, convinse il Senato a togliere al rivale il comando dell'Oriente. Inoltre, nel 32 a.C. dichiarò guerra a Cleopatra. Marco Antonio radunò in Grecia le sue legioni e la sua flotta. A quest'ultima si unì anche una nave di Cleopatra. Lo scontro tra Ottaviano e Marco Antonio avvenne, nel 31 a.C., ad Azio nelle vicinanze della costa occidentale della Grecia. La battaglia di Azio si concluse la vittoria di Ottaviano. Marco Antonio e Cleopatra si rifugiarono ad Alessandria. Nel 30 a.C. Ottaviano invase l'Egitto. Marco Antonio, non avendo vie di fuga, si suicidò e, dopo pochi giorni anche Cleopatra si tolse la vita. L'Egitto divenne una provincia romana. La vittoria di Ottaviano segnò la fine della Repubblica romana. Orosio ne “Storie contro i pagani” racconta come di nuovo a Roma il comando passò ad un uomo solo: Augusto. La battaglia di Azio rappresentò la fine di un secolo di lotte interne e l'inizio di un periodo di pace per Roma. Una volta tornato a Roma, dopo la battaglia di Azio, Ottaviano divenne il capo indiscusso della vita politica romana, concentrando nelle sue mani un enorme potere che non derivava, però, da nessuna legge. Ottaviano era consapevole di non avere ormai più rivali. Egli percepiva anche, che il popolo era stanco di guerre. Cercò, quindi, di ottenere il consenso in modo da non imporsi con la forza: questo, infatti, avrebbe molto probabilmente portato a nuovi scontri. Ottaviano riuscì ad impadronirsi del potere senza avere un atteggiamento che lasciasse pensare che volesse diventare un dittatore. Per pax augustea si intende la pace fondata sul consenso di tutte le parti sociali nei confronti di Augusto. Egli governò per circa 50 anni e, in questo periodo, a Roma non si ebbero più guerre sociali. Augusto fece chiudere le porte del tempio di Giano, che venivano lasciate aperte durante le guerre. Questa chiusura voleva simboleggiare la pace ottenuta. Egli fece costruire l'Ara pacis, ovvero un altare dedicato alla dea della pace con il quale voleva dimostrare l'importanza che aveva la pace per lui. Per ottenere la pace, Ottaviano seguì alcune strategie: tenne fermo il comando dell'esercito; mantenne uno stretto controllo sul Senato che era formato da uomini di sua fiducia; cercò di ingraziarsi il popolo con distribuzioni di denaro e di grano; cercò di apparire sempre come un servitore della Repubblica, rispettoso delle libertà di tutti e oppositore delle dittature. Nel 27 a.C. Ottaviano, in Senato, dichiarò di voler rinunciare alla carica di console che aveva esercitata per alcuni anni, in modo che anche altri potessero accedervi. Fu allora che il Senato gli conferì il titolo di Augusto, ovvero degno di essere venerato: il che indicava la sua superiorità, in quanto ad autorità, rispetto a tutti. Tale titolo fu, in seguito, assunto da tutti i suoi successori. Questo appellativo non corrispondeva a nessuna carica particolare, ma conferiva ad Ottaviano un prestigio che lo poneva al di sopra di tutti. Nel 13 a.C., alla morte di Lepido, divenne Pontefice massimo. Questo ruolo gli consentiva di essere il capo di tutti i sacerdoti dello Stato. Egli assunse anche il titolo di Imperator, imperatore, cioè comandante supremo dell'esercito. ma solo una soddisfazione morale per essere riuscita a riprendere le insegne delle legioni cadute a Carre. Augusto cercò però lo stesso un modo per trarre vantaggio da questo popolo, per quando il popolo si aspettasse un impegno maggiore e duraturo e che portasse a risultati concreti. La politica estera di Augusto, che si svolgeva sia attraverso campagne militari vere e propria sia attraverso il sapiente uso della diplomazia, che permetteva di creare anche rapporti di amicizia con stati satelliti e clienti di Roma in chiave antipatica, fu però segnata anche da grandi fallimenti. Sono da ricordare sicuramente la Clades Lolliana del 16 a.C, quando delle tribù germaniche che superarono il Reno inflissero una sonora sconfitta ai romani e soprattutto l' ecatombe di Teutoburgo nel 9 d.C. La selva di Teutoburgo fu teatro dello sterminio delle legioni romane del Reno comandate da Quintilio Varo da parte delle tribù germaniche ribelli guidate da Arminio. assaliti dai germani varo e gli ufficiali superiori si suicidarono, i soldati furono uccisi o ridotti in schiavitù. I germani non sfruttarono l'occasione e così si offriva loro di liberare il loro paese, EI romani ripresero gradualmente il controllo della situazione, anche.se non riuscirono mai a spostare il limite oltre il Reno. Quando la notizia giunse, scrive svetonio, dicono che Augusto si mostrasse così avvilito da lasciarsi crescere la barba EI capelli, sbattendo, di tanto in tanto, la testa contro le porte. La politica accentratrice e autoritaria di Augusto non poteva essere smantellata alla sua morte con un semplice ritorno al passato. I cambiamenti erano stati radicali e inoltre nessuno voleva vedere disgregarsi i nuovi equilibri prodottosi e i vantaggi ottenuti con il princeps e ripiombare nelle guerre civili. Augusto doveva pensare a un successore o altrimenti tale facoltà sarebbe passata al Senato. Pur non avendo figli maschi, Augusto sceglie la via dinastica proponendo come suoi eredi membri della sua famiglia. Nel 25 indicò il nipote Marco Claudio Marcello, figlio di primo letto della sorella Ottavia. Augusto predispose il matrimonio tra questi e sua figlia, Giulia. Nel 23 a.C. Marcello morì e il principe dovette modificare il suo originario piano dinastico. Per un quinquennio fece ricorso a una soluzione transitoria, indicando il suo braccio destro Marco Agrippa, che nel frattempo aveva sposato Giulia. Il matrimonio fu assai prolifico: nacquero due femmine e tre maschi: Gaio, Lucio e Agrippa. Nel 17 a.C. alla nascita del nipote Lucio Cesare, il principe lo adottò, insieme al fratello Gaio. Tale iniziativa sanciva i due come legittimi eredi. Come Marcello, anche Gaio e Lucio Cesare morirono prima dell’ipotizzata successione: Lucio nel 2 a.C e Gaio nel 2 d.C. Nel 4 d.C. adottò allo scopo Agrippa Postumo, nato dal matrimonio tra Giulio e Agrippa dopo la scomparsa del padre, e quindi il suo ultimo erede consanguineo, ma con lui adottò anche Tiberio, figlio di sua moglie Livia e del suo primo marito, Tiberio Claudio Nerone. Tiberio aveva maturato una solida esperienza militare ma non era tanto gradito al principe tanto che nel 6 d.C. optò per un volontario ritiro a Rodi. Sarà Tiberio a succedere Augusto, egli avrebbe dovuto adottare a sua volta Germanico, figlio di Druso Maggiore e della giulia Antonia minore, garantendo così un futuro nuovamente giulio all’impero. Anche la designazione di Agrippa Postumo non ebbe fortuna, nel 7 d.C. il giovane venne allontanato accusato di pazzia. Sembra probabile che in realtà le accuse in suo indirizzo fossero il mascheramento di un’epurazione politica: le pressioni del ramo claudio della famiglia di Augusto, favorevole alla successione di Tiberio, dovevano aver avuto infine successo sul principe, che era stato indotto a scartare l’ipotesi di una successione di Agrippa, ultimo rappresentante dei Giuli. Esiliato, Agrippa venne assassinato, probabilmente dopo la morte di Augusto, per inibire qualsiasi velleità di reazione anticlaudia degli esponenti Giuli della famiglia imperiale e dei loro sostenitori. Il 19 agosto del 14 Augusto si spense a Nola, in Campania. Un mese dopo sarebbe stato proclamato Divus. Tiberio assunse il potere con riluttanza, aprendo così la dinastia giulio-claudia. La politica e l’amministrazione non erano nelle sue corde. Cercò di governare seguendo la falsariga augustea, ma in maniera poco convinta perché non condivideva l’utilizzo di quei titoli e onori che erano stati adoperati da augusto (imperator e pater patrie). Nonostante egli cercasse egli cercasse un dialogo pacifico con il senato, anche con una politica attenta agli sprechi, che faceva bene alle casse dello stato, ma non agli appetiti del popolo, che ama la grande manifestazioni, ben presto sorsero diversi problemi, che denunciarono lo scarso successo di cui Tiberio godeva anche fra le truppe. Le truppe renane insorsero e proclamarono imperatore il giovane Germanico. La rivolta sul confine renano venne sedata da germanico, che si dimostrò fedele al suo padre adottivo. Tiberio decise però di richiamare germanico per affidargli un incarico in Oriente, dopo avergli concesso il trionfo nel 17 d.C. Tacito insinua che la missione orientale fosse stata progettata da Tiberio con l' intento di impedire a germanico il disegno di ulteriori conquiste nella Germania, dopo il brillante trionfo celebrato a Roma sulle popolazioni delle terre situate tra Reno ed Elba. Germanico ricevette un imperium proconsolare straordinario per affrontare con trattative diplomatiche i problemi di confine che si stavano profilando nei territori adiacenti all’impero partico. Quando germanico Mori in circostanze misteriose , si ritenne che fosse stato avvelenato da Pisone, per mandato di Tiberio appunto possediamo proposito un documento ritrovato vicino a Siviglia, in più copie: si tratta di alcune tavole di bronzo, in parte frammentarie, in cui sono riportate copie della decisione del Senato in merito alla posizione del defunto e dei suoi familiari e collaboratori. La responsabilità nella morte di germanico viene dedotta da tali ingiustificati comportamenti, oltre che da una specifica accusa pronunciato dallo stesso in punto di morire. Le voci che circolavano sul conto di Tiberio dopo la morte di germanico avevano nominato ancora di più una popolarità che sin dai primi passi del suo Principato non era certamente elevata. Tiberio non aveva la capacità per reagire con razionalità agli eventi che via via lo stavano travolgendo, quindi, dopo la morte controversa del suo unico figlio naturale, Druso Minore, Tiberio nel 27 d.C. decise di ritirarsi a Capri gestendo da lontano il dissenso interno attraverso il prefetto del pretorio Elio Seiano. Tiberio non intraprese guerre di conquista. Il confine renano venne consolidato e germanico riuscì a riprendere le insegne perse nella clades Variana, ma non si andò mai oltre. In Oriente, sempre tramite germanico, adottò la politica diplomatica di Augusto instaurando rapporti con regni clienti e arrivando a un nuovo accordo di alleanza con il re dei parti Artabano, che prevedeva la collocazione del re Zenone sul trono di Armenia. Furono istituite nuove province: Commagene, Cappadocia. Il ritiro di Tiberio a Capri lasciò a seiano mano libera per neutralizzare la famiglia e il partito di germanico. Egli divenuto addirittura console nel 31 d.C. Stava cercando di fare terra bruciata intorno a sé, eliminando qualsiasi possibile pretendente al trono. Tibero si rese conto di quanto stava accadendo a Roma , allarmato anche dalla cognata Antonia. La reazione dell'imperatore fu implacabile e segnò una svolta ancora più autoritaria e repressiva della sua politica, con una rigida applicazione della legge di lesa maestà e processi celebrati al suo cospetto , esautorando di fatto le attività dei tribunali tradizionali. Seiano Venne fatto arrestare e condannare a morte. Il nuovo prefetto del pretorio, Sertorio Macrone, ne approfitto per massacrare la famiglia del suo predecessore. Il 16 marzo del 37 d.C., dopo essere stato colto da un malore, La sua dipartita fu accelerata dal prefetto del pretorio, che soffocò un agonizzante Tiberio incapace di difendersi e facilitare l'ascesa alla porpora imperiale del figlio di germanico scampato alle purghe di Seiano: Caligola. IL CRISTIANESEIMO: Si sviluppa sotto Tiberio. Fino ad allora la religione romana era considerata una sorta di contratto fra la comunità degli uomini e la divinità. Il suo compito primario era la garantire la cosiddetta pax deorum. Nel privato ognuno poteva invocare idee che preferiva, era molto importante però, la dimensione pubblica della religione che Cicerone non a caso definiva instrumentum regni. Dal secondo secolo a.C. iniziano a diffondersi a Roma nuovi culti di derivazione orientale: misteri dionisiaci: senatus consultum ultimum de Bacchanalibus 186 a.C culto della magna mater cibele: introdotto nel 204 a.C. Culto di Mitra e del Dio sole culto iniziatico di iside con Augusto assistiamo al ripristino di antichi culti e ha inizio un processo di divinizzazione dell'imperatore dopo la sua morte che si evolve con il tempo verso il vero e proprio culto del principe ancora in vita, il cui genius è adorato come una divinità. il cristianesimo si sviluppa a seguito della predicazione di Cristo, l'unto dal signore, nato a Betlemme di giudea durante il Principato di Augusto probabilmente intorno al sei o al 5 a.C. e morto sotto Tiberio nel 30 d.C. Quando era governatore della giudea Ponzio Pilato. I seguaci di Cristo erano detti in origine la chiesa oppure la via. chiamati anche nazareni. Il cristianesimo si affermò da prima in Palestina e poi ebbe un'ampia diffusione grazie alla predicazione di Pietro e Paolo. La figura di Ponzio Pilato è attestata da un'iscrizione reinventa a cesarea sotto il comando di Ponzio Pilato durante il Principato di Tiberio. Tacito nella sua opera ci afferma come Cristo venne condannato al supplizio da Ponzio Pilato. Diverse erano le ragioni per cui il cristianesimo era considerato illicita superstitio: il rifiuto dei rituali e delle cerimonie pubbliche; Rifiuto della vita politica e del servizio militare; Esaltazione del martirio; Esclusivismo religioso. La religione cristiana iniziò a coinvolgere molti. Tuttavia, molti rimanevano scettici come grandi protagonisti dalla scena politica e testuale. Giuseppe Flavio nella sua opera, richiama la figura di Dio non negando la sua presenza , bensì riconoscendolo pur sempre come un uomo. Di grande interesse sono le lettere fra Plinio il giovane e l'imperatore Traiano. Plinio in una delle lettere a noi pervenute fa presente all’imperatore le sue azioni per smascherare e cristiani. Egli riferisce che a parte questa strana credenza non commettevano alcun crimine. Plinio riferisce all'imperatore che con un arduo lavoro si poteva bloccare il proliferare di questa credenza. L'imperatore risposi a Plinio di aver fatto il necessario e che a punire questi uomini ci avrebbero pensato gli dèi. Luciano di Samosata Usa il termine sofista rivolgendosi a Cristo. Alexamenos, invece, Raffigura un asino sulla croce, con l'incisione “Alexamenos venera il proprio Dio”. la guardia pretoriana si accordarono per uccidere Nerone e assegnare la carica di imperatore a Gaio Calpurnio Pisone. La congiura fu scoperta e molti dei suoi partecipanti furono uccisi, mentre altri vennero esiliati. Tra i congiurati sembrava esservi anche Seneca al quale fu dato l'ordine di suicidarsi, cosa che egli fece avvelenandosi con la cicuta. Nerone, con il suo comportamento, si era fatto tantissimi nemici. L'ostilità nei suoi confronti si era ormai diffusa tra i nobili e nelle province sempre più tartassate dove si ebbero parecchie rivolte. Nel 68 d.C. Nerone fu deposto dal Senato e dichiarato nemico della patria. Rifugiatosi in campagna, prima di essere catturato dai pretoriani si fece uccidere da un suo liberto. PERSECUZIONE DEI CRISTIANI: La prima persecuzione dei cristiani si ebbe nel 64 d.C. ad opera di Nerone. L'episodio che fece scatenare le persecuzioni cristiane fu un grave incendio, avvenuto durante l'impero di Nerone, che colpì Roma distruggendo centinaia e centinaia di case. Molto probabilmente l'incendio fu accidentale anche perché, all'epoca, molte case erano costruite in legno e si usavano le lampade ad olio per illuminare e i bracieri per riscaldare le abitazioni: quindi era molto facile la propagazione di un incendio. Nel popolo si diffuse la convinzione che a far appiccare l'incendio fosse stato Nerone. Egli, infatti, aveva dei progetti grandiosi sulla città di Roma e voleva ricostruirla secondo i suoi gusti più bella e fastosa di prima. Non a caso fece costruire un'immensa residenza imperiale nella città. A tale residenza venne dato il nome di domus aurea, ovvero casa d'oro. Di fronte al diffondersi di questa voce Nerone reagì accusando i seguaci della religione cristiana che iniziava a diffondersi a Roma. I cristiani avevano l'abitudine di celebrare i propri riti in segreto. Per questa ragione essi erano guardati con sospetto: si diceva che praticassero la magia e, addirittura, che durante i loro riti sacrificassero i neonati. Fu questo il motivo per cui a Nerone risultò facile scaricare la colpa su di essi data l'ostilità che c'era nei loro confronti. Di conseguenza, i cristiani iniziarono ad essere perseguitati. Centinaia di loro furono portati davanti ai giudici. Essi si dichiaravano innocenti, rispettosi delle leggi dello Stato, ma non erano disposti a adorare l'imperatore perché ritenevano di dover adorare solamente il loro Dio. Per questo motivo venivano condannati a morte. Morirono cristiani di ogni ceto sociale, di ogni età, uomini e donne. Venivano sottoposti ad atroci supplizi e Nerone offriva questo spettacolo alla folla. Ma meravigliava il fatto che costoro preferivano la morte all'adorare l'imperatore e affrontavano, le torture alle quali erano sottoposti e la morte, con serenità. Fu questa la prima persecuzione dei cristiani, alla quale ne seguirono delle altre. Durante la prima persecuzione dei cristiani morirono anche Pietro e Paolo. GUERRA CIVILE DEL 68-69: Nerone non aveva figli, quindi alla sua morte venne a mancare un legittimo successore. La mancanza di un successore portò ad un periodo di anarchia militare durante il quale, in molte province dell'impero, le truppe militari proclamarono imperatori i loro comandanti In poco tempo si vennero ad avere, contemporaneamente, ben quattro imperatori: Galba; Vitellio; Otone; Vespasiano. Costoro si combatterono a vicenda dando vita ad un periodo di lotte. Questo periodo durò circa un anno, dal 68 d.C., anno cui era morto Nerone, fino al 69 d.C. Questo periodo storico è conosciuto come l'anno dei quattro imperatori o anche come guerra civile romana del 68-69 d.C. Questo periodo si concluse con Vespasiano, generale in Oriente, che sconfisse i propri rivali e prese il potere. Con Vespasiano iniziò la dinastia Flavia. Tito Flavio Vespasiano Si era fatto da sé, salendo per i suoi meriti i gradi dell’esercito. Nel 69 d.C., con la lex de imperio Vespasiani, si fece assegnare in blocco tutti i poteri di cui i suoi predecessori avevano goduto. Dichiarò senza mezzi termini che gli sarebbero succeduti i figli Tito e Domiziano. In questo modo mise fine all’idea del principe come “primo fra pari”. Di fatto, spazzò via la finzione della repubblica, che ormai sopravviveva solo formalmente. Fu con Vespasiano che il principato incominciò a chiamarsi impero. Era consapevole che occorreva ristabilire il consenso intorno alla figura del principe e ridare stabilità all’impero. Attuò allora una politica mirante alla pace e alla sicurezza interna. Riassestò le finanze, stabilendo che ogni nuova spesa dovesse avere una adeguata copertura nel bilancio pubblico. Rinunciò ai fasti di corte. Non rinunciò a intraprendere importanti e utili opere pubbliche, tra cui il famoso anfiteatro Flavio, più noto come Colosseo. Per meglio avvicinare a Roma gli abitanti delle province, Vespasiano ampliò il diritto di cittadinanza, favorendo una massiccia immissione di elementi provinciali tra i funzionari imperiali e nell’aristocrazia senatoria. Sul piano militare pacificò la Britannia attraversata da continue ribellioni, e rinforzò il sistema difensivo romano nella regione tra l’alto Reno e l’alto Danubio. Nel 70 d.C. ordinò al figlio Tito la distruzione del Tempio di Gerusalemme. Ne restò in piedi solo la parte estrema del muro occidentale, il cosiddetto Muro del pianto. Il 23 giugno del 79 d.C. l’imperatore Vespasiano morì a causa di una malattia intestinale. Aveva 70 anni e aveva regnato per 10 anni. TITO: Alla morte di Vespasiano (79d.C.)divenne imperatore suo figlio Tito, che già il padre aveva designato come suo successore. Tito governò per due anni, Svetonio lo definì amore e delizia del genere umano (anche se all’inizio del suo governo non fu amato dal popolo). Al senato non era piaciuta l’idea di Vespasiano di associarlo al potere durante il suo principato. Infatti, una congiura ordita dai senatori contro Vespasiano era stata depressa nel sangue da Tito poco tempo prima della morte del padre. Mentre Svetonio ci parla di lui positivamente, abbiamo però anche fonti negative da considerare, queste vengono fuori dal Talmud (testo sacro ebraico). Il talmud babilonese lo evoca come Tito il malvagio, crudele oppressore e distruttore del tempio di Gerusalemme. Il principato di Tito fu pieno di sciagure: ricordiamo infatti l’eruzione del Vesuvio e la distruzione delle città di Pompei, Ercolano e Stabia. Ricordiamo la morte di Plinio il vecchio (si era avvicinato molto al sito dell’eruzione e trovò la morte), la peste e un grave incendio a Roma. Tito completò il Colosseo e le terme. La malattia però non gli diede tempo di dimostrare quanto fosse valido, fu però divinizzato. Alla sua morte gli successe il fratello Domiziano che fece subito rimpiangere il fratello. DOMIZIANO: Il successore di Tito fu il fratello Domiziano. L'impero di Domiziano durò dall'81 d.C., anno della morte di Tito, all' 96 d.C. Domiziano fu un tiranno che governò in modo assolutistico tanto da farsi chiamare domimus e deus ovvero signore e dio. Durante il suo impero Domiziano rafforzò le frontiere. In particolare: fondò delle zone difensive tra il Reno e il Danubio; riuscì a frenare i Daci che effettuavano continue scorrerie nei territori romani; bloccò i Sarmati che si trovavano nella zona tra il Danubio e il Don. Inoltre, Domiziano: adottò una politica restauratrice degli antichi costumi allontanando da Roma filosofi e retori; abbellì Roma con edifici ricchi di marmi e di opere d'arte. Fece costruire uno stadio, le terme e il palazzo imperiale sul Palatino di cui possono essere ammirati ancora dei resti. Domiziano adottò una politica autoritaria nei confronti del Senato dando vita ad una serie di processi e di oppressioni contro i senatori che, carichi di rabbia e di malcontento, progettarono diversi complotti nei suoi confronti. Domiziano si difese dalle congiure tramate contro di lui con estrema durezza arrivando a condannare a morte anche persone della sua famiglia. L'impero di Domiziano finì proprio in seguito ad uno di questi complotti, organizzato nel 96 d.C., che portò alla morte dell'imperatore. LA DINASTIA DEGLI ANTONINI: Il successore di Domiziano fu Nerva, un senatore già avanti negli anni, che si impegnò con solenne giuramento a non infliggere condanne ai senatori. Egli governò dal 96 al 98 d.C. e a lui succedette Traiano. TRAIANO: 98-117 Traiano era un generale e fu il primo imperatore non italico, nato da una famiglia aristocratica spagnola. Con Traiano inizia un periodo caratterizzato da un nuovo criterio di successione: la scelta da parte dell'imperatore del suo successore e la sua adozione. In questo modo l'imperatore non viene più designato tra i famigliari, ma in base alle effettive capacità di governare. Questo nuovo criterio di scelta piacque anche al Senato. Traiano fu un ottimo amministratore, uno dei migliori imperatori della storia di Roma. Per ciò che concerne la politica estera Traiano fu l'unico imperatore, tra quelli che regnarono nei primi due secoli, che riprese una politica espansionistica. Sotto di lui l'impero raggiunse la sua massima espansione L'enorme estensione dell’Impero romano rese molto difficile la sua amministrazione, tanto che già il primo successore di Traiano dovette lasciare alcune di queste terre. Egli concesse prestiti ai piccoli proprietari e impiegò gli interessi pagati da costoro per far studiare, in comunità italiche, i bambini poveri e gli orfani. Molte furono le opere pubbliche da lui realizzate, soprattutto Traiano ampliò le strade e costruì porti in modo da migliorare la viabilità: costruì il porto di Civitavecchia; fece ampliare il porto di Ancona in modo da favorire i collegamenti con le province orientali; Commodo non riuscì a tenere rapporti di collaborazione con il Senato e non era ben visto neppure dall'esercito. Per questa ragione la corte tornò ad essere luogo di sospetti e di congiure. Fu proprio in seguito ad una congiura che, nel 192 d.C., Commodo morì. A contribuire alla decadenza dell'impero vi furono due cause principali: - i confini erano costantemente minacciati da popolazioni barbariche di origini germaniche e asiatiche; - una profonda crisi economica e finanziaria dovuta all'aumento dei prezzi e alle elevate tasse che i Romani erano costretti a pagare. Dopo la morte di Commodo si succedettero una serie di imperatori. Questo accadde perché i Romani e gli Italici avevano perso la loro capacità di comandare, di lottare, di sacrificarsi e passavano il loro tempo più alle terme e ad occuparsi dei giochi del circo che ad interessarsi di politica e di lavoro. Dopo Commodo, a guidare l’Impero Romano fu la dinastia dei Severi. Gli imperatori romani appartennero alla dinastia dei Severi dal 193 al 235 d.C. Questo periodo fu caratterizzato dal crescente potere dell'esercito: da una parte gli imperatori erano imposti con la forza dall'esercito; dall'altra gli imperatori attribuirono maggiori poteri ai soldati. Di questa dinastia ricordiamo maggiormente Settimio Severo e Caracalla. Settimio Severo era di origine africana. Non fu il primo imperatore proveniente dalle province, ma fu il primo che modificò il rapporto tra Senato ed esercito, riconoscendo particolari privilegi a quest'ultimo. Per poter coprire le crescenti spese militari imposte nuovi tributi ai possidenti. Sotto Settimio Severo l'Italia fu equiparata al resto dell'impero e l'imperatore accentrò nelle sue mani anche il potere giudiziario. Egli riportò delle importanti vittorie contro i Parti che minacciavano il confine orientale. Caracalla era uno dei due figli di Settimio Severo. Egli uccise il fratello per restare solo al potere. Viene ricordato: per aver messo in atto delle durissime persecuzioni contro i cristiani; per aver emanato l'editto di Caracalla. l'editto di Caracalla era un provvedimento con il quale la cittadinanza romana veniva estesa a tutti gli abitanti dell'impero. In questo modo cessò completamente la distinzione tra cittadini romani, che avevano pieni diritti, e altri abitanti dell'impero, che avevano una situazione giuridica inferiore. Dopo la dinastia dei Severi vi fu un periodo di anarchia militare che durò circa 50 anni. In questo periodo assunse un ruolo fondamentale l'esercito: si assistette ad un continuo susseguirsi di imperatori scelti dai militari e ad un totale disordine politico. L'esercito, nel corso degli anni, si era profondamente trasformato. Esso non era più formato da soldati romani o Italici, ma quasi esclusivamente dai provinciali e, a volte, anche da barbari. I pretoriani avevano assunto un ruolo decisivo al punto da influenzare la nomina degli imperatori che venivano scelti tra i membri dell'esercito o tra avventurieri provenienti anche da paesi lontani, come l'Africa Settentrionale, la Siria, la Tracia. Gli stessi soldati, che avevano il compito di difendere gli imperatori, molte volte, finivano con ucciderli tanto che, nell'arco di 50 anni, a Roma, si susseguirono circa 20 imperatori con una media di uno ogni 3 anni. La crescita del potere dell'esercito portò a un forte indebolimento del potere dell'imperatore. Nonostante questo disordine al vertice, l'impero poté continuare a resistere grazie alla solida organizzazione passata. La necessità maggiore di quel periodo divenne difendersi dalla pressione che i barbari esercitavano ai confini dell'impero. Messio Quinto Decio (249-251) – Decio, succeduto a Filippo l’Arabo da lui stesso ucciso, morì insieme al figlio Erennio mentre combattevano contro i Goti. Publio Licinio Valeriano (252-260) – Valeriano scese in Italia con il suo esercito contro Emiliano, che fu abbandonato e ucciso dai suoi soldati. Nel 253 Valeriano associò al trono il proprio figlio Gallieno. Nel 260 l’imperatore Valeriano fu fatto prigioniero mentre conduceva guerra contro i Persiani Sasanidi e morì schiavo, durante la prigionia, poco tempo dopo. Suo figlio Gallieno rimase l’unico imperatore. Gallieno (260-268) – Come tutti gli imperatori del suo tempo, Gallieno era ossessionato dalla preoccupazione per la stabilità del potere imperiale. Per porre fine alle continue ribellioni dei generali di estrazione senatoria, Gallieno tolse ai senatori il comando delle legioni. Fu un atto di enorme rilevanza, che poneva le basi di quella distinzione tra potere civile e funzioni militari che avrebbe caratterizzato l’ultima fase della storia romana. Ma sul momento esso non servì a consolidare il potere di Gallieno: come tanti suoi predecessori, anche questo imperatore cadde per una congiura dei suoi generali. Alla congiura pare non fosse estraneo il suo successore Claudio II il Gotico. Claudio II il Gotico (268-270) – Nel 269 Claudio II il Gotico vinse la guerra contro i Goti, meritandosi il titolo di Gothicus Maximus, Gotico Massimo: per un secolo i Goti non avrebbero più rappresentato un pericolo per lo Stato romano. L’imperatore non riuscì a godere il frutto delle sue vittorie, perché morì di peste quasi subito. Diocleziano Nel 285 d.c. salì al trono Diocleziano che cercò di sanare i problemi dell'impero istituendo una tetrarchia, cioè divise l'impero in 4 prefetture affidate a due Augusti e a due Cesari, emanò l'Editto dei Prezzi (con cui bloccava i costi delle merci in vendita e dei salari), aumentò le tasse e impose ai figli di svolgere l'attività dei padri. (questo perché molti piccoli artigiani e contadini abbandonavano il mestiere in quanto le tasse gravavano troppo sulle loro tasche e impedivano di ricavare un buon guadagno dal lavoro). A livello religioso non riuscì a opporsi alla diffusione del cristianesimo pur utilizzando metodi violenti. Domizio Aureliano (270-275) – In particolare, Aureliano mise fine ai regni autonomi delle Gallie e di Palmira, città della Siria, formatisi in seguito alle rivolte militari che caratterizzarono l’epoca della cosiddetta “anarchia militare” e ottenne importanti vittorie sulle popolazioni germaniche che si erano spinte con le loro incursioni anche in Italia. Tra il 271 e il 273 fece circondare Roma da un’imponente cerchia muraria, per difenderla dai barbari (le Mura Aureliane). Aureliano fu stroncato da una congiura ordita da alcuni suoi ufficiali mentre organizzava una spedizione contro i Persiani. Costantino Alla morte di Diocleziano sale Costantino che, comprendendo bene l'impossibilità di arginare l'importanza che il cristianesimo aveva ocoparmai raggiunto, emana l'Editto di Milano (313 d.c.) con cui concedeva la libertà di culto. Inoltre, trasferisce la capitale dell'impero a Bisanzio che prese il nome di Costantinopoli (l'odierna Istanbul, in Turchia). Il concilio di Nicea fu un'assemblea di tutti i vescovi della Chiesa cattolica tenutasi nel 325 d.C. presso Nicomedia. Il concilio si tenne per discutere se Cristo fosse realmente il figlio di Dio o semplicemente un intermediario tra Dio e gli uomini. Costantino, durante il concilio di Nicea, sostenne che Dio Padre e Gesù fossero della stessa sostanza e, di conseguenza, erano entrambi divini. . Con il concilio di Nicea iniziava il cesaropapismo. Il termine cesaropapismo nasce dall'unione delle parole Cesare e papa e sta ad indicare l'intromissione del potere politico in materia religiosa, anche nelle questioni più squisitamente teologiche. Se da una parte esso dimostrava come ormai il cristianesimo faceva parte della vita dello Stato, dall'altra permetteva all'imperatore di decidere su questioni come l'autonomia dei vescovi. Teodosio Nel 380 l'imperatore Teodosio proclamò il cristianesimo la religione ufficiale dell'impero e proibì i culti pagani. stabilì che i suoi due figli governassero ognuno su una parte dell’Impero Romano. Quindi, dopo la morte di Teodosio l'impero fu nuovamente diviso in impero d'Oriente e impero d'Occidente: questa volta la divisione fu definitiva. L’Impero Romano d'Oriente era ricco, ben organizzato e destinato a resistere ancora per molto tempo. La sua capitale era Costantinopoli. L’Impero Romano d'Occidente, invece, era ormai in piena fase di decadenza: povero, disorganizzato, fortemente indebolito. La sua capitale fu spostata a Ravenna che fu ritenuta più sicura rispetto a Roma e a Milano. Ravenna, infatti era circondata da paludi ed aveva un porto dal quale potevano, in caso di necessità, giungere degli aiuti. Di grande importanza furono le invasioni barbariche subito in questo periodo dall’Impero Romano. Dapprima invasero l'impero i germani , ma ben più devastante fu l'invasione degli unni. Gli Unni erano una popolazione di stirpe mongolica formata da cavalieri nomadi che vivevano nelle steppe dell'Asia centrale. A guidare gli Unni c'era Attila, uomo estremamente violento, denominato per questa ragione flagello di dio. Egli era però anche un validissimo condottiero. Attila era riuscito a conquistare un territorio estremamente vasto che comprendeva tutta la Russia meridionale e il bacino del Danubio. Aveva sottomesso molte popolazioni germaniche, mentre altre erano fuggite invadendo l’Impero Romano. Gli Unni erano organizzati in tribù che a loro volta si dividevano in clan costituiti da gruppi di famiglie. Erano guerrieri molto abili e ottimi cavalieri. Avevano un arco piuttosto piccolo che usavano con estrema precisione e riuscivano a tirare anche mentre cavalcavano con il corpo rivolto all'indietro. Le loro regole erano molto severe: se qualcuno tra loro avesse commesso un furto o un altro atto violento sarebbe stato punito con la morte. Nel 451 gli Unni varcarono il Reno con l'intenzione di conquistare la Gallia. Essi portarono ovunque morte e devastazione. Durante il loro cammino verso la Gallia, presso i Campi Catalanici, Attila fu fermato dal generale romano Ezio che era riuscito a radunare un esercito abbastanza numeroso formato soprattutto da Germani. La mossa successiva di Attila fu quella di dirigersi verso l'Italia dove l'esercito romano era poco numeroso e, di conseguenza, era facilmente battibile.
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