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Sunto di procedura civile, II parte, Biavanti, elementi di diritto processuale civile, Dispense di Diritto Processuale Civile

I Riassunti sono dettagliati e suddivisi per paragrafi. Le forme alternative del processo dichiarativo: il rito del lavoro; il processo di ingiunzione; il procedimento di convalida di licenza e sfratto; Il procedimento sommario; il procedimento in camera di consiglio; l'arbitrato; il processo straniero; la tutela cautelare; il processo esecutivo e le espropriazioni.

Tipologia: Dispense

2017/2018

In vendita dal 19/05/2018

Cristina1871
Cristina1871 🇮🇹

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Scarica Sunto di procedura civile, II parte, Biavanti, elementi di diritto processuale civile e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! LE ALTRE FORME DI PROCESSO DICHIARATIVO. _Il processo del lavoro. Profili generali. Il processo civile ordinario a cognizione piena non è l’unica forma di processo dichiarativo, cioè di cognizione previo accertamento. Vi sono tre forme di cognizione dinanzi ai giudici dello Stato: il processo del lavoro, le tutele sommarie, il rito di cognizione semplificata. Vi è poi la giurisdizione privata degli arbitri e la giurisdizione del giudice straniero. L’ambito di applicazione del rito del lavoro -> Le norme sul rito del lavoro si applicano ad una serie definita di controversie, elencate all’art.409 c.p.c.: rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all’esercizio di una impresa; rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di compartecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonché rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie; rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato (c.d. rapporti di parasubordinazione); rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica; rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici ed altri rapporti di lavoro pubblico, semprechè non siano devoluti dalla legge ad altro giudice. Il profilo dei dipendenti di enti pubblici deve poi fare i conti con la c.d. privatizzazione del pubblico impiego. L’art.63 della l.165/2001 prevede che la maggior parte delle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni siano devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro. Il giudice del lavoro non soltanto ha il potere di disapplicare eventuali atti amministrativi illegittimi, ma può anche emettere, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all’assunzione, o accerta che l’assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro. In base agli artt.442 ss. c.p.c., le norme processuali del rito del lavoro si applicano anche alle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie. Il tentativo di conciliazione e l’arbitrato in materia di lavoro -> Secondo l’art.410 c.p.c. chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’art.409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione competente per territorio. Le commissioni sono composte da rappresentanti dei sindacati dei lavoratori e delle organizzazioni datoriali. Questa comunicazione ha l’effetto di interrompere la prescrizione e sospendere il decorso dei termini di decadenza, fino ai 20 giorni successivi alla conclusione del tentativo di conciliazione. La richiesta deve indicare gli elementi essenziali della controversia e specificare le parti e i fatti e le ragioni posti a fondamento della pretesa. La controparte decide se accettare o no di percorrere la via della conciliazione. Se non accetta, o se il tentativo fallisce, ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria. Se invece accetta il confronto deve depositare presso la commissione, nei 20 giorni successivi al ricevimento della richiesta, una memoria che indichi le difese, le eccezioni in fatto e in diritto e le eventuali domande riconvenzionali. La commissione convoca poi le parti per il tentativo di conciliazione: il lavoratore può farsi assistere anche da un’organizzazione cui aderisce o conferisce mandato. Se la conciliazione riesce, anche se limitatamente a una parte della domanda, viene redatto e sottoscritto un verbale di conciliazione, che poi il giudice renderà esecutivo, su istanza della parte interessata. Se invece l’accordo non si forma, la commissione di conciliazione, in forza dell’art.411 c.p.c., formula essa stessa una proposta di accordo. Se la proposta non è accettata, si forma un verbale con le osservazioni delle parti: di questi dati, il giudice terrà conto in sede del successivo giudizio per calibrare le spese di lite. I verbali e le memorie concernenti il tentativo fallito di conciliazione devono essere allegati al ricorso giurisdizionale. Vi è poi una terza via fra il fallimento e la riuscita della conciliazione: si tratta della possibilità, prevista dall’art.412 c.p.c., di affidare, di comune accordo, la soluzione della lite alla commissione di conciliazione, che viene ad acquisire la veste di arbitro. In tal caso la commissione, che nasce con il compito di favorire la conciliazione, diventa un organo decisorio. Il lodo che verrà emesso ha natura contrattuale ed è impugnabile, dinanzi al tribunale del lavoro competente, entro 30 giorni dall’emanazione, per i motivi e con le modalità previste per il loro irrituale. Tuttavia, se il lodo non è impugnato o è confermato dal tribunale, può essere reso esecutivo. Il legislatore prevede che le controversie di lavoro possono essere direttamente deferite in arbitri. Infatti secondo il comma 2 dell’art.806 c.p.c., le controversie di lavoro possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi. Dunque, oltre al ricorso al giudice e all’avvio della procedura conciliativa, che può sbocciare in arbitrato, è prevista la possibilità di avviare direttamente un arbitrato. _Il procedimento nel rito del lavoro. Il ricorso introduttivo -> Nel rito del lavoro la domanda non è proposta a mezzo dell’atto di citazione, ma con ricorso; nell’atto introduttivo vi deve essere una completa esposizione degli elementi di fatto e di diritto; la fissazione dell’udienza avviene da parte del giudice e il convenuto deve costituirsi con atto difensivo nei 10 giorni anteriori all’udienza; la trattazione, anche istruttoria, avviene all’udienza orale. La scelta del ricorso, come atto introduttivo, si spiega con il profilo di maggiore attivismo del giudice che contrassegna il rito del lavoro. Infatti si vuole attribuire fin dall’inizio al giudice il pieno governo della trattazione, cominciando con la fissazione del giorno previsto per l’udienza. Secondo l’art.414 c.p.c. il ricorso deve contenere: l’indicazione del giudice; il nome, il cognome, la residenza o il domicilio eletto del ricorrente nel comune in cui ha sede il giudice adito, il nome il cognome e la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto; se ricorrente o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta e la sede del ricorrente o del convenuto; la determinazione dell’oggetto della domanda; l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; l’indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti che si offrono in comunicazione. Rispetto all’atto di citazione nel processo ordinario vi sono due differenze. La prima differenza consiste nel fatto che nel ricorso di lavoro le parti devono subito indicare in modo preciso i mezzi di prova costituendi di cui chiedono l’ammissione e i documenti che producono: quindi non si può attendere fino ad oltre la prima udienza di trattazione. Più tardi possono emergere solo quegli elementi di prova che la parte non convenuto. Se vi sono domande autonome, il convenuto che si è difeso nei confronti del ricorso dell’attore, deve poter disporre del termine a difesa di almeno 30 giorni. Pertanto, quando vi è intervento autonomo il giudice deve fissare, con il rispetto di questo termine, una nuova udienza. L’art.420 vieta le udienze di mero rinvio. _Il procedimento nel rito del lavoro. L’istruttoria. Le ordinanze anticipatorie. Il mutamento di rito. L’incompletezza delle disposizioni sul rito del lavoro -> Il processo del lavoro non disegna un rito completo, quindi per tutto quello che non è disposto negli artt.413 ss. c.p.c. occorre fare riferimento alle norme stabilite per il rito ordinario. L’istruttoria -> Il giudice del lavoro dispone di poteri istruttori particolarmente efficaci. Mentre il rito ordinario è segnato da un principio dispositivo attenuato, il rito del lavoro è un processo a carattere inquisitorio, nel senso che al giudice è attribuita una pienezza di iniziativa di indagine sconosciuta al giudice del rito ordinario. Il giudice del lavoro è comunque vincolato al principio della disponibilità della tutela giurisdizionale, dall’angolo prospettivo dei fatti dedotti e delle domande proposte, che restano monopolio delle parti. Infatti ha poteri autonomi nella ricerca delle prove, volte ad asseverare i fatti, così come proposti dalle parti. Secondo l’art.421 il giudice può disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice, ad eccezione del giuramento decisorio. Quando esercita il proprio potere officioso, il giudice deve comunque fissare un’altra udienza, concedendo alle parti un termine perentorio non superiore a 5 giorni prima dell’udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note, che includeranno anche l’eventuale indicazione di prove contrarie. Inoltre il giudice può disporre la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti. Può ordinare la comparizione, per interrogarle liberamente sui fatti della causa, anche di quelle persone che siano incapaci di testimoniare perché portatori di un interesse che legittimerebbe il loro intervento. Può nominare consulenti tecnici. Infine, ma solo su istanza di parte, può disporre l’accesso sul luogo di lavoro, purchè necessario al fine dell’accertamento dei fatti, e disporre, se lo ritiene utile, l’esame dei testimoni in loco. Ai sensi dell’art.425, non solo il giudice può richiedere informazioni ai sindacati, ma su istanza di parte, è la stessa associazione sindacale indicata dalla parte interessata a poter rendere in giudizio, tramite un suo rappresentante, informazioni e osservazioni orali o scritte. Tali informazioni e osservazioni possono essere rese anche nel luogo di lavoro ove sia stato disposto l’accesso. Il giudice può richiedere alle associazioni sindacali il testo dei contratti e accordi collettivi di lavoro, anche aziendali, da applicare nella causa. Le ordinanze provvisorie di condanna -> Ai sensi dell’art.423 c.p.c. il giudice, su istanza di parte, in ogni stato del giudizio, dispone con ordinanza il pagamento delle somme non contestate. Inoltre, in ogni stato del giudizio, il giudice può, su istanza del lavoratore, disporre con ordinanza il pagamento di una somma a titolo provvisorio quando ritenga il diritto accertato e nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova. Questa ordinanza è revocabile con la sentenza che decide la causa. Entrambe le ordinanze costituiscono titolo esecutivo. Il mutamento di rito e l’eccezione di incompetenza -> Il codice deve affrontare e risolvere il caso in cui la parte attrice abbia commesso un errore nell’individuazione del rito applicabile alla controversia. L’art.426 dispone che il giudice, quando rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguarda uno dei rapporti previsti dall’art.409, fissa con ordinanza l’udienza di trattazione e il termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere all’eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. L’art.427 esamina l’ipotesi inversa. Il giudice, quando rileva che una causa promossa nelle forme del rito del lavoro riguarda un rapporto non incluso nella previsione dell’art.409, la trattiene, disponendo soltanto che gli atti siano messi in regola con le disposizioni tributarie. Se la causa non rientra nella sua competenza, la rimette con ordinanza al giudice competente, fissando un termine perentorio non superiore a 30 giorni per la riassunzione con il rito ordinario. Le prove acquisite mentre il processo era trattato con il rito speciale avranno l’efficacia consentita dalle norme ordinarie. Perciò, se il giudice del lavoro aveva ammesso una testimonianza inammissibile per il codice civile, quella deposizione perderà ogni valore una volta rientrata nell’ambito del rito ordinario. Infine, l’art.428 regola il caso dell’incompetenza, per materia o territorio. Quando una causa relativa ai rapporti di cui all’art.409 sia stata proposta a giudice incompetente, l’incompetenza può essere eccepita dal convenuto soltanto nella memoria difensiva o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre l’udienza di trattazione. Il giudice che dichiara la propria incompetenza rimette la causa al tribunale competente, in funzione di giudice del lavoro, fissando un termine perentorio non superiore a 30 giorni per la riassunzione con rito speciale. _La sentenza nel processo del lavoro. Il procedimento per impugnazione del licenziamento. La sentenza nel rito del lavoro -> Esaurite le altre attività il giudice raccoglie le conclusioni delle parti e invita alla discussione finale. Solo se lo ritiene necessario, il giudice, su richiesta delle parti, concede loro un termine non superiore a 10 giorni per il deposito di note difensive, rinviando la causa ad un’udienza successiva alla scadenza di tale termine, per la discussione e la pronuncia della sentenza. Il giudice, immediatamente terminata la discussione, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Solo in caso di particolare complessità della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a 60 giorni, per il deposito della sentenza. La mancata lettura del dispositivo è motivo di nullità della sentenza. Ai sensi dell’art.431 le sentenze che pronunciano condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all’art.409 sono provvisoriamente esecutive. All’esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, in pendenza del termine per il deposito della sentenza. Ai sensi dell’art.429, quando il giudice pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare, oltre agli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore per la diminuzione di valore del suo credito, condannando al pagamento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto. Infine, l’art.432 permette sempre al giudice, quando sia certo il diritto ma non sia possibile determinare la somma dovuta, di liquidarla con valutazione equitativa. La gestione uniforme delle liti seriali ->Ai sensi dell’art.420bis quando per la definizione di una controversia soggetta al rito del lavoro è necessario risolvere in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o di un accordo collettivo nazionale, il giudice decide con sentenza tale questione, impartendo distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione o per la prosecuzione della causa, fissando una successiva udienza in data non anteriore a 90 giorni. La sentenza è impugnabile soltanto con ricorso immediato per cassazione da proporsi entro 60 giorni dalla comunicazione dell’avviso di deposito della sentenza. Copia del ricorso per cassazione, a pena di inammissibilità del ricorso, deve essere depositata presso la cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata entro 20 giorni dalla notificazione del ricorso alle altre parti; il processo è sospeso dalla data del deposito. L’interpretazione uniforme nel pubblico impiego privatizzato -> Ai sensi dell’art.64 della l.165/2001 quando per la definizione di una controversia rientrante nella materia del pubblico impiego sottoposta alla giurisdizione ordinaria, è necessario risolvere ina via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale, sottoscritto dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran), il giudice del lavoro, con ordinanza non impugnabile, indica la questione da risolvere, fissa una nuova udienza e nel frattempo trasmette all’Aran la documentazione essenziale della causa. L’Aran convoca le organizzazioni sindacali che hanno firmato l’accordo e verifica la possibilità di un’interpretazione congiunta e autentica: se ciò accade, l’accordo esplicativo viene trasmesso al giudice, che deciderà la causa tenendone conto. In questo modo, senza sospendere il processo, si perviene ad una soluzione unitaria, che ha il pregio di prevenire contrasti di giurisprudenza e di governare in modo unitario le controversie seriali che sono insorte o potrebbero insorgere intorno a quell’aspetto della contrattazione collettiva. Può accadere che ad un’interpretazione unitaria non si pervenga. In questo caso, la questione ritorna al giudice, che la decide secondo la sua migliore lettura delle norme. Però occorre che questa lettura sia confermata autorevolmente: ecco allora la necessità che la questione di diritto pregiudiziale sia decisa con una sentenza, non definitiva, procedendo con l’istruzione della causa. La sentenza è una decisione in un punto di diritto, in sé inidonea a dare luogo a giudicato sostanziale. Le parti possono accettarla oppure contestarla. Se la vogliono contestare devono proporre immediatamente ricorso per cassazione, con l’effetto di dare luogo alla sospensione necessaria del processo in cui la questione è insorta e di ottenere a breve una pronuncia della suprema Corte. Una volta intervenuta la decisione della Corte di cassazione, il giudice fissa, anche d’ufficio, l’udienza per la prosecuzione del processo. Il procedimento per le domande di impugnativa del licenziamento -> Il procedimento per le domande di impugnativa del licenziamento consta di tre fasi. La domanda viene esaminata dal tribunale, quale giudice del lavoro, in una fase sommaria, che si chiude con l’emanazione di un’ordinanza. Contro l’ordinanza può essere proposta un’opposizione, sempre dinanzi al tribunale. Questa seconda fase si chiude con una sentenza, che può essere reclamata dinanzi alla corte d’appello, che a sua volta decide con una sentenza ricorribile per cassazione. La prima fase si introduce con un ricorso. Il tribunale del lavoro fissa l’udienza non oltre i 40 giorni successivi e il convenuto si può costituire entro i 5 giorni anteriori all’udienza. La trattazione è informale. Il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o che egli stesso disponga d’ufficio e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto sull’apprezzamento superficiale di un’evidenza di diritto. È sommaria la cognizione che, per il suo modo di essere, è superficiale, incompleta, non esauriente, che ha un’efficacia che non attinge un sufficiente livello veritativo. Dunque la sommarietà non va riferita al procedimento seguito, ma al contenuto gnoseologico dell’indagine svolta. È questo il motivo per cui non può definirsi sommaria la cognizione attuata nell’ambito del procedimento c.d. sommario, di cui all’art.702-bis c.p.c., che invece è soltanto un procedimento a cognizione semplificata. Il legislatore si propone, attraversi istituti diversi, di conseguire il risultato che normalmente discende dall’accertamento, senza compiere pienamente un accertamento. Un esempio di cognizione sommaria, interna al processo ordinario, sono le ordinanze anticipatorie di cui agli artt.186-bis, 186-ter e 186-quater. Esse sono dotate di una stabilità esecutiva indipendentemente dall’accertamento e dal giudicato. Analoga caratteristica presentano le ordinanze anticipatorie di cui all’art.423 nel rito del lavoro. Forme di tutela sommaria dei diritti sono: il procedimento di ingiunzione, il procedimento di convalida di licenza di finita locazione o sfratto, il procedimento in camera di consiglio. Si parla di procedimento sommario quando il processo giunge ad una decisione attraverso metodi che non includono tutta la pienezza di facoltà difensive e tutta l’adeguatezza dell’indagine sui fatti, che l’ordinamento appronta per il processo ordinario; con la garanzia che ciascuna delle parti possa trasferire la causa in una sede di cognizione piena e completa. Mentre la procedura sommaria si connota proprio per la sua incompletezza strutturale, quella semplificata riduce al minimo l’impegno del giudice e delle parti, ma senza scendere sotto la soglia di ciò che è necessario e sufficiente per un completo esame della questione. Nel quadro europeo i due principali riferimenti sul tema delle procedure sommarie sono: il refere francese e la tutela monitoria. _Il procedimento monitorio. La struttura del procedimento monitorio -> Il processo di cognizione è lo strumento normale per ottenere una pronuncia di condanna, idonea a conseguire efficacia di titolo esecutivo e permettere poi la realizzazione coattiva del credito. Tuttavia, in molti casi, la dimostrazione del diritto dell’attore è semplice: basta provare l’esistenza del credito con una fattura o con un altro documento scritto. In molti altri casi, non vi è alcun reale conflitto, nel senso che il debitore non nega il credito, ma soltanto non è in grado di pagarlo. In queste ipotesi è inutile attrezzare un complesso processo di cognizione. Si attua così una modalità peculiare di tutela, chiamata tutela monitoria. Il preteso creditore propone al giudice una domanda di condanna, fornita di prova scritta. Il giudice compie una verifica sommaria, perché del tutto incompleta e unilaterale, e condanna il presunto debitore a pagare, senza prima sentirlo in contraddittorio. Poiché il provvedimento finale è un decreto che ingiunge il pagamento, si indica questo mezzo come decreto ingiuntivo. Ricevuta la notificazione del provvedimento, spetta al debitore decidere se negare o no l’esistenza del credito: qualora vi sia vera contestazione, il debitore può opporsi al provvedimento, instaurando un normale giudizio a cognizione piena, in cui spetta a chi si pretende creditore dare prova del diritto vantato. Il ricorso e il decreto ingiuntivo -> Secondo l’art.633 c.p.c. può utilizzare questo procedimento chi si ritenga: creditore di una somma liquida di denaro; creditore di una determinata quantità di cose fungibili; creditore della consegna di una cosa mobile determinata. Il creditore si rivolge con ricorso al giudice competente e il giudice pronuncia ingiunzione di pagamento o di consegna in una fattispecie generale e in due fattispecie speciali. L’ipotesi generale è che si dia prova scritta del diritto fatto valere. Le due fattispecie speciali consentono l’emissione dell’ingiunzione, in primo luogo, se il credito riguarda onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione di un processo e, in secondo luogo, se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della loro legge professionale, oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata. L’ingiunzione può essere pronunciata anche se il diritto dipende da una controprestazione o da una condizione, purchè il ricorrente offra elementi atti a far presumere l’adempimento della controprestazione o l’avvertimento della condizione. In base all’art.634 sono prove scritte idonee all’emissione dell’ingiunzione, oltre a tutte quelle previste dal codice civile (atti pubblici o scritture private autenticate) anche: le polizze e promesse unilaterali per scrittura privata; i telegrammi, anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile; per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di denaro e per prestazioni di servizi, fatte da imprenditori che esercitano un’attività commerciale, anche a persone che non esercitano tale attività, gli estratti autentici delle scritture contabili tenute dall’imprenditore, purchè bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l’osservanza delle norme stabilite per tali scritture. In questa fase il giudice svolge una valutazione delle condizioni di ammissibilità, senza contraddittorio. Mentre il giudice valuta se concedere o no il provvedimento richiesto, la controparte non sa nulla dell’iniziativa che si sta svolgendo a suo pregiudizio. Il giudice può ritenere che non vi siano le condizioni per emettere il decreto ingiuntivo. In questo caso, l’ingiungente può riproporre un altro ricorso per decreto ingiuntivo (questa volta al giudice competente o con la documentazione opportuna), o iniziare un ordinario giudizio di cognizione. Non si forma alcun giudicato negativo sulla pretesa del ricorrente. Se invece il decreto ingiuntivo viene emesso, la fase senza contraddittorio finisce e inizia il confronto con la controparte. Infatti, il ricorso con il decreto ingiuntivo apposto in calce, cioè in fondo, all’atto deve essere notificato alla controparte entro 60 giorni (90 se l’ingiunto risiede all’estero) dalla data dell’emissione. Se non viene notificato il provvedimento perde ogni efficacia. La domanda può essere riproposta. Se il decreto ingiuntivo viene notificato tempestivamente e validamente, si instaura il contraddittorio con il convenuto Il debitore potrebbe agire in prevenzione: cioè potrebbe notificare al creditore un atto di citazione contenente una domanda di accertamento negativo dell’esistenza del credito. Le due domande (quella di condanna proposta dal creditore in via monitoria, e quella di accertamento negativo proposta dal debitore in via ordinaria) sono identiche, per parti, oggetto e titolo giuridico. Si ha quindi una situazione di litispendenza che comporta la cancellazione della seconda causa e la prosecuzione del giudizio nella prima. È la prevenzione a stabilire quale causa è radicata per prima. Tutta la fase sommaria del procedimento si svolge obbligatoriamente con le modalità telematiche. Il ricorso deve essere depositato telematicamente e in identica forma viene emesso il decreto. L’efficacia del decreto ingiuntivo -> Ricevuta la notifica il convenuto apprende che è stata proposta una domanda giudiziale nei suoi confronti e che questa domanda è stata accolta. L’ingiunto può contrastare l’iniziativa dell’ingiungente, mediante la proposizione di un giudizio di opposizione. Si tratta di un giudizio ordinario. In realtà, solo una minima parte dei decreti ingiuntivi viene opposta: di solito, dietro ad un ricorso monitorio si ha la situazione di un debitore che non contesta il credito, ma che non può pagare per difficoltà economiche. In base all’art.647 se non è fatta opposizione nel termine stabilito, il giudice, su istanza del ricorrente, dichiara esecutivo il decreto. Quando il decreto è stato dichiarato esecutivo, l’opposizione non può essere proposta né proseguita. Il decreto ingiuntivo emesso e non opposto è un titolo esecutivo e consente di iniziare l’esecuzione forzata per espropriazione o per consegna o rilascio. Quindi risponde all’interesse del creditore di disporre di uno strumento idoneo ad aggredire il patrimonio del debitore, senza il lungo percorso di un giudizio di cognizione. La cognizione è stata sommaria ma l’ingiunto avrebbe potuto sfidarla proponendo opposizione. Se l’opposizione non c’è, il convenuto mostra di accettare quel risultato; il suo silenzio, la sua non contestazione e la sua mancanza di difesa dei suoi diritti inducono a pensare che egli ammetta di essere debitore. Si ritiene che l’accertamento contenuto nel decreto monitorio non opposta abbia la forza di giudicato sostanziale sui diritti oggetto della pronuncia del giudice. Il decreto ingiuntivo, divenuto esecutivo per mancanza di opposizione, può essere impugnato per revocazione nei casi indicati nei numeri 1, 2, 5, e 6 dell’art.395 e con opposizione di terzo nei casi previsti dall’art.404, comma 2. L’immediata esecutorietà del decreto ingiuntivo -> Il decreto ingiuntivo non è esecutivo in pendenza del termine per proporre opposizione. In base all’art.642 il giudice, su istanza del ricorrente, può ingiungere al debitore di pagare o consegnare senza dilazione, autorizzando in mancanza l’esecuzione provvisoria del decreto e fissando il termine ai soli effetti dell’opposizione. L’immediata esecutorietà del decreto ingiuntivo si realizza in due casi: quando il credito è basato su un documento che già avrebbe forza di titolo esecutivo stragiudiziale (cambiale, assegno bancario, assegno circolare, atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato); se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, oppure il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere. _L’opposizione a decreto ingiuntivo. L’ingiunzione europea. Struttura dell’opposizione a decreto ingiuntivo -> Il debitore ingiunto che non intende accettare l’ordine di pagamento che gli viene impartito può proporre opposizione. L’opposizione, a pena di decadenza, si attua entro un termine di 40 giorni dal ricevimento della notificazione del decreto. L’opposizione è proposta davanti al medesimo ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto. L’opposizione non è un’impugnazione, ma solo l’atto che apre, per la prima volta, il contenzioso ordinario sulla pretesa dedotta dall’attore ingiungente. È quindi sull’opposto che ricade l’onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa: prova che dovrà essere data con le regole comuni del codice civile. In forza dell’art.645 la citazione introduttiva è notificata al ricorrente nei luoghi di cui all’art.638, e cioè nel domicilio eletto dall’ingiungente nel ricorso presso il suo sia comparso, la formula esecutiva ha effetto solo dopo 30 giorni dalla data in cui è stata apposta. Se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste. Il conduttore moroso ha diritto ad ottenere il c.d. termine di grazia: cioè un termine ulteriore, entro il quale pagare i canoni scaduti ed evitare, in questo modo, il provvedimento di convalida dello sfratto. L’opposizione dell’intimato -> Quando l’intimato compare e si oppone la fase sommaria finisce e si apre un normale giudizio di cognizione. In base all’art.665, se le eccezioni del convenuto non sono fondate su prova scritta, il giudice, su istanza del locatore, se non sussistano gravi motivi in contrario, pronuncia ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto. In forza dell’art.666, se si discute di sfratto per morosità e il convenuto nega di essere moroso, contestando l’entità della somma pretesa, il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della somma non controversa e concedere al convenuto un termine non superiore a 20 giorni: se il conduttore non ottempera all’ordine di pagamento, il giudice convalida l’intimazione di sfratto e, se vi è stata richiesta dell’intimante in questo senso, pronuncia decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni. L’ordinanza è immediatamente esecutiva. Si assiste qui al combinato operare di due diverse tutele. Anche il decreto è immediatamente esecutivo, contro di esso può essere proposta opposizione ad ingiunzione. L’opposizione non toglie efficacia all’avvenuta risoluzione del contratto, nel senso che comunque il rapporto locatizio è risolto e il conduttore dovrà rilasciare l’immobile. Così come per il caso dell’ingiunzione, il codice prevede la possibilità di un’opposizione tardiva alla convalida, basata sul principio della rimessione in termini della parte incolpevole. Il termine è di 10 giorni dall’esecuzione. L’opposizione si propone davanti al tribunale nelle forme prescritte per l’opposizione al decreto di ingiunzione in quanto applicabili. _Il processo c.d. sommario. Il procedimento a cognizione semplificata -> La riforma del 2009 ha introdotto un modello di giudizio a cognizione semplificata, applicabile alla generalità delle situazioni soggettive, senza che occorra alcun requisito di urgenza nella tutela o di irreparabilità del danno, che sfocia in un provvedimento idoneo al giudicato. La cognizione del giudice del rito sommario non è sommaria, nel senso che non è incompleta o superficiale, ma è piena e adeguata alle caratteristiche di quel caso. Essa è piuttosto una cognizione semplificata, caratterizzata da una fattispecie riconducibile ad un quadro probatorio non complesso. Il rito sommario è un rito a cognizione semplificata, ma piena ed adeguata, limitato a fattispecie non complesse. Le fasi iniziali del procedimento -> Secondo l’art.702-bis, il procedimento semplificato può trovare applicazione senza alcuna limitazione di materia, ma soltanto nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica. Ciò esclude che esso si applichi non solo alle cause che appartengono alla composizione collegiale del tribunale, ma anche dinanzi al giudice di pace o alla corte d’appello quando decide in unico grado. La domanda proponibile con il rito sommario può essere una qualunque domanda di cognizione: di condanna, di mero accertamento e costitutiva. La forma della domanda è quella del ricorso, da proporre al tribunale competente. Il ricorso, sottoscritto dall’avvocato, deve contenere tutte le indicazioni tipiche di un atto di citazione. A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento. Il giudice designato fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre 10 giorni prima dell’udienza; il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto almeno 30 giorni prima della data fissata per la sua costituzione. Il convenuto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza, deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio. Se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia deve, sempre a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La scelta del giudice sul rito applicabile -> Una volta avviato il procedimento il giudice esamina la domanda e può attuare sia una scelta di carattere puramente processuale sia compiere una prognosi circa la complessità fattuale della causa. Se la causa può essere decisa con un’istruttoria molto semplice, il giudice la tratterà con il rito a cognizione semplificata; se invece ritiene che occorra un’istruttoria complessa, la avvierà a seguire il rito ordinario. La scelta del giudice, se continuare con il rito sommario o passare all’ordinario, dipende dalla fattispecie concreta. L’art.702 bis parla di istruzione. Quindi, la scelta del giudice dipende dalla complessità in fatto e non da quella in diritto della causa che deve esaminare. La complessità deve essere organizzativa e non concettuale. Se la causa deve essere decisa in base alla difficile interpretazione di un solo documento, è possibile procedere con il rito sommario; se invece è necessario ascoltare molti testimoni o disporre una complessa consulenza tecnica, si dovrà optare per il rito ordinario. Il giudice deve fare una pre-analisi del caso e misurare la quantità di attività istruttoria necessaria e deliberare di conseguenza. Al giudice spetta il compito di esaminare, in questa sede, anche la rilevanza e l’ammissibilità delle prove dedotte dalle parti. Se il giudice decide di trattare la causa con il rito ordinario, con ordinanza non impugnabile, fissa l’udienza di trattazione e il processo prosegue secondo le modalità ordinarie. La trattazione semplificata -> Qualora opti per il rito a cognizione semplificata, alla prima udienza, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, il giudice procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande, nonché sull’attribuzione delle spese di lite. Quindi, il procedimento sommario non ha regole predeterminate: è essenziale solo il rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti. Gli atti di istruzione dovranno essere organizzativamente semplici e la decisione avrà le forme dell’ordinanza. In pratica, il tutte si deve svolgere nell’arco di una o due udienze, possibilmente ravvicinate. Nel rito a cognizione semplificata, il giudice può disporre d’ufficio le stesse prove che possono essere disposte d’ufficio dal giudice del rito ordinario. Tuttavia, egli dovrà limitarsi a quelle prove costituende che risultino compatibili con una trattazione rapida. Dunque si tratta di un limite organizzativo e non di un limite di poteri. Però può accadere che il giudice non possa arrivare ad esaminare il merito. Infatti, si può verificare che: il giudice sia incompetente; che la domanda sia inammissibile, perché non rientra fra quelle suscettibili di essere esaminate con il rito sommario; che si dia luogo a una di queste ipotesi per la domanda riconvenzionale, talchè il giudice ne deve disporre la separazione. In tutti questi casi, il giudice pronuncia con ordinanza e declina di giudicare: la parte interessata potrà riproporre la domanda dinanzi al giudice competente, o ricominciare con il rito ordinario. Gli effetti della decisione e i limiti di applicazione delle norme ordinarie -> La ragione per cui il c.d. procedimento sommario non è in realtà sommario, ma è un processo a cognizione piena, anche se semplificata, sta negli effetti della decisione. L’ordinanza non solo è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione ma, se non è appellata entro 30 giorni dalla sua comunicazione o notificazione, passa in giudicato sostanziale, come previsto dall’art.702 quater. Il passaggio dal rito ordinario al rito c.d. sommario -> La l.162/2014 ha previsto la possibilità inversa: cioè che non sia il giudice del rito a cognizione semplificata a passare alla trattazione ordinaria, ma al contrario, sia il giudice adito con il rito ordinario a disporre il passaggio al rito sommario. L’art.183-bis prevede che il tribunale in composizione monocratica, all’udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruttoria probatoria, può decidere, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda nelle forme del rito c.d. sommario. In questo caso potrebbe sorgere qualche problema. Infatti può accadere che nel rito ordinario, le parti sono giunte alla prima udienza senza aver necessariamente definito la materia del contendere, che può essere completata fino alla seconda delle memorie, inoltre può accadere che le parti non hanno indicato le prove, che possono essere dedotte per la prima volta sempre in tale memoria. Quindi, l’art.183-bis stabilisce che il giudice invita le parti a indicare nella stessa udienza, a pena di decadenza, i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria. Se le parti lo chiedono, può fissare una nuova udienza e un termine perentorio non superiore a 15 giorni per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali e un termine perentorio di ulteriori 10 giorni per le sole indicazioni di prova contraria. Compiuti questi adempimenti, fisserà l’udienza, per definire la causa con il rito a cognizione semplificata. L’appello -> Nell’appello contro l’ordinanza emessa a seguito di un procedimento a cognizione semplificata sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione, o la parte dimostra di non aver potuto produrli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. Il procedimento c.d. sommario e la semplificazione dei riti -> Il d.lgs.150/2011 tariffe del collegio, di fornire i supporti materiali per lo svolgimento del procedimento, di fissare le regole di procedura e di compiere alcune funzioni ordinatorie, come la proroga del termine per la pronuncia del lodo. Vi sono importanti settori (ad esempio la materia dei lavori pubblici) in cui l’arbitrato, pur non essendo obbligatorio, è però obbligatoriamente amministrato: le parti possono sceglierlo o no, ma se lo scelgono, non possono governare con regole ad hoc ma devono sottostare a forme di arbitrato amministrato disciplinate dalla legge. La dottrina, a proposito, ha utilizzato la formula di arbitrati da legge. _Il patto di arbitrato. La nomina degli arbitri. Il patto di arbitrato -> Alla base del fenomeno dell’arbitrato si trova un atto di volontà negoziale delle parti che fona e limita il compito degli arbitri. Questo negozio è il patto di arbitrato. Nel patto di arbitrato le parti si accordano per far decidere una loro controversia ad uno o più arbitri, sottraendola alla giurisdizione del giudice dello Stato. Si può distinguere fra un contenuto necessario e un contenuto eventuale del patto di arbitrato. Il profilo necessario è la volontà di assoggettare ad arbitrato la controversia o le controversie future in una data materia. Tutte le altre condizioni per avviare un procedimento possono essere desunte da fonti estranee al patto. Requisiti di validità del patto di arbitrato -> La sottrazione di una data controversia alla giurisdizione dello Stato richiede che la volontà delle parti sul punto sia adeguatamente verificata. Secondo gli artt.807, 808 e 808-bis, il patto di arbitrato (compromesso o clausola compromissoria) deve avere forma scritta, a pena di nullità. La forma scritta è rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico. Il patto di arbitrato è la fonte del potere degli arbitri. Il patto di arbitrato deve determinare l’oggetto della controversia. Questa disposizione è stringente per il compromesso, cioè quando la controversia è già insorta, è meno radicale per la clausola compromissoria, che deve però individuare con chiarezza a quali tipi di controversie, eventuali e future, si applicherà l’accordo arbitrale. Come ogni contratto, il patto di arbitrato vincola soltanto chi lo ha sottoscritto. Ai sensi dell’art.808-quinquies la conclusione del procedimento arbitrale senza pronuncia sul merito non toglie efficacia alla convenzione di arbitrato. La nomina degli arbitri -> La varietà di modi in cui può essere condotto un arbitrato richiede sempre e comunque il rispetto di due elementi basilari: il rispetto del contraddittorio e l’imparzialità. Ai sensi dell’art.809 gli arbitri devono essere in numero dispari, in modo da consentire sempre la formazione di una maggioranza. In caso di indicazione di un numero pari di arbitri, se le parti non hanno diversamente convenuto, un ulteriore arbitro è nominato dal presidente del tribunale. Normalmente si sceglie un arbitro singolo o un collegio di tre arbitri. Il patto di arbitrato può già indicare nominativamente l’arbitro o gli arbitri. Però può accadere che il patto di arbitrato non abbia provveduto al riguardo e che le parti non si accordino: in tal caso, gli arbitri sono tre e la nomina è affidata al presidente del tribunale. La modalità classica di nomina degli arbitri è quella della c.d. clausola binaria. Ogni parte nomina un arbitro e poi le parti, oppure gli arbitri nominati, scelgono insieme il terzo arbitro. Secondo l’art.810 quando a norma del patto di arbitrato gli arbitri devono essere nominati dalle parti, ciascuna di esse, con atto notificato per iscritto, rende noto all’altra l’arbitro o gli arbitri che essa nomina, con invito a procedere alla designazione dei propri. La parte, alla quale è rivolto l’invito, deve notificare per iscritto, nei 20 giorni successivi, le generalità dell’arbitro o degli arbitri da essa nominati. Se la controparte non si attiva, la parte che ha fatto l’invito può chiedere, mediante ricorso, che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario si trova la sede dell’arbitrato. Il presidente del tribunale competente provvede alla nomina richiestagli, se il patto di arbitrato non è manifestamente inesistente o non prevede manifestamente un arbitrato estero. Le stesse disposizioni si applicano se la nomina di uno o più arbitri è demandata dal patto di arbitrato all’autorità giudiziaria o se, essendo demandata a un terzo, questi non vi ha provveduto. Inoltre le stesse regole valgono qualora sia necessario sostituire, per qualsiasi ragione, uno o più arbitri fra quelli nominati. L’imparzialità degli arbitri -> L’imparzialità di chi decide è un punto essenziale anche nell’arbitrato. Ne segue che, come per i giudici, anche per gli arbitri è prevista la possibilità della ricusazione. Un arbitro può essere ricusato se non ha le qualifiche convenute dalle parti, se è legato ad una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla o a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, o da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l’indipendenza. L’art.832 stabilisce che il regolamento può prevedere ulteriori casi di sostituzione e ricusazione degli arbitri in aggiunta a quelli previsti dalla legge. Premesso che una parte non può ricusare l’arbitro che essa ha nominato o contribuito a nominare se non per motivi conosciuti dopo la nomina, è chiaro che l’istanza di ricusazione non può che essere proposta ad un organo esterno al collegio arbitrale. L’art.815 ne attribuisce la cognizione al presidente del tribunale della sede dell’arbitrato, indipendentemente dal fatto che questi abbia contribuito o no alla costituzione del collegio. Il termine è di 10 giorni dalla notificazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il presidente pronuncia con ordinanza non impugnabile, sentito l’arbitro ricusato e le parti e assunte, quando occorre, sommarie informazioni, provvedendo sulle spese e, nel caso di manifesta inammissibilità o manifesta infondatezza dell’istanza di ricusazione, condanna la parte che l’ha proposta al pagamento, in favore dell’altra parte, di una somma equitativamente determinata. Il codice prevede che la proposizione dell’istanza di ricusazione non sospende il procedimento arbitrale, salvo diversa determinazione degli arbitri. Tuttavia, se l’istanza è accolta, l’attività compiuta dall’arbitro ricusato o con il suo consenso è inefficace. I rapporti fra le parti e gli arbitri -> Il rapporto tra le parti e gli arbitri è un mandato: le parti incaricano gli arbitri di pronunciare il lodo che risolve la controversia fra di loro. Da ciò deriva, da un lato, la responsabilità degli arbitri per il compimento del loro incarico, dall’altro, il diritto degli arbitri a percepire un compenso per la loro attività. Nessuno può essere obbligato a svolgere il compito di arbitro e quindi, chi viene designato come tale dalle parti o dal presidente del tribunale o da un’altra autorità di nomina deve accettare la nomina, prima che inizi il procedimento. Nel contempo, chiunque può essere arbitro, purchè abbia piena capacità legale di agire: tuttavia di solito la scelta cade su un esperto. L’art.813-ter limita la responsabilità risarcitoria degli arbitri ai soli casi in cui l’arbitro: con dolo o colpa grave abbia omesso o ritardato atti dovuti e perciò sia stato dichiarato decaduto, o abbia rinunciato all’incarico senza giustificato motivo; con dolo o colpa grave abbia omesso o impedito la pronuncia del lodo entro il termine previsto; abbia agito con dolo o colpa grave nei limiti previsti dalla legge sulla responsabilità civile dei magistrati. L’art.813-bis disciplina il caso in cui arbitro ometta o ritardi di compiere un atto dovuto, relativo alle sue funzioni. Se la volontà delle parti non ha previsto una soluzione diversa, ciascuna delle parti può dapprima diffidare l’arbitro con lettera raccomandata per ottenere l’atto e, in difetto, trascorsi 15 giorni, ricorrere al presidente del tribunale per ottenerne la decadenza e la conseguente sostituzione. Il presidente decide con ordinanza, sentite le parti. L’azione di responsabilità contro gli arbitri può essere proposta solo dopo la fine del procedimenti, tranne per il caso in cui l’arbitro con dopo o colpa grave abbia omesso o ritardato atti dovuti e perciò sia stato dichiarato decaduto, o abbia rinunciato all’incarico senza giustificato motivo. Inoltre, se è stato pronunciato il lodo, l’azione di responsabilità può essere proposta soltanto dopo l’accoglimento dell’impugnazione con sentenza passata in giudicato e per i motivi per cui l’impugnazione è stata accolta. Se la responsabilità non dipende da dolo dell’arbitro, la misura del risarcimento non può superare una somma pari al triplo del compenso; all’arbitro responsabile non è dovuto alcun compenso o rimborso spese. Ciascun arbitro risponde solo del fatto proprio. Mentre i giudici sono pagati dallo Stato e i cittadini vi concorrono versando le imposte, gli arbitri sono privati e quindi vanno retribuiti direttamente dalle parti. _Il procedimento arbitrale. La sede -> L’unico limite di legge è che la sede deve trovarsi in Italia. Il luogo concreto sarà fissato dalle parti o dagli arbitri. Se né le parti né gli arbitri provvedono, l’art.816 fissa, come regola di chiusura, quella che identifica la sede con il luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato, con l’ulteriore precisazione che, se è stato stipulato all’estero, la sede è a Roma. Se il patto di arbitrato non dispone diversamente, gli arbitri possono tenere udienza, compiere atti istruttori, deliberare e apporre le loro sottoscrizioni al lodo anche in luoghi diversi dalla sede dell’arbitrato e anche all’estero. Se le parti non si sono espresse, gli arbitri hanno facoltà di scegliere la lingua del procedimento. La domanda di arbitrato -> Il procedimento arbitrale prende avvio con la domanda di arbitrato, definita dall’art.669-octies come l’atto che una parte deve notificare e caratterizzato da tre elementi: la dichiarazione di voler promuovere il procedimento arbitrale; la proposizione della domanda; la nomina dell’arbitro, se e in quanto previsto dal patto di arbitrato, che potrebbe anche stabilire che l’arbitro unico o il collegio siano tutti nominati da un’autorità terza. La difesa della controparte consiste in un atto in cui essa nomina il proprio arbitro e dichiara di opporsi alla domanda della parte istante. L’oggetto del giudizio arbitrale verrà a formarsi progressivamente. Una volta costituito il collegio, le parti avranno modo di scambiarsi scritti difensivi, in cui emergeranno i fatti, saranno dedotte le prove, verranno analiticamente indicate le domande. L’art.829 prescrive la nullità del lodo che non abbia pronunciato su alcune delle domande ed eccezioni proposte dalle parti. Il giudizio arbitrale non conosce preclusioni rigide. Non si applicano le regole sulle preclusioni del processo ordinario e spetta agli arbitri consentire l’ingresso di elementi nuovi durante il procedimento, con il solo limite del rispetto del contraddittorio. Nel arbitri. Il termine può essere prorogato solo prima della scadenza. Vi sono inoltre alcuni casi di proroga disposta dalla legge. Il termine è prorogato di 180 giorni, e per non più di una volta nell’ambito di ciascun caso, se devono essere assunti mezzi di prova, se è disposta la consulenza tecnica d’ufficio, se è pronunciato un lodo non definitivo o un lodo parziale e se viene modificata la composizione del collegio arbitrale o è sostituito l’arbitro unico. In queste ipotesi la decisione di utilizzare la proroga del termine deve essere formalizzata dagli arbitri. Vi sono casi in cui gli arbitri devono o possono sospendere il procedimento. In queste ipotesi, il termine per la pronuncia del lodo è sospeso finchè perdura la sospensione. In ogni caso, dopo la ripresa del procedimento, il termine residuo, se inferiore, è esteso a 90 giorni. Il mancato rispetto del termine è motivo di impugnazione per nullità del lodo, oltre che fonte di responsabilità per gli arbitri-mandatari. Il lodo arbitrale: deliberazione e contenuto -> Al termine del procedimento e nel rispetto dei termini gli arbitri decidono la controversia ed emettono una pronuncia che prende il nome di lodo. A questo lodo l’ordinamento riconosce efficacia di sentenza. Come i giudici, gli arbitri decidono secondo diritto. L’art.822 consente alle parti di disporre che la decisione avvenga secondo equità: occorre però che la previsione abbia carattere espresso. Ai sensi dell’art.823 il lodo è deliberato a maggioranza di voti ed è redatto per iscritto. Il lodo deve contenere: il nome degli arbitri; l’indicazione della sede dell’arbitrato; l’indicazione delle parti; l’indicazione del patto di arbitrato e delle conclusioni delle parti; l’esposizione sommaria dei motivi; il dispositivo; la sottoscrizione degli arbitri; la data delle sottoscrizioni. La mancanza della motivazione, del dispositivo e della sottoscrizione costituiscono motivi di nullità del lodo. L’efficacia del lodo -> L’art.824-bis dispone che il lodo rituale ha gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria, e ciò dalla data dell’ultima sottoscrizione. L’efficacia del lodo è nozione distinta dalla sua esecutorietà: per fungere da titolo esecutivo e permettere l’esecuzione forzata, il lodo deve essere previamente omologato dal giudice statuale, secondo un apposito procedimento regolato dall’art.825. Gli arbitri sono tenuti a redigere il lodo in uno o più originali. Gli arbitri danno poi comunicazione del lodo a ciascuna parte mediante consegna di un originale o di una copia conforme, anche con spedizione in plico raccomandato, entro 10 giorni dalla sottoscrizione del lodo. L’effetto di accertamento è pieno, e in caso di mancata impugnazione, l’accertamento contenuto nel lodo acquista efficacia di cosa giudicata, però il potere degli arbitri non si può spingere fino alla realizzazione coattiva dei comandi. Secondo l’art.825 la parte che intende far eseguire il lodo nel territorio della Repubblica ne propone istanza depositando il lodo in originale, o in copia conforme, insieme con l’atto contenente il patto di arbitrato, in originale o in copia conforme, nella cancelleria del tribunale nel cui circondario si trova la sede dell’arbitrato. Il tribunale accerta la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto. Contro il decreto che nega o concede l’esecutorietà è possibile, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, un reclamo dinanzi alla corte d’appello che, sentite le parti, decide in camera di consiglio con ordinanza. Analogamente alle sentenze dello Stato, anche il lodo può presentare errori materiali o lacune. Senza dover ricorrere all’impugnazione si può ottenere la correzione del lodo, regolata dall’art.826. infatti ogni parte può chiedere agli arbitri, entro un anno dalla comunicazione del lodo, sia di correggere nel testo del lodo omissioni o errori materiali o di calcolo, anche se hanno determinato una divergenza fra i diversi originali del lodo pure se relativa alla sottoscrizione degli arbitri, sia di integrare il lodo con uno degli elementi formali, se inesatto o mancante. Gli arbitri, sentite le parti, provvedono entro il termine di 60 giorni, dandone comunicazione alle parti. Se gli arbitri non provvedono, l’istanza di correzione viene presentata al tribunale della sede dell’arbitrato. Se poi il lodo è stato depositato, la correzione è chiesta al tribunale del luogo del deposito; infine si può chiedere la correzione anche al giudice di fronte al quale il lodo è stato impugnato o è stato fatto valere. _L’impugnazione del lodo. Profili generali -> Come ogni sentenza, il lodo rituale può essere soggetto ad un controllo impugnatorio. Non vi sono arbitri d’appello. ne segue che il lodo viene impugnato davanti ai giudici dello Stato. L’art.827 limita il controllo del lodo a tre possibilità: l’impugnazione per nullità, la revocazione e l’opposizione di terzo. Le impugnazioni sono proponibili indipendentemente dal deposito del lodo per ottenerne l’esecutorietà. Il lodo che decide parzialmente il merito della controversia, cioè che definisce parte delle domande senza esaurire la materia del contendere, è impugnabile immediatamente, mentre il lodo non definitivo, che risolve alcune delle questioni insorte senza definire l’intero giudizio, è impugnabile solo insieme al lodo definitivo. L’impugnazione per nullità -> L’atto di impugnazione è una citazione, dinanzi alla corte d’appello nel cui distretto è la sede dell’arbitrato. La parte che impugna il lodo può chiedere alla corte d’appello che ne sospenda l’efficacia, quando sussistono gravi motivi. L’impugnazione per nullità è possibile: per 12 motivi tassativi, attinenti a violazioni di carattere formale-procedurale; talora, a precise condizioni, per violazione di regole di diritto attinenti al merito della controversia. I motivi di impugnazione del lodo per nullità -> Secondo l’art.829 il lodo è impugnabile se: il patto di arbitrato è invalido; se gli arbitri non sono stati nominati con le forme previste dal codice, e perché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale; se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro; se il lodo ha pronunciato oltre i limiti del patto di arbitrato o ha deciso il merito della controversia in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso; se il lodo non ha i requisiti formali indicati nei numeri 5, 6, e 7 dell’art.823; se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine stabilito, a condizione che la parte impugnante abbia comunicato che intende far valere la decadenza degli arbitri prima della loro pronuncia; se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte dalle parti sotto espressa sanzione di nullità e la nullità non è stata sanata; se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato, purchè l’uno e l’altra siano stati prodotti nel procedimento; se nel procedimento arbitrale è stato violato il principio del contraddittorio; se il lodo omette di decidere nel merito, mentre il merito doveva essere deciso dagli arbitri; se il lodo contiene disposizioni contraddittorie; se il lodo non ha pronunciato su qualcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità al patto di arbitrato. Un lodo dichiarato non impugnabile dal patto di arbitrato può ugualmente essere impugnato se sussiste almeno uno dei 12 motivi. L’impugnazione per violazione delle regole di diritto, di solito, non è ammessa. È possibile solo se: è espressamente voluta dalle parti; è espressamente disposta dalla legge; il lodo è contrario all’ordine pubblico; in ogni caso, se la violazione delle regole di diritto concerne la soluzione di una questione pregiudiziale su materia non compromettibile in arbitri. L’impugnazione del lodo per violazione di regole fondamentali del diritto dell’Unione europea deve sempre ritenersi ammessa. La decisione sull’impugnazione -> Il rigetto dell’impugnazione ha il risultato di confermare il lodo. Se accoglie l’impugnazione, la corte d’appello dichiara la nullità del lodo. Ne segue che si ha una totale eliminazione del lavoro degli arbitri. Se un vizio incide solo su una parte del lodo scindibile dalle altre si può avere dichiarazione di nullità parziale del lodo. L’art.830 distingue due ipotesi: casi in cui si ha una semplice nullità del lodo, con la conseguenza che le parti dovranno ricostituire un nuovo collegio o stipulare una nuova clausola, infatti la corte d’appello non pronuncia nel merito; e casi in cui il giudice dello Stato trattiene la controversia e decide nel merito. In questa seconda ipotesi il vizio del lodo finisce per cancellare l’originaria volontà delle parti di scegliere la giustizia privata. Il primo gruppo di ipotesi comprende la nullità del lodo per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, e 10 dell’art.829. Il secondo gruppo di ipotesi ricomprende tutti i casi di nullità per violazione di norme di diritto e le ipotesi di annullamento per gli altri motivi contemplati dall’art.829. Quando l’arbitrato ha elementi di internazionalità, la corte d’appello, dopo la pronuncia di nullità del lodo, decide nel merito solo se le parti lo hanno stabilito nel patto di arbitrato, o ne fanno concorde richiesta. Gli altri mezzi di impugnazione del lodo -> Oltre che con l’impugnazione di nullità, il lodo può essere attaccato con la revocazione e l’opposizione di terzo. Secondo l’art.831 il lodo, nonostante qualsiasi rinuncia, è soggetto a revocazione straordinaria e ad opposizione di terzo. Queste impugnazioni non possono essere presentate davanti al medesimo organo giudiziario che ha emesso la sentenza, ma si propongono davanti alla corte d’appello nel cui distretto si trova la sede dell’arbitrato, con i termini e le modalità stabiliti dal codice per il diritto comune. _Arbitrato irrituale e irrituale. Arbitrato societario. Arbitrato rituale e irrituale -> L’ordinamento italiano distingue fra due tipi di arbitrato, quello rituale e quello irrituale. L’arbitrato rituale è quello governato dalle norme del codice di procedura civile e il cui esito è un lodo che ha gli effetti della sentenza giurisdizionale. L’arbitrato irrituale può essere definito come il modo di regolare un conflitto di interessi raggiungendo una determinazione contrattuale attraverso un processo. Il risultato finale dell’arbitrato irrituale è un lodo con effetto di contratto tra le parti. Questo chiarimento implica che possono essere oggetto di questo arbitrato solo conflitti che permettono una determinazione contrattuale. Mentre il lodo rituale omologato acquista la forza di titolo esecutivo e permette di avviare l’esecuzione forzata, il lodo contrattuale irrituale, in caso di inadempimento, suppone che si cominci di nuovo un giudizio di accertamento davanti al giudice dello Stato, per procurarsi il titolo esecutivo. La scelta del patto compromissorio per arbitrato irrituale comporta la rinuncia alla tutela giurisdizionale ordinaria. luogo di attuazione l’accertamento dei requisiti del riconoscimento. Si applica il rito c.d. sommario. Se la contestazione ha luogo nel corso di un processo, il giudice adito pronuncia con efficacia limitata al giudizio. Il riconoscimento delle sentenze nell’ambito dell’Unione europea -> Le decisioni emesse in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento. Si attua così il riconoscimento automatico, frutto della reciproca fiducia fra gli ordinamenti europei. Riconoscimento significa che l’autorità giurisdizionale estera ha compiuto un accertamento, che è ritenuto tale anche dal giudice italiano. Inoltre la decisione esecutiva in uno Stato membro è automaticamente esecutiva negli altri Stati membri, senza che occorra una dichiarazione di esecutività nello Stato ad quem. Il convenuto può opporsi sia al mero riconoscimento che all’esecuzione della decisione estera, ma i motivi di opposizione sono molto limitati. La decisione straniera non può mai essere riesaminata nel merito. Una decisione non è riconosciuta e non può essere eseguita unicamente se: il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto; la domanda giudiziale o un atto equivalente non è stato notificato o comunicato al convenuto contumace in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione; la decisione è incompatibile con una decisione emessa tra le medesime parti nello Stato membro richiesto; la decisione è incompatibile con una decisione emessa precedentemente tra le medesime parti in un altro Stato membro o in un paese terzo, in una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo, sempre che tale decisione presenti le condizioni necessarie per essere riconosciuta nello Stato membro richiesto; se siano state violate talune disposizioni inderogabili in materia di competenza giurisdizionale. La contestazione del riconoscimento o dell’esecutorietà va proposta con una domanda autonoma, dinanzi ad un’autorità e nelle forme che ogni Stato stabilità. Il giudice davanti al quale è proposta l’opposizione ha un potere di inibitoria: cioè, su istanza della parte contro la quale è chiesta l’esecuzione, può sospendere il procedimento, se la decisione straniera è stata impugnata nello Stato membro di origine con un mezzo ordinario o se il termine per proporre l’impugnazione non è scaduto. Inoltre il giudice può subordinare l’esecuzione alla costituzione di una garanzia che provvede a determinare. Vi sono poi casi in cui per ottenere l’esecutorietà occorre il c.d. procedimento di exequatur. Si tratta di una sorta di procedimento per ingiunzione: si propone un ricorso alla corte d’appello del foro determinato dal domicilio della parte contro cui viene chiesta l’esecuzione o dal luogo dell’esecuzione, allegando una copia autentica della decisione, esecutiva nell’ordinamento in cui si è formata, di cui si domanda l’attribuzione dell’esecutorietà in Italia. La corte d’appello, dopo una verifica formale, dichiara esecutiva con decreto la decisione straniera. Il decreto viene notificato alla controparte, che può proporre opposizione entro un mese dalla notificazione, sempre dinanzi alla corte d’appello, con un normale atto di citazione in opposizione. Se il riconoscimento e l’esecutorietà vengono confermati, il titolo esecutivo ha natura complessa ed è formato dal decreto concessivo e dalla sentenza. _L’arbitrato internazionale e il riconoscimento dei lodi esteri. L’arbitrato internazionale -> Nel contesto della giurisdizione delocalizzata acquista un’importanza decisiva l’istituto arbitrale. L’arbitrato consente alla volontà delle parti il raggiungimento degli obiettivi di delocalizzazione della lite. Parti con sede in paesi diversi possono scegliere un giudice privato, territorialmente neutrale, dotato di sicura competenza e di possesso delle necessarie abilità linguistiche e disponibile a giudicare secondo la legge che esse indicano e secondo una procedura che esse fissano. Può accadere che il medesimo lodo produca effetti in più ordinamenti, ciò accade ogni volta che l’arbitrato disciplina una controversia che possa tecnicamente definirsi transazionale. Ciò non può mai succedere invece è che arbitrato e lodo siano totalmente svincolati da un qualsiasi ordinamento. Di qui, la necessità per l’arbitrato internazionale di aver almeno un ordinamento su cui poggiare, in modo da garantire la realizzazione di una tutela effettiva. Il riconoscimento dei lodi esteri -> Il lodo pronunciato in un dato paese può essere riconosciuto e attuato in altri. In base all’art.839 chi vuole far valere in Italia un lodo straniero dove proporre ricorso al presidente della corte d’appello nella cui circoscrizione risiede l’altra parte (o se tale parte non risiede in Italia, a quello della Corte d’appello di Roma). Il ricorrente deve produrre il lodo in originale o in copia conforme, insieme con l’atto di compromesso o documento equipollente, in originale o in copia conforme, oltre, se necessario, alla relativa traduzione: cioè deve dimostrare che, sul piano formale, sussisteva un valido patto di arbitrato che ha dato vita al lodo. Il presidente della corte d’appello, accertata la regolarità formale del lodo straniero, ne dichiara con decreto l’efficacia in Italia, a meno che: la controversia non potesse formare oggetto di compromesso secondo la legge italiana; il lodo contenga disposizioni contrarie all’ordine pubblico. Tutto ciò accade senza contraddittorio. Il decreto potrebbe anche negare l’efficacia al lodo estero: in tal caso, viene semplicemente comunicato alla parte istante. Se invece accorda l’esecutorietà dever essere notificato al destinatario. Contro il decreto che accorda, o nega, efficacia al lodo straniero la parte interessata può opporsi con atto di citazione dinanzi alla corte d’appello, entro 30 giorni dalla comunicazione, nel caso di decreto che nega l’efficacia, o dalla notificazione, nel caso di decreto che l’accorda. Al termine del giudizio, la corte d’appello pronuncia con sentenza, impugnabile con ricorso per cassazione. LA TUTELA CAUTELARE. _La tutela cautelare in generale. La tutela cautelare nella politica della giustizia civile -> La tutela urgente non può essere accordata per tutti i diritti, ma solo per alcuni di essi, cioè quelli che verrebbero compromessi in modo irrimediabile nell’attesa della decisione del giudice secondo le regole ordinarie. Ne esce, insomma, la prospettiva di diritti di prima classe, che possono ottenere una tutela veloce ed efficace, e diritti di seconda classe, che devono attendere di poter conseguire la protezione dal giudice nei tempi ordinari della giustizia. Ne consegue la legittima aspirazione ad una giustizia veloce per tutti e al superamento della tutela cautelare come unico percorso di tutela giurisdizionale rapida. È in questa ottica che, accanto alla tutela cautelare, hanno preso corpo le tutele sommarie, come il procedimento in camera di consiglio su diritti e quelle semplificate, come il procedimento regolato dagli artt.702-bis. Il quadro attuale sembra essere dunque quello di una molteplicità di tutele rapide. Tutela cautelare e accertamento di merito: strumentalità e provvisorietà -> La tutela cutelare ha lo scopo di garantire lo status quo, per assicurare la fruttuosità della successiva decisione del giudice di cognizione o del processo esecutivo. Non si propone di conseguire un accertamento né un risultato materiale, ma solo di dare al rapporto un assetto provvisorio, che poi consenta a chi vedrà accertato il proprio diritto di ricavare l’utilità che si propone. Il rapporto fra tutela cautelare e merito è un rapporto di strumentalità e provvisorietà. La tutela cautelare è strumentale rispetto al merito, nel senso che non mira a conseguire il medesimo risultato del giudizio di merito (che suppone un accertamento pieno dei diritti dedotti nella controversia), ma a garantire che il risultato dell’azione che verrà spiegata non sia nel frattempo vanificato. La tutela cautelare non ambisce ad ottenere un risultato definitivo, ma solo ad organizzare un assetto di interessi temporaneo e provvisorio: la definitività appartiene al merito. La tutela anticipatoria -> Le misure cautelari si possono distinguere in conservative ed anticipatorie. Sono conservativi quei provvedimenti cautelari che non consegnano, a chi li abbia ottenuti, l’utilità finale della domanda giudiziale, ma solo un’utilità strettamente strumentale, che dunque non può avere, neppur volendo, vita autonoma rispetto ad un successivo accertamento di merito. Esempio di questa categoria è il sequestro conservativo. Sono invece anticipatori quei provvedimenti che attribuiscono a chi li abbia ottenuti un’utilità finale, che tuttavia, si presenta come provvisoria e che suppone una conferma di merito. Il provvedimento anticipatorio è in grado di vivere autonomamente. Esempio di questa categoria sono gli ordini che inibiscono il compimento di un’attività materiale lesiva per il soggetto istante. La tutela d’urgenza cautelare tendenzialmente rispetta lo status quo, la tutela d’urgenza satisfattiva non mira a mantenere la situazione pre-esistente, ma ad ottenere un risultato modificativo della realtà attraverso una cognizione sommaria. Le condizioni per la concessione della tutela cautelare -> Il giudice della cautela è chiamato ad emettere un giudizio. Però non si tratta di accertare l’esistenza del diritto che si vuole proteggere (il che resta compito del giudice della cognizione), ma semplicemente di verificare una sufficiente probabilità di tale esistenza, c.d. fumus boni iuris, e di constatare che il ritardo nel provvedere potrebbe compromettere, in modo irreparabile, la futura realizzazione di quel diritto, c.d. periculum in mora. Normalmente la tutela cautelare è chiesta prima dell’inizio del giudizio di merito, o a causa pendente. Non impossibile, ma improbabile proprio sotto il profilo della verosimiglianza, è la concessione di una misura d’urgenza in sede di impugnazione;: infatti la verosimiglianza della fondatezza della domanda non esiste, per definizione, quando sia già stata emanata una sentenza di primo grado nel senso diametralmente opposto alle pretese di chi domanda un provvedimento. La giurisprudenza recente ha ammesso la possibilità di una tutela cautelare in appello in situazioni obiettivamente eccezionali: quando la semplice lettura della sentenza evidenzi un macroscopico errore del giudice di prime cure, o quando risultino elementi sia il caso, dispone idonea garanzia per i danni eventuali. L’istruzione preventiva -> Una delle articolazioni della tutela cautelare è la conservazione delle prove necessarie al futuro accertamento. A questa esigenza, per quanto riguarda i documenti, obbedisce il sequestro giudiziario di prove. Però può accadere che si debba assicurare in tempi rapidi una prova costituenda: una testimonianza o una consulenza tecnica. A questa finalità, il codice prevede i procedimenti di istruzione preventiva, che raggruppano due diverse fattispecie: l’assunzione di testimoni a futura memoria e l’accertamento tecnico preventivo. Presupposto per l’assunzione di testimoni a futura memoria è che un soggetto, prima di proporre una causa, abbia fondato motivo di temere che siano per mancare uno o più testimoni le cui deposizioni, in quella causa, possono essere necessarie. L’accertamento tecnico preventivo invece suppone che vi sia urgenza di far verificare, prima del giudizio, lo stato di luoghi o la qualità o la condizione di cose, includendo anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi all’oggetto della verifica. le condizioni per l’ammissione dell’accertamento tecnico preventivo sono le medesime dell’assunzione di testimoni a futura memoria. In entrambe le ipotesi, la parte istante si rivolge con ricorso al giudice che sarebbe competente per la causa di merito: in caso di eccezionale urgenza, l’istanza può anche essere proposta al tribunale del luogo in cui la prova deve essere assunta. Il ricorso deve contenere l’indicazione dei motivi dell’urgenza e dei fatti sui quali devono essere interrogati i testimoni, o dei luoghi o cose che devono essere resi oggetto di verifica, nonché l’esposizione sommaria delle domande o delle eccezioni alle quali la prova è preordinata. Il presidente del tribunale o il giudice di pace fissa, con decreto, l’udienza di comparizione delle parti, stabilendo il termine perentorio per la notificazione del decreto. All’udienza, il presidente del tribunale o il giudice di pace, provvede con ordinanza non impugnabile e, se ammette l’esame testimoniale, fissa l’udienza per l’assunzione e designa il giudice che deve procedervi; se dispone l’accertamento tecnico preventivo, nomina il consulente tecnico e fissa la data per l’inizio dell’espletamento delle operazioni. All’udienza di comparizione, in contraddittorio, il giudice dovrà valutare se dare corso o no all’incombente istruttorio. In caso di eccezionale urgenza, il giudice può ammettere l’espletamento della prova con decreto inaudita altera parte; in tal caso può nominare un procuratore, che interviene per le parti non presenti all’assunzione della prova, del cui espletamento dovrà poi essere data notificazione a queste ultime. La verbalizzazione delle deposizioni del testimone, o la relazione peritale del consulente tecnico sono destinati ad essere utilizzati nel successivo giudizio. Dinanzi al giudice del merito la valutazione sommaria di rilevanza effettuata dal giudice della cautela può anche essere confermata. Così pure potrebbe accadere che il testimone sia ancora in vita, o che lo stato dei luoghi poi non sia stato alterato, talchè il giudice del merito disponga la rinnovazione della prova. Il codice precisa che i processi verbali delle prove non possono essere prodotti, né richiamati, né riprodotti in copia nel giudizio di merito, prima che i mezzi di prova siano stati dichiarati ammissibili in quella sede. Come le altre misure cautelari, anche l’istruzione preventiva può essere proposta in corso di causa. La consulenza tecnica preventiva -> In base all’art.696-bis l’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di urgenza di cui al comma 1 dell’art.696, ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti. Se la conciliazione non riesce ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito. La consulenza tecnica preventiva da un lato è un metodo di istruzione preventiva e, dall’altro, è un istituto che tende a facilitare la conciliazione della lite. L’espletamento di una consulenza tecnica preventiva non è ammissibile quando la giurisdizione sulla lite appartiene al giudice amministrativo, o ad un giudice straniero, oppure nel caso in cui il giudizio di merito è governato da un patto di arbitrato. _I provvedimenti d’urgenza. Cenni ai procedimenti possessori. I provvedimenti d’urgenza -> A fianco delle misure cautelari tipiche, il codice conosce la figura di una misura atipica: i provvedimenti d’urgenza. Ai sensi dell’art.700 chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d’urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. L’art.700 postula due condizioni per la sua efficacia: che quella data tutela non possa essere conseguita tramite uno degli strumenti cautelari tipici e che sussistano i requisiti di verosimiglianza e di urgenza, caratteristici della tutela cautelare. Il provvedimento d’urgenza è un istituto residuale, che trova applicazione solo quando non vanno applicati i provvedimenti cautelari tipizzati. I presupposti di fondo del provvedimento d’urgenza sono quelli della tutela cautelare: il fumus boni iuris, cioè la verosimiglianza del diritto fatto valere, e il periculum in mora, ossia il fondato timore che il diritto cautelando sia compromesso nel tempo necessario per ottenerne l’accertamento. Tali requisiti devono sussistere al momento dell’emanazione del provvedimento e se vengono meno durante il procedimento la tutela urgente deve essere negata. I diritti assoluti della persona sono sempre astrattamente tutelabili in via d’urgenza, perché la loro lesione non è riparabile in modo efficace con un risarcimento pecuniario. Non sono normalmente tutelabili a mezzo dell’art.700 i diritti patrimoniali, proprio perché ne è sempre ipotizzabile la reintegrazione in via economica. I procedimenti possessori -> L’art.1168 permette a chi è stato spogliato del possesso di un bene, di chiedere entro un anno dallo spoglio la reintegrazione nel possesso, che il giudice deve ordinare sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione. L’art.1170 attribuisce la tutela del possesso contro le eventuali turbative poste in atto da terzi. La tutela possessoria urgente consiste nell’immediata reintegrazione mentre la tutela possessoria di merito consiste nell’accertamento, con efficacia di giudicato, della sussistenza del possesso. Il legislatore prevede che il giudice deve fissare l’udienza per la trattazione del merito possessorio soltanto se una delle parti ne faccia richiesta. La richiesta deve essere formulata entro 60 giorni dal provvedimento che decide sulla tutela possessoria urgente o, se proposto reclamo, dalla decisione sul reclamo contro quel provvedimento. L’art.703 precisa che è competente a conoscere delle azioni possessorie il giudice del luogo in cui è avvenuta la violazione del possesso, che coincide con quello dove si trova il bene immobile, se la questione possessoria concerne questo tipo di bene. L’ordinanza che accoglie o respinge la domanda è reclamabile, nelle forme del reclamo cautelare. I rapporti fra possessorio e petitorio -> Può accadere che mentre è in corso un giudizio petitorio, cioè volto ad accertare la proprietà di un dato bene, sorga per una delle parti l’esigenza di proporre azioni possessorie, a tutela dello stato di fatto. Le domande possessorie devono essere proposte dinanzi al giudice del petitorio; tuttavia, la reintegrazione nel possesso può essere domandata al giudice competente per le domande possessorie, che ha il compito di dare i provvedimenti temporanei indispensabili, cioè governare il possessorio urgente. Ciascuna delle parti può poi proseguire il giudizio sul merito possessorio dinanzi al giudice del petitorio. Se viceversa comincia un giudizio possessorio, il convenuto non può proporre a sua volta un giudizio petitorio, finchè il giudizio possessorio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita. La protezione del possesso viene prima di quella dell’accertamento sul diritto reale. Però il convenuto può proporre l’azione petitoria se dimostra che l’esecuzione del provvedimento possessorio non può compiersi per fatto dell’attore o se al convenuto ne possa derivare un danno irreparabile. _Il procedimento cautelare uniforme. Linee generali del procedimento cautelare uniforme -> Il procedimento cautelare uniforme è applicabile in generale, salvo alcune specificità, in relazione alla concessione di tutte le misure a cui si possa riconoscere natura cautelare. Giudice del procedimento cautelare è tendenzialmente il giudice del merito: in questo modo, le decisioni provvisorie sono assunte da chi potrà governare il giudizio di accertamento. Il procedimento si svolge in contraddittorio. L’efficacia della misura è diversa se propriamente cautelare o anticipatoria: nel primo caso occorre una rapida instaurazione del giudizio di merito, mentre nel secondo gli effetti si stabilizzano, pur senza dar luogo a cosa giudicata. Contro il provvedimento, positivo o negativo che dia, è ammessa una forma di riesame, chiamata reclamo; il provvedimento positivo può sempre essere modificato o revocato, sulla base del mutamento delle circostanze. Il procedimento cautelare uniforme ha un abito di applicazione ampio, ma non universale. Secondo l’art.669-quaterdecies si applica ai sequestri, alla denuncia di nuova opera e danno temuto, ai provvedimenti di urgenza. Non si applica ai provvedimenti di istruzione preventiva. Si applica poi, per quanto compatibile, agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali e ai procedimenti possessori. Domanda cautelare e giudizio di merito -> La domanda cautelare può essere proposta sia prima che dopo l’instaurazione della causa di merito. Secondo l’art.669-ter, prima dell’inizio della causa di merito, la domanda si propone al giudice competente a conoscere della controversia in via ordinaria, e quindi secondo le comuni regole di competenza, per materia, valore e territorio, con due precisazioni. Se competente per la causa di merito è il giudice di pace, la domanda si propone al tribunale; se, in relazione alle regole di giurisdizione internazionale ed europea, il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si arbitrale, il giudice che ha emesso il provvedimento, su ricorso della parte interessata, convocate le parti con decreto in calce al ricorso, dichiara con ordinanza dotata di efficacia esecutiva, se non c’è contestazione, che il provvedimento è divenuto inefficace e dà le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente. In caso di contestazione, l’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare decide con sentenza provvisoriamente esecutiva, salva la possibilità di emanare in corso di causa eventuali provvedimenti di revoca della misura concessa. Se invece l’inefficacia dipende da omessa prestazione di cauzione, essa viene dichiarata con ordinanza a seguito di ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento; se deriva dalla soccombenza nel merito della parte che aveva ottenuto il provvedimento, la statuizione è pronunciata nella stessa sentenza o, in mancanza con ordinanza a seguito di ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento. L’attuazione delle misure cautelari e anticipatorie -> Il provvedimento cautelare richiede di essere messo in atto, perché, se così non fosse, perderebbe ogni ragione di sussistere. La tipologia delle forme di attuazione è variegata. In alcuni casi, il contenuto della misura cautelare può essere self-executing. In altri casi, occorre imitare le forme dell’esecuzione forzata: è quanto accade per i sequestri. Così pure, se la misura cautelare ha per oggetto la dazione di una somma di denaro, si muteranno le forme del pignoramento mobiliare. Le misure cautelari hanno per oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare. In queste ipotesi, la legge prevede uno strumento flessibile, che prende il nome di attuazione: la realizzazione della misura avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Secondo l’art.669-duodecies ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito. L’attuazione può essere conseguente non soltanto ad un provvedimento cautelare positivo, ma anche a seguito di una dichiarazione di inefficacia o ad una revoca, in cui si tratti di riportare una data situazione in pristino. In caso di errori o illegittimità compiute durante l’attuazione la parte lesa, o il terzo ingiustamente coinvolto, può utilizzare lo strumento del reclamo. _Reclamo e revoca. Una delle principali innovazioni della riforma del 1990 è stata quella di ammettere un meccanismo di controllo sul provvedimento cautelare, denominato reclamo, e la possibilità di una revisione sostanziale della misura concessa, in presenza di fatti o circostanze nuove, cioè la revoca. Il reclamo -> Secondo l’art.669-terdecies contro l’ordinanza con la quale è stato concesso o negato un provvedimento cautelare è ammesso reclamo. Il termine per la proposizione del reclamo è fissato in 15 giorni e decorre dalla pronuncia, se avvenuta in udienza, oppure dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore. Il reclamo contro i provvedimenti del giudice singolo del tribunale si propone al collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato. Quando il provvedimento cautelare è stato emesso dalla corte d’appello, il reclamo si propone ad altra sezione della stessa corte o, in mancanza, alla corte d’appello più vicina. Il procedimento del reclamo presenta la struttura del rito in camera di consiglio. Le parti sono convocate a partecipare ad un’udienza in contraddittorio. Le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo devono essere proposti, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento: invece non possono essere dedotti fatti presenti al momento dell’originaria presentazione della domanda cautelare e non allegati. Il tribunale può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. Non è consentita la rimessione al primo giudice. Il collegio decide pronunciando, non oltre 20 giorni dal deposito del ricorso, ordinanza non ulteriormente impugnabile con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento cautelare. Non può essere proposto il ricorso straordinario per cassazione contro l’ordinanza che decide il reclamo: infatti, il ricorso ex art.111 Cost. è ammesso soltanto contro provvedimenti, seppure non denominati sentenze, che siano in grado di incidere sulle situazioni sostanziali con efficacia di giudicato. Non è questo il caso della decisione sul reclamo, la cui efficacia è temporanea e subordinata all’instaurazione e all’esito del giudizio di merito. La conclusione non cambia per i provvedimenti anticipatori: la parte che li vuole contestare ha l’onere di proporre il giudizio di merito e non può impugnarli direttamente per cassazione. Il reclamo non ha effetto sospensivo dell’esecuzione del provvedimento; tuttavia, il presidente del tribunale o della corte investiti del reclamo, quando per motivi sopravvenuti il provvedimento arrechi grave danno, può disporre con ordinanza non impugnabile la sospensione dell’esecuzione o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione. La revoca -> Ai sensi dell’art.669-decies nel corso dell’istruzione, il giudice della causa di merito, su istanza di parte, può modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze o si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tal caso, l’istanza deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza. Quando il giudizio di merito non è iniziato o è stato dichiarato estinto, la revoca e la modifica dell’ordinanza di accoglimento, esaurita l’eventuale fase del reclamo proposto, possono essere richieste al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tal caso l’istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza. Se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato, o se l’azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale, i provvedimenti previsti dalla norma devono essere richiesti al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare. I rapporti fra revoca e reclamo -> Per quanto concerne il profilo temporale, il reclamo, che è un controllo sulla legittimità e la correttezza del provvedimento, si colloca anteriormente rispetto alla revoca: infatti le circostanze sopravvenute dopo l’originaria ordinanza cautelare vanno proposte in sede di reclamo. Solo i fatti successivi al giudizio di reclamo possono essere dedotti in sede di revoca. Anche il provvedimento emesso in sede di reclamo è suscettibile di modifica o revoca: in questo caso, il giudice competente per la revoca è l’organo giudiziario nella composizione che ha deciso il reclamo. L’ESECUZIONE FORZATA. _Il processo esecutivo. Introduzione. Il titolo esecutivo e l’atto di precetto. Profili generali dell’esecuzione forzata -> Lo scopo del processo di cognizione, sia nella forma del rito ordinario che in quella degli altri modelli processuali, è l’accertamento del diritto fatto valere. I procedimenti cautelari invece servono a garantire che la realizzazione effettiva del diritto accertato si possa verificare. Talora, ovvero nelle azioni di mero accertamento e costitutive, la pronuncia del giudice è sufficiente a realizzare l’interesse della parte istante. Però vi è un momento in cui l’attività di giudizio e di cautela termina e l’effettiva tutela dell’avente diritto, a cui favore è stata emessa una pronuncia di condanna, deve tradursi in un’attività materiale. Si apre allora la fase dell’esecuzione forzata. L’esecuzione si distingue radicalmente dalla cognizione, perché questa ha per oggetto un giudizio, mentre quella riguarda cose e attività materiali. La cognizione può sempre dare un risultato, perchè un giudizio è sempre possibile; non così l’esecuzione, perché il debitore potrebbe non avere più nulla nel suo patrimonio o la cosa da consegnare potrebbe essersi distrutta. La cognizione è un giudizio e quindi un’attività logica ed intellettuale. L’esecuzione invece è essenzialmente attività materiale, seppure connotata giuridicamente: trovare il bene da pignorare, venderlo, suddividere il ricavato ecc. L’esecuzione è affidata ad un ausiliario del giudice, l’ufficiale giudiziario, sotto la direzione del giudice dell’esecuzione, il quale interviene solo in alcuni snodi del procedimento e quando sorgono incidenti di cognizione. L’esecuzione forzata suppone un vero processo e una vera giurisdizione, e anche a questa parte della materia si applicano i principi costituzionali del contraddittorio, del giusto processo, della ragionevole durata. Il titolo esecutivo -> L’art.474 afferma che l’esecuzione forzata può avere luogo in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile. Questo significa che l’accertamento del diritto deve risultare da un provvedimento giudiziario, oppure da un atto formato al di fuori del giudizio che lo indichi in modo chiaro. Il diritto, oltre che accertato, deve essere esigibile, cioè non sottoposto a termine o a condizione. La norma elenca tre categorie di titoli esecutivi: le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva; le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia; gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. Questi titoli esecutivi non sono atti o provvedimenti stabili. La sentenza esecutiva di primo grado può essere impugnata; il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo può essere opposto; l’efficacia della cambiale può essere contestata; la scrittura privata può essere oggetto di un giudizio di annullamento. Questo significa che l’esecuzione forzata può attuarsi finchè il titolo rimane efficace. L’art.475 afferma che le sentenze e gli altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per beni espropriati. Un secondo importante profilo è quello che il codice definisce audizione degli interessati. In base all’art.485, quando la legge richiede o il giudice ritiene necessario che le parti ed eventualmente altri interessati siano sentiti, il giudice stesso fissa con decreto, comunicato dal cancelliere, l’udienza alla quale il creditore pignorante, i creditori intervenuti, il debitore ed eventualmente gli altri interessati devono comparire davanti a lui. Se risulta o appare probabile che qualcuna delle parti non sia comparsa per cause indipendenti dalla sua volontà, il giudice dell’esecuzione fissa una nuova udienza, la cui data viene comunicata dal cancelliere alla parte non comparsa. Dunque si può affermare che anche il processo esecutivo è governato dal contraddittorio fra le parti. Nel processo esecutivo vale rigorosamente la regola dell’impulso di parte: l’iter dell’esecuzione forzata procede solo se chi ne ha diritto compie, nei termini previsti, le iniziative per mandarlo avanti. Questa funzione spetta solo a chi sia munito di titolo esecutivo: il creditore che per primo avvia l’esecuzione, chiamato creditore procedente, e i creditori intervenuti che abbiano un titolo esecutivo. Come per il processo di cognizione, anche per quello di espropriazione si forma un fascicolo in cancelleria, nel quale sono inseriti tutti gli atti compiuti dal giudice, dal cancelliere e dall’ufficiale giudiziario, e gli atti e documenti depositati dalle parti e dagli eventuali interessati. Qui la particolarità è data dal deposito del titolo esecutivo, che è sempre previsto, ma con la facoltà per il creditore esecutante di lasciare agli atti una copia autentica del titolo, sia pure con obbligo di presentare l’originale a ogni richiesta del giudice. Può accadere che il creditore si trovi ad avviare più di un processo per espropriazione contro il debitore, in luoghi diversi, perché, al fine di raggiungere la necessaria capienza, deve assoggettare all’esecuzione beni ubicati in diverse parti del territorio nazionale, seguendo le regole sulla competenza territoriale inderogabile. Per ogni procedimento, occorre il titolo esecutivo, di cui non possono essere moltiplicati gli esemplari, a garanzia dell’esecutato. Il problema della capienza è al centro dell’esecuzione per espropriazione. La tentazione del creditore è quella di eccedere e, per garantirsi una liquidazione adeguata al credito, egli potrebbe moltiplicare abusivamente le iniziative espropriative. Varie norme del codice realizzano un doveroso equilibrio fra interesse del creditore e interesse del debitore. L’art.483 pur consentendo il cumulo fra diversi mezzi di espropriazione, affida al giudice dell’esecuzione, su opposizione del debitore, la facoltà di limitare, con ordinanza non impugnabile, l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice stesso determina. L’art.489 prevede che le notificazioni e le comunicazioni ai creditori pignoranti si effettuano nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto nell’atto di precetto; quelle ai creditori intervenuti, nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto nella domanda di intervento. Se manca l’elezione di domicilio, le notificazioni si possono fare presso la cancelleria del giudice competente per l’esecuzione. Secondo l’art.26 per l’esecuzione forzata su cose mobili o immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano. Per l’esecuzione forzata su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi è competente il giudice del luogo della residenza, o del domicilio, della dimora e della sede del debitore. Per l’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto. Se il debitore possiede beni distribuiti in varie località del territorio nazionale, occorre che il creditore moltiplichi i procedimenti esecutivi. La competenza nell’espropriazione di crediti è attribuita dall’art.26-bis al foro della residenza, o del domicilio, della dimora e della sede del debitore. Esecuzione forzata e pubblica amministrazione -> La materia dell’esecuzione forzata conosce significative deroghe quando è coinvolta la p.a. Come soggetto esecutante, la p.a. gode di un ampio potere di autotutela, ad esempio in materia di riscossione delle imposte. Come soggetto esecutato, essa può fruire di numerosi benefici, sia per quanto riguarda i tempi della procedura, sia per quanto concerne l’esenzione dall’espropriazione dei beni, denaro incluso, funzionali allo svolgimento dei suoi compiti. _Il pignoramento. Struttura, natura ed effetti. La nozione di pignoramento -> Il debitore risponde all’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri e i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salvo le cause legittime di prelazione (i privilegi, il pegno e le ipoteche). L’art.2910 prevede poi il diritto del creditore a procedere ad espropriazione forzata sui beni del debitore. Il pignoramento è il primo atto dell’esecuzione per espropriazione. Il pignoramento consta di due elementi fondamentali: da un lato, l’individuazione di alcuni beni e, dall’altro, l’intimazione a non disporne in pregiudizio del creditore procedente e anche degli altri creditori intervenuti, con l’effetto di sottoporre questi beni ad un regime giuridico distinto da quello del restante patrimonio del debitore. Si tratta di un regime provvisorio, perché o il debitore paga il debito, estinguendo il processo esecutivo, o il processo esecutivo si estingue per un altro motivo, oppure i beni saranno venduti o assegnati, con la conseguenza che l’esecutato ne perde la proprietà. Durante il regime provvisorio dei beni pignorati il debitore esecutato rimane proprietario dei beni. Egli ne è abitualmente nominato custode: ciò significa che non gli è proibito farne uso, salva l’esigenza di conservarne la funzionalità economica, nel preciso interesse del creditore. Il debitore non potrà disporre del bene pignorato in pregiudizio del creditore procedente e dei creditori intervenuti. Si parla, in questo senso, di inefficacia relativa degli atti dispositivi del debitore. L’eventuale vendita del bene pignorato a terzi non è nulla, ma inefficace nei confronti del o dei creditori. Questo significa che la proprietà passa al terzo, ma che il creditore conserva il suo diritto a soddisfarsi su quel bene che, con il pignoramento, è stato individuato e isolato. Quindi quel bene, anche se ha cambiato proprietario, sarà venduto e liquidato e il ricavato andrà a soddisfare il creditore. Pignoramento e pubblicità nella circolazione dei beni -> In caso di alienazione del bene pignorato, si scontrano due opposti interessi. Da un lato, il terzo ha pagato un prezzo per acquistare quel bene e ha interesse a conservarlo. Dall’altro lato, il creditore non vuole vedere vanificato il suo sforzo. Questo contrasto è risolto dal codice civile, che fa salvi gli effetti del possesso di buona fede per i mobili non iscritti in pubblici registri. Quindi, se un bene mobile comune viene pignorato e poi venduto, il diritto dell’acquirente di buona fede prevale su quello del creditore pignorante. La buona fede è collegata al possesso, perciò prevale il diritto dei creditori pignoranti nei confronti delle alienazioni di beni mobili di cui non sia stato trasmesso il possesso prima del pignoramento. Per il pignoramento su beni immobili o mobili registrati prevale la priorità nella trascrizione: se il pignoramento viene trascritto, ogni successiva alienazione del bene immobile o del bene mobile registrato non è opponibile, non ha effetto, in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell’esecuzione. Non conta la data in cui sono stati compiuti, ma quella in cui sono stati trascritti il pignoramento e l’atto di alienazione. La forma del pignoramento -> Il pignoramento assume profili diversi a seconda del tipo di espropriazione. Tuttavia, esso ha un contenuto-forma comune: infatti consiste in una ingiunzione, che l’ufficiale giudiziario fa al debitore, di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all’espropriazione e i relativi frutti. Inoltre il pignoramento deve contenere anche l’invito al debitore ad effettuare presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione con l’avvertimento che, in mancanza o in caso di irreperibilità presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto, le successive notifiche o comunicazioni a lui dirette saranno effettuate presso la cancelleria dello stesso giudice. Nel pignoramento deve anche essere contenuto l’avviso relativo alla facoltà, per il debitore, di ottenere la conversione. L’ufficiale giudiziario, eseguito il pignoramento, trasmette senza ritardo gli atti (titolo esecutivo, precetto, verbale di pignoramento) al creditore, il quale deve effettuare l’iscrizione a ruolo entro un breve termine, con modalità telematiche, allegando copie degli atti. A quel punto, il cancelliere forma il fascicolo dell’esecuzione. La conservazione del pignoramento -> Il debitore può sempre evitare il pignoramento pagando il dovuto nelle mani dell’ufficiale giudiziario, eventualmente facendo riserva di richiederne la restituzione, qualora ritenga di non essere tenuto al versamento. Inoltre il debitore può evitare il pignoramento di determinati beni, depositando nelle mani dell’ufficiale giudiziario l’importo dei crediti per cui si procede, nonché delle spese, aumentato di due decimi. Infatti il creditore affronta i costi del processo esecutivo: la reintegrazione del suo diritto comprende quindi anche il rimborso delle spese. Inoltre è frequente l’ipotesi in cui il debitore non sia in grado di versare subito il denaro, ma possa provvedervi nel tempo, ratealmente. È il caso della conversione del pignoramento. Secondo l’art.495 il debitore, una volta avvenuto il pagamento, può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese. Questa istanza va proposta prima che sia emesso un provvedimento che dispone la vendita o l’assegnazione dei beni. Il giudice dell’esecuzione, ricevuta l’istanza, fissa un’udienza e, in contraddittorio fra le parti, stabilisce con ordinanza la somma complessiva da sostituire al bene pignorato. Se ricorrono giustificati motivi, il giudice può disporre che il debitore versi con rateizzazioni mensili entro il termine massimo di 36 mesi la somma come determinata, maggiorata degli interessi scalari al tasso convenzionale pattuito o al tasso legale. In questa ipotesi, come contrappeso per i creditori che devono attendere più a lungo deve notificare a ciascuno di essi un atto contenente l’indicazione del creditore pignorante, del credito per il quale si procede, del titolo e delle cose pignorate. Se non è data la prova di questa notificazione, il giudice dell’esecuzione non può disporre la vendita o l’assegnazione. Rapporti fra creditori intervenuti -> Il creditore procedente può indicare ai creditori intervenuti l’esistenza di altri beni utilmente pignorabili. L’art.499, comma 4, prevede che il creditore pignorante può indicare, con atto notificato all’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione, l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e invitare gli intervenuti ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l’estensione. Questa facoltà vale solo nei confronti dei creditori chirografari intervenuti tempestivamente: infatti, ai fini del futuro riparto, il creditore procedente è postergato rispetto ai creditori privilegiati e preferito rispetto ai creditori chirografari intervenuti tardivamente. Se i creditori intervenuti, senza giusto motivo, non estendono il pignoramento ai beni indicati entro il termine di 30 giorni, il creditore pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione. Inoltre per intervenire in causa i creditori devono procurarsi un titolo esecutivo. Sono eccettuati dall’obbligo di procurarsi un titolo come condizione per l’intervento quei soggetti che possono esibire una documentazione, seppure non accertata giudizialmente, che tuttavia fa ritenere sussistente il credito vantato. È poi ovvio che possono intervenire i creditori privilegiati, visto che vengono stimolati a farlo con l’avviso. Il comma 1 dell’art.499 ammette a intervenire nell’esecuzione: i creditori che nei confronti del debitore hanno un credito fondato su titolo esecutivo; i creditori che, al momento del pignoramento, avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati o avevano un diritto di pegno o un diritto di prelazione risultante da pubblici registri; o che erano titolari di un credito di somma di denaro risultante dalle scritture contabili. Disporre di un titolo esecutivo è condizione non soltanto per cominciare l’esecuzione per intervenire, ma anche per promuovere atti di impulso del processo esecutivo. È questa la c.d. funzione vicaria che spetta ai creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo. In base all’art.500 l’intervento dà diritto non solo a partecipare alla distribuzione della domma ricavata, ma anche a partecipare all’espropriazione del bene pignorato e a provocarne i singoli atti. Però i creditori che possono intervenire senza titolo esecutivo restano esclusi dalla funzione vicaria e quindi non possono promuovere atti esecutivi. Intervento tempestivo e tardivo -> Il creditore terzo ha l’onere di inserire la propria iniziativa nel procedimento di espropriazione in un tempo ragionevole. L’art.499 stabilisce che l’atto di intervento è un ricorso, da depositare prima che si svolga l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione. Questo intervento prende la qualifica di tempestivo. Un intervento proposto più tardi è invece tardivo, e ciò verrà a ripercuotersi al momento della distribuzione. Il ricorso deve contenere l’indicazione del credito e quella del relativo titolo, la domanda per partecipare alla distribuzione della somma ricavata e la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione. Se l’intervento si basa su scritture contabili al ricorso deve essere allegato, a pena di inammissibilità, l’estratto autentico notarile delle medesime scritture. La verifica dei presupposti per l’intervento -> Con il provvedimento che dispone la vendita dei beni pignorati il giudice fissa anche l’udienza di comparizione davanti a sé del debitore e dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo, disponendone la notifica a cura di una delle parti. Tra la data dell’ordinanza e la data fissata per l’udienza non possono decorrere più di 60 giorni. All’udienza di comparizione, il debitore deve dichiarare quali creditori conosce, in tutto o in parte, nell’ambito di quelli su cui si fondano gli interventi effettuati senza titolo. Se il debitore non compare, si intendono riconosciuti tutti i crediti per i quali hanno avuto luogo interventi in assenza di titolo esecutivo. I creditori intervenuti i cui crediti siano stati riconosciuti da parte del debitore partecipano alla distribuzione della somma ricavata per l’intero o limitatamente alla parte del credito per la quale vi sia stato riconoscimento parziale. Il riconoscimento da parte del debitore ammette questi creditori a partecipare alla futura distribuzione, ma non attribuisce loro la funzione vicaria, che sussiste solo se vi sia un vero e proprio titolo esecutivo. Per i creditori intervenuti i cui crediti siano stati disconosciuti dal debitore, il codice dispone che essi hanno l’onere di iniziare, entro 30 giorni dall’udienza di comparizione, l’azione di cognizione necessaria per acquisire un titolo esecutivo; su istanza di ciascuno di essi e con la prova che l’azione accertativa è iniziata, vengono accantonate le somme che ad essi spetterebbero se fossero poi effettivamente qualificati creditori. _La vendita forzata. L’assegnazione. Il riparto. La vendita forzata: nozione ed effetti -> L’esecuzione per espropriazione ha lo scopo di portare al creditore esecutante e ai creditori intervenuti una somma di denaro pari al credito. Una volta sottoposti all’esecuzione determinati beni, si tratta di monetizzarli. Ciò avviene mediante la vendita forzata, cioè una vendita che avviene senza la volontà del proprietario espropriato, a cui si sostituisce quella dello Stato. Il pignoramento non toglie all’esecutato la proprietà dei beni: la vendita, invece, realizza questo passaggio coattivo. L’art.2919 c.c. precisa che la vendita forzata trasferisce all’acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione. Il codice civile tutela il terzo acquirente della cosa espropriata dall’ipotesi di evizione: in tal caso, il terzo può ripetere il prezzo non ancora distribuito, dedotte le spese e, se la distribuzione è già avvenuta, può ripeterne da ciascun creditore la parte che ha riscosso e dal debitore l’eventuale residuo. Norme procedurali sulla vendita -> In base al principio di impulso di parte che domina il processo di esecuzione, la vendita o l’assegnazione deve essere chiesta dal creditore procedente, o da un altro creditore munito di titolo esecutivo. Si parla, a questo proposito, di istanza di vendita o di assegnazione. Così come per il pignoramento dopo il precetto, anche per la vendita è fissato un termine prima del quale l’istanza di vendita non può essere proposta: si tratta di 10 giorni dal pignoramento, tranne che per le cose deteriorabili, delle quali può essere disposta l’assegnazione o la vendita immediata. Si vuole lasciare al debitore esecutato un breve termine per eventuali soluzioni alternative, che gli evitino di privarsi del bene pignorato. È anche previsto un termine finale per proporre l’istanza di vendita: 45 giorni dal pignoramento, in caso contrario il pignoramento perde efficacia e il processo esecutivo si estingue, con la conseguenza che una richiesta di vendita forzata proposta successivamente è inefficace. La vendita forzata può essere eseguita con o senza incanto a seconda delle disposizioni date dal giudice dell’esecuzione per ottenerne la maggiore fruttuosità e deve essere proseguita fino, ma non oltre, il raggiungimento dell’importo in grado di soddisfare i creditori. L’assegnazione -> Accanto alla vendita il codice regola un altro modo di soddisfare il creditore: l’assegnazione. Qui il bene pignorato non viene venduto a terzi, ma semplicemente assegnato ai creditori. Ciò può avvenire quando il compendio pignorato è immediatamente monetizzabile, si pensi al caso di pignoramento di crediti, oppure quando il bene presenta un autonomo interesse per il creditore: si pensi al caso di un quadro di valore. Nella logica dell’impulso di parte, all’assegnazione di può pervenire quando vi sia un’apposita istanza presentata da un creditore. Se vi è solo il creditore pignorante, l’assegnazione è agevole. Così pure se si è pignorato denaro oppure un credito, la distribuzione della somma avverrà secondo le regole sull’ordine di distribuzione. Se invece il bene è diverso dal denaro e vi sono più creditori, che concorrono a pari livello nell’espropriazione (ad esempio, il creditore procedente e più creditori tempestivamente intervenuti), occorre contemperare l’interesse del creditore che domanda l’assegnazione con quello degli altri creditori, che si attendono denaro. Perciò non si può assegnare puramente e semplicemente il bene, ma occorre che il creditore in questione metta sul tavolo dell’esecuzione una somma idonea a soddisfare chi ha diritti maggiori o uguali al suo. L’art.506 chiarisce che l’assegnazione può essere fatta soltanto per un valore non inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti di coloro che hanno un diritto a prelazione anteriore a quello del creditore che la domanda e che, se il valore del bene è maggiore, sull’eccedenza concorrono l’offerente e gli altri creditori, osservate le cause di prelazione che li assistono. Al creditore istante-offerente viene quindi assegnato il bene, ma questi deve versare una somma, parte della quale gli sarà poi assegnata in sede di riparto, in concorso con gli altri creditori. Dunque in questo caso l’assegnazione serve al creditore più per assicurarsi un dato bene che non per recuperare il proprio credito. Se il bene è uno e i creditori sono più di uno, l’assegnazione può essere chiesta solo con l’accordo di tutti. L’assegnazione è disposta con ordinanza del giudice dell’esecuzione contenente l’indicazione dell’assegnatario, del creditorie pignorante, di quelli intervenuti, del debitore, ed eventualmente del terzo proprietario, del bene assegnato e del prezzo di assegnazione. Il riparto -> Una volta liquidato e monetizzato l’oggetto dell’espropriazione, si giunge alla fase finale e satisfattiva dell’esecuzione forzata: il denaro ricavato deve essere assegnato ai creditori, che conseguono così, in tutto o in parte, lo scopo perseguito. L’art.509 specifica che la somma da distribuire è formata da ciò che si è ricavato, come prezzo o conguaglio delle cose vendute o assegnate, o come rendita o provento delle cose pignorate, o di multa e risarcimento di danno da parte dell’aggiudicatario. Se vi è un solo creditore pignorante senza intervento di altri creditori, il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, dispone a favore del creditore pignorante il pagamento di quanto gli spetta per capitale, interessi e spese. Se invece sono intervenuti nel processo di espropriazione più creditori, si apre la fase del riparto, cioè della divisione fra i più aspiranti della somma ricavata o della distribuzione di somme a taluni di essi, a preferenza di altri. In primo luogo sono soddisfatte le spese di giustizia. In secondo luogo vengono soddisfatti i crediti assistiti da privilegio, secondo l’ordine dei privilegi. Nella pignoramento già effettuato. Se vi è altro da pignorare, redigerà un apposito verbale, descrivendo però, per evitare confusione, i beni mobili già pignorati. Se invece non vi è più nulla di utilmente pignorabile, l’ufficiale giudiziario ne dà atto a verbale. In ogni caso, l’ufficiale giudiziario inserisce il verbale nel fascicolo del primo processo esecutivo e l’esecuzione si svolge in un unico processo: con la precisazione che, se sono stati pignorati altri beni, si attua la riunione di due processi esecutivi autonomi, mentre, se i beni sono i medesimi, il secondo creditore assume il ruolo di un interveniente tempestivo, con funzione vicaria. L’intervento dei creditori -> L’intervento dei creditori nell’espropriazione mobiliare è tempestivo, se compiuto non oltre la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione. Non è vietato un intervento che abbia luogo più tardi: ma la sanzione è quella di postergare le ragioni dell’interveniente tardivo, salvo che si tratti di un creditore privilegiato, che vengono collocate dopo quelle del creditore procedente, dei creditori privilegiati e dei creditori tempestivamente intervenuti. La vendita -> Nella logica dell’impulso di parte è previsto che il creditore pignorante o ogni creditore intervenuto munito di titolo esecutivo e dotato di funzione vicaria, se vuole conseguire il risultato pratico del processo di espropriazione, ha l’onere di chiedere che i beni pignorati siano venduti. Questa richiesta si attua mediante un ricorso o istanza al giudice dell’esecuzione (la c.d. istanza di vendita), da presentarsi non prima di 10 giorni e non oltre 45 giorni dal pignoramento. Nello stesso termine può essere chiesta la distribuzione del denaro eventualmente pignorato o l’assegnazione dei beni pignorati. All’istanza di vendita segue il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione fissa un’apposita udienza per deliberare, in contraddittorio con le parti, se dare luogo alla vendita e, in caso affermativo, con quali tempi e modalità, con ampio ricorso alle forme telematiche e sempre disponendo che sia effettuata la pubblicità sul portale delle vendite pubbliche. In questa udienza le parti devono proporre, a pena di decadenza, le opposizioni agli atti esecutivi, se non sono già decadute dal diritto di proporle. La vendita dei beni mobili avviene senza incanto o tramite commissionario. Il commissionario è l’istituto per le vendite giudiziarie, che dispone di una specifica organizzazione per pubblicizzare e gestire la vendita dei beni. Con il provvedimento che dispone la vendita il giudice fissa il prezzo minimo, a tutela del debitore, che ha interesse a valorizzare il più possibile i propri beni. L’art.532 inoltre prevede che il giudice detti disposizioni sul numero degli esperimenti di vendita, sui criteri per i ribassi in caso di mancata vendita e il termine entro il quale la vendita va eseguita. In caso di esito positivo della vendita la somma ricavata viene depositata nella cancelleria dell’organo giudiziario competente, per essere poi distribuita. La tutela contro le ordinanze del giudice è affidata ad un reclamo, di eventuali reclami viene investito il tribunale in composizione collegiale. Può accadere che i beni restano invenduti. In tal caso il soggetto incaricato deve restituire gli atti alla cancelleria, dando adeguata giustificazione dell’attività inutilmente svolta per reperire i potenziali acquirenti e dell’effettuazione della pubblicità prescritta dal giudice. Il codice prevede la possibilità di una ricerca di nuovi beni da pignorare, previa istanza di integrazione del pignoramento presentata da un creditore: se ne vengono trovati, il giudice può disporne la vendita. I beni non venduti vengono restituiti al debitore, che non ne ha mai perso la proprietà, e viene dichiarata l’estinzione del procedimento. Quando è evidente la sproporzione fra i costi della procedura e il risultato concretamente ottenibile, il processo esecutivo può essere chiudo anticipatamente per infruttuosità. Anche quando il commissionario restituisce gli atti, il giudice dell’esecuzione dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo, salvo nel caso in cui vi siano istanze di integrazione del pignoramento. L’espropriazione di autoveicoli -> L’esecuzione forzata su autoveicoli, motoveicoli e rimorchi è una forma di pignoramento mobiliare che riguarda però beni mobili registrati e non legati ad un determinato territorio, proprio per la loro facilità di spostamento e che assume alcuni caratteri del pignoramento immobiliare. Infatti, il pignoramento si può eseguire con notificazione al debitore e successiva trascrizione di un atto che, oltre a contenere l’ingiunzione a non disporne in pregiudizio del creditore, indica esattamente i beni e i diritti che si vuole sottoporre ad esecuzione. Al debitore è anche formulata l’intimazione a consegnare all’istituto vendite giudiziarie del foro del debitore, o a quello più vicino al luogo in cui si trova l’automezzo, entro i 10 giorni successivi alla notifica, i beni pignorati con i documenti relativi alla proprietà e al loro uso. La custodia è a carico del debitore fino al momento della consegna del mezzo, quando passa all’istituto vendite giudiziarie. Può accadere che il debitore non consegni spontaneamente l’automezzo o che cerchi di occultarlo. In tal caso, è compito della polizia stradale provvedervi. Qui il termine di perenzione di 45 giorni non decorre dalla data del pignoramento ma del deposito, da parte del creditore, della nota di iscrizione a ruolo. _L’espropriazione presso terzi. Nozione e presupposti -> Accade con frequenza che il debitore esecutato non abbia, presso la propria residenza, beni mobili di valore sufficiente a fare fronte al credito portato dal titolo esecutivo, ma vanti, nel proprio patrimonio, situazioni di credito verso terzi. Ad esempio, egli è creditore degli stipendi che ogni mese gli devono essere pagati dal datore di lavoro, oppure ha crediti verso clienti, oppure è creditore verso una banca delle somme che si trovano su un conto corrente. Vi è anche l’ipotesi che egli sia proprietario di cose mobili, che si trovano presso terzi, in base ad un rapporto obbligatorio, come un comodato o una locazione. La legge prevede che il creditore esecutante può soddisfarsi anche su questi crediti o beni. L’esecuzione è sempre contro il debitore, ma vede coinvolti i terzi. In questo tipo di espropriazione il pignoramento, ai sensi dell’art.543, non si deve eseguire con l’accesso diretto dell’ufficiale giudiziario, ma con la notificazione, al debitore e al terzo, di un atto scritto di duplice contenuto. Da un lato, l’atto ha il normale contenuto di un pignoramento e quindi l’individuazione di crediti o beni del debitore con l’intimazione, sia del debitore che al terzo, di non disporne in pregiudizio del creditore procedente, senza ordine del giudice; dall’altro deve stimolare ad un accertamento dell’effettiva sussistenza e della reale entità del credito, o delle cose e del rapporto obbligatorio che le investe. Quindi, l’atto contiene la citazione del debitore a comparire dinanzi al giudice competente che è usualmente quello della residenza o del domicilio, della dimora o della sede del debitore, e l’invito al terzo a compiere una presa di posizione circa la sussistenza del credito o del rapporto. L’atto di pignoramento indica la data dell’udienza, che quindi risulta nota sia al debitore che al terzo. Il termine di comparizione per l’udienza è di 10 giorni. In base all’art.547 il terzo deve anche specificare i sequestri precedentemente eseguiti presso di lui e le cessioni che gli sono state notificate o che ha accettato. In tal caso, il creditore pignorante deve chiamare nel processo il sequestrante nel termine perentorio fissato dal giudice. I limiti al pignoramento di stipendi e pensioni -> Non ogni credito può essere pignorato. L’art.545 limita o esclude la pignorabilità per i crediti alimentari, i sussidi di sostentamento o dovuti per altre motivazioni sociali da enti di assistenza o beneficienza. La limitazione più frequente è quella che concerne le pensioni e gli emolumenti equiparati, gli stipendi, i salari e ciò che è dovuto in relazione ad un rapporto di lavoro o di impiego. L’art.545 individua due livelli di pignorabilità di questi redditi. Fino ad un determinato ammontare, parametrato alla misura dell’assegno sociale, i redditi in questione sono assolutamente impignorabili. Oltre a tale ammontare, sono pignorabili nella misura di un quinto. Per i redditi da pensione ed equiparati, la fascia di non pignorabilità è fissata alla misura massima dell’assegno sociale, aumentata della metà. Per i redditi da lavoro dipendente e anche per quelli di pensione, se accreditati su un conto corrente bancario o postale, si distingue a seconda che l’accredito sia avvenuto prima o dopo il pignoramento, a seconda che si tratti di somme già presenti nella disponibilità del debitore e che non siano state consumate, o di somme che gli pervengono successivamente e che gli occorrono per vivere. Nel primo caso, il pignoramento può comprendere tutto quanto si trova sul conto, ad eccezione dell’importo pari al triplo dell’assegno sociale; nel secondo caso, si applica la regola della non pignorabilità dell’importo dell’assegno sociale, aumentato della metà, e della pignorabilità fino ad un quinto di ciò che supera tale somma. Il pignoramento eseguito oltre i limiti è inefficace e l’inefficacia può essere rilevata d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, con apposita ordinanza. Il debitore può proporre opposizione all’esecuzione contestando la pignorabilità delle somme in questione; può anche stimolare l’intervento del giudice. il giudice dell’esecuzione dovrà provvedere in contraddittorio con i creditori, fissando un’apposita udienza. Il momento perfezionativo del pignoramento presso terzi -> L’art.546 stabilisce che dal giorno in cui è notificato l’atto di pignoramento il terzo è soggetto, relativamente alle cose e alle somme da lui dovute e nei limiti dell’importo del credito precettato aumentato della metà, agli obblighi che la legge impone al custode. Il vincolo di indisponibilità a carico del terzo non riguarda tutto il credito, se di importo maggiore, ma solo le somme indicate nell’atto di precetto aumentate della metà. Nel caso di pignoramento eseguito presso più terzi, il debitore può chiedere la riduzione proporzionale dei singoli pignoramenti, o la dichiarazione di inefficacia di taluno di essi; il giudice dell’esecuzione, convocate le parti, provvede con ordinanza non oltre 20 giorni dall’istanza. È soltanto la dichiarazione affermativa del terzo a consentire il perfezionarsi del pignoramento. Il processo esecutivo si trova di fronte a quattro possibili sviluppi: dichiarazione affermativa; dichiarazione negativa; mancata dichiarazione; dichiarazione negativa o affermativa contestata. Se il terzo conferma l’esistenza del rapporto obbligatorio, il pignoramento si perfeziona e l’esecuzione per espropriazione prosegue. Se invece la dichiarazione è negativa, il creditore esecutante può abbandonare l’iniziativa e cercare altri beni da pignorare: in questo caso il processo esecutivo si l’eventuale regolarizzazione urbanistica. A questo punto il giudice fissa l’udienza per la comparizione delle parti e degli eventuali creditori privilegiati non intervenuti. All’udienza, le parti possono fare osservazioni circa il tempo e le modalità della vendita, e devono proporre, a pena di decadenza, le opposizioni agli atti esecutivi, se non sono già decaduti dal diritto di proporle. Nell’ipotesi che non vi siano opposizioni, il giudice dell’esecuzione dispone con ordinanza la vendita, stabilendone le modalità essenziali. Se invece vi sono opposizioni si apre il consueto incidente e il giudice deve trattare la controversia e deciderla con sentenza, soltanto dopo può disporre la vendita. Lo svolgimento della vendita: la vendita senza incanto -> Tradizionalmente la vendita immobiliare si svolgeva con il sistema dell’incanto e cioè dell’asta pubblica: i potenziali acquirenti si presentavano in un’apposita udienza, formulando offerte al rialzo rispetto al prezzo base. Vinceva colui che presentava l’offerta più alta. Questo sistema è ancora possibile, ma è diventato residuale, perché il legislatore favorisce il diverso metodo della vendita senza incanto. Oggi l’incanto può essere disposto solo quando il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità permetta di conseguire un prezzo superiore della metà rispetto al valore di stima dell’immobile. L’immobile pignorato, di cui è stata ordinata la vendita, viene posto sul mercato tramite apposite dorme pubblicitarie, si informa che quel dato bene, con quelle date caratteristiche, è posto in vendita ad un dato prezzo base. Chi lo ritiene, può formulare offerte al rialzo e alla fine si procede all’aggiudicazione. L’ordinanza di vendita deve stabilire le regole della gara. Il giudice stabilisce il termine per la presentazione delle offerte; indica il prezzo base come stimato dall’esperto; fissa l’entità dell’offerta minima; indica il termine, non maggiore di 120 giorni dall’aggiudicazione, entro il quale il prezzo deve essere depositato dall’acquirente; fissa l’udienza per la deliberazione sulle offerte e per la gara fra gli offerenti al giorno immediatamente successivo alla scadenza del termine per effettuare le proposte di acquisto. Se sussistono giustificati motivi può consentire che l’aggiudicatario versi il prezzo ratealmente. Secondo l’art.570 il cancelliere dà pubblico avviso dell’ordine di vendita, comunicando il valore dell’immobile, il sito internet sul quale si può leggere la relativa relazione di stima, il nome e il recapito telefonico del custode nominato in sostituzione del debitore, con l’avvertimento che maggiori informazioni, anche relative alle generalità del debitore, possono essere fornite dalla cancelleria del tribunale a chiunque vi abbia interesse. Eventualmente anche su istanza del creditore procedente o dei creditori intervenuti, il giudice dell’esecuzione può disporre che, in aggiunta alla pubblicità sul portale, l’avviso sia inserito almeno 45 giorni prima del termine per la presentazione delle offerte una o più volte sui quotidiani di informazione locali con maggiore diffusione nella zona interessata o sui quotidiani di informazione nazionale. Ai sensi dell’art.571 l’offerta non può provenire dal debitore. Per essere valida, un’offerta di acquisto deve contenere precise indicazioni sia sul prezzo offerto, non inferiore di un quarto a quello della relazione di stima, che sui tempi e modi del pagamento e ogni altro elemento utile alla valutazione; inoltre, deve pervenire nella cancelleria del giudice dell’esecuzione entro il termine fissato nell’ordinanza di vendita ed essere accompagnata da cauzione. L’offerta è irrevocabile per 120 giorni. L’offerta deve essere depositata in busta chiusa. Le buste sono aperte all’udienza fissata per l’esame delle offerte alla presenza degli offerenti. Scaduto il termine per presentare le offerte, si svolge l’udienza stabilita nell’ordinanza di vendita, con la partecipazione delle parti e dei creditori iscritti non intervenuti. A questo punto, si aprono varie possibilità. Se vi è una sola offerta pari o superiore al valore di stima dell’immobile, questa offerta è accolta. Se vi è una sola offerta, inferiore di meno un quarto rispetto al prezzo di vendita, il giudice dà luogo alla vendita, se esclude di poter ottenere un prezzo superiore con una nuova vendita e se non vi sono istanze di assegnazione. Se invece vi sono più offerte il giudice dell’esecuzione invita gli offerenti a una gara sull’offerta più alta. In caso di offerte identiche, prevale quella presentata per prima. L’immobile viene quindi aggiudicato al migliore offerente. L’art.574 stabilisce che, quando il pagamento avviene ratealmente, il giudice può autorizzare l’aggiudicatario ad occupare l’immobile prima di aver concluso il pagamento e quindi prima del decreto di trasferimento, purchè presti una fideiussione pari almeno al trenta per cento del prezzo di vendita. Lo svolgimento della vendita: la vendita con incanto -> Incanto significa asta pubblica: è una gara a cui tutti, tranne il debitore, possono partecipare, secondo modalità prefissate. Le regole dell’incanto sono dettate dall’ordinanza di vendita che deve stabilire: il prezzo base dell’incanto determinato in rapporto alla stima; il giorno e l’ora dell’incanto; il termine che deve decorrere tra il compimento delle forme di pubblicità e l’incanto, nonché le eventuali forme di pubblicità straordinaria; l’ammontare della cauzione; la misura minima dell’aumento da apportarsi alle offerte; il termine, non superiore a 60 giorni dall’aggiudicazione, entro il quale il prezzo deve essere depositato e le modalità del deposito. Alla gara, le offerte devono essere fatte personalmente o a mezzo di mandatario munito di procura. Per offrire all’incanto è necessario avere prestato la cauzione disposta dal giudice, se l’offerente non diviene aggiudicatario, la cauzione è immediatamente restituita dopo la chiusura dell’incanto. L’incanto si svolge davanti al giudice dell’esecuzione, nella sala delle udienze pubbliche. Le offerte non sono efficaci se non superano il prezzo base o l’offerta precedente nella misura indicata nelle condizioni di vendita (ad esempio può essere stato indicato un aumento minimo di 5.000€). Quando sono trascorsi tre minuti dall’ultima offerta senza che ne segua un’altra maggiore, l’immobile è aggiudicato all’ultimo e quindi maggiore offerente. Anche dopo l’incanto possono essere fatte offerte di acquisto entro il termine perentorio di 10 giorni, ma esse non sono efficaci se il prezzo offerto non supera di un quinto quello raggiunto nell’incanto. L’aggiudicazione e il trasferimento -> Ai sensi dell’art.585 l’aggiudicatario deve versare il prezzo nel termine e nel modo fissati dall’ordinanza che dispone la vendita e poi consegnare al cancelliere il documento che comprova l’avvenuto versamento. Se l’aggiudicatario non versa il prezzo il giudice lo dichiara decaduto, pronuncia la perdita della cauzione, che resta acquisita come attivo dell’esecuzione, e dispone la ripresa della vendita. Se dalla nuova procedura di vendita si ricava un prezzo che, sommato alla cauzione confiscata, resta inferiore a quello del primo incanto, l’aggiudicatario inadempiente è tenuto al pagamento della differenza. L’ultimo passaggio dell’esecuzione immobiliare è il decreto di trasferimento. Si tratta del provvedimento che definitivamente trasferisce la proprietà del bene dal debitore all’aggiudicatario. Il decreto dovrà essere trascritto. Il decreto identifica il bene, ripetendo la descrizione che di esso era stata fatta nell’ordinanza di vendita. Il decreto ordina che si cancellino le trascrizioni dei pignoramenti e le iscrizioni ipotecarie, anche di quelle successive alla trascrizione del pignoramento. L’aggiudicatario diventa proprietario di un bene libero da ogni gravame. Infine, il decreto contiene l’ingiunzione al debitore o al custode di rilasciare l’immobile venduto. L’assegnazione -> Anche nell’esecuzione immobiliare può trovare luogo l’assegnazione. In base all’art.588 ogni creditore, nel termine di 10 giorni prima della data dell’udienza fissata per la vendita, può presentare istanza di assegnazione, per il solo caso in cui la vendita non abbia luogo. L’istanza di assegnazione deve contenere l’offerta di pagamento di un importo non inferiore a quello risultante dalla somma delle spese di esecuzione e dei crediti. Il giudice dell’esecuzione provvede sull’assegnazione e pronuncia il decreto di trasferimento. La delega di funzioni e privati -> Le operazioni di vendita immobiliare sono comunemente delegate a un professionista, un notaio, un avvocato o un commercialista, dotato delle opportune competenza. Il professionista svolge tutti i compiti che normalmente spettano al giudice, inclusa l’emissione dei provvedimenti opportuni. Tuttavia, in caso di contestazioni, non è il professionista a decidere, ma il giudice dell’esecuzione. la delega può essere esclusa solo se il giudice dell’esecuzione, sentiti i creditori, ritenga preferibile procedere direttamente alle operazioni di vendita, a tutela degli interessi delle parti. Il potere giurisdizionale, in forza del quale avviene l’espropriazione, in tutte le sue fasi, è e resta dello Stato ed è esercitato dal giudice. Il professionista è un delegato ed esercita poteri non suoi. Per questo, non solo il professionista è autorizzato a rivolgersi al giudice per risolvere le difficoltà, ma è il giudice ad avere comunque l’ultima parola. L’art.591-bis prevede chhe la delega viene revocata, sentito il professionista, se non sono rispettati i termini e le direttive impartiti dal giudice, a meno che queste inosservanze dipendano da causa non imputabile. L’amministrazione provvisoria dell’immobile ->Le procedure di espropriazione immobiliare possono risultare particolarmente lunghe. Nel frattempo bisogna amministrare l’immobile. Questo compito, se necessario, è affidato dal giudice, per un tempo non superiore a 3 anni, ma prorogabile, a uno o più creditori o a un istituto a ciò autorizzato, oppure allo stesso debitore se tutti i creditori vi consentono. All’amministratore giudiziario si applicano le norme sul custode. L’amministrazione cessa quando l’immobile viene venduto. Il riparto -> Salvo che vi sia un solo creditore, il giudice dell’esecuzione forma un progetto di distribuzione contenente l’indicazione delle somme ricavate, l’elenco dei creditori e soprattutto la loro gradazione, cioè l’ordine di preferenza in cui devono essere pagati. Il progetto, che deve essere redatto entro 30 giorni dal versamento del prezzo, viene depositato in cancelleria. Sia il debitore che i creditori lo possono consultare. Il giudice fissa poi l’udienza per l’audizione delle parti. Se il progetto è approvato il giudice ordina il pagamento delle somme ai soggetti e nella misura indicata nel progetto. Invece se il progetto non è approvato e sorgono contestazioni, le controversie sulla distribuzione sono risolte secondo il meccanismo semplificato di cui all’art.512. _Le forme particolari di espropriazione. L’esecuzione in forma specifica. L’espropriazione di beni indivisi -> Quando si deve espropriare un bene appartenente cominciata. L’atto introduttivo è un atto di citazione che si propone dinanzi al giudice competente. L’opposizione a precetto dà luogo a un normale procedimento di cognizione caratterizzato dalla possibilità di ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo. L’opposizione successiva -> La seconda e più frequente ipotesi è quella di opposizione all’esecuzione già iniziata, denominata anche opposizione successiva, perché suppone un processo esecutivo già avviato, con il pignoramento nel caso dell’espropriazione, con la notifica dell’apposito avviso nel caso del rilascio e con l’inizio delle operazioni materiali nelle altre ipotesi. Lo scopo pratico di questa opposizione è di paralizzare l’esecuzione forzata. L’opposizione all’esecuzione e quella relativa alla pignorabilità dei beni si propongono con ricorso al giudice dell’esecuzione, che fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto. Questa udienza è governata dal rito in camera di consiglio, ma il resto del giudizio si sviluppa secondo le regole ordinarie. Il giudice dell’esecuzione decide con ordinanza sulla sospensione dell’esecuzione, nel contraddittorio delle parti. Dopo aver deciso sulla sospensione il giudice assegna alle parti un termine per proseguire il processo. L’opposizione agli atti esecutivi -> Anche nell’opposizione agli atti esecutivi occorre distinguere due fattispecie. Da un lato le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, da proporsi prima dell’inizio dell’esecuzione. Dall’altro ogni altra forma di opposizione, e quindi: le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, che sia stato impossibile proporre prima dell’inizio dell’esecuzione; quelle relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto; quelle che contrastano singoli atti di esecuzione. Nel primo caso l’opposizione si propone con atto di citazione, dinanzi al giudice individuato dall’elezione di domicilio fatta dall’esecutante nell’atto di precetto o, in mancanza, a quello del luogo di notificazione del precetto; nel secondo caso quando l’esecuzione è già iniziata, si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione. Il termine perentorio è di 20 giorni. L’opposizione di terzo all’esecuzione -> Il terzo può proporre opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione dei beni. Il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto. L’udienza si svolge nelle forme camerali e il giudice può sospendere l’esecuzione. Se all’udienza le parti raggiungono un accordo, il giudice ne dà atto con ordinanza, adottando ogni altra decisione idonea ad assicurare, se del caso, la prosecuzione del processo esecutivo o ad estinguere il processo, statuendo in questo caso anche sulle spese. Se invece il contrasto permane, il giudice provvede perché l’opposizione sia trattata nel merito. Se in seguito all’opposizione il giudice non sospende la vendita dei beni mobili o se l’opposizione è proposta dopo che la vendita è stata effettuata, i diritti del terzo opponente si fanno valere sulla somma di denaro ricavata. _La sospensione dell’esecuzione. L’estinzione del processo esecutivo. La sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo -> La sospensione dell’efficacia del titolo appartiene al giudice della cognizione. Qualora venga disposta la sospensione dell’esecutorietà, l’efficacia esecutiva del provvedimento è paralizzata e l’esecuzione forzata non può cominciare. Se la decisione di sospendere l’esecutorietà del provvedimento giunge quando il processo esecutivo è già iniziato, l’attività esecutiva, legittimamente iniziata, non può proseguire, fino all’accertamento definitivo, ma gli atti compiuti sono validi. Ad esempio, il bene pignorato rimane pignorato ma non se ne può disporre la vendita. La sospensione del processo esecutivo collegata all’opposizione -> Con le recenti riforme il legislatore ha istituito un interessante collegamento fra l’opposizione all’esecuzione e la sospensione dell’esecuzione. In caso di opposizione all’esecuzione o di opposizione di terzi il giudice può sospendere l’esecuzione se ricorro gravi motivi, eventualmente disponendo che la parte, a favore della quale è concessa la sospensione, presti cauzione. Contro l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione è ammesso reclamo. Nei casi di sospensione del processo esecutivo, disposta e non reclamata, o disposta e confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la sospensione, su istanza dell’opponente, dichiara con ordinanza, a sua volta reclamabile, l’estinzione del processo esecutivo e la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Una volta ottenuta la sospensione, il debitore esecutato ha davanti a sé l’estinzione del procedimento e quindi la liberazione dei beni pignorati. Il creditore, se non vuole perdere ogni efficacia della procedura esecutiva intrapresa, si deve attivare. La sospensione del processo esecutivo per accordo -> Il presupposto è quello di un debitore che si sforza di pagare i creditori ma non riesce a farlo se non con dilazioni nel tempo. Ne segue che i creditori possono ritenere utile non accelerare la prosecuzione del processo esecutivo, ma dare tempo al debitore. Si realizza un generale accordo fra i soggetti interessati ad attuare un programma di rientro del debito. Ai sensi dell’art.624-bis il giudice dell’esecuzione, su istanza di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo e sentito il debitore, può sospendere il processo fino a 24 mesi. L’istanza è proponibile fino a 20 giorni prima della scadenza del termine per il deposito delle offerte di acquisto o, nel caso in cui non abbia luogo la vendita senza incanto, fino a 15 giorni prima dell’incanto. Occorre evitare manovre dilatorie da parte del debitore. Pertanto se il debitore ha assunto determinati impegni e non rispetta le scadenze la sospensione, che è disposta per una volta soltanto, può essere revocata in qualsiasi momento, su richiesta anche di un creditore solo, ma sentito comunque il debitore. Con l’ordinanza che accorda la sospensione il giudice dell’esecuzione stabilisce un termine, dopo il quale il processo o si estingue, a motivo dell’integrale soddisfazione dei creditori, oppure riprende il suo camino. Ogni parte interessata deve presentare l’istanza per la fissazione dell’udienza in cui il processo deve proseguire, entro 10 giorni dalla scadenza del termine. Se l’istanza non viene presentata il processo si estingue. L’estinzione del processo esecutivo -> Il codice prevede come cause di estinzione la rinuncia agli atti e l’inattività delle parti. Per quanto riguarda la prima, l’art.629 stabilisce che il processo si estingue se, prima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione, il creditore pignorante e quelli intervenuti muniti di titolo esecutivo rinunciano agli atti, mentre, dopo la vendita, il processo si estingue se rinunciano agli atti tutti i creditori concorrenti. In relazione alla seconda, l’art.630 afferma che il processo esecutivo si estingue, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, quando le parti non lo proseguono o non lo riassumono nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice. Un’ulteriore causa di estinzione si ha quando viene omessa la pubblicità sul portale delle vendite pubbliche, per causa imputabile al creditore procedente o al creditore intervenuto dotato di funzione vicaria, nel termine stabilito dal giudice dell’esecuzione. L’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, con ordinanza del giudice dell’esecuzione, non oltre la prima udienza successiva al suo verificarsi. L’ordinanza è comunicata a cura del cancelliere se è pronunciata fuori dall’udienza. Contro l’ordinanza che dichiara l’estinzione o rigetta la relativa eccezione è ammesso reclamo da parte del debitore o del creditore pignorante o degli altri creditori intervenuti nel termine perentorio di 20 giorni dall’udienza o dalla comunicazione dell’ordinanza. Con l’ordinanza che pronuncia l’estinzione è disposta sempre la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Con la medesima ordinanza il giudice dell’esecuzione provvede alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti e alla liquidazione dei compensi spettanti all’eventuale professionista delegato. Se l’estinzione del processo esecutivo si verifica pima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione, essa rende inefficaci gli atti compiuti, ne segue che i beni pignorati restano nel patrimonio del debitore. Se invece avviene dopo l’aggiudicazione o l’assegnazione, il debitore non può più recuperare i beni, ma gli viene consegnata la somma ricavata. Avvenuta l’estinzione del processo il custode rende il conto al debitore, il conto è discusso e chiuso davanti al giudice dell’esecuzione. L’estinzione per infruttuosità dell’esecuzione forzata -> Anche al processo esecutivo si applica il criterio della ragionevole durata. Se vi è una netta sproporzione fra il valore dei beni pignorati, da un lato, e l’entità dei crediti e delle spese di esecuzione, dall’altro, il giudice dell’esecuzione dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo. Inoltre secondo l’art.532 quando il commissionario restituisce gli atti, il giudice dell’esecuzione dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo. In questo caso la chiusura anticipata del processo viene disposta automaticamente, sulla semplice contestazione della mancata vendita. In entrambe le ipotesi si tratta di nuove forme di estinzione, visto che il pignoramento perde efficacia e che i beni rimangono nella piena disponibilità del debitore esecutato. FUORI DAL PROCESSO. _La mediazione e la conciliazione. La mediazione -> Il processo risulta inadeguato alle nuove esigenze. Le risposte della società civile si indirizzano su tre direttrici: un radicale ripensamento delle strutture del processo civile, in termini di semplificazione e di elasticità; la scelta di forme di giustizia privata, come l’arbitrato; infine, il superamento del conflitto in quanto tale. In questa terza prospettiva si collocano i mezzi alternativi alla giurisdizione: la mediazione e la conciliazione. La mediazione è definita come l’attività svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con la formulazione di una proposta per risolverla. La conciliazione consiste nel risultato positivo della mediazione, cioè nell’effettiva composizione della controversia. La mediazione è sempre consensuale e non decisoria. È consensuale perché suppone l’accordo fra le parti, anche quando si estende a lambire diritti non disponibili. È non decisoria perché la sua caratteristica è comunque quella di non attribuire ragione o torto alle parti, sia che avvenga all’interno di un giudizio, sia che si attui prima e
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