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Stratificazione sociale e il pensiero di Karl Marx e Max Weber, Appunti di Sociologia

Breve spiegazione sulla stratificazione sociale e approfondimento sulle teorie di Karl Marx e Max Weber inerenti a questo fenomeno sociale

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 16/07/2020

_EmmeSophie
_EmmeSophie 🇮🇹

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Scarica Stratificazione sociale e il pensiero di Karl Marx e Max Weber e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! STRATIFICAZIONE SOCIALE e il pensiero di KARL MARX e MAX WEBER In quanto sistema, ogni società, da quelle primitive a quelle moderne, dalla più semplice alla più complessa, presenta al suo interno delle differenze basate su come individui e gruppi sono diversamente distribuiti nello spazio sociale. Queste differenze di per sé sono normali e necessarie, ma queste diventano disuguaglianze nel momento in cui iniziano ad essere presupposto per disparità di trattamento. La disuguaglianza tra intere categorie di individui è definita “stratificazione sociale”. Il termine stesso suggerisce l’idea di una serie di strati sovrapposti, formati da gruppi sociali collocati in base al grado di ricchezza, potere e valutazione sociale. Un sistema di stratificazione può essere aperto o chiuso. Nel sistema aperto è presente la possibilità di accedere ai gradi superiori oppure di essere declassato e scendere a gradi inferiori. Invece, nel sistema chiuso non vi è nessuna possibilità di migliorare la propria situazione ed emanciparsi. Nel momento in cui, un individuo si sposta da uno strato sociale all’altro mette in atto una “mobilità sociale”, che indica il grado di apertura o di chiusura del sistema di stratificazione, cioè indica le difficoltà o la facilità per passare da uno strato all’altro. Ma nella circostanza in cui non è più un individuo che si sposta, ma un intero gruppo si parla di “mobilità collettiva”. All’interno della stratificazione è presente l’elemento della “classe sociale”. Questa espressione indica la posizione occupata da un gruppo nel sistema della stratificazione. In genere si riferisce all’insieme di individui che godono della stessa quantità di reddito e prestigio sociale. Le interpretazioni di Marx e Weber della stratificazione sociale, benché diverse, rientrano entrambe nella cornice teorica del conflitto, dove la stratificazione sociale e le gerarchie sociali sono direttamente legate allo sfruttamento di una parte della società nei confronti di altre. Secondo le teorie di Karl Marx, le classi sono raggruppamenti omogenei di persone che hanno lo stesso livello d’istruzione, di consumo, le stesse abitudini sociali, gli stessi valori e credenze. Egli distingue la “classe in sé” dalla “classe per sé”: con la prima espressione indica un insieme di individui che si trovano nella stessa posizione rispetto alla proprietà dei mezzi di produzione, la seconda indica gli individui che prendono coscienza di avere degli interessi comuni e di appartenere alla stessa classe. Nel 1848, Karl Marx e Friedrich Engels pubblicano “Il Manifesto del Partito Comunista”, commissionato dalla Lega dei Comunisti, per chiarire le idee al proletariato, esprimendo in modo semplice il concetto di emancipazione di questa classe. In questo testo Marx parte dall’idea che la storia è una continua “lotta di classe”. «Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba […] in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro» attraverso queste parole, scritte nel primo capitolo, “Borghesi e Proletari”, del manifesto, Marx vuole affermare come la storia sia una lotta interrotta tra le diverse classi, una lotta che finisce con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta. Marx afferma che l’elemento che determina la classe sociale è la posizione occupata all’interno del sistema di produzione. La contrapposizione non è dovuta alla relazione fra ricchi e poveri, ma al sistema di produzione capitalistico, che ha portato ad una separazione netta tra chi possiede mezzi di produzione (il capitalista) e chi possiede solo la forza lavoro (l’operaio). La moderna società borghese, sorta dalla rovina della società feudale, non ha eliminato i contrasti fra le classi, ma li ha semplificati e la società intera si scinde in due grandi campi nemici: borghesia e proletariato. La borghesia rappresenta la classe dei moderni capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione e classe dominante, quella classe che ha reso i lavoratori, delle attività degne di rispetto, semplici operai salariati e ha ridotto i rapporti di famiglia a semplice rapporto di soldi. Nella stessa misura in cui si è sviluppata la borghesia, si è sviluppato anche il proletariato, la classe degli operai moderni, i quali vivono solo fino a quando non trovano un’occupazione, e trovano lavoro soltanto fino a che la loro attività aumenti il capitale. Questi operai sono una merce come ogni altro prodotto e la loro attività ha perso ogni carattere di indipendenza e attrazione per l’operaio stesso. Secondo Marx le classi sociali sono un prodotto del capitalismo e non un aspetto funzionale della società moderna: la gerarchia sarebbe prodotta dalle relazioni di sfruttamento fra i capitalisti e i lavoratori, dove quest’ultimi accettano questo ordine sociale sfavorevole, poiché la classe dominante controlla i mezzi di repressione e politici e può costruire un’ideologia di classe a proprio vantaggio, inducendo i lavoratori a condividere l’idea che quell’assetto sociale è il migliore e più conveniente. Il solo modo in cui le classi dominate possono trasformare questa situazione è la rivoluzione. Quindi non basta una riforma che miri a riorganizzare le istituzioni presenti, perché esse sono fondate su quegli stessi principi della proprietà privata e divisione del lavoro, che sono all’origine dello sfruttamento e dell’alienazione dei lavoratori; ma ci deve essere una rivoluzione che punti alla demolizione di queste condizioni e pertanto deve essere violenta, in modo tale che la borghesia possa rinunciare ai propri privilegi. Parallelamente alla rivoluzione entra in scena il comunismo, tanto è vero che, all’interno del manifesto, Marx scrive: «uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo». Lo scopo del comunismo è quello di formazione del proletariato in classe, la caduta del dominio borghese e conquista del potere politico da parte del proletariato. Si ha una netta differenza tra i due tipi di sistemi economici, poiché il sistema economico capitalista è basato sulla proprietà privata degli immobili e mezzi di produzione; sulla libertà di iniziativa economica, cioè la libertà di ciascuno di scegliere cosa, quanto e per chi produrre; e lo Stato non interviene. La molla del sistema capitalista è la ricerca del profitto, cioè ciascuno è libero di cercare il massimo profitto con il minimo impiego di risorse a scapito degli altri per cercare di aumentare la sua ricchezza. A partire dalla metà dell’Ottocento, in particolare verso fine secolo, i diversi ruoli del potere, all’interno di questo sistema, o meglio da un lato l’enorme potere che avevano i capitalisti e il ruolo minimale e poco retribuito dei lavoratori, provocò un enorme squilibrio, che diede luogo a una serie di teorie che prendono vita dal marxismo e dal socialismo. Marx criticò il sistema capitalistico, perché domina la legge del profitto, lo sfruttamento dei lavoratori e il concetto di merce, che ha portato anche alla mercificazione delle relazioni sociali, arrivando ad introdurre un nuovo sistema, quello collettivista, il quale prevedeva che la proprietà dei mezzi di produzione, anziché essere lasciata in mano ai privati, passasse nelle mani dello Stato, cioè di un ente collettivo. In questo sistema collettivista è lo Stato che decide cosa produrre, dove produrre, per chi e quanto produrre. La maggior parte delle decisioni sono prese dallo Stato al posto dei cittadini. In altre parole si può affermare che il comunismo vuole abolire la proprietà privata e il carattere per il quale l’operaio esiste solo per accrescere il capitale e vive quel tanto che è richiesto dall’interesse della classe dominante. Attraverso la coscienza di classe del proletariato e la loro rivoluzione, secondo Marx, ci sarà la netta eliminazione del capitalismo, che, in realtà non arriverà mai, proprio perché le sovrastrutture, cioè gli ordinamenti giuridici e politici che rispecchiano la struttura economica, hanno impedito la sua caduta, attuando diverse strategie per placare l’animo rivoluzionario degli operai, come ad esempio il “Welfare State”, un insieme di politiche pubbliche che nel corso della storia hanno incontrato l’opposizione marxista. Il punto comune da cui due grandi pensatori, Karl Marx e Max Weber, prendono le mosse nelle loro indagini, è la constatazione che il nostro tempo è stato reso schiavo da una forza fatale: il capitalismo. La sociologia di Max Weber può essere considerata come un sistematico termine di confronto critico per il marxismo, a partire dal suo libro più noto “L’Etica protestante e lo Spirito del capitalismo”. In questo libro Weber costruisce una relazione tra l’etica protestante e lo spirito del capitalismo e afferma che al materialismo, come matrice dei processi storici, si contrappone l’influenza religiosa. L’intenzione di Weber è quella di dimostrare la relatività del marxismo, secondo il sociologo la versione proposta da Marx è una visione legittima della società, ma non lo è la sua pretesa di essere l’unica spiegazione possibile, cioè il fatto che ci possano essere altre analisi del capitalismo altrettanto valide. Come Marx, anche Weber afferma che all’interno della società sia presente una stratificazione sociale, ma con una netta differenza sul perché nasce questa divisione. Weber pone l’attenzione sull’individuo, che attraverso le sue interazioni quotidiane crea le divisioni, cioè l’individuo cerca di unirsi a dei gruppi con cui condivide le stesse caratteristiche, escludendo chi non ha quei determinati requisiti. Inoltre, il sociologo non vede in maniera negativa la stratificazione, anzi, la considera positiva perché porta all’emancipazione dell’individuo. Weber non si limita a collocare le classi sociali nell’ambito economico, ma afferma che le fonti delle disuguaglianze e i principi fondamentali della stratificazione sociale vadano ricercati non solo nell’ambito dell’economia, ma anche nella sfera della cultura e della politica. Questo ragionamento non può valere solo per il concetto di “classe”, ma riguarda anche il “ceto” e i “partiti”. La
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