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Teatro, Spettacolo e Performance (A-L) - Raimondo Guarino DAMS Roma Tre, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

In questo documento potrete trovare TUTTI i riassunti dei libri che il professore Raimondo Guarino chiede di studiare per il suo esame.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 11/05/2020

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Scarica Teatro, Spettacolo e Performance (A-L) - Raimondo Guarino DAMS Roma Tre e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! 1 IL TEATRO E IL SUO DOPPIO DI ARTAUD Prefazione di Jacques Derrida: “la danza, e di conseguenza il teatro, non hanno ancora cominciato ad esistere” sono le parole che si possono leggere in uno degli ultimi scritti di Artaud. Il teatro della crudeltà non è una rappresentazione, è la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile: la vita è l’origine non rappresentabile della rappresentazione. Vita che porta l’uomo ma che non è in primo luogo la vita dell’uomo; l’uomo non è che una rappresentazione della vita e tale è il limite del teatro classico: “il teatro deve farsi uguale alla vita, non alla vita individuale, a quell’aspetto individuale della vita in cui trionfano i caratteri, ma a una sorta di vita liberata, che spazza via l’individualità umana e in cui l’uomo non è più che un riflesso.” Come Nietzsche, Artaud vuole rompere con la concezione imitativa dell’arte: “l’arte non è l’imitazione della vita, ma la vita è l’imitazione di un principio trascendente col quale l’arte ci rimette in comunicazione.” L’arte teatrale deve essere il luogo primordiale e privilegiato di questa distruzione dell’imitazione perché più delle altre arti porta il segno di questo sforzo di rappresentazione totale. Il teatro della crudeltà espelle Dio dalla scena, non mette in scena un discorso ateo o filosofico sulla morte di Dio, ma produce uno spazio non teologico: la scena è teologica finché resta dominata dalla parola e finché la sua struttura comporta un autore-creatore di cui la rappresentazione rappresenti le idee ed i pensieri attraverso dei rappresentanti, come registi e attori; infine, un pubblico passivo e seduto che assiste ad uno spettacolo privo di volume e profondità autentici. Questa struttura generale non è mai stata modificata e tutte le rivoluzioni l’hanno lasciata intatta, hanno anzi quasi sempre mirato a proteggerla o a restaurarla. Per quanto rilievo possano assumere, tutte le forme pittoriche, musicali e gestuali introdotte nel teatro occidentale non fanno altro, nel migliore dei casi, che illustrare, accompagnare o abbellire un testo. Agli occhi di Artaud, il teatro classico non è solo l’assenza, la negazione o l’oblio del teatro, non è un non-teatro ma piuttosto una corruzione, una seduzione o lo scarto di un’aberrazione; è di perversione che parla Artaud, non di oblio. Artaud afferma che con il termine “crudeltà” non bisogna intendere necessariamente “sadismo” o “orrore”, ma soprattutto “rigore”, “determinazione” e “sottomissione alla necessità” (alcuni spettacoli di Artaud sono molto sanguinosi ma non per questo sono crudeli). Nel teatro della crudeltà la parola non sparirà, sarà presente ma cesserà di dominare la scena, avrà una funzione specifica e delimitata. L’assenza dell’autore e del suo testo non lascia la scena abbandonata perché tutto verrà studiato in partenza; il regista e l’attore non riceveranno più un dettato perciò è la fine anche della dizione che faceva del teatro un esercizio di lettura. La parola e la scrittura ridiventeranno gesti e bisognerà ritrovare “la Parola che è prima delle parole”. Artaud parla di una materializzazione visuale e plastica della parola e di servirsi della parola in un senso concreto e spaziale, di manipolarla come un oggetto solido e che smuove le cose. Con il termine “linguaggio” non si deve intendere soltanto l’espressione del pensiero in parole, ma anche il linguaggio gestuale e qualsiasi altra specie di espressione dell’attività psichica, come la scrittura. Artaud descrive il gioco della parola e della scrittura nella scena della crudeltà negli stessi termini di Freud nella sua interpretazione dei sogni, ma prende le distanze dalla psicoanalisi e dallo psicanalista perché il teatro della crudeltà è sì un teatro del sogno, ma di un sogno crudele. Senza dubbio è estraneo al teatro della crudeltà di Artaud: qualsiasi teatro non sacrale; qualsiasi teatro astratto che escluda qualche cosa dalla totalità dell’arte come musica, danza, volume, profondità, ecc. Un teatro astratto è un teatro in cui non si manifestala totalità del senso e dei sensi, ma non basta accumulare tutte le arti per creare un teatro totale che si rivolga all’uomo totale; qualsiasi teatro che dia un primato alla parola o al verbo; qualsiasi teatro della distanziazione, ossia la non partecipazione degli spettatori, dei registi e degli attori all’atto creatore (nel teatro della crudeltà lo spettatore è al centro, mentre lo spettacolo lo circonda). Non c’è più spettatore né spettacolo, c’è una festa e tutte le frontiere che attraversano la teatralità classica (rappresentato/rappresentante, significato/significante, autore/regista/attori/spettatori, scena/sala, testo/interpretazione, ecc.) erano sintomi della paura di fronte al pericolo della festa. La festa della crudeltà 2 toglie ribalte e ripari e Artaud dice che gli occorrono attori che siano prima di tutto esseri umani, cioè che sulla scena non abbiano paura della sensazione vera di una coltellata, per loro assolutamente reale; qualsiasi teatro non politico, infatti la festa deve essere un atto politico e non la trasmissione pedagogica di un concetto o una visione politico-morale del mondo; qualsiasi teatro ideologico, di cultura, di comunicazione e di interpretazione che cerchi di trasmettere un contenuto, di infondere un messaggio (quale che ne sia la natura, politica, religiosa, psicologica, ecc.). Il teatro della crudeltà, oltre ad essere uno spettacolo senza spettatori, è anche una parola senza uditorio. La ripetizione era il male secondo Artaud e quindi la dissolve in generale; questa potenza della ripetizione ha vari nomi: Dio, l’Essere, la Dialettica. Artaud decide di chiamare il suo libro Il teatro e il suo doppio perché se la vita doppia il teatro, il teatro doppia la vera vita. Per Artaud la festa della crudeltà non dovrebbe avere luogo che una volta. Questi erano tutti i temi dell’infedeltà verso Artaud e da essi si capisce che la fedeltà è impossibile, infatti non c’è oggi un teatro nel mondo che risponda al desiderio di Artaud. Nota bio-bibliografica: per quanto riguarda la vita di Artaud non si sa molto, un po' perché avvolti dall’oscurità della natura stessa delle sue vicende (viaggi, periodi di internamento in clinica) e un po' perché, nelle sue lettere, fonte principale delle informazioni sulla sua biografia, non si capisce quali siano le parti del mito o dell’invenzione; sulle testimonianze dirette di amici e collaboratori pesa il fascino esercitato dal pensiero di Artaud e dalla sua personalità. La situazione è analoga dal punto di vista bibliografico. Antonin Artaud nasce a Marsiglia il 4 settembre 1896 da una famiglia di commercianti. Della sua infanzia pare non gli piacesse parlare infatti non si sa molto. Intorno al 1915 fu colto dai primi dolori di origine nervosa così passò del tempo in alcuni luoghi di cura e le sue condizioni migliorarono, così, sotto consiglio dei medici, si trasferì a Parigi dove collaborò a lungo con la Nouvelle Revue Francaise e recitò alla Comedie des Champs-Elysees sotto la direzione di Hebertot. Tra il 1922 e il 1923 lavorò con Dullin per il Theatre de l’Atelier e successivamente aderì al movimento surrealista, dal quale poi venne espulso. Nel 1927 ebbero inizio le prove del Theatre Alfred Jarry con Vitrac e in quegli anni, Artaud si dedicò anche al cinema ma ricominciarono anche i dolori fisici e psichici accompagnati dall’assunzione di oppio. Nel 1931 poté assistere ad una rappresentazione del Teatro Balinese e ne trasse la rivelazione di una dimensione completamente nuova e diversa del teatro. Per tentare una sperimentazione delle sue idee sul teatro Artaud si decise a scrivere un testo drammatico completo: I Cenci, tragedia in quattro atti che andò in scena per la prima volta nel 1935 con Artaud come regista e protagonista, ma che fu un insuccesso. L’anno successivo si imbarcò alla volta del Messico alla ricerca di un’esperienza decisiva. Una volta rimpatriato, si orientò verso l’astrologia, i tarocchi e le conoscenze esoteriche e tutto questo lo portò a compiere un viaggio in Irlanda (credeva che il suo bastone fosse appartenuto a San Patrizio, patrono irlandese), al ritorno dal quale fu rinchiuso in manicomio per nove anni. Nel 1946 fu rilasciato e continuò a scrivere e a disegnare. Morì il 4 marzo 1948 a Ivry. Il Teatro Alfred Jarry: 1926. Il teatro è un’arte interamente fondata su un potere d’illusione e il teatro ideale è qual luogo da cui gli spettatori escono scossi e sconvolti dal dinamismo interno dello spettacolo, l’illusione non si fonderà più sulla verosimiglianza o l’inverosimiglianza dell’azione, ma sulla forza comunicativa e la realtà di quest’azione. Primo anno – Stagione 1926-27. Uno spettacolo che si ripete ogni sera sempre uguale non ottiene più il consenso del pubblico, bisogna che esso creda a ciò che vede, che lo spettacolo sia unico e sembri irripetibile come qualunque atto nella vita vera. Bisogna che lo spettatore abbia la sensazione che davanti a lui si rappresenta una scena della sua stessa esistenza. Il teatro è qualcosa di imponderabile che non si adatta al progresso. Stagione 1928. Il Teatro Alfred Jarry si rivolge a tutti coloro che nel teatro non vedono uno scopo ma un mezzo, infatti il teatro non sarà più quella cosa chiusa, limitata entro lo spazio ristretto del palcoscenico, ma tenderà ad essere veramente un atto: un lavoro o una 5 tutti i mezzi di espressione utilizzabili su un palcoscenico, come la musica, la danza, la plastica, la pantomima, la mimica, la gesticolazione, le intonazioni, l’architettura, l’illuminazione e la scenografia. Una forma di questa poesia spaziale è propria del linguaggio dei segni e dei gesti, tipico delle pantomime non pervertite, ossia la pantomima diretta, in cui i gesti, invece di rappresentare parole o frasi, rappresentano idee ed atteggiamenti in modo concreto ed effettivo. Nel teatro contemporaneo ad Artaud, questo linguaggio di segni e di mimica, questa pantomima silenziosa, questi atteggiamenti, questi gesti, queste intonazioni, tutto questo è ciò che egli considera teatrale nel teatro. Artaud dice che un teatro che subordini regia e spettacolo, ossia tutto ciò che in esso c’è di teatrale, al testo, è un teatro di pazzi, o meglio di occidentali, infatti è la regia a costituire teatro molto più che il testo scritto e parlato. Egli sa perfettamente che gesti, atteggiamenti, musica e danza sono meno efficaci per illustrare il carattere di un personaggio, raccontare i pensieri ed esporre gli stati d’animo rispetto al linguaggio verbale, ma il teatro non è fatto solo per illustrare la psicologia dei personaggi. Il teatro contemporaneo è in decadenza perché ha perduto da una parte il senso del serio, dall’altra quello del comico e dell’autentico umorismo. Il teatro occidentale è di tipo psicologico, mentre quello orientale è di tipo metafisico; fare la metafisica del linguaggio, dei gesti, della scenografia, della musica dal punto di vista teatrale significa considerarli in rapporto a tutti i modi in cui possono entrare in contatto col tempo e con il movimento; fare la metafisica del linguaggio articolato (dialogo) significa indurlo ad esprimere ciò che di solito non esprime, significa servirsene in modo nuovo, eccezionale, significa ribellarsi al linguaggio. Il teatro alchimistico: sia l’alchimia, sia il teatro sono arti virtuali, tali da non contenere in sé stesse né il loro obiettivo né la loro realtà. Tutti i veri alchimisti sanno che il simbolo alchimico è un miraggio come lo è il teatro. Se si pone la questione delle origini del teatro, troviamo da un lato, quello metafisico, l’esteriorizzazione di una sorta di dramma essenziale che contiene i principi essenziali di ogni dramma. Sul teatro Balinese: lo spettacolo del teatro Balinese, fatto di danza, di canto, di pantomima, e pochissimo di psicologia, riporta il teatro ad un piano di creazione autonoma e di sgomento. I Balinesi realizzano con estremo rigore l’idea di teatro puro, in cui tutto vale ed esiste esclusivamente nella misura in cui si oggettiva la scena e mostrano anche l’assoluta preponderanza del regista, la cui capacità creativa elimina le parole. I temi sono vaghi, astratti, estremamente generici. Il linguaggio utilizzato non è la lingua parlata ma il linguaggio teatrale composto da musica, gesti, movimenti e anche parole, inoltre non esiste transizione tra gesto, suono e grido, tutto si fonde insieme. I gesti rituali obbediscono ad indicazioni musicali ben precise. È un teatro che elimina l’attore a profitto del regista e negli spettacoli del teatro Balinese c’è qualcosa che supera il divertimento, cioè quel carattere di passatempo inutile ed artificioso tipico del teatro occidentale; lo spazio scenico è utilizzato in tutte le sue dimensioni e su tutti i piani possibili; il suono è la rappresentazione di un’altra cosa. Teatro orientale e teatro occidentale: la novità del teatro Balinese è stata quella di rivelare un’idea fisica e non verbale del teatro, secondo la quale quest’ultimo sta entro i limiti di tutto ciò che può avvenire sul palcoscenico indipendentemente dal testo scritto. Per gli occidentali la parola a teatro è tutto e non esiste possibilità d’espressione all’infuori di essa; il teatro è un ramo della letteratura, una sorta di applicazione sonora del linguaggio. L’idea della supremazia della parola nel teatro è talmente radicata che esso di appare un semplice riflesso materiale del testo e tutto ciò che a teatro va oltre il testo, che non rimane entro i suoi limiti e non ne è condizionato, sembra appartenere al campo della regia, considerata come qualcosa di inferiore rispetto al testo. Data questa soggezione del teatro alla parola, ci si chiede se il teatro non possegga un linguaggio proprio e, ammesso che esso esista, si identificherà con lo spettacolo inteso come materializzazione visuale e plastica della parola e come il linguaggio di tutto ciò che si può dire e rappresentare su un palcoscenico indipendentemente dalla parola, di tutto ciò che trova espressione nello 6 spazio o che può venirne influenzato o disgregato. Considerando questo linguaggio dello spettacolo il linguaggio teatrale puro, bisogna capire se può aspirare allo stesso obiettivo della parola e del linguaggio articolato, ossia se è in grado di far pensare. Il teatro deve rompere con l’attualità, il suo scopo non è di risolvere conflitti sociali o psicologici (come nel teatro occidentale), ma di esprimere obiettivamente verità segrete. Non si tratta di sopprimere a teatro la parola, ma di modificarne la funzione e soprattutto di ridurne l’importanza. Basta con i capolavori: bisogna farla finita con questa idea dei capolavori riservati ad una presunta élite e incomprensibili alla folla; i capolavori del passato vanno bene per il passato, ma non per il presente. È stupido rimproverare alle masse di non avere il senso del sublime, infatti se la folla contemporanea non capisce più Edipo re, Artaud dice che è di Edipo re la colpa e non della folla, Sofocle dice forse cose sublimi, ma in un modo che non è del tempo di Artaud. Bisogna riconoscere che ciò che è stato detto non è più da dire perché appartenente ad epoche estinte e destinate a non tornare mai più; un’espressione non vale due volte e ogni parola pronunciata è morta, un po' come nel teatro che è il solo luogo al mondo dove un gesto fatto non si ricomincia due volte. Se la folla non accorre ai capolavori letterari è perché essi, essendo letterari, sono congelati nel tempo e in forme che non corrispondono più al tempo presente. Se la folla si è disabituata ad andare a teatro, se tutti sono arrivati a considerare il teatro un’arte inferiore, un mezzo volgare di distrazione e di sfogo, ciò accade perché è stato troppo spesso ripetuto che era teatro, ossia menzogna ed illusione, e perché ci si è ingegnati a far vivere sulla scena degli esseri plausibili ma distaccati, con lo spettacolo da una parte ed il pubblico dall’altra (lo stesso Shakespeare è responsabile di questa decadenza del teatro). Per questo Artaud propone un teatro della crudeltà, che non va inteso come “sangue”, ma piuttosto come un teatro difficile e crudele prima di tutto per l’autore stesso e in cui lo spettatore è al centro, mentre lo spettacolo lo circonda; fondamentali sono i suoni e le luci e il teatro è ben lontano dal voler copiare la vita. Il teatro e la crudeltà: un’idea di teatro si è perduto ed è normale che l’élite lo abbandoni e che le masse vadano a cercare nel cinema, nella rivista e nel circo soddisfazioni capaci di non deludere. La lunga abitudine agli spettacoli di evasione ha fatto dimenticare al pubblico l’idea di un teatro serio. Nel primo manifesto del Teatro della Crudeltà, si afferma di voler ricorrere allo spettacolo di massa, facendo del teatro una realtà alla quale si possa credere, uno spettacolo totale, in cui il teatro riprenda il cinema, il music-hall, il circo e la vita stessa. Il teatro, perché esige l’espressione nello spazio, permette all’arte e alle parole di agire nella loro totalità, perciò non si potrà tornare al teatro precedente se prima non gli verrà reso il suo linguaggio: invece di tornare a testi ritenuti sacri bisogna spezzare la soggezione del teatro al testo per ritrovare la nozione di un linguaggio a metà tra gesto e pensiero. Il teatro deve ricercare con tutti i mezzi una riaffermazione non soltanto di tutti gli aspetti del mondo oggettivo e descrittivo esterno, ma anche del mondo interiore. Intorno alla regia, intesa non come semplice specchio di un testo sulla scena, ma come punto di partenza di qualsiasi creazione teatrale, si costituirà il linguaggio tipico del teatro. Solo nell’impiego di questo linguaggio scomparirà l’antico dualismo tra autore e regista, sostituiti da una sorta di creatore unico a cui spetterà la doppia responsabilità dello spettacolo e dell’azione. Il linguaggio cifrato e la trascrizione musicale saranno preziosi come mezzi per trascrivere le voci e le intonazioni devono costituire una sorta di armonioso equilibrio; i gesti simbolici, le maschere, gli atteggiamenti, i movimenti individuali o d’insieme i cui significati costituiscono una parte importante del linguaggio concreto del teatro saranno raddoppiati. Gli strumenti musicali saranno usati come oggetti e come elementi scenografici. La scena e la sala vengono soppresse in favore di una sorta di luogo unico senza divisioni e non ci sarà scenografia, basteranno a tal fine i personaggi, i costumi, gli strumenti e gli oggetti di scena. L’attore è un elemento di primaria importanza perché dall’efficacia della sua interpretazione dipende il buon esito dello spettacolo. 7 Senza un elemento di crudeltà alla base di ogni spettacolo, non esiste teatro. Il teatro, arte autonoma ed indipendente, per risorgere, o anche soltanto per vivere, deve sottolineare ciò che lo differenzia dal testo, dalla parola pura, dalla letteratura e da ogni altro mezzo scritto. Nel teatro orientale non esiste un linguaggio della parola, ma un linguaggio dei gesti, degli atteggiamenti, dei segni e ha lo stesso valore comunicativo dell’altro. Nel secondo manifesto, viene ribadito che il Teatro della Crudeltà è nato per restituire al teatro un’appassionata concezione di vita, esso sceglierà temi e soggetti cosmici ed universali che corrispondano all’agitazione e all’inquietudine tipiche dell’epoca e saranno portati direttamente in scena e materializzati in gesti, movimenti ed espressioni, prima di essere filtrati in parole; il teatro si rivolgerà all’uomo totale, non all’uomo sociale sottomesso alle leggi. Le immagini ed i movimenti non saranno usati soltanto per il piacere esteriore degli occhi o delle orecchie, ma anche e soprattutto per quello più segreto dello spirito e silenzi, grida e ritmi condurranno alla creazione di un autentico linguaggio fisico fondato sui segni e non sulle parole. Il primo spettacolo del Teatro della Crudeltà avrà per titolo La Conquete du Mexique e metterà in scena avvenimenti, non persone; questo argomento è stato scelto per la sua attualità e per tutte le possibili allusioni a problemi di vitale importanza per l’Europa e per il mondo perché, da un punto di vista storico, questo spettacolo pone il problema della colonizzazione e pone anche, implicitamente, il problema della superiorità di certe razze su altre, inoltre, di fronte al disordine della monarchia europea del tempo, pone in luce la monarchia azteca basata su principi spirituali: ci sono anzitutto le lotte interiori di Montezuma, il tormentato re di cui non si sa molto accanto al quale c’è la folla, i diversi strati sociali, la rivolta del popolo. Un’atletica affettiva: l’attore è simile ad un vero e proprio atleta fisico, ma all’organismo atletico corrisponde in lui un organismo affettivo, parallelo all’altro e quasi il suo doppio: l’attore è un atleta del cuore perché è con esso che pensa. Quando l’atleta si appoggia per correre, l’attore si appoggia per urlare una battuta, quindi la sua corsa è proiettata verso l’interno. Il corpo dell’attore è sostenuto dal respiro, il respiro del lottatore o dell’atleta si sostiene sul corpo; più la recitazione è sobria e contenuta, più il respiro è ampio e denso, viceversa a una recitazione impetuosa corrisponde una respirazione ad ansiti brevi; è certo che ad ogni sentimento, ad ogni movimento dello spirito, corrisponde un respiro che gli è proprio. Il respiro ha sempre tre tempi ed è accompagnato dallo sforzo e può essere maschio o femmina (più raramente androgino). Il Teatro di Seraphin era un teatro di ombre cinesi introdotto a Parigi nel 1781 e attivo fino al 1870. Artaud espresse la sua ammirazione verso le forme orientali di teatro, in particolare quello balinese. L'ammirazione ispiratagli dalla fisicità ritualizzata e codificata della danza balinese gli ispirò le teorie esposte nei due manifesti del Teatro della Crudeltà. Per crudeltà non intendeva sadismo, o causare dolore, ma intesa come pura catarsi. Per poter giungerla, si deve ricorrere a tutto ciò che possa disturbare la sensibilità dello spettatore, provocando in lui una sensazione acuta di disagio interiore per cui vivesse con agitazione tutta la rappresentazione proposta. Artaud riteneva che il testo avesse finito con l'esercitare una tirannia sullo spettacolo, ed in sua vece spingeva per un teatro integrale, che comprendesse e mettesse sullo stesso piano tutte le forme di linguaggio, fondendo gesto, movimento, luce e parola. "Il teatro è prima di tutto rituale e magico", scriveva Artaud, "non è una rappresentazione. È la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile". 10 didattiche come quello epico. Questi teatri erano legati a tendenze delle loro epoche e decaddero col passare di esse, perciò il teatro epico moderno, che anch’esso ha le sue particolari tendenze, non può sorgere dappertutto: solo in pochi luoghi e per poco tempo sono esistite condizioni favorevoli alla nascita del teatro epico con fini pedagogici perché le grandi città come Londra, Berlino, Parigi, Roma, Tokio, ecc. non tendono a discutere i loro problemi sulla scena teatrale, hanno tutt’altri scopi. Effetti di straniamento nell’arte scenica cinese: si tendeva a far recitare gli attori in maniera da rendere impossibile allo spettatore immedesimarsi sentimentalmente con i personaggi del dramma. Lo sforzo di creare un distacco tra il pubblico e gli avvenimenti rappresentati si poteva già iniziare a riscontrare nelle recite teatrali delle vecchie fiere popolari (es. il modo di parlare dei clown da circo e il modo di dipingere dei baracconi da fiera provocavano un’azione di straniamento). L’effetto di straniamento sulla scena cinese si ottiene grazie all’ uso di una grande quantità di simboli (es. certi gesti delle mani indicano lo spalancarsi di una porta), perché l’attore cinese non recita come se esistesse una quarta parete, anzi sottolinea la sua consapevolezza di esser visto, inoltre l’artista si guarda, guarda le sue braccia e le sue gambe, misura lo spazio di cui dispone per la sua esibizione, separa la mimica dalla gestica e il comportamento del corpo di rispecchia nell’espressività del viso che è come un foglio bianco sul quale l’attore può scrivere il gesto del corpo. L’attore si sforza di sembrare strano e sorprendente allo spettatore e ci riesce considerando da estraneo sé stesso e la sua esibizione. L’attore contempla sé stesso, compie un atto di auto straniamento, che impedisce allo spettatore l’immedesimazione totale, essa avviene sotto un’altra forma: l’osservatore si immedesima nell’attore in quanto essere che osserva. Agli occidentali, la tecnica teatrale cinese può sembrare fredda, ma in realtà l’artista cinese rappresenta vicende sentimentali e passionali che però si guarda bene di imporre al pubblico. L’attore occidentale fa di tutto per avvicinare, e quindi far immedesimare, il più possibile lo spettatore alle vicende e ai personaggi da rappresentare. Questa azione ti totale metamorfosi è però molto faticosa e, col tempo, si riduce ad una semplice imitazione esteriore di atteggiamenti, con conseguente indebolimento dell’effetto sul pubblico, perciò Stanislawskij crea un sistema per cui ogni volta l’attore deve essere in grado di ricostruire da capo il suo personaggio. L’artista cinese, invece, non conosce simili difficoltà, egli rinuncia alla metamorfosi totale e si limita a citare il proprio personaggio. Il far riemergere ogni sera determinate emozioni o stati d’animo, costituisce per l’artista un grave sforzo, mentre è molto più semplice eseguire i segni esteriori che accompagnano tali emozioni; con ciò ovviamente, non si trasferiscono queste emozioni allo spettatore, anche perché attraverso i segni esteriori l’attore non crea davvero dentro di sé l’emozione da rappresentare, ma agevola dentro di sé il sentimento. L’effetto di straniamento non si basa su una recitazione artificiosa, anzi al contrario dipende proprio dalla fluidità e naturalezza sulla scena. L’artista cinese non si trova in stato di trance, come gli artisti occidentali, ed in ogni momento può essere interrotto senza perdere il filo, infatti dopo l’interruzione riprenderà a recitare dal punto dove si era interrotto, questo perché non lo si è interrotto nel momento in cui plasmava il suo personaggio (come capiterebbe se si interrompesse un attore occidentale), questo era già nato quando egli si era presentato alla ribalta. Nel teatro tedesco, la tecnica dello straniamento è stata sviluppata in modo indipendente rispetto all’arte scenica asiatica: esso veniva provocato, nel teatro epico tedesco, non solo per mezzo degli attori, ma anche della musica e della scenografia (cartelli, proiezioni, ecc.). Un teatro nuovo dovrà perciò avvalersi dell’effetto di straniamento. La scena di strada: dopo la guerra mondiale, alcuni teatri tedeschi sperimentarono un tipo di recitazione relativamente nuova che si chiamò epica. L’attore si distanziava dal personaggio raffigurato e presentava le situazioni drammatiche in una prospettiva tale che lo spettatore veniva portato a considerarle in modo cristico. I partigiani di questo teatro epico sostenevano che così la comprensione dei nuovi temi, come quello dei processi delle lotte di classe, sarebbe stata facilitata. Brecht fa un esempio molto semplice di 11 teatro epico elementare: un testimone oculare di un incidente stradale mostra ad un gruppo di persone come è andata la vicenda e, sia che rappresenti il comportamento dell’autista, sia del pedone investito o addirittura di entrambi, deve farlo in modo che gli altri si facciano un’opinione sull’incidente. Non che il relatore imiti per intero il comportamento dei suoi personaggi, ma solo quel tanto che permette agli astanti di farsi un’immagine del fatto. Si deve riconoscere però che all’imitazione ci sono dei limiti, essa infatti è un riassunto, o meglio uno scorcio. In teatro, l’attore deve restare dimostratore, ossia deve rendere il personaggio rappresentato come una persona a lui estranea, non deve trasformarsi completamente nella persona che dimostra; non dimentica mai, e non permette allo spettatore di dimenticare, che egli non è la persona rappresentata, ma colui che la rappresenta: semplicemente le opinioni e le reazioni di colui che rappresenta e di colui che viene rappresentato sono fatte coincidere. Nella scena di strada, che è una dimostrazione, manca l’illusione, ha carattere di ripetizione, infatti il dimostratore ripete ciò che è accaduto e lo fa in modo naturale. Uno degli elementi fondamentali del teatro epico, che è utile anche nell’esempio della scenetta in strada, è l’effetto di straniamento, che ha lo scopo di permettere allo spettatore una critica efficace dal punto di vista sociale. Il teatro epico ha il suo modello all’angolo di una strada, nel senso che si riferisce agli elementi più semplici del teatro naturale, e questo modello non ha bisogno si motivare l’arte drammatica, questo non vuol dire però che il teatro non si interessi dell’arte. In realtà, il teatro epico è qualcosa di altamente artistico e riesce difficile immaginarlo senza artisti e senza arte, persino la dimostrazione in strada comprende elementi artistici ed ogni uomo possiede capacità artistiche, anche se in piccola misura. Simpatia, umorismo, fantasia sono cose, fra le tante, di cui non si può far a meno, specialmente il teatro, perciò non c’è differenza tra il teatro epico naturale ed il teatro epico artistico: il teatro epico è teatro altamente artistico, i suoi soggetti sono complicati e le sue finalità sociali sono vaste. Nuova tecnica dell’arte drammatica: la condizione essenziale perché si potesse usare l’effetto di straniamento allo scopo di far assumere allo spettatore un atteggiamento d’indagine e di critica nei confronti della vicenda esposta, era che il pubblico non fosse “ipnotizzato” o “stregato” dalla recitazione, che quindi non cadesse in trance. Per fare ciò viene abolita la quarta parete e gli attori possono anche rivolgersi al pubblico. Di solito, il contatto tra il pubblico e la scena avviene per mezzo dell’immedesimazione, tecnica completamente opposta a quella di straniamento, che l’attore non deve abolire del tutto, infatti può servirsene come qualunque persona priva di ambizioni drammatiche per riprodurre il comportamento di un’altra persona (questo avviene quotidianamente senza la minima intenzione, da parte di chi imita, di creare nei propri spettatori un’illusione di verità). Tutto ciò che l’attore sulla scena non fa, dovrà essere racchiuso in ciò che fa, così ogni gesto o battuta sarà una decisione: questo procedimento è detto del “non così, ma così” ed è molto simile a ciò che Mejerchol’d chiamava “rifiuto”, ossia che per fare un passo a destra bisognava prima farne uno a sinistra. L’attore sulla scena non dà luogo alla totale metamorfosi nel personaggio da rappresentare, egli non è il personaggio, ma mostra il personaggio e cerca di riprodurre il suo modo di comportarsi, ma non tenta di convincere sé e gli altri di essere incarnato nel personaggio. L’attore recita il suo testo non come colui che improvvisa, ma come chi fa una citazione e lo stesso vale per i gesti. Per realizzare al meglio lo straniamento, esiste una grammatica: la trasposizione alla terza persona, la trasposizione al tempo passato ed il pronunciare ad alta voce didascalie e commenti. Queste “tecniche” servono all’attore per tenersi a distanza, così viene straniata la recitazione stessa. Per quanto riguarda invece lo straniamento del testo, basta ricorrere ad una dizione precisa e trasformare la poesia, e quindi i versi, in prosa o, nel caso della prosa, tradurre il testo nel dialetto dell’attore. Il sentimento deve essere esteriorizzato, venire alla luce, essere perciò sviluppato nel gesto: da un gesto di particolare eleganza e forza scaturisce poi lo straniamento. L’attore deve proporre allo spettatore la vicenda nel modo in cui egli pensa possa essersi svolta o potrebbe svolgersi nella realtà, non nasconde di averla appresa studiando, come un acrobata non nasconde di essersi esercitato, anzi sottolinea 12 che quella è la sua opinione in merito alla vicenda. Un espediente tecnico decisivo è la storicizzazione, ossia l’attore deve recitare la vicenda come una vicenda storica, cioè come un fatto che si verifica una sola volta, connesso con una determinata epoca. L’attore deve riuscire a compiere una presa di distanza verso gli avvenimenti del presente (come lo storico fa con gli avvenimenti del passato), deve cioè straniare quei fatti e quelle persone. Fatti e persone della vita di ogni giorno hanno qualcosa di naturale, perciò vengono straniati per renderli inusuali. Note sul teatro popolare: generalmente il teatro popolare è teatro grezzo e senza troppe pretese, un po' come certi regimi desiderano che sia il popolo: grezzo e senza pretese. Questo tipo di teatro è caratterizzato da burle grossolane e facile sentimentalità, di moralità rozza e sensualità a buon mercato; i cattivi sono puniti, mentre i buoni si sposano e la tecnica utilizzata è internazionale e pressoché invariabile. Sembra vano voler far rivivere il vecchio teatro popolare, in quanto esso si è completamente impantanato ed oltretutto non ha mai conosciuto una vera e propria fioritura. Intorno al 1930 venne creata una rivista teatrale letteraria che propone un nuovo tipo di teatro popolare: meno ingenuità, si evitano le situazioni convenzionali e si prediligono quelle grottesche, la trama quasi non esiste perché viene sostituita da siparietti vagamente collegati fra loro, viene ripresa l’allegoria. Si deve trovare uno stile di recitazione artistico e naturale perché due erano gli stili che si incontravano e coesistevano nel teatro del tempo: lo stile elevato, elaborato per grandi opere poetiche e drammi; e lo stile naturalistico che si può dire abbia integrato quello elevato. Il livello culturale di un teatro si misura dal grado in cui quel teatro riesce a superare il contrasto tra la recitazione “nobile” ed elevata ma anti realistica, e quella realistica ma spesso volgare: un teatro di vera cultura non acquista il realismo rinunciando alla bellezza artistica. Effetto intimidatorio dei classici: la freschezza originaria delle opere classiche viene perduta insieme a quello che un tempo era il loro aspetto nuovo e sorprendente che ne costituiva una caratteristica essenziale. Un’altra conseguenza che ne deriva, solitamente estranea ai classici, è una grande noia che viene spesso combattuta con effetti nuovi e sensazionali mai visti che però sono di natura formalistica, vengono cioè sovrapposti ed imposti all’opera e al suo contenuto (come quando si vuole insaporire della carne vecchia con delle spezie). Quando si vuole mettere in scena un classico, bisogna vedere l’opera come nuova e non attenersi a come si è sempre vista, però non bisogna neanche sforzarsi di trovare innovazioni formali ed estetiche estranee all’opera stessa. L’effetto intimidatorio dei classici è provocato da una concezione errata della classicità di un’opera: la grandezza dei testi classici risiede nella grandezza umana. La tradizione scenica del teatro ha sostituito all’autentico pathos un “finto” pathos, all’ideale l’idealizzazione, insomma ci fu un enorme svuotamento. Breviario di estetica teatrale: 1. Teatro, vecchio o moderno che sia, consiste nel produrre rappresentazioni vive di fatti umani tramandati o inventati al fine di ricreare. 2. Vi si potrebbero includere anche gli avvenimenti tra uomini e dei, ma anche accettando questa estensione, la funzione più nobile e generale del teatro resterebbe il divertimento. 3. Compito del teatro, come di tutte le alte arti, è di ricreare la gente; non lo si nobiliterebbe facendolo diventare il mercato della morale e non bisogna neanche imporgli l’obbligo di insegnare, il teatro deve poter rimanere una cosa superflua, un divertimento. 4. Quando si dice che il teatro ha la sua origine nel culto, si dice che divenne un teatro per selezione; anche la purificazione attraverso l’orrore e la pietà, di cui parlava Aristotele, avveniva allo scopo di divertire; esigere di più dal teatro significa disprezzare il suo vero fine. 5. Anche quando si distingue un genere elevato da uno volgare di divertimenti, l’arte vuol essere lasciata in pace mentre fa divertire la gente. 15 42. L’effetto di straniamento è la raffigurazione che lascia riconoscere l’oggetto, ma al tempo stesso lo fa apparire estraneo; il teatro antico e quello medioevale straniavano i loro personaggi per mezzo di maschere umane e animali, mentre quello asiatico usa ancora oggi effetti di straniamento musicali e mimici che ostacolano l’immedesimazione. 43. I vecchi effetti di straniamento sottraggono in modo assoluto la cosa raffigurata alla presa dello spettatore, la presentano come fatalità; quelli nuovi non hanno niente di bizzarro. 44. Per far sì che fatti naturali appaiano come fatti problematici si deve riuscire a far sviluppare in sé un occhio estraneo; questo sguardo del teatro deve meravigliare il suo pubblico e a tanto può giungere mediante una tecnica che stranii ciò che è famigliare. 45. Una tecnica che consenta al teatro di sfruttare, nelle sue rappresentazioni, il metodo della nuova scienza sociale, la dialettica materialistica, ossia quel metodo che, per concepire la società nel suo moto, considera le condizioni sociali come processi ed osserva tali processi nella loro contraddittorietà; ciò vale anche per i sentimenti, le opinioni e i comportamenti degli uomini nei quali si esprime sempre il particolare modo della loro convivenza sociale. 46. È una caratteristica peculiare dell’era moderna quella di concepire ogni cosa in modo da poterla trasformare, ad esempio l’uomo non deve restare così com’è, bisogna vederlo come potrebbe essere, ecco perché il teatro deve straniare ciò che mostra. 47. Per produrre effetti di straniamento, l’attore deve lasciare da parte tutto quello che ha imparato al fine di ottenere che il pubblico si immedesimi nel suo personaggio, non deve recitare con i muscoli tesi e la dizione deve essere priva di cantilene che fanno perdere il senso delle parole, tutto questo perché non deve ipnotizzare il pubblico, ma neanche sé stesso. 48. L’attore non deve mai, neanche per un attimo, trasformarsi nel suo personaggio, egli deve limitarsi a mostrarlo; ciò non significa che se deve rappresentare un personaggio passionale, egli debba restare impassibile, ma i suoi sentimenti non dovrebbero comunque essere quelli del suo personaggio, altrimenti anche lo spettatore identificherà i propri sentimenti con quelli del personaggio. 49. Per rendere il processo più “profano”, l’attore sul palcoscenico deve riuscire a rendere artistico anche l’atto del mostrare, ad esempio accompagnando questo atto con un gesto. 50. Un altro modo per rendere il processo profano è modificare il modo in cui l’attore comunica ciò che rappresenta, ad esempio come non si deve indurre il pubblico a credere che sulla scena non agisca l’attore, ma il personaggio inventato, così non gli si deve far supporre che quanto succede sulla scena non sia stato elaborato, ma stia succedendo per la prima ed ultima (unica) volta; l’attore racconta, rappresentandole, le vicende del suo personaggio e ne sa più di lui. 51. Straniare un personaggio così da farne “proprio quel personaggio” e “proprio quel personaggio in quel dato momento” sarà possibile solo qualora si eviti di creare l’illusione che l’attore si identifichi col personaggio e la rappresentazione con l’avvenimento. 52. “io agisco così” si è mutato in “io ho agito così” e, di conseguenza, “egli ha agito così” diventa “egli ha agito così e non altrimenti”. 53. Durante le prove, l’attore potrà anche servirsi dell’immedesimazione, ma solo come uno dei tanti metodi di osservazione, anche perché sulla scena è da evitare dato che è estremamente primitiva; nelle prove però, essa è utile dato che ha portato il teatro contemporaneo ad un alto grado di interpretazione dei caratteri; l’unità del personaggio si forma dal modo in cui le singole caratteristiche si contraddicono. 54. L’osservazione è un elemento fondamentale dell’arte drammatica, l’attore osserva gli altri uomini con tutti i muscoli e tutti i nervi, in un atto di imitazione che è al tempo stesso un processo mentale, ossia se si limita ad imitare, al massimo riproduce la cosa osservata e questo non basta; per giungere dalla copia alla figurazione, l’attore guarda le persone come se gli raccomandassero di riflettere su quello che fanno. 55. Senza opinioni e intenzioni non si può raffigurare e senza conoscere non si può mostrare nulla, quindi se 16 l’attore non vuole essere un pappagallo o una scimmia, deve appropriarsi delle nozioni del suo tempo circa la convivenza umana, col partecipare alla lotta di classe. 56. Un altro elemento fondamentale dell’arte drammatica è la scelta della posizione e bisogna sceglierla al di fuori del teatro; al pari di quella della natura, la trasformazione della società è un atto di liberazione ed è la gioia che nasce da tale liberazione ciò che il teatro di un’era scientifica dovrebbe comunicare. 57. Assumendo la posizione, l’attore deve leggere la sua parte non troppo in fretta anche se trova subito il tono più naturale, questo perché il personaggio non deve tanto convincere il pubblico quanto sorprenderlo. 58. L’attore studierà insieme agli altri attori, costruirà il suo personaggio insieme agli altri personaggi poiché la più piccola unità sociale non è un uomo, ma due uomini, infatti anche nella vita ci costruiamo a vicenda. 59. Per giovare alla verosimiglianza della vicenda, gli attori dovrebbero ogni tanto scambiarsi le parti durante le prove, cosicché i personaggi ricevano gli uni dagli altri ciò di cui hanno bisogno. 60. L’attore impara molto di più su sé stesso dal modo di agire che gli altri personaggi gli consentono. 61. Gli atteggiamenti che i personaggi prendono gli uni dagli altri rientrano nell’ambito “gestuale”, l’atteggiarsi del corpo, il tono della voce, l’espressione del viso, ecc. sono determinati da un gesto sociale, ossia fatto da uomini verso altri uomini. 62. L’attore si impadronisce del suo personaggio seguendone criticamente le molteplici reazioni, come pure quelle dei suoi antagonisti e di tutti gli altri personaggi del dramma. 63. Un’opera moderna dove si mostra bene il contenuto gestuale è Vita di Galileo dello stesso Brecht. 64. Attraverso il materiale gestuale, l’attore si impadronisce del personaggio nello stesso tempo in cui si impadronisce della vicenda. 65. Tutto dipende dalla vicenda, essa è il cuore della manifestazione teatrale, dato che proprio da quello che succede tra gli uomini, essi stessi conoscono tutto ciò che può essere discutibile, criticabile e mutabile; la grande impresa del teatro è la vicenda, la composizione complessiva di tutti i processi gestuali. 66. Ogni singolo avvenimento ha un proprio gesto fondamentale; la bellezza della rappresentazione, cioè della disposizione e dei movimenti dei personaggi sulla scena, deriverà innanzitutto dall’eleganza con cui il materiale gestuale sarà presentato e sottoposto al giudizio del pubblico. 67. I singoli avvenimenti devono essere collegati in modo che i nodi dell’azione diano nell’occhio, non devono susseguirsi inavvertitamente, bisogna invece che lo spettatore possa intervenire col suo giudizio tra uno e l’altro; le parti della trama si devono dunque accuratamente contrapporre tra loro, dando a ciascuna la sua propria struttura di piccolo dramma nel dramma; a straniare il tutto basta il fatto che lo spettatore si domandi se e in quale misura è desiderabile che un dato processo diventi un’usanza. 68. Che cosa e come si debba straniare dipende dall’interpretazione che si vuol dare alla vicenda e nel far questo, il teatro potrà difendere gli interessi della sua epoca. 69. Ogni progresso con cui si emancipa la produzione della natura, portando ad una modificazione della società allo scopo di migliorare la propria sorte, procura sempre un senso di trionfo e di fiducia, oltre che quel piacere che sta nel riconoscere la mutabilità di tutte le cose. 70. Compito del teatro è di interpretare la vicenda e comunicarla al pubblico attraverso appropriati straniamenti e non è l’attore che deve far tutto, anche se nulla deve essere fatto senza riferirsi a lui, la vicenda viene interpretata, prodotta ed esposta dal teatro nel suo insieme, dagli attori, agli scenografi, dai truccatori e costumisti, ai musicisti e coreografi. 71. Negli intermezzi musicali rivolti al pubblico, il gesto generale del mostrare viene accentuato dalle canzoni, perciò gli attori dovrebbero evitare di sconfinare dalla recitazione al canto. 72. Il musicista ritrova la sua libertà quando non è più costretto a creare atmosfere che consentano al pubblico di abbandonarsi agli avvenimenti scenici, mentre lo scenografo ritrova la libertà quando né costruire il luogo dell’azione, è esentato dal produrre l’illusione di una stanza o di un paesaggio. 73. Anche la coreografia ritrova compiti di carattere realistico; un trae tutto dal gesto non può fare a meno 17 della coreografia; l’eleganza di un movimento, la grazia di una disposizione scenica, ecc. conseguono un effetto di straniamento e l’invenzione pantomimica è di grande utilità per la vicenda. 74. Tutte le arti dell’arte drammatica si uniscono non per creare un’opera d’insieme in cui tutte si annullino o si disperdano, ma perché ognuna di esse, insieme all’arte drammatica, dia a suo modo impulso e sviluppo all’opera comune e il loro rapporto reciproco sarà proprio quello di straniarsi a vicenda. 75. Ricreare i figli dell’era scientifica è compito delle arti drammatiche. 76. Si deve consegnare al pubblico ciò che si è costruito durante le prove mostrando che la figurazione è una cosa finita e con piena coscienza affinché, in piena coscienza, possa essere ascoltata. 77. Le rappresentazioni dovranno cedere il passo alla cosa rappresentata e nel suo teatro lo spettatore può divertirsi grazie al lavoro che gli procura da vivere e conservare la sua produttività nel modo più lieve, poiché, dei vari modi d’esistenza, il più lieve è l’arte. La dialettica nel teatro: la Weigel doveva interpretare il giovane Horder in Battaglia invernale, un dramma in cui lei non riusciva a trovare il tono giusto, soprattutto in una determinata scena, così che tutto ciò che veniva dopo era stravolto. L’espressione “trovare il tono giusto”, però, rivela un modo non giusto di recitare; per lei il tono giusto non è il tono di voce naturale. Ella non dovrebbe fissare dei toni, bensì il comportamento del suo personaggio, indipendentemente dai toni, anche se a volte può esistere un nesso con essi; più importante di tutto è il suo atteggiamento rispetto al personaggio che interpreta, perché è esso che determina il comportamento del personaggio medesimo. Di fronte all’interpretazione usuale, che tende a creare l’effetto dell’immedesimazione nel personaggio, lo spettatore è portato al godimento di un piacere tutto particolare, ossia quello del trionfo dell’indistruttibilità di un personaggio ricco di forza vitale e perseguitato dalla calamità della guerra. All’attiva partecipazione di Madre Coraggio alla guerra non viene data grande importanza, per lei è una fonte di guadagno, forse anche l’unica. Madre Coraggio è vista soprattutto come madre che non riesce a proteggere i suoi figli dalla fatalità della guerra; nonostante la guerra è qualcosa di assolutamente negativo, Madre Coraggio le sopravvive. La Weigel, interpretava Madre Coraggio come se la guerra fosse la sua naturale fonte di lucro, come se fosse il tempo ideale per i commerci, come un’enorme contraddizione. Sul teatro di ogni giorno: gli artisti che fanno teatro in grandi edifici, con luci artificiali, di fronte alla folla silenziosa, dovrebbero ricercare ogni tanto anche il teatro che si svolge in strada, il teatro d’ogni giorno, quello dai mille aspetti, senza gloria, ma anche vivace, terrestre, il teatro che si alimenta dalla convivenza degli uomini. Non bisogna imitare come fanno la scimmia o il pappagallo, ossia soltanto a scopo imitativo, indifferenti all’oggetto che imitano e solo per mostrare che sanno imitare a dovere; non bisogna trasformarsi mai nella persona che si imita, non si condividono sentimenti ed opinioni. Come valersi non servilmente di un modello di regia: 1. Il completo sfacelo materiale e spirituale ha prodotto una generica sete di novità; anche l’arte viene da più parti spronata verso nuove vie, però, dato che sussiste la paura del ritorno del vecchio che si unisce a quella dell’instaurazione del nuovo, gli artisti non devono fidarsi ciecamente dell’affermazione che ogni novità sia da accogliere positivamente. La rapida decadenza della tecnica teatrale sotto il nazismo si verificò quasi del tutto inavvertitamente; le distruzioni subite dai teatri sono molto più evidenti di quelle avvenute nel campo della recitazione, perché le prime hanno coinciso con il crollo del nazismo, mentre le seconde con la sua ascesa. 2. La drammaturgia ellenica cerca di riservare, grazie a determinati straniamenti, soprattutto attraverso i cori, una certa zona libera alla speculazione, ma non si trattava di evocare lo spirito degli antichi. 3. Un modello deve essere un misto di tipo e archetipo, di imitabile e di inimitabile; attenersi semplicemente ad un modello significa non ammettere altro che l’unico, l’originale. L’attore non deve per 20 L'opera doveva essere portata al livello tecnico del teatro moderno. Schema di spostamenti dal teatro drammatico a quello epico: 21 AMLETO - SHAKESPEARE Amleto è un dramma assolutamente unico, sia nel canone shakespeariano che nell’intera produzione drammaturgica di quel tempo. La ragione della sua unicità e dell’enorme successo teatrale e critico è principalmente la singolarità del protagonista, Amleto infatti è diventato un mito, il mito dell’uomo moderno, e nessun dramma è stato tanto studiato, riscritto, tradotto e rappresentato. È un dramma acentrico perché l’azione di Amleto dovrebbe svilupparsi secondo lo schema canonico della tragedia di vendetta (da quella greca, a quella di Seneca ed elisabettiana), schema secondo il quale il protagonista viene spinto, dal fantasma solitamente di un parente morto, a eseguire la vendetta e quindi ad uccidere l’assassino, ma di fatto Amleto elude questo schema perché sospende per gran parte del dramma il suo compito, per interrogarsi sul senso più profondo della vita e della morte (monologo sull’”essere o non essere”). La storia di Amleto risulta raccontata per la prima volta nella Vita Amlethi, parte delle Historiae Danicae Libri o Gesta Danorum, in 16 libri, di Saxo Gramaticus, storia leggendaria sulle vicende danesi dalle origini, pubblicata nel 1514 e di cui i libri III e IV sono dedicati al leggendario Amlethus o Amlodhi. La storia narra del re Rorik di Danimarca che affida il governo della provincia dello Jutland a due fratelli, Horwendil (o Orvendel) e Feng. Horwendil sconfigge il re Koll della Norvegia e sposa la figlia di Rorik, Gerutha, con cui avrà il figlio Amlethus. Suo fratello Feng però, geloso, lo assassina e sposa Gerutha. Il fatto è palese perciò Amlethus, sentendosi in pericolo, si finge pazzo ma viene messo alla prova per vedere se lo è veramente: durante una cavalcata, gli fanno incontrare una bella donna (pallido accenno alla figura di Ofelia) che dovrà cercare di sedurlo e, se ci riuscirà, mostrerà che non è pazzo. Amlethus ha un aiutante (poi diventerà Orazio) il quale lo consiglia di non cadere nella trappola, quindi Amlethus ingannerà tutti con giochi linguistici che sembrano senza senso ma non lo sono (come poi noterà Polonio). Intanto, un amico di Feng (poi diventerà Polonio) escogita un incontro tra Amlethus e sua madre Gerutha e lo origlia di nascosto, ma Amlethus, temendo di essere spiato, prima si comporta da folle e poi uccide la spia e fa a pezzi il corpo buttandolo in una fogna. A questo punto, Feng lo spedisce in Britannia chiedendo al re di metterlo a morte, ma Amlethus cambia il nome nella lettera e aggiunge che il re gli dia in sposa sua figlia, perciò, credendo che la lettera fosse stata scritta da Feng, Amlethus ottiene la mano della principessa. Un anno dopo, torna in Danimarca e arriva proprio durante un banchetto funebre per la sua supposta morte, tutti si ubriacano e lui dà fuoco al palazzo, poi si reca nella camera di Feng e lo uccide. Alla fine, diventerà re e avrà molte altre avventure prima di morire in battaglia. Quasi sicuramente, Shakespeare non si basò direttamente sulla narrazione di Saxo, ma su una traduzione, o meglio una versione rielaborata in francese da Francois de Belleforest nelle sue Histoires Tragiques del 1570. La traduzione in inglese di quella storia apparve solo nel 1608 con il titolo The Hystorie of Hamblet e fu pubblicata per sfruttare il successo che aveva riscosso il dramma shakespeariano. Un’altra fonte minore, che suggerì a Shakespeare le modalità dell’assassinio del padre di Amleto, fu in qualche resoconto dell’epoca che non ci è pervenuto, ma si pensa riprenda l’assassinio di Francesco Maria della Rovere, duca d’Urbino, che era stato probabilmente ucciso da un veleno versatogli nelle orecchie da un sicario (era un tipico evento da corte italiana del Rinascimento). L’altra fonte presumibile della tragedia shakespeariana, e forse la principale, è il misterioso Ur-Hamlet, un dramma andato perduto, ma di cui ci restano alcuni documenti e che molti ritengono essere un’opera giovanile dello stesso Shakespeare. Vi allude per la prima volta Thomas Nashe nella Epistle (1589), dove parla di “interi Amleti” (“whole Hamlets”). Nel 1594, il famoso impresario Philip Henslowe (lavorava nella troupe che stava nel sobborgo opposto a quello in cui si trovava Shakespeare) scriveva sul suo Diario di aver visto la rappresentazione di un Hamlet, ma non la descriveva come una novità, quindi fa pensare ad un dramma che aveva avuto già successo in passato. Nel 1596, infine, Thomas Lodge, in un pamphlet, allude ad uno spettro che gridava a teatro “Hamlet, Revenge!”. È quindi indubbio che un dramma su Amleto era stato rappresentato più volte tra il 1580 ed il 1600 circa e molti credono che forse era di Thomas Kyd, 22 l’autore della Spanish Tragedy, una tragedia storica e di vendetta, con struttura senechiana e dramma nel dramma. La stesura completa del dramma shakespeariano è datata intorno al 1601, ma c’è un documento su cui gli studiosi hanno dibattuto molto e che potrebbe collocare a prima stesura dell’Amleto ancora più indietro, si tratta di una nota manoscritta su una copia delle opere di Geoffrey Chaucer scritta da Gabriel Harvey, nella quale esprime dei giudizi su vari artisti del tempo, tra cui Shakespeare del quale osserva che “la sua tragedia di Amleto, il principe di Danimarca, contiene ciò che può piacere ai più saggi”. Il libro su cui è stata scritta questa nota riporta la data 1598, ma alcuni studiosi hanno affermato che Harvey potrebbe aver annotato queste sue riflessioni qualche anno dopo la data riportata sul libro; un altro elemento, però, dimostra il contrario, infatti Harvey aveva anche annotato che “il conte di Essex onora l’Inghilterra” e ne parla al presente, come persona vivente anche se egli fu giustiziato nel 1601, quindi tutto ciò fa pensare che l’opera sia precedente al 1601. Si suppone, perciò, che l’opera citata da Harvey sia l’Ur-Hamlet, anche perché nel 1579, quando Shakespeare era ancora un ragazzino, una certa Katherine Hamlett annegò nel fiume Avon a Stratford e da ciò si deduce che il giovane poeta abbia tratto da questo fatto la vicenda della morte di Ofelia che manca nelle sue fonti. Nel 1585, Shakespeare chiamò Hamnet (variante di Hamlet) il figlio maschio, gemello della figlia Judith, in onore del suo più caro amico di Stratford, Hamlet (o Hamnet) Sadler. Nel 1602, il dramma Amleto fu iscritto nello Stationers’ Register (il registro della corporazione dei cartolibrai dove dovevano essere iscritte tutte le opere di cui si voleva la pubblicazione) e l’anno successivo fu pubblicato il primo in quarto (Q1). Due anni dopo la pubblicazione di Q1, venne pubblicato il secondo in quarto (Q2) e si pensa che il Q1 fosse un testo non autorizzato e non completo, in quanto sul frontespizio del Q2 c’è scritto “nuovamente stampata e allargata fino a quasi il doppio di quanto era la copia precedente”. L’Amleto è il testo più lungo tra tutte le opere di Shakespeare, ma l’opera poi fu riproposta con varianti e cambi (omissioni e aggiunte) nelle edizioni in folio (F). Gli studiosi hanno cercato a lungo di stabilire quale tra Q2 ed F fosse preferibile adottare come testo base, ma alla fine le edizioni moderne sono un compromesso tra i due, ad esempio aggiungendo le parti di F che mancavano in Q2. Oggi, molti sostengono che Shakespeare non rivedeva i suoi testi e che quindi non furono mai stabiliti, ma sottoposti a revisioni, continue modifiche e manipolazioni non autoriali. Tutto sommato, si sa molto poco della vita di Shakespeare, nonostante la sua indubbia fama nella Londra tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 dove egli conobbe molti poeti ed artisti. William Shakespeare fu battezzato a Stratford-on-Avon il 26 aprile 1564, quindi era nato probabilmente uno o due giorni prima. Il giovane Shakespeare frequentò la Grammar School, una scuola basata su studi classici e in particolare sulla grammatica latina e, dopo gli studi, nel 1582 si sposò con Anne Hathaway (lui aveva diciotto anni, lei circa ventiquattro) ed ebbero tre figli. Il periodo tra il 1585 ed il 1592 è quello dei cosiddetti “anni scomparsi” perché non si hanno notizie certe sulla sua biografia, probabilmente fu in quegli anni che si trasferì a Londra ed iniziò la sua carriera, prima come attore e poi come drammaturgo. Nel 1592, scoppiò la peste ed i teatri vennero chiusi perciò Shakespeare si dedicò ad opere non teatrali, come i due poemetti di ispirazione ovidiana, Venere e Adone (1593) e Il ratto di Lucrezia (1594), ma già nel 1954 riaprirono e le compagnie si riorganizzarono. Shakespeare diventò azionista della compagnia del Lord Ciambellano e vi recitò anche, ma soprattutto ne produsse le opere e, nel 1599, fondarono un proprio grande teatro, il Globe. Negli anni tra il 1609 ed il 1611, Shakespeare tornò a Stratford dove morì il 23 aprile 1616. Nel 1623 uscirono le sue opere complete (36 in totale). 25 forma le diverse parti del corpo, non è ginnastica ; è un tipo di movimento in cui ogni gesto coinvolge il corpo intero. Per i suoi attori, Mejerchol'd invento anche esercizi, études, microstrutture complesse perché potessero esercitarsi al di là del lavoro per gli spettacoli. Sono corpi costretti a riscoprire dentro di sé regole nuove, sono corpi che pensano. I brevi études, danno l’impressione di piccole storie volutamente contraddittorie, imprevedibili, esercizi per la mente, oltre che per il corpo. FINE DI MEJERCHOL'D Per festeggiare il ventennale della rivoluzione nel 1936, Mejerchol'd comincia a preparare uno spettacolo nuovo, Una sola vita. 17 dicembre del 1937 la “Pravda” pubblica un lungo articolo sul teatro di Mejerchol'd; di tutti i settecento teatri professionali dell'Unione Sovietica, uno solo on ha celebrato il ventesimo anniversario della rivoluzione: quello di Mejerchol'd. É completamente isolato, é un teatro "straniero" in patria. L'8 gennaio 1938, il teatro di Mejerchol'd viene chiuso. Stanislavskij incontra Mejerchol'd, gli offre lavoro come regista d'Opera: la designa come suo erede, Stanislavskij muore il 7 Agosto 1938) Dopo la sua morte per Mejerchol'd si bruciano i tempi. Nel marzo 1939 mette in scena il Rigoletto, completando il lavoro di Stanislavskij. Il 20 giugno Mejerchol'd viene arrestato: venne catturato in quanto intellettuale e artista di teatro e quindi uomo pubblico; la sua morte violenta è l'esempio più doloroso, ma anche più lampante del trionfo del cambiamento del teatro del Novecento. Il 1 febbraio 1940 comincia il processo a Mejerchol'd, dura venti minuti, e si conclude con una condanna alla fucilazione; aveva 60 anni. Il più grande spettacolo di Mejerchol'd ful revisore, messo in scena nel 1926. Ebbe una fortissima influenza sui giovani registi del teatro d'Arte. Era uno spettacolo pieno di musica, gli permetteva di lavorare sull'orchestrazione dei dettagli e sulle variazioni di ritmo. Il lavoro più macroscopico di Mejerchol'd per il Revisore riguardò la composizione dinamica: il movimento degli attori e il movimento di parti della scenografia, frequente e ritmato con precisione. Tre ampie porte sul fondo, apparivano larghe piattaforme su ruote, ed erano montate scenografie raffiguranti parti di una stanza. Mejerchol'd lavorò sulla composizione in modo da dar vita all'intera macchina simile a quella di un corpo unico il lavoro di Mejerchol'd su questo spettacolo mostra cosa potesse significare scomporre il singolo attore in segmenti e comporte l'intera compagnia come un solo "corpo". Aveva ambientato lo spettacolo in una scenografia dai colori intensissimi, con un forte predominio del rosso mogano. Una tipica scenografia autosufficiente, che avrebbe potuto mettere in sottordine il lavoro dell'attore Invece, aveva curato la presenza degli attori fino al parossismo: aveva moltiplicato le persone in scena. Mejerchol'd aveva studiato in dettaglio anche il movimento complessivo dei frammenti: le mani dei funzionari, guantate di bianco, le loro dita divaricate o riunite si muovevano tutte insieme per aria e sulla ringhiera della balaustra, con il movimento intrecciato, complesso e sincrono della lunga fila di zampe di un millepiedi. Il revisore era uno spettacolo realistico. Il lavoro più grande era stata l'orchestrazione di contrasti: la scena dell'apparizione e del corteggiamento di gruppo degli ufficialetti nella stanza della moglie del Podestà era pervasa al tempo stesso da una sensualità greve e carnale. L'ombra di tutto questo gioco di occhi la si può ancora intravedere nei pochi istanti dello 26 spettacolo che sono stati filmati, Tutto molto contenuto; ma l'effetto era cosi pesante e percepibile che l'erotismo dello spettacolo fu una dei suoi motivi di scandalo. 1934 HAMLET Mejerchol'd aveva l'ossessione di Hamlet e non lo mise mai in scena, vi girò solo intorno, specie sul finire della vita. Mejerchol'd raccontò solo l'inizio di un possibile Hamlet, l'incontro tra padre (Stanislavskij) e figlio (Mejerchol'd). Forse l'unico dilemma nel teatro è riconoscere la propria identità e l'unico modo per esorcizzarlo è specchiarsi nell'altro, nel proprio doppio, vivo o morto che sia, nello scambiarsi i pani, sentire amore e necessità a tal punto da farlo emergere dal mare e creare confusione di identità in chi osserva. 27 CRUCIANI Il punto di vista Lo spazio del teatro è un insieme complesso che non si può ridurre alla somma di scenografia e di architettura teatrale. E’ la proiezione fisica e figurativa, materiale e illusionistica dello spazio in cui si colloca la finzione dell’azione drammatica e il luogo concreto e metaforico dei personaggi. In seconda definizione come lo spazio degli attori, non è inerente agli spettatori (la ribalta ne è un simbolo). È compreso tra i modi espressivi della visione ( figurazione e quelli del volume) ambiente. Il teatro del XX secolo, sperimenta assai diversi “spazi di teatro” come luogo immaginario e come spazio dell'agire. Elementi materiali che comportano mutamenti in profondità: l'abolizione del sipario modifica il rapporto platea - scena. Lo spazio è il luogo in cui l'evento accade ed e qualificato dagli oggetti che sono simboli e agiscono come l'attore o le parole o la decorazione. Il “luogo” del teatro (chiesa, nella piazza, nel cerchio degli spettatori, nel palco) é la figurazione della scena utilizzabile come nelle pitture, in modo narrativo. L'edificio teatrale è dal Cinquecento al Novecento un monumento della città. Lo spazio rappresenta l'insieme della “festa”, prima che la commedia sia recitata. Il teatro è il luogo del passaggio dal quotidiano all'extra-quotidiano, tra il presente e l'ideale. L'arco scenico e il sipario sono li a segnare la divisione dei due mondi; lo spazio del teatro diventa una forma mentis (ragionamento) (l'edificio e la sala) e lo spazio scenico dove prende forma e concretezza l’illusione. La scenografia, il fondale e le quinte, diventa la rappresentazione dello spazio in cui accade l'azione degli attori, in cui la finzione si realizza e la vita si irrealizza. Anche la scenografia diventa una specializzazione del fare teatro; ha una sua storia, un modificarsi, diventando un linguaggio del teatro e dove sviluppa la propria specificità. Parliamo ora di uno spazio più “borghese” e del “realismo” della scenografia nel teatro romantico. Con il Novecento si pone il problema della “necessità” del teatro, dei bisogni sociali e individuali che sarebbe chiamato a soddisfare. Il teatro esce dai teatri e ne crea nuovi, si modificano le sale per cambiare il rapporto attore - spettatore. Servizio per lo spettatore: la scena non è più rappresentazione di finzione, ma realtà di rappresentazione. • Il teatro all'italiana, cioè il teatro Il teatro all'italiana è un’ idea di teatro al di là degli spettacoli, un insieme organico di tipologie architettoniche, funzioni sociali, forme della sala e della scena, palcoscenico attrezzato di quinte con soffitta praticabile, sipario e arcoscenico. Rifiuta le pareti che delimitano la spazio e la forma rettangolare, dalla pianta a semiellisse a quella a ferro di cavallo a quella a campana. La sala è morfologicamente un cilindro chiuso dall'arcoscenico e dal sipario che continuano nei palchi. I vuoti attivi dei palchi, non sono superfici di delimitazione ma sono luoghi di confine tra ambienti privati comuni. I palchi non sono funzionali nel vedere la scena ma si guardano reciprocamente ( se tracciassimo le linee di tensione degli sguardi possibili che traversano il volume della sala, da ogni palco agli altri palchi, riempiremmo tutto il volume della sala). Lo spazio volumetrico del teatro all'italiana è dinamico e attivo. Il teatro all'italiana si riempie e si costituisce di relazioni: un luogo per guardare ed essere guardati. 30 Lo spazio delle rappresentazioni ha una sua forte consistenza nel periodo storico che precede il definirsi del teatro all’italiana. Lo spazio delle rappresentazioni è un principio, un punto di vista, un concetto (e non una forma come il teatro all’italiana). • Il teatro medioevale Medioevo in Europa. I diversi spettacoli e le tradizioni di spettacolo non configurano uno spazio del teatro medievale: non ci sono edifici teatrali, non c’è un concetto unificato ed omogeneo di palcoscenico; l’uso di spazi presi stenti e modalità funzionali di base. Spettacolo itinerante (su carri) e spettacolo a sede fissa. Anche per lo spazio scenico converrà assumere criteri di diversità e discontinuità piuttosto che di omogeneità o evoluzione. Non esiste, nei teatri del medioevo, una “forma” dello spazio del teatro e della scena e che non si tratta di teatri, ma di rappresentazioni. L’elemento base è il luogo del “deputato”. il luogo del deputato non è lo spazio dell’azione, ma l’oggetto simbolico con cui l’azione rappresentativa entra in relazione; tenda o edicola costruita, un “monte“, uno spazio segnato: il “locus“. La presenza di più “luoghi deputati” è connessa alla narrazione: la successione delle unità spaziali ha bisogno del collocarsi nel tempo. Prima di essere circolare o lineare, lo spazio scenico medievale è uno spazio che si costruisce nel tempo: lo spettatore lo ricompone mentalmente e vi si sente avvolto. L’intrattenitore crea il suo spazio di riferimento. Nel dodicesimo e tredicesimo secolo è assai larga la tipologia di rappresentazioni in latino e in volgare. L’organizzazione è ancora costituita dai luoghi scenici. La struttura si magnifica nei cortei processionali e cerimoniali. Nel quindicesimo e sedicesimo secolo, lo spazio scenico, si pone in presenza di una idea del teatro che richiama all’antico. Il nuovo teatro non nasce, dal punto di vista dello spazio, solo con la scenografia. • Lo spazio dei professionisti Il teatro elisabettiano è in sé molteplice e complesso. È un teatro di professionisti. Il teatro londinese della fine del Cinquecento non era solo teatro di corte o di accademia, si sviluppa complesso e molteplice come i suoi punti di riferimento. Il teatro, di forma circolare poligonale o rettangolare, all’aperto o al chiuso, era costituito da tre ordini di gallerie (coperte anche nei teatri all’aperto, nei quali restava scoperto il cortile centrale). Seconda metà Cinquecento inizio Seicento in Italia: i comici dell’arte, Saltimbanchi, e palchi eretti nelle piazze. Il magazzino del nuovo Il mito del teatro greco si sostanzi a della tragedia era ligneo. L’elemento generatore è l’orchestra, lo spazio circolare in cui avviene l’azione; gli spettatori vi si raccolgono intorno, spesso su un inclinazione del piano scenico che si accentua col crescere della distanza della ribalta naturale. E lo spazio primitivo, originario, essenzial,. La prima struttura generata dall’orchestrae gli spettatori in piedi e poi seduti su panche di legno costituiscono una forma a gradonate ad emiciclo. Il teatro romano lo si vede come uno sviluppo del teatro greco. Dopo i teatri provvisori in legno si costruiscono anche nella civiltà romana teatri in pietra. La novità fondamentale non è nel privilegiare un declivio naturale o artificiale, ma in una autonoma costruzione architettonica. • Teatri d’Oriente “Teatri asiatici” e “teatri orientali”. Per teatri asiatici si intende indicare le numerose e diverse forme teatrali e spettacolari dei paesi asiatici; con teatri orientali si indica la storia lunga e non omogenea dei 31 rapporti tra la cultura occidentale e le culture asiatiche, dei modi in cui queste ultime sono state inserite nella storia (che categoria occidentale). C’è di base la fisicità dell’attore: la codificazione dei movimenti scenici, l’apprendimento lungo e costante dei modi rappresentativi, il ruolo fondamentale della musica, il legame con la religione, l’uso del colore e dei costumi come base della scenografia. E una tradizione che non è immobilità di conservazione ma dinamica di variazione. Lo spazio, nei teatri dell’Asia, e strutturalmente l’attore che si muove in uno spazio deputato, i suoi costumi e il suo trucco, i valori simbolici degli oggetti. Il teatro storico di tradizione ha comunque un punto di riferimento in un trattato: il Natya- Sastra. “Natya” è quel che noi chiamiamo “teatro”, una forma d’arte composta di elementi dalla danza, musica, pantomima, epica, recitazione di ballate, arti figurative, rituali. Il secondo capitolo e sull’architettura teatrale. Luoghi per spettacoli costruiti fissi vicino a grandi templi o provvisori per occasioni rituali; e anche di sale usate per gli spettacoli. Forme di costruzione del teatro (quadrata, rettangolare, triangolare) e di tre misure: grande, media, piccola. Il teatro tipo è rettangolare medio diviso in due parti; il palcoscenico è diviso in due parti uguali (la zona di dietro e lo spogliatoio), e la parte anteriore del palcoscenico ancora in due parti di cui quella più avanzata e il luogo dell’azione. Si dedica attenzione alla scelta del terreno su cui costruire il teatro: ripulito da impurità e duro. Il pubblico deve essere in una galleria rialzata, ad un livello più alto del palcoscenico. La divisione del palcoscenico in tre parti consente il cambiamento di scena. Lo spogliatoio a due porte di accesso al palco. I musicisti sono sulla scena di lato; il sipario viene portato in scena e dietro si svolgono azioni preliminari. L’azione del costruire il luogo è più importante della costruzione. • Il teatro cinese L’antica e molteplici e tradizione dello spettacolo nella cultura cinese si fonda, per quanto riguarda lo spazio, sull’arte dell’attore danzatore, sui costumi e sugli accessori: non c’è una definizione significante dello spazio scenico come architettura teatrale. Non c’è scenografie a nel teatro classico cinese: sala e palco sono decorati al più possibile per essere “belli” E sul palco l’attore crea lo spazio con i suoi movimenti, con i costumi e le maschere, raffinati per stoffe e colori, di immediata rilevanza simbolica. E’ simbolico l’uso degli oggetti, la presenza del tetto sulla zona della scena (il tetto è il segno di una unità spaziale) e nelle sale chiuse. Ha valore strutturale e semantico. • I teatri di strada Sono attori e pubblico ad adattarsi ad una struttura destinata ad altri scopi. Teatro di piazza (sede fissa teatrale) si manifesta: all’aperto, nei mercati, nelle manifestazioni religiose. Sono forme rappresentative. La figura dell’attore deve misurarsi con un ambiente destinato a noi spettatori: difficoltà che permette all’attore di entrare in relazione con gli spettatori. Comici nomadi, professionismo all’aperto (collegamento film: “la strada“ di Fellini), da cui dipende la vita/sopravvivenza. Conquista di un’identità. Obiettivo: attrarre gli spettatori, vivere di questo mestiere. i possibili spazi del teatro È il luogo dell’attore nelle diverse rappresentazioni, è il luogo della relazione attore-spettatore, è il luogo dell’evento; come il teatro, anche lo spazio del teatro nasce solo dal teatro. Nuove tecnologie (l’uso del cemento armato, del ferro e del vetro, dell’elettricità) hanno dilatato lo spazio. Il crollo delle forme architettoniche chiuse. 32 • I luoghi del teatro e dello spettacolo nell’ Ottocento La rivoluzione del teatro romantico è essenzialmente nel rifiuto di un teatro fatto per gli abitanti del teatro stesso. Nuova mentalità e nuove tecnologie cambiano lo spazio teatrale del “teatro all’italiana“. Diverse tipologie spaziali per i diversi spettacoli. In Inghilterra agli edifici di tradizione si affiancano le sale per il Music-hall e i grandi circhi e l’esposizione dei “teatri minori“. Nel nord Europa i palchetti sono sostituiti da gallerie e proliferano auditori e sale per musica. In Italia l’unica situazione spaziale diversa è costituita dall’architettura dei teatri diurni, ad anfiteatro. Nuove tecniche come l’illuminazione a gas cambiano la scena perché la luce può essere variata di intensità e controllata. Gli spettacoli Dell’esperienza visiva, il circo, la pantomima, il Music-hall… Sono una realtà unitaria del secolo. A Parigi la messa in scena è la base del nuovo teatro. • La ricerca dello spazio funzionale La “grande riforma“ è il teatro di Wagner, sentito e celebrato come la definitiva rottura con il teatro all’italiana. Questi architetti cercano di risolvere il problema del proscenio e dell’arco scenico, di distinguere la sala per la Musica da quella per la parola, di usare forme curve ma evitare il cerchio. Semper definisce I problemi che troveranno soluzioni nel teatro wagneriano di Bayreuth (1876). La prima differenza è che si tratta di uno spazio pensato per l’esecuzione delle sue opere, uno spazio cioè funzionale a un teatro. Sopprime, Wagner, la buca del suggeritore, neutralizza la ribalta, elimina le logge di proscenio e anzi realizza un proscenio triplo; l’arco scenico ha meno rilievo perché prosegue le forme della sala, il sipario si apre al centro verso gli angoli in alto a rivelare il mondo magico della scena. L’orchestra è nascosta nella fossa che slitta in gran parte nel sottopalco. Suono indiretto, Che toglie le alte frequenze ottenendo un suono misterioso e distante. E la fossa dell’orchestra aumenta anche la distanza fra scena e sala. Il buio in sala, imposto da Wagner, modifica anche esso la psicologia del pubblico, costringendo l’attenzione verso l’illusione scenica. La vera innovazione è quella di vedere e udire, la sala è ad anfiteatro con i posti a sedere collocati a ventaglio, su segmenti di cerchio sempre minori verso la scena. Ma è alternativa al teatro all’italiana perché ne distrugge l’ambiente. Nel teatro di Wagner non c’è altra relazione che quella tra sala e scena. Il teatro del novecento ereditierà non solo la razionalizzazione dell’anfiteatro per la visione e per l’acustica, ma un cambiamento di mentalità. Littman dichiara che a un determinato spazio scenico corrisponde un determinato spazio per il pubblico: lamenta che all’architetto sia delegato lo spazio del pubblico e all’ingegnere la scena, laddove il problema dello spazio teatrale e unitario e non si risolve con riforme tecnologiche ma con un reale progetto artistico. • Naturalismo e Simbolismo Il naturalismo non è riduttivamente la tecnica illusiva della riproduzione della realtà sulla scena, la “quarta parete“: questo già esisteva. Il naturalismo è un nuovo senso del teatro e nuovi valori dello spazio scenico. È una novità sostanziale: lo spazio scenico è un linguaggio della drammaturgia. Così si ottengono anche nuovi principi, come li enuncia a Paul Lindau e lo stesso Giorgio II. evitare la simmetria e il parallelismo, il centro dell’immagine non deve coincidere con il centro della scena, è importante costruire il movimento sulla scena e avere spazi scenici praticabili multipli. Luce elettrica e le possibilità che offre per usare drammaturgicamente l’illuminazione. Stanislavskij riprenderà queste posizioni ma portandole fino in fondo e dilantandole. Lo spazio scenico è variabile in dimensioni a seconda dei luoghi drammatici, è il luogo del personaggio, perciò gli attori non debbono usare la relazione con il pubblico; la sala è al buio. La scena è tridimensionale, non uno sfondo ma un contenitore qualificato dagli oggetti reali e che determina i 35 GROTOWSKI TEATRO POVERO (1965-69), L'ATTORE DENUDATO L’attore è un uomo che lavora con il proprio corpo e lo fa in pubblico. L'attore, compie in pubblico un atto di provocazione nei confronti degli altri per far scattare qualcosa. Esiste il mito per cui l'attore che disponga di un bagaglio di esperienze, conquista il “corredo di tecniche", grazie a cui può raggiungere un alto grado di espressione e suscitare l'applauso. L'attore deve in qualche modo Decifrare il proprio organismo e scoprirvi i potenziali punti di sostegno per un lavoro di questo genere. L'attore medio sa parlare solo in maschera", cioè sa utilizzare il risonatore cranico che non solo potenzia la voce, ma la "nobilita, la rende più gradevole all'orecchio. Questo attore scopre che in scena non è sufficiente praticare la respirazione con il diaframma; scopre che la dizione che ha imparato alla scuola teatrale molto spesso provoca la chiusura della laringe; deve imparare ad aprire la laringe, a controllare dall'esterno se è aperta o chiusa. Il corpo deve liberarsi da ogni resistenza, dovrebbe smettere di esistere. L'attore deve utilizzare il personaggio scenico come un bisturi per anatomizzare la propria personalità. Si tratta di utilizzare il personaggio immaginario come trampolino, uno strumento che permetta di penetrare in profondità in quello che si nasconde dietro la nostra maschera quotidiana, per farne dono. Tutte le nostre azioni nella vita servono di solito a nascondere la verità non solo agli altri, ma anche a noi stessi. Il compimento dell'atto di denudamento, richiede la mobilitazione di tutte le forze fisiche e spirituali da parte dell'attore che raggiunge uno stato di disponibilità passiva. È come se l'attore che compie l'atto intraprendesse un viaggio che si articola in segni vocali e gestuali; in tal modo lo spettatore riceve un invito alla compartecipazione. C'è un solo valore che né il cinema né la tv potranno mai sottrarre al teatro: il legame diretto che nasce tra esseri vivi. Quel legame fa si che ogni atto di provocazione da parte dell'attore, ogni manifestazione della sua magia diventi qualcosa di grande e straordinario. PER UN TEATRO POVERO Grotowskij voleva conoscere gli orientamenti della formazione dell'attore in Europa e fuori. Il metodo di formazione dell'attore nel nostro teatro mira a eliminare gli ostacoli che l'organismo può opporgli nel processo spirituale. Tra il processo interiore e la forma viene a crearsi un rapporto di tensione reciproca che potenzia entrambi questi fattori; la forma é come il morso mentre il processo spirituale è come l'animale che si dimena per liberarsi dal morso e tanto più intensamente cerca di gettarsi nelle reazioni spontanee. La teoria del teatro come sintesi porta in realtà a rafforzare il teatro dominante ma lo rafforza proprio nelle sue debolezze. IL DISCORSO DI SKARA Rendete le vostre azioni concrete collegandole a qualche ricordo. Non si possono produrre impulsi a reazioni senza un contatto. Contatto non vuol dire fissare lo sguardo, ma vedere. Il punto essenziale non è ascoltare e poi domandarsi che tipo d'intonazione sia, ma ascoltare e poi rispondere. Tutto il nostro corpo è un sistema di risonatori e le varie posizioni di una mano cambiano la risonanza della voce. Bisogna esercitare un controllo minimo sui punti di vibrazione. Dovete soltanto rivolgervi con la voce nelle diverse direzioni. Non cercate mai di ascoltare la vostra voce dentro di voi. Quando cercate di ascoltarvi, bloccate la laringe e il processo della risonanza. Non concentratevi su problemi che sono del regista e non dell'attore. 36 In un certo tipo di teatro che non vuole superare le barriere, questi sono già problemi dell'attore. Non cercare mai nello spettacolo la spontaneità senza la partitura. I segni sono una reazione umana, purificata da qualsiasi altro dettaglio che non sia di importanza essenziale. Le azioni degli attori per noi sono segni. Bisogna evitare sempre i cliché, non cercare le associazioni più facili. Si deve essere consapevoli dell'azione che sta dietro alle parole. Le parole per noi sono solo un pretesto, non devono mai essere illustrate. Essere annoiati, vuol dire cercare di trovate qualcosa che-possa tenere occupata una persona l’esempio di Stanislavskij. Evitare le banalità, non illustrare le parole e le didascalie dell'autore. Fica Vuol dire dare espressione nel lavoro a tutta la sincerità; è quello che crea quanto vi è di grande nell'arte. Un'opera di valore sarà impossibile se il vostro riferimento è il pubblico. I veri attori non hanno vita facile; è più facile per la spettatore ritrovare nello spettacolo ciò che già sa. A questo punto si può dire che si è conquistata la fama. CONTRIBUTO AL SONDAGGIO "IN CERCA DI UNA PROSPETTIVA” Nell'ultimo decennio c'è stato uno sviluppo evidente dei mezzi di comunicazione di massa per cui il teatro si è trovato in una situazione nuova. Il punto non è la rivalità con il cinema o con la televisione, ma la necessità di capire in che senso il teatro possa e debba essere un'arte di massa oggi. Capacità professionali supplementari degli attori che dovevano stare davanti alla macchina da presa e soprattutto davanti alla telecamera. Prestazioni extra dei teatranti, motivate tra l'altro da stipendi insufficienti. Il teatro è l'incontro di esseri umani, l'atto irripetibile che nasce nel contatto dell'attore e dello spettatore. L'attore è l'artefice che modella l'opera nel proprio organismo. Quando è in scena l'attore spesso difende sé stesso in quanto individuo privato, "personalità privata". Bisogna avere personalità; ma dicendo personalità non pensano all'interezza dell'essere umano, alla pienezza dei motivi che l'artista rivela nella sua azione creativa. Parlano piuttosto della maschera che assume l'uomo adeguato dall'ambiente. IL senso di responsabilità che osserviamo nei teatri, lascia malto a desiderare. Un tempo gli attori avevano un debutto ogni settimana. E la grande conquista di Stanislavskij è stata di ottenere per loro la possibilità di prepararsi scrupolosamente per molti mesi all'atto creativo. L'attore deve ritrovare e riscoprire i segni per mezzo dei quali dà ordine ai processi spontanei della sua sincerità ed entra in comunicazione con lo spettatore. L'atmosfera dei teatri invoglia a "recitare col talento", ovvero a ingannare sé stessi e gli spettatori, invoglia all'incompletezza creativa. Cerchiamo di migliorare e di ammodernare il teatro in quanto disciplina creativa. Nel confronto con la tv e il cinema, l'immediatezza palpabile e sensuale di quello che fa l'attore, l'indecenza della sua sincerità derivante dal fatto che è vicino allo spettatore ea quello che fa, lo fa per davvero davanti ai suoi occhi ; sono questi i fattori decisivi della particolarità del teatro. Il carattere di massa del teatro dovrebbe essere determinato dalla sua varietà che dà a ogni spettatore la possibilità di scelta individuale e quindi di un confronto intimo tra sé e l'attore, cioè tra sincerità e L'autocoscienza dell'attore e la sincerità e l'autocoscienza dello spettatore. Bisogna riflettere sul teatro come elemento di terapia sociale. Vogliamo essere “scientifici", ovvero rigorosamente logici e razionali, poiché i pregiudizi dominanti nella nostra civiltà ci impongono questa attitudine. I teatro crea l'occasione per La rimozione delle maschere, rivelare i contenuti reali, impegno assoluto, totalità delle reazioni fisiche e spirituali assunta in modo disciplinato. L'atto dell'attore è una proposta per lo spettatore. 37 NON ERA INTERAMENTE SE STESSO Il teatro della crudeltà, e canonizzato. Il paradosso di Artaud sta nell'impossibilità di imitarlo o di teatralizzare le sue proposte, Artaud ha parlato della magia del teatro. Forse non la comprendiamo, ma sappiamo che egli cercava un teatro che trascendesse il campo del discorso logico e della psicologia intesa come motivazione corrente delle azioni umane. Artaud parla di "trance cosmica che deve condurre al "teatro magico". Il punto di riferimento sono gli altri. La persona è il punto di riferimento L'idea del teatro autonomo ci è arrivata dalla Russia, da Mejerchol'd. Artaud vuole cancellare la separazione tra scena e platea. Egli interpretava come segni cosmici" e "gesti che evocano potenze soprannaturali" elementi dello spettacolo che funzionavano secondo un principio del tutto diverso. Quello che per Artaud era "misterioso" e "cosmico", nel teatro balinese significa semplicemente un'espressione concreta, una concreta parola teatrale nell'alfabeto dei segni la cui chiave è evidente e universalmente conosciuta ai balinesi. Artaud ha intuito che il mito é il centro dello spettacolo teatrale. Egli è stato un profeta. I suoi testi contengono un intreccio di previsioni, allusioni, visioni e metafore cosi suggestive che in una prospettiva di lungo termine coglieranno nel segno, perché tutto questo deve avverarsi. Le sue suddivisioni della respirazione in maschile, femminile e neutra derivano da una comprensione errata dei testi orientali e nella pratica sono cosi nebulose da non poter essere verificate. L'attore non dovrebbe illustrare l'"atto dell'anima" con il suo organismo, ma compierlo con il suo organismo. La sfortuna di Artaud è stata che la sua malattia (la paranoia) non era la malattia del secolo. Artaud esprime il problema della spontaneità e della disciplina. LE TECNICHE DELL'ATTORE (DENIS BABLET) In che modo Grotowskij è arrivato a elaborare la sua tecnica dell'attore e a definire gli obiettivi e gli strumenti? Brecht ha spiegato diverse cose sulle possibilità di un modo di recitare che ipotizzasse il controllo razionale delle azioni da parte dell'attore, l'effetto straniamento. Era qualcosa che aveva a che fare con una concezione nell'ambito dell'estetica dell'arte dell'attore. Brecht ha studiato l'arte dell'attore nei minimi dettagli, ma sempre dal punto di vista del regista che affianca l'attore. Artaud fornisce uno stimolo alle ricerche sulle possibilità dell'arte dell'attore, ma quello che propone sono visioni, una sorta di poema sull'arte dell'attore e dalle sue spiegazioni non si può trarre nessuna conclusione pratica. Artaud aveva osservato che esiste un parallelismo reale tra lo sforzo di un uomo che fa un'azione fisica e i suoi processi psichici. Stanislavskij ha posto le domande fondamentali e ha dato le proprie risposte. Non ha proposto all'attore ricette, ma strumenti per ritrovare sé stesso. Anche Charles Dullin ha elaborato numerosi esercizi utili, improvvisazioni, studi con le maschere o esercizi a tema. La formazione dell'attore deve essere adattata a ogni singolo caso. Uno dei grandi pericoli che limitano l'attore è la mancanza di disciplina, il caos. Mejerchol'd ha fondato il suo lavoro sulla disciplina, sull'articolazione esteriore; Stanislavskij invece sulla spontaneità della vita quotidiana. Durante lo spettacolo non si deve pensare allo spettatore. L'attore non dovrebbe considerare il pubblico come punto di orientamento, ma non dovrebbe nemmeno sottovalutare il fatto stesso dell'esistenza degli spettatori. L'attore non deve recitare per gli spettatori, deve recitare al cospetto degli spettatori, in presenza degli spettatori. LA RICERCA DEL MONDO Il teatro e in particolare la tecnica dell'attore, come ha sottolineato Stanislavskij non può basarsi semplicemente sull'ispirazione su fattori difficili da prevedere, come l’irrompere del talento un’ espansione improvvisa e sorprendente delle possibilità creative. Perché non può? AI contrario delle altre discipline artistiche, l'attore crea a comando, ovvero in un tempo determinato e persino a una determinata ora. 40 elementi è stato il famoso scenografo en Szajina. Gli elementi scenici di Akropolis non erano astratti, ma neanche realistici. Erano oggetti concreti, ma tutti totalmente "non teatrali". Gli attori non interpretavano i prigionieri, ma ciò che stavano facendo. Ogni attore manteneva una particolare espressione facciale, un tic difensivo, senza trucco. Era personale, specifico per ognuno, ma in gruppo era un'immagine straziante. Gli spettatori funzionavano sia come spettatori che nel contesto dell'opera. l Principe costante: l'intero spettacolo era basato sui motivi del Principe, era un tentativo di realizzare attraverso Ryszard Cieślak (il Principe), qualcosa di impossibile: un apice psicofisico, raggiunto e mantenuto coscientemente. La sala era costruita in modo che il pubblico fosse quasi nascosto dietro un muro; non c'era alcuna relazione tra gli attorie gli spettatori. La cosa importante è che la relazione tra attori e spettatori nello spazio sia significativa. Un montaggio iniziale è fatto prima che comincino le prove. Ma durante le prove si procede a un montaggio ulteriore. Il principio è il seguente: si chiede all'attore che interpreta Amleto di ricreare il suo Amleto, di fare la stessa cosa che ha fatto Shakespeare con l'Amleto tradizionale. È piuttosto semplice prendere un mito e costruirci attorno il proprio lavoro. Ciò che preferisco sono lavori nuovi che siano eterni, potrei addirittura non sapere a quali soggetti si riferiscono. L'Ulisse non è un'illustrazione né una parodia, ma allo stesso tempo esiste nel libro qualcosa di arcaico e in questo senso è eterno. L'attore non deve illustrare Amleto, deve incontrare Amleto. Deve creare nel contesto della propria vita e del proprio essete Non ha messo in scena l'Akropolis, l'ho incontrata, lo stesso per Auschwitz Si Stouttura Lmaatagsio casi che guasto conhonto possa Avere luoROun incontro In che cosa consiste kunita di azione in una spettacolo ? Unita di aZione non e l'unita -aione delropera scritte l pubblico sa che non sta vedendo il vero Amleto di Danimarca. S deve sempre cercare la verità letterale. La creatività in teatro non este se nonce una partitura, una linea di elementi fissi, Senza di essa c'e solo dilettantismo, La ricerca della disciplina e della struttura e tanto inevitabile quanto la ricerca della spontaneità. Cercare la spontaneità senza ordine porta sempre al caos INTRODUZIONE AD ALLENAMENTO DELL'ATTORE (1959-1962) L'attore deve scoprire le resistenze e gli ostacoli che lo intralciano nel suo compito creativo. Cosi gli esercizi diventano un mezzo per superare questi impedimenti personali. TEATRO E RITUALE Ognuno rimane prigioniero di un tipo definito di convenzione, di materia di pensare. di idee relative al teatro. Si deve andare a teatro, perché fa chic: a teatro si fanno spettacoli si creano personaggi, si fanno allestimenti, ma alla fine è solo un altro meccanismo che funziona di per sé, come l'obbligo di tenere conferenze. La via verso un teatro vivo può essere la spontaneità teatrale originaria. Dal momento che proprio i riti originari hanno dato vita al teatro, attraverso il ritorno al rituale si potrebbe ritrovare quel cerimoniale della partecipazione diretta, viva, una sorta di reciprocità, la reazione immediata. Lo spettatore, allontanato nello spazio, messo nella situazione di colui che in quanto osservatore non è neppure accettato, che rimane unicamente nella posizione di osservatore, è capace di una reale compartecipazione emotiva, poiché può ritrovare in sé l'originaria vocazione dello spettatore. la vocazione dello spettatore è essere osservatore, ma anche essere testimone. Se vogliamo immergere lo spettatore nello spettacolo, bisogna mischiarli con gli attori. É la situazione di Akropolis. Nel caso del Principe costante avevamo una compartecipazione diretta. Nel caso di Akropolis gli spettatori sono frammischiati agli attori; il risultato è che si crea un abisso. In Akropolis sono realmente due 41 mondi, poiché gli attori sono come brandelli umani, gente di Auschwitz, i morti; gli spettatori invece sono vivi, sono venuti a teatro per prendere parte a un rituale culturale. Se volevamo evitare il rituale religioso e costruire un rituale laico era piuttosto per confrontarci con le esperienze delle generazioni passate, col mito. I risultato è: gli spettacoli erano sempre ironici, quell'ironia che aveva un lato tragico, tuttavia gli spettatori erano solidali con il protagonista. Bisognava abbandonare questa concezione del teatro rituale, poiché oggi esso non è possibile, a causa della mancanza di credenza professate universalmente. Sotto la superficie di queste ricerche rivolte contro lo spettatore, stava un proposito nascosto: l'aspirazione a scoprire un sistema di segni adatti al nostro teatro, alla nostra civiltà. Lo spettacolo era costruito con piccoli segni gestuali e vocali. Ognuno di questi gesti costituiva ciò che Stanisiavskij chiamava "cliché gestuali". Ma non era questa la via. Quello che l'attore fa dovrebbe rimanere in relazione con il mondo circostante, in connessione con il contesto culturale: per evitare il pericolo degli stereotipi, bisogna cercare tutto ciò in modo diverso. Abbiamo avviato la ricerca nell'ambito delle relazioni umane organiche, per poi arrivare a strutturarle. L'attore è in grado di imitare la vita: si tratta del teatro realistico o naturalistico dove si imita il comportamento quotidiano( attraverso tutta la storia del teatro ho seguito il allo fra le due possibilità quella più vicina al fantastico, l'illusione, e l'altra, l’imitazione piuttosto realistica della vita. L'attore qui non dovrebbe recitare, ma penetrare i territori della propria esperienza, come se li analizzasse con il corpo e la sua voce. Dovrebbe ritrovare gli impulsi che fluiscono dal profondo del suo corpo e con piena chiarezza guidarli verso un certo punto che è indispensabile nello spettacolo. Se si vuole tracciare una linea del comportamento umano che possa servire all'attore come una specie di pista di decollo, bisogna possedere i morfemi di vesta partitura, nello stesso modo in cui le note sono i morfemi di una partitura musicale. Consideriamo morfemi gli impulsi che montano dall'interno del corpo per incontrare l'esterno. Si tratta di una sfera che comprende anche tutte le motivazioni dell'interno del corpo, dell'interno dell'anima. Esiste l'impulso che va verso l'esterno, mentre il gesto è solo il suo compimento. Abbiamo abbandonata l'idea del teatro rituale con il risultato di rinnovare il rituale, il rituale teatrale: attraverso l'atto, non attraverso la fede. HO DETTO SI AL PASSATO (Margaret Croyden) Il teatro povero è un teatro che si concentra soltanto sulle azioni di esseri umani e sulla relazione tra gli attori e il pubblico. Rinuncia a tutti gli effetti convenzionali perché non sono essenziali. Gli elementi materiali impediscono il nostro confronto reale con l'arte. L'attore è il creatore perché fa vivere la letteratura del teatro. Deve essere come un mago che incanta il pubblico. Confrontarsi con il testo vuol dire metterlo alla prova, lottare con esso, misurarsi con quello che significa facendo riferimento alle nostre esperienze contemporanee e poi dare la nostra risposta. L'atto totale è auto- rivelazione totale in un momento di estrema onestà. A questo punto le parole sono inevitabili. RISPOSTA A STANISLAVSKIJ Secondo Gratowskij il metodo Stanislavskij è stato uno del più grandi stimoli per teatro europeo, in particolare nella formazione dell'attore; nello stesso tempo si sente lontano dalla sua estatica. L'estetica di Stanislavskij era il prodotto dei suoi tempi, del suo paese e della sua persona. In senso professionale, G. si è formato sul sistema di S, Quando ha cominciato il suo lavoro, il punto di partenza era la sua tecnica. Un vero allievo di S. era Mejerchol'd. Non applicava il "sistema" scolasticamente, ma dava la sua risposta, Nutre per S. un grande rispetto fondato su due cardini: 1. per la sua autoriforma permanente, il continuo mettere in questione nel lavoro le tappe precedenti, dubitava delle novità; 42 2. per il suo sforzo di pensare sulla base di quello che è pratico e concreto, voleva trovare delle vie concrete verso processi segreti. I sentimenti non dipendono dalla nostra volontà. Cercava la famosa "memoria emotiva". Nella vita si può appurare che i sentimenti sono indipendenti dalla volontà. Non vogliamo amare qualcuno, ma lo amiamo. Per questo Stanislavskii nell'ultimo periodo dell'attività preferiva porre l'accento su ciò che è soggetto alla nostra volontà. Nella concezione di Stanislavskij le azioni fisiche erano elementi del comportamento, erano azioni elementari davvero fisiche, ma legate al fatto di reagire agli altri. Stanislavskij credeva che un allenamento positivo dovesse comporsi di tipi di esercizi distinti legati unicamente dal fine comune. Tutti gli esercizi da noi mantenuti erano indirizzati senza eccezione ad annientare le resistenze, i blocchi, gli stereotipi individuali e professionali, Per superare gli esercizi, bisogna scoprire il proprio blocco. Tutti questi esercizi avevano un carattere negativo, servivano a scoprire che cosa non si dovrebbe fare Questi esercizi sono personali, dunque sono notevolmente più difficili per noi che per gli altri. Negli esercizi si richiedeva all'attore la padronanza dei dettagli fino al punto in cui si manifestava la reazione personale. Quando l'attore è già sulla via verso l'atto ma non sa cosa deve fare, Stanislavskij esigeva che l'attore avesse una linea d'azione preparata che lo liberasse da questo problema. Quando Grotowskij lavorava con l'attore, non stava a riflettere né sul "sé" né sulle "circostanze date". Si rivolge alle esperienze che sono state per lui davvero importanti e a quelle che aspettiamo. Stanislavskij credeva che il teatro fosse la realizzazione del dramma; il teatro era per lui il fine. Si dice spesso che l'attore dovrebbe agire in prima persona: "io" e non la "parte". Spesso se l'attore pensa "io", pensa al proprio autoritratto, all'immagine che vorrebbe imporre agli altri.
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