Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Storia romana - Riassunto dettagliato del manuale Geraci Marcone, Sintesi del corso di Storia Romana

Riassunto degli argomenti del manuale Geraci Marcone, con integrazione delle slides e delle fonti analizzate a lezione.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 21/02/2022

Cecilia.Maselli
Cecilia.Maselli 🇮🇹

4.6

(188)

57 documenti

1 / 136

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Storia romana - Riassunto dettagliato del manuale Geraci Marcone e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! 1 Storia Romana Riassunto del manuale Geraci – Marcone con integrazione delle dispense fornite a lezione. 2 Introduzione La storia di Roma.  21 aprile 753 a.C.  Fondazione di Roma  753- 509 a.C.  Età regia  509- 31 a.C.  Età repubblicana  2 settembre 31 a.C.  Battaglia di Azio  31 a.C.- 476 d.C.  Età imperiale Datazione e cronologia: come si calcolava il tempo.  Età repubblicana: magistrati eponimi (menzione dei due console in carica) o Calendario romano repubblicano: 355 giorni, 12 mesi (inizio 1° marzo), +22/23 giorni (febbraio)+ 5 giorni (mese intercalare) o Fine età repubblicana- inizio età imperiale: ab urbe condita (dalla fondazione della città)  Epoca imperiale: coppia consolare in carica  Dionigi esiguo: datazione d.C. Onomastica romana. 1. Prenomen: L'originario nome personale 2. Nomen: Gentilizio. Designava il gruppo familiare (gens) di appartenenza dell'individuo e veniva trasmesso di padre in figlio 3. Cognomen: spesso derivato da un soprannome individuale, caratteristiche fisiche, mestieri, provenienza Adozione: tria nomina del padre adottivo + secondo cognomen tratto dal gentilizio della famiglia d'origine Donne: solo il gentilizio al femminile Schiavi: unico nome personale Liberti: prenome e gentilizio del padrone + cognome tratto dal loro antico nome di schiavo Il mondo di Roma.  “Uno”, perché ne furono unificanti l'amministrazione, la cittadinanza, l'esercito, il diritto.  “Duplice”, perché questo mondo fu sì romano, ma di certo non esclusivamente latino. Il greco, dal punto di vista linguistico e culturale, rimase sempre il modo di espressione principale, oltre che della Magna Grecia e della Sicilia, di tutta l'area orientale del bacino del Mediterraneo a partire dalla penisola balcanica.  “Molteplice”, perché in questo mondo Roma talvolta compose in unità, ma più spesso lasciò convivere e sopravvivere un mosaico molto vasto di cittadinanze, di particolarità locali, di condizioni politiche, sociale e personali. 5 Roma L’assedio di Troia. Come si racconta nell'Eneide, Enea, figlio della dea Venere, fugge da Troia, presa dagli Achei, con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio. Durante le sue peregrinazioni dopo la caduta di Troia, Enea giunse a Cartagine, dove conobbe la regina Didone. Quando Enea decise di ripartire, Didone, innamorata di lui, e non riuscendo a trattenerlo, giurò che un odio eterno avrebbe contrapposto Cartagine a quella città che Enea e i suoi discendenti avrebbero fondato nel Lazio. La città di Lavinio. Dopo varie peregrinazioni nel Mediterraneo, Enea approdò nel Lazio nel territorio di Laurento. Qui, secondo alcuni, venne accolto da Latino, re degli Aborigeni. Una volta conosciuta la figlia del re, Lavinia, i due giovani si innamorarono perdutamente l'uno dell'altra, sebbene Lavinia fosse stata già promessa in sposa a Turno, re dei Rutuli. Una volta sposati, Enea decise di fondare una città, dandole il nome di Lavinio. La guerra che ne seguì non portò nessuna delle due parti a rallegrarsi. I Rutuli furono vinti e Latino, re alleato di Enea, fu ucciso. La città di Alba Longa. Trent'anni dopo la fondazione di Lavinio, il figlio di Enea, Ascanio, fonda una nuova città: Alba Longa, sulla quale regnarono i suoi discendenti per numerose generazioni (dal XII all'VIII secolo a.C.) come ci racconta Tito Livio. Molto tempo dopo il figlio e legittimo erede del re Proca di Alba Longa, Numitore, viene spodestato dal fratello Amulio, che costringe sua nipote Rea Silvia, figlia di Numitore, a diventare vestale e a fare quindi voto di castità per impedirle di generare un possibile pretendente al trono. Il dio Marte però s'innamora della fanciulla e la rende madre di due gemelli, Romolo e Remo. Il re Amulio, saputo della nascita, ordina l'assassinio dei gemelli per annegamento, ma il servo incaricato non trova il coraggio di compiere tale misfatto e li abbandona sulla riva del fiume Tevere. Sulla fine di Rea Silvia ci sono varie ipotesi, alcune delle quali ritengono che ella sia stata uccisa altre che sia stata liberata. La cesta nella quale i gemelli erano stati adagiati si arenerà presso la palude del Velabro, tra Palatino e Campidoglio, Lì i due vengono trovati e allattati da una lupa che aveva perso i cuccioli ed era stata d'altra parte attirata dal pianto dei gemelli (secondo alcuni la lupa era forse una prostituta, all'epoca le prostitute erano chiamate anche lupae). In quei pressi portava al pascolo il gregge il pastore Faustolo, che trova i gemelli e insieme con la moglie e li cresce come suoi figli. Una volta adulti e conosciuta la propria origine, Romolo e Remo fanno ritorno ad Alba Longa, uccidono Amulio e rimettono sul trono il nonno Numitore. Romolo e Remo, non volendo abitare ad Alba Longa senza potervi regnare finché era in vita il nonno materno, ottengono il permesso di andare a fondare una nuova città, nel luogo dove erano cresciuti. Romolo e Remo. Romolo vuole chiamarla Roma ed edificarla sul Palatino, mentre Remo la vuole chiamare Remora e fondarla sull'Aventino. È lo stesso Livio che riferisce le due più accreditate versioni dei fatti: «Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dèi che proteggevano quei luoghi indicare, interrogati mediante aruspici, chi avrebbe dato il nome alla città e chi vi avrebbe regnato. Per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l'Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi dodici quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re entrambi. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dallo scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette [più probabilmente il pomerium, il solco sacro] e quindi Romolo, al colmo dell'ira, l'avrebbe ucciso aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d'ora in poi, possa morire chiunque osi 6 scavalcare le mie mura». In questo modo Romolo s'impossessò del potere e la città prese il nome del suo fondatore.» Il pomerio. La Fondazione di Roma è un rito estremamente semplice e agricolo: La fondazione di una città, sia latina sia etrusca, seguiva uno scrupoloso e meticoloso insieme di riti. Innanzitutto, si provvedeva a conoscere gli auspici, ovvero i messaggi divini basati sul volo e sul canto degli uccelli, la cui interpretazione comunicava le volontà degli dèi; tale compito spettava a un sacerdote, l'àugure. In secondo luogo, si scavava una fossa circolare nel punto ove le due strade principali si incontravano formando un angolo retto: questo fossato era chiamato mundus. Al suo interno, in un rito dall'alto contenuto simbolico, venivano interrati simboli religiosi che avrebbero dovuto assicurare alla futura città benessere, prosperità, pace e giustizia. Solo dopo, per mezzo d'un aratro, veniva tracciato un solco di confine che delimitava il territorio della città. Poiché non era possibile costruire subito le mura di difesa sul primo tracciato, veniva realizzato un secondo solco, parallelo al primo. La striscia di terra compresa tra il primo e il secondo era il pomerium vero e proprio. In questo territorio i sacerdoti confinavano gli spettri, i fantasmi, le larve, i demoni delle malattie e gli spiriti della guerra, della fame, delle pestilenze e tutto ciò che poteva essere ricondotto a situazioni negative per la città e per i suoi abitanti. Nella leggenda di Romolo e Remo della fondazione di Roma, Remo viene ucciso da Romolo perché oltrepassa il solco che questi stava tracciando. Solo in alcune leggende tramandate si trova la descrizione del dettaglio che giustifica questa 'esecuzione': Remo oltrepassa il solco armato. Quasi certamente il solco che Romolo stava tracciando era il secondo e Remo deve aver oltrepassato il primo macchiandosi quindi di una colpa gravissima: la profanazione del territorio della città. I 7 re di Roma. La tradizione vuole che il periodo monarchico della storia di Roma vada dal 753 a.C. al 509 a.C, anno in cui si instaura la Repubblica. I 7 re in successione sono: 1. Romolo 2. Numa Pompilio 3. Tullo Ostilio 4. Anco Marcio 5. Tarquinio Prisco 6. Servio Tullio 7. Tarquinio il superbo Il ratto delle Sabine. Secondo le fonti antiche, per favorire la crescita della città, Romolo stabilì che tutti gli uomini liberi che fuggivano da altre città d'Italia venissero accolti nella nuova comunità. Roma fu, quindi, fin dall'inizio, una comunità multietnica. La comunità latina del palatino accolse ben presto un notevole numero di stranieri, ed entrò in conflitto con quella del Quirinale, di origine sabina. Le tradizioni affermano che Romolo fece rapire le donne sabine per rendere possibile la prosecuzione della stirpe e il ripopolamento della città: ne seguì un breve conflitto che fu risolto dalle donne stesse. Le due comunità si fusero insieme e al capo della città si alternarono re latini e sabini. 7 Le fonti. Cerchiamo ora di vedere sulla base di quali fonti la tradizione ci tramanda queste informazioni:  Opere perdute. Livio e Dionigi basano i loro racconti sulle opere di altri storici, gli analisti, di cui abbiamo perso le opere. Il primo romano narrare la storia di Roma è stato Fabio Pittore, alla fine del III secolo a.C., ma scrisse in greco. Il primo storico romano a scrivere il latino fu Marco Porcio Catone detto il Censore.  La tradizione familiare vuole che la struttura della società romana in età repubblicana fosse dominata dalla competizione delle maggiori famiglie aristocratiche al governo. Ciascuna di esse cercava di accreditare la propria superiorità glorificando gli antenati. Una delle tecniche era l'elogio dei defunti in occasione di cerimonie funebri; dato che i primi storici erano membri dell'aristocrazia sanatoria e probabile che attingessero alle fonti di varie famiglie.  La tradizione orale. La struttura di molte leggende sull'origine di Roma fa pensare che siano state trasmesse oralmente, principalmente attraverso i canti celebrativi, ma la tradizione orale è fortemente soggetta a distorsioni, Gli antichi stessi erano consapevoli del rischio della deformazione inerente ad una tale forma di trasmissione. Ma a Roma la letteratura della storiografia e il dramma ebbero origine solo nella seconda metà del III secolo a.C., e per definizione le fonti scritte non possono fornire elementi di prova per una cultura preletteraria.  Documenti d'archivio. I primi storici di Roma hanno la stessa struttura narrativa (menzionare per ogni anno i nomi dei magistrati principali e gli eventi importanti). La fonte di maggior credito sono gli annali dei pontefici: gli eventi di interesse pubblico erano riportati su una tavoletta di legno, che veniva esposta di fronte all'ingresso dell'abitazione del pontefice. Nel 130 a.C. questi annali furono pubblicati in 80 libri (Annalis Maximi). Sono importanti le informazioni date dagli antiquari, ovvero studiosi che, a partire dal II sec a.C., si dedicarono alle ricerche sul passato di Roma (istituzioni politiche,militari ,procedure legali, religione ,vita familiare, costumi).  Altre fonti, non di tradizione manoscritta: fonti archeologiche (monumenti), fonti iconografiche (rappresentazioni), fonti epigrafiche (iscrizioni), fonti numismatiche (monete). Fonti archeologiche. Ara Pacis Augustae (Roma, 13-9 a.C.): Sul lato sinistro della fronte del recinto, si conserva il pannello con la raffigurazione del mito della fondazione di Roma: Romolo e Remo vengono allattati dalla lupa alla presenza di Faustolo, il pastore che adotterà e alleverà i gemelli, e di Marte, il dio che li aveva generati unendosi con la vestale Rea Silvia. Sacello dell’Ara di Romolo e Remo (Ostia, epoca giulio-claudia): il nome deriva dal rinvenimento di un altare in marmo che su uno dei lati presenta la raffigurazione dei Gemelli Romolo e Remo allattati dalla Lupa e sorpresi dai pastori. 10 2. Numa Pompilio  fu il secondo re di Roma, di origine Sabina. a lui si attribuisce la prima legislazione della città, l'istituzione del primo calendario e dei primi collegi religiosi. 3. Tullio Ostilio  fu un re guerriero. A lui si attribuisce il conflitto con la città di Alba Longa, che venne conquistata a seguito della vittoria romana nel duello tra orazi (romani) e curiazi (Albani). 4. Anco Marzio  che vantava una parentela con Numa Pompilio, proseguì le guerre con cui Roma rafforza il predominio sul Lazio e fondò il porto di Ostia, che garantiva alla città il controllo dei traffici commerciali e marittimi. Soltanto all'inizio del VI secolo a.C. Roma, sotto l'influenza degli etruschi, che si insediarono numerosi in città, giunse ad avere la struttura e le dimensioni di una città-stato evoluta. Non ti tratto di una conquista militare, ma di un'influenza economica e culturale che trasformò la città in un centro potente e dinamico. I tre re di origine etrusca furono: 5. Tarquinio Prisco  nobile etrusco di origine greca che, giunto a Roma, era diventato consigliere di Anco Marzio. Egli va ricordato soprattutto perché costruì la Cloaca Maxima, una lunga condotta fognaria sotterranea che servì a bonificare il territorio tra Palatino e Campidoglio, destinato più tardi ad ospitare il foro, che sarebbe diventato centro della vita cittadina. 6. Servio Tullio  che, nell'intento di amalgamare latini ed etruschi, suddivise la popolazione in tribù su base territoriale, abbandonando la ripartizione etnica delle origini. Ad egli è attribuita un'altra importante riforma: la suddivisione dei cittadini in classi, secondo la ricchezza personale. Costruì infine una nuova cinta muraria (mura serviane). 7. Tarquinio il superbo  governò come un tiranno: era violento e crudele verso il popolo. Egli avrebbe protetto il figlio, che aveva oltraggiato Lucrezia, moglie del nobile Lucio Tarquinio Collatino. Questo avrebbe reso il sovrano odioso alla cittadinanza, provocando la rivolta guidata da Lucio Giunio Bruto nel 509 a.C. Aulo Vibenna è stato un condottiero etrusco che durante il VI secolo a.C. conquistò Roma insieme al fratello Celio Vibenna. Sembra che Aulo sia stato presente a Roma. Arnobio fa riferimento a Fabio Pittore, il quale accenna all'omicidio di Aulo (la cui testa fu trovata sul Campidoglio, la cui etimologia sarebbe caput Oli, dove Oil sta per Aul), da parte di uno "schiavo di suo fratello" (Servio Tullio). A sinistra uomo togato, matrona stolata. A destra coppia di plebei. Questa testa raffigura un patrizio e si caratterizza per il fatto che si rappresenta sempre alla stessa maniera, dal punto di vista artistico. Questa statua è della collezione Barberini: la seconda testa (quella del togato) è stata aggiunta in seguito e si capisce dal fatto che non c’è somiglianza con le altre due teste, ma questo non ci interessa in quanto è un dettaglio dal punto di vista storico-artistico. La cosa importante è che il togato è fiero di tenere tra le mani le teste dei suoi antenati; quindi, è fiero di essere disceso da quei due che gli permettono la condizione di patrizio. 11 Fonti epigrafiche. L'esistenza storica di Aulo Vibenna è confermata da alcuni reperti archeologici, tra cui un bicchiere trovato a Veio (la base di un calice di bucchero, proveniente dal santuario di Portonaccio; databile al secondo quarto o metà del VI secolo a.C.), che reca l'iscrizione "mini muluva[an]ece avile vipiienas" ovvero "donatomi da Aulo Vibenna". Un altro vaso più recente, sempre di fattura etrusca a figure rosse, oggi conservato presso il Musée Rodin di Parigi, probabilmente scoperto a Vulci, risalente al V secolo a.C., contiene l'iscrizione etrusca "coppa di Aulo Vibenna", in memoria di questo personaggio, un secolo dopo. 12 Fonti iconografiche. La tomba François è uno dei più importanti monumenti etruschi (340-330 a.C.), soprattutto per la sua ricchissima decorazione ad affresco che ne fa una delle più straordinarie manifestazioni della pittura etrusca. Si trova nella necropoli di Ponte Rotto a Vulci, provincia di Viterbo, e fu scoperta nell'aprile 1857 dall'archeologo e Commissario regio di Guerra e Marina del Granducato di Toscana Alessandro François a cui fu intitolata. l sepolcro appartenne alla famiglia etrusca dei Saties di Vulci, una delle più grandi famiglie aristocratiche della città. Le scene raffigurate sono in parte mitiche, come Achille che sacrifica un prigioniero al cospetto degli dèi (prima immagine), e in parte verosimilmente storiche, che si riferiscono ai fratelli Vibenna di Vulci insieme ad un certo Macstarna (il futuro sesto re di Roma, Servio Tullio), insieme ad altri compagni d'avventura, come «Larth Ulthes», «Rasce» e «Marce Camitlnas» (seconda immagine): Troviamo 4 coppie di guerrieri con le didascalie in lingua etrusca:  Coppia 1: Macstrna (Mastarna) libera Caile Vipinas (Caelius Vibenna)  Coppia 2: Larth Ulthes uccide Laris Papathnas Velznach (di Velzn, Volsinii)  Coppia 3: Rasce uccide Pesna Aremsnas Sveamach (di Sveam, Sovana)  Coppia 4: Aule Vipienas (Aulus Vibenna, fratello di Caelius Vibenna) uccide Venthi Caules Plsachs (di di Pls (?), incompleta, forse di Salpino, o di Falerii, centri dell'Etruria meridionale  Coppia 5 (sulla parete successiva): Marce Camitlnas uccide Cnaeve Tarchunies Rumach (di Rum, Roma) 15 La Repubblica di Roma dalle origini ai gracchi La nascita della Repubblica La cacciata di Tarquinio il Superbo. La tradizione ci presenta un episodio abbastanza romanzato della caduta dell’ultimo re Tarquinio il Superbo, rovesciato ed esiliato da alcuni importanti patrizi (e suoi parenti), come Lucius Iunius Brutus, Lucius Tarquinius Collatinus, Spurius Lucretius, Publius Valerius Publicola, Dopo che uno ha dei suoi figli avrebbe commesso un atto molto grave ha la famiglia di Lucius Tarquinius Collatinus, stuprando la moglie. Anche se questo episodio fosse vero, non spiega i motivi della caduta del regime monarchico a Roma. Il ruolo preminente che un ristretto gruppo di aristocratici ebbe nella cacciata dei Tarquini e il dominio che il patriziato sembra avere esercitato nella prima Repubblica, inducono a pensare che la caduta della monarchia sia da attribuire alla rivolta di un patriziato contro un regime sempre più autocratico. Dopo la cacciata dell’ultimo re, secondo la tradizione di Livio e molti altri, il Senato, o meglio i congiurati che pilotavano questo colpo di stato, non procedono ad eleggere un nuovo re, ma danno vita a un nuovo ordinamento, la res publica, la cosa pubblica, lo stato, la Repubblica romana: non ci sarà più un rex a capo dello stato romano, che ha in toto tutti i poteri, ma dal 509 a.C. verranno eletti due sommi magistrati che deterranno i massimi poteri in particolare il potere politico e militare in maniera condivisa, egualitaria e soprattutto saranno vincolati da un mandato a scadenza annuale, usciranno di carica allo scoccare del dodicesimo mese. Tra il 509 e il 508 a. C. si colloca il primo trattato con Cartagine: i cartaginesi riconoscevano con esso la supremazia di Roma su quasi tutto il Lazio, in compenso Roma si impegnava non navigare nelle acque cartaginesi e accettava limitazioni sulla libertà di commercio nei territori sotto il controllo di Cartagine. Subito dopo la cacciata del re, il re si sarebbe rifugiato presso Manilius, suo cognato e dittatore della città di Tuscolo, odierna Frascati, città guida della Lega Latina, una confederazione dei dodici popoli latini accomunati dal culto di Giove laziale, celebrato sui Colli Albani. Da nord, il re di Clusium Porsenna (il re di Chiusi), si muove come alleato di Tarquinio, e riesce a conquistare Roma nel 508 a.C.. Impressionato da alcuni atti di eroismo da parte Orazio Coclite, Muzio Scevola, Clelia, il re etrusco acconsentirebbe a scrivere un accordo che lascerebbe Roma libera di autogovernarsi, ritirando le truppe. Questo ci raccontano gli annalisti, ma si tratta di una versione romanzata e celebrativa poco attendibile. La versione più attestata è quella secondo cui Porsenna avrebbe occupato Roma per alcuni anni salvo per poi doversi ritirare per conflitti insorti con la Lega Latina. Nel 508 a.C venne anche consacrato il tempio Optimus Maximus, sul Campidoglio. I fasti. Le incertezze degli stessi antichi sulla narrazione hanno portato gli storici moderni e sottoporre la tradizione sulla fine della monarchia e l'inizio della Repubblica ad una critica radicale. L'attenzione si sofferma su alcune questioni: le ragioni della caduta della monarchia, la datazione dell'evento e la natura dei supremi magistrati della prima Repubblica. Poiché è un problema politico- istituzionale, le fonti archeologiche forniscono in maniera limitata elementi di riscontro. La ricerca storiografica si è dovuta concentrare sulla critica interna ai dati della tradizione, cercando di individuare gli elementi autentici e separarli dagli altri. Tra i vari dati, importanti sono le liste dei magistrati della Repubblica, che davano il nome all'anno in corso. Queste liste di magistrati eponimi (= che danno il nome), i fasti, ci sono giunti sia tramite la tradizione letteraria (Livio e Diodoro Siculo), si attraverso documenti epigrafici: i più importanti sono i fasti capitolini, elaborati da Marco Terenzio Varrone, che si collocano negli ultimi anni della Repubblica. 16 La data della creazione della Repubblica. Gli antichi avevano fissato una coincidenza tra la storia di Roma e quella di Atene: nel 510 a.C. il tiranno Ippa era stato cacciato da Atene: dal momento che si possono rintracciare altre analogie tra la fine dei Tarquini Da Roma e quella dei Pisistratidi da Atene, bene il sospetto che la cronologia della caduta del superbo sia stata ricostruita in modo da cercare un parallelismo con le vicende di Atene. Per questo motivo alcuni storici hanno deciso di datare la nascita della Repubblica qualche decennio dopo, tra il 470 e il 450 a.C.; ma ci sono dei documenti che dimostrano che la datazione della tradizione non sia poi così lontana dalla verità: Livio ricorda una cerimonia secondo cui una legge arcaica prescriveva che il massimo magistrato della Repubblica infliggesse un chiodo nel tempio di Giove capitolino, ogni anno ha le idi di settembre, anniversario della consacrazione del tempio. Lo scopo doveva essere quello di scongiurare il pericolo di pestilenze e carestie (apotropaico). Il Tempio dovrebbe essere stato costruito il primo anno della Repubblica; perciò, il numero di chiudi potrebbe rappresentare un riferimento alla cronologia, riportando la data del suo inizio al 508 a.C. I supremi magistrati della Repubblica. La tradizione storiografica antica è concorde sul fatto che i poteri di un tempo del re passarono immediatamente nelle mani di due Consoli, o praetores, come secondo Livio venivano chiamati all'inizio. Eletti da comizi centuriati, ai Consoli spettava:  Il comando dell'esercito  Il mantenimento dell'ordine interno alla città  Esercizio della giurisdizione civile e criminale  Il potere di convocare il Senato e le assemblee popolari  La cura del censimento  Funziona eponima Alcune delle funzioni religiose dei monarchi passarono ad un sacerdote di nuova istituzione, il Rex sacrorum, che non poteva rivestire cariche politiche. I poteri autocratici dei Consoli avevano dei limiti:  La durata della loro carica era un anno  I due avevano pari poteri, perciò uno si poteva opporre all'altro se riteneva che l'azione fosse dannosa per lo stato  Ogni cittadino aveva la possibilità di appellarsi al giudizio dell'assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dei Consoli: si tratta della provocatio ad populum, la cui istituzione viene fatta risalire a una legge di Pubblicola, promulgata nel primo anno della Repubblica. Le fonti archeologiche. Dalla monarchia allo Stato repubblicano. Ricerche di storia romana arcaica (1945). Mazzarino, uno dei più grandi storici del mondo antico del secondo novecento, utilizza fonti iconografiche ed epigrafiche per analizzare il passaggio di Roma dalla fase monarchica a quella repubblicana (il consolato), inserendo l’esperienza romana nel più ampio contesto di una comune cultura politico-giuridica (koiné) italica: anche Etruschi, Osci (popolazioni parlanti una lingua osco- sabellica, in cui rientravano anche alcune popolazioni dell'antico Abruzzo: vestini, marrucini, marsi, peligni, frentani), Umbri, Siculi, al pari dei Romani, hanno sperimentato forme di governo diverse dalla monarchia arcaica, passando a «tirannidi» di carattere popolare/democratico e a organismi magistratuali veri e propri (collegi di due o tre magistrati con pari poteri condivisi). Tra le fonti prese in considerazione da Mazzarino, ve ne è una particolarmente curiosa, che potrebbe essere data per scontata. È una fonte archeologica, una lastra fittile (fìttile, fatta di terracotta) proveniente da Velletri, nel territorio dei Volsci (Lazio meridionale), databile alla seconda metà del VI secolo a.C., Quindi nel periodo della fase etrusca della monarchia romana. 17 Questa lastra mostra tre coppie di magistrati seduti.  Le prime due figure sulla sinistra in piedi si presentano nell'atto di chi parla tenendo la mano alzata. Vediamo poi quattro figure sedute, conservate in maniera integrale, poi una quinta sul bordo di frattura, di cui vediamo soltanto i piedi, e infine frammenti di una sesta figura: in totale sei figure sedute.  La prima figura seduta è barbata, quindi si tratta di un uomo adulto. Tiene in mano un lungo scettro, un'asta, simbolo del potere politico. Lo stesso scettro è detenuto dalla quarta figura, anch'essa barbata.  La seconda figura seduta è anch'essa barbata, quindi si tratta sempre di un uomo adulto. Tiene in mano un oggetto di forma curva, il litus, simbolo di un attributo religioso. Il litus del mondo romano era uno strumento sacrale che contraddistingueva alcune figure sacerdotali, come ad esempio gli auguri. Laddove c'è la frattura si intravedono i piedi di un magistrato e in alto i frammenti di un litus: anche lì c'era un magistrato identico al secondo che recava il litus.  La terza figura seduta manca di barba, quindi doveva essere più giovane rispetto agli altri magistrati. È contraddistinta da un copricapo: se ne vede uno integro, il terzo della sequenza, e nei frammenti della lastra sul margine destro ce n'era un'altro. Mazzarino arriva alla conclusione che non si tratta di divinità, proprio perché sono coppie gemellari: questo è reso chiaro dalla sella su cui sono seduti, che nel mondo non solo romano, ma anche etrusco, era la sella corullis, che indicava il rango del magistrato. Si ricordi che Velletri era una città volsca di epoca arcaica: questo dimostra che al di fuori di Roma altre città piccole o grandi già sperimentassero forme di potere politico organizzate con collegi di magistrati. Il lapis Satricanus ("pietra di Satrico") è un'iscrizione incisa su una pietra giallastra rinvenuta a Satricum (Borgo Le Ferriere) nel Latium vetus, datata tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. 20 Da lui discenderanno i Claudii Patrizi che arriveranno fino all’età repubblicana e alcuni che poi diventeranno parte della plebe. La cittadinanza poteva essere inoltre conferita su base individuale, dapprima dal popolo riunito in assemblea (tramite una lex) o da un atto del magistrato autorizzato ex lege, successivamente dalla volontà dell'imperatore (tramite senatoconsulto o constitutio), sulla base di meriti di vario tipo. Si poteva inoltre ottenere la cittadinanza di diritto come premio per alcuni servizi, in particolari circostanze: 1. Dopo aver servito a Roma per qualche anno nel corpo dei vigili; 2. Dopo aver speso una cospicua parte del patrimonio personale per costruire una casa a Roma; 3. Dopo aver portato a Roma frumento per un certo numero di anni; 4. Dopo aver macinato grano a Roma per anni. Questi ultimi modi di ottenimento erano però riservati soltanto a coloro che possedevano la cittadinanza latina, una via di mezzo tra la condizione di romano e di straniero. Gli schiavi potevano essere liberati dai propri padroni attraverso un processo giuridico, innescato dal padrone, il Manumissio, ed entrano a far parte della gens del padrone, che gli dà il nome completo, quindi diventano cittadini romani, con alcune limitazioni: non hanno diritto di elettorato passivo. I figli dei liberti erano cives romani optimo iure, senza limitazioni. Gli schiavi non potevano prestare servizio militare, perché il rischio di rivolta sarebbe stato immediato. Solo in casi di estrema emergenza, come durante le guerre puniche, agli schiavi venivano affidate le armi. Una regolazione accorta di liberazione degli schiavi aumenta il numero di cittadini, di manodopera, tributi, ecc.. La cittadinanza si poteva perdere (capitis deminutio media) involontariamente o volontariamente: nel primo caso accadeva quando si subiva una condanna criminale o si esercitava il diritto di esilio per evitarla e, ovviamente, quando si perdeva la libertà, a seguito di cattura da parte di popolazione straniera (condizione che il diritto romano riconosceva legalmente) o qualora il creditore esercitasse il suo diritto di vendere come schiavi (nexii) i debitori insolventi. Condizione dello schiavo liberato a Roma. In epoca repubblicana gli schiavi non sono considerati come esseri umani, ma come animali parlanti, poco più del bestiame o di un qualsiasi attrezzo di lavoro. Non hanno diritti individuali, sono equiparati a oggetti/proprietà. Il loro padrone ha il diritto di: farli lavorare in ogni settore e a ogni condizione, fare loro avere un/a compagno/a e dei figli (anch’essi schiavi), oppure no, vendere gli schiavi di sua proprietà e in caso separarli dai loro compagni e figli (che non costituiscono una familia), punire, torturare e persino uccidere i suoi schiavi, in qualunque momento, liberare i suoi schiavi e trasmettere loro la civitas romana. La triplice formula onomastica di un cittadino di condizione ingenua: es. Gaio Giulio Cesare, membro illustre della gens Iulia: Caius Iulius Luci filius Palatina (tribu) Caesar = Gaio Giulio Cesare, figlio di Lucio, della tribù Palatina. La triplice formula onomastica di un cittadino di condizione libertina: es. Antigono schiavo di Giulio Cesare: unico nome Antigonus Antigono liberto: Caius Iulius Cai libertus Palatina (tribu) Antigonus Gaio Giulio Antigono, liberto di Gaio, della tribù Palatina 21 SPQR: Senatus PopulusQue Romanus. È insieme una sigla e un simbolo che racchiude in sé le figure che rappresentano il potere dello Stato romano dopo la fine dell'età regia: il Senato e il popolo, cioè le due classi dei patrizi e dei plebei che erano a fondamento dello Stato romano.  Il senato. Il vecchio consiglio Regio, formato dai capi delle famiglie nobili, sopravvisse alla caduta della monarchia e divenne il perno della nuova Repubblica a guida Patrizia. A fronte dei magistrati, la cui carica durava di norma un anno, quella di senatore era vitalizia. Il Senato era composto da ex magistrati.  Il popolo. L’intero Popolo Romano, sia Patrizi sia Plebei, convocato nelle assemblee ufficiali di voto, chiamate Comitia:  Comitia curiata: istituiti da Romolo in età arcaica, ne facevano parte le tribù arcaiche e gentilizie, divise a loro volta in curie. In età arcaica conferivano l'imperium, la facoltà di comandare l'esercito in armi sul campo di battaglia, ad alcuni magistrati. In età repubblicana questi comizi perderanno di usualità. Suddividere il corpo civico secondo il «clan»: le tribù gentilizie, le curie e i comizi curiati. Come detto in precedenza, In epoca assai arcaica (prima epoca monarchica) vigeva una suddivisione del corpo civico secondo il criterio di appartenenza gentilizia (criterio di «sangue»), ossia secondo le gentes (consorterie di grandi famiglie, cfr. i «clans» della Scozia medievale) La tradizione attribuisce a Romolo l’istituzione di tre tribù gentilizie: Ramnes, Tities, Luceres, forse corrispondenti a gruppi «etnici» (rispettivamente Latini, Sabini, Etruschi): ogni tribù era suddivisa in 10 curiae (tot. 30 curiae). L’esercito di epoca monarchica (prima di Servio Tullio) era guidato sul campo dal rex e da tre tribuni militum («tribuni dei soldati», che prendevano il nome tribuni dalle tribù) ed era formato da: 3000 fanti (1000 per ogni tribù, 100 per ogni curia) e 300 cavalieri (100 per ogni tribù). Nella prima epoca repubblicana il Popolo Romano, convocato da un magistrato nelle assemblee organizzate per curie (comizi curiati), votava la lex curiata de imperio, che conferiva ai supremi magistrati (consoli, pretori) la prerogativa di comandare l’esercito sul campo (imperium).Nella successiva epoca repubblicana i comizi curiati sono un’assemblea ormai desueta, un «fossile» giuridico. 22  Comitia centuriata: istituiti da Servio Tullio. Il populus convocato per centurie, elegge Consoli, pretori, censori (i magistrati che eleggono l'imperium); questi magistrati possono attuare l'attività legislativa, proponendo leggi vincolanti per tutti i cittadini. Suddividere il corpo civico secondo il censo: le classi, le centurie e i comizi centuriati. Nella tarda epoca monarchica (Servio Tullio) viene introdotta una suddivisione del corpo civico secondo il criterio del censo (criterio più «democratico» del sangue), ossia secondo il patrimonio del singolo cittadino (patrimonio che consiste nella proprietà terriera, ma che verrà poi stimato, in epoca repubblicana, in assi bronzei, ossia in moneta di bronzo). La tradizione attribuisce a Servio Tullio l’istituzione della classis (esercito di fanteria pesante) sul modello oplitico greco, con la suddivisione in centuriae (unità militari composte idealmente di 100 uomini, ma anche unità elettorali in tempo di pace). L’esercito della tarda epoca monarchica (serviana) era guidato sul campo dal rex, coadiuvato dai tribuni militum, ed era formato da: o Classis = 6000 opliti = 60 centuriae, fornite dai cittadini di censo medio e alto o Cavalleria = 600 cavalieri = 6 centuriae, fornite dai cittadini più ricchi o Infra classem (al di sotto della classis): velites (fanti leggeri), forniti dai cittadini più poveri In epoca repubblicana l’ordinamento censitario si è evoluto con la creazione di 5 classi di censo progressivo, che costituiscono la classis in quanto esercito di fanteria pesante e hanno un diverso peso politico in occasione delle assemblee elettorali (comizi centuriati). Lo sviluppo del sistema centuriato nel III sec. a.C.: tot. 193 centuriae : . Cavalleria (oltre 100.000 assi): 18 centuriae di cavalieri . 1 Classe (oltre 100.000 assi): 80 centuriae (40 seniores + 40 iuniores) di fanti pesanti (opliti) . 2 Classe (75.000-100.000 assi): 20 centuriae (10 seniores + 10 iuniores) di fanti pesanti (opliti) . 3 Classe (50.000-75.000 assi): 20 centuriae (10 seniores + 10 iuniores) di fanti pesanti (opliti) . 4 Classe (25.000-50.000 assi): 20 centuriae (10 seniores + 10 iuniores) di fanti leggeri (veliti) . 5 Classe (11.000-25.000 assi): 30 centuriae (15 seniores + 15 iuniores) di fanti leggeri (veliti) . Infra classem (sotto 11.000 assi): 1 centuria . Fabbri (fabri) e trombettieri (tubicines): 4 centuriae Fonte letteraria. Livio, Ab Urbe condita I 43, 1-11: Dopo una lunga, minuziosa descrizione del sistema politico-militare delle classi di censo e delle centurie (18 per i cavalieri, 80 per la prima classe, 20 per la seconda classe, etc.), Livio osserva: «Tutti questi oneri (dell’armamento militare) furono addossati alle spalle dei ricchi sgravando i poveri, ma poi fu accresciuto il loro potere politico (dei ricchi): infatti il voto non fu più individuale, concesso a tutti senza distinzione con lo stesso valore e lo stesso diritto, secondo l’uso introdotto da Romolo e mantenuto dagli altre re, ma furono stabiliti dei gradi, in modo che nessuno in apparenza era escluso dal voto, ma tutto il potere politico era in mano ai cittadini più eminenti. I cavalieri, infatti, erano chiamati per primi a votare; seguivano poi le 80 centurie della prima classe; se vi era disaccordo tra queste, cosa assai rara, veniva chiamata la seconda classe, e quasi mai si scendeva tanto da giungere ai gradi più bassi». 25 Il decemvirato e le leggi delle XII tavole. Dopo il riconoscimento dei propri organismi la plebe cominciò a richiedere a gran voce un codice di leggi scritto, così da togliere ai patrizi il monopolio dell'interpretazione delle leggi. A tale scopo, nel 451 a.C., venne formato un comitato di 10 membri Patrizi che stilasse un codice legislativo; tale commissione prese il nome di decemvirato, che assunse il controllo dello Stato, sospendendo la tradizionale magistratura per evitare che applicassero il loro diritto di veto sui propri provvedimenti. Entro la fine dell'anno vennero compilate 10 tavole di leggi ed esposte nel foro; l'anno dopo venne convocato un nuovo decemvirato per discutere dei problemi rimasti in sospeso, e vennero aggiunte due tavole alle 10 precedenti. Le 12 tavole rappresentarono il primo codice legislativo scritto della storia romana, e riguardavano soprattutto le relazioni fra gli individui, presentando però una legge altamente sgradita che proibiva i matrimoni tra Patrizi e plebei. Questo decemvirato tentò di rimanere al potere, causando la seconda secessione dell’Aventino, ma la commissione venne sciolta e il consolato venne ripristinato. Il valore dei plebisciti venne esteso a tutti i cittadini romani, venne creato il divieto di dar vita a magistrature non soggette al diritto di veto, venne approvata l'infallibilità dei tribuni della plebe e venne abrogata la legge matrimoniale. Tribuni militari con poteri consolari. Nel 445 a.C. Il Plebiscito Canuleio diede ai plebei l'accesso agli auspici e l'autorizzazione di ricoprire cariche consolari. La tradizione ci suggerisce che dal periodo che va dal 444 al 367 a.C. A Roma vigesse un ordinamento secondo cui il Senato annualmente scegliesse se i Consoli avessero dovuto essere due Patrizi o due tribuni militari (che potevano essere anche plebei), ma che in questo caso non avevano accesso agli auspici. La storiografia moderna ritiene che probabilmente i Consoli furono solo affiancati dai tribuni militari: nel 400 a.C. ricordiamo l'elezione del primo tribuno plebeo. Nello stesso anno, con il perdurare della crisi economica, Spurio Melio distribuì grano alla folla a spese proprie, ma fu anche egli accusato di mirare alla tirannide e giustiziato. Le leggi Licinie Sestie (367 a.C.). Nel 387 a.C. Si cercò di risolvere la crisi economica tramite la suddivisione in piccoli appezzamenti del territorio appena conquistato da Veio e la loro assegnazione cittadini romani, ma neanche questo bastò. L'anno dopo il patrizio Marco Manlio Capitolino propose una cancellazione dei debiti e una radicale riforma agraria, ma finì come Cassio e Meio. L'iniziativa della riforma interna tornò ai riformisti, in particolare a Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano, due plebei con appoggio del patriziato, che presentarono un nuovo insieme di proposte, a cui però i Patrizi riuscirono ad opporre il veto dei tribuni per anni. Nel 367 a.C., Con la nomina a dittatore di Marco Furio Camillo, i provvedimenti di Stolone e Laterano vennero approvati sotto il nome di “Leggi Licinie Sestie”, Che prevedevano:  Gli interessi già pagati dovevano essere detratti dalla somma totale del debito. Il resto della somma poteva essere pagato con tre rate annuali.  La massima estensione del terreno di proprietà statale che un privato poteva occupare.  L'abolizione del tribuno militare con potestà consolare e il ripristino totale dei due Consoli, di cui uno poteva essere plebeo. 26 Uno nuovo equilibrio. Nel 342 a.C. un nuovo plebiscito stabilì che entrambi i Consoli potevano essere plebei. Da allora ci fu la consuetudine di affiancare ad un console Patrizio uno plebeo. Nel 339 a.C. Il dittatore plebeo Quinto Publilio Filone fece approvare una legge che togliesse al Senato la facoltà di approvare le leggi votate dai comizi, dandogli il diritto di ratificare le proposte di legge dei singoli prima che le assemblee esaminassero e togliendoli, in pratica, il diritto di veto. Nel 300 a.C. un Plebiscito consentì ai plebei l'accesso e collegi degli auguri e dei pontefici, e presto poterono cominciare ad accedere anche al Senato. La legge Petelia del 326 a.C. abolì la schiavitù per debiti. La censura di Appio Claudio Cieco. Appio Claudio Cieco compilò liste di senatori includendovi anche persone che non avevano ricoperto alcuna magistratura precedentemente, e stabilì che la plebe urbana, precedentemente costretta ad iscriversi nelle sole tribù urbane, potesse ora iscriversi a qualsiasi altra tribù per aumentare il suo peso nei comizi tributi. Entrambe le riforme caddero nel vuoto, ma la sua politica ebbe un'importante riscontro: prima il censo era calcolato sulla sola base del bestiame e del terreno posseduti, mentre da ora sarebbe stato calcolato tenendo conto anche del capitale mobile (metallo prezioso). Così chi non era impegnato in attività agricole poteva ora far valere il proprio peso nell'attività politica. Ad Appio Claudio Cieco vanno attribuiti anche la costruzione del primo acquedotto cittadino e della strada tra Roma e Capua, la via Appia, per l'appunto. La legge ortensia. Tale legge stabilì che i plebisciti varati dall'assemblea della plebe avessero valore per tutti i cittadini romani, così alle leggi dei comizi centuriati e tributi. L'unica differenza rispetto ai comizi tributi è che a quest'ultimi prendevano parte anche i Patrizi. La legge stabiliva giorni fasti e giorni infausti per svolgere le attività pubbliche. Le nundinae, cioè i giorni di mercato, erano dies fasti, cioè vi si potevano svolgere le azioni per la giustizia. La legge fu di grande aiuto per chi abitava fuori città, tipicamente agricoltori, che venendo in città per commerciare prodotti, potevano al tempo stesso dare seguito ad eventuali azioni legali di loro interesse. La nobilitas Patrizio- plebea. Le conquiste della plebe chiusero il dominio del patriziato su Roma e diedero vita ad una nuova aristocrazia formata dalle famiglie plebee più ricche e dai Patrizi che è meglio seppero adattarsi alla nuova situazione, due ceti spesso Uniti da vincoli familiari, ideali e interessi comuni. Si chiamò “nobilitas” (noto, illustre), termine che arrivò a comprendere tutti coloro che erano stati Consoli o che avessero antenati Consoli. Le fonti letterarie. Il discorso del tribuno della plebe Gaio Canuleio (445 a.C.), secondo Livio, Ab Urbe condita IV 3, 1-7: “Quanto i patrizi vi disprezzino, o Quiriti, e quanto vi considerino indegni di convivere con loro in un’unica città, entro le stesse mura, mi pare davvero di averlo più volte notato anche prima d’ora; ma in questo momento più che mai me ne rendo conto, poiché essi sono così minacciosamente insorti contro queste nostre proposte di legge, con le quali cos’altro ci proponiamo se non di avvertirli che noi siamo loro concittadini e che, se non abbiamo lo stesso potere, tuttavia abitiamo la stessa patria? Con la prima proposta noi chiediamo quel diritto di connubio che si è soliti concedere ai popoli confinanti e agli stranieri: il diritto di cittadinanza per l’appunto, che è qualcosa di più del diritto di connubio, noi l’abbiamo concesso perfino ai nemici vinti. Con la seconda proposta non proponiamo nulla di nuovo, ma rivendichiamo e pretendiamo quello che è un diritto del popolo, che cioè il Popolo Romano conferisca a chi vuole le cariche pubbliche. Quale ragione v’è dunque per cui essi debbano mettere sottosopra il cielo e la terra, per cui a me poco fa in Senato si sia quasi fatta violenza, ed essi dicano che non si asterranno a venire alle mani e minaccino di violare un potere sacro e inviolabile? Se al Popolo Romano si concede libertà di voto, sì che egli conferisca il consolato a chi vuole, e non si toglie neppure al plebeo la speranza di conseguire quel sommo 27 onore, se ne sarà degno, forse che questa città non potrà rimanere in piedi? E’ forse finita per il nostro Stato? E il fatto che possa diventare console un plebeo vale come se si dicesse che diventerà console uno schiavo o un liberto?” Ab Urbe condita IV 3, 8-17: « ‘Ma non vi accorgete dunque tra quanto disprezzo vivete? Vi toglierebbero parte di questa luce, se potessero; non sanno darsi pace che voi respiriate, che mandiate fuori la voce, che abbiate sembianze umane. Anzi, agli dèi piacendo, sostengono che è un’empietà che divenga console un plebeo. Ma di grazia, se non siamo ammessi a consultare né i fasti né i commentarii dei pontefici, forse per questo non sappiamo neppure quelle cose che sanno anche tutti gli stranieri, che i consoli hanno preso il posto dei re e che non hanno alcuna prerogativa o dignità che non sia stata prima dei re? Credete dunque che non si sia mai sentito dire che Numa Pompilio, il quale non soltanto non era patrizio, ma neppure cittadino romano, fatto venire dalla Sabina, regnò a Roma per volere del popolo e con l’approvazione dei senatori? Che successivamente Lucio Tarquinio, il quale non soltanto non era di gente romana, ma neppure italica, figlio di Demarato di Corinto, immigrato da Tarquinia, fu eletto re mentre erano ancora vivi i figli di Anco [Marcio]? Che dopo di lui Servio Tullio, nato da una prigioniera di Corniculum, figlio di padre ignoto e di una schiava, ottenne il regno grazie al suo ingegno e al suo valore? Che dirò poi del sabino Tito Tazio, che lo stesso Romolo, padre dell’Urbe, associò al suo regno? Mentre dunque non disdegnava alcuna stirpe in cui risplendesse la virtù, la potenza romana s’accrebbe. Dovrebbe ora dispiacervi un console plebeo, quando i nostri antenati non hanno disdegnato dei re forestieri, e neppure dopo la cacciata dei re la città è stata chiusa agli uomini valenti, stranieri? Non v’è dubbio che dopo la cacciata dei re noi abbiamo accolto non soltanto nella cittadinanza, ma anche nel numero dei patrizi, la gente Claudia, che veniva dalla Sabina. Uno straniero può dunque diventare patrizio, poi console, mentre un cittadino romano, se appartiene alla plebe, si vedrà tolta la speranza di giungere al consolato? Dobbiamo insomma credere che sia impossibile che un uomo forte e coraggioso, valente in pace e in guerra, dello stesso stampo di Numa, di Lucio Tarquinio, di Servio Tullio, appartenga alla plebe, o, quand’anche ve ne fosse uno, non consentiremo che egli acceda al governo della Repubblica, e dovremo invece avere dei consoli simili ai Decemviri, i più detestabili tra gli uomini, che pure provenivano tutti dai patrizi, piuttosto che ai migliori dei re, uomini di recente nobiltà?’ … » Un nuovo equilibrio •342 a.C. Plebiscito: entrambi i Consoli possono essere plebei •339 a.C. Filone toglie il diritto di veto al Senato •326 a.C. Abolita la schiavitù per debiti •300 a.C. Accesso ai collegi per i plebei •287 a.C. Legge ortensia 30 Le fonti letterarie. Livio, Ab Urbe condita VI 1, 1: «Ho esposto nei primi cinque libri quei fatti, guerre esterne e agitazioni interne, che avvennero a Roma dalla fondazione della città [753 a.C.] alla sua presa [il sacco gallico, c.a. 390-386], dapprima sotto i re, poi sotto i consoli, dittatori, decemviri e tribuni consolari: fatti oscuri sia per la troppa antichità, che li rende simili a quelle cose che per la grande distanza nello spazio a malapena si possono discernere, sia perché in quei tempi scarni e rari erano i documenti scritti, unici sicuri custodi della tradizione storica, e per di più anche quelle notizie che erano contenute negli annali dei pontefici e in altri documenti pubblici e privati per la maggior parte andarono perdute nell’incendio [gallico] della città». La ripresa. La prova migliore del livello di esagerazione della tradizione riguardo all'invasione gallica fu la rapidità con la quale Roma si riprese e la direzione presa dalla sua politica estera dopo il 390 a.C. In questi anni furono costruite le imponenti mura serviane, che scoraggeranno ogni invasore per molti secoli. L'atteggiamento di Roma fu comunque improntato ad un'azione offensiva, che trova il suo esecutore in Furio Camillo. Già a pochi anni dal sacco Gallico, gli Equi sono annientati, mentre i Volsci riuscirono a far passare nel loro campo gli Ernici e le città latine, stanche di un'alleanza ormai caratterizzata dal predominio di Roma. Tra il 381 il 354 a.C., la città Latina di Tuscolo viene annessa come municipium, termine con il quale saranno designate le comunità indipendenti incorporate nello stato romano. La città volsca Pontina e i territori sulla valle del fiume Sacco appartenenti agli ernici passarono sotto il dominio romano, insieme alle città latine Tivoli e Perneste. I Tuscolani diventano cives Romani optimo iure (con pieni diritti, compreso il diritto di voto). Negli stessi anni anche gli etruschi di Tarquinia e Cere (Anch'essa annessa come municipium) furono costretti a siglare una lunga tregua. i Ceriti diventano cives Romani sine suffragio (senza diritto di voto). Il primo confronto con i Sanniti. Nel 354 a.C. un trattato fissò sul fiume Liri il confine tra le zone di egemonia nel Lazio di Roma e dei Sanniti. Questi ultimi occupavano tutto l'appennino centro meridionale compreso tra il fiume Sangro e il fiume Ofanto, un'area estremamente favorevole l'allevamento pastorizio e che consentiva anche la pratica agricola ma che non consentiva una grande crescita demografica. Il Sannio era in pratica privo di strutture urbane, organizzato in cantoni, entro i quali si trovavano uno o più villaggi che erano governati da un magistrato elettivo, chiamato meddiis nella lingua sannitica. Più cantoni venivano a costituire una tribù, alla testa della quale si trovava un meddiis toutiks. Le quattro tribù dei Carricini, Pentri, Caudini e Irpini formavano la Lega sannitica, che possedeva una sorta di assemblea federale che poteva, in caso di guerra, nominare un comandante supremo. Nel corso del V secolo, alcune popolazioni staccatesi dai sanniti occuparono le regioni costiere della Campania: sotto l'influenza di etruschi e greci, si allontanarono dal punto di vista culturale politico dai loro connazionali, adottando l'organizzazione politica della città stato. Alcune di esse entrarono nella Lega campana, alla metà del IV secolo a.C., che aveva il suo centro a Capua. Nonostante le affinità etniche i contrasti tra campani e sanniti si acuirono fino a scoppiare in una guerra aperta nel 343 a.C., quando i sanniti attaccarono la città di Teano occupata dai sidicini, alleati di Capua. Io sidicini chiesero aiuto alla Lega campana, la quale incapace di fronteggiare i nemici chiese aiuto a Roma. La decisione di procedere contro i sanniti rompendo il trattato, venne, secondo Livio, solo quando i campani disperati decisero di consegnarsi a Roma (deditio in fidem). La prima guerra sannitica (343- 341 a.C.) Si risolse in fretta con un parziale successo dei romani che già nel primo anno di guerra sconfissero il nemico a Capua, costringendolo a togliere l'assedio alla città. Roma però non fu in grado di continuare l'offensiva a casa di una rivolta dell'esercito in Campania; perciò, acconsentì alle richieste di pace dei sanniti nel 341 a.C. Che il trattato rinnova il precedente, riconoscendo ai romani la Campania e ai sanniti Teano. 31 La grande guerra Latina. Al termine del primo grande conflitto tra Roma e i sanniti si delineò un totale ribaltamento delle alleanze, con Roma e i sanniti da un lato e latini, campani, volsci, sedecini e aurunci dall'altro: l'insoddisfazione dei campani e dei sidicini per la prima guerra sannitica si unì alla volontà dei latini di staccarsi da un'alleanza con Roma che era diventata sempre più simile ad un vassallaggio vero e proprio nei confronti della città capitolina e, e una volta trovata l'unità, le dichiararono guerra. Il conflitto (341- 338 a.C.), noto come grande guerra Latina, fu lungo, feroce e dall'andamento incerto, e le fonti non ci danno notizie precise sul suo svolgimento. Ciò che sappiamo è che si concluse con la totale vittoria di Roma, che sciolse la Lega Latina ed estese la propria influenza. Gli equites Campani di Capua, che rimasero fedeli a Roma, divennero cives Romani optimo iure. Alcune latine precedentemente alleate con Roma furono incorporate allo stato romano come municipi, altre conservarono la propria indipendenza formale e i consueti diritti (connubium, commercium e migratio) con Roma, ma non poterono più intrattenere interazioni tra loro. Ma alle vecchie città latine si vennero ad aggiungere nuove colonie latine, fondate da Roma composte da cittadini romani e alleati: costoro perdevano la loro cittadinanza e prendevano quella della colonia; la cittadinanza Latina perse dunque la sua connotazione etnica e venne a designare una condizione giuridica in rapporto con i romani. Latini vecchi e nuovi furono obbligati a fornire a Roma truppe. I latini ottennero poi il diritto di voto nelle assemblee popolari di Roma nel caso si fossero trovati in città. La nuova concezione dello status latino è dimostrata nel caso delle due città che si ribellarono a Roma, Tivoli e preneste, i cui abitanti, nonostante fossero di etnia Latina, vennero privati dei diritti di connubium, commercium e migratio e divennero semplici alleati di Roma. Nelle città dei volsci e dei campani, Roma attuò la concessione di una forma parziale di cittadinanza romana, la civitas sine suffragio. I titolari avevano gli stessi obblighi dei cittadini romani (servizio di leva e pagare il tributum), ma non avevano diritto di voto nelle assemblee, ne potevano essere eletti. Ad Anzio venne creata una colonia in cui gli abitanti conservavano la piena cittadinanza romana. La seconda guerra sannitica. Quando Roma fondò nuove colonie nel territorio di confine con la Federazione sannitica si riaccese il conflitto tra le due potenze. La minaccia iniziale fu il conflitto interno alla città di Napoli tra la classe dirigente favorevole ai romani e le masse popolari, favorevoli ai sanniti. Roma mosse alla volta di Napoli e, una volta conquistata la città, invio l'esercito nel Sannio. Qui l'esercito, trovandosi accerchiato presso le Forche Caudine (321 a.C.), Subì una profonda umiliazione e fu costretto ad arrendersi. Ciò causò l'interruzione delle operazioni militari per qualche anno, di cui Roma approfitto per creare due nuove tribute insediare in Campania e per cercare un'alleanza con Apuli e Lucani che le consentisse di circondare la Confederazione sannitica. Il conflitto si riaccese nel 316 con l'attacco romano a Saticula e la vittoria sannita ha Latulae. Roma però sviluppò una strategia a lungo termine che un'organizzazione tribale come quella sannitica non era in grado di sviluppare. Nel 315 Roma prese Saticula e Fregelle, migliorò le comunicazioni con la Campania grazie alla costruzione della via Appia, fondò colonie in Apulia (Venosa) e riorganizzò radicalmente l'esercito mediante la divisione delle legioni informazioni a manipolo, più mobili della falange e quindi più adatte ai combattimenti negli aspri territori del Sannio. Anche lo schieramento dell'esercito fu mutato su tre linee (principes, hatati e triarii), e furono importati dai sanniti lo scudo rettangolare e il giavellotto. Le differenze nell' arruolamento dei soldati nelle diverse classi censitaria e andarono quindi diminuendo. A questo punto Roma fu in grado di far fronte ad una doppia minaccia: i sanniti a sud e una Lega etrusca a nord. Gli etruschi furono costretti ad una tregua nel 308 a.C., Mentre a sud la conquista di bovianum condusse i sanniti a stipulare una pace nel 304 a.C., E il rinnovo dell'alleanza del 354 a.C. 32 Le ultime operazioni militari consentirono inoltre i romani lo sterminio degli Equi e la colonizzazione del territorio con nuove tribù di cittadini romani, l' inglobamento degli ernici come cittadini senza avuto e la stipulazione di trattati di alleanza con le popolazioni dell'odierno Abruzzo. Le fonti letterarie. Strabone di Amasea, Geografia V 4, 2: «Oltre il Piceno c’è il territorio dei Vestini, dei Marsi, dei Peligni, dei Marrucini, dei Frentani, di stirpe sannitica. Essi occupano la zona montagnosa ed hanno solo piccoli accessi al mare. Si tratta di popoli deboli numericamente, ma assai coraggiosi e che spesso hanno dato dimostrazione ai Romani del loro valore: una prima volta quando erano in guerra contro di essi, la seconda combattendo insieme a loro, la terza quando, chiedendo di ottenere la libertà e la cittadinanza, non avendola ottenuta, si ribellarono e dichiararono la così detta guerra Marsica [= la Guerra Sociale, 91-82 a.C.], proclamando Corfinium, la metropoli dei Peligni, comune a tutti gli Italici al posto di Roma e facendone la base delle operazioni di guerra dopo aver sostituito il suo nome con quello di Italica; avendo riunito là in assemblea tutti quelli che stavano dalla loro parte, avevano eletto consoli e pretori. Continuarono a combattere per due anni fino a che ottennero quella comunanza di diritti per cui avevano combattuto. La guerra fu detta Marsica da quelli che avevano iniziato la sommossa, Pompedio in primo luogo». Strabone di Amasea, Geografia V 4, 2: «Tutti gli altri popoli vivono sparsi in villaggi, ma possiedono anche alcune città, poste all’interno rispetto al mare; così Corfinium, Sulmona, Marruvium e Teate [Chieti], la città più importante dei Marrucini. Proprio sul mare c’è invece Aternum [Pescara], che confina col Piceno, omonima al fiume che fa da confine col territorio dei Vestini e dei Marrucini. Scorre infatti dalla regione di Amiternum [vicino a L’Aquila] attraverso il territorio dei Vestini, lasciando sulla destra quello dei Marrucini, situato oltre quello dei Peligni; può essere attraversato con un ponte di barche. La città omonima [Aternum = Pescara] appartiene ai Vestini, ma serve da porto anche ai Peligni e ai Marrucini. […] Dopo Aternum c’è Ortona, porto dei Frentani, e Buca [Termoli?], anche questa dei Frentani, che è vicina a Teanum Apulum. […] Tra Ortona e Aternum c’è il fiume Sagrus, che separa i Frentani dai Peligni». 35 La terza guerra sannitica. La sconfitta del 304 a.C. era stata grave ma non aveva indebolito i sanniti. Lo scontro decisivo con i romani si riaprì nel 298 a.C., quando i sanniti attaccarono i lucani: i romani, loro alleati, accorsero in aiuto. Il comandante supremo dei sanniti, Gellio Egnazio, era riuscito a mettere in piedi una potente coalizione antiromana formata da etruschi, Galli e umbri, che venne però sconfitta nel 295 a.C. a Sentino, dove gli eserciti riuniti dei due Consoli romani, Rulliano e Mure, prevalsero sui nemici. Un'ennesima vittoria romana ad Aquilonia nel 293 a.C., la Fondazione di venosa e le continue razzie nel Sannio, spinsero i sanniti alla capitolazione. Nel 209 Roma concluse la pace con i sanniti e colse una grande vittoria al lago Valdemone su Sabini e Petruzi. Nel 283 anche un'imponente coalizione Gallo- etrusca venne sconfitta. Nel 269 a.C. i piceni, sentendosi accerchiati, tentarono un attacco ai romani, che tuttavia li sconfissero in fretta e completarono una marcia trionfale sull'adriatico con la Fondazione di Rimini nel 268 a.C. Sfere di influenza all’inizio del III secolo a. C.: Roma: aveva compiuto, nei decenni precedenti, le tre guerre sannitiche, vincendole. A questo punto, la sua influenza si espande a vista d'occhio: La Repubblica romana spinge soprattutto verso il Sud Italia. Sud Italia: nel Sud Italia troviamo le città della Magna Grecia, estremamente potenti e sviluppate, che avevano il controllo commerciale del Mediterraneo, grazie ad alcune città: Siracusa, In Sicilia, Reggio, In Calabria e Taranto, in Puglia, capitale della Magna Grecia. Tra le città della Magna Grecia e i romani vi erano dei trattati di non belligeranza, di pacifica convivenza. Sicilia: contesa tra l'impero cartaginese e i greci. Cartagine 36 Roma contro Taranto e Pirro. Nel 305 a.C. Roma e Taranto avevano stipulato il trattato di Capo Lavinio, secondo il quale Roma non avrebbe dovuto invadere la zona marittima sotto l'influenza tarantina. Nel 202 a.C. la città greca di Turi (Calabria), minacciata dai lucani, chiese aiuto a Roma. I romani insediarono una guarnigione nella città e inviarono una flotta nelle acque del Golfo di Taranto. Di fronte alla provocazione alla minaccia, a Taranto prevalse la fazione democratica ostile a Roma: i Tarantini, quindi, attaccarono le navi romane, poi marciarono su Turi cacciando la guarnigione romana. A questo punto, Roma inviò degli ambasciatori a Taranto per discutere un accordo, ma questi furono derisi e oltraggiati. Quando le richieste di accordo pacifico romane vennero ignorate da Taranto, scoppiò la guerra, e i Tarantini, consci di non essere in grado di affrontare Roma da soli, si rivolsero per un aiuto a Pirro, straordinario generale, parente di Alessandro Magno, e re dell'Epiro (attuale Albania meridionale). Nel 280 a.C. Pirro sbarcò in Italia con 22.000 Fanti, 3000 cavalieri e 20 elefanti da guerra, contando le truppe che poteva fornire Taranto e le eventuali città che sperava di convincere. Per affrontare questo schieramento Roma si vide costretta ad arruolare i capite censi, i nullatenenti: i romani subirono una sanguinosa sconfitta ad Eraclea, in Lucania, che fece guadagnare a Pirro il sostegno finanziario e militare di gran parte dell'Italia meridionale. Tuttavia, il suo esercito era troppo esiguo per assediare Roma e il suo tentativo di indurre gli alleati di Roma alla ribellione fallì; perciò, egli fu costretto a riprendere l'offensiva cercando una nuova battaglia, che ebbe luogo nel 279 a.C. ad Ascoli Satriano, e determinò una nuova vittoria per Pirro, le perdite però si acuirono notevolmente. Secondo le cronache, dopo questa vittoria Pirro, camminando sul campo di battaglia e osservando i cadaveri dei nemici, noto sui volti dei cadaveri dei romani un'espressione ancora feroce e digrignata, e, rendendosi conto dello straordinario valore del popolo romano e della sua forza, disse la famosa frase “Se avessi uomini del genere conquisterai il mondo”. Egli non riusciva a concludere la guerra, Roma era protetta e poteva resistere agli attacchi, mentre il rapporto con gli alleati in Italia del Sud si deteriorava soprattutto per le richieste finanziarie di Pirro. Per questo egli accettò le domande d'aiuto che venivano da Siracusa: la città non era più in grado di sostenere da sola la lotta con i cartaginesi per la Sicilia. Pirro accettò immediatamente, individuando nel possesso della Sicilia la chiave per ottenere le risorse che gli avrebbero permesso di chiudere la guerra contro Roma. Di vittoria in vittoria Pirro costrinse i cartaginesi a rinchiudersi nella fortezza di Lilibeo, ma non potendo bloccarla dal mare a causa della superiorità punica in terreno navale, si vide costretto a desistere. A questo punto Pirro immagino di sbloccare la situazione invadendo l'Africa, ma il progetto fallì poiché le continue richieste e i suoi modi autoritari gli fecero perdere la simpatia anche in Sicilia. Anche in Italia la situazione era grave: approfittando dell'assenza di Pirro, i romani avevano riconquistato posizioni. Rispondendo all'appello di lucani, sanniti e bruzi, Pirro decise di lasciare incompiuta l'impresa siciliana e di risalire la penisola, subendo perdite nella traversata a causa dei cartaginesi. Lo scontro decisivo con le forze romane guidate da Manio Curio Dentato Fu nel 275 a.C., Nel luogo in cui venne fondata la colonia Latina dal nome di Benevento: le truppe di Pirro furono messe in fuga. La battaglia di Benevento si svolse su due fronti: quello di Lentulo, ma principalmente quello di Dentato: i romani si trovavano in una posizione sicura, su un'altura, mentre Pirro era giunto, tramite un percorso tortuoso che le cronache descrivono come non frequentato dagli uomini, ma solo dalle capre, in pianura. L'esercito romano era organizzato a manipolo, mentre l'esercito di Pirro avanzava con la formazione della falange macedone, difficile da superare a causa delle lance. A questo punto, il generale Dentato ordinò che la falange venisse dispersa attraverso lanci massicci di giavellotti, cosa che effettivamente avvenne: l'esercito romano riuscì ad infiltrarsi e a guadagnare campo. Ma Pirro aveva il suo asso nella manica: gli elefanti. Questi ultimi, dopo aver spinto i romani fino al loro accampamento, si imbizzarrirono dopo un evento che e le cronache raccontano: un cucciolo di elefante, colpito alla testa, andò alla ricerca della mamma, emettendo barriti che sconvolsero gli altri elefanti; a questo punto, l'arma di Pirro gli si ritorse contro: gli elefanti imbizzarriti iniziano a correre da tutte le parti e investono gli stessi soldati di Pirro. 37 Egli capì di aver perso, ma per non dare l'impressione di aver abbandonato gli alleati, lasciò una guarnigione a Taranto e tornò in Grecia. Nel 272 a.C. Taranto si arrese ed entrò nel novero dei socii (alleati) di Roma. Fonti archeologiche. Roma, sepolcro degli Scipioni: sarcofago di Scipione Barbato (III sec.). L. Cornelius Scipio Barbatus, console nel 298 a.C., durante la Terza Guerra Sannitica (298-290) sottomette la Lucania (298). Il suo sarcofago, rinvenuto nel sepolcro familiare fondato da lui stesso e ora conservato nei Musei Vaticani, mantiene intatto l'epitaffio, probabile estratto della sua laudatio funebris, inciso sulla parte basale del sarcofago in latino arcaico e con metrica saturnina. «Cornelio Lucio Scipione Barbato, generato da Gnaeus suo padre, uomo forte e saggio, la cui apparenza era in armonia con la sua virtù, che fu console, censore, e edile fra voi - Catturò Taurasia Cisauna nel Sannio - soggiogò tutta la Loucana e ne tradusse ostaggi.» Fonti iconografiche: affresco dalla Tomba c.d. dei Fabii. Affresco di soggetto storico con iscrizioni dipinte, raffigurante episodi di combattimento, trattativa e tregua/accordo tra personaggi armati, Romani e non Romani (Italici, forse Sanniti). Tra i personaggi raffigurati nella fascia intermedia, segnalati da didascalie latine, compaiono un romano, Q(uintos) Fabio(s), e un non Romano (Sannita?), [F]anio(s), che si accordano con una stretta di mano. Gli episodi sono forse riferibili a una Guerra Sannitica, la Seconda (326-304) o la Terza (298-290): gli affreschi possono dunque datarsi c.a. 300-280 a.C. Situazione dopo la battaglia di Benevento: 40 3. L'anno successivo attraversò l'Appennino e batté le legioni di Roma nella battaglia del lago Trasimeno. Essa è una battaglia di particolare importanza nella storia della tattica militare perché è la prima vinta per superiorità di manovra, ossia un esercito ottiene una posizione sul terreno tale da impedire all'avversario qualunque difesa e costringendolo quindi alla resa, cosa che i Romani non fecero preferendo farsi massacrare. 4. Sapendo di non poter assediare Roma prima di aver raccolto attorno a sé le popolazioni dell'Italia centrale e meridionale si diresse verso la Puglia dove, a Canne, inferse una tremenda sconfitta all'esercito romano nel 215 a.C. 5. Roma lentamente si riprese e adottando nuovamente la tattica del logoramento, ideata dal dittatore Quinto Fabio Massimo, che poi prenderà il soprannome di "cunctator" (temporeggiatore) per anni e con alterne fortune, combatté il generale cartaginese restringendo sempre di più il territorio della sua azione riconquistando man mano le città che Annibale conquistava, non appena le condizioni militari o sociali lo consentivano. Così Capua e Taranto, per citare le più importanti, passarono di mano da Roma ad Annibale e di nuovo a Roma. 6. Nel 212 a.C. anche Taranto si schierò con Cartagine, ma un piccolo presidio romano continua ad occupare la città e sorvegliare il porto, impedendo ad Annibale di ottenere via mare i rinforzi necessari. 7. In maniera non determinante fu coinvolto anche il re Filippo V di Macedonia che si alleò con Annibale e provò a combattere i romani, i quali si stavano espandendo nell'Illiria e quindi si avvicinavano ai suoi territori. Roma mosse la sua diplomazia e le sue legioni riuscendo a fermare i Macedoni senza grandi sforzi. 8. La svolta decisiva della guerra si ebbe in Spagna: dopo la sconfitta sul Trebbia, i fratelli Scipione, Publio Cornelio e Gneo Cornelio, riuscirono ad impedire ad Annibale di ricevere aiuti dalla Spagna, ma nel 211 a.C. vennero sconfitti e uccisi. I romani si ritirarono fino a quando venne nominato comandante delle truppe in Spagna il figlio omonimo di Publio Cornelio Scipione (il futuro “africano”). Egli non aveva il titolo per comandare un esercito ma venne scelto dall'assemblea popolare con un procedimento senza precedenti nella prassi istituzionale romana, ovvero in virtù delle sue qualità personali, di cui darà prova nel 209 a. C., Impadronendosi della principale base cartaginese in Spagna, Nova Carthago, e sconfiggendo nel 208 Asdrubale, fratello di Annibale. 9. Scipione non riuscì però ad impedire che Asdrubale alludesse alla sorveglianza romana e tentasse di portare aiuto al fratello in Italia. La spedizione fu rintracciata e distrutta sul fiume Metauro, nelle Marche, 41 nel 207 a.C. Dagli eserciti di Marco Livio Salinatore e Caio Claudio Nerone. Annibale ormai impotente si ritirò a Bruzio. 10. Tornato in Italia Scipione fu eletto console e iniziò i preparativi per l'invasione dell'africa: importante si rivelò l'alleanza con Massinissa, re della tribù numida e de massili in rivolta contro Cartagine. Sbarcò in Africa nel 204 a.C. è l'anno successivo Scipione e Massinissa vinsero la battaglia dei Campi Magni. La battaglia che pose fine al conflitto fu nel 202 nei pressi della città di zama la cavalleria di Massinissa diede la vittoria i romani. 11. Il trattato di pace venne firmato nel 201 a.C. e prevedeva la consegna di tutta la flotta cartaginese, tranne 10 navi, e il pagamento di una fortissima indennità. Cartagine doveva rinunciare a tutti i suoi possedimenti al di fuori dell'Africa e riconoscere il potente Regno di Massinissa, e non poteva dichiarare guerra senza il permesso di Roma. 42 La seconda guerra macedonica. La prima guerra macedonica aveva portato in dote a Roma una serie di vincoli e di buone relazioni con Rodi, Pergamo, Atene e la Lega Etolica. Quando questi Stati si trovarono in difficoltà nel confronto con Filippo V di Macedonia, chiesero aiuto a Roma. I dubbi sull’accettare o no di prestare soccorso a tali Stati furono molti: Roma era appena uscita da un lungo e sanguinoso conflitto con Cartagine, ed entrare in contrasto con una grande potenza come la Macedonia non assicurava la riuscita dell'impresa. Ma su tutti questi dubbi prevalse la vocazione imperialistica di Roma, che decise di dichiarare guerra alla Macedonia. Roma decise di inviare un ultimatum a Filippo, in cui si intimava di risarcire i danni di guerra inflitti agli alleati di Roma e astenersi dall'attaccare gli Stati greci: azione di propaganda per presentare Roma come protettrice della Grecia. Filippo V ignoro l'ultimatum, ma comunque la mossa diplomatica valse a Roma il sostegno di alcuni stati, tra cui Atene. Nel 200 a.C. le forze romane sbarcarono ad Apollonia e per due anni si impegnarono in azioni non risolutive contro le forze macedoni. La svolta si ebbe nel 198 a.C, con la nomina a comandante delle forze romane del giovane console Tito Quinzio Flaminio, che costrinse Filippo V ad arretrare in Macedonia e gli chiese la liberazione della Tessaglia; la richiesta venne respinta ma destò impressione. Ad uno ad uno Gli Stati della Grecia si schierarono con i “liberatori”, anche la Lega Achea, tradizionalmente filomacedone. Il re macedone fu costretto ad accettare le condizioni di pace. La Grecia, liberata dall’egemonia macedone, seppe il suo destino in occasione dei giochi istmici del 196 a.C., in occasione dei quali Flaminio proclamò la libertà ai greci, ma anche l'obbligo di versare tributi ed ospitare guarnigioni degli Stati un tempo soggetti a Filippo V. Le fonti letterarie. Dossier epigrafico di Larisa (Tessaglia), La prima lettera di Filippo V ai Larisei (217 a.C.): II. «Il re Filippo ai tagoi e alla città dei Larisei: salute. Petraios, Anankippos e Aristonoos, quando sono venuti in ambasceria, mi hanno spiegato che la vostra città a causa delle guerre ha una grave penuria di abitanti; finché dunque non provvederemo anche altri che siano degni della cittadinanza presso di voi, per il momento stabilisco che voi decidiate per votazione che sia concessa la cittadinanza a quei Tessali o altri greci che abitano presso di voi. Dopo che questo sarà stato realizzato e che tutti resteranno uniti grazie a questi atti di generosità, infatti, sono convinto che molte altre conseguenze utili ne verranno sia a me che alla città, e che la campagna potrà essere meglio sfruttata. La seconda lettera di Filippo V ai Larisei (215 a.C.): IV. «Il re Filippo ai tagoi e alla città dei Larisei: salute. Sono venuto a sapere che coloro che erano stati iscritti fra i cittadini secondo la mia lettera e il vostro decreto, dopo esser stati registrati sulle stele, sono stati cancellati. Se davvero è avvenuto questo, coloro che vi hanno consigliato non avevano ben compreso né l'interesse della patria, né il mio giudizio. Che infatti la cosa migliore fra tutte sia che, con la condivisione della cittadinanza da parte del maggior numero possibile di persone, la città sia forte e la campagna non resti, come è ora, vergognosamente incolta, credo che nessuno fra voi possa contestarlo; si può inoltre constatare come anche gli altri utilizzino un sistema simile di iscrizione nella cittadinanza, fra i quali sono anche i Romani, che anzi quando liberano gli schiavi li accolgono nella cittadinanza e li rendono partecipi delle magistrature, e grazie a un simile sistema non solo hanno accresciuto la propria patria, ma fondato anche colonie in quasi 70 località diverse. Insomma vi invito ancora una volta ad affrontare il problema senza egoismi, e ad ammettere nella cittadinanza coloro che sono stati scelti dai cittadini, e se qualcuno ha commesso qualche colpa irreparabile verso il regno o la città, o per qualche altra ragione non è degno di far parte dell' questa stele, su questi si sospenda il giudizio, finché io, al ritorno dalla campagna militare, non ascolti direttamente : a coloro che hanno l'intenzione di accusare costoro fate tuttavia sapere che non deve risultare che lo fanno per ragioni egoistiche. 45 accettare una pace umiliante per i romani, che il Senato immediatamente disconobbe per poi affidare l'assedio a Scipione emiliano, che nel 133 conquistò e distrusse Numanzia. Colonie romane e colonie latine. Colonie di diritto romano: Cives Romani Colonie di diritto latino: Cittadini latini (ius Latii) IV sec. Ostia (Lazio) epoca regia? Anzio (Lazio) 338 Terracina (Lazio) 329 Fregelle (Lazio) 328 • Coloniae Latinae antiquissimae (V-IV sec., prima del 338 a.C., abolizione della Lega Latina), situate nel Lazio ed Etruria: Suessa Pomezia, Cora, Segni e Velletri (494); Norba (492); Ardea (442); Labici (418); Circeo (393); Satricum (385); • Colonie latine fondate dopo il 338 a.C.: Cales (Campania) 334 Lucera (Puglia) 314 Saticula (Campania) 313 III sec. 300-264 Senigallia (Marche) 289 Castrum Novum / Giulianova (Abruzzo adriatico) 283 Castrum Novum / Santa Marinella (Etruria, Lazio) 264 Hatria / Atri (Abruzzo adriatico) 289 Cosa (Etruria) 273 Paestum (Campania) 273 Rimini (Romagna) 268 Benevento (Sannio, Campania) 268 III sec 264-201 a.C. Pyrgi (Etruria, Lazio) 247 Alsium (Etruria, Lazio) 247 Fregene (Etruria, Lazio) 245 Brindisi (Puglia) 246 Spoleto (Umbria) 241 Narni (Umbria) 229 Cremona (Lombardia) 218 Piacenza (Lombardia) 218 II sec. Pozzuoli, Volturno, Literno e Salerno (Campania) 194 Busento (Campania/Basilicata) 194 Crotone (Calabria jonica) 194 Tempsa (Calabria tirrenica) 194 Siponto (Puglia) 194 Pesaro e Potenza Picena (Marche) 184 Castra Hannibalis? / Catanzaro Marina (Calabria jonica) 199 Copia (Thurii, Calabria jonica) 193 Vibo Valentia (Calabria tirrenica) 192 Bologna (Emilia) 189 Aquileia (Venezia Giulia) 181 46 La crisi della Repubblica e le guerre civili (Dai Gracchi ad Azio) Dai Gracchi alla guerra sociale La tradizione storiografica aristocratica dominante nelle nostre fonti, con polemica contro il tribunato della plebe, hai identificato nell'età dei gracchi l'origine della degenerazione dello Stato romano, non più fondato sulla solidarietà civica e il rispetto della tradizione; è l'inizio del tempo delle guerre civili. Mutamento degli equilibri sociali. La guerra annibalica aveva percorso tutta l'Italia e inferto ferite alla sua agricoltura: le continue campagne belliche oltremare avevano tenuto i romani e gli alleati a lungo lontano dei campi. Inoltre, le conquiste esterne avevano comportato un consistente afflusso di ricchezze nelle mani di pochi. L’ afflusso di questi capitali aveva profondamente modificato la struttura sociale ed economica: romani e italici entrarono nel grande commercio e i negotiatores, uomini d'affari, si installarono nelle nuove province. Questi esercitavano anche le attività bancarie, le quali arricchirono a dismisura i senatori, che le esercitavano tramite dei prestanome (essendo loro interdetto il grande commercio dalla lex Claudia del 218). In quest'epoca si diffuse prepotentemente la cultura ellenistica nel mondo romano e i giovani rampolli delle famiglie nobili vennero educati da precettori greci. Greci erano anche gli schiavi particolarmente colti a cui i padroni affidavano all'amministrazione delle loro proprietà, delle loro case e dei loro patrimoni, oppure la gestione domestica e la mensa. Crisi della piccola proprietà fondiaria e inurbamento. Lo sviluppo degli scambi commerciali aveva modificato la fisionomia dell'agricoltura italica: Il massiccio ricorso alla manodopera servile, l'importazione di grandi quantità di grano e di materie prime costituirono una concorrenza rovinosa per i piccoli proprietari, che, già impoveriti dagli effetti delle guerre, si erano spesso trovati a dover vendere la loro proprietà. Il modello di proprietà che si impose in questi anni fu la grande azienda agricola, caratterizzata dalla produzione di prodotti destinati al commercio più che all'autoconsumo (olio, vino, bestiame), che necessitava di vaste superfici coltivabili. Questo nuovo modello di proprietà era basato sullo sfruttamento intensivo di personale schiavile, ed era diretto da schiavi- manager, alle cui dipendenze si trovavano schiavi operai agricoltori o artigiani altamente specializzati. Molti di coloro che erano costretti a vendere sceglievano di trapiantare la propria vita in città, e fu appunto in questo periodo che Roma divenne una metropoli, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che questa trasformazione dovuta all'innalzamento comportava. Rivolte servili. La nascita delle grandi tenute a personale schiavile aveva aumentato a dismisura il numero di schiavi presenti nella penisola italiana. La maggior parte di essi era impegnata nelle grandi aziende agricole o addetta alla Guardia del bestiame nei grandi terreni pascolabili, e di solito erano tenuti in condizione di vita a dir poco disumane. Lì dove si riproducevano più frequentemente tali situazioni si ebbero diverse rivolte servili. Un caso emblematico è quello della Sicilia: 1° Rivolta Servile in Sicilia (139-132): Gli schiavi greci Euno di Siria e Kleon di Cilicia guidarono una grande rivolta di schiavi rurali (contadini, pastori) in Sicilia, prendendo molte città (Henna), con l’intenzione di costituire la città- stato comunistica di Heliopolis (la ‘Città del Sole’). 2° Rivolta Servile in Campania e Sicilia (104-101): I Bitini richiedono al Senato di liberare migliaia di Greci d’Asia Minore illegalmente rapiti dai pirati e venduti come schiavi dai publicani in Sicilia: Salvio Trifone e Atenione diventano re- sacerdoti della rivolta servile. 47 Rivolta di Spartaco in Campania e Italia (73-71): Gli schiavi-gladiatori Spartaco il Trace e Crisso il Gallo guidano una rivolta da Capua (Campania) all’intera Italia, ottengono l’appoggio dei proletari italici e progettano di fuggire dall’Italia: il senatore Marco Licinio Crasso ottiene uno speciale incarico militare e vince Spartaco in Calabria (Bruttii) – Crasso fa crocifiggere 6.000 ribelli lungo la via Appia. Due fazioni dell'aristocrazia: optimates e populares. I cambiamenti sociali seguiti dall'espansione romana nel Mediterraneo toccarono anche la classe dirigente di Roma, la nobilitas. Si delinearono due fazioni:  Optimates: erano così chiamati i fautori di una politica di sostegno al Senato che fosse interessata al bene dello Stato, all'opinione dei “benepensanti” e al perpetuare la nobile tradizione degli avi  Populares: costoro erano i nobili che difendevano gli interessi del popolo, predicando la necessità di riforme che rendessero più equo lo stato delle cose. Un esempio della loro azione è costituito dall'approvazione di tre leggi tabellarie, Che indussero l'espressione scritta del voto nei comizi legislativi ed elettorali e nei giudizi popolari. La questione dell'ager publicus e il tentativo di riforma agraria di Caio Lelio. Le guerre di conquista avevano fatto crescere il territorio dell'ager publicus, terreno demaniale di proprietà dello Stato. Parti di esso erano spesso concesse in uso ai privati a titolo di occupatio: la proprietà restava sempre allo Stato che aveva la facoltà di revocare il possesso. L'utilizzo era garantito ai detentori dietro pagamento di un canone, che spesso lo Stato non richiedeva neanche. La concentrazione Fondiaria in poche mani generò la necessità di riforme che fissassero il modo più equo la dimensione massima di terreno pubblico concedibile ad un privato cittadino. L'ultima di tali leggi era stata proposta da Caio Lelio. Il suo progetto aveva però attirato contro di lui l'opposizione dei senatori, e preferì rinunciare. 50 Arrivarono le reazioni degli ambienti commerciali: i mercanti del Nordafrica, tempestarono i loro agenti e rappresentanti romani di lettere di protesta. In questo clima di polemica, un certo Caio Mario fu eletto console nel 107 a.C. e ignorando la proroga che il Senato aveva dato a Metello, con un Plebiscito gli viene affidato il comando della guerra contro Giugurta. Mario era un Homo novus, originario di Arpino, non poteva vantare alcune antenato illustre ed era il primo della famiglia ad arrivare i sommi vertici dello Stato. Mario incarnava un nuovo tipo di politico, uscito dall'ambiente equestre che aveva acquisito prestigio unicamente con azioni militari. Tuttavia c'era scarsità di uomini di arruolare (allora li si arruolava solo dalle 5 classi censitarie), e Mario risolve il problema aprendo l'arruolamento anche ai nullatenenti (capite censi) e facendo sì che fosse lo stato a provvedere al loro armamento, una pratica che dopo di lui divenne d'uso regolare. Mario fece presto ritorno in Africa con il suo nuovo esercito e riuscì a spingersi in profondità nel territorio numidico infliggendo gravi perdite al nemico. Grazie all'opera di Lucio Cornelio Silla, Bocco, suocero di Giugurta e re di Mauritania, tradì Giugurta e lo consegnò ai romani nel 105 a.C. Cimbri, Teutoni e ulteriori trasformazioni militari. Nel frattempo, due popolazioni germaniche, Cimbri (provenienti probabilmente dalla penisola dello Jutland, in Danimarca) e Teutoni (insediati nella zona di Holstein), avevano iniziato a migrare verso sud spinti da problemi di sovrappopolamento o maree che avevano reso inagibili le loro sedi. Oltrepassato il medio corso del Danubio, furono affrontati al di là delle Alpi dal console Cneo Papirio Carbone, inviato a proteggere i confini dell'Italia e a tutelare una zona commerciale ricca di miniere d'oro e di ferro: presso Noreia, i romani furono sconfitti nel 113 a.C. Continuando il cammino verso Occidente i Cimbri e i Teutoni comparvero in Gallia, minacciando la nuova provincia narbonese: i romani subirono gravi sconfitte fino alla catastrofe di Arausio nel 105 a.C. A Roma cresceva la polemica verso l'incapacità dei generali di origine nobile e cresceva il terrore che i Cimbri e i Teutoni potessero invadere l'Italia. Per risolvere l'emergenza si ricorse a una misura politica del tutto nuova, rinnovando a Caio Mario il consolato per 5 anni consecutivi, dal 104 al 100 a.C., e consentendogli di rinnovare profondamente all'esercito: il console eliminò la struttura in manipoli e riorganizzò le legioni in 10 coorti da 600 uomini ciascuna, unità in grado di operare in autonomia e che resero l'esercito più manovrabile. Il suo lavoro di riorganizzazione toccò quasi tutti gli aspetti dell'attività militare, dall'addestramento individuale, all'equipaggiamento, all'armamento e le insegne della legione. Nel frattempo, Teutoni e Cimbri si erano divisi e Mario poté batterli rispettivamente nel 202 ad Aquae Sextiae e nel 101 ai Campi Raudii, presso l'odierna Vercelli. 51 Eclissi politica di Mario: Glaucia e Saturnino. In politica interna Mario si alleò con Lucio Apuleio Saturnino, un nobile che nel 103 fu eletto tribuno della plebe. Egli: 1. Fece approvare una distribuzione delle terre in Africa a ciascuno dei veterani delle campagne africane di Mario 2. Propose una legge frumentaria che riduceva il prezzo politico del grano fissato da Caio Gracco 3. Presentò una legge che puniva il reato, dai contorni non chiari, di lesione all'autorità del popolo romano, compiuto dai magistrati. Nel 100 a.C. Mario rivestì il suo sesto consolato, Saturnino divenne tribuno della plebe per la seconda volta e Glaucia, un popolare della fazione di Mario, divenne pretore. Contando sull'appoggio di Mario, Saturnino presentò una legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre nella Gallia meridionale e la fondazione di colonie in Sicilia, Acaia e Macedonia, e vi incluse una clausola che obbligava il Senato a rispettarla mediante un giuramento; l'unico a rifiutarsi di giurare fu Quinto Cecilio Metello Numidico, che preferì la via dell'esilio. Per poter sviluppare il suo programma, Saturnino ottenne la rielezione anche per l'anno dopo, mentre Glaucia si candidò per il consolato. Durante le votazioni scoppiarono tumulti. Il Senato proclamò, come contro Gaio Gracco, il senatus consultum ultimum. Mario, come console, dovete applicarlo contro i suoi stessi alleati politici: Saturnino e Glaucia furono uccisi, il prestigio di Mario uscì molto compromesso, tanto che egli stesso preferì allontanarsi da Roma. Pirati; schiavi; Cirenaica. Lista allearsi di Roma in Anatolia l'aveva condotta a stretto contatto con un problema tipico di quella zona: la pirateria. Nella particolare conformazione dell'Asia Minore meridionale, si succedevano le due Cilice: La Cilicia Trachea (Cilicia aspra) ad Occidente, selvaggia, montuosa e a picco sul mare La Cilicia Pedias (Cilicia piana) ad Oriente, pianeggiante e urbanizzata, con al centro Tarso. Il brigantaggio interno nella Cilicia Trachea si aggiungeva all'attività piratica sulla costa. Essa minacciava l'asse marittimo che dall’ Egeo conduceva a Cipro e alla Siria- fenicia. Mentre Roma si accingeva a concludere le guerre cimbriche, l'azione dei pirati fu avvertita come pericolosa per la sicurezza degli affari dei mercanti romani nei mari greci. Nel 102 a.C. si decise di intervenire inviando il pretore Marco Antonio con il compito di distruggere le principali basi anatoliche dei pirati e di impadronirsene. L'azione ebbe successo e la promulgazione nel 101- 100 a.C. Di una legge con le misure anti-piratiche dimostra che il problema era ritenuto incombente e irrisolto. Inoltre, aumentavano le proteste di re Nicomede III per i pirati, ed era sempre più frequente la schiavitù per debiti; ciò indusse a Roma a porre rimedio con un provvedimento che ordinava ai governatori provinciali di condurre inchieste in merito. Dopo una prima fase di applicazione che portò alla liberazione di molti, la crescente opposizione dei detentori di schiavi fece sì che non si procedesse oltre. Ne scaturirono molte rivolte servili, tra cui il grande sommovimento in Sicilia tra il 104 e il 100 a.C. Nel 96 a.C. venne lasciata, forse per testamento, A Roma una parte cospicua del territorio tolemaico, la Cirenaica. Marco Livio Druso e la concessione della cittadinanza agli italici. Al termine del sesto consolato di Mario la tensione tra optimates e populares andò acuendosi sempre di più. Nel 98 a.C. un provvedimento vietò di presentare le lex sature, ovvero che comprendessero più argomenti sconnessi tra loro, e resi obbligatori un intervallo di tre nundinae (giorni di mercato a cadenza settimanale) tra l'affissione di una proposta di legge la sua votazione. Continuava anche il conflitto tra senatori e cavalieri per impadronirsi in esclusiva dei tribunali permanenti e per i processi di concussione. In questa atmosfera fu eletto tra i tribuni della plebe nel 91 a.C. Marco Livio Druso, Figlio del tribuno che aveva osteggiato Gaio Gracco. Figura enigmatica di aristocratico, tentò di destreggiarsi tra le varie parti con una politica di reciproca compensazione: da un lato promulgò provvedimenti di contenuto popolare, come una legge agraria a volta la distribuzione di nuovi 52 appezzamenti e alla deduzione di nuove colonie e una legge frumentaria che abbassava il prezzo politico del grano, dall'altro restituire ai senatori i tribunali per le cause di concussione proponendo però l'ammissione dei cavalieri in Senato. Ma il suo provvedimento più importante fu la proposta di concedere la cittadinanza romana agli italici, provvedimento che suscitò una fortissima opposizione e che portò al suo assassinio. La guerra sociale. Con l'unificazione del Mediterraneo sotto lo stato romano le differenze tra l'aristocrazia romana e quella Latina erano andate perdendosi. Ma la condizione di cittadino romano era divenuta sempre più vantaggiosa: infatti delle distribuzioni agrarie beneficiavano solo i cittadini romani, mentre gli italici ne erano esclusi e in più si vedevano portare via terreni da loro a lungo utilizzati e messi a coltura. Non avevano parte nelle decisioni politiche, economiche e militari che pure coinvolgevano i loro interessi. Perfino nell'esercito tutta la struttura era concepita a favore dei cittadini romani. L'assassinio di Druso fece capire gli alleati che solo una rivolta armata avrebbe potuto rivendicare i loro diritti. Il segnale delle ostilità partì da Ascoli, ove il pretore e tutti i romani residenti nella città vennero massacrati nel 90 a.C. Non aderirono alla rivolta alle città greche del meridione, gli etruschi, gli umbri e le città latine. Fu una guerra lunga e sanguinosa combattuta contro popoli addestrati a combattere alla maniera romana. Gli italici si diedero un'organizzazione federale con capitale Corfinium e batterono moneta con legenda Italia / Vitulia. I loro scopi non erano sempre comuni: in alcuni ambienti prevaleva l'esigenza di conseguire la cittadinanza romana in altri valeva lo spirito di rivalsa contro Roma. I due Consoli si spartirono i due fronti principali nel 90 a.C.: a nord il console Publio Rutilio Lupo, che aveva come suoi legati Cneo Pompeo Strabone e Caio Mario, e a sud il console Lucio Giulio Cesare, che aveva i suoi luogotenenti in Lucio Cornelio Silla. Vittoria sconfitte si alternarono su entrambi i fronti senza mai risultare decisive, così come la morte di Publio Rutilio Lupo, sostituito nel comando da Caio Mario. L'andamento incerto delle operazioni fece maturare a Roma una soluzione politica del conflitto: con un primo provvedimento si erano autorizzati comandanti militari ad accordare la cittadinanza agli alleati che combattevano ai loro ordini, venne poi approvato una legge che concedeva la cittadinanza romana agli alleati rimasti fedeli e alle comunità che avessero deposto le armi. Nell’89 a.C. un altro provvedimento estendeva la cittadinanza a quanti degli italici si fossero registrati presso il pretore di Roma entro 60 giorni. Con la concessione della cittadinanza tutta l'Italia fino alla transpadana si inaugurava sia un processo di unificazione politica dell'Italia sia una nuova fase nella storia delle istituzioni di Roma, con ripercussioni importanti nella costruzione del corpo civico nella vita stessa della città. 55 Il tribunato di Publio Sulpicio Rufo e il ritorno di Mario; Silla marcia su Roma. La prima fase della prima guerra mitridatica. Con Silla impegnato nell'assedio di Nola (89 a.C.), Il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo si adoperava per togliergli il comando delle operazioni contro Mitridate e per farlo assegnare a Caio Mario, riprendendo anche il problema dell'inserimento di nuovi cittadini italici nelle 35 tribù romane. Il loro numero era tale che se fossero stati inseriti in tutte le tribù si sarebbero trovati in condizioni di maggioranza e avrebbero annullato il primato politico dei romani. Si ricorse allora l'espediente di inserirli solamente in alcune delle tribù, conservando così un vantaggio politico grazie alla votazione per tribù che vigeva nei comizi tributi. Intanto la guerra sociale e le azioni di Mitridate avevano portato ad un impoverimento complessivo tanto dello Stato romano che dei singoli, generando una profonda crisi finanziaria, alla quale Rufo cercò di rispondere con una serie di provvedimenti:  Il richiamo dall'esilio di quanti si erano schierati con gli italici durante la guerra  L'inserimento dei neocittadini in tutte le 35 tribù romane  Un limite massimo di indebitamento di 2000 denari per ogni senatore prima di venire espulsi dal Senato Inoltre, Rufo riuscì a far togliere il comando della guerra contro Mitridate a Silla per affidarlo a Mario. a questo punto Silla, presa Nola, non esitò a marciare su Roma con i suoi soldati, dimostrando che ormai le truppe erano più legate ai propri generali che ha uno stato spesso sentito come ostile. Impadronitisi di Roma, Silla fece dichiarare i propri avversari nemici pubblici; Sulpicio vide la propria legislazione abrogata e venne ucciso, mentre Mario riuscì a rifugiarsi in Africa presso i suoi clienti. Prima di recarsi in Oriente, Silla stabilì che ogni proposta di legge avrebbe dovuto essere approvata dal Senato prima di essere votata dalle assemblee e che l'intera funzione legislativa sarebbe d'ora in avanti spettata ai commessi centuriati. Alla fine dell'anno Silla partì per l'oriente, senza tuttavia impedire l'elezione dei Consoli a lui ostili per l'anno successivo. Dall' 80 all' 86 a.C. Silla fu impegnato nella prima guerra mitridatica, durante la quale conquistò e saccheggiò Atene e sconfisse le armate pontiche ad Acheronea e a Orcomeno. Lucio Cornelio Cinna e l'ultimo consolato di Mario. Nell' 80 a.C. venne nominato console Lucio Cornelio Cinna, sostenitore di Mario, che aveva intanto ripreso la proposta di iscrivere i neocittadini italici in tutte le 35 e le tribù. Cacciato da Roma si era rifugiato in Campania, dove venne raggiunto da Mario. Insieme marciarono su Roma e presero la città con la forza, dichiarando Silla nemico pubblico. Mario fu eletto console insieme a Cinna nell’ 86 a.C., ma Mario morì poco dopo essere entrato in carica. Essendo Silla messo in fuga, la guerra contro Mitridate fu affidata a console Lucio Valerio Flacco. Cinna venne rieletto console, e risolse la questione della cittadinanza con l'immissione dei neocittadini in tutte le 35 tribù. Verso alla fine dell' 84 a.C., Alla notizia dell'imminente ritorno di Silla, Cinna cerco di anticiparlo ammazzando le forze ad Ancona, ma fu ucciso dai suoi stessi soldati. 56 Conclusione della prima guerra mitridatica. Nell’86 a.C. due armate romane di opposte fazioni si trovavano presenti in Grecia, una con a capo Silla e l'altra con a capo Flacco. Le due armate non si scontrarono mai, ma agirono parallelamente rintracciando Mitridate in Asia, la cui posizione era sempre più precaria, visto che molti dei suoi alleati avevano disertato. Silla, attento sempre all'evolversi degli eventi di Roma, aveva fretta di chiudere le ostilità. Si giunse quindi alle trattative di pace, Firmate a Dardano nell’ 85 a.C. Mitridate conservava il suo Regno, ma doveva evacuare il resto dell'Asia, ed era obbligato a versare una forte indennità di guerra e consegnare la propria flotta. Silla poté finalmente sbarcare in Italia carico di bottino, ma le ostilità in Anatolia non cessarono: Lucio Licinio Murena, governatore che Silla aveva lasciato a capo dell'esercito, accusava Mitridate di voler tornare alle armi; all'ennesima provocazione, Mitridate reagì, finché i due contendenti non furono fermati da Silla. Questo prolungamento del conflitto fu definito “seconda guerra mitridatica”. Intanto la Siria, in preda ad una crisi dinastica, era entrata nell'orbita del re della Bitinia Tigrane. Le proscrizioni. Silla dittatore. Sbarcato a Brindisi nell' 83 a.C., Silla fu raggiunto dal giovane Pompeo (figlio di Strabone) e da Marco Licinio Crasso, e impiegò due anni per sconfiggere tutti i suoi avversari Mariani. Dopo aver ripreso il meridione, sconfisse Caio Mario il giovane (assediato a Preneste, si uccise), si impadronì di Roma e distrusse le ultime resistenze avversarie nella battaglia di Porta Collina (82 a.C.), cui fece seguito il massacro di tutti i prigionieri. L'ultimo tassello dell'operazione fu l'invio di Pompeo in missione per eliminare gli ultimi Mariani in Spagna e in Africa; Silla lo gratificò con l’epiteto “Magno”. Per rendere definitiva la sua vittoria, Silla introdusse le liste di proscrizione, elenchi di avversari politici i cui nomi venivano notificati al pubblico: chiunque poteva ucciderli impunemente. I loro beni furono confiscati e venduti all'asta, i loro figli e discendenti esclusi da ogni carica. Un certo numero di famiglie scomparve, mentre altre si arricchirono e salirono alla ribalta, trovandosi ad ascendere a posizioni dominanti, che mai avrebbero raggiunto altrimenti. Le comunità mariane subirono confische territoriali utilizzate per dedurre territori a favore dei veterani di Silla. Poiché entrambi Consoli dell'82 a.C. morirono nel conflitto, fu nominato un Interrex, Lucio Valerio Flacco, che, invece di nominare i Consoli, presentò ai comizi una proposta che nominava Silla dittatore con l'incarico di redigere leggi e organizzare lo Stato. Tale dittatura, a differenza di quella tradizionale, era a tempo indeterminato, e non era incompatibile con il consolato, che Silla stesso ricoprì nell'ottanta a.C. 57 Riforme di Silla:  Il Senato, falcidiato da guerre e proscrizioni, fu portato da 300 a 600 membri, con l'immissione di numerosi sillani, nonché di cavalieri ed esponenti dell'aristocrazia italica  Fu aumentato il numero di pretori in conseguenza all'aumento dei tribunali permanenti, che vennero nuovamente concessi in esclusiva ai senatori  Per limitare le ostentazioni di ricchezza, fu fissato un limite massimo di spese per banchetti e funerali  Vennero regolamentati l'ordine di successione alle magistrature e le età minime per accedervi  Furono ridimensionati i poteri dei tribuni della plebe, a cui fu tolto il diritto di porre leggi e il diritto di veto venne limitato. Fu fatto divieto a chi fosse divenuto tribuno di ricoprire ogni altra carica  Vennero abolite le distribuzioni frammentarie Il tentativo di reazione antisillana di Marco Emilio Lepido. Nel 78 a.C., Uno dei Consoli, Marco Emilio Lepido, aveva cercato di ridimensionare l'ordinamento sillano, proponendo il richiamo dei proscritti in esilio, il ripristino delle distribuzioni frumentarie a prezzo politico e la restituzione agli antichi proprietari delle terre confiscate a favore dei coloni insediati da Silla. L'opposizione ai suoi progetti scatenò una rivolta in Etruria, alla quale egli stesso partecipo marciando su Roma, reclamando la restaurazione dei poteri dei tribuni della plebe. Il Senato emanò il senatus consultum ultimum, ordinando di difendere lo stato con qualsiasi mezzo. Venne affidato eccezionalmente a Pompeo l'imperium, senza che egli avesse mai ricoperto alcuna magistratura superiore. La rivolta venne presto stroncata e Lepido fuggì in Sardegna dove morì poco dopo. L’ultima resistenza mariana; Sertorio. Quinto Sertorio si era distinto nelle file mariane, contro i cimbri e i teutoni e poi ancora nella guerra sociale. Dopo le prime vittorie di Silla, aveva raggiunto il suo posto di governatore nella Spagna Citeriore e qui aveva dato vita ad un vero e proprio stato Mariano in esilio. Tutti i tentativi di abbatterlo si rivelarono vani, grazie alla sua grande capacità militare e alla perfetta conoscenza del territorio. Il governatore della Spagna Ulteriore, Quinto Cecilio Metello Pio, non riusciva a risolvere la situazione di guerriglia in cui Sertorio lo aveva attirato. Nel 77 a.C., Raggiunsero Sertorio anche le truppe di Paperna. Egli istituì Osca come sua capitale e creò un Senato di 300 membri e una scuola presso cui i figli dei capi iberici venivano educati alla romana. Il Senato romano ricorse ancora una volta a Pompeo, affidandogli la Spagna Citeriore con un nuovo imperium straordinario. Pompeo subì inizialmente una serie di sconfitte da Sertorio, solo in parte bilanciati dai successi di Metello. L'arrivo dei rinforzi consentì a Pompeo di ottenere una serie di vittorie che compromisero le alleanze e il prestigio di Sertorio, finché Paperna non lo assassinò. Lo stesso Paperna venne sconfitto e giustiziato da Pompeo, che vinse anche le ultime sacche di resistenza. La rivolta di Spartaco. Intanto in Italia, nel 73 a.C., era scoppiata la più grande rivolta servile di quei tempi. I gladiatori di una scuola gladiatoria si asserragliarono sul Vesuvio insieme ad altri schiavi e gladiatori provenienti da ogni parte d'Italia, capeggiati dal trace Spartaco e dal gallo Crisso. I ribelli sollevarono tutto il meridione italiano, e intendevano valicare le Alpi per permettere ad ognuno di raggiungere il proprio paese d'origine. Arrivarono fino alla cisalpina, poi virarono verso sud. Il Senato affido un comando eccezionale e un considerevole esercito a Marco Licinio Crasso, che riuscì ad isolare i ribelli in Calabria e pagò i pirati che negarono a Spartaco il passaggio in Sicilia. I ribelli furono sconfitti in Lucania e migliaia di prigionieri furono fatti crocifiggere lungo la via Appia, tra Roma e Capua. I superstiti che tentarono di raggiungere le Alpi furono annientati da Pompeo in Etruria. 60 Dal primo triumvirato alle idi di Marzo Il ritorno di Pompeo e il cosiddetto “primo triumvirato”. Nel 62 a.C. Pompeo tornò in Italia e smobilitò l'esercito, sicuro di vedere ratificati dal Senato i provvedimenti che aveva preso in Oriente e le usuali concessioni di terre per i suoi veterani. In Senato però i suoi avversari politici, soprattutto i Metelli, lo umiliarono facendo rimandare di giorno in giorno questi riconoscimenti in pratica dovuti e opponendosi ad essi. Pompeo si risolse allora a cercare alleati nella lotta politica romana, e si riavvicinò a Crasso e al suo emergente alleato Cesare, con i quali nel 60 a.C. strinse un accordo segreto di sostegno reciproco, noto ai moderni come “primo triumvirato”. Era un accordo che mirava a garantire vantaggi politici e personali a tutti i contraenti. L'accordo fu ulteriormente suggellato dal matrimonio tra Giulia, figlia di Cesare, e Pompeo. Crasso e Pompeo avrebbero appoggiato l'elezione consolare di Cesare per il 59 a.C., mentre quest'ultimo si impegnava a soddisfare le richieste di terra per i veterani di Pompeo e a ottenere vantaggi per i cavalieri e le compagnie di appaltatori legati a Crasso. Il consolato di Cesare. L'accordo diede i suoi frutti e subito Cesare fu eletto console per il 59 a.C.  Fece votare in successione due leggi agrarie che prevedevano una distribuzione veterani di Pompeo di tutto l'agro pubblico rimanente in Italia ad eccezione della Campania e delle terre private.  Fece ratificare le decisioni di Pompeo in Oriente  Come voluto da Crasso, fece ridurre di 1/3 il canone d'appalto delle imposte della provincia d'asia  Fu approvata una lex iulia de repetundis per i procedimenti di concussione, che ampliava e migliorava quella sillana; fu approvato un provvedimento che prevedeva la pubblicazione di verbali delle sedute senatorie e delle assemblee popolari  Il tribuno della plebe Publio Vatinio propose un provvedimento che attribuiva a Cesare per 5 anni il proconsolato della Gallia cisalpina e dell’illirico, con la possibilità di fondare nuove colonie. Essendosi dopo poco ha reso vacante il governo della Gallia narbonese, Pompeo propose e ottenne che anch'essa fosse di competenza di Cesare Il tribunato di Publio Clodio Pulcro. Partendo per le province a lui affidate, nel 58 a.C. Cesare volle, con Pompeo e Crasso, lasciare una spina nel fianco agli optimates de Senato gli furono ostili. Cesare appoggiò la candidatura al tribunato della plebe di Publio Clodio Pulcro, che coinvolta in uno scandalo nel 62 non aveva perciò speranze di fare una carriera politica, si era fatto adottare da una famiglia plebea, divenne plebeo e non più Patrizio, così da potersi candidare al tribunato. Eletto tribuno, fece approvare una serie di leggi:  I censori potevano espellere dal Senato solo tramite un processo al diretto interessato  Nessun magistrato avrebbe più potuto interrompere le assemblee politiche adducendo come scusa degli auspici infausti  Vennero legalizzati i collegia, che ben presto si trasformarono in bande armate da Clodio allo scadere del tribunato  Le distribuzioni frumentarie a Roma divennero del tutto gratuite, generando un aumento dell'immigrazione nell'urbe e quindi dei beneficiari  Venne stabilito l'esilio per chiunque condannasse a morte un cittadino romano senza concedergli la possibilità di appellarsi al popolo; una misura chiaramente diretta contro Cicerone, che abbandonò in fretta la città Cesare in Gallia. GERMANI (IAA Lie 61 62 Quando Cesare arrivò nelle sue province, era in atto una migrazione di Elvezi verso Occidente, che minacciava le terre degli edui e forse la stessa provincia romana. Dopo aver fatto concentrare le legioni ai suoi ordini in Narbonese, Cesare attaccò e sconfisse gli elvezi costringendoli a ritornare nelle loro sedi nel 58 a.C. Nel frattempo un gruppo di svevi stanziati oltre il Reno e condotto da Ariovisto, erano passato sulla sinistra del fiume, chiamato in aiuto dai sequani, rivali degli edui. Sconfitti gli edui, Ariovisto lasciò che parte dei suoi si insediasse nel territorio dei sequani. Su richiesta degli edui, Roma era intervenuta e aveva indotto il capo germanico a ritirare le sue genti al di là del Reno. Come compenso ad Ariovisto fu riconosciuto il titolo di “re amico e alleato del popolo romano”. Ma poiché le migrazioni verso l’Alsazia erano riprese, Cesare dopo aver intimato ad Ariovisto di ritirarsi, procedete a marce forzate verso la capitale dei sequani, Vesonzio, e fallito un accordo, lo sconfisse in battaglia costringendolo a ripassare il Reno. Conclusa questa campagna Cesare rientrò in cisalpina. La presenza romana nella Gallia centrale suscitò a nord le reazioni delle tribù dei belgi allarmate dalla vicinanza delle legioni. Cesare riuscì ad impadronirsi delle loro piazzeforti. Nel frattempo, un legato di Cesare, Publio Licinio Crasso, figlio maggiore di Crasso, si spingeva verso la Normandia sottomettendo numerose tribù della Normandia e della Bretagna. I successi di Cesare erano dovuti perlopiù alla disunione delle tribù galliche, che non riuscirono quasi mai a condurre un'azione unitaria, ma anche alla grande capacità di Cesare di adattare la tattica al tipo di combattimento e ha la sua abitudine di condividere tutte le fatiche e i pericoli con i suoi soldati. Alla fine del 57 a.C., forse anche indotto dalle notizie che giungevano da Roma, dove la situazione politica stava precipitando, comunicò al Senato che la Gallia poteva ritenersi pacificata, anche se la metà del paese non lo era. Gli accordi di Lucca e la prosecuzione della conquista della Gallia. Terminato l'anno del suo tribunato, Clodio era tornato un privato cittadino. Non potendo più lui opporre il proprio veto, i suoi avversari alzarono il capo per imporre il ritorno di Cicerone. Uno dei bersagli preferiti di Clodio divenne Pompeo, che pentitosi di non aver fatto nulla per evitare le sigle di Cicerone e preoccupato per i successi di Cesare in Gallia, aveva appoggiato i fautori del richiamo. Nel 57 a.C. Cicerone poté così tornare a Roma. Pompeo si trova in una situazione di grave stallo politico: non poteva né rispondere a Claudio né continuare a non fare nulla, entrambe le soluzioni avrebbero rischiato di intaccare il suo prestigio. Egli fu perciò lieto di accettare l'incarico, proposto gli dai Consoli e sostenuto da Cicerone, che li conferivano poteri straordinari per 5 anni per provvedere all'approvvigionamento della città (prefectus annone): tale provvedimento era reso necessario dal fatto che la popolazione di Roma era almeno raddoppiata nell'ultimo secolo. I candidati al consolato per il 55 a.C. miravano a far revocare la legge di Cesare sull’agro campano, così Cesare si recò al Lucca e strinse un nuovo accordo con Pompeo e Crasso (56 a.C.). Gli accordi di Lucca prevedevano che:  Il comando di Cesare in Gallia sarebbe stato prorogato per altri 5 anni  I tre si sarebbero impegnati a fare eleggere Pompeo e Crasso consoli per il 55  Dopo il consolato i due avrebbero ricevuto come province per 5 anni, Pompeo le due Spagne e Crasso la Siria Nel frattempo, c'era stata una rivolta in Bretagna, che Cesare represse distruggendo la flotta nemica e affermando il proprio dominio sulla terraferma. Egli poté allora rivolgere l'attenzione sul fronte del Reno. Qui due tribù germaniche, gli Usipeti e Tencteri, avevano attraversato il fiume. Cesare li annientò e compì una breve spedizione sulla riva destra nel 55 a.C. 65 Cesare dittatore perpetuo. Nel 48 a.C. Cesare era stato nominato dittatore per un anno; nel 46 a.C. Al consolato si era aggiunta la nomina a dittatore per 10 anni; nel 45 a.C. aveva rivestito il quarto consolato e nel 44 a.C. il quinto; nello stesso anno fu nominato dittatore perpetuo. Egli poteva disporre di una serie di poteri straordinari accumulatisi nel tempo:  Era praefectus morigeratur, con l'incarico di vigilare sui costumi e di stilare le liste dei senatori, cavalieri e cittadini  Aveva il diritto di sedere tra i tribuni pur essendo un Patrizio  Poteva fare trattati di guerra o di pace senza consultare né il Senato né l'assemblea della plebe  Presiedeva le magistrature e designava i propri candidati  Assegnava a suo piacimento le province pretorie  Venne nominato princeps senatus imperator a vita e padre della patria Da 49 a.C. Cesare attuò una grande serie di riforme per la riorganizzazione dello Stato:  Richiamò i condannati politici e gli esuli  Decretò facilitazioni per i debitori  Estese la cittadinanza romana alla Gallia transpadana e alle singole comunità o unità militari galliche, spagnole o africane con particolari meriti acquisiti durante la guerra  Portò il Senato da 600 a 900 membri, inserendovi suoi partigiani  Aumentò questori, edili e pretori  Abbassò il censo minimo per accedere all'ordine equestre  Ripartì le giurie dei tribunali permanenti tra cavalieri e senatori  Stabilì un anno di governatorato per i propretori e due per i proconsoli  Emanò una legge suntuaria che impedisse gli sprechi e le sensazioni di ricchezza  Impose il divieto di lasciare l'Italia per più di tre anni di fila agli uomini tra i 20 e i 60 anni  Sciolse le associazioni popolari per impedire che si tramutassero di nuovo in bande armate  Confermò le distribuzioni di grano gratuite ma limitò il numero di quanti ne beneficiavano, rendendole a numero chiuso  Promosse lavori pubblici e ristrutturazioni urbanistico- edilizie, migliorando l'aspetto di Roma  Per combattere la disoccupazione in Italia i proprietari terrieri furono obbligati a far lavorare i loro pascoli per 2/3 da uomini liberi  Introdusse il calendario Giuliano Le idi di Marzo. L'eccessiva concentrazione di poteri, il moltiplicarsi degli onori, il fatto che ogni carica politica potesse ormai svolgersi solo con l'appoggio e il consenso di Cesare, finirono per creare allarme sia tra gli ex pompeiani superstiti che tra i senatori e i cavalieri che venivano colpiti nei loro interessi, e addirittura anche tra alcuni sostenitori di Cesare. Nei primi mesi del 44 a.C., Cesare aveva preparato una grande campagna militare contro i Parti con l'intenzione di ristabilire l'egemonia romana in Asia, e questo aumento i sospetti verso le aspirazioni monarchiche di Cesare. Fu allora ordita una congiura (guidata da Marco Giunio Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto) prima della sua partenza per l'impresa partica. Alle idi di Marzo (15 Marzo) del 44 a.C., egli cadde trafitto dai pugnali dei cospiratori nella curia di Pompeo, dove doveva presiedere una seduta del Senato. 66 Agonia della Repubblica L'eredità di Cesare; la guerra di Modena. I cesaricidi non avevano formulato nessun tipo di programma politico e non avevano eliminato Antonio e Lepido, console e magister equitum e principali collaboratori di Cesare. Roma riservò i congiurati un'accoglienza piuttosto fredda, che li portò a rifugiarsi sul Campidoglio. Antonio riuscì ad imporre una politica di compromesso: da un lato l'amnistia per i congiurati, dall'altro la convalida degli atti del defunto dittatore e il consenso ai suoi funerali di Stato. Publio Cornelio Dolabella era Console insieme ad Antonio. Antonio scelse la Macedonia come provincia proconsolare, così da controllare le legioni che si erano radunate in vista dell'impresa partica, e Dolabella scelse la Siria. A Decimo Bruto venne affidata alla Gallia cisalpina. Antonio trasformò il funerale di Cesare in un impetuosa manifestazione di furore popolare, tale da indurre i congiurati a lasciare immediatamente la citta; la dittatura, però, fu abolita dalle cariche di Stato. Alla lettura del testamento di Cesare si scoprì che egli aveva lasciato in eredità tre quarti dei suoi beni al figlio adottivo Ottavio, che da Apollonia si precipitò a Roma per raccogliere l'eredità dello zio, e che lungo il percorso incontro le manifestazioni di simpatia e affetto dei veterani di Cesare dislocati in Italia. Arrivato a Roma accettò l'eredità, e da quel momento i cardini della sua politica furono la tutela della memoria di Cesare e la vendetta ad ogni costo contro i suoi assassini. Così concentrò su di sé l'appoggio dei cesarani più accesi e dei veterani, mentre buona parte del Senato cominciò a vedere in lui un mezzo per arginare lo strapotere di Antonio. Questi, per poter controllare più da vicino l'Italia allo scadere del suo consolato, si era fatto assegnare dai comizi al posto della Macedonia, le due Gallie, Cisalpina e Comata, per 5 anni, conservando il diritto di trasferire in Gallia anche le legioni macedoni. Quando però Antonio mosse verso la cisalpina, il governatore originariamente designato, Decimo Bruto, rifiutò di cederla e si rinchiuse a Modena assediato da Antonio. Ebbe inizio la “guerra di Modena” (43 a.C.). Il Senato ordinò ai Consoli di muovere in soccorso di Decimo Bruto; ad esso venne associato, con un imperium propretorio, anche Ottavio, che aveva reclutato un'armata privata in Campania. Vicino a Modena Antonio fu battuto e costretto a ritirarsi verso la Gallia narbonese. Il triumvirato costituente (cosiddetto “secondo triumvirato”); le proscrizioni; Filippi. Morti i due Consoli, Ottavio chiese il consolato per sé e, al rifiuto del Senato, marciò su Roma e venne eletto console insieme al cugino Quinto Pedio, anche egli erede di parte dei beni di Cesare. L'amnistia per i cesaricidi venne immediatamente revocata e venne istituito un tribunale speciale per i cesaricidi. Ottavio fece immediatamente ratificare la sua adozione dai comizi tributi, e poté fregiarsi del nome Caio Giulio Cesare Ottaviano. In Gallia Antonio si era congiunto con Lepido. Annullato il provvedimento del Senato che aveva dichiarato Antonio nemico pubblico, Ottaviano, Antonio e Lepido si incontrarono a Bologna, dove stipularono un accordo, poi fatto sancire da una legge votata ai comizi tributari. In base ad esso veniva istituito un triumvirato rei pubblicae costituendae (per la riorganizzazione dello Stato) che diveniva una magistratura ordinaria per la durata di 5 anni. Essa conferiva:  Il diritto di convocare il Senato e il popolo  Il diritto di promulgare diritti  Il diritto di designare i candidati dalle magistrature  Antonio avrebbe conservato il governatorato della Gallia cisalpina e comata  Lepido avrebbe ottenuto alla Gallia narbonese e le due Spagne 67  Ad Ottaviano spettavano L'Africa, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica (l'oriente era ormai nelle mani di Bruto e Cassio). Ad Ottaviano era toccato alla parte peggiore: La Sicilia e la Sardegna erano minacciate da Sesto Pompeo, a cui il Senato aveva conferito il comando delle forze navali che ormai egli gestiva in proprio, dominando il mare  Vennero resuscitate le liste di proscrizione, con i nomi degli assassini di Cesare dei nemici dei triumviri, e dei loro seguaci. Una delle vittime più note fu Cicerone, reo di aver mosso diversi attacchi contro Antonio. Le proscrizioni permisero di eliminare l'opposizione senatoria più conservatrice e dare vita ad una nuova aristocrazia, priva dell'autorità e del prestigio della precedente. Rimesse così in sesto anche le loro finanze, i triumviri poterono ora rivolgere le armi in Oriente. Ma prima, nel 42 a.C., Si provvide alla divinizzazione di Cesare e l'istituzione del suo culto: ne beneficio soprattutto Ottaviano che divenne così figlio di un Dio. Antonio e Ottaviano partirono alla volta della Grecia. Lo scontro decisivo tra l'esercito di Antonio e Ottaviano e quello di Bruto e Cassio, si ebbe a Filippi, in Macedonia, nell'ottobre del 42 a.C., in cui i triumviri riportarono una schiacciante vittoria in due battaglie simultanee, dopo le quali i due cesaricidi scelsero il suicidio. Consolidamento di Ottaviano in Occidente; la guerra di Perugia; Sesto Pompeo; gli accordi di Brindisi, di Miseno e di Taranto; Nauloco. Dallo scontro con i cesaricidi usciva rafforzato il prestigio militare di Antonio, che si trovò a trattare con gli altri triumviri da una posizione di forza.  Egli si riservò il comando su tutto l'oriente da cui voleva iniziare un piano di conquista del Regno partico  A Lepido fu assegnata l'Africa  Ottaviano ebbe le Spagne, il compito di sistemare in Italia i veterani delle legioni e quello di vedersela con Sesto Pompeo che dominava la Sicilia. Per Ottaviano era una somma di impegni gravosa, ma tale che, se condotta a buon fine, sarebbe stata in grado di assicurargli una base politica militare forte come quella di Antonio. L'incarico di procedere all'assegnazione di terre ai veterani era tra i più ardui, perché non essendo rimasto agro pubblico da assegnare, bisognava espropriare i terreni nei territori delle 18 città d'Italia destinate allo scopo. Vennero colpiti soprattutto piccoli e medi proprietari. Le proteste sfociarono nel 41 a.C. in aperta rivolta, subito sfruttata dalla moglie e dal fratello di Antonio che se ne misero a capo. Ottaviano fu costretto ad affrontare gli insorti che si chiusero a Perugia (guerra di Perugia, inverno 41- 40 a.C.); dopo un assedio la città fu espugnata e abbandonata. Molti fuggirono tra le file di Sesto Pompeo, che impadronitisi di Sardegna e Corsica, batteva i mari e impediva il rifornimento dell'Italia e di Roma. Ottaviano, intanto, si era appropriato delle Gallie, dove era morto il legato di Antonio. 70 La storia tardo-repubblicana e le sue fonti: Fonti letterarie conservate per tradizione manoscritta:  Metà del I sec. a.C.: o Cicerone, orazioni politiche e trattati retorici e filosofici  2° metà del I sec. a.C., epoca cesariana: o Cesare, Commentarii de bello Gallico e de bello civili o Diodoro Siculo, Biblioteca storica, 40 libri dal 1184 al 60 a.C.  Fine I sec. a.C., epoca augustea: o Tito Livio, Ab Urbe condita, 142 libri dal 753 al 9 a.C. o Augusto, Res Gestae (14 d.C.)  Epoca alto-imperiale (I-III sec. d.C.): o I sec. d.C.: Plutarco di Cheronea, Vite parallele, partic. Teseo-Romolo, etc. o II sec.: Floro, Epitome di storia romana su modello liviano o II sec.: Appiano di Alessandria, Storie suddivise in sezioni monografiche o III sec.: Cassio Dione di Nicea, Storie, 80 libri dal 753 a.C. al 229 d.C. 71 Fonti archeologiche: Il mausoleo di Augusto, anche noto come Augusteo, è un monumento funerario situato in piazza Augusto Imperatore, nel rione Campo Marzio, a Roma. Risalente al I secolo a.C., il mausoleo occupava una parte dell'area settentrionale dell'originario Campo Marzio romano e vi erano tumulati, oltre ad Augusto stesso, diversi membri della dinastia giulio-claudia. L'ultimo imperatore ad esservi seppellito fu Nerva. Davanti all'ingresso furono posti i due pilastri con affisse le tavole bronzee sulle quali era incisa l'autobiografia ufficiale dell'imperatore (Res gestae divi Augusti) la cui copia, incisa sul tempio di Augusto e di Roma ad Ankara e in edifici di altre province, è giunta fino a noi. Le Res gestae divi Augusti, cioè "Le imprese del divino Augusto", o Index rerum gestarum, sono un resoconto redatto dallo stesso imperatore romano Augusto prima della sua morte e riguardante le opere che compì durante la sua lunga carriera politica. Il testo ci è giunto inciso in latino e in traduzione greca sulle pareti del tempio di Augusto e della dea Roma (Monumentum Ancyranum) ad Ancìra (latino Ancyra), l'odierna Ankara in Turchia. Non è facile capire a quale genere letterario appartengano le Res Gestae: testamento politico, resoconto, memoria, autobiografia, iscrizione sepolcrale, memoriae vitae. In uno stile volutamente stringato e senza concessioni all'abbellimento letterario, Augusto riportava gli onori che gli erano stati via via conferiti dal Senato e dal popolo romano e per quali servizi da lui resi, le elargizioni e i benefici concessi con il suo patrimonio personale allo stato, ai veterani e alla plebe, e i giochi e rappresentazioni dati a sue spese, e infine gli atti da lui compiuti in pace e in guerra. Lo scrupolo con cui elenca le cariche religiose è indice di un nascente processo di sacralizzazione del potere, che trova espressione anche nel titolo di augustus ("degno di venerazione"), ottenuto dal Senato. Il testo si compone di un'introduzione, 35 paragrafi raggruppabili in 3 sezioni, e un'appendice.  Pars prima (paragrafi 1 a 14) : essa descrive la carriera politica di Augusto, il suo cursus honorum, le cariche, uffici e onori che egli ha ricevuto o dato.  Pars altera (paragrafi 15 a 24) : essa cita le distribuzioni di denaro, i giochi e i monumenti offerti al popolo di Roma.  Pars tertia (paragrafi 25 a 35) : in essa Augusto parla delle sue conquiste militari e della sua azione diplomatica.  Appendix: scritta in terza persona contrariamente al resto del testo, non fu probabilmente scritta per mano di Augusto. Questa appendice riassume le spese sostenute da Augusto per l'erario, per i monumenti dell'Urbe, per i giochi e per far fronte a diverse calamità naturali. Illuminante l'ultima frase cui si citano le spese sostenute per amici e senatori, caduti tanto in disgrazia da non avere più il censo richiesto per far parte del senato. Tali spese furono innumerabilis, ovvero, non conteggiabili. 72 L’impero da Augusto alla crisi del III secolo Augusto La cesura tra Repubblica e Principato. Dopo Azio, Ottaviano era il padrone assoluto dello Stato romano, ma c’era il problema della veste legale da dare al suo potere personale e il disegno apertamente monarchico era fallito con l'assassinio di Cesare. Il 31 a.C. segno l'inizio del governo del princeps, ovvero il regime istituzionale incentrato sulla figura di un reggitore unico del potere. Fu una soluzione restauratrice nella forma ma rivoluzionaria nei contenuti, e segnò una cesura fondamentale che portò a compimento quel processo di personalizzazione della politica che aveva visto come effetto della crisi sociale e dell'espansionismo, l'emergere nella tarda Repubblica di figure politiche generali che avevano affermato il proprio potere personale grazie ad eserciti fedeli, guerre di espansione e sfruttamento economico delle province. Con Augusto inizierà una storia romana di tipo imperiale, sempre più incentrata sull'integrazione in Senato delle élite provenienti dalle varie regioni dell'impero. Anche gli eserciti provinciali ebbero un nuovo ruolo, più marcatamente politico e sociale. Il rapporto con gli organismi repubblicani e il potere del principe: la restaurazione della Repubblica del 27 a.C. Nel 29 a.C. Ottaviano tornò In Italia e celebrò tre trionfi (Illiria, Azio, Egitto), e nel 27 a.C. rivestì il suo settimo consolato avendo agrippa come collega. In una seduta del Senato Ottaviano rinunciò a tutti i suoi poteri straordinari, accettando solo un imperium proconsolare per 10 anni sulle province non pacificate: Spagna, Gallia, Siria, Cilicia, Cipro, Egitto. Qualche giorno dopo il Senato lo proclamò “Augusto”, epiteto in una dimensione sacrale. Si aggiunsero la concessione della corona civica fatta di foglie di quercia e l'onore di uno scudo d'oro sul quale erano elencate le virtù di Augusto: virtù, clemenza, giustizia e pietà verso gli dèi e verso la patria. Egli stesso redasse una specie di testamento politico, il res gestae. Augusto varò un'architettura istituzionale ispirata alla prudenza e al compromesso con la tradizione senatoria repubblicana, che segnò il definitivo superamento dell'ormai inadatte istituzioni della città-stato. Si diffuse un alone carismatico attorno alla sua persona, che ne faceva il principe dello Stato, il primo uomo a Roma. Il principe divenne il punto di riferimento e di equilibrio tra le diverse componenti della nuova realtà che poteva ormai dirsi “imperiale”. La crisi del 23 a.C. Tra il 27 e il 25 a.C., Augusto si recò in Gallia e poi nella Spagna del nord per combattere contro Asturi e Cantabri, che non si erano sottomessi al dominio romano. Così dimostrava di provvedere alla pacificazione delle province e rafforzava il contatto con l'esercito. Negli anni seguenti, Augusto alternerà tre anni circa di permanenza nelle province e due anni a Roma, in modo che l'assestamento del nuovo ordine potesse compiersi gradualmente, e in modo da rispettare la prassi per cui a Roma governavano il Senato, il popolo e i magistrati, mentre lui si recava nelle province da pacificare. Nel 23 a.C. una grave malattia di Augusto mise in luce il problema della successione, per la quale non erano state stabilite modalità definitive. Il primo erede designato fu il genero Marcello, che morì poco dopo; allora Giulia, la figlia di Augusto, sposò Marco Vipsanio Agrippa, nuovo successore designato. Augusto decise quindi di apportare alcune correzioni al regime in conformità della nuova situazione:  Augusto depose il consolato e ottenne un imperium proconsolare su tutte le province (imperium maius), che però quando era a Roma non gli consentiva di agire nella vita politica.  Per ovviare a ciò, egli ottenne dal Senato il potere di tribuno della plebe, in virtù di cui egli diveniva protettore della plebe di Roma, poteva convocare comizi, porre il veto e godere dell'inviolabilità.  Egli ebbe inoltre il diritto di convocare il Senato. 75 Augusto divise l'Italia in 11 regioni, che servivano soprattutto a facilitare i censimenti delle persone e delle proprietà, visto che non c'erano funzionari amministrativi delle suddette regioni e i centri italici erano dotati di una larga autonomia interna, con proprie istituzioni. Fu istituito un sistema stradale e un servizio imperiale di comunicazioni, e furono intraprese iniziative di rinnovamento edilizio in molteplici città italiane. Le province vennero suddivise:  Quelle di competenza del principe (non pacificate), in cui erano di solito presenti un paio di legioni, e il governo era affilato a legati nominati da Augusto e sottostanti al suo imperium proconsolare, la cui carica era di durata variabile e che avevano il comando delle legioni presenti nella provincia. I tributi confluivano nel Fisco (fiscus Caesaris), la cassa separata dell’Imperatore.  Colore rosso  Quelle di competenza senatoria (pacificate), prive di legioni e sottoposte all'autorità di governatori di rango senatorio la cui carica era annuale, che comandavano le unità militari presenti nella provincia (di solito forze ausiliarie) e che erano assistiti da due questori. I tributi confluivano nell’Erario (aerarium Saturni), la cassa pubblica dello Stato.  Colore rosa Un'eccezione a questo ordinamento era l'Egitto, che subito dopo la sconfitta di Antonio e Cleopatra, era stato assegnato ad un prefetto equestre, responsabile dell'amministrazione della giustizia. Augusto stabilì nuovi criteri per determinare l'ammontare dei tributi, meglio commisurati alla capacità contributiva dei provinciali. Il nuovo sistema presupponeva una misura di terreni su cui era imposta la tassa fondiaria, il tributum soli e il censimento della popolazione. L'esercito, la pacificazione e l'espansione. Dopo Azio il numero delle legioni era andato oltre le possibilità e le necessità dello Stato romano. Il bottino di guerra contenti di gestire al meglio gli alti costi della liquidazione dei veterani e di conservarne il favore. Per i soldati che si mobilitavano vennero effettuate distribuzioni agrarie e venne creato l’erario militare, che si occupava di distribuire premi a coloro che ottenevano attestazioni di servizio onorevole. Con Augusto il servizio militare nelle legioni fu riservato a volontari, che perlopiù erano italici. L'esercito divenne una milizia di professionisti con venti e più anni di servizio, una stipendio di 225 denari all'anno e poté essere stabilizzato il numero delle regioni, fissato a 25. Vennero inoltre istituiti corpi ufficiali di unità ausiliarie e la guardia pretoriana, un corpo d'élite di 9000 uomini, tutti i cittadini romani residenti in Italia, che godeva di molti privilegi, del soldo più elevato e delle migliori condizioni di servizio, comandata da un pretore di rango equestre. La flotta era stazionata nei porti di Miseno e Ravenna, ed era comandata da un prefetto di rango equestre. La politica estera era di assoluta competenza di Augusto, e fu un completo successo, segnato da addirittura tre cerimonie di chiusura del tempio di Giano, gesto per indicare che iniziava una stagione di pace. Egli preferì affidare alla diplomazia, piuttosto che alle armi, le questioni orientali, stabilizzando il confine partico, allargando i confini a sud dell’Egitto e conquistando l'Armenia, dove Tiberio fece incoronare re tigrane II. Questa politica di accordi gli permise di concentrarsi su l'occidente.  Tra il 27 e il 29 a.C. pacifico la Spagna e le Alpi occidentali (Fondazione di Aosta).  Tra il 20 e il 21 a.C. Lucio Cornelio Balbo sottomise i Garamanti, in Africa. 76  Tra il 16 e il 15 a.C. Tiberio e druso conquistarono il territorio tra il Danubio e le Alpi centrali.  Tra il 14 e il 9 a.C. sempre Tiberio occupo la pannonia e la Mesia, stabilizzando il confine danubiano. L'unica insuccesso di Augusto fu la mancata sottomissione della Germania. Nel tentativo di portare il confine sull'Elba, furono intraprese diverse campagne, tutte sanguinose e dal risultato effimero. Nel 9 a.C. druso raggiunse l'Elba, ma nel sei d.C. scoppiò una rivolta delle tribù germaniche che fecero fronte all'invasore e, nel 9 d.C., nella foresta di Teutoburgo, Quinto Varo fu sconfitto da Arminio e tre legioni furono annientate. Il trauma fu tale che si rinunciò alla conquista della Germania, stabilizzando il confine sul Reno. 77 La successione. Augusto non aveva figli maschi, perciò doveva trovare il modo di far sì che la sua posizione non andasse perduta, ma che rimanesse nella sua famiglia senza tuttavia dare una svolta apertamente monarchica alle istituzioni. Augusto decise di procedere per passi, integrando la famiglia nel sistema politico e nella propaganda ideologica, puntando sulla discendenza divina; sottolineò il carattere romano tradizionale della propria gens, ampliandola con matrimoni e adozioni (attraverso il matrimonio di Giulia con il nipote Marcello, figlio della sorella Ottavia, Augusto cercò di inserire un discendente maschio nella famiglia, ma Marcello morì nello stesso anno); trasferì al proprio erede le sue clientele e il suo prestigio e la sua posizione di Principe venne rafforzata da meriti e titoli dei suoi familiari. L'erede avrebbe ereditato il patrimonio familiare di Augusto e anche un prestigio che gli avrebbe facilitato alla vita politica: con una carriera magistratura le abbreviata e l'attribuzione dei poteri straordinari, la potestà tribunizia e l'impero in proconsolare, l'erede veniva designato alla successione alle funzioni pubbliche del principe. Se il primo successore designato era Marcello, il secondo era Agrippa, a cui andò in sposa a Giulia, la figlia dell'imperatore. Gli vennero attribuiti lo stesso imperium proconsolare di Augusto e la stessa potestà tribunizia, e nel 17 a.C. Augusto adottò i suoi due figli, Lucio Cesare e Caio, ma Agrippa morì nel 12 a.C. Poiché i due ragazzi erano minorenni, Augusto si rivolse ai due figli della moglie Livia, Tiberio e Druso: Tiberio che aveva sposato Vipsania, una figlia del primo matrimonio di Agrippa , dovette divorziare per sposare Giulia; ricoprì due volte il consolato e ricevette la potestà tribunizia, ma poi si ritirò dalla vita politica e si esiliò a Rodi. Caio Cesare e Lucio Cesare non poterono comunque divenire avversari di Tiberio in quando morirono tra il 2 e il 4 d.C. Già nel 2 d.C. Tiberio era tornato a Roma e aveva sciolto il matrimonio con Giulia colpita da uno scandalo e condannata all'esilio dal padre stesso. Augusto pretese allora da Tiberio che adottasse Germanico, figlio di suo fratello Druso, anche se Tiberio aveva già un suo proprio figlio di nome Druso. Nel 4 d.C. Augusto adottò Tiberio, che a sua volta adottò Germanico. Poi Tiberio ebbe la potestà tribunizia e l'imperio in proconsolare. Nel 13 d.C. Celebrò il trionfo sui germani e gli venne 80 Tiberio e Germanico nel Gran Cammeo di Francia (Parigi): Il Gran Cammeo di Francia è un cammeo lavorato a cinque strati di onice, databile al 23 d.C. circa e conservato al Cabinet des médailles di Parigi. Si tratta del più grande cammeo antico pervenuto. Il fregio è diviso in tre registri. Nel registro inferiore si trovano barbari prigionieri. In quello centrale si vedono i personaggi all'epoca viventi della dinastia giulio-claudia: Tiberio imperatore, al centro, con in mano lo scettro e il lituo, con la fianco la madre Livia e la moglie Giulia, figlia di Augusto. Di fronte a lui vi è Nerone Cesare, figlio maggiore di Germanico. Dietro vi è Claudia Livilla, raffigurata alle spalle di Nerone. Accanto a Livilla, vestito con una uniforme militare, vi è un giovanissimo Gaio Cesare, il futuro imperatore Caligola. Ai piedi del trono imperiale un barbaro seduto rappresenterebbe probabilmente la Partia nemica acerrima dell'impero. Alle spalle di Tiberio e Livia troviamo Druso Cesare secondogenito di Germanico e la madre Agrippina maggiore che insieme al figlio volge lo sguardo in direzione dell'apoteosi di Germanico verso l'avo Augusto. Nel registro superiore, riservato alle divinità, si vedono membri scomparsi della gens Giulia, quali Augusto al centro (vestito da pontifex maximus), sorretto da una figura che dovrebbe essere Iulo, figlio di Enea e nipote di Venere che secondo la leggenda sarebbe capostipite della gens Giulia; alle sue spalle troviamo Druso minore, figlio di Tiberio, morto nel 23, di fronte a lui in groppa a Pegaso tirato da un Amorino, vi è Germanico, figlio adottivo ed erede di Tiberio morto in Siria nel 19. Il senso generale della scena è marcare la continuità tra Augusto e i successivi membri della dinastia giulio- claudia. 81 I Giulio- Claudi Fonti per l’epoca giulio-claudia (14-68): storiografia senatoria e biografia  Cornelio Tacito, storico-senatore di epoca traianea, autore di Annales ab excessu Divi Augusti dal 14 al 68 d.C., a completamento delle sue Historiae (dal 68-69 al 96 d.C.) e dell’opera di Livio (dal 753 al 9 a.C.)  Svetonio Tranquillo, biografo-cavaliere di epoca adrianea, autore delle Vitae Caesarum in 12 libri (da Cesare a Domiziano)  Plutarco di Cheronea, biografo e filosofo greco di epoca flavio-traianea, autore di alcune vite di imperatori (tra cui Nerone, Galba, Otone)  Cassio Dione di Nicea, storico-senatore greco di epoca severiana (III sec.), autore di una Storia Romana in 80 libri dal 753 a.C. al 229 d.C.  Lucio Anneo Seneca, senatore e filosofo, protagonista politico dell’epoca neroniana, autore di opere filosofico-morali, satiriche, teatrali, lettere Una dinastia? La morte di Augusto, avvenuta nel 14 d.C., venne celebrata con grandi funerali di Stato è una solenne sepoltura nel mausoleo al Campo Marzio. Nonostante Tiberio auspicasse alla fine del Principato, il Senato lo convinse ad accettare i poteri e le prerogative che erano state di Augusto. Ciò significò il definitivo tramonto dell'idea repubblicana e indicò il bisogno del Senato di avere l'autorità di un singolo in parallelo alla propria. Tra il 14 e il 68 d.C. Regna su Roma la dinastia Giulio Claudia, così chiamata per via della discendenza dai Giuli (cui Augusto apparteneva poiché adottato da Cesare) e dai Claudi (cioè la famiglia di Tiberio Claudio Nerone, il primo marito di Livia, che aveva portato nel matrimonio i due figli ha avuti col primo marito, Tiberio e Druso). Alla morte di Germanico, avvenuta nel 19 d.C., Il nuovo successore divenne Caligola, figlio di Germanico e Agrippina maggiore. Alla morte di Caligola (41 d.C.) Il potere fu conferito allo zio Claudio, figlio di Druso maggiore e fratello di Germanico. Alla morte di Claudio (54 d.C.) Divenne imperatore Nerone, figlio di Gneo Domizio Enobarbo e Agrippina minore, che era sorella di Caligola e figlia di Germanico e Agrippina maggiore; Nerone era stato adottato da Claudio. Gli ultimi tre imperatori avevano un legame di sangue piuttosto esile con Augusto. Tiberio l'ipocrita (14- 37 d.C.). Malgrado ha la sua scarsa popolarità, il suo governo fu una positiva prosecuzione di quello di Augusto. Delle fonti che possediamo, di matrice senatoria, emerge uno dei problemi che si ritroverà in tutta la storia imperiale: quello tra principe e Senato. I tratti negativi del carattere di Tiberio (la diffidenza e l'invidia nei confronti di personaggi della casa imperiale più popolari di lui, come Germanico) oscurarono la sua volontà di rispettare le forme di governo repubblicano già valorizzate da Augusto. In particolare, il rifiuto da lui più volte ribadito di onori divini, dimostra il suo spirito tradizionalista. La storiografia moderna ha messo in luce il valore di Tiberio sia come militare che uomo di governo. Egli fu autore di un'importante riforma elettorale, che spostò le votazioni dei comizi alla partecipazione popolare al Senato. Fino alla morte dovette far fronte ad un'opposizione senatoria che mirava a rivendicare l'autonomia decisionale e la libertà. All'inizio del suo Regno si ebbe la stabilizzazione della frontiera romana: Tiberio non proseguì ampliamenti territoriali in Germania e si accontentò del successo del 16 d.C., Ottenuto da Germanico contro Arminio. L'assassinio politico di Germanico lo indusse ad un contrasto con la fazione di Agrippina maggiore e poi se il problema della successione, alla quale erano candidati il figlio di Tiberio, Druso minore, che tuttavia morì nel 23 d.C., e uno dei tre figli di Germanico e Agrippina. 82 La svolta nel Regno di Tiberio si ebbe a partire dal 23 d.C., Quando il prefetto del pretorio Seiano inizio a crearsi un forte potere personale. Discendente di una famiglia di potenti cavalieri, egli accrebbe il suo potere concentrando le truppe pretoriane a Roma, dalle città dell Lazio in cui Augusto l'aveva stanziate, e guadagnandosi la fiducia di Tiberio. Nel 29 d.C. la morte di Livia Drusilla diede a Seiano il dominio su Roma e lo spinse a bramare il matrimonio con Livilla, vedova di Druso minore, figlio di Tiberio. Nel 31 d.C., dopo che Seiano aveva fatto imprigionare due dei figli di Agrippina, Tiberio si convinse a farlo arrestare e condannare a morte. Gli ultimi anni del Regno di Tiberio furono assai difficili, segnati da una crisi finanziaria e dall'aumentare del contrasto con il Senato. Tiberio diede inizio ad un vero e proprio regime di terrore verso i suoi oppositori, veri o presunti, che causò il suicidio di Agrippina maggiore e la morte dei suoi figli maggiori. A questo punto rimanevano in lista per la successione solo Caligola, figlio di Agrippina e Germanico, e Tiberio Gemello, figlio di Druso minore. Tiberio li nominò eredi congiunti e alla sua morte Caligola adottò Gemello solo per farlo assassinare poco dopo, in virtù del fatto che Macrone, nuovo prefetto del pretorio, e il Senato avevano riconosciuto proprio Caligola come unico erede. Caligola il folle (37- 41 d.C.). L'impero di Gaio, detto Caligola, fu relativamente breve ed è ricordato soprattutto per le sue stravaganze senza limiti, amplificate da una storiografia ostile. Divenuto imperatore, Caligola fu accolto con entusiasmo dall'esercito, dai pretoriani e dal popolo grazie a una politica di donativi, spettacoli e grandi piani edilizi che esaurì in breve tempo le risorse finanziarie accumulate da Tiberio. L'atteggiamento del Senato, invece, fu piuttosto freddo. Il ritratto di Caligola lasciatoci dal senatore Svetonio è infatti quello di un folle tiranno segnato da una grave malattia mentale e dedito ad un dispotismo di tipo orientale. Un'ondata di esecuzioni capitali colpi molti personaggi influenti, primo di tutti Macrone. La politica estera di Caligola fu segnata dal ripristino e dall'ampliamento del sistema orientale degli Stati cuscinetto. All'amico personale Erode Agrippa concesse ampi territori della Galilea. Fu proprio con gli ebrei però, che nacque uno dei conflitti meglio documentati dell'età di Caligola: l'imperatore, per affermare la sua divinità, volle porre una propria statua nel tempio di Gerusalemme, suscitando le proteste della popolazione e del governatore romano, allarmato dalle tensioni che si stavano creando: la richiesta di Caligola, infatti, risvegliò i conflitti tra ebrei e greci nelle città della Giudea e dell'oriente. Nel 41 d.C. Caligola venne ucciso in una congiura ordita dai pretoriani. La sua morte calmò le acque in Giudea e fu seguita dalla proclamazione a imperatore di suo zio Claudio. Il suo Regno aveva dimostrato chiaramente i rischi inerenti alla struttura stessa del Principato, esposto, malgrado la prudente organizzazione augustea, ai rischi di involuzione autocratica e assolutistica. Dopo la sua morte si scrissero numerose storie sui suoi capricci e follie; una delle più famose, se prendiamo per buone le fonti romane, è quella che riguarda la sua intenzione di far diventare console il suo cavallo. L’animale in questione si chiamava Incitatus ed era il cavallo preferito dell’imperatore, che nutriva per lui una vera e propria devozione. La notte prima di ogni gara a cui l'animale partecipava, Caligola la trascorreva dormendo a fianco a lui. Per fare in modo che nulla disturbasse il sonno del cavallo l'imperatore decretava un silenzio generale – di solito la notte a Roma era molto rumorosa – e chi lo violava era giustiziato. L’unica volta che Incitatus perse una gara Caligola mandò a morte l’auriga (che conduceva il carro). Come se non bastasse ordinò che fosse ucciso nella maniera più lenta possibile in modo da prolungarne la sofferenza. A volte il cavallo mangiava alla stessa tavola dell’imperatore e, quando questi brindava in suo onore, il resto dei commensali doveva fare lo stesso se non voleva essere giustiziato. L’imperatore amava il suo cavallo con la stessa intensità con la quale disprezzava i senatori romani, ai quali mostrava il suo sdegno in ogni occasione. Secondo lo storico Svetonio, in diverse occasioni Caligola espresse la sua intenzione di nominare Incitatus console e sacerdote, possibilmente per mettere in ridicolo i senatori e dimostrare che il loro ruolo 85  Claudio conclude il discorso: la storia e il progresso, tra mos maiorum, vetera exempla e res novae Cornelio Tacito, Annales XI 24: «E’ pur vero che noi combattemmo contro i [Galli] Senoni, ma non si sono forse mai schierati contro di noi in campo aperto i Volsci e gli Equi? Fummo sottomessi dai Galli, ma abbiamo anche consegnato ostaggi ai Tusci e abbiamo subito dai Sanniti l’umiliazione del giogo. Pur tuttavia, se esaminiamo tutte le guerre, vediamo che nessuna si concluse in più breve tempo che quella contro i Galli, coi quali in seguito fu pace continua e sicura. Ormai essi sono assimilati a noi nei costumi, nelle arti, nei vincoli di sangue; ci portino anche il loro oro, piuttosto che tenerlo per sé. O padri coscritti, tutte le cose che si credono ora antichissime, furono nuove un tempo: dopo i magistrati patrizi vennero i plebei, dopo i plebei i Latini, dopo i Latini quelli degli altri popoli italici. Anche questa nostra deliberazione invecchierà e quello che oggi noi giustifichiamo con antichi esempi, sarà un giorno citato tra gli esempi».  L’esito del confronto tra Claudio e il Senato: il diritto del sangue contro il diritto del merito: Cornelio Tacito, Annales XI 25: «A quest’orazione del principe seguì una conforme deliberazione del Senato e perciò gli Edui, per i primi, conquistarono il diritto di entrare in Senato. Tale diritto fu loro conferito in virtù dell’antico patto di alleanza (foedus antiquum), perché essi soli tra i Galli avevano vincolo di fratellanza (fraternitas) col popolo romano». Nel 48 d.C., contrariamente alla richiesta di Claudio, il Senato concede il diritto delle cariche ai soli Edui, unici tra i popoli gallici a vantare un originario vincolo di sangue (fraternitas = consanguineitas) con i Romani, sulla base leggendaria di una comune origine troiana. Il Senato si aprirà ai provinciali: 50 anni dopo, nel 98 d.C., sarà nominato imperatore un senatore di origine ispanica, M. Ulpio Traiano.  Gemma Claudia: La Gemma Claudia è un cammeo romano a cinque strati di onice, databile al 49 circa. Appartenuto agli Asburgo, entrò poi a far parte delle collezioni del Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove si trova tuttora. (inv IX A 63). Misura 12 cm d'altezza ed è inserita in una montatura d'oro. Vi sono raffigurate due cornucopie che inquadrano un'aquila (in basso), mentre nella parte superiore sono raffigurate due coppie di ritratti, una per lato, poste simmetricamente l'una di fronte all'altra. A sinistra sono presenti l'imperatore Claudio e sua moglie Agrippina minore (effigiata come Cibele, dea della fertilità), a destra si trovano i genitori di Agrippina Germanico (fratello di Claudio stesso) e Agrippina maggiore. Può darsi che l'opera sia stata realizzata in occasione del matrimonio della coppia imperiale come dono ufficiale.  Agrippina incorona d'alloro Nerone. Rilievo di Afrodisia, (Turchia): 86 La società imperiale. Alla base della società romana c'erano articolazioni e differenze riconosciute nello status giuridico delle persone. Il Regno di Augusto fu caratterizzato dalla differenziazione di condizioni e prerogative dei cittadini romani e dei ceti dirigenti romani e italici. Fioriva la schiavitù, che vedeva diversi tipi di schiavi: domestici, agricoli, artigiani, dediti ai servizi (di origine greca e più istruiti) e membri della famiglia Cesaris, gli schiavi della casa imperiale, di cui gestivano il patrimonio e che erano organizzati secondo rigide gerarchie. Gli schiavi che si liberavano grazie al peculium (l'insieme di beni che il dominus gli concedeva di tenere per sé.) rimanevano legati all'ex padrone, avendo tuttavia delle limitazioni nella vita pubblica e l'accesso alle magistrature. I liberti erano un ceto economicamente molto dinamico, valorizzato soprattutto da Claudio, e avevano uno spirito di iniziativa ai massimi livelli nella casa imperiale, all'interno della quale c'erano grandi possibilità di avanzamento nella corte e nella gestione pubblica. I provinciali liberti furono una categoria molto composita. L'imperatore poteva intervenire nelle questioni interne ai privilegi e allo status dei diversi gruppi cittadini e poteva concedere la cittadinanza singoli, gruppi o città per meriti particolari; la cittadinanza garantiva privilegi e diritti particolari, e grazie a questa i provinciali potevano accedere al Senato o all'ordine equestre. La cittadinanza si otteneva mediante un intervento imperiale o mediante meriti militari; gli ufficiali militari potevano segnalare soldati particolarmente meritevoli all'imperatore. Ecco che l'esercito diveniva un'importante fattore sociale. I veterani che al termine del servizio tornavano nelle loro città di origine entravano a far parte delle élite cittadine e acquistavano prestigio alla propria famiglia, arrivando anche a rivestire le magistrature locali. Nerone il tiranno (54- 68 d.C.). Il Principato di Nerone fu impostato su premesse del tutto diverse da quelle augustee, ispirato ad un modello di dispotismo orientale che prevedeva il consolidamento dei poteri del principe e l'istituzionalizzazione della sua figura. Nel 55 d.C. Seneca, nel suo De Clementia, tratteggiò il ritratto dell'imperatore ideale che, avendo ricevuto per volontà divina e ricchezza e potere, doveva mettere al primo posto della sua azione di governo alla virtù e la clemenza. Il primo periodo di governo di Nerone fu ispirato da Seneca e dal prefetto del pretorio Afranio Burro e vide l'imperatore governare collaborando col Senato. Pian piano però si affermò in Nerone una concezione autocratica e assolutistica del potere imperiale ispirata alla combinazione del dispotismo orientale con la tradizione romana. Egli comunque si macchiò di gravi delitti: dopo aver affatto assassinare il fratellastro Britannico, nel 59 d.C. fece uccidere anche la madre Agrippina, che ostacolava la relazione del figlio con Poppea Sabina e si opponeva al divorzio di Nerone da Ottavia, figlia di Claudio, in quanto temeva che questo gesto avrebbe suscitato l'opposizione dei sostenitori del precedente imperatore e un indebolimento del potere di madre e figlio. Nel 62 d.C. Nerone divorziò da Ottavia e sposò Poppea. Da quell'anno iniziarono i processi di lesa maestà a carico di alcuni senatori, con cui Nerone cercava di annientare l'opposizione ed eliminare gli ultimi nobili che potevano vantare una lontana forma di parentela con Augusto e minacciare la sua posizione. Del 64 d.C. Roma fu divorata da un gigantesco incendio, che pare sia stato alimentato dagli uomini di Nerone. Fu un tipico esempio del suo dispotismo, così come l'accusa cristiani di averlo appiccato, e getto le premesse per la sua fine. I costi di ricostruzione furono tanto alti da esacerbare alcune situazioni di tensioni sia con il Senato e la plebe di Roma sia nelle province da provocare una forte perdita di consenso. Nerone cercò di rimediare alla crisi finanziaria con un'importante riforma monetale: al 64 d.C. risale infatti la riduzione di peso e di fino della moneta d'argento, il denario. Questo provvedimento risponde forse la necessità di moneta, legato al grande piano edilizio che Nerone doveva finanziare, a partire dalla costruzione della sua stessa residenza, la Domus aurea. Le requisizioni fiscali generarono parecchie ribellioni nelle province e i processi e le confische necessari a Nerone per rimpinguare le casse statali gli guadagnarono l'ostilità della nobiltà senatoria; nel 65 d.C. si ebbe 87 la congiura dei Pisoni, alla quale seguì una spietata repressione che portò alla morte di Seneca e Rufo (nuovo prefetto del pretorio) e ad una vostra epurazione senatoria. In politica estera ottenne qualche successo sul fronte orientale: qui un suo valoroso generale, Domizio Corbulone, riuscì ad avere la meglio sui Parti e a riportare l'Armenia sotto l'influenza romana, chiudendo il tempio di Giano e proclamando la pacificazione dell'impero. Nel 64 d.C. Nerone fu impegnato in un tour artistico di in tutta la Grecia, che lo omaggiarono con la vittoria in tutti i principali agoni tradizionali; l'imperatore ricambiò proclamando la libertà delle città greche. In giudea era scoppiato una gravissima ribellione, contro cui Nerone aveva mandato vespasiano, comandante delle truppe, che riuscì a riportare sotto controllo la situazione. A questa ribellione seguì quella del governatore gallico Vindice, che anche fu presto domata. Anche pretoriani abbandonarono Nerone, e il Senato lo dichiarò nemico pubblico riconoscendo come nuovo princeps Galba. A Nerone non restava che il suicidio, mettendo fine alla dinastia Giulio Claudia. La mancanza di una soluzione preordinata per la successione fu la causa di una grave crisi che fece riscrivere lo spettro delle guerre civili. 90 Fonti archeologiche.  Monetazione sotto Vespasiano. Egli utilizzò la monetazione come strumento di propaganda, specie dopo la rivolta giudaica. Nell’immagine, un denario raffigurante ungiudeo seduto a lutto sulla destra all'ombra di una palma, Vespasiano in piedi sulla sinistra della palma in abito militare, ai piedi un elmo, tiene una lancia ed il parazonium (un'arma bianca manesca del tipo spada corta).  Tavola bronzea della Lex de imperio Vespasiani (Roma, Musei Capitolini): La lex de imperio Vespasiani costituisce l'unico esempio di documento ufficiale che conferisce i poteri a un imperatore. La parte che ci è pervenuta è solo una porzione su un'iscrizione bronzea, rinvenuta nel 1347 da Cola di Rienzo nella basilica di San Giovanni in Laterano, e conservata presso i Musei Capitolini di Roma. La tavola comprende otto clausole distinte.  L'anfiteatro Flavio (Colosseo) fu edificato in epoca Flavia su un'area al limite orientale del Foro Romano. La sua costruzione, iniziata da Vespasiano nel 70 d.C., fu conclusa da Tito, che lo inaugurò il 21 Aprile nell'80 d.C. Ulteriori modifiche vennero apportate durante l'impero di Domiziano, nel 90. Il nome "Colosseo" si diffuse solo nel Medioevo, e deriva dalla deformazione popolare dell'aggettivo latino "colosseum" (traducibile in "colossale", come appariva nell'Alto Medioevo tra le casette a uno o due piani). Anticamente era usato per gli spettacoli di gladiatori e altre manifestazioni pubbliche (spettacoli di caccia, battaglie navali, rievocazioni di battaglie famose, e drammi basati sulla mitologia classica). La tradizione che lo vuole luogo di martirio di cristiani è infondata. Non più in uso dopo il VI secolo, l'enorme struttura venne variamente riutilizzata nei secoli, anche come cava di materiale.  L'arco di Tito è un arco trionfale fornice (ossia con una sola arcata), posto sulle pendici settentrionali del Palatino, nella parte orientale del Foro di Roma. Capolavoro dell'arte romana, si tratta del monumento-simbolo dell'epoca flavia, grazie alle sostanziali innovazioni sia in campo architettonico-strutturale, sia in campo artistico-scultoreo. rilievi più interessanti sono i due pannelli che decorano i lati del fornice, che commemorano due fasi del trionfo di Tito dopo la cattura di Gerusalemme del 70, durante la prima guerra giudaica. 91 l pannello destro (lato nord) mostra l'imperatore Tito sulla quadriga trionfale, incoronato dalla Vittoria. La quadriga è condotta dalla personificazione della Virtus a piedi, mentre le altre due figure allegoriche a fianco del carro sono forse Roma e il Genio del popolo romano, o il Senato il popolo romano. Sullo sfondo si affollano le teste e i fasci dei littori. Sul lato sinistro (sud) è raffigurato l'ingresso del corteo nella Porta Triumphalis, che è raffigurata all'estrema destra in prospettiva scorciata. Nella scena si vedono gli inservienti che avanzano coi fercula (portantine per oggetti), recando gli arredi saccheggiati al tempio di Gerusalemme (uno dei candelabri a sette braccia, la tavola per il pane di proposizione con i vasi sacri, le trombe d'argento) e le tabelle ansate con iscrizioni esplicative degli oggetti presi e delle città vinte. In questi due rilievi, nonostante alcuni convenzionalismi, come la ritmica raffigurazione di profilo dei cavalli, si osservano alcune fondamentali innovazioni stilistiche: intanto un maggiore affollamento delle scene, ma soprattutto la straordinaria spazialità data dalla variazione del rilievo secondo una precisa disposizione delle figure nell'atmosfera e il superamento dell'andamento rettilineo del corteo. 92 Domiziano (81- 96 d.C.). La storiografia è tremendamente ostile a Domiziano a causa del suo stile di governo piuttosto autocratico, ma bisogna dire che la sua azione politica fu efficace e benefica per l'impero. Egli rinunciò all'espansione territoriale, dedicandosi a consolidare le frontiere. Nell'83 d.C. creò l'imponente sistema di fortificazioni sul Reno e sul Danubio, poi noto come limes germanico. Il sistema di fortificazioni da lui ideato venne poi ampliato a gran parte dell'impero sotto Adriano. Nello stesso anno ci fu una prima campagna contro il re dacico Decebalo, reo di aver effettuato incursioni nel territorio romano; la campagna, tuttavia, si rivelò un fallimento. Una seconda campagna 5 anni più tardi fu guidata dallo stesso Domiziano, ma non fu portata a termine a causa della contemporanea rivolta del governatore della Germania superiore Saturnino, che si proclamò imperatore nell' 89 d.C. Domiziano concluse allora una pace di compromesso con Decebalo, che si assicurò il titolo di “difensore dell'impero” in cambio di larghi pagamenti. Saturnino fu sconfitto dal governatore della Germania inferiore, ma Domiziano volle recarsi personalmente in Germania e dire inizio a una spietata caccia e alle esecuzioni dei promotori della rivolta. Da questo momento si fece sempre più forte in lui il timore di perdere il potere, e iniziò una politica di terrore fatta di arresti, giudizi e condanne assolutamente arbitrarie. L'imperatore si fece proclamare censore e chiamare “signore e Dio” , inaugurando una stagione di processi contro senatori e cristiani. Nel 96 d.C. Domiziano venne assassinato in una congiura ordita da alcuni personaggi di spicco, e il Senato ne proclamò la Damnatio Memoriae. Dall'ultimo periodo di governo di Domiziano ci viene con l'immagine di feroce tiranno dataci da tacito e Plinio il giovane. Il sorgere del cristianesimo. Il cristianesimo viene formandosi come religione strutturata nel corso del I e II secolo, basandosi sulla rivelazione di Gesù Cristo, originario di Nazareth, in Galilea, al tempo di Augusto e morto in croce sotto Tiberio (quattro a.C- 29 d.C. circa), riconosciuto dei cristiani professanti come il figlio del Dio creatore, venuta in terra a portare un messaggio universale di salvezza. Il cristianesimo iniziò come una delle correnti interne al giudaismo, all'interno del quale se ne distinguevano diverse: Sadducei, Farisei, Esseni e Zeloti; questi ultimi decisivi nella promozione delle grandi rivolte ebraiche e avvenute sotto Tito e sotto Adriano. La maggioranza degli ebrei sceglieva tra i Farisei, che rispettavano integramente la legge di Mosè, e i cristiani, dediti alla divulgazione della parola di Gesù Cristo. All'inizio si dedicarono soprattutto alla predicazione della parola di Cristo nelle grandi città dell'impero. Al I secolo d.C. Risare la figura di Paolo Tarso, un ebreo convertitosi poco prima di una missione di persecuzione e per questo assurto a figura- simbolo della religione cristiana. Le sue lettere alle comunità cristiane orientali e di Roma divulgavano la missione universale della Chiesa e segnarono la definitiva rottura col giudaismo conservatore. Esse ci sono pervenute nel corpus del nuovo testamento. Nel II secolo d.C. Le comunità cristiane erano sottoposte alla guida di un responsabile, l’ episcopus. I romani non distinguevano tra i vari movimenti giudaici: Augusto li aveva lasciati liberi di conservare le proprie tradizioni e le comunità giudaiche vivevano separate dal resto della cittadinanza per molti aspetti, mantenendo un profilo ben distinto. Vennero avvertiti come un elemento estraneo in diverse occasioni: furono espulsi da Tiberio e Claudio da Roma ed è vero forti contrasti con Caligola. Con Nerone divenne evidente il contrasto tra l'autorità imperiale e il cristianesimo, considerato sovversivo e pericoloso in quanto inconciliabile con il politeismo ufficiale e col culto imperiale. L'opinione pubblica era contro i cristiani e Nerone sfrutto questo sentimento per dare la colpa a custodire dell'incendio di Roma, dando inizio ad una cruenta persecuzione che portò alle morti Di Pietro e Paolo nel 64 d.C. Dopo che Vespasiano e Tito stroncarono la rivolta, distrussero il tempio di Gerusalemme e annientarono le ultime resistenze, non furono poste limitazioni al culto che continuo sia in Palestina che nella Diaspora. La politica di divinizzazione imperiale praticata da Domiziano scatenò una nuova persecuzione contro i cristiani e vide l'opposizione dell'imperatore ai circoli favorevoli alla nuova religione che si erano create a corte. Non sappiamo se alla base delle persecuzioni contro i cristiani vi fosse un fondamento giuridico, ma 95 Nerva (96-98) d. C., Il vecchio senatore. Per Nerva disponiamo di fonti limitate a Cassio Dione, Plinio il giovane e la monetazione ufficiale. La sua prima preoccupazione fu quella di controllare le reazioni all'uccisione di Domiziano e scongiurare il pericolo dell'anarchia. Le soluzioni da lui adottate al riguardo furono un giuramento di fedeltà da parte delle truppe provinciali, l'abolizione delle misure più estreme adottate dal suo predecessore, la cancellazione dell'accusa di lesa maestà e l'uccisione dei delatori che sotto il Regno di Domiziano avevano causato tanti delitti. Tali soluzioni servivano a garantire l'ordine interno. Nerva attuò una politica economica e sociale favorevole all'Italia, con la promulgazione di una legge agraria che assegnava territori ai nullatenenti, la creazione delle istituzioni alimentari sviluppate da Traiano, il mantenimento del cursus publicus a carico dello Stato e con la riorganizzazione dell'approvvigionamento idrico di Roma. Nel 97 d.C. Si ebbero i primi sintomi di una crisi, con un'evidente calo demografico, dovuti all'ultimo periodo di Domiziano. Il più grande servizio che Nerva poté rendere lo stato durante il suo breve Regno fu l'adozione e la designazione come successore di Marco Ulpio Traiano, uomo di grande esperienza politica e militare gradito a tutti gli strati della società, che allora era governatore della Germania superiore. Nerva morì nel 98 d.C. e Traiano gli succedette come imperatore. Il governo dell'impero affidato al migliore: Traiano (98- 117 d.C.). Egli ricevette la notizia dell'adozione, e quindi della successione, mentre governava in Germania del Sud. A Roma si recò solo nel 99, preferendo finire il lavoro di consolidamento del confine renano. Egli fu quello Optimus princeps che coniugava l'esperienza militare alla capacità di governo e al senso di appartenenza al Senato. Le fonti gli furono favorevoli e Plinio il giovane, nel suo Panegirico, lo elevò a modello di comportamento del buon principe, sottolineando il clima di Concordia che Traiano aveva instaurato e il dovere da parte del principe di dimostrare quelle qualità che ne giustificassero la preminenza all'interno dello Stato romano. Traiano era gradito al Senato, sottomesso alle leggi e rispettoso delle istituzioni. Fu l'ultimo grande conquistatore della storia romana. Le due campagne daciche (101- 102 d.C. / 105- 106 d.C.) Contro Decebalo assicurarono a Roma il controllo di una ricchissima provincia in cui far convergere l'immigrazione dopo aver deportato gran parte della popolazione nativa e da cui trarre immense ricchezze; il grande bottino ricavato nello sfruttamento delle miniere d'oro finanziò le campagne militari dell'imperatore, il suo programma edilizio la stabilizzazione monetaria. Tra il 114 e il 117 Traiano compì quello che era stato il sogno di Giulio Cesare: la conquista di buona parte dell'impero partico (Mesopotamia, Armenia e Assiria) e della sua capitale, Ctesifonte. Nel 117 d.C., richiamato a fronteggiare una rivolta degli ebrei in Mesopotamia, decise di abbandonare le proprie conquiste, e si ammalò e morì poco dopo durante il ritorno a Roma, non prima di aver adottato il nipote Adriano. Oltre alla Dacia e all'annessione della Nabatea, le conquiste militari di Traiano si rivelarono effimere. Egli mostrò inoltre una politica di interesse per i bisogni degli Italia, ampliando le istituzioni alimentari create da Nerva. 96 Le fonti archeologiche.  La Colonna Traiana è un monumento innalzato a Roma per celebrare la conquista della Dacia (attuale Romania) da parte dell'imperatore Traiano; rievoca infatti tutti i momenti salienti di quella espansione territoriale. La cella alla base aveva la funzione di sepolcro per le ceneri dell'imperatore. Si tratta della prima colonna coclide mai innalzata. Era collocata nel Foro di Traiano.  Una scena tratta dalla Colonna Traiana a #Roma, in cui la personificazione divina del Danubio osserva i soldati romani attraversare il suo fiume su un ponte di barche all'inizio della prima guerra dei Daci. La figura di Traiano è raffigurata 59/60 volte e la sua presenza è spesso sottolineata dal convergere della scena e dello sguardo degli altri personaggi su di lui; è alla testa delle colonne in marcia, rappresentato di profilo e con il mantello gonfiato dal vento; sorveglia la costruzione degli accampamenti; sacrifica agli dèi; parla ai soldati; li guida negli scontri; riceve la sottomissione dei barbari; assiste alle esecuzioni.  Traiano a colloquio con un ufficiale, forse Lucio Licinio Sura. Forse il suo merito maggiore fu quello di segnalare a Traiano il futuro imperatore Adriano come successore. Di lui si narra di un possibile complotto contro Traiano. L'imperatore, evidentemente incurante del pericolo, giunto a conoscenza del mormorato complotto, non reagì in alcun modo, ma anzi andò a cena non invitato presso lo stesso Sura, congedando la sua guardia del corpo e mangiando tutto quello che gli venne servito. Offrì perfino la gola al rasoio del barbiere personale di Sura per farsi radere la barba insieme ai suoi stessi occhi per farli ungere. Alla sua morte, l'amico fraterno Traiano ordinò in suo onore un funerale di stato oltre ad ordinare che una sua statua fosse posta nello stesso Foro.  Suicidio di Decerbalo. Il re dacico si uccise tagliandosi la gola con un pugnale ricurvo. Secondo lo storico Cassio Dione, la sua testa fu esibita come trofeo ai soldati e poi inviata a Roma per essere portata nel trionfo di Traiano.  Traiano e Licinio guardano il premio di vittoria (la testa del re Decebalo), fregio della colonna traiana. Arco di Costantino. Epoca traianea: scene di battaglia e daci prigionieri.  97 Adriano, Il viaggiatore filelleno (117-138 d. C). Le poche fonti a nostra disposizione sono rappresentate da Cassio Dione e dalla Historia Augusta, una raccolta di vita degli imperatori del II e III secolo. Proveniente da una famiglia aristocratica emigrata a Betica ai tempi degli Scipioni, Adriano era nipote di Traiano, che affiancò come questore in Dacia e da cui ottenne il governatorato di Siria; gli fu vicino anche in Mesopotamia. Adriano, una volta riconosciuto imperatore, decise di abbandonare la politica di controllo diretto delle nuove province orientali create da Traiano e le affidò ai sovrani clienti, inaugurando una politica di consolidamento interno e ponendo fine alle guerre di espansione. Ciò probabilmente suscitava l'opposizione di uomini vicini a Traiano. Una traccia di questo dissenso si vede nella condanna a morte di quattro ex Consoli, fedeli a Traiano, accusati di aver tramato contro Adriano. Per acquistarsi la pubblica benevolenza, Adriano si preoccupò di alleviare il malessere economico, cancellando i debiti contratti a Roma e in Italia con la cassa imperiale, elargendo distribuzioni al popolo, reintegrando il patrimonio dei senatori e proseguendo il programma alimentare di Traiano. L'abbandono dell'espansionismo non implica che si disinteressò alle province o all'esercito, anzi fu un amministratore attento e un riformatore della disciplina militare: . Favorì il reclutamento dei provinciali. . Per far fronte alla riduzione delle reclute italiche creò nuove unità, i numeri, formate da soldati che conservavano gli armamenti e i sistemi di combattimento tradizionali delle popolazioni non romanizzate tra le quali erano reclutati. . Fu uomo di cultura e favorì l'arte, la letteratura, le tradizioni e i culti, dimostrando una predilezione per la civiltà ellenica. A Roma, sulla riva destra del Tevere, fece costruire per sé un mausoleo; a Tivoli la sua villa comprendeva circa 30 edifici. . Si impegnò nel controllo finanziario e amministrativo e incoraggiò la promozione delle élite orientali nel Senato di Roma. Passò 12 dei suoi 21 anni di Regno in viaggio per l'impero, acquisendo una conoscenza dettagliata delle situazioni locali e dei meccanismi amministrativi e finanziari dell'impero, dando una forma definitiva alle competenze giurisdizionali dei governatori provinciali e riorganizzando il proprio gruppo di consiglieri con l'inclusione di alcuni giuristi, rendendolo simile ad un organo statale vero e proprio. Fece costruire il Vallo di Adriano in Britannia e il Fossatum Africae tra Roma e l'Africa. Nel 132, dopo il suo passaggio, scoppiò in Palestina una rivolta, guidata da Simone Bar Kochba, che, come un nuovo messia, si pose a capo della resistenza. La rivolta scoppiò per l'intenzione di Adriano di assimilare agli ebrei altre popolazioni dell'impero, manifestatasi attraversa la Fondazione Gerusalemme della colonia di Aelia Capitolina: qui Adriano sarebbe stato oggetto di culto in un tempio dedicato a Giove. Simone fu alla fine sconfitto e sottoposto ad una durissima repressione. Adriano attuò una vasta riforma dell'amministrazione della giustizia, dividendo l'Italia in quattro settori affidati a senatori di rango consolare, alleggerendo il lavoro dei tribunali a Roma. Così però intaccò lo stato privilegiato dell'Italia rispetto alle province e lese la prerogativa giudiziaria del Senato. Introdusse la distinzione tra carriera e civile e militare, una scala di rango definita sulla base del compenso ed estese il campo d'azione dei cavalieri con l'impiego dei procuratori equestri per l'amministrazione del patrimonio imperiale, delle miniere e delle proprietà fondiarie. A succedergli fu inizialmente designato il console Lucio Elio Cesare, che però morì prematuramente. Adriano allora adottò Arrio Antonino, che adottò a sua volta il nipote di sua moglie, Marco Aurelio, e il figlio di Elio Cesare, Lucio Vero.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved