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Svevo, Pirandello, Futurismo e Tozzi, Appunti di Italiano

Vita e pensiero di Svevo e Pirandello e Tozzi Una vita: LE ALI DEL GABBIANO. Senilità. La coscienza di zeno:Prefazione del Dottor S., LO SCHIAFFO DEL PADRE, IL MATRIMONIO DI ZENO, LA MOGLIE E L’AMANTE, LA VITA E’ UNA MALATTIA. Umorismo pirandelliano: La carriola, La patente, Il treno ha fischiato, Tu ridi. Teatro pirandelliano: Cosi è se vi pare, Enrico IV Romanzi pirandelliani: Serafino Gubbio, Il fu mattia pascal, uno nessuno centomila Tozzi, Crepuscolari e futurismo

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 04/10/2022

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Scarica Svevo, Pirandello, Futurismo e Tozzi e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Italo Svevo Italo Svevo, pseudonimo di Ettore Schmitz che dimostra la duplicità culturale dello scrittore per metà italiano e metà ebraico, nasce a Trieste nel 1861 da una famiglia ebrea. Trieste era parte dell’Impero Auistro-Ungarico, un posto decisivo per la formazione mitteleuropea dell’autore (ovvero cultura economico-politica dell’Europa Centrale), in più Trieste era città di porto quindi di particolare scambio culturale. Il padre è un agiato commerciante, Ettore, sesto di otto figli, studia il tedesco in un collegio in Baviera e l’italiano lo aveva già imparato con la frequentazione delle scuole triestine Facilità linguistica. A diciannove anni trova impiego presso la filiale triestina della Banca Union di Vienna come corrispondente tedesco e francese. Dopo il lavoro frequenta la Biblioteca Civica di Trieste , dove legge i classici italiani e i naturalisti francesi, studia i filosofi Schopenhauer e Nietzsche; in più inizia a collaborare con il giornale triestino “L’Indipendente”. Nel 1892 pubblica il primo romanzo “Una vita”. Nel 1896 sposa la cugina Livia Veneziani, figlia di un ricco industriale di Trieste. C’è un miglioramento delle condizioni di vita dell’autore con il matrimonio perché la donna era legata a una solida borghesia. Nel 1898 pubblica il secondo romanzo “Senilità” a puntate sul giornale “L’indipendente”, che come il primo non ottiene alcun riconoscimento né di critica né di pubblico. Svevo decide di eliminare dalla propria vita “quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura” e si dedica all’industria Veneziani. Viaggia spesso e si reca a Londra. Per migliorare il suo inglese prende lezioni da James Joyce a cui fa leggere i propri romanzi. Tra il 1908 e il 1910 conosce l’opera di Freud e traduce “L’interpretazione dei Sogni”, forse il testo più breve intitolato “Il sogno”. Durante la guerra riesce a mantenere la fabbrica in vita con altissimi profitti. Nel 1919 inizia a scrivere “La coscienza di Zeno” che pubblica nel 1923. Il romanzo riceve apprezzamenti e riconoscimenti; nel 1925 la rivista letteraria “L’esame” pubblica l’articolo di Eugenio Montale “Omaggio a Italo Svevo”, nel 1927 il romanzo viene tradotto e stampato in Francia. Muore nel 1928 in seguito alle complicazioni dovute a un incidente d’auto. La cultura di Svevo: complessa e contradditoria Nella cultura di Svevo confluiscono filoni di pensiero differenziati e talvolta, a prima vista, inconciliabili: 1. POSITIVISMO( fonda la conoscenza sui fatti reali e deriva la certezza esclusivamente dall’osservazione propria alle scienze sperimentali da cui Svevo riprende la propensione all’utilizzo di tecniche scientifiche di conoscenza e il rifiuto di ottiche idealistico-metafisiche Darwin propone a Svevo l’analisi dell’evoluzione dell’umanità (vedi Inglese Victorian Age) che all’autore servì per comprendere i limiti della conoscenza umana, il Marxismo non viene accettato da Svevo come soluzione sociale ma quest’ultimo concorda sul fatto che tutti i fenomeni, compresa la psicologia individuale, siano influenzati dalla realtà delle classi. 2. SCHOPENAUER lascia in eredità a Svevo la denuncia degli autoinganni (i protagonisti di sentono grandi di una grandezza latente, non comprendono di essere inetti e aspettano la giusta occasione che possa permettere loro di dimostrare le qualità e i punti di forza che li caratterizzano). Come secondo Schopenauer esistono dei forti e dei deboli, cosi per Svevo vi sono i “sani” e i “malati”. a. SANI sono coloro che non si pongono domande sull’esistenza, non sono problematici b. MALATI che sono insicuri del loro posto nel mondo e vivono di ipotesi. Svevo mette sé stesso nei malati, è in una posizione di difesa dei malati poiché solo questi hanno consapevolezza dell’esistenza nonostante i sani abbiano un “forza attraente” e una vita di sicurezze. 3. FREUD E LA PSICOANALISI sono accettate da Svevo come tecniche di coscienza ma non come cura poiché la nevrosi per Svevo è segno positivo di non rassegnazione e non adattamento dell’inetto (ovvero colui incapace di adattarsi alle situazioni). Svevo difende la sua inettitudine. Quali sono gli elementi comuni delle opere di Svevo?  Presenza degli autoinganni  In conseguenza presenza della dialettica sano-malato: il protagonista è solitamente un malato a cui si contrappone un antagonista sano che ha il compito di far risaltare l’inettitudine dei malati.  Interiorità: i romanzi sono ambientati nell’interno dell’individuo e quindi i fatti sono filtrati opportunamente dai personagginon esiste una realtà univoca perché ci sono i punti di vista differenti.  Ironia Una vita (1892) Protagonista è un impiegato (copista in una banca) di nome Alfonso Nitti che si sente diverso e vorrebbe apparire superiore cercando opportunità di riscatto nella letteratura. Cerca di attuare il cambio di classe seducendo Annetta Maller, figlia del padrone della banca per cui lavora. Ma l’inettitudine di Alfonso che lo porta a non adattarsi alle situazioni favorevoli della vita, lo allontana dalla possibilità di matrimonio con Annetta: egli fugge infatti al paese per assistere la madre morente lasciando Annetta senza sue notizie per molto tempo. Tornato alla banca, dopo essersi ammalato a sua volta, ritrova Annetta fidanzata con il suo rivale Macario che rappresenta il contrario della sua inettitudine. Alfonso si uccide.  La dimensione dell’inconscio si avverte dalle focalizzazioni interne alternate a quelle esterne.  Dicotomia sano-malato  Tema dell’impiegato T1 MACARIO E ALFONSO: LE ALI DEL GABBIANO Alfonso conosce Macario nel corso di una cena a casa Maller. Fin da subito le differenti nature dei due personaggi appaiono evidenti Macario il cui nome significa “fortunato” in greco è un sano e Alfonso un malato tanto che egli pensa che l’altro voglia stare con lui per mettere in luce ulteriormente le sue qualità migliori. La parte iniziale del brano riguarda quindi le basi dell’amicizia tra Macario e Alfonso. Macario ospitò numerose volte Alfonso sulla sua barca e Alfonso vedeva tali gite “vere e proprie feste” nella sua vita noiosa e possibilità di conquistare la propria salute. Una mattina Macario decide di uscire con la barca nonostante il vento forte e in questa circostanza mentre Macario dimostra la sua spavalderia, Alfonso ha paura. La vela si piega dalla parte di Alfonso verso l’acqua aumentando la preoccupazione di Alfonso. Macario si divertiva, lo prendeva in giro e volutamente lasciò la nave in balia del vento. L’ultima parte della narrazione riguarda il discorso di Macario che, sentendo i gridi dei gabbiani, spiega la sua visione del mondo ad Alfonso. Il gabbiano ha infatti ali grandissime rispetto al cervello ma riesce a nutrirsi dei pesci che senza potersi opporre sono catturati poiché nella lotta per la vita ciò che è importante è la forza e non l’intelligenza. E chi non nasce con le ali (con la forza) non le avrà mai, per natura vi sono i predatori (i gabbiani, i forti e i sani) e le prede (come Alfonso) che nutrono qualcosa di inutile: il cervello. Alfonso si sente inutile, Macario dice ad Alfonso che ha le ali giuste solo per i voli poetici nella fantasia, non per la vita. Particolarmente evidente è l’influenza della teoria evoluzionistica di Darwin per cui la selezione naturale è dettata dalla capacità di adattamento degli animali che sono in parte destinati a sopravvivere e in parte a soccombere. La figura dell’intellettuale che soccombe nella lotta alla vita è fortemente ridimensionatalegge del più forte. Senilità Senilità fu pubblicato nel 1898 (e poi, in una edizione rivista dall'autore, nel 1927). È la storia di un rapporto di inadeguatezza con il padre. VICENDA 3: IL MATRIMONIO DI ZENO Zeno, per affari, conosce il sig. Malfenti, col quale entra in buoni rapporti e che ammira molto (è la figura paterna che ha sempre voluto), viene quindi invitato in casa sua, dove conosce le sue tre figlie in età di marito, delle quali la più bella e adulta gli sembra Ada, con la quale, però, si comporta piuttosto goffamente, e viene quindi respinto. Tutte le ragazze hanno nomi che iniziano con la vocale A che provoca in Zeno il sentimento di prendere in moglie una di loro (per il fatto delle lettere A-Z). Ritornando, poi, nella casa dell’amata, la incontra con Guido Speier, che in quel momento sta suonando il violino, e Zeno non perde l’occasione per fare una brutta figura (la contrapposizione Guido-Zeno è quella tra sano, seduttore e malato, insicuro e titubante). “Per caso”, si sposa con Augusta, una delle sorelle di Ada, che non ama, ma dalla quale è amato. Dovrà ripiegare infatti su Augusta, in quanto con la prima si era comportato piuttosto goffamente e la seconda era intenzionata a proseguire gli studib . Augusta rappresenta nel nome la donna sapiente, semplice. VICENDA 4: LA MOGLIE E L’AMANTE Dopo i primi tempi di matrimonio, Zeno si accorge, inaspettatamente, di amare Augusta, e la considera un po’ come la sua protettrice; questa piacevole situazione dura fino a quando Zeno rivede un suo vecchio compagno di università, Copler, il quale lo invita a dedicarsi con lui alla beneficenza, e più precisamente ad apportare un aiuto economico a Carla, una giovanissima cantante. Quando Copler invita Zeno a giudicare il canto di Carla, egli comincia a desiderarla, fino a quando Carla diventa la sua amante, incitata da Zeno a migliorarsi nel canto nei suoi momenti di sconforto. Per farle migliorare la voce, assume per l’amante un maestro di canto, del quale però Carla si innamora, fino a lasciare Zeno, che cade in una profonda desolazione. Nel racconto della sua avventura Zeno oscilla tra l’atteggiamento di aperta confessione e la ricerca di una giustificazione qualsiasi. Mentre si confessa, egli vuol apparire agli altri ed a se stesso (riuscendoci) innocente e puro, parole che costituiscono l’intera anima della sua storia d’amore. La relazione con la donna si rivela ambigua per Zeno, che da una parte non vuole far soffrire la moglie, mentre dall’altra è attratto dall'esperienza trasgressiva del tradimento coniugale. La storia con Carla (nei confronti della quale Zeno prova sia desiderio che senso di colpa) si conclude, tuttavia quado la ragazza, stanca delle contraddizioni del protagonista, sposa il suo insegnante di canto, mentre Zeno ritorna dalla moglie incinta. VICENDA 5 Si assiste invece al fallimento dell’azienda messa in piedi da Zeno e Guido, marito di Ada, a causa dello sperpero del patrimonio da parte di quest’ultimo. Zeno ha contribuito volontariamente alla rovina di Guido ma non riesce ad ammetterlo, Guido, dopo due tentativi di suicidio simulati per avere ulteriore denaro dalla moglie e salvare così l'impresa, riesce erroneamente a uccidersi. Zeno, dopo aver sbagliato corteo funebre, riscuote successo negli affari sfruttando la situazione, ma ciò non serve a conquistargli le simpatie di Ada, che ormai lo disprezza e parte per il Sudamerica. VICENDA 6, CONCLUSIONE: LA VITA E’ UNA MALATTIA La conclusione del romanzo risulta, come la restante parte, contradditoria e confusa. Zeno si dice guarito dopo tutti quegli anni in cui si è creduto malato, non c’è necessità di quelle tecniche che tentano di guarire cose che non esistono. Secondo lo stesso Zeno infatti il Dottor S. è un sognatore che fa credere di guarire la malattia quando l’unica cura di essa è stessa la convinzione di essere sani! Tale sicurezza in Zeno era stata portata dal commercio fiorente ovvero dal fatto che gli affari andassero bene. Approfittando del fatto che l’amministratore era fuori Trieste e della conversione del patrimonio in oro, Zeno prende la decisione di comprare tutto ciò che poteva: si concentra sull’incenso che crede verrà accettato dopo la guerra come surrogato della resina. Tuttavia Zeno considera di essere guarito solo perché considera la vita stessa come malattia inguaribile e dunque in quest’ottica lui, in quanto uomo, non può essere altro che malato. L’uomo è malato in modo irreparabile senza speranza di guarigione proprio perché guarire significa affermare se stesso contro tutti utilizzando gli infami strumenti messi in opera dalla civiltà per favorire la sopraffazione in modo che essa coincida con la distruzione progressiva dell’umanità.--> influenza della tesi darwiniana della lotta per la sopravvivenza. Luigi Pirandello Luigi Pirandello nasce nel 1867 in Sicilia da una famiglia molto ricca. E’ educato dalla famiglia al patriottismo e al culto dei valori risorgimentali. A Roma studia lettere e a Bonn si laurea in filologia con una tesi sul dialetto di Agrigento. Tornato in Italia, si sposa con una donna siciliana Maria Antonietta Portulano la cui dote viene investita nella miniera del padre. Ma nel 1903 l'allagamento della miniera del padre causa una grave crisi finanziaria familiare: ciò cambia la vita di Pirandello che deve iniziare a dedicarsi a lavori retribuiti una volta privato della rendita paterna. Nel 1904 pubblica “Il Fu Mattia Pascal” prima come romanzo a puntate poi interamente in un romanzo a tesi. Nel 1908 pubblica l’”Umorismo” che espone la sua ideologia sulla vita e interpretazione dell’esistenza. Nel 1919 sua moglie viene mandata in un manicomio perché diventata pazza e per le sue continue accuse di tradimento verso il marito. Influenzato da questi avvenimenti ai quali si aggiungono la prima guerra mondiale e la partenza di uno dei suoi figli per essa e successivamente la sua cattura, in lui si sviluppa l'idea di una vita caratterizzata dalla tragicità. Le novelle saranno per lui punto di partenza per adattamenti teatrali: l’interesse per le novelle e il teatro si muove in parallelo. Nel 1921 viene pubblicato “Sei personaggi in cerca d’autore” che fu trampolino di lancio per il successo internazionale di Pirandello. L’opera venne rappresentata a New York e anche a Londra. Riorganizza infine la sua produzione novellistica in “Novelle per un anno” e la teatrale in “Maschere Nude”. Per un periodo della sua vita viaggia con una compagnia teatrale nella quale vi è una giovane e bella attrice di nome Marta Balla con cui vive per breve tempo un amore platonico. Nel 1924 , per quanto riguarda l'aspetto politico, si iscrive al partito fascista, nonostante non fosse propriamente fascista ma avesse bisogno di potersi inserire nel panorama culturale della città. Pirandello muore nel 1936 (dopo aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 34) e prima della sua morte scrive alcune volontà chiare sulla propria morte, esattamente come fece Parini. L’umorismo: forma e vita Cos’è l’umorismo per Pirandello? T1 l’esempio della vecchia imbellett ata. Una signora visibilmente anziana si veste e atteggia come una ragazzina e appare evidente la discrepanza fra immagine e natura. Pirandello ride in modo epidermico (ovvero ride senza riflettere, in modo istintivo) per il fatto che l’età anagrafica della donna sia molto distante da quello che dimostra, tuttavia quando approfondisce la questione scopre che vi sono delle giustificazioni (tentare di tenere accesso l’amore del marito) che hanno spinto l’anziana signora ad agire cosi. La riflessione porta al sentimento della tragicità della vita. In questo senso il comico è “avvertimento del contrario” (è avvertire, accorgersi in modo superficiale), l’umorismo è “sentimento del contrario” (è riflessione, comprensione razionale ed empatica e presa di coscienza dell’amara verità ) l’arte umoristica nelle opere di Pirandello ha la funzione di mettere in evidenza il contrasto fra personaggio e persona, fra forma e vita. L’uomo è costretto nella vita a una serie di rapporti che lo legano a dei ruoli per cui le persone attorno a lui si aspettano determinate azioni. L’uomo ricopre dei ruoli che si sceglie (per esempio quello di insegnante, quello di padre) e altri che gli sono dati. L’uomo è sempre un personaggio che recita la parte che la società esige da lui. L’individuo non è mai davvero libero a causa delle attese degli altri, è costretto a seguire il codice morale che gli altri si aspettano da lui. La vita è come un teatrino in cui gli uomini aderiscono all’esistenza senza sapere di essere “personaggi” ma l’epifania fa vedere la realtà della vita come maschera (presa di consapevolezza di forma e vita). Di fronte alla consapevolezza l’uomo deve compiere una scelta: continuare nel suo teatrino o essere se stesso fuori dagli schemi (chi sono quelli fuori dagli schemi? I pazzi pazzia come condizione privilegiata che consente di esprimere il flusso vitale interiore). Cos’è la vita? E’ un flusso continuo che gli uomini cercano di arrestare e fissare attraverso le forme. Cosa sono le forme? Le condizioni, i concetti e gli ideali in cui gli uomini tendono a stabilirsi. Tuttavia, come spesso viene descritto nelle opere di Pirandello, le forme cedono sotto il flusso inarrestabile della vita (si smette di vivere immersi nella forma e ci si “guarda vivere” dall’esterno non riconoscendosi). LA CARRIOLA Il protagonista della novella, narratore in prima persona, è un uomo d’autorità: è avvocato e stimato professore di diritto, ha una moglie e dei figli; gli obblighi e i doveri a cui prestare continua attenzione sono numerosissimi. Eppure, confessa, da una quindicina di giorni ha trovato il modo di concedersi una tregua temporanea da tutti questi doveri. L’inizio è confusionario, il narratore (che non si capisce chi sia) parla di un’azione che compie. Di cosa si tratta? Chi è la “vittima” coinvolta in questi secondi di “cosciente follia”? tecnica dello straniamento, il lettore è inserito in mezzo ai fatti. Per poterlo spiegare, serve che il racconto parta da più lontano. Quindici giorni prima, al rientro da un viaggio di lavoro a Perugia, mentre il treno (elemento di modernità) attraversava le campagne umbre e il protagonista stava studiando alcune carte di lavoro, l’uomo era caduto in una strana sospensione, una sospensione in cui non riusciva più a guardare i documenti, ma nemmeno il panorama che scorreva fuori dal finestrino (guarda, ma non vede realmente). Questo stato particolare lo aveva condotto a una riflessione generale della vita: gli erano state offerte numerose altre possibilità di vita ma lui aveva scelto quella “forma” che stava vivendo. Si addormenta con il sogno di quell’idea di vita possibile ma non reale (si sente come un fiore non sbocciato). Svegliandosi sente come un’”afa di vita” come se avesse necessità di tornare alle possibilità esistenziali ariose. Una volta arrivato sul pianerottolo di casa, l’uomo si mette a fissare la targa con i titoli e il suo nome e si rende conto di non riconoscerla più, non è più sua. Si convince così di essere diverso dall’uomo che fino a poche ore prima abitava in quella casa, si vede come un nemico di se stesso: l’uomo aveva avuto un’improvvisa epifania. Come se avesse potuto guardarsi dall’esterno, si era visto vivere e si era reso conto di essere cristallizzato in una forma in cui non si riconosceva (sostanzialmente ciò che ha sempre ha fatto non corrisponde a quello che è realmente, non si ritrova nel modo di vestire e nelle attività che svolge), che la società gli aveva imposto, ma di cui allo stesso tempo non poteva fare a meno per il bene della sua stessa vita, dei suoi clienti, della sua famiglia. Nonostante pensi che quei figli e quella moglie siano di un altro uomo, sa che hanno bisogno di quell’individuo. I vincoli lo portano a rientrare nel ruolo. Come negare quella consapevolezza di distinzione fra forma e vita? Non si può, per gli altri lui è quell’uomo e non può cambiare da un giorno all’altro. L’unica soluzione possibile per il protagonista, acquisita questa consapevolezza, è concedersi un momento di follia (che conceda al suo flusso vitale di emergere senza sfociare nella pazzia). Chiuso nel suo ufficio, fa fare la carriola alla propria cagnetta, che lo guarda poi con L’opera di Pirandello inizia con la descrizione di una famiglia cittadina. Si tratta del Signor Ponza e della suocera, la Signora Frola, e della moglie del signor Ponza. Il trio viene così trascinato nei vari pettegolezzi sorti in paese. Corre voce che il Signor Ponza sia raffigurato come un “mostro” che impedisce alla Signora Frola di vedere la figlia tenuta chiusa a chiave nella propria abitazione. Nessuno, in paese, riesce a spiegarsi il perché. Alla discussione prendono parte, in fase iniziale, la Signora Amalia Agazzi, e il fratello Lamberto Laudisi, ma in seguito una schiera di amici si ritrova nel salotto di casa Agazzi per tentare di risolvere la questione e scovare la verità su questa strana famigliola. Vengono quindi interrogati la Signora Frola e il Signor Ponza ma con scarsi risultati e generando un’ulteriore confusione tra i presenti alla discussione. La Signora Frola si giustifica all’interrogatorio, affermando che suo genero è pazzo e crede di essere rimasto vedovo e di essersi risposato con un’altra donna che non avrebbe nessuna parentela con lei; dall’altra parte, il Signor Ponza sventola ai quattro venti la pazzia della suocera. La Signora Frola sarebbe impazzita a causa della perdita della figlia, sua prima moglie, e attualmente sarebbe convinta che la sua seconda moglie sia la sua attuale figlia, purtroppo scomparsa prematuramente. Le due versioni contrastanti generano ancora più confusione. Non resta allora che interrogare la Signora Ponza. Nell’ultimo atto, a casa di Agazzi arriva la moglie del Signor Ponza, l’unica in grado di risolvere l’enigma, nel tentativo estremo di far conoscere a tutti la verità. Ma anche la Signora Ponza genera confusione: con il viso coperto da un velo nero, ribadisce di essere al contempo sia la figlia della Signora Frola che la seconda moglie del Signor Ponza, lasciando tutti nello sconcerto e affermando di non essere nessuna: “Io sono colei che mi si crede“, non svelando a nessuno la sua vera identità. In ultimo interviene Lamberto Laudisi che, dopo una sonora risata che lascia tutti attoniti, con uno sguardo di sfida derisoria nei confronti di tutti i presenti, chiude la scena con la seguente frase: “Ed ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti?“, lasciando ancora l’enigma irrisolto. L’idea per cui non esista una realtà univoco, che nessuno è ciò che appare. I capolavori teatrali di Pirandello sono caratterizzati dalla tecnica del metateatro, o teatro nel teatro (scena teatrale che raffigura una scena teatrale; abbandona gli intenti realistici per mettere in luce le contraddizioni del teatro, è uno spettacolo nello spettacolo, la quarta parete crolla con Pirandello per cui il pubblico entra a far parte della rappresentazione) furono:  Sei personaggi in cerca d’autore: mentre una compagnia d’attori stava provando “il giuoco delle parti” di Pirandello, fanno irruzione sei personaggi chiedendo di mettere in scena il loro dramma.  Enrico IV (1921, messo in scena dal 1922: La tragedia inizia con il racconto dell’antefatto. Un nobile del primo ‘900, di cui non viene mai fatto il nome, partecipa ad una festa in maschera travestito da Enrico IV. Egli ha scelto di vestire i panni di quel sovrano per poter stare vicino alla donna amata, Matilde di Spina, mascherata da Matilde di Canossa. All’evento partecipa anche il barone Belcredi, suo rivale in amore, che disarciona da cavallo Enrico IV, il quale cade battendo violentemente la testa. A seguito del trauma subìto, Enrico IV si convince di essere davvero il personaggio storico di cui portava le vesti. Credendolo pazzo, tutti lo assecondano ed il nipote di Nolli cerca di alleviare le sue sofferenze per dodici anni ricostruendo l’ambientazione in cui aveva vissuto il vero sovrano. Trascorso questo tempo, Enrico guarisce e si accorge che era stato Belcredi a farlo cadere intenzionalmente per toglierlo di mezzo e poter sposare la donna contesa da entrambi. Infatti, dopo l’incidente, Matilde era scappata con Belcredi, si erano sposati ed avevano avuto una figlia. Enrico decide di continuare a fingersi pazzo per riuscire a sopportare in qualche modo il dolore che gli procura la presa di coscienza della realtà. Dopo venti anni dall’incidente, si ritorna al presente, come all’inizio. Matilde con Belcredi, la loro figlia, Frida, e uno psichiatra fanno visita ad Enrico. Lo psichiatra è molto incuriosito dal suo caso, e , per farlo guarire, consiglia di ricostruire l’ambientazione di venti anni prima e di ripetere la caduta da cavallo. Durante la messa in scena, Enrico si trova davanti la figlia della donna che ama da sempre e per la quale è costretto a fingersi pazzo. La giovane Frida è identica alla madre, quando aveva la sua età, ed Enrico non può fare a meno di abbracciarla. Belcredi non tollera che Enrico si avvicini alla figlia, ma, quando tenta di opporsi, Enrico sguaina la spada e lo ferisce a morte. Per sfuggire alla realtà di dolore, che per di più lo costringerebbe anche ad un processo e alla prigione, Enrico si rassegna a vivere per sempre fingendosi pazzo per guardare da fuori la sua stessa vita  rivincita della maschera sulla vita per un istante in cui pugnala Belcredi, Enrico perde la sua identità, non vi è una realtà univoca tra finzione e realtà. I romanzi La prima produzione romanzesca di Pirandello segue le orme del verismo legata all’esperienza siciliana da cui Pirandello proviene e che si lega già all’umorismo tipico dell’autore. 1. L’esclusa (1893, 1901 a puntate) è il romanzo più importante di questa fase che racconta l’allontanamento dalla casa di una donna considerata fedifraga ingiustamentecaratteristiche veriste: tema dell’esclusione (vedi Rosso Malpelo in Verga, Mastro Don Gesualdo), ricostruzione dell’ambiente sociale determinante negli sviluppi della vicenda, determinismo sociale (non è detto che il personaggio abbia effettivamente compiuto quell’azione, basta che tutti lo pensino). 2. I Vecchi e i Giovani è un romanzo a carattere storico è legato al Verismo con la tematica di De Roberto in “Viceré” poiché in entrambi vi è la volontà di rappresentare con la descrizione di una famiglia siciliana la storia dell’intera isolaromanzo di transizione! I romanzi dal 1904 al 1925 sono i romanzi umoristici a tesi ovvero volti a dimostrare la verità di un’idea di fondo dell’autore caratterizzati da: 1. L’equilibrio forma e vita (Uno, Nessuno e Centomila: l’uomo è sia uno, sia nessuno, sia centomila, impossibilità di una realtà univoca). 2. Difficile rapporto con la modernità Quaderni di Serafino Gubbio operatore: il protagonista è un operatore cinematografico nella nascente industria cinematografica che scrive un diario in prima persona. Il concetto attorno a cui ruota l’intero romanzo è la necessità di Serafino di essere posto al servizio della macchina, lui presta i suoi occhi e le sue mani alla macchina. Secondo Pirandello il progresso non è sempre positivo, il ruolo di Serafino è alienante, riprende scene in cui non parteciperà mai. Il protagonista è divenuto muto in seguito alla visione di una scene che stava riprendendo: l’attore Aldo Nuti invece di sparare alla tigre sul set uccide erroneamente alla donna amata l’attrice Nesteroff. Pirandello sviluppa il diario di Serafino Gubbio dove trae conclusioni sulla sua vita e sul rapporto dell’uomo con le macchine (e di come esse abbiano modificato la sua vita). Anche in questo c’è un’avversione nei confronti del progresso come vi era nel primo Pirandello e anche nella cultura verista. SERAFINO GUBBIO Parla in prima persona Serafino Gubbio che è sia narratore che protagonista. La parte iniziale si concentra sul tema dello sguardo straniato con cui Gubbio osserva tutti gli altri cogliendo ciò che gli altri sembrano ignorare: l’insensatezza di tutto. “C’è un oltre in tutto” la realtà non è mai ciò che sembra, non vi è una realtà univoca. Osserva spezzoni di vita vissuta, gli uomini passano la loro vita in posti diversi senza mai riposo. Non hanno tempo per riflettere su sé stessi (come il signor Belluca del treno che fischiava che sveniva sul divano dopo ore di lavoro incessanti) e si chiede se queste donne e questi uomini pensino che la vita sia tutta li, si chiede se gli uomini comprendano il meccanismo di follia a cui la vita ripetitiva li porta. In Italia ancora non si ha assistito a quelle morti improvvise nel mezzo delle attività che si dicevano essere tipiche degli Stati Uniti (si parla dell’infarto che è causato anche dai ritmi frenetici della vita, ritmi che nel corso del 1900 aveva caratterizzato la frontiera della modernità e dell’industria degli USA). Il protagonista stesso è un operatore, ma non opera. Lui stabilisce il campo visivo della macchina da presa, presta i suoi occhi alla macchina da presa. Quando il regista glielo dice prepara la bobina adatta e inizia a girare, ma non fa muovere gli attori, gira solo la manovella della macchina, tutto qui. Infatti un giorno un estraneo curioso gli chiese se non fosse possibile rendere quell’attività meccanica, il suo ruolo è inutile, è un lavoro non necessario. La scrittura è da una parte terapeutica, lo aiuta a sfogarsi nella sua parte interiore e, dall’altra, anche vendetta rispetto alle macchineil cinema è impassibile, non richiede la sua opinione nel lavoro e dunque la scrittura serve a esprimere la sua soggettività e a esternare la rivolta contro la disumanizzazione del mondo moderno. L’essere umano quando era più poetico nei tempi antichi esaltava i suoi sentimenti in divinità perché esse erano adorate e di conseguenza lo erano anche i sentimenti, ora questi sono sentiti come qualcosa di inutile e dannoso. L’uomo sa fare, con l’acciaio crea le sue nuove divinità (le macchine) e ne diventa servo. L’età moderna di spersonalizzazione e materialità è l’opposto di quella romantica di spiritualità. La macchina mangia l’esistenza degli uomini, riproduce sempre uguale senza creatività e porta l’uomo al suo servizio a un’esistenza stupida e “meccanica”. La vita viene resa a particelle che non comunicano più tra di loro perdendo il sentimento dell’intero e dell’insieme. Il tichettio della macchinette sembra essere quello esistenziale. La vita scorre con grande rapidità sia negli elementi belli sia in quelli brutti. Ma una molestia è costante: i suoni della modernità (i tram, i pali telegrafi). Il silenzio di cosa La casa cinematografica ha pagato abbondantemente l’operatore che aveva girato quella scena cosi pericolosa tuttavia quel film sarà comunque apprezzato per la sua mostruositàlui diventerà ricco ma vuole restare estraneo a tutto quello. Serafino sceglie l’impassibilità e il silenzio rispetto a quella esistenza di corsa che non permette mai di viverla intensamente. Diventa anche lui una specie di macchina, è disumano, privo di sentimento. UNO NESSUNO CENTOMILA Genge è un uomo ricco e benestante che vive dell’attività che il padre aveva impostato per lui. Come si vede lui non è come lo vedono gli altri, lui non è uno ma è centomila ovvero è un’infinità di maschere che gli altri gli danno e in cui non si riconosce. Tutti lo considerano un usuraio, e lui vuole distruggere questa maschera fingendo di sfrattare Marco di Dio ma poi regalandogli una casa. L’azione ha l’effetto contrario rispetto a quello sperato: gli altri lo considerano matto ormai. E lui persegue questa maschera: fa liquidare l’attività del padre, tratta male sua moglie. I soci dell’attività e la moglie vogliono farlo interdire ma lui, avvisato da un’amica di famiglia Anna Rosa cerca di evitarlo. Lei, dopo un tentativo di Vitangelo di baciarla, gli spara senza ucciderlo. Vitangelo dunque accetta la maschera perché capisce che non si può vivere una vita al di fuori della mascheravive libero senza maschera, può essere nessuno, può seguire i suoi istinti nel fluire dell’esistenza. Dida conosce un Vitangelo che lui stesso non conosce, lui non capisce quale sia il Vitangelo reale e quale quello fantoccio. Il Gengé che esiste per Vitangelo, per la moglie è inesistente. Si domanda perché non si sia affermato con maggiore forza, in parte questo è dovuto alla debolezza della sua natura perché è una persona profonda che riflette su tutto. Tutti lo conoscono ma in modo diverso. Il fasullo per la moglie è il vero Vitangelo come egli ritiene di essere. Di fronte alla dichiarazione della realtà, Dida non riconosce più suo marito. giornate in biblioteca: luogo anch’esso morto. Inoltre, va a trovare la propria tomba e si considera al di là della vita. La fine del romanzo ribalta l’inizio. Se all’inizio, il protagonista poteva dire “Io mi chiamo Pascal”, ora può solo dire “io sono il fu Mattia Pascal”. Pascal è giunto alla consapevolezza dell’impossibilità di ogni maschera. Mentre Adriano Meis ha sperimentato che fuori da un assetto sociale è impossibile vivere, il Fu Mattia Pascal ha imparato a non vivere, riducendosi ad una condizione di totale estraneità alla vita. Tozzi Sino a un ventennio fa passava inosservato all’interno dell’originalità di Svevo e Pirandello, ma è stato recuperato come il “terzo narratore” dopo gli altri due citati. La sua vita si svolge in una campagna senese, il padre è una persona semplice, rozzo che lo chiama come sé stesso (cosa che già lega i due personaggi e porta il padre a controllare in modo aggressivo il figlio)il tema principale è dunque quello dell’inetto nel rapporto conflittuale con la figura paterna. Anche la madre era sottomessa al marito-padre e dunque mai si intromise nel rapporto del figlio con lui. Andava male a scuola, si scrive a istituti tecnici, poi all’accademia delle belle arti ma senza ottenere concreti risultati. Si iscrive al partito socialista mentre il padre si arricchisce. Conosce molte donne con cui intrattiene delle relazioni: Isola era una di queste, scaltra e sensuale che perderà e rincontrerà a Firenze. Nel frattempo inizia la corrispondenza epistolare con una giovane donna Emma Palagi che si conclude con un matrimonio felice. Dal punto di vista culturale inizia a leggere Edgar Allan Poe e “Principi di Psicologia” di James, nel frattempo però viene colpito da una malattia venerea e questo lo fa avvicinare al cattolicesimo. Nel 1908 il padre muore e lui eredita i poderi. Lui e Emma vanno a vivere a Castagneti (nei pressi di Siena). Fonda poi la “Torre” indirizzata ai giovani di destra per persuaderli sotto la guida del Papa. Dal 14 si reca a Roma per inserirsi in un ambiente culturale più ampio: conosce Pirandello. Nel 1920 muore. Nell’articolo “Come leggo io” Tozzi esprime i suoi interessi narrativi. Non è tanto importante la trama ma lo sviluppo psicologico dei personaggi perché nelle azioni spesso si esprime il “non detto” ovvero il misterioso che non si ammette mai. La costruzione del personaggio non viene creata solo attraverso la descrizione delle loro parole ma anche dei fatti. La scrittura: Tozzi segue il flusso dei pensieri che sono rappresentazioni dell’anima, motivo per cui non è sempre lineare e limpida. Questo atteggiamento è legato alla sua ideologia religiosa che lo induce ad un assoluto rispetto per qualsiasi manifestazione dell’anima e della vita. La psicologia non è ricondotta alla psicoanalisi di Freud. Con gli occhi chiusi Edito già a partire dal 1913 ma rivisto e ripubblicato nel 1919. E’ un romanzo autobiografico in cui l’autore mette in evidenza degli aspetti psicologici interessanti: il rapporto padre-figlio, la figura dell’inetto, frustrazione e delusione rispetto alla vita. Il padre viene visto come antagonista in ogni aspetto della vita. “Con gli occhi chiusi” fa riferimento ad un atteggiamento che il protagonista Pietro preferisce tenere: non vuole guardare in faccia la realtà. Pietro Rosi è figlio di un padre aggressivo che possiede un podere e una fattoria. Vive un rapporto di amore-odio con Ghisola ma la sua insicurezza non lo porta a concretizzare nulla. Lui non comprende che Ghisola era già cresciuta e la idealizza non sapendo che lei ha avuto altri amanti ed è incinta. Ottiene da Pietro una promessa di matrimonio e lei cerca di far passare il bambino come suo inducendolo a un rapporto con lei. Lui però ha dei principi morali ferrei che rispetta e il romanzo si conclude con la caduta delle illusioni di Pietro di Ghisola (quando lei va a lavorare in un bordello). T1 LA PROVA DEL CAVALLO Pietro è innamorato di Ghisola ed è deciso a comunicarle i propri sentimenti, dopo un primo sfortunato approccio la segue a casa e poi nella stalla, dove lei, figlia di contadini è alle prese con un cesto di fieno. La bellezza di lei è motivo di imbarazzo per il giovane che stenta a dichiararsi, l'atteggiamento della ragazza è inoltre aggressivo e schivo, nonostante siano amici d'infanzia. All'arrivo del padre Pietro è ancor meno a suo agio, non riesce a domare un cavallo, ma tra i rimproveri del padre, un primo segno di intimità si instaura con la Ghisola che inaspettatamente lo prende per mano. Pietro vive in uno stato di “confusione simile a una malattia”: è affetto da inettitudine. Domenico è forte e prepotente: ostenta non solo il proprio potere sociale ma anche quello sessuale (quando pone la frustra in mezzo al grembiule della donna). Questa azione ricorda un po’ Edipo che si accecò per aver amato la madre. Alla fine del testo, Pietro è rappresentato con gli socchiusi per non vedere il padre che tratta familiarmente le donne che incontra. Solo il padre riesce a domare il cavallo (simbolo della forza della natura), rivelando ancora una volta l’inettitudine del figlio. T2 LA CONCLUSIONE DEL ROMANZO Pietro ha ricevuto una lettera anonima che lo invitata a visitare una certa via a Firenze per avere la prova del tradimento di Ghisola. Si tratta di una casa di tolleranza che non ospitava solo prostitute ma anche donne in gravidanza. Qui Pietro vede Ghisola e non riesce a credere che la sua futura moglie possa vivere in mezzo alla sporcizia e prostitute. Lasciati soli dalla levatrice, Ghisola non può più nascondere la verità, ovvero la sua gravidanza. Pietro riesce finalmente ad aprire i suoi occhi chiusi: il giovane capisce di non amare più quella donna perduta. Vivere con gli occhi chiusi, significa vivere in un modo diverso da quello reale, fatto di sogni ideali, di incubi ma che tuttavia lo protegge dalla coscienza della verità. Questa protezione si traduce in una confusione dell’io. In questo modo, Pietro è costretto a rinunciare ai suoi sogni e a guardare in faccia la realtà. L’idealizzazione di Ghisola è un auto inganno. Da ciò si può comprendere l’inettitudine del personaggio. In Europa la posizione della Francia è quella di Apollinaire che scrisse i “Calligrammi” ovvero insieme di parole e disegni. Mette in relazione il simbolismo e il futurismo studiando la posizione delle parole. Austria e Germania sono legate dall’Espressionismo: violenza delle immagini e insistenza sui particolari più forti delle scene. In Russia si sviluppa, legato al futurismo, la figura di Majakovskij che registra l’esperienza futurista internazionale. In Italia si instaura la tendenza crepuscolare che si vuole distanziare completamente rispetto ai modelli forti e vincenti (D’Annunzio, il Futurismo) e dedicare agli ultimi della società, agli emarginati. Gozzano, Corazzini, Moretti e Palazzeschi (che inizia da crepuscolare e poi diventa futuristi). Corazzini vive a Roma ma muore giovane a soli 21 anni a causa da una tubercolosi. Anche altri personaggi subiranno una fine simile purtroppo perché essendo ai margini della società fuori dalla borghesia erano più esposti a malattie. Raccontano la loro vitaCorazzini scrive “Desolazione del povero poeta sentimentale”. Moretti vive una vita decisamente più lunga ma condivide l’idea del poeta come figura marginale nella società. T1 Il poeta si rivolge al suo pubblico, ai suoi interlocutori. “Io non sono un poeta” non ha una strada da tracciare, non vede mondi da descrivere, narra fatti quotidiani (tristezze comuni, gioie semplici). “Oggi io penso a morire” è il senso della morte legata al senso popolare religioso. E’ solo un fanciullo triste, se gli altri sono poeti, lui si sente fanciullo che mette in scena il dolore, la morte, la quotidianità. Le sue parole sono “vane” cioè inutili, non indicano una strada, rappresentano la sua vita. Il senso religioso fa parte di tutti i giorni. Per essere un poeta bisogna viver ben altra vita (quella di D’Annunzio), lui è malato e non sa che altro vivere se non nel modo in cui conosce. Il testo si conclude con Amen. Crepuscolari Guido Gozzano è uno tra i maggiori crepuscolari, muore da giovane a seguito di un problema fisico. Compì un lungo viaggio in India per tre mesi con l’intento di entrare in contatto con una cultura differente e anche di guarire dalla tubercolosi grazie al cambio di clima. Torna in Italia e scrive “Verso la Cuna del Mondo” riguardo al suo viaggio che non lo aveva portato ai risultati sperati. E’ più feroce nel contrasto con D’Annunzio: mette in parodia quegli elementi che d’annunzio rappresentava trasponendoli nella vita di tutti i giorni. Il modello dannunziano è sentito come poco vero, come lontano: l’orgoglio di d’Annunzio della poesia viene rovesciato in una vergogna da parte di Gozzano ma per capire la sua poesia non si può non poter parlare di D’Annunzio. 1. Il poeta non ha una strada da indicare, non compie azioni eroiche, non è il poeta vate. Il poeta crepuscolare può solo osservare la realtà circostantenon ha la veggenza, non riesce a trovare un senso alle cose. 2. Tematiche della quotidianità, critica della piccola borghesia (pubblico di D’Annunzio). 3. Dal punto di vista stilistico mescola l’alto e il basso, l’aulico e prosaico (elemento di divertimento ma anche di svilimento dell’aulico vedi “Nietzsche-camice”) Narra la storia della signorina Felicita nel panorama piemontese che sogna di essere una femme fatale, sogna le storie e gli amori di D’Annunzio. Il poeta rappresenta sé stesso, lei si illude che lui sia innamorato di lei ma alla fine lui le rivela la veritàla sua complessità non riesce ad aderire al panorama reale dell’amore. Il poemetto è immaginato come una pagina di diario (c’è la data del giorno di santa felicita). La signorina felicita pensa all’avvocato che non torna mentre svolge azioni ripetitive e quotidiane: tota il caffè e cuce. La casa (Villa Amarena) è come una dama del 1600 perché ha fattezze aristocratiche ma ospita la signorina felicita. L’edificio è decadente nella struttura, è triste ma aristocratica. C’è una mescolanza di stili. Felicita è quasi brutta, non ha nulla di coinvolgente. All’apparenza non ha nulla di avvenente ma il viso è casalingo, semplice, i capelli belli, la bocca sorridente, lentiggini sulle gote, occhi azzurri come le stoviglie (riduzione dell’aulico al prosaico). Lei civetta, voleva piacere a luiessendo donna semplice, il suo sentimento è vero. Loro si erano conosciuti perchè il farmacista del paese aveva presentato lui alla signorina Felicita e al padre come forestiero. Già i discorsi a tavola non sono filosofici, acculturati, dopo al momento del gioco di carte. Lui non viene coinvolto perché è un giocatore distratto. TOTO MERUMENI è la storpiatura italiana della parola heautontimoroumenos di Terenzio (punitore di sé stesso, una delle commedie con base dolorosa di Terenzio). La scelta del titolo è simbolica, Toto Merumeni è un anti-eroe perché potrebbe fare l’esteta con la sua cultura come Andrea Sperelli ma si chiude in una vita solitaria per volontà. Il titolo fa proprio riferimento alla volontà di chiamarsi fuori, di auto-isolarsi e di sentirsi inetto. Lui è un uomo di 25 anni, raffinato ma accompagnato dal cinismoscelse l’esilio, il buono (ma quel buono che si origina dall’incapacità di fare il cattivo). Per la sua sofferenza amorosa sognò amori di
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