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Teatro umanistico- Carpaccio e il ciclo di Sant'Orsola, Appunti di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Teatro umanistico- Carpaccio e il ciclo di sant'Orsola

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 05/06/2020

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Scarica Teatro umanistico- Carpaccio e il ciclo di Sant'Orsola e più Appunti in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! 28/04/20 -TEATRO UMANISTICO -CARPACCIO E IL CICLO DI S. ORSOLA Il teatro umanistico è considerato come quell’insieme di pulsioni spettacolari che precede la nascita del teatro moderno e dove una serie di compresenze e di potenziali modi d’essere del teatro verranno poi sviluppati e li ritroveremo nel progetto di recupero del passato che avverrà nel Rinascimento. Gli studi principali a riguardo sono quelli di Cruciani e di Seragnoli ; è infatti a partire dall’Umanesimo che una serie di istanze vengono elaborate durante dal 2° metà del 400 e per tutta la 1° metà del 500 e queste culmineranno nella nascita del teatro moderno. In realtà dovremmo immaginare il teatro del Rinascimento come l’incontro complesso e dialettico tra quella che è “un’idea forma” elaborata nelle pratiche e invece le pratiche stesse. Tutto il progetto che viene portato avanti dagli umanisti da un lato è lo sviluppo (attraverso la riscoperta dell’esegesi aristotelica e di Vitruvio) di una serie di istanze che vedranno la loro messa in opera nel Rinascimento. (2° metà del 500). A cavallo tra 400 e 500 convivono una serie di cerimonie performative sia di carattere religioso ( spettacoli processuali, drammaturgia recitata , istituzione pedagogica nelle confraternite) e dall’altro lato il recupero e il confronto con la cultura teatrale dell’antichità (i testi di Plauto, il “De architectura” di Vitruvio, le farse dello spettacolo popolare, le tragedie in latino e le varie commedie umanistiche, cortei laici e religiosi, le danze e i trionfi) - Tutte tradizioni che ritroviamo nel 400 e che poi si svilupperanno nel secolo successivo portando alla rinascita del teatro attraverso l’esegesi Aristotelica e di Vitruvio sia per quanto riguarda lo spazio scenico sia per quanto riguarda i canoni della commedia.. -Questa molteplicità di forme di rappresentazione COMPRESENTI sia laiche che sacre non va intesa all’interno di un unico spettacolo ma all’interno del contesto festivo, dove per festa possiamo intendere l’idea di cerimonia. (la festa può essere anche un funerale). -Tempo All’interno spaziale del tessuto urbano c’è questa polidricitàlicità di forme rappresentative che si mescolano le une con le altre. (città) – Spazio -Festa e città: elementi chiave. I vari studi analizzano il fenomeno dal punto di vista delle varie realtà urbanistiche Luzzio e Ranieri (mantova e Urbino), Molianri (aria fiorentina), Zorzi (Firenze Roma Venezia), Raimondo Guarino (Umanesimo Veneziano). Questi saggi, oltre a cercare di descrivere le rappresentazioni, mettono in luce anche quello che è l’altro polo centrale e costitutivo dello spettacolo: la ricezione e gli spettatori. Da un lato un teatro che ha bisogno della corte, del principe, della signoria ecc. che si autocelebrava nelle manifestazioni (committenza) e dall’altro la multiformità dei cittadini del popolo che spesso godeva della spettacolarità d’insieme partecipavano a rappresentazioni sia sacre che laiche costituivano il momento festivo. Nel 400 il genere rappresentativo per eccellenza sembra essere quello della sacra rappresentazione; tra gli autori principali vi erano: Lorenzo de’ Medici, Feo Belcari, Bernardo Pulci. Queste rappresentazioni erano basate su macchinari scenografici molto complessi che permettevano le apparizioni, le ascese al cielo dei santi ecc. oppure grandi ingegni per le discese o lo sprofondamento nel mondo degli inferi. Grandi furono i maestri fiorentini nel creare questi ingegni che poi venivano diffusi e commissionati in tutta Italia e nelle varie corti Europee. Parallelamente alle varie rappresentazioni, si diffonde nel 400 il gusto per la drammaturgia classica. Ed è attraverso gli Umanisti che da un lato si recupera attraverso l’esegesi di Vitruvio del “De architectura” il modello del teatro classico (quindi greco e latino) e si arriverà poi alla codificazione del Teatro moderno (il teatro all’italiana); dall’altro lato attraverso l’esegesi Aristotelica, nella seconda metà del 400 vengono recuperati i testi classici (Seneca-Tragedia, Plauto e Terenzio- commedia); si assiste quindi al recupero del genere drammatico della commedia e della tragedia in particolare sarà l’Accademia romana di Pomponio Leto (umanista italiano) a eccellere e a recuperare maggiormente quelli che erano i canoni della rappresentazione e la composizione del genere teatrale per quanto riguarda l’Umanesimo. Prevalentemente lo sguardo è quello al teatro di epoca romana. -Un evento esemplare per la storia del teatro è quello dalla rappresentazione dell’Orfeo di Angelo Poliziano di cui si ipotizza una prima rappresentazione nel 1480 a Mantova e una serie di rappresentazioni successive. (con disegni e macchine sceniche di Leonardo Da Vinci). Per alcuni studiosi del teatro quest’opera ha anticipato la nascita del melodramma, che diventerà poi l’opera lirica. (Quest’opera è un anello di congiunzione tra una drammaturgia medievale di carattere sacro e quella moderna che recupera i testi di epoca classica) Quest’opera riassume in sé elementi delle sacre rappresentazioni e tensione verso il mondo antico grazie alla riscoperta dei testi classici. -Un altro esempio è il Ciclo di dipinti di Vittore Carpaccio (pittore Veneziano, maestro della pittura Rinascimentale), dedicati al martirio di S. Orsola. Questo ciclo di dipinti è uno dei documenti iconografici che maggiormente ci tramanda notizie per quanto riguarda lo spettacolo di epoca Umanistica. (Lo storico del teatro Ludovico Zorzi dedica un intero saggio al ciclo di s. Orsola.) Si tratta di teatro in pittura: Carpaccio nel raccontare con 9 grandi dipinti la storia del martirio di questa santa, si rifà da un lato alla legenda aurea dell’arcivescovo Iacopo da Varagine e dall’altro si rifà soprattutto alla rappresentazioni sia sacre che laiche in epoca veneziana alla fine del 400. Una metà di questi dipinti racconta di una tradizione rappresentativa laica e l’altra metà tiene in considerazione le sacre rappresentazioni di epoca medievale e umanistica che venivano inscenate a Venezia. In particolare questo ciclo di dipinti, realizzati tra il 1490 e 1495, racconta per la prima metà del ciclo racconta la storia della santa immaginando quelle che erano le Momarie (Genere di rappresentazione mimica in maschera, veri e propri cortei fatti a tableaux vivants che erano a carattere matrimoniale). La seconda parte di dipinti narra il martirio della santa facendo riferimento alle sacre rappresentazioni. Questo ciclo si trova nell’Accademia di Venezia, costituisce un notevolissimo numero di informazioni su quello che era lo spettacolo veneziano di fine secolo e la cosa sorprendente è la doppia lettura che se ne può dare: da un lato c’è il livello esplicito della rappresentazione pittorica: molti di questi dipinti rappresentano più momenti, più scene e seguendo la narrazione dei dipinti ci viene raccontata la storia della martire; dall’altro vi è una sorta di narrazione implicita che fa riferimento non soltanto al testo della vicenda aurea di Iacocopo da Varagine ma anche alle rappresentazioni teatrali veneziane ,sia laiche che sacre, che venivano fatte all’interno dello stesso contesto festivo. Non è la riproduzione pittorica di un unico evento ma sono degli spunti che ci consentono di ricostruire gli eventi spettacolari sia laici che religiosi che erano compresenti. (Tempo- festa; Spazio-città) Per dipingere questi teleri, Carpaccio, oltre a rifarsi alla tradizione spettacolare dell’epoca, si rifà in particolare ad un testo che è la leggenda aurea di Iacopo da Varagine, l’arcivescovo di Genova e agiografo , che tra il 1260 e il 1298 (anno della sua morte) una serie di biografie agiografiche che consentono di costruire la leggenda e la storia di molti santi. A quest’opera si rifanno molti pittori nel secondo Medioevo e non solo. (Cappella degli Scrovegni di Giotto a Padova- Piero della Francesca). Della legenda aurea ( di cui la prima pubblicazione è del 1399) in particolare Carpaccio prende alcuni riguardo S. Orsola e mescola sapientemente i dati forniti da Iacopo da Vargine con le immagini che lui aveva degli spettacoli che venivano inscenati a Venezia. assistono alla Momaria (sfilata di carattere diplomatico). Infondo si possono notare le tipiche torri che troviamo all’arsenale di Venezia. La cosa interessante è la prima parte della sequenza che è una vera e propria sfilata a carattere diplomatico: la figura del nanetto (o del bambino) che suona uno strumento con davanti seduto “lo scalco”, queste due figure davano il ritmo all’azione degli attori. In primo piano è la figura dell’ambasciatore impersonato da un compagno della calza, del quale la calza è ricamata e ornamentata; sulle maniche dell’altro compagno della calza c’è lo stemma della compagnia della calza realizzato con raffinati ricami. Anche qui Carpaccio vuole raccontarci la leggenda tenendo conto della manifestazione a carattere laico che è la Momaria. Un altro ambasciatore che vediamo dentro l’edicola (una sorta di mansion) è l’amabasciatore che consegna il cartiglio con le risposte di Orsola al principe Ereo. La figura più interessante è quella centramente posta che è di spalle e che tiene in mano un cartiglio dietro le spalle, questa è la figura centrale del dipinto e ci mostra voltandoci le spalle, e che richiama alla tradizione delle *“parti scannate” con cui venivano recitate le battute dagli attori dilettanti (rifer. 1° quadro). Accanto a questo personaggio, è posto un'altra figura, un personaggio Shakespeariano (di epoca di fine 500, inizio 600- anche in epoca Elisabettiana le battute erano tagliuzzate). Le “parti scannate” erano le battute che venivano tagliate e venivano date ai vari attori perché le recitassero nel momento in cui il didascalos (indicatore- regista in diretta) glielo indicava. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- PARTE CENTRALE DEL CICLO 4) Il telero più importante di tutto il ciclo, è il telero centrale che divide esattamente in due parti il ciclo di dipinti- Il 1° quello che riguarda le rappresentazioni laiche (Momarie) e la 2° parte del ciclo che riguarda le rappresentazioni sacre. E il dipinto a sua volta è diviso in due, e riproduce più episodi in due aree ben distinte. A sinistra vediamo il congedo di Ereo dalla corte di Inghilterra e la partenza per raggiungere Orsola e recarsi dal papa a Roma ; a destra il congedo di Orsola dalla corte bretone per incontrare il futuro sposo Ereo e recarsi dal papa. A sinistra il commiato del principe Ereo si intravede l’ambientazione naturale e poco urbanizzata, con luoghi ed edifici rupestri, che simboleggiano che si tratta di una corte pagana; a destra invece è ambientato il commiato di Orsola, l’ambientazione è quella tipica veneziana, le tipiche architetture codussiane e veneziane dell’epoca. Quindi da una parte è rappresentato il mondo pagano: rupestre, incolto e naturale; dall’altra il mondo cristiano caratterizzato dalla cultura e dalla civilizzazione. L’asta centrale che divide in due il dipinto, oltre ad avere il artiglio che ufficializza che l’autore del dipinto è Vittor Carpaccio e l’anno in cui l’opera è stata realizzata, ha al di sopra raffigurato uno scorpione. Lo scorpione è il simbolo dei cattivi presagi, la sua coda piega verso la barca che dovrà recarsi a Colonia e dove sulla vela è scritto al contrario “malo” anche questa indice di cattivi presagi, fu ricondotta alla frase “malo mori quam fodeari”. Lo scorpione è anche il simbolo astrale di Marte, pronostico di disavventure e di viaggi sfortunati. Un altro particolare interessante se guardiamo verso sinistra, è la figura dell’indicatore con la toga rossa (probabilmente membro dei Loredan) che indica in particolare la figura seduta al centro del dipinto che fa ben vedere sul proprio braccio lo stemma della compagnia della calza e porta in mano un cartiglio. Capiamo l’importanza di questo personaggio in base al fatto che è posto al centro del dipinto, che è a sua volta posto al centro del ciclo. (nel 500 i dipinti avevano, come le varie scritture, una serie di letture: non solo quella letterale e figurativa ma anche quella allegorica e simbolica; ogni personaggio, ogni oggetto di dipinti spesso racchiude in sé tutta una serie di significai altri che vanno codificati per comprendere le allegorie e simbologie presenti nel dipinto). Questo personaggio così importante chi è? Da un lato il Molmenti lo avrebbe individuato come Antonio Loredan, figlio di Niccolò (il principale committente di tutta l’opera); dall’altro questo potrebbe essere un giovane patrizio che faceva parte di una *compagnia della calza: la compagnia degli zardinieri. Lo stemma che esibisce al centro di tutto il dipinto è proprio quello della compagnia degli zardinieri, questo è raffigurato nella manica della tunica del giovane patrizio. . (*organizzatori di rappresentazioni sia laiche che sacre) Stemma: raffigura un giardino con sopra due lettere: F e Z che stanno per (“frates zardinieri” ) che se lette insieme alle lettere S. A ( “societas amicorun”) che compaiono sulla calza del personaggio ci indicano a quale tipo di sodalizio il giovane aristocratico apparteneva. Sopra il giardino c’è un cielo scoppiettante di folgore che allude alla voce di Dio (secondo la scienza dei geroglifici= immagine di Dio – questa scienza nasce a Venezia tra 400/500). E’ un indizio che ci permette di collocare l’esistenza della calza già a partire dl 400 e l’importanza che ha avuto nell’organizzazione di rappresentazioni sacre e profane. Lo stemma che porta il giovane risulta il centro dunque di tutto il ciclo di dipinti e ci rivela come mai la compagnia degli zardinieri competa un ruolo tanto centrale all’interno di tutta l’opera. Nello stemma siamo di fronte a un giardino come luogo dove si coltivano le virtù e al centro troviamo (lignum vitae) l’albero della vita, con un cartiglio dove è scritto “florebo prospicente deo”; accanto all’albero c’è una fanciulla con un rastrello che serve per dividere le sementi buone da quelle cattive. Manca invece la figura tipica del gentiluomo che vinee spesso raffigurata nel giardino, dobbiamo immaginare che manchi perché è lo stesso giovane a portare lo stemma ad essere il gentiluomo mancante. Sostanzialmente l’insegna vorrebbe rappresentare la virtù di cui il gentiluomo si dichiara portatore nel tentativo di organizzare divertimenti. (Coltivare le virtù dei sensi con l’elevazione spirituale- ideale cavalleresco). Nello stemma degli zardinieri possiamo leggere il passaggio da una cultura medievale religiosa a duna cultura umanistico mondana tipica della mentalità cavalleresca e l’orto giardino si sarebbe trasformato in una sorta di perimetro di spazio teatrale, quindi dal ortus clausus all’ocus amenus, alla nascita dello spettacolo come momento di trasformazione di quest’ultimo in luogo teatrale, rappresentativo. Lo stemma quindi sembrerebbe essere la prova dello stretto rapporto tra la famiglia Loredan e queste compagnie della calza. ^Queste compagnie di giovani aristocratici, che avevano il compito di organizzare feste ed eventi per la Repubblica serenissima e che organizzarono tra 400 e 500, prevalentemente rappresentazioni sacre e profane, vedremo che nel 500 oltre all’organizzazione si occuperanno della realizzazione e spesso utilizzavano come luoghi d’intrattenimento i giardini stessi, che era consuetudine diffusa utilizzare come spazi della rappresentazione.^ -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 2° PARTE DEL CICLO 5) Sono raffigurati i due giovai Orsola ed Ereo presso il papa Ciriaco (un papa inventato) che unendoli e battezzando le 11000 vergini assolve alle richieste di Orsola che alludono all’idea di cristianizzare il mondo pagano. L’ambientazione è quella di Roma, si vede Castel Sant’Angelo ed è la zona di Prati (perché all’epoca vi erano prati) e assistiamo ad una Momaria, ad un corteo diplomatico matrimoniale. 6) Questo telero rappresenta il sogno di Orsola, che ormai è sposata, c’è la corona ai suoi piedi. (ecco perché questo viene collocato dopo quello che raffigura i due sposi ). Orsola sogna un angelo con la palma del martirio. E anche in questo dipinto che sembra essere ambientato in una spazialità tipica da mansion, troviamo una serie di elementi simbolici, tra cui le due piante sul davanzale: il garofano e il mirto, simboli dell’amor profano e dell’amor sacro e uniscono insieme le due esperienze : sacra e laica. (come nello stemma degli zardinieri dove il giardino edenico diventa giardino dedicato al divertimento e richiama allo spazio teatrale) 7)Questo telero rappresenta l’arrivo dei personaggi a Colonia e l’incontro con Attila re degli Unni, barbaro e pagano che intende sposare Orsola. 8)Martirio della Santa. Il dipinto è diviso in due: a sinistra c’è l’uccisione e il martirio della Santa e a destra troviamo il funerali di Sant’Orsola con seduta sugli scalini la nutrice. ( i funerali non vengono spesso narrati nella leggenda della santa ma Carpaccio decide di rappresentarli) 9)Quest’ultimo telero è la pala d’altare collocata nella parete da cui si entra nella Galleria dell’Accademia ed è l’ultimo dei nove teleri di Carpaccio e rappresenta l’apoteosi. (L’apoteosi veniva realizzata con macchinari e ingegni che facevano sì che la Santa volasse al cielo.) -Questo ciclo di dipinti è un documento che indica perfettamente il passaggio tra Medioevo e Rinascimento e fornisce indizi e informazioni riguardo le rappresentazioni sacre e laiche dell’epoca.
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