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La nascita della Repubblica Romana: Consolato, Senato e Collegi Sacerdotali, Sintesi del corso di Storia Romana

La fine della monarchia romana e l'istituzione del Consolato, il Senato e altri collegi sacerdotali. Gli autori Dionigi, Livio e Polibio forniscono dettagli sulla divisione della società romana in classi, il ruolo del Senato nella vita pubblica e privata, e la consultazione di oracoli sibillini durante le lotte civili e le guerre. una visione importante della struttura politica e religiosa della Repubblica Romana.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 31/10/2022

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Scarica La nascita della Repubblica Romana: Consolato, Senato e Collegi Sacerdotali e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi – Parte Seconda 1 1. La nascita della Repubblica 510 a.C.: RIVOLTA DEGLI ARISTOCRATICI CHE PORTA ALLA CADUTA DELLA MONARCHIA  Sesto Tarquinio, figlio dell’ultimo re etrusco, respinto dall’aristocratica Lucrezia, la violenta, e lei prima di suicidarsi racconta il misfatto al padre, al marito e ai suoi amici, Bruto e Publio Valerio. Da qui si scatena la rivolta che porta alla caduta della monarchia senza resistenza da parte del re etrusco (Tarquinio il Superbo) impegnato in una campagna militare. 509 a.C.: I poteri del re (Tarquinio il superbo) passano nelle mani di due Magistrati eletti dal popolo (i Consoli), tra cui lo stesso Bruto. I ritrovamenti archeologici danno solo in misura limitata elementi di riscontro per tentare di ricostruire con esattezza i fatti di questo periodo. Gli storici hanno dunque dovuto basarsi sui dati della tradizione fornite dai Fasti e dai Fasti Capitolini. I Fasti sono le liste dei magistrati della Repubblica che davano il nome all’anno in corso, sono giunti a noi attraverso la tradizione letteraria di Livio e Diodoro Siculo (o anche Dionigi) Fasti Capitolini sono documenti epigrafici, conservati appunto nel tempio capitolino, dove vi sono sia i nomi dei magistrati sia gli avvenimenti che si succedevano giorno per giorno Il ruolo egemone che ebbe un ristretto gruppo di aristocratici nella cacciata dei Tarquini e il dominio che il patriziato esercitò sulla prima parte della Repubblica, inducono a pensare che la fine della monarchia sia da attribuire ad una vera e propria “Rivoluzione” del patriziato romano. Alcuni elementi lasciano però supporre che alla cacciata del Superbo non succedette immediatamente la Repubblica, ma un breve e confuso periodo in cui Roma fu in balìa di re e condottieri (Porsenna, Mastarna). [Dionigi, Storia di Roma arcaica] Bruto e gli altri aristocratici decisero che i Tarquini, e tutti i loro discendenti, sarebbero stati esiliati da tutti i territori di Roma e soggetti ad essa; si è deciso di non instaurare più una monarchia, ma i poteri sarebbero stati affidati a due magistrati eletti, per un periodo di un anno, dai comizi, e che si sarebbe votato per centurie. Tutti dovevano essere divisi tra fratrie e il diritto di voto era segno della nuova libertà. Dopodiché indicò Sp. Lucrezio come interrè per organizzare i comizi, e tutti si riunirono nel campo per i comizi elettorali; lo stesso Bruto e Collatino furono scelti come magistrati e il popolo, chiamato a votare per centurie, confermò l’assegnazione delle cariche. Per ciò che riguarda la datazione della nascita della Repubblica, vi è il sospetto che tale data fu alterata per creare un parallelismo con la più famosa Atene. Sembra che in realtà la nascita della Repubblica sia da datare intorno al 470/450 a.C., mentre altri inducono a ritenere che la datazione tradizionale non sia lontana da quella reale (seppur non esatta nell’anno). A favore della datazione tradizionale vi è una cerimonia particolare: [Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione] una legge scritta in caratteri arcaici prescriveva che il massimo magistrato della Repubblica dovesse infiggere un chiodo nel tempio di Giove Capitolino, ogni anno alle idi di settembre, ovvero l’anniversario della consacrazione del tempio. Considerando che il tempio fu inaugurato nel primo anno della Repubblica, il numero di chiodi sul tempio ci porta alla datazione del 508 a.C.; a conferma di tale data ci sarebbe anche la fonte di [Plinio il Vecchio, Storia Naturale] nella quale si afferma che Flavio aveva fatto voto di erigere un tempio alla Concordia se fosse riuscito a ristabilire gli ordini con il popolo; lo fece costruire con le ammende inflitte agli usurai e fece incidere su una tavoletta di Bronzo che quell’edicola era stata costruita 204 anni dopo la dedica del tempio del Campidoglio (tempio di Giove). Nel 509 a.C. viene instaurato il Consolato, i poteri del re furono affidati a due consules, (Livio li chiama praetores) massimi magistrati della Repubblica eletti dai comizi centuriati; a essi spettava il comando dell’esercito, il mantenimento dell’ordine nella città, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, la cura del censimento, il potere di convocare il senato e le assemblee popolari e il controllo degli auspici (interpretare la volontà degli dei). L’annualità (carica annuale), la collegialità (avendo lo stesso potere, un magistrato poteva opporsi alle azioni dell’altro se considerate dannose per lo Stato) e la provocatio ad populum (potere del popolo di appellarsi alle condanne inflitte La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi – Parte Seconda 2 dal popolo), limitò fortemente il potere dei consoli anche se, secondo Polibio, questi magistrati costituivano una componente quasi monarchica. L’esistenza di due consules viene messa in dubbio e si pensa che fino al primo Decemvirato vi fosse solo un praetor maximus proprio perché solo egli affiggeva il chiodo al tempio di Giove Capitolino, quindi fu solo in seguito che venne istituita la figura di due consul. Le crescenti esigenze dello Stato romano indussero alla creazione di nuove magistrature, anch’esse caratterizzate dall’annualità e dalla collegialità:  Questori: figure risalenti al periodo regio o al primo anno della Repubblica; assistevano i due consoli nelle attività finanziarie; in un primo tempo probabilmente venivano designati a discrezione dei consoli, in seguito la carica divenne elettiva, quindi affidata al popolo; [Tacito, Annali] i primi questori eletti avevano la funzione di accompagnare le spedizioni armate; in seguito all’accrescimento degli affari pubblici ne furono aggiunti due, e con l’aggiungersi delle imposte delle provincie il numero fu raddoppiato.  Quaestores parricidii: incaricati di istruire i processi per delitti di sangue  Duoviri perduellionis: reato di alto tradimento  Censori: Compito di tenere il censimento a partire dal 443 a.C. (prima spettava ai consoli); in seguito il loro potere si estese fino alla cura morum (intervenire sulla condotta morale dei cittadini nella vita pubblica e privata); eletti ogni 5 anni, la carica durava 18 mesi anziché un anno (entro 18 mesi completavano i loro compiti) [Cicerone, Le Leggi] devono tenere il censimento, occuparsi delle vie, acquedotti, tesoro e rendite dello stato; devono ripartire il popolo in tribù secondo le loro ricchezze e famiglie; coloro che si macchiano di azioni vergognose non devono rimanere in senato; devono essere eletti ogni 5 anni e il loro potere deve essere sempre in vigore. In caso di necessità i poteri della Repubblica potevano essere affidati ad un dittatore: il dictator non veniva eletto da un’assemblea popolare, ma nominato da un console, da un pretore o da un interrex su istruzione del senato. Il dittatore non era affiancato da colleghi con eguali poteri, bensì da un magister equitum (comandante della cavalleria) da lui nominato e a lui subordinato. Non ci si poteva opporre alle risoluzioni intraprese dal dittatore, e proprio per questi poteri supremi la durata della sua carica fu limitata ad un massimo di sei mesi, anche se ci si aspettava che egli stesso si sollevasse dalla carica quando le crisi sarebbero state placate. Il titolo originario di magister populi (comandante dell’esercito) dimostra che questo magistrato veniva nominato soprattutto per fronteggiare crisi militari. [Digesto] viste le continue guerre, a volte occorreva eleggere un dittatore capace di mettere ordine; poiché tale magistratura aveva pieni poteri, non era lecito detenerla per oltre 6 mesi. Per quanto riguarda invece le competenze religiose, queste non furono trasferite ai consoli ma alla nuova figura del rex sacrorum, che non poteva rivestire cariche di natura politica. Ben presto tale figura fu affiancata da altri sacerdozi di maggior peso politico: i pontefici e gli àuguri. A Roma non è possibile tracciare una distinzione netta tra cariche politiche e massime cariche religiose, in quanto la stessa persona poteva ricoprire il ruolo di una magistratura e un sacerdozio, ad eccezione del rex sacrorum e dei flamini (personificazione terrena del dio stesso), di cui tre maggiori rappresentavano Giove, Marte e Quirino, e dieci flamini minori che rappresentavano altrettante divinità. I tre più importanti collegi religiosi avevano poteri che coinvolgevano direttamente la politica furono:  Collegio dei pontefici: guidato dalla massima autorità religiosa dello Stato, il pontefice massimo, al quale spettava la nomina dei tre flamini maggiori, aveva il controllo sulle materie non riguardanti la sfera d’azione degli altri collegi sacerdotali, sulla tradizione e l’interpretazione delle norme giuridiche e quindi sul calendario. [Dionigi, Storia di Roma arcaica] sono detti pontefices; giudicano tutte le cause religiose di tutti i cittadini e magistrati, interpretano la dottrina ai privati ignoranti in materia. Quando uno di loro muore, viene scelto un altro da loro stessi e non dal popolo, tra quelli che sembra essere il più adatto La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi – Parte Seconda 5 Legge Ortensia del 287 a.C., la quale stabilì che i plebisciti votati dall’assemblea della plebe avessero valore per tutta la cittadinanza; da qui i comizi tributi e l’assemblea della plebe avevano uguali poteri e uguale sistema di voto per tribù. [Aulo Gellio, Notti attiche]  Istituzione dei tribuni della plebe, rappresentanti ed esecutori della volontà dell’assemblea:  Diritto di venire in aiuto di un cittadino contro l’azione di un magistrato (ius auxilii) dal quale derivò lo ius intercessionis, ovvero il diritto di veto contro un magistrato, qualora il provvedimento fosse ritenuto a discapito della plebe  L’inviolabilità personale (sacrosanctitas)  gli atti di violenza contro i rappresentanti della plebe sarebbero stati condannati con la condanna a morte e la confisca delle proprietà a favore della plebe (sacer)  Il potere di convocare e presiedere l’assemblea della plebe e di sottoporre ad essa le proprie proposte (ius agendi cum plebe).  Edili plebei  altri due rappresentati che inizialmente erano archivisti e tesorieri della plebe, e in seguito si occuparono della cura dei mercati, approvvigionamenti, strade, templi ed edifici pubblici La prima secessione portò ad un risultato essenzialmente politico: il riconoscimento da parte dello Stato a guida patrizia dell’organizzazione interna della plebe, con la sua assemblea e i suoi rappresentanti. Nel 486 a.C. Spurio Cassio tentò di far approvare una legge per la ridistribuzione delle terre (anticipando la riforma agraria dei Gracchi), ma viene accusato di tirannide ed eliminato. Questo fallimento ci fa capire come la plebe non intendesse giungere ad una rivoluzione dell’assetto economico e istituzionale dello Stato, ma aspirava ad una riforma dall’interno dell’ordinamento vigente, che riservasse il giusto peso a tutte le componenti della cittadinanza. Nel 451 a.C.: Viene nominata una commissione di 10 persone, che prese il nome di Decemvirato, esclusivamente scelti tra il patriziato e incaricati di stendere un codice giuridico. Nel primo anno di attività i decemviri compilarono un complesso di norme che furono poi esposte nel Foro su 10 tavole di legno. Tuttavia erano rimasti alcuni punti da chiarire, così nel 450 a.C. fu convocato un secondo decemvirato, nel quale sarebbe stata rappresentata anche la plebe. I decemviri avrebbero completato la loro opera, portando a 12 le tavole di leggi, chiamate appunto  Leggi delle XII tavole. Tra le disposizioni prese vi fu quella del divieto, contestatissimo, di matrimoni misti tra patrizi e plebei. Le insidie del patrizio Appio Claudio a Virginia, figlia di un centurione, portarono ad una seconda secessione attraverso la quale i decemviri furono cacciati e vennero ripristinati i poteri dei magistrati e dei consoli, sospese nel primo Decemvirato. Nel 445 a.C. viene abrogata la legge che proibisce i matrimoni tra patrizi e plebei, grazie al plebiscito Canuleio, che assunse forza di legge per l’intera cittadinanza. Questa legge ebbe come conseguenza di rimuovere la principale obiezione che il patriziato aveva opposto all’accesso dei plebei al consolato: solo i patrizi infatti si ritenevano titolari del diritto di prendere auspici per accettare la volontà degli dei. Da ora in avanti diveniva pertanto difficile escludere un plebeo dagli auspicia, quindi dal consolato. Ma dal 444 al 367 a.C., il patriziato ricorse ad un espediente: il senato decideva di anno in anno se alla testa dello Stato debbano esserci due consoli (provenienti esclusivamente dal patriziato) con diritto di prendere gli auspici, o un certo numero di tribuni militari, che potevano anche essere plebei, ma non avevano il diritto di prender auspici. Il tribunato militare doveva già essere, nel V secolo, accessibile ai plebei: tuttavia i patrizi, fino al 401 a.C., riuscirono a far eleggere tribuni provenienti solo dal loro ordine, reso possibile poiché fino a quel momento, i due consoli furono affiancati dai tribuni militum, dotati di pari poteri dei consoli (ad eccezione degli auspicia). In ogni caso nessuna riforma istituzionale riuscì a porre rimedio alle difficoltà economiche della plebe povera. Un tentativo temporaneo per fronteggiare la povertà fu offerto dal ricco plebeo Spurio Melio il quale, nel 440 a.C., donò un gran quantitativo di grano ai poveri, ma ciò venne visto come una misura per ottenere la tirannide e fu giustiziato sommariamente (come era accaduto in passato con Spurio Cassio). Nel 387 a.C. il territorio di Veio e Capena viene suddiviso in piccoli appezzamenti e distribuito ai cittadini romani per fronteggiare la fame; vennero così create 4 nuove tribù territoriali. Ma il provvedimento non fu sufficiente ad alleviare la crisi economica. Verso il 370 a.C. i tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano presentarono un pacchetto di proposte per fronteggiare la crisi. I patrizi resistettero, mentre i tribuni non mostrarono alcuna intenzione di cedere. La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi – Parte Seconda 6 Dopo una fase di anarchia politica fu chiamato alla dittatura Marco Furio Camillo (367 a.C.) per risolvere la situazione, così le proposte di Licinio e Sesto divennero leggi, Leges Liciniae Sextiae, nelle quali si risolse:  Il problema dei debiti  le somme ancora da saldare dovevano essere dovute in 3 rate annuali  La distribuzione delle terre statali  limitazione della proprietà statale occupata da un privato  L’accesso dei plebei al consolato  uno dei due consoli doveva essere plebeo Questo compromesso raggiunto fornì l’occasione per precisare il quadro delle magistrature repubblicane; nel 366 a.C. furono istituite due nuove cariche: - Pretore  amministrava la giustizia tra i cittadini romani e poteva essere messo alla guida di un esercito, ma i suoi poteri erano subordinati a quelli dei consoli; nel 242 a.C. fu affiancato dal praetor peregrinus, il cui compito era quello di risolvere le controversie tra cittadini romani e quelli stranieri. - Due edili curuli  compito di organizzare i Ludi maximi (chiamati così per lo scranno sul quale sedevano (sella curulis, che li diversificava dagli edili della plebe); scelti ad anni alterni tra patrizi e plebei. Le leggi Licinie Seste del 367 a.C. segnano la fine della fase più acuta della contrapposizione tra patrizi e plebei, che non si arrestò del tutto.; infatti fu solo dal 342 a.C. che vediamo comparire nei Fasti un console patrizio e uno plebeo; e nel 172 a.C. entrambi i consoli furono plebei. Nei decenni successivi i plebei ebbero progressivamente accesso a tutte le cariche dello Stato:  356 a.C.  primo dittatore plebeo, Caio Marcio Rutilo, che divenne nel 351 il primo plebeo a rivestire la censura  339 a.C.  il dittatore plebeo Quinto Publilio Filone, attraverso una legge, tolse al senato il diritto di veto  300 a.C.  il plebiscito Ogulgino consentì ai plebei di entrare nei collegi sacerdotali dei pontefici e degli àuguri  Il diritto delle magistrature comportò il conseguente ingresso al senato  Nel 326 a.C. (secondo Livio) o nel 313 a.C (secondo Varrone), la legge Petelia aboliva la servitù per debiti Ma la vera soluzione ai problemi economici arrivò con le conquiste, le quali misero a disposizione vaste terre assegnate individualmente o sfruttate per creare colonie. Nel 312-311 a.C. Appio Claudio Cieco tenta di accelerare il processo di riforma includendo nella lista dei senatori persone che non avevano rivestito alcuna magistratura, e tentò di favorire la plebe urbana anche nelle altre tribù. Ma entrambe le riforme caddero. Ma un provvedimento che risale allo stesso periodo, anche se non è certo che sia stato emanato da Appio Claudio Cieco, è quello di calcolare il censo dei cittadini non solo in base dei terreni e del bestiame posseduti, ma anche sul capitale mobile, il metallo prezioso, consentendo così ad artigiani e commercianti il riconoscimento del proprio censo economico e quindi il loro conseguente peso politico. Ad Appio Claudio e al suo cliente Flavio è da attribuire lo Ius civile Flavianum (le formule giuridiche da impiegare nei processi) e il calendario dei giorni Fasti (durante i quali si poteva svolgere l’attività giudiziaria) e Nefasti (dove ogni attività pubblica era interdetta). [Varrone, La lingua latina] I giorni fasti (così chiamati perché vi è il re dei sacrifici sacrifica davanti l’assemblea del popolo riunita nel Comizio) erano quei giorni in cui i pretori potevano pronunciare sentenze senza peccare; i giorni comiziali erano i giorni in cui potevano essere riuniti i Comizi per partecipare alle votazioni; i giorni nefasti erano i giorni in cui non si potevano adoperare le parole “do, giudico, aggiudico”, e siccome un pretore nelle sentenze le adoperava, queste non potevano svolgersi; i giorni intercisi invece erano quei giorni in cui la mattina e la sera erano nefasti e diventavano fasti nell’intervallo per il sacrificio. È da attribuire inoltre la costruzione di due importantissime opere pubbliche: il primo acquedotto della città e la via Appia (che congiungeva Roma a Capua) rivelatasi fondamentale nella seconda guerra sannitica. Con le leggi Licinie Sestie e le conquiste della plebe tra la fine del IV secolo e l’inizio del III a.C, si chiuse l’età del dominio esclusivo dei patrizi sullo Stato, e si formò una nuova aristocrazia, la nobilitas, formata dalle famiglie plebee più ricche e da quelle patrizie che si erano meglio adattate alla nuova situazione. Questa aristocrazia si mostrò non meno gelosa dei propri privilegi del vecchio patriziato. La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi – Parte Seconda 7 La nobilitas divenne così esclusiva, che coloro ne entrarono a far parte pur non discendendo da antenati facoltosi, presero il nome di homines novi, che dovevano aver sostenuto 10 anni nella cavalleria, quindi far parte delle 18 centurie, inoltre dovevano avere un censo non più di 100mila assi, ma di 1milione di assi, quindi dovevano essere per forza uomini benestanti; il denaro da solo non bastava in ogni caso, perché dovevano avere anche l’appoggio di un nobile influente o delle clientele ereditate dal padre. 3. La conquista dell’Italia La pace creatasi dopo l’accordo tra romani e cartaginesi risalente al primo anno della Repubblica, nel quale si affermava che i cartaginesi non avrebbero occupato le terre sotto il controllo di Roma, fu messa a dura prova quando buona parte delle città latine volle staccarsi dall’egemonia romana nel momento delle crisi interne di Roma. Le città latine così, si strinsero in una lega in ricordo di quell’originaria unità etnica. I membri della lega latina infatti condividevano alcuni diritti:  Ius connubii: diritto di contrarre matrimoni legittimi con membri di altre città latine  Ius commercii: diritto di siglare accordi commerciali fra cittadini di comunità diverse  Ius migrationis: un latino poteva assumere pieni diritti civili in una comunità diversa dalla sua semplicemente prendendone residenza La lega diede buona prova sul campo di battaglia, ma quando attaccò Roma per rimettere al trono Tarquinio il Superbo, questa fu duramente sconfitta nel 496 a.C. Da questo si giunge alla stipula del Trattato Cassiano che prevedeva un accordo di pace e aiuto reciproco; inoltre, nelle campagne di guerra comuni, il bottino sarebbe stato equamente suddiviso. Tra gli strumenti grazie ai quali si consolidarono le vittorie vi furono le colonie; qui andavano ad abitare sia cittadini romani, sia quelli provenienti da altre città latine, e spesso inglobavano anche cittadini già stanziati nel territorio. Nel 486 a.C. Roma completò il suo sistema di alleanze stringendo un accordo con gli Ernici con gli stessi privilegi previsti dal trattato Cassiano; accordi tra Roma, Lega Latina ed Ernici che si rivelarono preziosi per contrastare i seguenti attacchi di Sabini, Equi e Volsci. Infatti nel V secolo a.C. si susseguirono una serie di interminabili conflitti tra Roma e le popolazioni stanziate sugli appennini (Volsci, Equi e Sabini). Spesso l’esito fu favorevole a Roma e ai suoi alleati, ma mai si giunse ad una svolta definitiva. I Volsci nel giro di pochi anni sottrassero a Roma tutta la parte meridionale del Lazio, saldandosi all’avanzata degli Equi che conquistarono la regione dei monti Prenestini e due importanti città latine (Tivoli e Preneste); ma nel 431 a.C. l’alleanza tra Roma, Ernici e Lega latina, riuscì ad arrestare l’avanzata. A nord invece avanzavano i Sabini, i quali furono arrestati nel 460 a.C. solo grazie all’intervento di un esercito di Tuscolo. Ma Roma dovette fronteggiare da sola lo scontro con Veio, maggiormente organizzato delle tribù appenniniche, e rivale di Roma nel controllo delle vie di comunicazione lungo il basso corso del Tevere. Il contrasto con Veio attraversò tutto il V sec. a.C. e sfociò in tre guerre:  I° Guerra  483-474 a.C.: Vittoria dei Veienti. Un esercito di circa 300 soldati romani venne annientato sul fiume Cremera, e a Veio fu riconosciuta la conquista su Fidene (riva latina del Tevere)  II° Guerra  437‐426 a.C.: I Romani vendicarono la sconfitta. Aulio Cornelio Cosso uccise il tiranno di Veio, Lars Tolumnio, riconquistando e distruggendo Fidene.  III° Guerra  405‐396 a.C.: I Romani assediarono per 10 anni le mura di Veio. Alla fine la città fu presa e distrutta. La vittoria fruttò la conquista di un ampio e fertile territorio e la presa di Veio segnò una svolta importante per Roma: il lungo assedio, portando alla prolungata assenza dai campi, rese necessario uno stipendium per i soldati, e un tributum, una tassa per far fronte alle spese militari che gravava proporzionalmente sulle classi di ordinamento censitario. La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi – Parte Seconda 1 0 Pirro non seppe coglierei frutti del suo successo: il suo tentativo di unirsi agli Etruschi e provocare una ribellione nell’Italia centrale fallì, e il sovrano greco si vide costretto a intavolare trattative di pace. Le richieste di Pirro furono respinte con l’intervento di Appio Claudio Cieco; allora lui mosse verso l’Apulia settentrionale e sconfisse ancora l’esercito romano nel 279 a.C. Pirro aveva così vinto due grandi battaglie, ma non riusciva a concludere la guerra, mentre i rapporti con i suoi alleati Italici si andava deteriorando a causa delle continue richieste di denaro per fronteggiare le perdite. Per questo motivo accolse la richiesta d’aiuto che gli arrivò da Siracusa, in perenne lotta coi Cartaginesi e non più in grado di portare avanti la guerra da sola; decise di recarsi in Sicilia con parte del suo esercito, lasciando una forte guarnigione a Taranto. Ma nel 279 a.C. Roma e Cartagine avevano stretto un’alleanza difensiva contro il comune nemico. In Sicilia Pirro inizialmente sconfisse ripetutamente i Cartaginesi, chiudendoli a Lilibeo. L’assedio a questa fortezza si rivelò infruttuoso considerando che potevano rifornirsi via mare, e Pirro cercò di sbloccare la situazione invadendo l’Africa, ma il progetto fallì. Nel frattempo, approfittando dell’assenza del re epirota i Romani conquistarono posizioni su posizioni, e Pirro decise di abbandonare la Sicilia e tornare in Italia. Nel 275 a.C. si ebbe lo scontro decisivo con il console Manio Curio Dentato a Benevento. Qui Pirro, sconfitto duramente, decise di tornare in Epiro col suo esercito. Morì nel 272 a.C., anno in cui anche Taranto si arrese, entrando nel novero dei socii di Roma. 4. La conquista del Mediterraneo Nel 264 a.C. Roma controllava tutta l’Italia peninsulare, fino allo stretto di Messina. In quest’area entrò per la prima volta in collisione con la vecchia alleata Cartagine. La situazione precipitò a causa dei Mamertini, mercenari di origine Italica che si erano impadroniti di Messina, iniziando a saccheggiare le città vicine. Questa situazione provocò la reazione di Siracusa, che inflisse ai Mamertini una durissima sconfitta e avanzò verso Messina. I Mamertini a quel punto accettarono l’aiuto della flotta Cartaginese che stazionava nelle vicinanze. I Siracusani furono sconfitti, ma i Mamertini ben presto si stancarono della tutela di Cartagine e si rivolsero a Roma. [Polibio, Storie] I Cartaginesi sono più preparati per le guerre sul mare, mentre i romani lo erano maggiormente per via terra; altra differenza tra le due parti era che, mentre i cartaginesi potevano contare solo su mercenari, l’esercito romano era costituito da uomini, alleati e derivanti dalle colonie, che lottavano per la salvezza delle loro case e dei loro figli, quindi con uno spirito in più. Inoltre, Polibio afferma che non esisteva nessun trattato di Filino dove si diceva che i romani dovevano stare lontani dalla Sicilia e i Cartaginesi dall’Italia. A Roma iniziò un serrato dibattito a favore o contro l’intervento a Messina. Se da un lato si considerava il fatto che Cartagine era al centro di un vasto impero e poteva introdurre grandi eserciti e potentissime flotte, dall’altro il non intervento avrebbe significato lasciare a Cartagine il controllo della zona strategica dello stretto, quindi della ricchissima Sicilia. Così l’assemblea del popolo, cui il senato aveva demandato la questione, votò a favore dell’intervento. Scoppiò così la Prima Guerra Punica (264‐241 a.C.). I primi anni di guerra furono decisivi: i Romani riuscirono a respingere da Messina i Cartaginesi con i nuovi alleati Siracusani, i quali però nel 263 a.C. firmarono una pace con i Romani e si schierarono dalla loro parte. Anche dopo questa sconfitta Cartagine conservava un saldo controllo su molte località costiere; così Roma decise per la prima volta di formare una flotta navale [Polibio], e nel 260 a.C. ottenne una sorprendente vittoria a Milazzo. Dopo tale vittoria a Roma si pensò che fosse giunto il momento di attaccare direttamente i possedimenti africani di Cartagine, così nel 256 a.C. inizia l’invasione, con risultati favorevoli al console Marco Attilio Regolo, che tuttavia non seppe sfruttare al meglio i suoi successi, non seppe attirare altri alleati ostili a Cartagine e fu duramente sconfitto nel 255 a.C. dal mercenario spartano Santippo. Nel 249 a.C., a seguito della sconfitta nella battaglia navale di Trapani, Roma era ormai priva di forze navali, ma nemmeno Cartagine seppe approfittare dei suoi vantaggi. Negli anni a seguire Roma si riprese e rimise in piedi una nuova flotta chiedendo ai cittadini più facoltosi un prestito di guerra che sarebbe stato restituito in caso di vittoria. Nel 241 a.C. i romani, a capo della nuova flotta, sconfissero definitivamente Cartagine a largo delle isole Egadi, stipulando un trattato di pace che prevedeva un indennizzo di guerra e lo sgombero della Sicilia e delle isole Lipari ed Egadi [Polibio]. La Sicilia divenne così la prima provincia di Roma (anche se non interamente), provincia non più intesa come sfera di competenza di un magistrato, bensì come territorio soggetto all’autorità di un magistrato romano. Le regioni che La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi – Parte Seconda 1 1 avevano vissuto sotto i cartaginesi dovettero annualmente cedere a Roma un decimo della produzione di cereali; la giustizia, l’ordine interno e la difesa dagli attacchi vennero affidati a uno dei due nuovi magistrati (l’altro andava in Sardegna, da poco sotto il controllo di Roma) eletti a partire dal 227 a.C., che affiancavano i pretori urbani e peregrini di Roma. [Cicerone, Seconda orazione contro Verre] La differenza tra la Sicilia e le altre provincie stava nel pagamento di un tributo detto stipendium; le città siciliane stavano col popolo romano nello stesso rapporto di sudditanza, e solo le città federate di Messina e Taormina non pagavano tasse a Roma. Il periodo tra la fine della prima guerra punica (241 a.C.) e lo scoppio della seconda (218 a.C.) vide il consolidamento delle posizioni dei due avversari, Roma e Cartagine. Cartagine dovette affrontare la rivolta dei mercenari (241‐237 a.C.) in seguito al loro mancato pagamento, dovuto alle sconfitte di guerra. Soffocata a caro prezzo la rivolta da Amilcare Barca, Cartagine organizzò una spedizione per riprendersi la Sardegna, anch’essa in mano a mercenari rivoltosi; lì i cartaginesi dovettero scontrarsi con i romani chiamati in aiuto dai mercenari, ma i cartaginesi, non essendo pronti a un altro conflitto, furono costretti a cedere la Sardegna e la Corsica, che divennero la seconda provincia romana (237 a.C.). Nel frattempo Roma interveniva anche sul versante Adriatico, in cui il Regno di Illiria, approfittando del declino dell’Epiro, aveva esteso la sua influenza verso sud. Le scorrerie dei pirati Illiri arrecavano danni considerevoli alle città greche e ai mercanti Italici che frequentavano i loro porti. Davanti a rifiuto della regina degli Illiri, Teuta, di far cessare le azioni dei pirati, Roma le dichiarò guerra, sconfiggendola rapidamente  229 a.C., I Guerra Illirica. Nel 219 a.C., II Guerra Illirica: Roma intervenne nuovamente in Illiria dieci anni dopo, a seguito degli atti ostili intrapresi da Demetrio di Faro, di cui si temeva l’alleanza col ben più potente re di Macedonia Filippo V. Anche la seconda guerra illirica si risolse velocemente a favore di Roma, e Demetrio si rifugiò presso Filippo V. Tra il 225 e il 222 a.C. vi furono le Guerre Galliche: le due principali popolazioni della Gallia Cisalpina, Boi e Insubri, aiutati dai Gesati, riuscirono a penetrare fino in Etruria, ma nel 225 a.C. furono annientati a Telamone. A questo punto Roma si rese conto che la conquista della pianura Padana era necessaria per tenere a distanza le continue incursioni dei Galli. La breve e vittoriosa campagna fu coronata dal successo del 222 a.C. sugli Insubri a Casteggio, e dalla conquista del loro principale centro, Mediolanum (Milano). Fondamentale inoltre si rivelò la costruzione di una rete stradale: Via Flaminia (220 a.C. Roma‐Rimini), Via Emilia (187 a.C. Rimini-Piacenza) e la via Postumia (148 a.C. Genova-Aquileia). Cartagine cercò, mentre Roma era impegnata nell’Adriatico, di costruire una nuova base perla sua potenza in Spagna: le operazioni furono tutte condotte dalla famiglia Barca (prima Amilcare, poi il genero Asdrubale, in seguito Annibale, figlio di Amilcare). L’avanzata dei Barca allarmò la città di Marsiglia, alleata di Roma che avevi interessi nella Spagna settentrionale. Nel 226 a.C. venne stipulato tra Roma e Cartagine un trattato secondo il quale gli eserciti Cartaginesi non potevano oltrepassare a nord il fiume Ebro. II Guerra Punica  La sconfitta del 241 a.C. e la perdita della Sardegna, aveva creato a Cartagine un forte sentimento di rivincita. [Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione] Si racconta che quando Annibale avesse solo 9 anni, il padre gli fece promettere che quando avesse avuto la possibilità, sarebbe stato nemico del popolo romano; perciò la perdita della Sicilia e della Sardegna gli pesava. [Polibio, Storie] Nonostante Annibale fosse in inferiorità numerica (20000 vs un numero infinito), riuscì a danneggiare l’esercito romano. Nel 218 a.C. Annibale espugna la città di Sagunto, alleata dei Romani, attuando la sua strategia: attaccare Roma nel proprio territorio dividendola dai suoi alleati Italici, in modo tale che non potesse ricevere aiuti. Annibale partì nel 218 a.C. dall’odierna Cartagena e valicò i Pirenei, evitando astutamente lo scontro con l’esercito romano del console Publio Scipione. In seguito raggiunse le Alpi, trovando immediato sostegno dai Boi e dagli Insubri. Il prima scontro si ebbe sul fiume Trebbia, dove Annibale sconfisse sia Scipione che l’altro console Tiberio Sempronio Longo. Nell’anno seguente l’esercito romano venne annientato sul lago Trasimeno, e Quinto Fabio Massimo venne eletto dittatore per affrontare la difficile situazione; egli non affrontò Annibale in battaglie campali, ma la sua tattica impediva ai cartaginesi di rifornirsi dall’Africa o dalla Spagna. La strategia di Fabio Massimo alla lunga avrebbe portato alla vittoria, ma a breve termine significava vedere Annibale devastare l’Italia. Per tale motivo, scaduti i sei mesi di dittatura, Roma passò di nuovo all’attacco, ma subì una dura La Repubblica di Roma dalle origini ai Gracchi – Parte Seconda 1 2 sconfitta nel 216 a.C. a Canne (Publia), dove la strategia di accerchiamento dei cartaginesi, nonostante l’inferiorità numerica, il grande esercito romano. Nel frattempo Annibale si alleò con il nuovo re di Siracusa e con Filippo V di Macedonia; anche Taranto si alleò con Annibale, ma all’interno vi rimase una guarnigione romana che impedì ai cartaginesi di rifornirsi via mare, tornando così alla strategia dell’ex dittatore. Da qui Roma inizia a riprendere terreno, infatti nel 212 a.C. conquistano Siracusa, nella quale non giunsero gli aiuti a causa di un’epidemia. Nel 211 a.C. Capua viene riconquistata. In seguito Roma riesce a bloccare nella I guerra macedonica le azioni di Filippo V, creando una coalizione di stati greci a lui ostili, impedendo così che si congiungesse con Annibale, e stipulando nel 205 a.C. la Pace di Fenice con Filippo V. La svolta decisiva per la guerra si ebbe in Spagna. Publio Scipione e il fratello Cneo raggiunsero la penisola Iberica e riuscirono ad impedire che Annibale ricevesse aiuti, ma furono sconfitti e uccisi nel 211 a.C. I Romani riuscirono comunque a difendere la Spagna settentrionale e nominarono comandante delle truppe il figlio di P. Scipione, detto l’Africano, il quale non aveva un titolo per comandare un esercito, ma contrariamente alle leggi di Roma fu scelto per le proprie qualità, e ne diede prova nel 209 a.C. quando sconfisse il fratello di Annibale, Asdrubale, conquistando la maggiore base cartaginese in Spagna, Nova Carthago; nonostante non riuscì ad impedire il rifornimento delle truppe cartaginesi, nel 207 a.C., con l’intervento congiunto dell’esercito dei due consoli (M. L. Salinatore e Caio Claudio Nerone), annientarono Asdrubale sul fiume Metauro. Nel 205 a.C. Scipione viene eletto console e prepara l’invasione dell’Africa alleandosi col re dei numidi, Massinissa, in rivolta contro Cartagine. 204 a.C. inizia l’invasione dell’Africa, ottenendo la vittoria nei Campi Magni; in questa occasione però Scipione dettò condizioni troppo dure contro Cartagine, la quale non accettò i trattati. La battaglia decisiva arrivò nel 202 a.C. a Zama, dove l’esercito romano sconfisse quello di Annibale, e nel 201 a.C. venne stipulato il Trattato di pace, nel quale era previsto la consegna di tutta la flotta cartaginese e il pagamento di una fortissima indennità; in più doveva rinunciare a tutti i suoi possedimenti fuori dall’Africa, in particolare in Spagna, riconoscere un potente regno ai numidi, e non le fu permesso di dichiarare guerra senza il consenso di Roma. [Livio e Polibio ci raccontano del trattato tra cartaginesi e i macedoni di Filippo V; se i romani avessero voluto stringere amicizia con loro, avrebbero dovuto giurare di restituire i territori a Demetrio e non dovevano dichiarare più guerra] II guerra macedonica, 200‐198 a.C. Causa principale della guerra fu l’attivismo di Filippo V sulle coste dell’Egeo e dell’Asia minore, che lo portò a scontrarsi con il regno di Pergamo e la repubblica di Rodi, le due maggiori potenze in quell’area. Nel 201 a.C. iniziò la guerra e i coalizzati greci capirono subito che non sarebbero riusciti a prevalere da soli; si rivolsero così a Roma, la quale si trovò con posizioni contrastanti: da un lato non volevano rimettersi in guerra dopo solo due anni da quella contro Cartagine, mentre dall’altro vi era l’interesse di appropriarsi delle ricchezze della terra macedone. Così prima di dichiarare guerra decisero di inviare un ultimatum al re, intimandogli di rifondere i danni inflitti agli alleati di Roma e di non attaccare stati greci. Filippo ignorò l’ultimatum, e alla fine del 200 a.C. l’esercito romano sbarcò ad Apollonia. I primi anni passarono senza soluzioni; nel 198 a.C. si ebbe la svolta: il nuovo comandante delle forze romane, Tito Quinzio Flaminio, dopo aver sconfitto Filippo, cominciò le trattative di pace chiedendo la liberazione della Tessaglia, occupata fin dai tempi di Filippo II. La richiesta venne respinta, e tutti gli stati della Grecia si schierarono dalla parte dei “liberatori” romani, stupidi dal carattere di Roma. Verso la fine di quello stesso anno Filippo si decise ad intavolare le trattative di pace, che gli permisero di mantenere il suo regno in Macedonia. L’esercito romano evacuò la Grecia nel 194 a.C. affermando di non volere alcuna supremazia sulla Grecia. [Livio] Prima dei giochi Istmici Filippo doveva ritirare le proprie truppe e consegnarle ai romani, e non avrebbe più dovuto far guerra fuori dalla Macedonia senza il consenso del senato. Guerra Siriaca, 192‐188 a.C. Negli stessi anni in cui Flaminio regolava gli affari della Grecia, Antioco III re di Siria, stava estendendo la sua egemonia sulle città greche della costa occidentale dell’Asia minore e reclamava i possedimenti della costa della Tracia, approfittando della debolezza dell’Egitto e delle difficoltà della Macedonia. L’opposizione di Roma, che chiedeva la cessazione degli attacchi, fu respinta da Antioco. Considerando che Roma si era trattenuta troppo in Grecia contro Sparta, la lega Etolica affermò che i romani non erano liberatori, ma si stava semplicemente attuando un cambio di padrone (da macedone a romano); così nel 192 a.C. invitò Antioco III a liberare la Grecia dai romani, ma con l’esiguo appoggio dell’esercito etolico, il sovrano di Siria l’anno dopo fu duramente sconfitto dai Romani alle Termopili e fu costretto a fuggire in Asia Minore.
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