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Tacito, Germania. Traduzione letterale con testo latino a fronte e note a piè di pagina, Traduzioni di Letteratura latina

La Germania è un'opera etnografica di Tacito composta nel 98 d.C. L'autore descrive il germanicum e le popolazioni che lo abitano. Il file in formato PDF predispone di testo latino e traduzione letterale in lingua italiana e note critiche a piè di pagina. In formato A4, il documento è stampabile gratuitamente. a cura di De Luca Crescenzo (studente di Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II)

Tipologia: Traduzioni

2019/2020

In vendita dal 29/03/2020

delucacrescenzo
delucacrescenzo 🇮🇹

4.7

(15)

8 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Tacito, Germania. Traduzione letterale con testo latino a fronte e note a piè di pagina e più Traduzioni in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! GERMANIA Cornelio Tacito traduzione con testo latino a fronte 2 Introduzione La Germania (tramandato col titolo di De origine et situ Germanorum o di Germaniae) è l’unico scritto latino di carattere etnografico dedicato a un popolo straniero conser- vatosi dall’antichità. Cornelio Tacito (55 o 58 d.C. – 117 d.C.) compose l’opera proba- bilmente intorno al 98 d.C., dopo aver lavorato all’Agricola, con l’intento di descrivere per intero il territorio della Germania e dei suoi abitanti. Non esiste alcuna prova di un soggiorno dell’autore in Germania; infatti, le informazioni derivano quasi esclusiva- mente da fonti scritte, per la maggior parte da Plinio il Vecchio, il quale aveva prestato servizio nelle armate del Reno e aveva preso parte a spedizioni oltre il fiume: è presu- mibile che in qualche misura Tacito abbia tenuto conto delle notizie portate a Roma durante i venti anni trascorsi dalla pubblicazione dei Bella Germaniae dai mercanti che frequentavano le frontiere o la via dell’ambra, tra Aquileia e il Baltico, e dai militari che avevano partecipato alla campagna germanica di Domiziano. Questo materiale do- cumentario, in parte di origine letteraria, in parte attinto da fonti orali contemporanee agli eventi, viene poi sistemato dallo scrittore nelle strutture che gli venivano offerte da una letteratura etnografica che aveva una storia ormai secolare: da Ecateo, Erodoto, Teopompo, Posidonio, fino ai più vicini Cesare e Tito Livio. La monografia è divisa in due sezioni. Nella prima, si descrivono il paese, le genti che lo abitano, i costumi, le istituzioni politiche e le credenze religiose; nella seconda, le tribù più importanti. Gli intenti di Tacito nella Germania sono stati a lungo oggetto di discussione: alcune ipo- tesi vedono nell’opuscolo l’esaltazione di una civiltà ingenua e primordiale, non ancora corrotta dai vizi raffinati di una civiltà decadente (cfr. capitolo 4); secondo altre, po- nendo l’accento sull’indomita forza e sul valore guerriero dei Germani, più che tesserne un elogio lo storico ha probabilmente inteso sottolineare la loro pericolosità per Roma, poiché i Germani, liberi e numerosi, potevano rappresentare una seria minaccia per un sistema politico basato sul servilismo e sulla corruzione. CRESCENZO DE LUCA Cenni biografici Publio (o forse Gaio) Cornelio Tacito nacque intorno al 55 d.C., secondo alcune fonti a Terni, ma più probabilmente nella Gallia Narbonese, da una famiglia forse di condi- zione equestre. Studiò a Roma, e nel 78 sposò la figlia di Gneo Giulio Agricola, auto- revole statista e comandante militare; anche grazie all’aiuto di quest’ultimo, iniziò la carriera politica sotto Vespasiano e la proseguì sotto Tito e Domiziano. Dopo essere stato pretore nell’88 Tacito fu per qualche anno lontano da Roma, probabilmente per un incarico in Gallia o in Germania. Nel 97, sotto il regno di Nerva, fu consul suf- fectus: oratore già famoso, pronunciò l’elogio funebre di Virginio Rufo, il console morto durante l’anno di carica, al quale era subentrato. Uno o due anni dopo, sotto il principato di Traiano, sostenne insieme a Plinio il Giovane – al quale lo legava una 5 nostro navibus aditur. Quis porro, praeter periculum horridi et ignoti maris, Asia aut Africa aut Italia re- licta Germaniam peteret, informem terris, asperam caelo, tristem cultu adspectuque, nisi si patria sit? Cele- brant carminibus antiquis, quod unum apud illos memoriae et annalium ge- nus est, Tuistonem deum terra editum. Ei filium Mannum, originem gentis conditoremque, Manno tris filios ad- signant, e quorum nominibus proximi Oceano Ingaevones, medii Hermi- nones, ceteri Istaevones vocentur. Quidam, ut in licentia vetustatis, plu- ris deo ortos plurisque gentis appella- tiones, Marsos Gambrivios Suebos Vandilios adfirmant, eaque vera et antiqua nomina. Ceterum Germaniae vocabulum recens et nuper additum, quoniam qui primi Rhenum tran- sgressi Gallos expulerint ac nunc Tungri, tunc Germani vocati sint: ita nationis nomen, non gentis evaluisse paulatim, ut omnes primum a victore ob metum, mox etiam a se ipsis, in- vento nomine Germani vocarentur. Mediterraneo], e affinché io possa af- fermarlo, è accessibile raramente da navigli dal nostro mondo. D’altra parte, chi, davanti al pericolo dell’or- rido e ignoto mare, lasciata l’Asia o l’Africa o l’Italia, si recherebbe in Germania, informe nella terra, rigida nel clima, triste13 nel tenore di vita e nell’aspetto, se non fosse la [propria] patria? I Germani celebrano in antichi carmi,14 poiché è la loro unica forma di tradizione storica, il dio Tuistone15 nato dalla terra e suo figlio Manno16 originario della gente, e i fondatori at- tribuiscono a Manno tre figli, dai nomi dei quali prendono nome gli Ingevoni, i più vicini all’Oceano, gli Erminoni, nel mezzo, e gli Estivoni gli altri. Vi sono coloro che, in licenza di anzia- nità, affermano che il dio [ebbe] molti figli da cui [derivano] nomi di genti, i Marsi, i Gambrivii, i Suebi, i Vandilii, nomi veri e autentici. Del resto, l’appellativo di Germania è di recente attribuzione, dal momento che coloro che per primi, passato il Reno, avrebbero scacciato i Galli e che ora [sono chiamati] Tungri, allora erano chiamati Germani; così il nome di una tribù, non della gente, si raf- forzò a poco a poco, affinché essi in un primo momento, per timore,17 13 informem … asperam … tristem: tricolon con membri “crescenti”. Anche Seneca (DE PROVIDENTIA) parla di perpetua hiems, triste caelum e sterile solum: i Romani sembravano insensibili all’incanto del paesaggio tedesco, forse anche perché condizionati dalla consapevolezza di avere di fronte un paese ostile. 14 carminibus: Questi carmina, tramandati oralmente, potevano celebrare anche eventi ed eroi contemporanei, come Arminio (ANNALES). Si trattava di composizioni che elencavano sovrani, toponimi, informazioni mitologiche, sotto forma di liste di parole allitterate: un vero e proprio genere poetico col quale venivano trasmesse conoscenze specifiche. 15 Tuistonem: la radice del nome indica una natura divina “doppia”, forse androgina. Le storie o avventure (res) del dio sono posteriori alla sua nominatio (nomina), secondo la formula, inversa di quella vulgata, res sunt consequentes nomi- nibus. Tuistone è terra editum. Anche nel mito teogonico greco Cronos, il progenitore degli dèi, viene generato dalla Terra. Per la mitologia germanica Much ricorda la figura divina del nordico Buri, il nonno di Odino. 16 Mannum: Manno è evidentemente uomo. Così per i greci gli antenati erano epinomi (Xuto, Doro, Eolo), corrispon- denti ai tre gruppi etnici di età storica. Le denominazioni si trovano anche nella NATURALIS HISTORIA di Plinio il Vec- chio: gli Ingevoni abitavano una parte della Germania settentrionale, con i Cimbri, i Teutoni e i Chauci; gli Erminoni comprendevano le tribù della zona centrale, Suebi, Ermundur, Catti e Cherusci; gli Istevoni le popolazioni stanziate sul Reno. 17 ob metum: potrebbe valere anche “per incutere paura”, ma più probabilmente va inteso “per la paura che incutevano”. 6 3. Fuisse apud eos et Herculem me- morant, primumque omnium virorum fortium ituri in proelia canunt. Sunt il- lis haec quoque carmina, quorum re- latu, quem barditum vocant, accen- dunt animos futuraeque pugnae fortu- nam ipso cantu augurantur. Terrent enim trepidantve, prout sonuit acies, nec tam vocis ille quam virtutis con- centus videtur. Adfectatur praecipue asperitas soni et fractum murmur, obiectis ad os scutis, quo plenior et gravior vox repercussu intumescat. Ceterum et Ulixen quidam opinantur longo illo et fabuloso errore in hunc Oceanum delatum adisse Germaniae terras, Asciburgiumque, quod in ripa Rheni situm hodieque incolitur, ab illo constitutum nominatumque; aram quin etiam Ulixi consecratam, adiecto Laertae patris nomine, eodem loco olim repertam, monumentaque et tu- mulos quosdam Graecis litteris in- scriptos in confinio Germaniae Rae- tiaeque adhuc exstare. Quae neque confirmare argumentis neque refel- lere in animo est: ex ingenio suo qui- sque demat vel addat fidem. venissero chiamati poco più tardi Ger- mani18 col nome vittorioso da loro stessi trovato. 3. Si narra che anche Ercole19 fosse dei Germani, e che essi lo cantino, in punto di guerra, come primo di tutti gli eroi. Presso i Germani vi sono an- che altri carmi,20 con l’intonazione dei quali, che chiamano «bardito», accen- dono gli animi e traggono auspici sull’esito finale di una battaglia col canto stesso: essi infatti incutono ti- more o vengono spaventati, a seconda di quanto l’esercito riecheggi, tuttavia quello non sembra [fatto] di voci, ma di un concerto di virtù. In particolare, sono ricercati i suoni aspri21 e i mor- morii spezzati, ponendo gli scudi da- vanti alla bocca, perché la voce, con un rimbombo, aumenti di pienezza e fortezza. Altri sono dell’opinione che Ulisse spinto dal suo lungo e favoloso viaggio sia giunto a questo Oceano presso le terre della Germania, e abbia fondato una città, che chiamò Άσκιπύργιον, oggi Asciburgio,22 po- sta sulla sponda del Reno, ancora oggi abitata; anzi anche un altare consa- crato da Ulisse, aggiunto il nome del padre Laerte, un tempo venne ritro- vato nello stesso luogo, e vi sono [an- cora] monumenti funebri23 con 18 Germani vocarentur: è dubbio se l’etnico sia di origine celtica o germanica. Nel primo caso si suppone che i Germani siano stati chiamati dai Celti “gli abitatori delle foreste”; la derivazione germanica porterebbe invece a “mercenari”. Un’altra etimologia collega Germani a Herminones, la popolazione nominata nel capitolo. 19 Herculem: il nome di Ercole potrebbe coprire qui, nell’”interpretazione romana”, una figura mitica delle saghe ger- maniche 20 carmina: va inteso come “canto senza parole”. Era il grido di guerra, “barrito” o “bardito”, per il quale i Germani erano famosi. 21 asperitas soni: è il cosiddetto genitivo “inverso”. In luogo dell’aggettivo viene impiegato il corrispondente sostantivo astratto, spesso un aggettivo neutro plurale sostantivato, più un genitivo. In questo caso sta per asper sonus. 22 Asciburgium: presso l’attuale villaggio di Asberg, nella zona di Mörs, sul basso Reno. Il termine greco va probabil- mente espunto come glossa (Tacito non impiega mai parole greche). Askipyrghion vale a un dipresso “il borgo dell’otre”, con riferimento forse al dono di Eolo a Ulisse, mentre in Asciburgium la prima parte del composto fa pensare al ted. Esche, “faggio”. 23 monumentaque et tumulos: endiadi. Forse iscrizioni sepolcrali etrusche o celtiche in alfabeto greco. 7 4. Ipse eorum opinionibus accedo, qui Germaniae populos nullis aliis aliarum nationum conubiis infectos propriam et sinceram et tantum sui si- milem gentem exstitisse arbitrantur. Unde habitus quoque corporum, tamquam in tanto hominum numero, idem omnibus: truces et caerulei oculi, rutilae comae, magna corpora et tantum ad impetum valida: laboris atque operum non eadem patientia, minimeque sitim aestumque tolerare, frigora atque inediam caelo solove adsueverunt. 5. Terra etsi aliquanto specie differt, in universum tamen aut silvis horrida aut paludibus foeda, umidior qua Gal- lias, ventosior qua Noricum ac Pan- noniam adspicit; satis ferax, frugife- rarum arborum inpatiens, pecorum fecunda, sed plerumque improcera. Ne armentis quidem suus honor aut gloria frontis: numero gaudent, eae- que solae et gratissimae opes sunt. Ar- gentum et aurum propitiine an irati di negaverint dubito. Nec tamen adfir- maverim nullam Germaniae venam argentum aurumve gignere: quis enim scrutatus est? Possessione et usu haud perinde adficiuntur. Est videre apud inscrizioni in lettere greche al confine tra Germania e Rezia. Non è mia in- tenzione confermare o confutare tali notizie; ognuno dal proprio ingegno ci creda o meno.24 4. Sono vicino alle opinioni di coloro i quali ritengono che le popolazioni della Germania non si siano mesco- late25 con altri popoli, e che la gente sia pura e simile solo a sé stessa.26 Donde anche l’aspetto fisico [è] uguale in tutti, per così dire nell’ele- vato numero di uomini: [hanno] occhi azzurri e torvi, chiome rosse, corpi grandi ma validi soltanto per l’assalto; nessuna pazienza per la fatica del la- voro, e sono abituati per l’inclemenza del clima al freddo e alla fame, e a es- sere insofferenti alla sete e al caldo. 5. Quantunque la terra [germanica] differisca alquanto nell’aspetto, tutta- via [è] nella sua interezza orrida a causa delle selve27 e turpe per le pa- ludi, più umida nella zona prospi- ciente la Gallia, più ventosa verso il Norico e la Pannonia; fertile di semi- nati, non possiede alberi da frutto, fe- conda di bestiame, per lo più di bassa statura. Non c’è onore né bellezza della fronte per gli armenti: [i Ger- mani] godono nell’averne molti, quelli sono le sole e uniche ricchezze. Gli dèi privarono [i Germani] di ar- gento e oro, non so se in segno di fa- vore od ostilità;28 tuttavia non 24 quae […] animo est: ricorda molto da vicino la praefatio di Livio, che dichiara la sua posizione di fronte alle tradi- zioni sulle origini leggendarie di Roma (nec adfirmare nec refellere in animo est). 25 infectos: potrebeb avere valore neutro, come mixtos, ma più probabilmente ha un’accezione negativa. 26 tantum sui similem: nozione di popoli che “somigliano soltanto a sé stessi: determinismo ambientale dell’etnografia antica. Tacito sembra farla derivare, direttamente o attraverso Tito Livio, da Posidonio, che la riferiva ai Celti. 27 silvis: la foresta più estesa, dal Reno alla Vistola, era la Hercynia silva; tra le altre era di infausta memoria per i Ro- mani quella di Teutoburgo, tra la Ems e la Lippe. 28 Argentum […] dubito: un luogo comune dei moralisti antichi, la ricchezza vista come origine di ogni male: la felicità si raggiunge nella povera più assoluta, come quella dei Fenni (cap. XLVI), liberi da bisogni e da desideri. 10 7. Reges ex nobilitate, duces ex virtute sumunt. Nec regibus infinita aut li- bera potestas, et duces exemplo potius quam imperio, si prompti, si conspi- cui, si ante aciem agant, admiratione praesunt. Ceterum neque animadver- tere neque vincire, ne verberare qui- dem nisi sacerdotibus permissum, non quasi in poenam nec ducis iussu, sed velut deo imperante, quem adesse bel- lantibus credunt. Effigiesque et signa quaedam detracta lucis in proelium ferunt; quodque praecipuum fortitudi- nis incitamentum est, non casus, nec fortuita conglobatio turmam aut cu- neum facit, sed familiae et propinqui- tates; et in proximo pignora, unde fe- minarum ululatus audiri, unde vagitus infantium. Hi cuique sanctissimi te- stes, hi maximi laudatores. Ad matres, ad coniuges vulnera ferunt; nec illae numerare aut exigere plagas pavent, cibosque et hortamina pugnantibus gestant. 8. Memoriae proditur quasdam acies inclinatas iam et labantes a feminis restitutas constantia precum et obie- ctu pectorum et monstrata comminus 7. I re [dei Germani] sono eletti per nobiltà, i generali per virtù.40 Per i re il potere non è infinito e libero, e i ge- nerali presiedono con ammirazione per l’esempio piuttosto che per l’auto- rità, se [sono] coraggiosi, se [sono] ragguardevoli, se combattono a capo delle schiere. Del resto non condan- nano a morte, né mettono in ceppi, non è permesso percuotere41 qualcuno fuorché ai sacerdoti, [che questi ul- timi] non [fanno] come per una puni- zione, sotto l’ordine di un generale, ma come sotto l’ordine di un dio, che credono sia presente nelle battaglie.42 Portano immagini e simulacri tolti ai boschi sacri in battaglia; e il più im- portante incitamento del coraggio è il fatto che la turma o il cuneo non si compongono per caso o per fortuito raggruppamento, ma per famiglia e parentela;43 i cari [sono] in [loro] prossimità, dove è possibile udire le urla delle donne e il vagito dei bam- bini. Questi sono per loro testimoni santissimi, laudatori ambitissimi; por- gono le ferite alle madri e alle mogli; esse non hanno paura di numerare ed esaminare le piaghe, e recano ai com- battenti cibo e raccomandazioni.44 8. Si narra che alcune schiere già in- clinate e sul punto di cadere [siano state] restaurate dalla costanza delle preghiere delle donne, con 40 Reges … duces: i duces venivano scelti in situazioni particolari: in caso di guerra, di aggressione o difensiva, eleg- gono dei magistratus per condurre la campagna (DE BELLO GALLICO, Cesare). L’elezione del dux, scelto per la sua vir- tus, poteva ricordare ai lettori romani il criterio di scelta dell’optimus princeps attraverso l’adozione, che è motivo fon- damentale delle HISTORIAE, mentre la possibilità per i duces di sostituire il rex poteva far pensare ad una delle aspira- zioni più sentite dell’aristocrazia senatoria, nella perenne tensione tra optimates e princeps. 41 verberare: nell’esercito romano era autorizzato a farlo qualsiasi centurione. Animadvertere, vincire e verberare for- mano un climax discendente. 42 credunt: nella tradizione romana, almeno fino alla fine del periodo repubblicano (Farsàlo) i combattenti sono assistiti da Dioscùri. 43 familiae et propinquitates: per il mondo romano si può ricordare la leggenda della gens Fabia che vede 306 dei suoi membri morire al fiume Cremera combattendo contro i Veienti. 44 cibosque et hortamina gestant: zeugma. 11 captivitate, quam longe inpatientius feminarum suarum nomine timent, adeo ut efficacius obligentur animi ci- vitatum, quibus inter obsides puellae quoque nobiles imperantur. Inesse quin etiam sanctum aliquid et provi- dum putant, nec aut consilia earum aspernantur aut responsa neglegunt. Vidimus sub divo Vespasiano Vele- dam diu apud plerosque numinis loco habitam; sed et olim Albrunam et compluris alias venerati sunt, non adulatione nec tamquam facerent deas. 9. Deorum maxime Mercurium colunt, cui certis diebus humanis quoque hostiis litare fas habent. Herculem et Martem concessis animalibus placant. Pars Sueborum et Isidi sac- rificat: unde causa et origo peregrino sacro, parum comperi, nisi quod sig- num ipsum in modum liburnae figura- tum docet advectam religionem. Ceterum nec cohibere parietibus deos neque in ullam humani oris speciem adsimulare ex magnitudine l’opposizione del petto, con la dimo- strazione di una vicina prigionia, la quale [prigionia] delle donne temono più che per la propria, tanto che è più efficace essere vincolati che fare patti presso quelle città per le quali tra gli ostaggi pretendono la consegna di fan- ciulle45 nobili. In verità essi reputano che ci sia [in esse] qualcosa di santo e di profetico, non rifiutano i loro con- sigli né ignorano i loro responsi. Sotto il regno del divo Vespasiano46 ve- demmo che Veleda [fu] a lungo rite- nuta dalla maggior parte dei suoi come una dea; inoltre un tempo Albri- nia e altre47 erano venerati da molti, senza adulazione né facendole dee.48 9. Sopra tutti gli dèi [i Germani] vene- rano Mercurio,49 al quale in determi- nati giorni è concesso offrire in sacri- ficio anche vittime umane. Placano Ercole50 e Marte51 con animali legit- timi. Una parte degli Suebi52 fa sacri- fici a Iside;53 non sono venuto a cono- scenza della causa e dell’origine di [questo] culto straniero, se non che lo stesso segno presso una nave 45 obsides puellae: già Augusto sapeva che con i Germani era necessario questo novum genus obsidum, dato che essi trascuravano gli ostaggi di sesso maschile, marum pignera. 46 sub divo Vespasiano: Tacito si riferisce agli anni 69-70 d.C., quando Veleda fu la profetessa e l’ispiratrice della ri- volta del batavo Giulio Civile. Fu catturata nel 77-78. 47 compluris alias: altre profetesse sono ricordate da Strabone, da Svetonio e da Dione Cassio. 48 deas: evidente l’allusione sarcastica alle numerose, e spesso scandalose, divinizzazioni di donne della famiglia impe- riale (Drusilla, la sorella di Caligola, la figlioletta di Nerone e Poppea, la stessa Poppea, etc.). Tacito chiude il capitolo con una sententia dal sapore epigrammatico. 49 Mercurium: Mercurio è l’equivalente di Wotan, come è provato dal nome del “mercoledì”, Mercuri dies, nelle lingue germaniche (ingl. Wednesday), a partire dal momento in cui presso i Germani venne introdotta la settimana di sette giorni che vennero denominati con i nomi germanici equivalenti ai nomi degli dèi planetari del mondo romano. 50 Herculem: corrisponde a Donar/Thor, il dio del tuono, Donner, il cui martello può essere l’equivalente della clava di Ercole. Più tardi il dio venne omologato con Giove. 51 Martem: il germanico Tyr o Tiu doveva essere in origine un “dio della luce celeste”: il nome fa collegato a forme in- doeuropee come dios, deus, divus, nonché al latino dies. 52 pars Sueborum: soltanto una parte, perché altre tribù dell’etnia suebica formano l’amfizionia dedita al culto di Ner- thus. 53 Isidi: il culto di Iside, diffuso a Roma a partire dall’80, era presente nella Germania meridionale, nell’attuale Svizzera e nel Norico (le Alpi orientali). 12 caelestium arbitrantur: lucos ac nem- ora consecrant deorumque nominibus appellant secretum illud, quod sola reverentia vident. 10. Auspicia sortesque ut qui maxime observant: sortium consuetudo sim- plex. Virgam frugiferae arbori decisam in surculos amputant eosque notis quibusdam discretos super can- didam vestem temere ac fortuito spargunt. Mox, si publice consultetur, sacerdos civitatis, sin privatim, ipse pater familiae, precatus deos caelum- que suspiciens ter singulos tollit, sub- latos secundum impressam ante no- tam interpretatur. Si prohibuerunt, nulla de eadem re in eundem diem consultatio; sin permissum, auspicio- rum adhuc fides exigitur. Et illud quidem etiam hic notum, avium voces volatusque interrogare; proprium gentis equorum quoque praesagia ac monitus experiri. Publice aluntur isdem nemoribus ac lucis, candidi et nullo mortali opere contacti; quos liburnica54 chiarisce il culto impor- tato. Non ritengono, infatti, secondo la grandezza celeste di il racchiuderli fra pareti55 né ricopiarne l’aspetto in una forma umana; consacrano boschi e selve e chiamano col nome di dio quel segreto che vedono solo con la reve- renza. 10. Osservano più di tutti i presagi e le divinazioni;56 la consuetudine della sorte [presso di loro è] semplice:57 sminuzzano un determinato ramo a un albero fruttifero in schegge e le spar- gono, distinte per alcuni segni,58 sopra una candida veste a caso e fortuita- mente. Successivamente, se si deli- bera sul bene pubblico, il sacerdote della città, se sul privato, lo stesso capo famiglia, che prega gli dèi e sol- leva gli occhi al cielo, estrae tre [fram- menti] singoli, li interpreta secondo i segni prima impressi. Se [i segni] sono sfavorevoli, non avviene alcuna con- sultazione per tutto il giorno intorno all’argomento; se invece [il segno] è favorevole, viene richiesta ancora una prova degli auspici:59 e anche presso i Germani si interrogano i canti e il volo degli uccelli.60 [È] proprio di [questa] 54 liburnae: il signum di Iside ha la forma di una liburna (veloce imbarcazione usata dai pirati dalmati di Cherso, Veglia e Arbe): questo particolare induce Tacito all’ipotesi di una penetrazione del culto via mare. Una simbologia “marina” è comunque appropriata ad Iside “Pelagia”, “Signora del mare”: in suo onore si celebrano in marzo la cerimonia della riapertura della navigazione. 55 cohibere parietibus: secondo un luogo comune della letteratura etnografica antica, i barbari non conoscono né imma- gini antropomorfe delle divinità né templi. 56 auspicia sortesque: auspicium (l’osservazione a scopo divinatorio del volo degli uccelli) è dal tema au- di avis, “uc- cello” + il verbo arcaico specio, “guardare”, rimasto vitale solo nei suoi composti apofonici. Per i Romani gli uccelli erano i più importanti portatori di “segni”. Quanto alle sortes, si trattava di un tipo di tecnica largamente praticata nel mondo greco e romano. 57 simplex: sta per “di un solo tipo”. A Roma le tecniche divinatorie erano diversificate. 58 notis: simboli convenzionali o segni grafici sul genere delle “rune” germaniche, il cui uso però è testimoniato solo uno o due secoli più tardi. 59 auspiciorum […] exigitur: anche nel mondo romano si chiedeva in taluni casi alla divinità di confermare un presagio (omen firmare). 60 avium voce volatusque: Tacito non precisa i particolari. Per i Romani era importante la distinzione tra alites, uccelli che danno segni con la direzione del volo, e oscines, che invece danno segni col canto da una determinata parte dello spazio d’osservazione (il templum). 15 qui vindicatur, vel propinquis eius ex- solvitur. Eliguntur in isdem conciliis et principes, qui iura per pagos vico- sque reddunt; centeni singulis ex plebe comites consilium simul et auc- toritas adsunt. 13. Nihil autem neque publicae neque privatae rei nisi armati agunt. Sed arma sumere non ante cuiquam moris, quam civitas suffecturum probaverit. Tum in ipso concilio vel principum aliquis vel pater vel propinqui scuto frameaque iuvenem ornant: haec apud illos toga, hic primus iuventae honos; ante hoc domus pars videntur, mox rei publicae. Insignis nobilitas aut magna patrum merita principis dignationem etiam adulescentulis ad- signant: ceteris robustioribus ac iam pridem probatis adgregantur, nec rubor inter comites adspici. Gradus quin etiam ipse comitatus habet, iudi- cio eius quem sectantur; magnaque et comitum aemulatio, quibus primus apud principem suum locus, et prin- cipum, cui plurimi et acerrimi comites. Haec dignitas, hae vires, magno semper et electorum iuvenum globo circumdari, in pace decus, in bello praesidium. Nec solum in sua gente cuique, sed apud finitimas quo- que civitates id nomen, ea gloria est, si numero ac virtute comitatus emineat; expetuntur enim proporzionata] allo stesso modo: i col- pevoli sono multati con un numero di cavalli e bestiame. Una parte della multa è resa al re o alla tribù, una parte della stessa a chi è stato offeso o ai suoi parenti. Nelle stesse riunioni ven- gono eletti i capi, i quali amministrano la giustizia nei distretti e nei villaggi; cento compagni, scelti tra il popolo, restano vicino a ciascuno [dei capi, per aiutarli] col consiglio e l’autorità. 13. Non c’è cosa pubblica né privata se non sono armati;70 e nessuno in- dossa le armi non prima che la tribù abbia accertato71 che saprà maneg- giarle. Poi nella stessa assemblea o uno dei capi o il padre o i parenti or- nano il giovane di scudo e framea: per loro queste [sono] come la toga, que- sto [è] il primo onore della gioventù; prima di ciò [i giovani] sono conside- rati parte della famiglia, dopo dello Stato. Un’onorevole nobiltà o i grandi meriti dei maggiori conferiscono an- che ai ragazzi dignità di capo; ven- gono aggregati ai più forti e ai già as- soldati da tempo, e non esiste vergo- gna di essere visto tra i compagni. In verità anche la compagnia ha una ge- rarchia di cariche, secondo l’arbitrio di colui il quale guida; e c’è grande de- siderio di primeggiare, tra chi [vuole] il posto vicino al suo capo, e tra i capi, che [vogliono] le compagini più forti e numerose. La dignità e la suprema- zia [sono] l’essere sempre circondati da un grande insieme di giovani scelti, [i quali danno] onore in pace, presidio in guerra.72 Tale gloria non vi è 70 armati: infatti siedono armati in assemblea e armati partecipano ai banchetti. Arma sumere è modellato sull’espres- sione romana sumere togam virilem, che indicava la cerimonia del passaggio d’età fra i 14 e i 17 anni. 71 probaverit: nel linguaggio militare probare significava accertare l’idoneità delle reclute, e probabilis era il coscritto “abile al servizio militare”. 72 decus […] praesidium: Orazio, “et praesidium et dulce decus meum” (ODI, I, 1-2). 16 legationibus et muneribus ornantur et ipsa plerumque fama bella profligant. 14. Cum ventum in aciem, turpe prin- cipi virtute vinci, turpe comitatui vir- tutem principis non adaequare. Iam vero infame in omnem vitam ac pro- brosum superstitem principi suo ex acie recessisse. Illum defendere, tueri, sua quoque fortia facta gloriae eius adsignare praecipuum sacramentum est. Principes pro victoria pugnant, comites pro principe. Si civitas, in qua orti sunt, longa pace et otio torpeat, plerique nobilium adulescentium pe- tunt ultro eas nationes, quae tum bel- lum aliquod gerunt, quia et ingrata genti quies et facilius inter ancipitia clarescunt magnumque comitatum non nisi vi belloque tueare; exigunt enim principis sui liberalitate illum bellatorem equum, illam cruentam victricemque frameam. Nam epulae et quamquam incompti, largi tamen ap- paratus pro stipendio cedunt. Materia munificentiae per bella et raptus. Nec arare terram aut exspectare annum tam facile persuaseris quam vocare hostem et vulnera mereri. Pigrum quin immo et iners videtur sudore ad- quirere quod possis sanguine parare. soltanto tra la propria gente, ma anche presso le popolazioni vicine, se la compagine spicca per numero e per valore: infatti vengono richiesti da ambasciatori e vengono ornati di doni, e molte volte con la stessa fama risol- vono le battaglie. 14. In battaglia, è vergognoso per un capo essere superato in valore mili- tare, [e] per l’esercito è turpe non eguagliare la virtù del capo. Ed è dav- vero infame e vergognoso per tutta la vita che si ritorni73 salvi dal combatti- mento al contrario del proprio coman- dante; la cosa più importante e sacra74 è difenderlo, proteggerlo, assegnar- gli75 anche fatti eroici della propria gloria: i capi combattono per la vitto- ria, le compagini [combattono] per il capo. Se la tribù nella quale sono nati ozia in una lunga pace, molti giovani della nobiltà vanno spontaneamente presso altre popolazioni le quali si tro- vano in qualche guerra, poiché i Ger- mani [sono] insofferenti alla quiete, e si distinguono più facilmente in mezzo ai pericoli e possono sovrinten- dere un grande esercito soltanto con la violenza e con la guerra;76 esigono in- fatti dalla generosità del capo quel ca- vallo combattente, quella framea cruenta e vincitrice; in verità sebbene i viveri e il trattamento siano rozzi e abbondanti, tuttavia li tengono in 73 recessisse: per recedere, è l’infinito “aoristico”, che esprimeva in origine l’aspetto verbale, momentaneo o atempo- rale, non il tempo: proprio del latino arcaico e, per influsso greco, della lingua poetica imperiale. 74 sacramentum: a Roma il termine indicava il giuramento di fedeltà dei soldati al loro comandante, più tardi all’impera- tore. 75 defendere… tueri… adsignare: un tricolon asindetico (tre membretti del periodo non collegati da alcuna congiun- zione), con l’ultimo membro più esteso dei primi due, secondo la cosiddetta “legge dei membri crescenti”: i membri successivi devono essere uguali come lunghezza ai precedenti oppure, e questo è più efficace e gradevole, più lunghi. (Cicerone, DE ORATORE) 76 quia […] tueare: tipica variatio tacitiana: come soggetti delle tre causali coordinate abbiamo dapprima quies, poi il sottinteso adulescentes e infine il “tu” generico, anch’esso sottinteso, con valore impersonale. 17 15. Quotiens bella non ineunt, non multum venatibus, plus per otium transigunt, dediti somno ciboque, for- tissimus quisque ac bellicosissimus nihil agens, delegata domus et pena- tium et agrorum cura feminis senibu- sque et infirmissimo cuique ex fami- lia; ipsi hebent, mira diversitate natu- rae, cum idem homines sic ament iner- tiam et oderint quietem. Mos est civi- tatibus ultro ac viritim conferre prin- cipibus vel armentorum vel frugum, quod pro honore acceptum etiam ne- cessitatibus subvenit. Gaudent praeci- pue finitimarum gentium donis, quae non modo a singulis, sed et publice mittuntur, electi equi, magna arma, phalerae torquesque; iam et pecu- niam accipere docuimus. 16. Nullas Germanorum populis ur- bes habitari satis notum est, ne pati quidem inter se iunctas sedes. Colunt luogo di stipendio;77 attraverso le ra- pine e le battaglie [si hanno] i mezzi della generosità. Non è facile persua- derli ad arare la terra o ad aspettare il raccolto quanto a sfidare il nemico e a incassare delle ferite. In verità sembra che sia anzi da pigri e incapaci acqui- stare col sudore ciò che si può ottenere col sangue. 15. Quando non intraprendono una guerra, trascorrono [il tempo] più at- traverso l’ozio78 che andando a caccia, dediti a dormire e a mangiare,79 i più forti e bellicosi non facendo niente, la cura della casa, della famiglia e dei campi [è] affidata alle donne, agli an- ziani e ai più deboli in famiglia;80 per una mirabile diversità della natura, oziano questi stessi uomini che amano l’inerzia e odiano la quiete. È consue- tudine che le tribù, spontaneamente e ognuno per sé, portino ai capi degli ar- menti o dei frutti, tali che accettati come ricompensa soccorrano anche nei momenti di necessità. Godono specialmente per i doni di popoli vi- cini, i quali [doni] vengono spediti non soltanto da privati, ma dal popolo, cavalli scelti, armi grandi, piastre e collane;81 e noi [Romani] gli abbiamo ormai insegnato ad accettare il denaro. 16. È risaputo che le città non sono abitate dalle popolazioni germaniche, né viene tollerato per i Germani 77 epulae […] apparatus: nelle società primitive la convivialità è una forma essenziale di redistribuzione. 78 otium: Cesare (DE BELLO GALLICO) afferma, invece, che i Germani trascorrono tutta l’esistenza cacciando e combat- tendo. 79 dediti somno ciboque: sul modello sallustiano: dediti ventri atque somno. (CATILINARIAE, 2) 80 delegata […] ex familia: l’inertia degli uomini, che scaricavano sulle donne anche i lavori più pesanti, era comune tra le popolazioni primitive. 81 phalerae torquesque: nell’esercito romano erano tra le decorazioni militari. Le phalerae erano piastre o dischi di me- tallo per ornamento di elmi e corazze, oppure di finimenti. Il torques era un ornamento a forma di collana proprio dei Galli, e a un Gallo lo strappò nel 360 a.C. Tito Manlio, che per questo episodio lasciò ai propri discendenti il cognomen di Torquatus. (Livio, AB URBE CONDITA) 20 pereundum: accipere se, quae liberis inviolata ac digna reddat, quae nurus accipiant, rursusque ad nepotes refe- rantur. 19. Ergo saepta pudicitia agunt, nullis spectaculorum inlecebris, nullis con- viviorum inritationibus corruptae. Litterarum secreta viri pariter ac fe- minae ignorant. Paucissima in tam numerosa gente adulteria, quorum poena praesens et maritis permissa: abscisis crinibus nudatam coram pro- pinquis expellit domo maritus ac per omnem vicum verbere agit; publica- tae enim pudicitiae nulla venia: non forma, non aetate, non opibus mari- tum invenerit. Nemo enim illic vitia ri- det, nec corrumpere et corrumpi saeculum vocatur. Melius quidem adhuc eae civitates, in quibus tantum virgines nubunt et eum spe votoque uxoris semel transigitur. Sic unum ac- cipiunt maritum quo modo unum cor- pus unamque vitam, ne ulla cogitatio ultra, ne longior cupiditas, ne tamquam maritum, sed tamquam ma- trimonium ament. Numerum libero- rum finire aut quemquam ex adgnatis necare flagitium habetur, plusque ibi fatiche e pericoli, pronta a soffrire e a osare sia in pace che in guerra: rappre- sentano questo i buoi accoppiati, il ca- vallo bardato, le armi donate. Così deve vivere, così deve partorire: ren- dere pure e degne per i figli le cose che riceve, che le nuore riceveranno e a propria volta trasmetteranno ai nipoti. 19. Dunque esse vivono chiuse nella pudicizia, senza [essere] corrotte da lusinghe di spettacoli, né da stimoli di banchetti;88 parimenti uomini e donne ignorano corrispondenze segrete.89 Per quanto la popolazione [sia] nume- rosa, pochissimi tuttavia [sono] gli adulteri, per i quali [esiste] una puni- zione affidata al marito;90 il marito, dopo aver tagliato i capelli [alla mo- glie], la scaccia denudata di casa in presenza dei parenti91 e la spinge con una frusta per ogni strada; non [c’è] grazia, infatti, per una pudicizia pro- stituita: la donna non ritroverà un ma- rito, né per bellezza, né per età, né per ricchezza. Nessuno infatti tra i Ger- mani deride i vizi, e il secolo non è chiamato né il corrompere né il la- sciarsi corrompere. Costume migliore [è] in alcune città presso le quali si sposano soltanto le fanciulle e si esau- risce92 una volta per tutte la speranza e la brama di una donna. Così sposano un solo uomo,93 allo stesso modo in cui hanno un corpo e una vita, 88 spectaculorum […] irritationibus: continua la tacita contrapposizione tra le donne dei Germani e le troppo libere dame di Roma: gli spettacoli teatrali erano, secondo Ovidio (ARS AMATORIA), l’occasione ideale per andare a caccia di ragazze. 89 litterarum secreta: bigliettini fatti pervenire di nascosto. 90 poena […] maritis permissa: nella Roma arcaica il marito aveva diritto di uccidere sine iudicio, impune, la moglie in adulterio deprehensa. 91 coram propinquis: anche a Roma, in caso di adulterio nei matrimoni celebrati col rito arcaico della confarraetio, era previsto un analogo “tribunale di famiglia”, la cui istituzione è attribuita a Romolo da Dionigi di Alicarnasso. 92 transigitur: espressione del linguaggio legale e commerciale che si può tradurre “la partita viene chiusa una volta per tutte”. Le vedove, e a maggior ragione le ripudiate, non potevano quindi risposarsi. 93 unum maritum: le univiriae, le donne che avevano avuto un solo marito, erano a Roma particolarmente onorate e am- mirate. 21 boni mores valent quam alibi bonae leges. 20. In omni domo nudi ac sordidi in hos artus, in haec corpora, quae mi- ramur, excrescunt. Sua quemque ma- ter uberibus alit, nec ancillis ac nu- tricibus delegantur. Dominum ac ser- vum nullis educationis deliciis dignos- cas: inter eadem pecora, in eadem humo degunt, donec aetas separet in- genuos, virtus adgnoscat. Sera iu- venum venus, eoque inexhausta pu- bertas. Nec virgines festinantur; eadem iuventa, similis proceritas: pares validaeque miscentur, ac ro- bora parentum liberi referunt. So- rorum filiis idem apud avunculum qui ad patrem honor. Quidam sanctiorem artioremque hunc nexum sanguinis arbitrantur et in accipiendis obsidibus magis exigunt, tamquam et animum firmius et domum latius teneant. He- redes tamen successoresque sui cui- que liberi, et nullum testamentum. Si liberi non sunt, proximus gradus in possessione fratres, patrui, avunculi. Quanto plus propinquorum, quanto maior adfinium numerus, tanto affinché non vi sia alcun altro pen- siero, alcun profondo desiderio, affin- ché non amino per così dire il marito ma il matrimonio. Si ha vergogna nel limitare il numero dei figli o soppri- merli dopo la nascita, e presso i Ger- mani le buone consuetudini hanno più valore delle giuste leggi di altri popoli. 20. In ogni casa nudi e sudici crescono nelle membra dei corpi, dei quali ci meravigliamo. La madre allatta coi seni i suoi figli, mai affidati ad ancelle e nutrici.94 Non si distinguono servo e padrone per raffinatezza di educa- zione: tra di loro vivono col bestiame, sulla stessa terra, finché il tempo se- para i liberi e la virtù [li] riconosce.95 La bellezza [arriva] tardi nei giovani, e in loro la virilità [è] inesauribile.96 Le fanciulle nemmeno si affrettano;97 giovani come i mariti, hanno la loro medesima altezza; si sposano quando [diventano] pari in robustezza, e i figli di tali genitori nascono con la stessa forza. I figli della sorella [sono affi- dati] allo zio, il quale li onora allo stesso modo del padre; alcuni riten- gono che tale rapporto di sangue sia più sacro e profondo, e nell’accogliere gli ostaggi richiedono i figli delle so- relle, come se avessero più fermi i loro animi e più parti delle loro famiglie. Tuttavia, per ciascuno gli eredi e i suc- cessori [sono] i figli, e non [esiste] 94 sua […] delegantur: secondo il DIALOGUS DE ORATORIBUS, così nell’antica Roma (pridem) il bambino veniva alle- vato greco ac sinu matris, mentre ora (nunc) viene consegnato a questa o quella schiava, magri greca, e a qualche altro servo. 95 adgnoscat: la virtus riconosce come suo il giovane; l’espressione ricalca agnoscere filium, detto del padre romano che riconosceva come proprio un figlio. 96 inexhausta: secondo Cesare (DE BELLO GALLICO) tra i Germani erano particolarmente apprezzati i giovani che inizia- vano tardi la vita sessuale: ritengono che ciò sviluppi la statura, la forza e i nervi. Considerano vergognoso avere con- tatti con donne prima dei vent’anni. Il termine inexhaustus è coniato da Virgilio per designare la ricchezza inesauribile delle miniere di ferro dell’Elba. 97 Nec vergines festinantur: l’età minima per contrarre matrimonio, secondo la legge romana, era di 12 anni per le ra- gazze e 12 per i ragazzi. 22 gratiosior senectus; nec ulla orbitatis pretia. 21. Suscipere tam inimicitias seu pa- tris seu propinqui quam amicitias ne- cesse est; nec implacabiles durant: luitur enim etiam homicidium certo armentorum ac pecorum numero reci- pitque satisfactionem universa domus, utiliter in publicum, quia periculosio- res sunt inimicitiae iuxta libertatem. Convictibus et hospitiis non alia gens effusius indulget. Quemcumque mor- talium arcere tecto nefas habetur; pro fortuna quisque apparatis epulis exci- pit. Cum defecere, qui modo hospes fuerat, monstrator hospitii et comes; proximam domum non invitati adeunt. Nec interest: pari humanitate acci- piuntur. Notum ignotumque quantum ad ius hospitis nemo discernit. Abeunti, si quid poposcerit, concedere moris; et poscendi in vicem eadem fa- cilitas. Gaudent muneribus, sed nec data imputant nec acceptis ob- ligantur: victus inter hospites comis. testamento; se i figli non ci sono, il grado di successione va dai fratelli, agli zii paterni e materni. Quanto è grande il numero dei parenti, quanto maggiore quello degli affini,98 tanto gli anziani [sono] più venerati; l’es- sere senza figli non ha alcuna utilità. 21. È necessario addossarsi le inimici- zie o del padre o di un parente quanto le amicizie; [gli odi] non restano im- placabili;99 infatti anche l’omicidio viene espiato con un numero determi- nato di buoi e pecore e la famiglia ri- ceve una soddisfazione per ognuno, vantaggiosa per il popolo, perché le inimicizie sono più pericolose nella li- bertà. Nessun’altra nazione più larga bada ai conviti e all’ospitalità: è nefa- sto tenere lontano da un tetto qualun- que persona; [c’è] cibo comune per gli ospiti; ognuno imbandisce la tavola di viveri a seconda della necessità. Quando sono terminati [i viveri], colui che ha dato ospitalità mostra un ospi- zio e accompagna [l’ospite]; non invi- tati entrano nell’abitazione più vicina, senza che abbia importanza: sono ac- colti parimenti con cortesia. Nessuno fa differenza tra conosciuti o scono- sciuti riguardo al diritto di ospitalità; partendo, se chiede qualcosa, è con- suetudine concederla;100 viceversa, si possono rivolgere a lui richieste. Si rallegrano per i doni, ma senza adde- bitare quelli dati né sentirsi obbligati per quelli accettati. [Il trattamento de- gli ospiti è affettuoso]. 98 propinquorum […] adfinium: i parenti di sangue e i parenti acquisiti col matrimonio. 99 inimicitia […] nec inplacabiles: tutto il gruppo familiare è impegnato nella “faida”, che può essere peraltro composta attraverso una transazione, più tardi una composizione pecuniaria, il “guidrigildo”, che nei regni romano-barbarici, sarà regolato da specifiche tariffe. 100 abeunti […] moris: il costume di offrire doni ai partenti è antichissimo e universalmente diffuso, come dimostrano, per la civiltà occidentale, i numerosi accenni dei poemi omerici. 25 suos penates regit. Frumenti modum dominus aut pecoris aut vestis ut co- lono iniungit, et servus hactenus pa- ret: cetera domus officia uxor ac li- beri exsequuntur. Verberare servum ac vinculis et opere coercere rarum: occidere solent, non disciplina et se- veritate, sed impetu et ira, ut inimi- cum, nisi quod impune est. Liberti non multum supra servos sunt, raro ali- quod momentum in domo, numquam in civitate, exceptis dumtaxat iis gen- tibus quae regnantur. Ibi enim et su- per ingenuos et super nobiles ascen- dunt: apud ceteros impares libertini libertatis argumentum sunt. 26. Faenus agitare et in usuras exten- dere ignotum; ideoque magis servatur quam si vetitum esset. Agri pro nu- mero cultorum ab universis in vices occupantur, quos mox inter se secun- dum dignationem partiuntur; facilita- tem partiendi camporum spatia prae- stant, Arva per annos mutant, et supe- rest ager. Nec enim cum ubertate et amplitudine soli labore contendunt, ut pomaria conserant et prata separent et hortos rigent: sola terrae seges im- peratur. Unde annum quoque ipsum non in totidem digerunt species: hiems et ver et aestas intellectum ac voca- bula habent, autumni perinde nomen ac bona ignorantur. e la sua famiglia. Il padrone impone, come a un colono, la quantità di fru- mento o di bestiame o di pelli, e il servo obbedisce entro dei limiti; la moglie e i figli si occupano delle altre faccende della casa. Rara [è] la tortura degli schiavi e la punizione in carcere o alla fatica: sono soliti ucciderli, non per disciplina severa, ma per un im- peto d’ira, come con un nemico, in questo caso è [un delitto] impunito. I liberti110 non sono così superiori agli schiavi, raramente [hanno] qualche peso in casa, mai in città, eccetto sol- tanto nei popoli che sono governati [da un re]. Qui infatti ascendono sugli uomini liberi e sui nobili; presso di loro la diseguaglianza libertina è una prova di libertà.111 26. Il prestare denaro112 e accrescerlo in usura [è] ignoto [ai Germani]; per questo motivo viene preservato di più che se fosse proibito. I campi sono oc- cupati secondo il numero di coltivatori da tutti i villaggi, poi divisi tra di loro in base al rango di ognuno; l’ampiezza [dei campi] facilita la divisione. Nel corso degli anni cambiano i campi, e avanza campagna: con la fertilità e l’ampiezza del suolo non si affrettano infatti a lavorare, per seminare alberi da frutto e per dividere i prati, per irri- gare gli orti: il grano della terra si go- verna da solo. Da qui non suddividono l’anno in più parti come noi: l’in- verno, la primavera e l’estate hanno idee e nomi propri, il nome e i doni dell’autunno vengono ignorati allo stesso modo. 110 Liberti: il passo ha un evidente intento polemico contro lo strapotere che i liberti avevano acquisito così spesso alla corte imperiale: tra gli imperatori dominati dai liberti fa ricordato soprattutto Claudio, e il finale dell’APOKOLOKYNTO- SIS di Seneca. 111 libertini libertatis: paronomasia. 112 Faenus: ricorda Catone, i maiores condannavano il fenerator a una pena doppia rispetto a quella del ladro. 26 27. Funerum nulla ambitio: id solum observatur, ut corpora clarorum viro- rum certis lignis crementur. Struem rogi nec vestibus nec odoribus cumu- lant: sua cuique arma, quorundam igni et equus adicitur. Sepulcrum caespes erigit: monumentorum ar- duum et operosum honorem ut gravem defunctis aspernantur. Lamenta ac lacrimas cito, dolorem et tristitiam tarde ponunt. Feminis lugere hon- estum est, viris meminisse. Haec in commune de omnium Germanorum origine ac moribus accepimus: nunc singularum gentium instituta ritusque, quatenus differant, quae nationes e Germania in Gallias commigraverint, expediam. 28. Validiores olim Gallorum res fuisse summus auctorum divus Iulius tradit; eoque credibile est etiam Gal- los in Germaniam transgressos: quantulum enim amnis obstabat quo minus, ut quaeque gens evaluerat, oc- cuparet permutaretque sedes promis- cuas adhuc et nulla regnorum po- tentia divisas? Igitur inter Hercyniam silvam Rhenumque et Moenum amnes Helvetii, ulteriora Boii, Gallica utraque gens, tenuere. Manet adhuc Boihaemi nomen significatque loci 27. Non [c’è] fasto113 dei funerali: l’unica cura è che i corpi di uomini il- lustri vengano bruciati in particolare legna. Non ammucchiano sul rogo ve- sti preziose né profumi: vengono get- tate [al rogo] le armi del morto e per qualcuno il cavallo.114 La tomba viene eretta su una zolla; [non c’è] onore di monumenti operosi ed erti per respin- gere la gravezza sui defunti. Rapida- mente cessano i lamenti e i pianti, tar- dano a lungo il dolore e la tristezza: per le donne è giusto piangere, per gli uomini ricordare. In generale riguardo l’origine e i costumi di tutti i Germani abbiamo appreso queste cose; ora [ap- prenderemo] le istituzioni e le consue- tudini dei singoli popoli, spiegherò la misura in cui differiscono, quali po- poli sono migrati dalla Germania alla Gallia. 28. Il divo Giulio, massimo autore in materia, tramanda che un tempo i Galli erano più potenti; a ciò è credi- bile anche che i Galli siano trasmigrati in Germania; quanto poco infatti un fiume si opponeva, perché un popolo irrobustitosi occupasse e si trasferisse in luoghi non occupati e non ancora divisi con la potenza di un regime? Al- lora fra la selva Ercinia115 e i fiumi Reno e Meno giunsero gli Elvezii, al di là116 i Boi, entrambe di stirpe gal- lica. Il nome di Boemia resiste ancora 113 nulla ambitio: a Roma, nonostante le ripetute leggi suntuarie, i funerali potevano essere spettacolari, e resi più me- morabili da costose rappresentazioni teatrali o da giochi nel circo. Per le famiglie patrizie erano un importante momento di autocelebrazione: sfilavano in corteo le immagini di cera degli antenati, portate da persone di aspetto e di taglia somi- glianti, vestite con i vari tipi di toga a seconda delle magistrature rivestite dal personaggio rappresentato. 114 arma […] equus: sul rogo di Patroclo (ILIADE) vengono sgozzati quattro cavalli, due cani appartenuti al morto e do- dici prigionieri troiani; anche sul rogo di Pallante (ENEIDE) bruciano armi, cavalli, prigionieri sacrificati. 115 Hercyniam selvam: la catena di montagne, ricoperte da foreste, tra la Selva Nera e i Carpazi. 116 ulteriora: la Boemia e le regioni vicine a sud del Danubio, l’attuale Ungheria nord-occidentale. L’etnia celtica dei Boi verso la metà del IV sec. a.C. si era spostata dalla Gallia verso la pianura padana e la Romagna, e aveva avuto come centro Bononia, l’etrusca Felsina. Sconfitti dai Romani nel 193 a.C., i Boi ripassarono le Alpi e si stabilirono nell’at- tuale Boemia, dalla quale però, dopo circa un secolo, emigrarono ancora, spostandosi verso occidente, ma lasciando il loro nome alla regione. 27 veterem memoriam quamvis mutatis cultoribus. Sed utrum Aravisci in Pan- noniam ab Osis, Germanorum na- tione, an Osi ab Araviscis in Germa- niam commigraverint, cum eodem adhuc sermone institutis moribus utantur, incertum est, quia pari olim inopia ac libertate eadem utriusque ripae bona malaque erant. Treveri et Nervii circa adfectationem Germani- cae originis ultro ambitiosi sunt, tamquam per hanc gloriam sanguinis a similitudine et inertia Gallorum se- parentur. Ipsam Rheni ripam haud dubie Germanorum populi colunt, Vangiones, Triboci, Nemetes. Ne Ubii quidem, quamquam Romana colonia esse meruerint ac libentius Agrippi- nenses conditoris sui nomine vocen- tur, origine erubescunt, transgressi olim et experimento fidei super ipsam Rheni ripam conlocati, ut arcerent, non ut custodirentur. 29. Omnium harum gentium virtute praecipui Batavi non multum ex ripa, e testimonia l’antica memoria del luogo per quanto gli abitanti siano mutati. Tuttavia, se forse gli Aravisci si siano trasferiti in Pannonia dagli Osi117 di origine germanica, o se gli Osi [siano migrati] in Germania dagli Arivisci, coi quali condividono ancora la lingua, le istituzioni e i costumi, non è chiaro, perché entrambi [i popoli] abitavano un tempo l’una e l’altra riva, nella medesima miseria e libertà, [incontravano] gli stessi mali e beni. I Treviri118 e i Nervi119 sono orgogliosi riguardo una oltremodo pretesa ori- gine germanica, come se attraverso tale gloria di sangue si separassero dalla somiglianza della inerzia dei Galli. I popoli germanici dei Van- gioni, Triboci, Nemeti120 abitano senza alcun dubbio la stessa riva del Reno. Neppure gli Ubii,121 sebbene avessero meritato di essere una colo- nia romana e ben volentieri si facciano chiamare dal nome del fondatore [della colonia] Agrippinesi, si vergo- gnano di tale origine, un tempo passati e stabilitisi sulla riva del Reno per mezzo di una prova di fedeltà, non per difendersi, ma per tenere lontano [gli altri]. 29. Di tutte queste genti, particolari per virtù [sono] i Batavi [che] abitano 117 Aravisci […] ab Osis: occupavano la zona della Pannonia a sud del grande gomito del Danubio: uno dei loro centri era Aquincum (Budapest). Gli Osi erano stanziati sulla sponda opposta del fiume. Erano liberi e poveri, Osi e Aravisci, sull’una e sull’altra sponda del fiume, e non vi erano quindi ragioni di emigrare né in un senso né nell’altro, in passato (olim): ora la riva destra del Danubio, in territorio romano, è più florida, ma ha perduto la libertà. 118 Treveri: insediati nella valle della Mosella, hanno dato il nome alla colonia Augusta Treverorum, oggi Treviri. 119 Nervii: la gente più bellicosa della Gallia Belgica, tra la Schelda e la Mosa. 120 Vangiones, Triboci, Nemetes: popolazioni stanziate nella Germania superior romana, sulla sponda sinistra del reno, che svolgevano un’importante funzione di zona-cuscinetto rispetto alla Germania vera e propria. I tre popoli avevano le loro sedi principali nel luogo delle attuali Worms, Strasburgo e Spira. 121 Ubii: fedeli ai Romani già ai tempi di Cesare, passarono il Reno nel 38 a.C. sotto la spinta dei Suebi. La loro città principale diventò colonia romana nel 50 d.C., col nome di Colonia Claudia Ara Agrippinensis, oggi Colonia: vi era nata Agrippina, madre i Nerone e moglie di Claudio. Era stato Druso, tra il 12 e il 9 a.C., a erigere la grande ara per il culto federale delle diverse tribù che “collaboravano” con i Romani, culto che doveva svilupparsi in connessione con quello di Roma e di Augusto e costituire un momento d’incontro spirituale e politico per le popolazioni germaniche. 30 dignosque patria ac parentibus fe- runt: ignavis et imbellibus manet squalor. Fortissimus quisque ferreum insuper anulum (ignominiosum id genti) velut vinculum gestat, donec se caede hostis absolvat. Plurimis Chat- torum hic placet habitus, iamque canent insignes et hostibus simul su- isque monstrati. Omnium penes hos initia pugnarum; haec prima semper acies, visu nova; nam ne in pace quidem vultu mitiore mansuescunt. Nulli domus aut ager aut aliqua cura: prout ad quemque venere, aluntur, prodigi alieni, contemptores sui, donec exsanguis senectus tam durae virtuti impares faciat. 32. Proximi Chattis certum iam alveo Rhenum, quique terminus esse suffi- ciat, Usipi ac Tencteri colunt. Tenc- teri super solitum bellorum decus equestris disciplinae arte praecellunt; nec maior apud Chattos peditum laus quam Tencteris equitum. Sic institu- ere maiores; posteri imitantur. Hi lu- sus infantium, haec iuvenum aemula- tio: perseverant senes. Inter familiam et penates et iura successionum equi traduntur: excipit filius, non ut cetera, maximus natu, sed prout ferox bello et melior. spoglie insanguinate [del nemico] scoprono il volto, soltanto allora riten- gono di aver riscattato il prezzo [della vita] e di essere degni della patria e dei genitori: lo squallore resta agli imbelli e ai vili. I più valorosi portano un anello al dito (cosa vergognosa al po- polo) come vincolo, fino al momento in cui uccidono un nemico. Questo aspetto129 piace a molti Catti, e inoltre si vantano del loro capo bianco e [sono] ammirati dai nemici e dai com- pagni. Presso questi [c’è] l’inizio di tutte le guerre; questi [sono] sempre in prima linea, straordinaria nell’aspetto: in verità neppure in pace utilizzano un culto130 più mite. Non [hanno] casa né campi né alcuna cura: a seconda di dove arrivino, si nutrono, [sono] pro- dighi [delle case] altrui, sprezzanti de- gli altri, fino al momento in cui [di- ventati] anziani e deboli siano inetti a tale aspra virtù. 32. In prossimità131 dei Catti, dove il letto regolare del Reno tanto più è suf- ficiente a porre un confine, abitano gli Usipi e i Tencteri. I Tencteri primeg- giano, oltre alla solita fama di guer- rieri, nell’arte dell’equitazione;132 non è maggiore la lode dei fanti dei Catti che quella dei cavalieri dei Tencteri. Così gli antenati costruito: [così] i po- steri imitano. Questi [sono] i giochi dei bambini, questa [è] l’emulazione degli adolescenti; [questo] continuano gli anziani. I cavalli vengono ereditati come i servi, la casa e [le cose del] 129 hic […] habitus: capelli e barba lunghi. 130 cultu: modo, stile di vita. 131 Proximi: gli Usipi e i Tencteri compaiono nel DE BELLO GALLICO. Al tempo di Tacito i primi erano insediati lungo il corso della Lahn, fino alla zona in cui il fiume sbocca nel Reno; i secondi di fronte a Colonia. 132 equestris disciplinae: infatti nel 55 a.C. ottocento cavalieri usipi e tencteri sconfissero cinquemila cavalieri romani. In linea generale, la forza dei Germani era piuttosto nella fanteria. 31 33. Iuxta Tencteros Bructeri olim oc- currebant: nunc Chamavos et Angri- varios inmigrasse narratur, pulsis Bructeris ac penitus excisis vicinarum consensu nationum, seu superbiae odio seu praedae dulcedine seu favore quodam erga nos deorum; nam ne spectaculo quidem proelii invidere. Super sexaginta milia non armis teli- sque Romanis, sed, quod magnificen- tius est, oblectationi oculisque cecide- runt. Maneat, quaeso, duretque genti- bus, si non amor nostri, at certe odium sui, quando urgentibus imperii fatis nihil iam praestare fortuna maius po- test quam hostium discordiam. 34. Angrivarios et Chamavos a tergo Dulgubnii et Chasuarii cludunt, aliae- que gentes haud perinde memoratae, a fronte Frisii excipiunt. Maioribus minoribusque Frisiis vocabulum est ex modo virium. Utraeque nationes usque ad Oceanum Rheno praetexun- tur, ambiuntque inmensos insuper diritto di successione:133 eredita il fi- glio, non come presso altri [popoli] nato per primo, a seconda della fie- rezza e del valore in guerra. 33. Vicino ai Tencteri un tempo si in- contravano i Brutteri; ora si narra che [lì] siano immigrati i Camavi e gli An- grivari,134 dopo aver scacciato e an- nientato totalmente i Brutteri con l’aiuto delle popolazioni vicine, sia per l’odio della [loro] arroganza, sia per il desiderio della preda sia per un favore degli dèi verso di noi; davvero [gli dèi] non hanno negato lo spetta- colo della battaglia. Essi caddero in più di sessanta mila non in virtù di armi e spade romane ma, cosa davvero magnifica, per diletto agli occhi. Pre- ghiamo che rimanga e perduri presso queste genti, se non l’amore verso di noi, almeno l’odio tra di loro, dal mo- mento che, sotto la minaccia dei fati all’impero, la fortuna potrebbe garan- tire niente di meglio che la discordia tra i nemici. 34. I Dulgubini e i Casuari135 sono alle spalle di Angrivari e Camavi e altri popoli non parimenti ricordati, e sono davanti ai Frisii.136 Essi hanno l’ap- pellativo di Frisii maggiori e minori a seconda della [loro] forza. Entrambi i popoli sono stanziati137 dal Reno all’Oceano e abitano sugli immensi 133 iura successionum: i “diritti di successione” potevano interessare la funzione di capofamiglia, le amicizie e le inimi- cizie, la facoltà di esigere il guidrigildo. Al capitolo XX Tacito non aveva accennato a particolari diritti del primogenito, che risultano invece sussistere presso i Tencteri. 134 Iuxta […] narratur: si tratta della zona tra i fiumi Yssel e Lippe, abitata prima dagli Usipi che poi si erano spostati a sud, verso il Tauno. Al tempo di Nerone l’avevano occupata i Bructeri, che ne vennero cacciato nel 97 o 98 e abitarono in seguito la regione di Münster, tra la Lippe e la foresta di Teutoburgo. Al loro posto si insediarono i Chamavi e, più a est, gli Angrivarii. All’etnia dei bructeri apparteneva la veggente Veleda (cap. VIII). 135 Dulgubini et Chasuarii: incerta la sede di Dulgubini. I Chasuarii erano stanziati sulla Hase, affluente della Ems, a nord di Osnabrück. 136 Frisii: Friesland è ancora oggi l’Olanda occidentale, tra il Vecchio Reno (Oude Rijn) e la Ems. La linea di divisione tra Frisii “maggiori” e “minori” era forse il fiume Yssel. 137 praetexuntur: richiama l’idea di “orlo”, “bordo”; fa riferimento il nome della toga praetexta. 32 lacus et Romanis classibus navigatos. Ipsum quin etiam Oceanum illa temp- tavimus: et superesse adhuc Herculis columnas fama vulgavit, sive adiit Hercules, seu quidquid ubique magni- ficum est, in claritatem eius referre consensimus. Nec defuit audentia Druso Germanico, sed obstitit Ocea- nus in se simul atque in Herculem in- quiri. Mox nemo temptavit, sanctiu- sque ac reverentius visum de actis deorum credere quam scire. 35. Hactenus in occidentem Germa- niam novimus; in septentrionem in- genti flexu redit. Ac primo statim Chaucorum gens, quamquam incipiat a Frisiis ac partem litoris occupet, omnium quas exposui gentium lateri- bus obtenditur, donec in Chattos usque sinuetur. Tam inmensum terra- rum spatium non tenent tantum Chauci, sed et implent, populus inter Germanos nobilissimus, quique ma- gnitudinem suam malit iustitia tueri. Sine cupididate, sine impotentia, quieti secretique nulla provocant bella, nullis raptibus aut latrociniis populantur. Id praecipuum virtutis ac laghi138 navigati dalle flotte ro- mane.139 In verità noi abbiamo sfio- rato l’Oceano da quella [parte]:140 è diffusa ancora la credenza che sussi- stano le colonne di Ercole,141 sia che Ercole sia giunto [fin là], sia che ab- biamo consentito di attribuire alla sua gloria qualunque opera magnifica ovunque [compiuta]. L’audacia non mancò a Druso Germanico, ma l’Oceano ostacolò [qualsiasi cosa] in- dagasse su di lui e intorno a Ercole. In seguito, nessuno esplorò,142 e [fu] se- gno di maggior pietà e reverenza cre- dere nelle opere degli dèi più che co- noscerle. 35. Finora abbiamo conosciuto la Ger- mania occidentale; con un’ingente curva143 essa ritorna a nord. La prima [è] la popolazione dei Cauci,144 [la quale] sebbene inizi dai Frisii e occupi la parte del litorale, si estende ai lati delle popolazioni prima menzionate, fino a quando è curvata presso i Catti. Tuttavia, i Catti non soltanto occu- pano un immenso spazio di terre, ma [lo] riempiono, nobilissimi tra i popoli germanici [che] preferiscono salva- guardare la loro grandezza con la giu- stizia. Senza cupidigia, né impotenza, quieti e riservati non provocano guerre, né saccheggiano con ratti o 138 lacus: gli specchi d’acqua che furono assorbiti nello Zuiderzee da un’inondazione, verso la fine del secolo XIII. Druso, il fratello di Tiberio, vi aveva eseguito imponenti opere di canalizzazione per congiungere l’area al Reno e quindi creare una via fluviale Reno-Mare del Nord. 139 Romanis classibus: le flotte di Druso nel 12 a.C., di Tiberio e di Germanico nel 5 e nel 15/16 d.C. 140 Oceanum […] temptavimus: il primo fra i generali romani che navigò l’Oceanus Septemtrionalis, nel 12 a.C., fu Druso, fratello di Tiberio e figliastro di Augusto, più sotto chiamato Germanico (da non confondere con il più noto por- tatore di questo cognomen, che era suo figlio). 141 Herculis columnas: gli antichi immaginavano colonne d’Ercole non solo sullo stretto di Gibilterra, ma anche nel Mar Rosso, nel Ponto e altrove. 142 Mox nemo temptavit: Tacito non parla della spedizione della flotta di Tiberio usque ad fines Cimbrorum, lungo lo Jutland e fino alla Skagerrak, né dei viaggi di Germanico, figlio di Druso, nel 15 e nel 16 d.C. 143 ingenti flexu: la penisola dello Jutland, che veniva immaginata più a ovest della sua reale posizione. 144 Chaucorum gens: abitavano la costa e l’entroterra del Mare del Nord tra la Ems e l’Elba. Sconfitti da Druso nel 12 d.C., in seguito si mostrarono a volte alleati a volte nemici dei Romani. 35 ludibrium versae. Inde otium, donec occasione discordiae nostrae et civi- lium armorum expugnatis legionum hibernis etiam Gallias adfectavere; ac rursus inde pulsi proximis temporibus triumphati magis quam victi sunt. 38. Nunc de Suebis dicendum est, quo- rum non una, ut Chattorum Tenctero- rumve, gens; maiorem enim Germa- niae partem obtinent, propriis adhuc nationibus nominibusque discreti, quamquam in commune Suebi vocen- tur. Insigne gentis obliquare crinem nodoque substringere: sic Suebi a ce- teris Germanis, sic Sueborum ingenui a servis separantur. In aliis gentibus seu cognatione aliqua Sueborum seu, quod saepe accidit, imitatione, rarum et intra iuventae spatium; apud consolari del popolo romano, e anche ad Augusto [strapparono] Varo156 con le sue tre legioni; non impunemente157 li colpirono C. Mario in Italia, il divo Giulio in Gallia, Druso, Tiberio e Ger- manico presso le proprie terre: di re- cente le pesanti minacce di C. Cesare [divennero] ridicole farse. Da quel momento [ci fu] tranquillità, fino a quando nell’occasione dei nostri dis- sensi e delle lotte civili,158 espugnati d’inverno [gli accampamenti] delle le- gioni, pretesero anche la Gallia, e a propria volta [furono] cacciati; in ve- rità negli ultimi tempi ci furono [sui Germani] più trionfi159 che vittorie. 38. Ora si dovrà parlare dei Suebi,160 dei quali non [si esiste] un solo po- polo, come per i Catti e i Tencteri: essi occupano infatti la maggior parte della Germania, divisi inoltre in popola- zioni di diversi nomi, per quanto in generale vengano chiamati Suebi. Ca- ratteristica di questa gente [è] il pie- garsi di lato la chioma161 e stringerla in un nodo: così i Suebi sono distinti dagli altri Germani, e i Suebi liberi da- gli schiavi; presso gli altri popoli o per qualche parentela coi Suebi o, come 156 Varum: Cherusci, Bructeri, Catti e Marsi, guidati da Arminio, annientarono nel 9 d.C. le truppe di Quintilio Varo sorprese nella selva di Teutoburgo: tre legioni (ventotto in tutto l’impero, al tempo di Augusto), tre quadroni di cavalle- ria e sei coorti ausiliare. La conseguenza del disastro fu la rinuncia all’occupazione della Germania. I cinque eserciti consolari furono “sottratti” al popolo romano, le legioni di Varo a Cesare Augusto: la repubblica si era trasformata in impero. 157 nec impune: poi vennero le vittorie, pagate però a caro prezzo. Mario, insieme con Lutazio Catulo, annientò i Cimbri ai Campi Raudii, presso Vercelli, nel 101 a.C.; Cesare si scontrò con i Germani nel 58 (Ariovisto) e nel 55 (Usipeti e Tencteri); Druso e suo fratello Tiberio ebbero comandi militari in Germania negli anni tra il 12 a.C. e l’11 d.C. (Tiberio è qui chiamato Nero: era Tiberius Claudius Nero prima di essere adottato da Augusto, che aveva sposato sua madre Li- via); Germanico, figlio di Druso, operò in Germania tra il 14 e il 16 d.C. 158 occasione […] armorum: l’anarchia dell’anno 69, che vide sul trono Galba, Ottone, Vitellio e Vespasiano. Ne appro- fittò il batavo Giulio Civile per scatenare una rivolta antiromana. La forza conquistata dai ribelli (expugnantis hibernis) era Castra Vetera, presso Xanten. La rivolta fu domata nel 70 da Petilio Ceriale (HISTORIAE). 159 triumphati: allusione al trionfo di Domiziano sui Catti nell’83, trionfo giudicato “finto” da Tacito nell’AGRICOLA: sarebbero stati comprati per commercia individui da vestire e acconciare come prigionieri germani. 160 de Suebis: i Suebi per Tacito formano un raggruppamento di popolazioni situate tra l’Elba, estremo limite raggiunto ad est dai Romani, e la Vistola. 161 obliquare crinem: i capelli venivano raccolti in un nodo sulla tempia destra, formando il cosiddetto “cirro germa- nico”. 36 Suebos usque ad canitiem horrentem capillum retro sequuntur. Ac saepe in ipso vertice religatur; principes et or- natiorem habent. Ea cura formae, sed innoxia; neque enim ut ament amentu- rve, in altitudinem quandam et terro- rem adituri bella compti, ut hostium oculis, armantur. 39. Vetustissimos se nobilissimosque Sueborum Semnones memorant; fides antiquitatis religione firmatur. Stato tempore in silvam auguriis patrum et prisca formidine sacram omnes eiu- sdem sanguinis populi legationibus coeunt caesoque publice homine cele- brant barbari ritus horrenda primor- dia. Est et alia luco reverentia: nemo nisi vinculo ligatus ingreditur, ut mi- nor et potestatem numinis prae se fe- rens. Si forte prolapsus est, attolli et insurgere haud licitum: per humum evolvuntur. Eoque omnis superstitio respicit, tamquam inde initia gentis, ibi regnator omnium deus, cetera su- biecta atque parentia. Adicit auctori- tatem fortuna Semnonum: centum pagi iis habitantur magnoque corpore efficitur ut se Sueborum caput cre- dant. spesso accade, per imitazione, [tale] costume [è] raro e [riservato] alla gio- vinezza; i Suebi piegano indietro i ca- pelli irti fino alla vecchiaia, e spesso li legano al sommo della testa; i capi portano la chioma [molto] ornata.162 La loro [è] cura della bellezza, ma senza malizia; non infatti per amare o essere amati, [ma] per andare in guerra ornati di altezza e terrore, come se si adornassero per gli occhi dei ne- mici. 39. I Semnoni sono ricordati come i più antichi e nobili163 dei Suebi; la prova dell’antichità è confermata da un rito religioso. In un’epoca determi- nata, attraverso dei delegati, in una fo- resta sacra per i riti degli avi e per an- tico terrore, si raccolgono i popoli dello stesso sangue e dello stesso nome e celebrano il rito barbaro e or- rendo, con l’uccisione pubblico di un uomo. [C’è] un’altra reverenza per il bosco sacro: nessuno si introduce [nel bosco] se non chi [è] legato164 con lacci, come a dimostrare la superiorità del nume su di lui. Se per caso [qual- cuno] cade, non è lecito essere solle- vato o messo in piedi: [colui che è ca- duto] si trascina a terra. L’intero rito superstizioso guarda indietro, così per dire che di là [si trova] l’origine della stirpe, dove dio [è] governatore di ogni cosa, e le altre cose [sono] sog- gette e ubbidienti. La fortuna dei Sem- noni [ne] accresce l’autorità: abitano in cento villaggi e capita, per la grande moltitudine, che essi si credano la sommità dei Suebi. 162 principes […] habent: con l’aiuto di pomate fatto ex sebo et cinere si ottenevano delle “cotonature” in forma di cri- niera o di “aigrette”. 163 Vetustissimos […] Semnones: i Sènoni o Semnòni risiedevano a oriente dei Cherusci, tra l’Elba e l’Oder, nell’attuale Brandenburgo. 164 ligatus: come l’anello di ferro dei Chatti, indica sottomissione. 37 40. Contra Langobardos paucitas no- bilitat: plurimis ac valentissimis na- tionibus cincti non per obsequium, sed proeliis ac periclitando tuti sunt. Reu- digni deinde et Aviones et Anglii et Varini et Eudoses et Suardones et Nuithones fluminibus aut silvis mu- niuntur. Nec quicquam notabile in singulis, nisi quod in commune Ner- thum, id est Terram matrem, colunt eamque intervenire rebus hominum, invehi populis arbitrantur. Est in in- sula Oceani castum nemus, dicatum- que in eo vehiculum, veste contectum; attingere uni sacerdoti concessum. Is adesse penetrali deam intellegit vec- tamque bubus feminis multa cum ve- neratione prosequitur. Laeti tunc dies, festa loca, quaecumque adventu ho- spitioque dignatur. Non bella ineunt, non arma sumunt; clausum omne fer- rum; pax et quies tunc tantum nota, tunc tantum amata, donec idem sacer- dos satiatam conversatione morta- lium deam templo reddat. Mox vehi- culum et vestes et, si credere velis, nu- men ipsum secreto lacu abluitur. Servi ministrant, quos statim idem lacus haurit. Arcanus hinc terror sanctaque ignorantia, quid sit illud, quod tantum perituri vident. 40. Al contrario, la scarsezza nobilita i Longobardi:165 circondati da nume- rosi valenti popoli, non si proteggono attraverso la sottomissione ma cor- rendo pericoli di battaglie. Poi i Reu- digni, gli Avioni, gli Angli, i Varini, gli Eudosi, i Saurdoni, i Nuitoni166 sono difesi da fiumi e selve. Non [c’è] nulla di notabile in questi popoli, se non che celebrano il culto comune di Nerto,167 la madre Terra, e ritengono che [la dea Nerto] intervenga nelle questioni umane e sia trasportata [so- pra un occhio] in mezzo alle popola- zioni.168 In un’isola dell’Oceano c’è un bosco sacro e all’interno un carro votivo, ricoperto da un drappo; solo al sacerdote è concesso toccarlo. Egli comprende quando la dea si trova all’interno e con venerazione segue colei che è trasportata da gioven- che.169 Allora i giorni [sono] lieti, in festa i luoghi, presso i quali [la dea] si degna di andare e prendere dimora. [Gli abitanti] non vanno in guerra, non impugnano armi; ogni spada è messa via; allora [sono] note soltanto la pace e la quiete, amate soltanto allora, fino a quando lo stesso sacerdote riporta la dea nel tempio, sazia di conversazione con gli uomini. Dopo il carro e la veste e, se lo si vuole crede, la stessa dea vengono lavate in un lago segreto. Se ne occupano i servi, che lo stesso lago immediatamente inghiotte. Da ciò un 165 Langobardos: al tempo di Tacito erano stanziato sull’Elba, accanto ai Semnoni, ai Chauci e ai Cherusci. Ebbero i primi contatti con i Romani nel 5 d.C., al tempo della spedizione di Tiberio. 166 Reudigni […] Nuithones: sette nomi di popoli su cui lo scrittore verosimilmente non possiede informazioni precise. Erano stanziati forse fra l’odierno Schleswig-Holstein e lo Jutland, gli ultimi due nel Mecklemburgo. Gli Angli, insieme con i Sassoni e gli Juti, invaderanno nel V sec. la Britannia. 167 Nerthum: Nerthus corrisponde al dio scandinavo Njördhr, sposo e, sembra, fratello della dea: dall’unione dei due sarebbero nati Freyr e Freyja. Alcuni particolari del culto richiamano i rituali della Magna Mater Cibele a Roma: è pos- sibile che qualche dettaglio sia stato “romanizzato” dallo scrittore. 168 invehi populis: modellato sul virgiliano invehitur curru […] per urbes, detto della Gran Madre Cibele. (AEN., VI) 169 bubus feminis: anche il simbolo di Cibele veniva portato processionalmente fino all’Almone su un carro tirato da iunctae boves, per essere poi “lavato” nelle acque del piccolo affluente del Tevere durante la festa detta lavatio, al 27 marzo, nella cornice calendariale dei rituali che preparavano i Megalesia, la festa della Magna Mater. 40 memorant. Ea vis numini, nomen Al- cis. Nulla simulacra, nullum peregri- nae superstitionis vestigium; ut fra- tres tamen, ut iuvenes venerantur. Ce- terum Harii super vires, quibus enu- meratos paulo ante populos antece- dunt, truces insitae feritati arte ac tempore lenocinantur: nigra scuta, tincta corpora; atras ad proelia noc- tes legunt ipsaque formidine atque umbra feralis exercitus terrorem infe- runt, nullo hostium sustinente novum ac velut infernum adspectum; nam primi in omnibus proeliis oculi vin- cuntur. 44. Trans Lygios Gotones regnantur, paulo iam adductius quam ceterae Germanorum gentes, nondum tamen supra libertatem. Protinus deinde ab Oceano Rugii et Lemovii; omniumque harum gentium insigne rotunda scuta, breves gladii et erga reges obse- quium. Suionum hinc civitates ipso in Oceano praeter viros armaque classi- bus valent. Forma navium eo differt, quod utrimque prora paratam semper Naarvali. Presso i Naarvali si fa ve- dere un bosco di un antico rito reli- gioso. Un sacerdote presiede in abiti femminili, ma [i Narvaali] identifi- cano gli dèi Castore e Polluce181 con la congettura romana.182 Tale è il ca- rattere della divinità, il suo nome è Alci. Non [vi sono] statue, né tracce di riti stranieri; tuttavia vengono venerati come fratelli [e come] giovani. Ri- guardo agli altri, gli Arii sono supe- riori in forza rispetto a quelli nominati poco prima, truci favoriscono l’insita ferocia con l’artificio e il momento [adatto]: [hanno] gli scudi neri, il corpo tinto; in battaglia scelgono notti tenebrose e con l’orrore e l’ombra di un esercito ferale incutono terrore, poiché nessuno dei nemici si regge in piedi di fronte ad una visione straordi- naria e quasi infernale; in verità in tutte le battaglie sono vinti prima gli occhi. 44. Oltre [al paese de]i Lugi, stanno i Gotoni,183 serrati un po’ in più degli altri popoli germanici, non ancora tut- tavia al di sopra della libertà. Subito dopo, dall’Oceano,184 [stanno] i Rugi e i Lemoni; i segni distintivi di tutte queste genti [sono] gli scudi rotonde, le spade corte e l’ossequio al potere regio. In mezzo allo stesso Oceano185 vive la popolazione dei Suioni, [i quali] sono potenti con le flotte, oltre 181 Castorem Pollucemque: i Dioscùri, o figli di Zeus, soccorritori dei combattenti nelle battaglie e dei marinai nella tempesta. 182 interpretatione Romana: i Romani sono convinti che le divinità delle religioni straniere siano diverse da quelle ro- mane solo per il nome, ma che di fatto siano sostanzialmente identiche o affini. Pertanto, nei paesi stranieri si ricorre all’interpretatio romana: sulla base di determinate particolarità del culto o della figura divina riconosce nei numina stra- nieri le proprie divinità, e dà a quelli il nome di queste. (G. Wissowa) 183 Gothones: saranno poi chiamati Goti. Provenienti forse dalla Svezia meridionale, vivevano a oriente della Vistola, tra Varsavia e il mare. 184 ob Oceano: sulle rive del mar Baltico, tra le foci della Vistola e dell’Oder. 185 ipso in Oceano: la rassegna si sposta sulle popolazioni della penisola scandinava, ritenuta un’isola nel Baltico. Suio- nes era l’antico nome degli Svedesi. 41 adpulsui frontem agit. Nec velis min- istrantur nec remos in ordinem lateri- bus adiungunt: solutum, ut in qui- busdam fluminum, et mutabile, ut res poscit, hinc vel illinc remigium. Est apud illos et opibus honos, eoque unus imperitat, nullis iam exceptionibus, non precario iure parendi. Nec arma, ut apud ceteros Germanos, in promis- cuo, sed clausa sub custode, et quidem servo, quia subitos hostium incursus prohibet Oceanus, otiosae porro ar- matorum manus facile lasciviunt. Enimvero neque nobilem neque inge- nuum, ne libertinum quidem armis praeponere regia utilitas est. 45. Trans Suionas aliud mare, pigrum ac prope inmotum, quo cingi cludique terrarum orbem hinc fides, quod ex- tremus cadentis iam solis fulgor in or- tus edurat adeo clarus, ut sidera hebe- tet; sonum insuper emergentis audiri formasque equorum et radios capitis adspici persuasio adicit. Illuc usque (et fama vera) tantum natura. Ergo iam dextro Suebici maris litore Ae- stiorum gentes adluuntur, quibus ritus habitusque Sueborum, lingua Britan- nicae propior. Matrem deum che per uomini e armi. La forma delle [loro] imbarcazioni differisce dalle al- tre, perché da entrambi le parti [della nave] la prora offre sempre la fronte predisposta all’approdo. [I Suioni] non sono governati dalle vele, né di- spongono i remi in fila sui fianchi: il remeggio è sciolto, come sopra alcuni fiumi, e mutabile,186 affinché si possa [remare] da un lato come da un altro. Onorevoli sono le ricchezze presso i Suioni, e perciò187 un solo uomo go- verna, senza alcun limite, senza preca- rio diritto all’obbedienza. Non [ci sono] armi per tutti, come presso gli altri Germani, ma esse [sono] chiuse sotto sorveglianza, e per di più di uno schiavo, perché l’Oceano impedisce le improvvise incursioni dei nemici, [e perché] schiere di armati oziosi facil- mente si danno all’insolenza: infatti non è utile per il potere regio affidare la custodia delle armi né a un nobile, né a un uomo libero, né a un liberto. 45. Al di là delle regioni dei Suioni [c’è] un altro mare, stagnante e quasi immobile,188 dal quale [c’è] la cre- denza che la terra [sia] da questo punto circondata e racchiusa,189 per- ché l’ultimo fulgore del sole che tra- monta perdura fino al [suo] sorgere così chiaro [ndr., il fulgore] che oscura le stelle; una credenza afferma che si oda una musica190 quando [il sole] emerge e che si scorgano le 186 mutabile […] remigium: non si riferisce alla possibilità di invertire la direzione, ma alla possibilità di spostare i remi ora sull’uno ora sull’altro fianco dell’imbarcazione. 187 eoque: Tacito vede pessimisticamente, con l’occhio alla Roma del suo tempo, un preciso rapporto di causa ed effetto tra l’avidità di ricchezza e il dispotismo. I Germani, liberi fino all’anarchia, non apprezzavano il denaro. 188 mare […] inmotum: il mar glaciale Artico, o il golfo di Botnia. 189 cingi […] orbem: Tacito immagina la terra come un disco convesso, limitato dall’oceanus exterior e dal mare pi- grum. 190 sonum: la credenza popolare era che il sole, tramontando, scendesse nel mare con lo sfrigolio di un ferro rovente 42 venerantur. Insigne superstitionis for- mas aprorum gestant: id pro armis omniumque tutela securum deae cul- torem etiam inter hostis praestat. Ra- rus ferri, frequens fustium usus. Fru- menta ceterosque fructus patientius quam pro solita Germanorum inertia laborant. Sed et mare scrutantur, ac soli omnium sucinum, quod ipsi glesum vocant, inter vada atque in ipso litore legunt. Nec quae natura, quaeve ratio gignat, ut barbaris, quaesitum compertumve; diu quin etiam inter cetera eiectamenta maris iacebat, donec luxuria nostra dedit nomen. Ipsis in nullo usu; rude legi- tur, informe profertur, pretiumque mi- rantes accipiunt. Sucum tamen arbo- rum esse intellegas, quia terrena quaedam atque etiam volucria anima- lia plerumque interlucent, quae impli- cata umore mox durescente materia cluduntur. Fecundiora igitur nemora lucosque sicut Orientis secretis, ubi tura balsamaque sudantur, ita Occi- dentis insulis terrisque inesse credide- rim, quae vicini solis radiis expressa atque liquentia in proximum mare la- buntur ac vi tempestatum in adversa litora exundant. Si naturam sucini forme dei cavalli191 e l’aureola sul capo.192 Soltanto fino a questo punto, affermazione vera, [arriva] il mondo.193 Dunque ora,194 dalla parte orientale del mare dei Suebi sono ba- gnati gli Esti,195 per i quali il modo di vivere [è simile a quello] dei Suebi, la lingua dei Britanni. Venerano la ma- dre degli dèi.196 In segno di culto por- tano oggetti in forma di cinghiali: que- sti, in luogo di armi, assicurano il cul- tore della dea, come difesa contro tutti i pericoli, anche in mezzo ai nemici. Raramente [c’è] l’uso di spade, fre- quente [è l’uso] di bastoni. Coltivano il grano e gli altri prodotti con mag- giore pazienza rispetto alla consueta inerzia dei Germani; ma esplorano an- che il mare, e soli fra tutti raccolgono l’ambra,197 che essi chiamano “gleso”,198 nei bassifondi e nella stessa spiaggia.199 Quale natura o quale causa lo generi, come barbari, essi non lo cercano né conoscono; a lungo infatti giaceva tra le altre cose che il mare getta sulla spiaggia, fino a quando la nostra lussuria gli diede un nome. Per loro non [ce n’è] uso:200 raccolgono [il gleso] in stato grezzo, viene portato informe e stupefatti 191 formasque equorum: immagine convenzionale del sole che guida la quadriga, vista come simbolo dei quattro ele- menti. 192 radios capitis: il sole, Helios, era rappresentato con la corona radiata. 193 Illuc […] natura: cfr. a Seneca il Vecchio, SUASORIA. 194 Ergo iam: trapasso ellittico da intendere così: “poiché qui termina il mondo e verso nord non c’è altro, passo dalla sponda sinistra a quella destra del mar Baltico. Dunque, ora…” 195 Aestiorum gentes: gli antenati dei Baltici (antichi prussiani, lituani, lettoni). Il nome continua nell’attuale “Estoni”. 196 Matrem deum: una dea del tipo Nerthus-Freyja, assimilata alla Magna Mater Cibele secondo l’interpretatio romana: anche i seguaci di Cibele portavano amuleti e talismani teriomorfi. 197 sucinum: da sucus arborum, secondo Plinio, era il nome latino dell’ambra, detta anche, con prestito greco, electrum. 198 glesum: da collegare al tedesco Glas, “vetro”. 199 inter vada […] legunt: Il promontorio del Samland, a nord della Prussia Orientale, e tutta la costa del Baltico, fra l’Oder e l’Elba, erano e sono tuttora una riserva ricchissima del tipo più pregiato di resina fossile, formatasi nelle foreste di specie resinose sepolte nel terziario accanto alla cosa. Gli antichi ignoravano l’estrazione mineraria dell’ambra, e si limitavano a raccogliere (legunt) sulle cose i grumi di materia lavorata e levigata dal mare che li getta sulla spiaggia. In età imperiale l’ambra viene lavorata specialmente per ricavarne contenitori da toilette, impugnature, ecc., per profu- marsi le dita strofinandola e come rimedio per alcune malattie. 200 ipsis in nullo usu: in realtà, come dimostrato dai ritrovamenti archeologici, l’ambra fu usata per manufatti d’orna- mento fin dalla preistoria, anche presso i popoli germanici.
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