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Dispensa completa Tecnologia Meccanica e Qualità ( TMQ ), Dispense di Tecnologia Meccanica

Dispensa del corso tecnologia meccanica e qualità contenente riassunti e appunti raccolti seguendo le lezioni e rielaborando le slides dei professori Alfieri, Colosimo e Moroni. Potrete gratuitamente consultare l' INDICE COMPLETO di questa dispensa al seguente link: https://www.docsity.com/it/indice-dispensa-tecnologia-meccanica-e-qualita-tmq/7675863/

Tipologia: Dispense

2016/2017

In vendita dal 18/06/2021

Bibis93
Bibis93 🇮🇹

4.3

(3)

16 documenti

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Scarica Dispensa completa Tecnologia Meccanica e Qualità ( TMQ ) e più Dispense in PDF di Tecnologia Meccanica solo su Docsity! Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D. Sarandrea Appunti: CORSO DI TECNOLOGIA MECCANICA E QUALITÁ Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 2 Sul mio account potrete trovare appunti e dispense riguardanti le seguenti discipline universitarie: • Economia e Organizzazione Aziendale • Economia Micro e Macro • Gestione Aziendale A • Sistemi Informativi • Tecnologia Meccanica e Qualità Al link: https://www.docsity.com/it/utenti/profilo/Bibis93/ Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 5 1 INTRODUZIONE Gli argomenti di cui si occupa il corso sono: • Manufacturing, cioè studio delle tecnologie e dei sistemi di produzione; • Quality, cioè analisi della qualità di un prodotto o di un processo. Per quanto riguarda la produzione manifatturiera, è possibile definire due diverse tipologie di produzione industriale, cioè: • Produzione per processo: La principale caratteristica di questo tipo di produzione è che gli elementi che costituiscono il prodotto finale (componenti, grezzi, semilavorati, …) non possono essere facilmente identificabili. Il prodotto, inoltre, non può essere scomposto a ritroso poiché i componenti originari non sono più distinguibili tra loro o hanno cambiato natura. (esempi: acciaio, carta, prodotti chimici, prodotti farmaceutici, prodotti alimentari, …) • Produzioni per parti o manifatturiere: Il prodotto finale risulta composto da un numero finito di componenti discreti, detti parti. Il processo produttivo è generalmente composto da due fasi: - Fabbricazione: insieme delle lavorazioni (trasformazioni) che modificano le singole parti o componenti; - Assemblaggio: insieme delle operazioni di giustapposizione delle singole parti per formare un assieme, sia esso un prodotto finito o un semilavorato. (esempi: automobili, calcolatori, elettrodomestici, calzature, giocattoli, …) 1.1 Trasformazioni Si definisce trasformazione la variazione nel tempo di una o più proprietà della parte ottenuta attraverso opportuni processi elementari. Esistono diversi tipi di trasformazioni: • Trasformazione di forma e dimensioni → macrogeometria della parte • Trasformazione del grado di finitura di una superficie → micro geometria della parte • Trasformazione delle caratteristiche meccaniche → durezza, carico di rottura, … • Trasformazione di stato, di temperatura. I fattori che concorrono in una trasformazione sono diversi; in particolare si considerano: 1. Materia In ingresso (input) alla trasformazione ci sono sempre dei materiali, che si possono distinguere in: • Grezzi: materie prime, però già lavorate da altre aziende in modo da poter essere utilizzate nel processo produttivo (ad esempio, fogli di carta o di alluminio, lastre di acciaio, …); Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 6 • Semilavorati: prodotti “intermedi” alle fasi di lavorazione, cioè che hanno già subito delle trasformazioni; • Altri materiali: materiali che possono essere richiesti per la corretta esecuzione della trasformazione, come per esempio liquidi refrigeranti o lubrificanti, oppure materiali che possono essere aggiunti al grezzo durante la trasformazione. In uscita (output) dalla trasformazione, invece, ci saranno: • Prodotti finiti e/o semilavorati: prodotti ottenuti dopo la trasformazione; • Sfridi: materiale in eccesso presente sul grezzo e asportato durante la trasformazione; • Scarti: prodotti finiti o semilavorati che non sono conformi alle specifiche imposte. Durante le trasformazioni, la materia si può presentare in diversi stati fisici: • Plasma; • Gassoso; • Solido; • Liquido. Le trasformazioni comportano una variazione ΔM della massa del prodotto finito o del semilavorato (Mf) rispetto alla massa del grezzo o del semilavorato di partenza (Mi). Distinguiamo tre casi possibili: • Riduzione della massa → ΔM = Mf – Mi < 0 Dopo la trasformazione la massa del prodotto finito o del semilavorato è minore di quella del grezzo o del semilavorato di partenza. La trasformazione comporta l’eliminazione di parte della massa iniziale (generalmente sfridi); • Massa costante → ΔM = Mf – Mi = 0 La trasformazione lascia inalterata la massa della parte; • Aumento di massa → ΔM = Mf – Mi > 0 La trasformazione comporta un aumento della massa della parte finita, essendo questa l’assieme risultante dalla giustapposizione di più parti. 2. Energia Le trasformazioni sono operate grazie ad opportuni scambi di energia. L’energia scambiata può essere di vari tipi: • Energia Meccanica (per esempio la piegatura, l’asportazione di materiale, …); • Energia Termica (per esempio la fusione di un metallo, il riscaldamento o raffreddamento di una parte, …); • Energia Chimica (per esempio il processo di polimerizzazione, …). 3. Risorse Qualsiasi trasformazione, per essere compiuta, necessita di opportune risorse. In particolare si può fare una distinzione tra: Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 7 • Macchina: fornisce l’energia necessaria per attuare la trasformazione e gestisce la traiettoria di processo; • Utensile: consente di trasferire l’energia dalla macchina al grezzo o al semilavorato in ingresso nella trasformazione; • Attrezzatura: consente al grezzo o al semilavorato in ingresso di essere integrato nella macchina. Si può quindi parlare di un sistema tecnologico di trasformazione, costituito da: Parte + Macchina + Attrezzatura + Utensile 4. Informazioni Le trasformazioni, per essere attivate, necessitano di opportune informazioni, che generalmente possono essere di due tipi: • Informazioni tecnologiche, cioè: - specifiche di prodotto (tolleranze); - risorse necessarie per eseguire la trasformazione (macchine, utensili, attrezzature); - traiettoria di processo. • Informazioni gestionali, cioè: - quando eseguire la trasformazione; - quali strumenti specifici usare tra varie alternative; - feedback sul processo (gestione, miglioramento della qualità, …). 1.2 Qualità Si definisce qualità la capacità di un prodotto di soddisfare le esigenze del cliente, siano esse esplicite o implicite. In genere, si parla di: • Qualità di progetto, intese come specifiche e/o tolleranze, che possono essere: - caratteristiche estetiche; - affidabilità; - consumi, prestazioni, … . • Conformità alle specifiche. 1.2.1 Conformità alle specifiche Si definisce trasformazione ideale una trasformazione in cui lo stato iniziale e lo stato finale sono definiti in modo deterministico. Nelle trasformazione reali, invece, il risultato finale, cioè l’output della trasformazione, è influenzato da fenomeni non controllabili, che prendono il nome di disturbi. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 10 3. La soluzione migliore è quella in cui vengono effettuate due forature, la prima con punta da centri e la seconda utilizzando la punta elicoidale. La seconda foratura tuttavia, a differenza della soluzione precedente, è guidata da una bussola di centraggio grazie alla quale la variabilità della posizione del foro sarà: ± 0.05mm e quindi il prodotto soddisferà sicuramente le specifiche richieste. 1.3 Scelta del processo di produzione Nella scelta di un processo di produzione intervengono diversi fattori: • Fattibilità tecnica: Il processo che realizza il prodotto deve garantire: - il rispetto delle specifiche tecniche del prodotto indicate nel disegno tecnico, come per esempio tolleranze, rugosità, …; - i volumi richiesti, cioè della capacità produttiva; - il rispetto delle normative, cioè il rispetto dell’ambiente, della sicurezza, … . • Fattibilità economica: L’attività produttiva deve infatti garantire all’azienda un profitto in termini monetari, cioè un utile, attraverso cui essa possa autofinanziarsi. Approssimativamente, l’utile può essere calcolato come differenza tra il valore della produzione e i costi della produzione stessa. UTILE = VALORE DELLA PRODUZIONE - COSTI DELLA PRODUZIONE Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 11 2 QUALITÀ IN PRODUZIONE Come già detto, tutte le trasformazioni reali sono caratterizzate dalla presenza di disturbi, cioè fenomeni non controllabili che influenzano il risultato finale. Per questo motivo, il controllo e la scelta del processo produttivo sono di fondamentale importanza. Esempio: Perno di collegamento In fase di progettazione, sono state determinate le caratteristiche e le specifiche che il perno dovrà avere. In particolare, dovranno valere queste relazioni: - l’ accoppiamento dovrà essere scorrevole Dforo1 > D Dforo2 > D - il gioco deve essere piccolo L1, L – L1 – L3 adeguati - il perno deve poter essere montato correttamente L4 – (L – L1) > 0 L’obiettivo sarà la realizzazione del perno minimizzando i costi e rispettando le specifiche del progettista: D±t1, L ±t2 Il processo di produzione del perno, semplificato, è questo: 1. si riceve in ingresso un grezzo, avente dimensioni D’ e L’. La prima operazione che viene eseguita è una sfacciatura esterna, che riduce la lunghezza del pezzo da L’ a L; 2. la seconda operazione, invece, è la tornitura longitudinale esterna, che viene sempre condotta con un tornio e che permette di ridurre le dimensioni del diametro da D’ a D. Dato che il processo non è ideale ma reale, bisogna tenere conto della variabilità dell’output. Considero per esempio la seconda operazione che viene eseguita, cioè la tornitura longitudinale esterna: dato che il caso considerato è reale, come già detto, andranno considerati molteplici risultati reali. È quindi possibile eseguire una serie di rilevazioni e costruire un istogramma con i dati raccolti. Le cause della variabilità dell’output possono essere diverse: - materiale utilizzato non omogeneo; - operatori; - utensili usurati; - … . Per decidere come comportarsi, bisogna confrontare: - condizioni iniziali, cioè a inizio produzione; - condizioni attuali. Quindi devo confrontare la distribuzione probabilistica dei risultati a condizioni iniziali e condizioni attuali, interpretando le variazioni. Il controllo qualità si occupa di monitorare eventuali variazioni (nel tempo) di fattori come: - media e varianza (parametri della distribuzione); - frazione dei non conformi. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 12 Gli strumenti che vengono maggiormente utilizzati per il controllo statistico della qualità sono le carte di controllo. 2.1 Controllo statistico della qualità Per il controllo statistico del processo e della sua qualità vengono spesso utilizzate delle tecniche diverse dalle carte di controllo, ritenute troppo tecniche e, per questo, magari poco comprensibili per il management. 2.1.1 Metodi SPC – Statistical Process Control I metodi SPC sono una collezione di tecniche qualitative e quantitative che consentono di: • mantenere in controllo il processo; • conoscere la capacità – capability – del processo; • “migliorare” la capacità. NB: capacity = capacità produttiva oraria di un macchinario; capability = accuratezza del processo produttivo, capacità di soddisfare le specifiche. Esistono diverse tecniche SPC: 1. Check sheet (foglio esame) Si crea una tabella in cui vengono inseriti i difetti che possono essere riscontrati all’interno del processo produttivo (quelli gravi, che possono “danneggiare” o rallentare la produzione) e la loro occorrenza in un determinato intervallo temporale. Questo metodo permette di determinare l’andamento temporale di un certo difetto, ma è abbastanza superficiale (non indica la gravità dei difetti stessi). 2. Carte di Pareto Viene fornita una rappresentazione grafica dell’occorrenza globale (cioè si considera l’intero intervallo di tempo in cui il processo produttivo viene controllato) di un certo difetto all’interno di un istogramma. Questo metodo è molto utile, ma non fornisce nessuna indicazione riguardo la distribuzione temporale dei difetti stessi. 3. Diagrammi causa–effetto (Ishikawa) Si ricercano prima le macrocause dei difetti (macchine, metodi, …) e, successivamente, si procede a individuare le cause specifiche. Indicano dove intervenire, ma non l’occorrenza temporale dei difetti. INTERVALLO DI TEMPO DIFETTO T1 T2 T3 T4 T5 T6 Tm D1 1 1 2 1 10 3 1 D2 2 1 3 1 D3 1 1 Dn 2 20 Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 15 Se il processo continuerà ad avere un funzionamento corretto, i campioni controllati in futuro dovranno rientrare in questo controllo: se lo fanno, il processo si definisce “in controllo”. LCS = Linea di Controllo Superiore LC = Linea Centrale LCI = Linea di Controllo Inferiore Se un campione non rientra nell’intervallo di controllo, si parla di allarme: a volte, però, si può trattare di un evento casuale, cioè di una fluttuazione. NB: casi particolari: - un prodotto può soddisfare le specifiche anche se situato all’esterno di [LCI; LCS], se si trova all’interno dell’intervallo di tolleranza; - la linea centrale si trova in corrispondenza del valore atteso e, nel caso della distribuzione Normale, si trova esattamente a metà dell’intervallo. Con queste rappresentazioni, però, si perde del tutto la dimensione temporale del rilevamento del campione, che può risultare molto utile: la presenza di sequenze di punti crescenti o decrescenti (oppure la presenza di ciclicità nei campionamenti di controllo delle specifiche) può dare informazioni utili sull’andamento futuro dei campioni. Per questo motivo, viene introdotta la carta di controllo di Shewhart, che permette di tenere conto di quando i campioni sono stati raccolti. (con w valore associato al campione di dati) L’intervallo di controllo viene così determinato: LCS = μw + K σw LC = μw LCI = μw – K σw Dove: μw = E(w) σw = √Var(w) K = coefficiente positivo che determina l’ampiezza dell’intervallo Quindi: 1. Scelgo il sistema di misura (modalità, frequenza, dimensione, …); 2. Calcolo le carte di controllo; 3. In caso di allarme, ricerco la causa e se possibile la rimuovo. In casi estremi, invece, può essere necessario riprogettare la carta di controllo. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 16 Esempio: Carta di controllo sulla media Un processo realizza degli anelli di tenuta per pistoni e, con condizioni di processo stabili, l’output (inteso come diametro esterno di ogni singolo anello) segue una distribuzione di questo tipo: X ~ Nor(μx; σx2) con: μx = 74.000mm σx = 0.010mm Decido di monitorare la media del processo: 1. Prelevo a intervalli regolari e predefiniti campioni di n=5 anelli; 2. Per ogni campione, calcolo la media campionaria e riporto su un grafico il suo andamento nel tempo: Xi ~ Nor(μx; σx2) → ?̅? ~ 1 𝑛 ∑𝑋𝑖 Con: 𝐸(?̅?) = 𝐸 ( ∑ 𝑋𝑖𝑖 𝑛 ) = 1 𝑛 𝐸 (∑ 𝑋𝑖 𝑖 ) = 1 𝑛 ∑ 𝐸(𝑋𝑖 𝑖 ) = 1 𝑛 𝑛 𝜇𝑥 = 𝜇𝑥 𝑉𝑎𝑟(?̅?) = 𝑉𝑎𝑟 ( ∑ 𝑋𝑖𝑖 𝑛 ) = 1 𝑛2 𝑉𝑎𝑟 (∑ 𝑋𝑖 𝑖 ) = 1 𝑛2 ∑𝑉𝑎𝑟(𝑋𝑖 𝑖 ) = 1 𝑛2 𝑛 𝜎𝑥 2 = 𝜎𝑥 2 𝑛 Dato che la media si ottiene come somma di Normali, anche essa è una normale: ?̅? ~ 𝑁𝑜𝑟(𝜇𝑥; 𝜎𝑥 2 𝑛 ) Quindi, al crescere di n (cioè all’aumentare delle dimensioni del campione), si ha una riduzione della varianza, a scapito però dei costi di campionamento. 3. Calcolo i limiti di controllo: LCS = 74.000mm + K0.0045mm LC = 74.000mm LCI = 74.000mm – K0.0045mm Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 17 2.1.3 Criteri di allarme Con il termine allarme ci si riferisce ai punti esterni ai limiti di controllo. A volte, però, ci si può imbattere nei cosiddetti falsi allarmi, cioè fluttuazioni occasionali. Si possono definire: α = Prob(allarme | sistema in controllo) → errore di prima specie β = Prob(no allarme | sistema fuori controllo) → errore di seconda specie Quindi, si ha che: • se α è elevato, aumenta la probabilità di dover analizzare un allarme ingiustificato (falso allarme), situazione particolarmente grave se le procedure di analisi prevedono il fermo dell’impianto; • se β è elevato, aumenta la probabilità di non avere allarmi in presenza di un fuori controllo. Il rischio, molto grande, è costituto dal fatto che per effetto del fuori controllo potremmo produrre parti fuori specifica senza rendercene conto immediatamente. Si possono definire due diverse situazioni: • H1 = il sistema è fuori controllo Quanto vale la probabilità di avere un allarme al j-esimo tentativo? Dato che me ne accorgo al primo tentativo con probabilità (1 – β) e al secondo con probabilità β e che gli eventi considerati sono tra loro indipendenti, vale che: 1° tentativo → Prob = (1 – β) 2° tentativo → Prob = β (1 – β) 3° tentativo → Prob = β2 (1 – β) … J–esimo tentativo → Prob = βj–1 (1 – β) Il numero medio di campioni da estrarre prima di avere un allarme (ARL – Average Run Lenght) si calcola in questo modo: 𝐀𝐑𝐋(𝐇𝟏) =∑𝐣 𝛃 𝐣−𝟏 (𝟏 − 𝛃) = 𝟏 𝟏 − 𝛃 ∞ 𝐣=𝟏 • H0 = il sistema è in controllo Solo in questo caso, vale che α = 1 – β, in quanto se vale l’ipotesi che il sistema è in controllo tutti gli allarmi sono dei falsi allarmi. Quanto vale la probabilità di avere un allarme al j-esimo tentativo? 1° tentativo → Prob = α 2° tentativo → Prob = α (1 – α) 3° tentativo → Prob = α (1 – α) 2 Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 20 2.1.5.3 Fasi di vita di una carta p Le fasi della “vita” di una carta p sono due: 1. Fase 1 – Progettazione • In fase di progettazione, bisogna innanzitutto considerare il valore di p. In particolare, se questo valore non è noto è necessario stimarlo opportunamente: - prendo m campioni (20-25) di dimensione n (il processo deve essere in una ragionevole condizione di regime); - calcolo il valore: 𝑝?̂? = 𝑑𝑖 𝑛 con i = 1, …, m cioè la percentuale di difettosi nel campione i–esimo (è una probabilità calcolata con la definizione frequentistica); - plotto i dati; - calcolo il valore di p come: p = p̅ = ∑ pî ni mn = n∑ pîi mn = 1 m ∑pî i (= ∑ Dii mn ) • A questo punto, si possono calcolare i limiti di controllo con il valore di p noto o determinato nel punto precedente: LCS = μW + Kσw = p + k√ p (1 − p) n LC = μW = p LCI = μW − Kσw = max{0; p − k√ p (1 − p) n } Successivamente, si può plottare la carta; • Ricerco le cause assegnabili per eventuali campioni fuori controllo (dove cioè la statistica rappresentata sulla carta risulta essere esterna ai limiti); • Elimino i punti fuori controllo per i quali è possibile trovare una causa assegnabile (evento anomalo in un particolare intervallo di tempo, in cui viene fatto il campionamento). Successivamente, ricalcolo i limiti utilizzando il valore di p così calcolato: ?̅? = ∑ 𝑝?̂?𝑖≠𝑗 𝑚−J con j = campione fuori controllo • I tre passaggi precedenti (calcolo dei limiti, plot della carta, eliminazione dei punti fuori controllo) vengono iterati fino a quando non vengono esauriti tutti i punti fuori controllo con cause assegnabili (quelli che non ne hanno una, cioè le fluttuazioni, non vengono presi in considerazione). 2. Fase 2 – Utilizzo della carta Una volta progettata, la carta viene utilizzata per monitorare il processo produttivo con questi passaggi: Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 21 • Per ogni nuovo campione, calcolo il valore: pî = di n ; • Plot del nuovo punto sulla carta; • Se il punto è fuori controllo, ricerco la causa assegnabile (senza toccare i limiti). Esempio: Gestione della carta Se osservando la carta di controllo si sospetta che siano cambiate le caratteristiche della popolazione (p differente), per esempio in seguito ad un intervento di riparazione dei macchinari utilizzati, ad una modifica del processo produttivo, ecc si possono prendere in considerazione due diverse ipotesi: • H0: 𝑝1 = 𝑝2 Le caratteristiche della popolazione non sono variate • H1: 𝑝1 ≠ 𝑝2 Le caratteristiche della popolazione sono cambiate Per verificare l’ipotesi H0, usiamo la statistica test: ?̂?1 = valore di p in fase di progettazione ?̂?2 = valore di p in fase di gestione ?̂? = 𝒏𝟏 ∙ 𝒎𝟏 ∙ ?̂?𝟏 − 𝒏𝟐 ∙ 𝒎𝟐 ∙ ?̂?𝟐 𝒏𝟏 ∙ 𝒎𝟏 + 𝒏𝟐 ∙ 𝒎𝟐 → 𝒁𝟎 = ?̂?𝟏 − ?̂?𝟐 √?̂? (𝟏 − ?̂?) ( 𝟏 𝒏𝟏 ∙ 𝒎𝟏 + 𝟏 𝒏𝟐 ∙ 𝒎𝟐 ) In particolare, si rifiuta l’ipotesi H0 se vale che: |𝒁𝟎| > 𝒁𝜶 𝟐 L’effetto della scelta del valore K sulla carta è fondamentale, in quanto influisce sul calcolo dell’ampiezza dell’intervallo di controllo [LCI; LCS] e di conseguenza sul valore assunto da α. Se w è distribuito come secondo l’approssimazione gaussiana, si può calcolare α come: 𝛂 = 𝟏 − [𝛗( 𝐋𝐂𝐒 − 𝛍𝐰 𝛔𝐰 ) − 𝛗( 𝐋𝐂𝐈 − 𝛍𝐰 𝛔𝐰 )] Solitamente, si pone K=3 (in corrispondenza di questa particolare scelta, infatti, il 95% circa della massa della distribuzione Normale è compreso tra i limiti); in corrispondenza di questa particolare scelta, si ha che: K = 3 → α = 2.7‰ NB: allo stesso modo, assegnato un valore di α si può determinare un opportuno valore di K. Processo stabile (in controllo statistico) Processo fuori controllo statistico K grande pochi punti esterni e, quindi, pochi falsi allarmi allarmi solo per grandi variazioni del processo K piccolo molti falsi allarmi allarmi anche per piccole variazioni Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 22 2.1.5.4 Approssimazione della Binomiale Se conosciamo il modo di distribuirsi di w possiamo calcolare la probabilità che un punto sia esterno ai limiti di controllo. La distribuzione Binomiale può essere approssimata con una distribuzione Normale: 𝐵𝑖𝑛 (𝐷; 𝑛; 𝑝) → 𝑁𝑜𝑟 (𝐷; 𝜇; 𝜎2) con: μ = np σ2 = np (1 – p) Non sempre tuttavia è possibile procedere con una approssimazione; si ha che: • l’approssimazione è adeguata se: - p = 0.5 circa (0.3 < p < 0.7); - np > 10. • l’approssimazione non è adeguata se: - p < 1 n+1 oppure p > n n+1 A volte, dato che si approssima una variabile aleatoria discreta (Binomiale) a una continua (Normale) è necessario adottare la correzione di continuità. Ecco come varia l’approssimazione al variare dei valori di n e p: Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 25 2.1.6 Scelta del campione Se prendiamo valori di p e n piccoli, per esempio p=0.01 e n=8, si ha che: LCS = 0.01 + 3 ∙ 0.03518= 0.1155 = 11.55% Ma cosa significa che, preso un campione di 8 parti, l’11.55% è difettoso? Il numero di difettosi in un campione deve essere un valore discreto, altrimenti è privo di senso; da un punto di vista gestionale quindi si ha che: • 0 difettosi → processo in controllo; • 1 difettoso → processo fuori controllo. Questo significa che basta trovare una sola parte difettosa nel campione per dover fermare l’intero processo, incontrando così grossi sprechi di tempo e denaro. Con n e p piccoli, inoltre, ci possono anche essere dei problemi in fase di progettazione della carta. La scelta della dimensione del campione n, quindi, si rivela di fondamentale importanza in quanto: • n piccolo → problemi in fase di progettazione e gestione della carta; • n grande → il campionamento può rivelarsi costoso, soprattutto se i test sono “distruttivi”, cioè non è possibile recuperare tutti i pezzi testati (per esempio, i crash test). Esempio: Probabilità che il numero di difettosi sia nullo Siano per esempio: - n = 8; - p = 0.01; - m = numero di campionamenti = 20. Si ha allora che, prendendo in considerazione un singolo campionamento, la probabilità che ci sia assenza di difettosi è pari a: 𝑃𝑟𝑜𝑏 (𝐷 = 0 | 𝑛 = 8; 𝑝 = 0.01) = ( 𝑛 0 ) 𝑝0 (1 − 𝑝)𝑛 = (1 − 𝑝)𝑛 Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 26 Se invece si considerano gli m campionamenti, la possibilità che il numero di non conformi sia nullo è: [𝑃𝑟𝑜𝑏 (𝐷 = 0 | 𝑛 = 8; 𝑝 = 0.01)]𝑚 = [( 𝑛 0 ) 𝑝0 (1 − 𝑝)𝑛] 𝑚 = (1 − 𝑝)𝑛𝑚 = 0.20 Con 20 campionamenti ripetuti nel tempo, con l’80% di probabilità non si riesce a progettare la carta perché vengono individuati troppi allarmi. Per la decisione di n, possono essere usati questi metodi: 1. Assenza di difettosi (D=0) evento raro → H0, processo in controllo Dire che l’assenza di difettosi è un evento raro significa che: Prob (D = 0 | H0) ≤ γL e, dato che 𝐷 ~ 𝐵𝑖𝑛 (𝑛; 𝑝) si ha che: Prob (D = 0 | H0) = ( n 0 ) p0 (1 − p)n−0 ≤ γL dove p è un valore o noto o opportunamente stimabile (valore target oppure preso da un processo simile, …) mentre γL indica un valore della probabilità di accadimento dell’evento “assenza di difettosi” scelto dal decisore. (1 − p)n ≤ γL n log(1 − p) ≤ log γL 𝐧 ≥ 𝐥𝐨𝐠 𝛄𝐋 𝐥𝐨𝐠(𝟏 − 𝐩) NB: più è piccolo il valore assunto da p, più sarà grande il valore di n. 2. LCI > 0 → H0, processo in controllo Se si vuole invece scegliere un valore di n per il quale LCI sia strettamente positivo, è necessario che: LCI = p − K√ p (1 − p) n > 0 √ p (1 − p) n < p K n > 𝑝 (1 − p) K2 p2 𝐧 > (𝟏 − 𝐩)𝐊𝟐 𝐩 Il valore di n dipende principalmente dalla scelta del valore K. 3. Sensibilità allo spostamento media → H1, processo fuori controllo Con il metodo di Duncan, si prende in considerazione uno spostamento pari a pδ. Si vuole scegliere n in modo che sia pari al 50% la probabilità che uno spostamento della frazione di non conformi pari a pδ sia segnalato con un allarme al primo campione successivo. Con lo spostamento così imposto, tale da far si che 1 – β = 0.50, la curva andrà a baricentrarsi sul limite di controllo: l’ampiezza dello spostamento pδ è perciò pari a metà di quella dell’intero intervallo di controllo [LCI; LCS]. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 27 LC∗ = p̅ ± K√ p̅ (1 − p̅) n⏟ σ̅p pδ = K√ p (1 − p) n 𝐧 = ( 𝐊 𝐩𝛅 ) 𝟐 (𝟏 − 𝐩) 𝐩 In tutti e tre i casi, si suppone di conoscere il valore assunto da p, sia esso un valore: • noto da osservazioni precedenti; • stimato; • preso da un processo simile; • target, obiettivo. Esempio: Differenza tra i metodi Utilizzando questi tre metodi, si trovano tre diversi risultati di n. Prima di scegliere quale dimensione del campione scegliere, bisogna tenere conto di diverse cose: costo di campionamento, costo di fermata del processo produttivo, capacità produttiva, … . Per esempio, se considero p = 0.01: 1. 𝑆𝑒 𝛾𝐿 = 0.05 𝑛 ≥ 299 Quindi, come valore di n si usa 299. 2. Se K = 3 n > 891 Quindi, come valore di n si usa 892. 3. Se pδ = 0.04 e K = 3 n = 56 Quindi, come valore di n si usa 56. 2.1.6.1 Campioni a dimensione variabile Talvolta non è possibile considerare un valore di n fisso, per diversi motivi: • mancano alcuni dati; • vengono apportate delle modifiche durante il funzionamento. Con n costante, i limiti di controllo erano calcolati come: LCS = μw + K σw = p̅ + K√ p̅ (1−p̅) n LC = μw = p̅ LCI = μw – K σw = max { 0; p̅ − K√ p̅ (1−p̅) n } dove il valore di p̅ poteva essere calcolato come: p̅ = ∑ Di m i=1 ∑ ni m i=1 = ∑ nipi m i=1 ∑ ni m i=1 La stima del valore di n è molto importante in quanto influisce nel determinare il valore della deviazione standard σ̅p: se per caso n non è costante, quindi, ci sarà una maggior “dispersione” e i limiti di controllo non saranno costanti. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 30 2. Fase 2 – Gestione della carta Una volta progettata la carta, si continua con i campionamenti e con il plottaggio dei dati, per tenere la grandezza desiderata sotto controllo. È possibile calcolare la curva caratteristica operativa: β = Prob (X ∈ [LCI; LCS] | H1 ∶ c ≠ LC) = = Prob (X ≤ LCS | H1) − Prob (X < 𝐿𝐶𝐼 | H1) = = Prob (X ≤ [LCS] | H1) − Prob (X ≤ < 𝐿𝐶𝐼 > | H1) = Si può fare il calcolo con la distribuzione Poissoniana oppure con una sua approssimazione: - Prob (X ≤ [LCS] | H1) = ∑ e−ccx X! [LCS] X=0 con [LCS] = più grande intero minore o uguale al valore LCS - Prob (X ≤ < 𝐿𝐶𝐼 > | H1) = ∑ e−ccx X! <𝐿𝐶𝐼> X=0 con <LCI> = più grande intero strettamente minore di LCI 𝛃 = ∑ 𝐞−𝐜𝐜𝐱 𝐗! [𝐋𝐂𝐒] 𝐗=𝟎 − ∑ 𝐞−𝐜𝐜𝐱 𝐗! <𝐿𝐶𝐼> 𝐗=𝟎 2.1.7.3 Creazione della carta u In certe situazioni si può essere interessati al numero di non conformità o difetti per unità di prodotto oppure per un’opportuna unità di misura: per esempio, per un cliente può essere utile sapere il numero di difetti che si possono trovare mediamente in 100m di stoffa. Siamo quindi interessati a controllare la variabile aleatoria: Y = X n con 𝑋 ~ 𝑃𝑜𝑖𝑠 (𝑐), numero di difetti riscontrati nel gruppo di n prodotti o unità di ispezione Si ha quindi che: E(Y) = E ( X n ) = 1 n E(X) = c n = u Var(Y) = Var ( X n ) = 1 n2 Var(X) = c n2 = u n Ci possono essere quindi due diverse situazioni: • se è noto il valore di c, è possibile determinare il valore di u = c n e utilizzare l’approssimazione gaussiana per calcolare i limiti di controllo: 𝐋𝐂𝐒 = 𝛍𝐘 + 𝐊𝛔𝐘 = 𝐮 + 𝐤√ 𝐮 𝐧 𝐋𝐂 = 𝛍𝐘 = 𝐮 𝐋𝐂𝐈 = 𝛍𝐘 − 𝐊𝛔𝐘 = 𝐦𝐚𝐱 {𝟎; 𝐮 − 𝐤√ 𝐮 𝐧 } • se il valore di c non è noto, deve essere opportunamente stimato. 2.1.7.4 Fasi di vita di una carta u Le fasi della “vita” di una carta u sono due: 1. Fase 1 – Progettazione della carta Durante questa fase, è innanzitutto necessario assicurarsi che il processo sia a regime. Si usano m [20 , 25] prodotti o unità di ispezione iniziali – data snooping – per stimare u come: u̅ = ∑ Xi m i=1 ∑ ni m i=1 Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 31 A questo punto, si può sostituire nella progettazione dei limiti il valore u̅ così calcolato: LCS = μY + KσY = u + k√ u n LC = μY = u LCI = μY − KσY = max {0; u − k√ u n } Successivamente, ci si comporta come con le altre carte (analisi dei fuori controllo). 2. Fase 2 – Gestione della carta Una volta progettata la carta, si continua con i campionamenti e con il plottaggio dei dati, per tenere la grandezza desiderata sotto controllo. È possibile calcolare la curva caratteristica operativa: β = Prob (Y ∈ [LCI; LCS] | H1 ∶ u ≠ LC) = = Prob (Y ≤ LCS | H1) − Prob (Y < 𝐿𝐶𝐼 | H1) = = Prob (X ≤ nLCS | H1) − Prob (X < 𝑛𝐿𝐶𝐼 | H1) = = Prob (X ≤ [nLCS] | H1) − Prob (X ≤ < 𝑛𝐿𝐶𝐼 > | H1) = 𝛃 = ∑ 𝐞−𝐜𝐜𝐱 𝐗! [𝐧𝐋𝐂𝐒] 𝐗=𝟎 − ∑ 𝐞−𝐜𝐜𝐱 𝐗! <𝑛𝐿𝐶𝐼> 𝐗=𝟎 2.2 Osservazioni conclusive In conclusione, si può dire che: • In genere viene usata l’approssimazione gaussiana, anche se le vere distribuzioni sono discrete: è necessario quindi fare attenzione alle situazioni asimmetriche; • È necessario verificare l’adeguatezza delle funzioni di densità ipotizzate (attenzione alla Poisson); • Quando si devono stimare i valori caratteristici del processo, occorre che il processo sia a regime; • Bisogna cercare di avere un valore di n costante (nel caso sia variabile, ci sono comunque procedure per trattare i casi). 3 CARATTERISTICHE E PROPRIETÀ DEI MATERIALI METALLICI Nella progettazione di un componente, è necessario tenere conto di vari fattori: • materiale utilizzato; • macrogeometria; • microgeometria. In particolare, nella scelta del materiale bisogna tenere conto di molte cose: • delle sue prestazioni; • del tipo di lavorazioni meccaniche che dovrà subire; • del sistema produttivo utilizzato; • dei costi derivanti dalla scelta di un particolare materiale piuttosto che un’alternativa. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 32 3.1 Comportamento di un materiale Esistono diverse tipologie di materiali, come per esempio: • Legno; • Vetro; • Metallo; • Plastica; • Gomme; • Compositi; • Ceramiche; • … . Ogni materiale ha delle caratteristiche specifiche e delle peculiarità, quindi non esiste un materiale che sia assolutamente migliore degli altri. Per questo motivo, occorre conoscere i comportamenti dei materiali in base alle funzioni dei componenti, alle loro prestazioni ma anche al tipo di lavorazioni che dovranno essere fatte durante il processo produttivo. Per prevedere il comportamento di un materiale, è possibile ricorrere a tre diversi livelli di analisi: • Livello atomico; • Livello microscopico; • Livello macroscopico. 3.1.1 Analisi a livello macroscopico Le proprietà meccaniche si misurano eseguendo delle prove sul materiale per caratterizzarlo da un punto di vista macroscopico (si esegue un test sul materiale e si analizzano e studiano le sue reazioni prima e dopo il test stesso). Si possono fare diverse prove: • prova di trazione; • prova di durezza; • ... . Per poter comparare misure diverse è necessario che le prove siano eseguite nelle medesime condizioni: esse sono infatti fondamentali per la lettura e l’interpretazione del risultato, in quanto possono influenzarlo. Per questa ragione, ci sono moltissime normative ISO, CEN e UNI che regolamentano le condizioni nelle quali le prove devono essere eseguite. Le proprietà meccaniche di un materiale sono classificabili in: • Statiche: il materiale viene stressato mediante l’applicazione di un carico (una forza) ad una bassa velocità (faccio passare il mio “provino” da uno stato ad un altro in modo lento applicando una forza costante). Esempi di prove possono essere: - Resistenza a trazione; - Resistenza a compressione; - Resistenza a flessione; - Resistenza a torsione; - Resistenza a taglio; - Resistenza a penetrazione. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 35 Voglio che una barra sia uniformemente compressa per metà della sua altezza originale o allungata del doppio. Si ha quindi che: - Compressione: L1 = 𝑳𝟎 𝟐 - Elongazione: L1 = 2L0 Quindi, si ha che: Compressione L1 = 𝐋𝟎 𝟐 Elongazione L1 = 2L0 e = L1 − L0 L0 –0.5 +1.0 ε= ln ( L1 L0 ) –0.693 +0.693 Calcolando il valore assunto da 𝜀, si vede che trazione e compressione hanno come esito una deformazione uguale (a meno del segno); se invece si prende in considerazione il valore di e (calcolo in termini convenzionali) i risultati sono diversi, perché ci si rapporta alle condizioni iniziali. Si vede quindi che i materiali si comportano come descritto dalle formule reali! È possibile descrivere il comportamento del materiale in risposta alla prova di trazione in un diagramma sforzo–deformazione. Dal suo studio, si vede che il materiale attraversa tra fasi ben precise: 1. Deformazione reversibile All’inizio la deformazione è reversibile e il materiale analizzato ha un comportamento elastico: si ha una deformazione solo se il provino è sottoposto ad uno sforzo, altrimenti torna alle condizioni iniziali L0. In questa fase curva reale e curva ingegreristica quasi coincidono, quindi si può dire che e ed ε coincidono; (questa fase risulta essere molto interessante per i progettisti) 2. Deformazione irreversibile Una volta superato il carico di snervamento, il materiale raggiunge la fase di deformazione irreversibile o deformazione plastica, in cui cioè la deformazione del provino diventa permanente a causa degli sforzi applicati; (questa fase risulta essere molto interessante per i tecnologi) 3. Strizione Nella fase di strizione, invece, il comportamento plastico continua e il provino inizia un percorso che porta sempre e inesorabilmente alla rottura. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 36 Il comportamento complessivo può essere cosi descritto: • Nella fase di deformazione reversibile stessa (1) si possono riconoscere due diversi comportamenti del materiale: - in un primo momento, si ha una fase lineare (che interessa ai progettisti), in cui il legame tra R ed e è lineare; - successivamente, la condizione di linearità viene persa. Il punto che separa queste due “sottofasi” prende il nome di limite di proporzionalità (Rp) ed indica il valore dello sforzo superato il quale si perde la dipendenza lineare tra sforzo e deformazione. Dato che le curve sforzo–deformazione sono calcolate per interpolazione dei dati ottenuti dall’alternanza di fasi di carico e scarico sul provino, determinare Rp può essere difficile. Per questo motivo spesso si usa questa convenzione: “Si definisce limite o carico di proporzionalità il carico che lascia sul provino una deformazione permanente del 0.002%”. → anche se ci si trova nella fase di deformazione elastica, ci si avvicina alla fase di deformazione plastica: si ha una deformazione reale piccolissima ma misurabile con opportuni strumenti (anche se da un punto di vista ingegneristico è approssimabile a 0). • Una volta superata la fase di deformazione reversibile, si entra in quella di deformazione irreversibile (2). Graficamente parlando, il punto in cui si vede il passaggio da una fase all’altra prende il nome di carico di snervamento (Rs), che appunto indica il valore del carico superato il quale la deformazione diventa irreversibile. Come già detto per Rp, anche la determinazione di Rs può risultare molto complicata. In particolare, la sua posizione dipende dal particolare tipo di curva: a) Rs coincide con il punto angoloso evidenziato; b) Rs si trova nell’area con picchi oscillanti (che rappresentano la resistenza a livello atomico e molecolare alla deformazione); c) In molti casi, tuttavia, è difficile determinare il valore esatto di Rs. Per questo motivo, come per il calcolo di Rp, si può utilizzare una convenzione: “Si definisce carico di snervamento il carico che lascia sul provino una deformazione permanente dello 0.2%” (valore piccolo, ingegneristicamente nullo ma reale e misurabile). • La fase di deformazione plastica, superato un certo limite, degenera nella cosiddetta strizione (3). In particolare, si definisce carico di rottura (UTS) il valore massimo assunto dalla funzione smorzamento–deformazione, che indica il particolare valore del carico superato il quale inizia la strizione: il provino inizia a “stringersi”, deformandosi sempre più fino alla rottura. Questo valore, essendo il massimo della funzione, può essere determinato senza particolari problemi. • Una volta iniziata la strizione, come già detto il provino inizia un percorso che porta alla rottura finale. In particolare, si definisce carico ultimo (Ru) il valore dell’ultimo carico applicato e misurato immediatamente prima della rottura del provino. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 37 Si può definire il valore Y come tensione di flusso, cioè tensione necessaria per ottenere una data deformazione. In ogni punto della curva (anche se facente parte della fase plastica) per determinare il valore di deformazione in corrispondenza di un dato valore di carico bisogna tenere conto del richiamo elastico: graficamente, ciò significa che per determinare il valore di e dato R non bisogna prendere la proiezione del punto sull’asse orizzontale ma l’intersezione tra l’asse orizzontale e la parallela alla retta che esprime il comportamento lineare nella fase 1 passante per il punto di tensione considerato. ➔ La definizione secondo convenzione dei carichi di proporzionalità Rs e di smorzamento Rs può essere interpretata in questo modo: A questo punto, si può calcolare il valore della tangente di α (cioè l’angolo che indica l’inclinazione della retta che esprime la relazione lineare tra R ed e nella prima parte della deformazione elastica) come: tan α = lim e→0 𝑑R 𝑑e = Rp ep = E con E che viene definito modulo di elasticità. D’ora in poi, si assumerà per ipotesi che la fase elastica sia interamente lineare, cioè che carico di proporzionalità e carico di snervamento coincidono. Vale quindi che: R = e E (Legge di Hooke) Resistenza interna del materiale Man mano che lo sforzo (definito come forza agente su una data superficie) applicato sul provino aumenta, esso viene esercitato su una sezione sempre più piccola. Si verificano due fenomeni: • L’allungamento del provino provoca una diminuzione della sezione dello stesso, quindi si ha una riduzione dell’area su cui si esercita la forza: ciò facilita la deformazione e il materiale diventa meno resistente agli sforzi; • Allo stesso tempo, a causa della deformazione (e del conseguente spostamento di atomi) cambia la geometria interna del materiale. I reticoli cristallini del materiale, solitamente, non sono perfetti ma contengono dei difetti e delle impurità, che durante la deformazione si spostano creando dei conglomerati: inizialmente, difetti e impurità possono “influenzarsi” o Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 40 Esempio: Curve smorzamento–deformazione di diversi materiali Parte tratteggiata: il materiale non può essere usato perché è già stato superato il carico di rottura (ci si trova nella fase di strizione), e quindi il materiale si romperà. Caratteristiche dei materiali derivanti dall’interpretazione delle curve: - L’acciaio legato ha un carico di rottura molto più alto del ferro puro, ma è meno duttile in quanto l’intervallo in cui può essere deformato prima della rottura è molto minore; - La plastica è caratterizzata da un’alta deformabilità; - Per il vetro (a temperatura ambiente) manca totalmente la fase plastica, quindi il carico di snervamento coincide con quello di rottura: la deformazione necessaria per portare il materiale a rottura è praticamente nulla; - Dal grafico della gomma è visibile che l’energia necessaria per la deformazione sarà maggiore di quella rilasciata in fase di scarico (parte si dissipa in calore). Modelli di comportamento ideale Si possono tracciare delle curve sforzo–deformazione riferite a materiali ideali, inesistenti, che vengono considerate per comodità: 1. Un materiale elastico perfetto non entra mai nella fase di deformazione permanente (manca cioè il comportamento plastico): in fase di carico il materiale si deforma, per poi tornare alle condizioni iniziali in fase di scarico. Se il carico è troppo elevato e supera UTS, però, si ha una rottura del provino; 2. I materiali plastici perfetti, invece, hanno un comportamento puramente plastico: se il carico applicato è inferiore a quello di snervamento, il provino non reagisce, mentre se invece si applica un carico maggiore il provino inizia a deformarsi all’infinito senza che sia necessario applicare sforzi supplementari (idealmente, ciò prosegue fino all’annullarsi della sezione); 3. I materiali elasto–plastici perfetti hanno un comportamento intermedio tra quello dei due materiali ideali prima descritti: esso è infatti perfettamente elastico se il carico applicato è minore del carico di smorzamento, perfettamente plastico invece se il carico applicato lo supera; 4. I materiali elasto–plastici con incrudimento hanno un comportamento elastico se si applicano carichi inferiori al carico di snervamento, mentre se esso viene superato a differenza del caso precedente si verifica il fenomeno dell’incrudimento e quindi è necessario fornire un Δsforzo supplementare per ottenere un’ulteriore deformazione. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 41 Considerazioni energetiche Fare delle considerazioni energetiche riguardo al comportamento dei materiali può essere utile perché esse permettono di determinare i costi collegati alle “reazioni” del materiali, partendo dal costo dell’energia (che può considerarsi noto). La curva sforzo–deformazione, nel caso di un materiale con comportamento plastico con incrudimento, può essere espressa come: 𝛔 = 𝐤 𝛆𝐧 dove: k = coefficiente di resistenza, costante che rappresenta la tensione necessaria per ottenere una deformazione unitaria (ε = 1); n = fattore di incrudimento; questo valore ha anche un contenuto informativo molto importante, in quanto indica quanto il materiale si può deformare prima che si inneschi il processo di strizione. Dimostrazione: Uguaglianza tra n ed ε ε = ∫ 𝑑l l L L0 𝑑l e = 𝑑ε = − 𝑑A A Nel punto in cui inizia la strizione (punto di massimo, quindi con derivata della forza nulla): 𝑑F = 𝑑(σ A) = A 𝑑σ + σ 𝑑A = 0⏟ 𝑑σ σ = − 𝑑A A 𝑑σ σ = − 𝑑A A = 𝑑ε 𝑑σ 𝑑ε = σ n k εn−1 = k εn n ε = 1 𝐧 = 𝛆 Si può definire ora il contenuto energetico; l’area sotto la curva: • Analiticamente, viene definita come: 𝐋 = ∫ 𝛔 𝒅𝛆 𝛆𝟏 𝟎 • Dimensionalmente, σ (sforzo) è una forza su area (N mm2⁄ ) e il suo prodotto per dε (mm mm⁄ ) da come risultato un lavoro per unità di volume. L’area evidenziata in figura, quindi, indica il lavoro necessario per deformare il materiale (fino ad un certo punto prescelto), rapportato al volume. • Da un punto di vista economico, conoscendo l’area (e quindi il lavoro per unità di volume compiuto) posso calcolare quanto mi costerà una certa deformazione. • Da un punto di vista della tenacità, potrò calcolare l’energia assorbita dal materiale fino all’inizio della strizione oppure fino alla rottura. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 42 ➔ La tenacità del materiale si definisce come il lavoro per unità di volume necessario per rompere il materiale stesso. ➔ Si definisce duttilità di un materiale la sua capacità di ridursi in fili (in seguito a una trazione). ➔ La malleabilità di un materiale è la sua capacità di ridursi in piastre (in seguito a una compressione). Graficamente, si può vedere come pendenza della curva nella fase di deformazione plastica nel punto di passaggio: tanto più l’angolo è grande, tanto più piccola è la malleabilità (si può “leggere” così perché questo angolo è legato alla prova di compressione). ➔ Infine, un’altra proprietà è la rigidezza (E): più un materiale è rigido, più sarà necessario fornire forza per deformarlo. Effetto della temperatura Variazioni di temperatura possono avere diversi impatti sui materiali e di conseguenza sui loro comportamenti, modificando così gli esiti della prova di trazione. All’aumentare della temperatura, la curva del materiale tende a quella ideale di un materiale elasto–plastico perfetto. Velocità di deformazione La velocità di deformazione ?̇? è la velocità con cui si deforma il materiale sottoposto alla prova di trazione, che può essere diversa da quella con cui si muovono le traverse del macchinario utilizzato. Quando si considera la velocità di deformazione, ho delle curve: σ = C ε̇m Come già detto, però, esse possono essere espresse come: σ = k εn Combinando le due equazioni, si ottiene: 𝛔 = 𝐂𝟏 𝛆 𝐧 ?̇?𝐦 • A basse temperature, m tende a zero: prevale l’incrudimento e c’è un’alta resistenza meccanica alla deformazione; • Ad alte temperature, n tende a zero: si annulla l’incrudimento e c’è una bassa resistenza alla deformazione. Molto spesso, per comodità, invece di lavorare sulle curve σ–ε̇ si lavora con gli assi logaritmici: ln σ = ln C + m ln ε̇ Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 45 Si ha quindi che: • in una prova ideale, dovrebbe valere: d D = 0.375 • nella realtà, si accettano valori: d D ∈ [0.25 ÷ 0.5] Come già detto, sono molte le normative che regolano le prove di durezza. In particolare, si possono definire, mediante la normativa UNI EN 10003, le condizioni normali della prova Brinell: • Valori: D = 10mm F = 29400N = 3000kgf circa t = 15s • L’indentatore deve agire su una superficie liscia e piana, esente da ossidi ed impurezze superficiali; • Lo spessore minimo del pezzo da provare deve essere almeno 8 volte la profondità dell’impronta: se fosse troppo sottile, mediante la pressione esercitata con la sfera si potrebbe vedere una deformazione anche sull’altra faccia del materiale; • Si raccomanda di evitare l’impiego della prova Brinell su materiali aventi durezza HB superiore a 450: se si usa questo test su un oggetto più duro della sfera, infatti, ci possono essere dei problemi in quanto o la sfera si deforma o si deformano sia sfera che provino, distorcendo la misura in entrambi i casi; • Prove successive non devono essere troppo vicine, perché bisogna tenere conto della reazione vincolare del materiale, che dà una distorsione nella misura di durezza calcolata: per questo, si impone una distanza minima tra i punti in cui si effettua la prova pari a 4d. La prova di durezza viene esercitata mediante un durometro, generalmente fisso. Se si deve testare un materiale troppo grande (per esempio, l’ala di un aereo), si possono usare dei durometri portatili. In particolare, si può usare una variante della prova Brinell, la cosiddetta prova di Poldi: • si prende un materiale conosciuto, con durezza di Brinell nota (HBn); • l’indentatore, cioè la sfera, viene “schiacciato” tra il materiale noto e quello che vuole essere testato; • dato che i materiali sono disposti in serie, la forza F applicata è la stessa. Si ha quindi che: HBn = 0.102 F Sn HBx = 0.102 F Sx F = HBx Sx = HBn Sn 𝐇𝐁𝐱 = 𝐒𝐧 𝐒𝐱 𝐇𝐁𝐧 Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 46 Prova di durezza Vickers In questa prova l’indentatore, a differenza della prova precedente, è costituito da una piramide retta a base quadrata, di diamante, con angolo al vertice (angolo fra due facce opposte) di 136°. La durezza Vickers (HV), o micro durezza, viene così calcolata: 𝐇𝐕 = 𝟎. 𝟏𝟎𝟐 𝐅 𝐒 S = d2 2 sin 136° 2 = d2 1.854 𝐇𝐕 = 𝟎. 𝟏𝟎𝟐 ∙ 𝟏. 𝟖𝟓𝟒 𝐅 𝐝𝟐 = 𝟎. 𝟏𝟖𝟗𝟏 𝐅 𝐝𝟐 (si considera sempre il fattore correttivo 0.102, da utilizzare quando la forza è espressa in Newton e non in kilogrammi–forza) Anche in questa prova ci possono essere dei problemi di misurabilità: • le due diagonali del quadrato possono non essere della stessa lunghezza: vanno misurate entrambe poi, nei calcoli, si usa una media; • molto dipende dalla reazione del materiale, cioè se esso è tenero o molle. Le condizioni normali della prova Vickers sono normate dalla normativa UNI EN ISO 6507: • Valori: F = 294N = 30kgf circa t = 15s • La prova si svolge applicando un carico di 294 N per 10-15 s. Possono essere anche usati carichi diversi, ma sempre compresi nell'intervallo 49-980 N; • Lo spessore del pezzo da provare non deve essere minore di 1,5 volte la diagonale dell’impronta; • Posizione tra due impronte deve essere maggior di 2,5 volte la diagonale dell'impronta; • La grandezza d deve essere pari alla media aritmetica delle misure delle due diagonali dell’impronta. Rispetto alla prova Brinell, c’è un vantaggio: l’angolo di penetrazione è sempre l’angolo della piramide, quindi non ci sono i problemi che si erano evidenziati prima nel confronto tra prove eseguite su materiali diversi. Prova di durezza Rockwell Quando si parla di durezza Rockwell ci si riferisce, in realtà, ad un gruppo di prove che si differenziano per la forma dell’indentatore ma che sono basate sulla misura della profondità dell’impronta (affondamento), che viene misurata direttamente. L’espressione della durezza, quindi, non sarà basata su un rapporto tra forza e superficie (pressione). Esistono differenti scale di durezza Rockwell; fra queste consideriamo le due scale più utilizzate per i metalli, che sono: • Rockwell B: l’indentratore è una sfera di acciaio temprato e levigato (scala B) • Rockwell C: l’indentatore è un cono di diamante a base circolare con punta arrotondata ed angolo al vertice di 120° (scala C) (si differenziano anche per le condizioni di prova.) Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 47 Fasi di esecuzione della prova: 1. Il principio delle prove Rockwell è mettere l’indentatore a contatto con il provino e, successivamente, applicare un precarico di 98N: serve a settare lo zero, ad oltrepassare eventuali impurità (deformazione elastica); 2. Successivamente, si applica un carico (di entità variabile da prova a prova), che provoca una deformazione permanente; 3. Dopo l’applicazione del carico, si applica nuovamente il precarico. La differenza tra le condizioni iniziali (quando viene applicato per la prima volta il precarico) e quelle finali (quando il precarico si applica dopo la deformazione plastica) permette di calcolare il valore e, cioè l’affondamento dell’indentatore nel provino. Ecco come si calcola la durezza Rockwell (HRB): • Scala Rockwell B 𝐇𝐑𝐁 = 𝟏𝟑𝟎 − 𝐞 con: F0 = 𝑝𝑟𝑒𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑜 = 98N F1 + F0 = 𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑜 = 980N (l’unità di misura di e è: 0.002mm) • Scala Rockwell C 𝐇𝐑𝐂 = 𝟏𝟎𝟎 − 𝐞 con: F0 = 𝑝𝑟𝑒𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑜 = 98N F1 + F0 = 𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑜 = 1470N La grandezza e viene calcolata automaticamente dalla macchina, deve solo essere inserita nella formula. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 50 Come già detto, idealmente si possono distinguere due diversi tipi di rottura: fragile e tenace. Nella realtà, però, non sempre i materiali si fratturano in modo completamente tenace o completamente fragile (a causa di difetti e impurità): si possono definire quindi diversi gradi di rottura, in cui si misura cioè in che porzione la frattura è fragile o tenace. Il materiale si rompe su piani ben definiti, in quanto a livello atomico ha una struttura ben ordinata (detta cristallo). Si può quindi associare: • alla frattura fragile, un elevato grado di cristallinità del materiale; • alla frattura tenace, un grado di cristallinità relativamente basso:. Per questo motivo, molto spesso il concetto di resilienza è definito in base alla percentuale di cristallinità o alla contrazione laterale. ➔ Tanto più il materiale è cristallino, tanto meno sarà resiliente, tanto più la frattura sarà fragile e tanto più la contrazione laterale sarà bassa. ➔ Tanto meno il materiale è cristallino, tanto più sarà resiliente, tanto più la frattura sarà tenace e tanto più la contrazione laterale sarà alta. Variando la temperatura durante l’esecuzione della prova si può costruire un grafico del genere, ottenuto come sovrapposizione di un grafico temperatura–resilienza (curva con inclinazione positiva) e un grafico temperatura–cristallinità (curva con inclinazione negativa). Questi grafici costruiti per interpolazione di dati empirici. Dal punto di vista della cristallinità, quindi, si vede che i metalli hanno una struttura interna molto ordinata ma che a basse temperatura sono fragili. Se aumento la temperatura (e quindi fornisco calore, cioè energia), la disposizione interna diventa progressivamente più disordinata e quindi il metallo diventa più tenace (è più difficile rompere i legami chimici interni al materiale). In molti indicano, per ogni materiale, delle temperature di passaggio duttile (tenace)–fragile, ma è un’approssimazione pericolosa: si dovrebbe infatti definire una zona di passaggio. Di questa zona, è molto interessante l’upper bound (limite superiore), in quanto si sa che a temperature inferiori si rischiano fratture fragili. Lo stesso discorso si può fare per la cristallinità. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 51 Esempio: Confronto tra le curve temperatura–resilienza di due acciai Posso dire che: - la zona di sicurezza, per entrambi, parte intorno ai 50–60°; - se il materiale deve essere usato sotto zero, meglio usare B (si rompono entrambi di frattura fragile, ma a queste temperature B assorbe più energia prima della rottura); - se il materiale deve essere usato a temperature superiori ai 70gradi, meglio usare A. È molto importante quindi sapere che la dominanza di un materiale sull’altro può variare con la temperatura: bisogna verificare quale è il migliore alle temperature di applicazione. 3.1.1.4 Prova di fatica La fatica è un fenomeno che porta alla rottura di tipo fragile materiali (anche tenaci) sottoposti a sollecitazioni cicliche inferiori al limite elastico. Può succedere per esempio che componenti di macchinari sottoposte a cicli di carico–scarico o a carichi non costanti si possano rompere, anche se il massimo carico a cui è sottoposto il materiale è minore del limite di snervamento. Lo scopo delle prove di fatica, quindi, è determinare il numero di cicli necessari per portare a rottura il materiale, che viene testato sollecitato con carichi alternati. Le curve sono definite dalla normativa: • la lunghezza della sinusoide è la durata del lavoro a cui è sottoposto il provino; • le creste sono i valori di carico massimi o minimi dei carichi applicati sul provino. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 52 Si possono definire: • Resistenza a fatica Ampiezza della sollecitazione che rompe il provino a N cicli; • Limite di fatica Resistenza a fatica per N → ∞ Alcuni materiali non hanno limiti di fatica: si definisce come limite di fatica per convenzione il valore di carico che rompe il provino dopo 107 cicli. Dove il cristallo presenta impurità si possono creare dei microvuoti, il cui accumulo porta alla formazione di una cricca: a questo punto, l’area su cui si esercita lo sforzo non è più quella iniziale ma è ridotta (appunto da questa cricca). Dopo una frattura per fatica, se si osservano le superfici di frattura si può vedere che: • una parte è fibrosa, ed è la porzione in corrispondenza della quale c’è stata la rottura di schianto; • una parte è liscia, ed è la porzione in corrispondenza della quale c’era la cricca: ciò è dovuto al fatto che le due facce del provino, in contatto tra di loro, si “lucidano” a vicenda (si possono notare a livello microscopico le cosiddette “linee di spiaggia”, che indicano il progredire della cricca). Se la porzione non liscia è molto grande, si parla spesso di rottura di schianto (dovuta cioè ad un carico eccessivo applicato impulsivamente). Ci sono dei fattori tecnologici che influenzano la resistenza a fatica: • Rugosità superficiale, che diminuisce la resistenza e aumenta la probabilità di formazione di mocrocricche; • Tensioni superficiali di trazione, che diminuiscono la resistenza perché allontanano tra di loro gli atomi; Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 55 Esistono diversi tipi di difetti che riducono fortemente la resistenza meccanica di un metallo: 1. Difetti puntuali (presenti in un punto): - Atomi sostituzionali: presenza di un atomo diverso in un punto del reticolo, per via della presenza di impurità presenti nella colata; - Atomi interstiziali: presenza di un atomo in un punto sbagliato del reticoli, per via del raffreddamento non omogeneo del materiale e dell’energia cinetica residuale (se si considerano atomi uguali) o di impurità in fase di colata (per gli atomi diversi); - Vacanze di atomi: “vuoti” all’interno del reticolo. 2. Difetti lineari (presenti lungo una sola dimensione): - Dislocazione: alcuni atomi sono più lontani di quanto dovrebbero Meccanismo di deformazione per scorrimento di blocchi atomici: 3. Difetti superficiali (presenti lungo un piano): Le proprietà meccaniche di un metallo sono legate alla configurazione della struttura cristallina ottenuta nel passaggio dallo stato liquido allo stato solido e modificata nelle lavorazioni e nei trattamenti successivi. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 56 (1) Il materiale può iniziare a solidificare in molti punti diversi, contemporaneamente: si formano così molti cristalli (nucleazione), con orientamento casuale; (2) Successivamente, i “granuli” continuano a crescere (accrescimento): per la solidificazione, i cristalli sottraggono energia (sotto forma di calore, c’è una diminuzione di temperatura) e gli atomi rallentano e si fermano; (3) L’accrescimento continua fino a quando i granuli non incontrano altri atomi che stanno cristallizzando; (4) A questo punto, la solidificazione prosegue e i vari cristalli già formatisi si uniscono, mantenendo orientamenti diversi. A livello superficiale, le dislocazioni possono interferire tra loro ed essere impedite nel loro movimento da: - bordi di grano; - impurità; - inclusioni. Queste cose provocano incrudimento da lavoro (o da deformazione). In genere, i materiali metallici sono isotropi, cioè conservano le loro proprietà (carico di snervamento, ...) in qualsiasi direzione venga applicato uno sforzo. Idealmente, però, dovrebbero esserci delle direzioni preferenziali e quindi il materiale dovrebbe essere anisotropo. La struttura policristallina (i grani sono disposti con orientamento diverso), però, fa si che il cristallo sia isotropo. ➔ La conservazione del volume vale solo per le trasformazioni permanenti, dove cioè cambia solo la conformazione degli atomi. Durante una trasformazione elastica, invece, il volume non è costante: si ha una variazione di volume, dovuta al fatto che i legami tra gli atomi non si rompono ma resistono, comprimendosi. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 57 4 DISEGNO TECNICO Il disegno tecnico è un linguaggio grafico codificato, utilizzato per trasmettere le specifiche di un prodotto come: • Materiale; • forma e geometria; • dimensioni; • tolleranze; • stato superficiale; • altre informazioni. In particolare, l’indicazione delle dimensioni è di fondamentale importanza in quanto necessaria per calcolare le tolleranze. 4.1 Proiezioni ortogonali Quello delle proiezioni ortogonali è un metodo di rappresentazione utilizzato per trasformare punti in un sistema di coordinate 3D in punti di un sistema di coordinate 2D, che conservi le stesse caratteristiche geometriche e dimensionali dell’oggetto. Per la rappresentazione, vengono utilizzati tre diversi piani di proiezione (o viste): • se il piano è posto parallelamente al terreno, la proiezione ottenuta è definita come proiezione sul piano orizzontale (P.O.) ed chiamata pianta dell’oggetto; • se il piano è posto perpendicolarmente al piano terreno, la proiezione ottenuta è definita come proiezione sul piano verticale (P.V.) o piano laterale (P.L.), ed è chiamata prospetto o sezione (a seconda dei casi) dell’oggetto. I raggi di proiezione devono essere paralleli fra loro e perpendicolari al piano di proiezione. In generale, quando di un oggetto si eseguono due o più viste in proiezione ortogonale lo si immagina racchiuso entro un cubo. Le sei viste ottenute sui diversi piani prendono il nome di: • vista anteriore: secondo A; • vista dall’alto: secondo B; • vista da sinistra: secondo C; • vista da destra: secondo D; • vista dal basso: secondo E; • vista da dietro: secondo F. Questa modalità di rappresentazione (con sei diverse viste contemporaneamente) prende il nome di rappresentazione europea. Esempio: Rappresentazione di un componente Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 60 • Raggio Può essere utile per evitare intagli acuti o cunei che provochino concentrazione di sforzi o inizi di rotture. La grandezza caratteristica è il raggio di curvatura, indicato con la lettera R prima del valore numerico. • Smussi Sono utili per evitare spigoli taglienti e fragili. La loro grandezza caratteristica è la lunghezza misurata parallelamente all’asse, accompagnata dall’angolo di inclinazione rispetto all’asse. 4.3.2 Sistemi di quotatura Le singole quote vengono organizzate nel disegno in modo da risultare funzionali alle esigenze di fabbricazione. A seconda delle tecnologie produttive, ciò da luogo a differenti sistemi di quotatura: 1. Quotatura in serie Ogni quota è riferita a quella contigua. Si adotta questo sistema quando: • hanno importanza le distanze tra elementi contigui; • l’accumulo di errori costruttivi non compromette la funzionalità dell’oggetto. 2. Quotatura in parallelo Ogni quota è riferita alla stessa linea di riferimento. Si adotta questo sistema quando si vuole evitare l’accumulo di errori costruttivi. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 61 3. Quotatura combinata Quando è necessario ricorrere a più di un elemento di riferimento, si possono utilizzare la quotatura in serie e in parallelo in contemporanea. 4.4 Filettatura Nelle filettature in vista o in sezione: • la cresta del filetto si indica con linea continua grossa; • il fondo del filetto si rappresenta con linea continua fine; • nelle sezioni il tratteggio termina sulla linea che indica la cresta del filetto. Nelle viste o sezioni trasversali il fondo del filetto deve essere rappresentato per 3/4 di circonferenza. Per quanto riguarda la quotatura, si indica il valore del diametro esterno (detto diametro nominale) preceduto dalla sigla del tipo di filettatura: • Metriche ISO (M), in mm; • Whitworth (W), in pollici; • Gas (G), in pollici. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 62 4.5 Scale di rappresentazione Se possibile, i disegni vanno eseguiti in grandezza naturale. Quando si devono rappresentare pezzi di dimensione o troppo grande o troppo piccole si ricorre alla rappresentazione in scala: si adotta un’opportuna scala di riduzione o di ingrandimento delle dimensioni. Le scale che possono essere utilizzate sono definite in precise normative. La scala deve essere sempre indicata nel disegno. I valori delle quote riportate sul disegno sono sempre quelli reali (espresse in millimetri). 4.6 Cartiglio Per una maggiore completezza delle informazioni, all’interno del disegno può essere riportato il cartiglio, una tabella che fornisce diverse informazioni sull’oggetto rappresentato, sull’esecutore, sui materiali, … . Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 65 5.1.2 Sistema ISO di tolleranze e collegamenti Esiste un Sistema ISO per la definizione di tolleranze e collegamenti. Le caratteristiche fondamentali dalle quali dipende la tolleranza sono: • dimensione nominale; • qualità della lavorazione; • posizione della zona di tolleranza. In particolare, per quanto riguarda la qualità della lavorazione il sistema ISO prevede 18 qualità di tolleranza fondamentali, denominate IT1 → IT18: ciascuna di esse permette di stabilire l’ampiezza del campo di tolleranza al variare della dimensione dell’elemento interessato. La designazione della posizione della tolleranza è effettuata, invece, mediante una lettera: • maiuscola per i fori; • minuscola per gli alberi. A seconda che ci si trovi al di sopra o al di sotto della linea dello zero, per la posizione vengono rispettivamente definiti in tabella uno scostamento inferiore o superiore, definiti scostamenti fondamentali. L’indicazione delle quote di tolleranza può essere fatta in due modi: • mediante la simbologia ISO; • mediante gli scostamenti limite. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 66 Nel sistema ISO, inoltre, vengono definiti due accoppiamenti particolari, cioè: • accoppiamento albero – base Si utilizza come unica posizione del campo di tolleranza per tutti gli alberi la posizione h: es: scostamento superiore = 0 ei: scostamento inferiore • accoppiamento foro – base Si utilizza come unica posizione del campo di tolleranza per tutti i fori la posizione H: Es: scostamento superiore Ei: scostamento inferiore = 0 Esempio: Calcolo degli intervalli di tolleranza Prendo in considerazione un albero: 25 h 8 dimensione nominale = 25 qualità: IT8 → t = 33μm posizione: h → es=0 Si ha quindi che: ei = es – t = 0 – 33μm = – 33μm D = 25mm dmin = D + ei = 25 – 33μm = 24.967 mm dmax = D + es = 25 mm + 0 = 25mm Considero invece ora un foro: 25 H 8 dimensione nominale = 25 qualità: IT8 → t = 33μm posizione: H → Ei=0 Si ha quindi che: Es = Ei + t = 0 + 33μm = 33μm D = 25mm Dmin = D + Ei = 25mm + 0 = 25mm Dmax = D + Es = 25mm + 33μm = 25.033mm NB: c’è una regola speciale per calcolare lo scostamento per i fori con queste due caratteristiche: • lettera identificativa da P a Zc; • qualità ITn, con n ≤ 7. Ei = Ei (tab) + Δ Δ = ITn – IT(n-1) Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 67 5.1.3 Misura delle tolleranze dimensionali Gli strumenti utilizzati per misurare le tolleranze dimensionali sono diversi. Per esempio, si possono utilizzare: • Calibro fisso differenziale a forchetta • Calibro fisso differenziale a tampone • Calibro a corsoio 5.2 Tolleranze geometriche Non sempre il controllo delle dimensioni di un oggetto è sufficiente: per questo motivo, alle tolleranze dimensionali vengono affiancate le tolleranze geometriche. Ne esistono diverse tipologie: • Forma • Orientamento • Posizione • Oscillazione • Profilo Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 70 Il problema dell’utilizzo della rugosità media Ra è che, prendendo in considerazione la media, può "equiparare" tra di loro superfici aventi proprietà meccaniche estremamente diverse: è necessario per questo conoscere la particolare lavorazione dei materiali, in quanto ad ogni lavorazione sono associati dei particolari pattern e orientamenti. Si possono usare altrimenti altri metodi, come per esempio: • Rugosità media quadratica 𝐑𝐪 = √ 𝟏 𝐍 ∑𝐲𝐢 𝟐 𝐍 𝐢=𝟏 • Rugosità massima 𝐑𝐭 = 𝐑𝐩 + 𝐑𝐯 È possibile utilizzare dei simboli specifici per indicare, sui disegni, la lavorazione mediante la quale è stato ottenuto il prodotto o la parte (e, quindi, il grado di rugosità di una superficie): • simbolo generale • superficie ottenuta con lavorazione per asportazione di materia (tranciatura, tornitura, …) • superficie ottenuta senza lavorazione per asportazione di materia (fusione, stampa, …) Questi simboli, poi, vengono completati con le opportune misurazioni: Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 71 5.3.2 Misura della rugosità e parametri di rugosità È possibile dare una rappresentazione grafica della relazione tra lavorazione, tolleranza e rugosità: Nel grafico, vengono rappresentate curve di isolivello. Le principali caratteristiche di queste curve sono: • sono rappresentate lungo la diagonale: infatti un processo che genera una “cattiva” tolleranza molto probabilmente genererà anche una “cattiva” rugosità, e viceversa; • più ci si sposta verso sinistra lungo una curva, più il costo della lavorazione indicata aumenta (a causa di macchinari, attrezzature, ...). Esercizio: Determinare il tipo di accoppiamento Dato l’accoppiamento indicato con 18.5P7/g6, determinare di che tipo è. Negli esercizi di tolleranze dove è presente un accoppiamento, bisogna calcolare questi valori: - Diametro D; - Scostamenti superiori e inferiori; - Diametro minimo e massimo. Successivamente, si calcolano le condizioni di materiale minimo e massimo, per capire di quale accoppiamento si tratta. ➔ Albero: 18.5g6 D = 18.5mm t = 13μm es = –7μm ei = es – t = –20μm dmax = D + es = 18.493mm dmin = D + ei = 18.480mm Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 72 ➔ Foro: 18.5P7 D = 18.5mm t = 21μm Es = –22μm + Δ = –14μm con Δ = IT7 – IT6 Ei = Es – t = –35μm Dmax = D + Es = 18.486mm Dmin = D + Ei = 18.465mm Calcolo ora i possibili accoppiamenti: - Massimo materiale: Dmin – dmax = –0.028mm → interferenza - Minimo materiale: Dmax – dmin = 0.006mm → gioco L’accoppiamento è incerto. Esercizio: Accoppiamenti in organi meccanici La seguente figura rappresenta un accoppiamento tra 3 organi meccanici: A. un perno; B. una boccola; C. una piastra piana. Considero innanzitutto l’accoppiamento costituito da A e B, perno e boccola. ➔ Perno A: 15h8 D = 15mm t = 27μm es = 0μm ei = es – t = –27μm dmax = D + es = 15mm dmin = D + ei = 14.973mm ➔ Boccola B: 15F7 D = 15mm t = 18μm Es = Ei + t = 34μm Ei = 16μm Dmax = D + Es = 15.034mm Dmin = D + Ei = 15.016mm Calcolo ora i possibili accoppiamenti: - Massimo materiale: Dmin – dmax = 0.016mm → gioco minimo - Minimo materiale: Dmax – dmin = 0.061mm → gioco massimo L’accoppiamento è in gioco. Considero ora l’accoppiamento costituito da B e C, boccola e piastra piana. ➔ Boccola B: 22h6 D = 22mm t = 13μm es = 0μm ei = es – t = –13μm dmax = D + es = 22mm dmin = D + ei = 21.987mm Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 75 Il truciolo, come già detto, costituisce lo sfrido del processo di asportazione. Esso: • è una porzione di materiale che, rispetto alle condizioni iniziali, ha cambiato le sue caratteristiche; • ha due superfici: - una rugosa (parte non “toccata” dall’utensile, non lavorata); - una lucida (parte “toccata” dall’utensile, lavorata). ➔ La lavorazione mediante asportazione causa una deformazione discreta nel materiale (la deformazione non è cioè continua, ma avviene istantaneamente in un solo punto): ciò è la causa della rugosità della parte non lavorata. La parte lavorata, invece, è liscia in quanto quella particolare superficie del truciolo è direttamente a contatto con l’utensile e viene levigata per via dell’attrito generato. Le ipotesi del taglio ortogonale sono queste: • il tagliente dell’utensile è rettilineo e perpendicolare alla direzione di taglio; ➔ Il tagliente è uno spigolo dell’utensile (quello che si forma tra petto e dorso) • l’utensile usato per l’asportazione è più largo del pezzo lavorato: in questo modo il taglio è uniforme e viene realizzato completamente (cioè per tutto lo spessore del pezzo); e il truciolo non è vincolato lateralmente al pezzo lavorato stesso; • hD << 𝑏, cioè lo spessore di taglio è molto minore della larghezza di taglio: le “fette” tagliate devono essere molto più piccole rispetto alla larghezza del taglio. Si ha quindi che: hD = spessore di taglio (spessore del truciolo indeformato) hch = spessore del truciolo b = larghezza del taglio AD = sezione del truciolo 𝐀𝐃 = 𝐛 ∙ 𝐡𝐃 r = rapporto di taglio 𝐫 = 𝐡𝐃 𝐡𝐜𝐡 ➔ Nei processi tecnologici, una grandezza molto importante è il rapporto di taglio, che misura la differenza tra lo spessore del truciolo prima e dopo la deformazione (generalmente, si trova un valore minore di 1). Caratteristiche principali della lavorazione: • Si genera un moto relativo tra utensile e pezzo lavorato, in quanto si verifica una di queste due alternative: - il tagliente si sposta rispetto al pezzo; - il pezzo si sposta rispetto al tagliente. • L’utensile sollecita profondamente il materiale che trova davanti a sé (cioè applica una tensione sul pezzo lavorato); • Il pezzo lavorato si deforma prima elasticamente e poi plasticamente, fino alla rottura e al distaccamento del sovrametallo (o soprametallo, parte che si distacca dal pezzo, diventando così truciolo); • Il truciolo, una volta distaccatosi, fluisce sul petto dell’utensile allontanandosi dalla zona di lavorazione. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 76 Il fatto che si sviluppa un calore troppo elevato, non imputabile completamente all’attrito tra pezzo lavorato e utensile, testimonia l’avvenimento di una deformazione plastica (portata all’estremo, cioè a rottura) alla base del pezzo stesso. 6.1.1 Utensile L’utensile è composto da questi elementi principali: • Petto: superficie su cui fluisce il truciolo; • Dorso: superficie che si affaccia sulla superficie lavorata del pezzo; • Tagliente: linea (o meglio spigolo) di intersezione tra petto e dorso, parte che sollecita il materiale fino a provocare il distaccamento del truciolo. In qualsiasi processo di lavorazione, sono molto importanti gli angoli che si formano tra utensile e pezzo lavorato, che permettono di controllare: • la forza in gioco; • la pericolosità del truciolo per la macchina; • ... . 6.1.1.1 Angoli caratteristici Gli angoli caratteristici che vengono solitamente considerati sono: • angolo di spoglia frontale γ: - è l’angolo compreso tra il petto dell’utensile e la normale alla velocità di taglio; - è negativo se l’utensile oltrepassa la normale alla velocità; - in genere si usano angoli compresi tra –15° e 30°; - se l’angolo è negativo, la forza di compressione supera quella trasversale. −15° < 𝛾 < 30° • angolo di spoglia dorsale α: - è l’angolo che si forma tra il dorso e la direzione della velocità di taglio; - non può essere negativo perché, se così fosse, l’utensile dovrebbe “entrare” nel pezzo già lavorato (cosa concettualmente impossibile, dato che questo angolo viene introdotto proprio per fare in modo che il dorso non entri in contatto con la parte già lavorata). 2° < 𝛼 < 15° • angolo solido β 𝛂 + 𝛃 + 𝛄 = 𝟗𝟎° 6.1.1.2 Meccanismo di asportazione e tipologie di trucioli Nelle lavorazioni industriali per asportazione di truciolo sono sempre presenti questi elementi fondamentali: • pezzo grezzo; • macchina utensile; • utensile; • attrezzatura. Questi elementi, insieme, costituiscono il cosiddetto sistema tecnologico di trasformazione. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 77 Ma come avviene la trasformazione del sovrametallo (è ancora attaccato al pezzo in lavorazione) in truciolo (non è più attaccato, si è completamente distaccato)? Ciò avviene in questo modo: 1. L’utensile sollecita il materiale davanti a sé fino a che esso non si deforma plasticamente; ➔ Empiricamente, si può vedere con buona approssimazione che a seconda di vari parametri, come per esempio la velocità di taglio e i materiali in gioco (sia utensile che pezzo) la zona dove il materiale si deforma è un piano: esso viene detto piano di scorrimento. ➔ Il diverso spessore del truciolo prima e dopo il distacco è dovuto alla deformazione causata dall’utensile. 2. Quando la deformazione è molto elevata, il carico di rottura viene superato e la deformazione plastica degenera: si ha una rottura del pezzo e il sovrametallo si stacca dal pezzo; 3. Il sovrametallo dà origine al truciolo, che scorre sull’utensile. Il truciolo, una volta staccatosi dal pezzo lavorato, può “arricciarsi”, accumulandosi sul petto dell’utensile. Esso si può arrotolare attorno all’utensile e, per l’incrudimento causato dalla deformazione, diventa molto duro e difficile da rompere: può costituire un pericolo per il macchinario, dato che può danneggiarlo e causarne la rottura. In particolare, si possono distinguere queste tipologie di trucioli: • truciolo continuo: - la finitura superficiale della parte lavorata è buona; - è un indicatore di buona lavorazione (l’utensile e la velocità scelti sono adatti), in quanto se il truciolo è continuo non si ha una lavorazione forzata e a scatti; - è molto pericoloso ed è da controllare, in quanto può attaccarsi alla macchina danneggiandola. • truciolo discontinuo: - la finitura superficiale della parte lavorata non è buona, il grado di finitura è basso (il pezzo andrà rifinito); - è un indicatore di una lavorazione non buona, in quanto non sono stati scelti utensile e velocità adatti al materiale (che, in questo preciso caso, può o contenere impurità o è molto fragile) - i pezzi di truciolo si distaccano e, con opportuni accorgimenti, è possibile evitare danni alla macchina (causati dai pezzi in allontanamento). • truciolo segmentato: - la finitura superficiale della parte lavorata non è buona, il grado di finitura è basso (il pezzo andrà rifinito); - è un indicatore di una lavorazione non buona, in quanto non sono stati scelti utensile e velocità adatti al materiale (che, in questo Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 80 Quindi si può vedere che: • 𝐏𝐜 ≤ 𝐏𝐦𝐚𝐧𝐝𝐫𝐢𝐧𝐨 - Pc = potenza di taglio - Pmandrino = potenza disponibile ed erogabile • 𝐏𝐦𝐚𝐧𝐝𝐫𝐢𝐧𝐨 = 𝛈𝐏𝐦𝐨𝐭𝐨𝐫𝐞 - η = rendimento della macchina, generalmente 0.75 < η < 0.95 - Pmotore = dato di targa del macchinario 6.2 Tornitura La tornitura è una lavorazione per asportazione di materiale che consente di ottenere una vasta gamma di superfici assialsimmetriche (cioè produce pezzi con simmetria assiale) mediante l’azione di un utensile monotagliente a geometria definita. NB: Vale che: • I pezzi prodotti hanno una simmetria assiale in quanto il pezzo lavorato ruota intorno ad un asse mentre l’utensile si sposta, asportando materiale; • Si possono lavorare solo pezzi che possiedono una simmetria assiale, ma in base alla traiettoria con cui si muove l’utensile si possono produrre tantissime tipologie di superfici e forme (con microgeometrie e macrogeometrie diverse). Il pezzo lavorato possiede un moto rotatorio di taglio. L’utensile, invece, possiede un moto di avanzamento. Sia la velocità di taglio del pezzo che la velocità di avanzamento dell’utensile sono parametri controllabili dall’operatore e influenzano notevolmente l’esito del processo. È possibile ricondurre la lavorazione di asportazione ad un taglio ortogonale? Sia le forze che le grandezze cinematiche in gioco, nel caso di un pezzo in rotazione su se stesso, non possono essere rappresentate su un piano: teoricamente, quindi, non sarebbe possibile ricondursi al taglio ortogonale. È possibile tuttavia farlo con opportune considerazioni e considerando delle sezioni. La compresenza di movimento rotazionale del pezzo e lineare dell’utensile fa si che la lavorazione abbia una traiettoria inclinata (a spirale). Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 81 Esistono diverse tipologie di lavorazioni realizzabili: 1. Tornitura cilindrica esterna Viene lavorata la superficie esterna del pezzo. La forma dell’utensile influisce sulla finitura (microgeometria) e sulla macrogeometria del pezzo lavorato. 2. Tornitura cilindrica interna Viene lavorata la superficie interna del pezzo. 3. Tornitura esterna di superfici complesse 4. Tornitura interna di superfici complesse Si può inoltre parlare di: 5. Troncatura Riduzione del diametro del pezzo lavorato in un punto interno al pezzo (che prosegue fino a portare al distacco di una parte di materiale). Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 82 6. Sfacciatura Riduzione del diametro di un’estremità del pezzo per migliorarne la finitura superficiale (cioè per “lisciare”, levigare, una faccia). 7. Filettatura interna e esterna Con utensili molto particolari, che si spostano - ogni giro - di uno spazio pari al passo di filettatura, è possibile creare una vite o una madrevite. 8. Creazione di gole di scarico 6.2.1 Macchina utensile Una macchina utensile è composta da questi elementi: Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 85 6.2.1.1 Angolo di spoglia inferiore α Il primo ruolo dell’angolo α è imporre che l’utensile non sia a contatto con il materiale. Durante la lavorazione l’utensile descrive una traiettoria a elica di passo f (pari all’avanzamento) e diametro d. La traccia OL è inclinata di un angolo φ che riduce l’ampiezza di α. Per evitare lo strisciamento del fianco principale dell’utensile sulla superficie lavorata, quindi, sarà necessario imporre: 𝛂 − 𝛗 > 0 Gli utensili sono montati in modo che la pressione di taglio non insista solamente sulla punta, ma che sia distribuita in modo da evitare delle rotture. Si indica con spessore di usura s la porzione di utensile che lavora il materiale e che, quindi, è soggetta a usura. Se si taglia l’utensile con un piano immaginario ortogonale al fianco è possibile determinare la sezione resistente, cioè la parte di utensile che oppone resistenza all’usura della lavorazione. C’è un forte legame tra la sezione resistente e il valore dell’angolo α: • se α è troppo elevato, infatti, diminuisce la sezione resistente (e l'utensile è maggiormente usurato nella lavorazione); • valori troppo bassi di α, invece, determinano un più veloce raggiungimento dell’usura dorsale (misurata da VB, ampiezza dell’usura del fianco); • la grandezza di α dipende dal materiale da lavorare (maggiore è la pressione di taglio minore deve essere α); • la grandezza di α dipende dal materiale in cui viene realizzato l’utensile (se poco tenace, minori valori di α). In generale, si può quindi dire che i valori dell’angolo di spoglia inferiore α devono essere contenuti in questo intervallo: 2° < 𝛼 < 15° ➔ Il valore dell’angolo φ può essere determinato in questo modo: - Innanzitutto, bisogna immaginare di “srotolare” il pezzo lavorato ottenendo così un rettangolo. La linea tratteggiata indica la traiettoria di lavorazione dell’utensile (se si riarrotola il pezzo, i punti A e B coincidono: l’utensile infatti descrive una sorta di movimento elicoidale a causa della rotazione del pezzo che avviene in contemporanea al suo avanzamento); - Il segmento AB ha lunghezza pari alla circonferenza del tubo, mentre BC indica l’avanzamento dell’utensile per ogni giro del tubo. Si ha quindi che: 𝐴𝐵 = 𝜋 𝑑 𝐵𝐶 = 𝑓 - L’angolo φ si può calcolare così, sfruttando i teoremi dei triangoli rettangoli: 𝐶?̂?𝐵 = 𝜑 𝐵𝐶̅̅ ̅̅ = 𝐴𝐵̅̅ ̅̅ tan𝜑 → 𝑓 = 𝜋 𝑑 tan𝜑 𝐭𝐚𝐧𝝋 = 𝒇 𝝅 𝒅 Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 86 6.2.1.2 Angolo di spoglia superiore γ L’angolo di spoglia superiore γ, insieme all’angolo di inclinazione del tagliente principale λ, influisce sul meccanismo di formazione del truciolo e quindi sulla direzione lungo la quale il truciolo si allontana rispetto alla macchina. Ad esso però può essere associato anche un concetto di resistenza dell’utensile; infatti valori di γ maggiori (che “assottigliano” cioè l’utensile) determinano: • minori deformazioni, in quanto l’utensile lavora come se fosse una lama “fine” (minore calore sviluppato); • minori pressione di taglio; • minori forze; • minore potenza assorbita; • minore attrito di scorrimento; • minori temperature di esercizio; • minore resistenza dello spigolo tagliente e quindi maggior rischio di usura, fatto che sconsiglia l’uso di γ troppo grandi anche se essi porterebbero ad un aumento dei parametri di taglio; • possibilità di aumentare i parametri di taglio. Inoltre, si ha che: • Materiali in lavorazione poco tenaci consentono angoli γ maggiori. • Materiali dell’utensile molto tenaci richiedono elevate sezioni resistenti, quindi γ anche negativo. ➔ γ negativi determinano: - aumento delle forze; - aumento delle temperature; - aumento della potenza assorbita. 6.2.1.3 Angoli di registrazione Gli angoli di registrazione κ e κ’ dipendono non solo dall’utensile ma anche dal suo particolare movimento. Insieme all’angolo dei taglienti ε, influiscono notevolmente sulla rugosità del pezzo lavorato. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 87 κ = angolo registrazione tagliente principale κ’ = angolo registrazione tagliente secondario 6.2.2 Attrezzature di fissaggio Le attrezzature di fissaggio servono per: • definire in maniera univoca la posizione del pezzo in lavorazione (riferimento); • bloccare il pezzo in lavorazione (bloccaggio), dato che il pezzo non deve spostarsi sotto l’azione delle forze di lavorazione. Esempi di attrezzature di fissaggio: • mandrini a griffe autocentranti Le griffe non possono essere mosse l’una indipendentemente dall’altra. (b) (c) (d) • mandrini a griffe indipendenti Le griffe sono indipendenti le une dalle altre, il pezzo può essere montato in modo eccentrico sul mandrino. (f) • sistema con brida e menabrida In base a come sono posizionati i due elementi che lo costituiscono può permettere posizionamenti più o meno eccentrici. (g) Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 90 La pressione di taglio kc non è costante, ma dipende: • dall’area della sezione del truciolo indeformato AD, quindi varia in base al modo in cui viene lavorato il pezzo; • dalle proprietà meccaniche del materiale in lavorazione (carico di rottura, durezza, struttura cristallina); • dal materiale dell’utensile e dalla geometria del tagliente (in particolare da γ); • dalla velocità di taglio vc; • dalle condizioni di lubrificazione della zona di taglio. Quindi, i valori di kc eventualmente ottenuti attraverso misure della Fc sono validi solo per le condizioni adottate nella sperimentazione. Molti studiosi hanno cercato di determinare il valore di kc. In particolare, Kronenberg ricavò un’espressione della pressione in funzione di hD e b: 𝐤𝐜 = 𝐤𝐜𝐬 𝐡𝐃 𝐱 𝐛𝐲 dove kcs è la pressione di taglio specifica per asportare una sezione di truciolo di 1mm2 con spessore di truciolo hD pari a 1mm e con spessore di taglio b pari a 1mm. La pressione kc è una funzione del materiale lavorato in condizioni standard, mentre x e y dipendono dal materiale dell’utensile. Tipicamente, con gli attuali materiali utilizzati per realizzare gli utensili y è circa 0: 𝐤𝐜 = 𝐤𝐜𝐬 𝐡𝐃 𝐱 = 𝐤𝐜𝐬 𝐡𝐃 −𝐱 dove: kcs = costante dipendente principalmente dal materiale da lavorare (in condizioni standard); x = costante dipendente principalmente dal materiale dell’utensile. Si noti che kc diminuisce con legge esponenziale all’aumentare di HD. Di solito non si conoscono hD e b ma l’avanzamento f e la profondità di passata ap. Vale però che: 𝐡𝐃 = 𝐟 𝐬𝐢𝐧 𝛋 𝐤𝐜 = 𝐤𝐜𝐬 𝐡𝐃 𝐱 = 𝐤𝐜𝐬 𝐟𝐱 (𝐬𝐢𝐧𝐱 𝛋) = 𝐤𝐜𝐬 𝐟𝐱 ( 𝟏 𝐬𝐢𝐧 𝛋 ) 𝐱 𝐅𝐜 = 𝐤𝐜 𝐀𝐃 = 𝐤𝐜 𝐟 𝐚𝐩 = 𝐤𝐜𝐬 𝐟 𝟏−𝐱 𝐚𝐩 ( 𝟏 𝐬𝐢𝐧𝛋 ) 𝐱 Sulle tavole in genere non si trova il valore di kcs ma quello di kc0,4 (ovvero quello della pressione di taglio che si ha per f = 0,4mm/giro e per κ = 90°), da cui si può ricavare kcs: kc0,4 = kcs 0,4x ( 1 sin 90° ) x = kcs 0,4x → 𝐤𝐜𝐬 = 𝐤𝐜𝟎,𝟒 𝟎, 𝟒 𝐱 così, sostituendo, si ottiene infine: 𝐅𝐜 = 𝐤𝐜𝟎,𝟒 𝐟 𝟏−𝐱 𝐚𝐩 ( 𝟎. 𝟒 𝐬𝐢𝐧 𝛋 ) 𝐱 Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 91 Se ci si discosta dalle condizioni standard indicate dal produttore di utensili, devono essere applicati coefficienti correttivi alle formule della pressione di taglio kc e della forza di taglio Fc. ➔ Dimensionalmente, si ha che: 𝑃 = 𝑃𝑐 = 𝐹𝑐 × 𝑣𝑐 Fc [N] vc [m/min] P [Nm/min] La potenza può essere anche misurata con altre unità: - Watt [W] 𝑷𝑾𝒂𝒕𝒕 = 𝑷𝑵𝒎 𝒎𝒊𝒏⁄ 𝟔𝟎 - kiloWatt [kW] 𝑷𝒌𝒊𝒍𝒐𝑾𝒂𝒕𝒕 = 𝑷𝑵𝒎 𝒎𝒊𝒏⁄ 𝟔𝟎𝟎𝟎𝟎 6.2.4 Verifiche di fattibilità Affinchè una lavorazione sia realizzabile è necessario verificare che: • la profondità di passata considerata sia compatibile con l’utensile selezionato; • l’avanzamento selezionato sia ammissibile per il tornio; • la velocità di taglio e, quindi, il numero di giri selezionato sia compatibile con le caratteristiche del tornio; ➔ La velocità di taglio vc è legata al numero di giri n, mentre a sua volta n è legato al tornio e alle sue capacità/caratteristiche (da contratto viene definito un numero di giri massimo sostenibile). • la potenza necessaria alla lavorazione sia effettivamente erogabile dal tornio considerato; • i parametri di taglio siano compatibili con la finitura superficiale richiesta; • i parametri di taglio siano compatibili con le tolleranze dimensionali e geometriche imposte; • l’attrezzatura selezionata sia in grado di afferrare saldamente il pezzo in lavorazione. 6.2.4.1 Verifica autocentrante Considero un pezzo lavorato tenuto con delle griffe autocentranti. Affinché ci sia una rotazione, è necessario che il momento torcente (della forza di taglio) sia contrastato da un momento resistente (causato dalle griffe). ➔ Il momento si calcola come: 𝑀𝑜𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 = 𝐹𝑜𝑟𝑧𝑎 × 𝐵𝑟𝑎𝑐𝑐𝑖𝑜 Si ha che: • Momento di taglio 𝐌𝐜 = 𝐅𝐜 𝐝 𝟐 • Momento resistente 𝐌𝐫 = 𝐳 𝛍 𝐩 𝐀 𝐝∗ 𝟐 Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 92 dove: z = numero di griffe dell’autocentrante; p = pressione di contatto griffa–pezzo o pressione di serraggio, compressione generata dalla griffa sul pezzo; A = area di contatto griffa–pezzo; μ = coefficiente di attrito statico: - 0.15 per griffe in acciaio dolce; - 0.25 per griffe con profilo ondulato; - 0.35–0.8 per griffe rigate in acciaio temprato. d = diametro del pezzo in corrispondenza dell’utensile; d* = diametro del pezzo in corrispondenza delle griffe. ➔ Si ha che μpA è la forza tangente al cilindro (pezzo lavorato) che, per ogni griffa, si oppone al taglio. Affinché la lavorazione sia eseguibile, si deve verificare che: 𝐌𝐜 = 𝐅𝐜 𝐝 𝟐 ≤ 𝐌𝐫 = 𝐳 𝛍 𝐩 𝐀 𝐝∗ 𝟐 L’uguale è una condizione limite, è meglio che sia minore. ➔ Se i dispositivi dell’autocentrante sono di tipo meccanico, allora la pressione di contatto p varia con la velocità di rotazione n: se n aumenta, p diminuisce. 6.2.4.2 Inflessione Dato che il pezzo lavorato è in rotazione, la forza applicata su di esso dall’utensile può causare un’inflessione del pezzo stesso (il pezzo, cioè, fletterà a causa della forza applicata). L’inflessione è un fenomeno da tenere sotto controllo in quanto fa si che diminuisce il materiale asportato dal pezzo. Si possono distinguere tre diverse situazioni: 1. Caso 1: pezzo lavorato fissato a sbalzo (con griffe autocentranti) Se per caso un pezzo lavorato di lunghezza L viene fissato a sbalzo per mezzo di sole griffe autocentranti, l’inflessione si calcola come: 𝐈 = 𝟏 𝟑 𝐅𝐜 𝐋𝟏 𝟑 𝐄 𝐉 [mm] dove: L1 = è la distanza, dall’estremo fissato, del punto in cui viene applicata la forza; E = modulo di Young o di elasticità; J = momento di inerzia, descrive il comportamento meccanico dei corpi in rotazione (indica come si distribuisce la massa su un corpo in rotazione). 𝐉 = 𝛑 𝐝𝟒 𝟔𝟒 Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 95 6.2.4.3 Rugosità superficiale Si possono definire: • Rugosità Teorica È la rugosità calcolabile teoricamente a partire dalle caratteristiche geometriche della lavorazione. • Rugosità Reale È la rugosità che, a causa di molteplici fattori, si ha effettivamente sul pezzo lavorato. Si possono definire questi parametri di rugosità: 1. Rugosità massima – Rmax o Rt Distanza massima (espressa in μm) fra le creste predominanti e i punti più profondi dei solchi. 2. Rugositò media – Ra Media aritmetica (espressa in μm) dei valori assoluti delle deviazioni y del profilo reale dalla linea media. 𝐑𝐚 = 𝟏 𝐥 ∫|𝐲| 𝒅𝐱 𝐥 𝟎 ≅ 𝐑𝐦𝐚𝐱 𝟒 ➔ Si usa il modulo per evitare che creste e gole si compensino. Si possono distinguere due diverse situazioni per il calcolo della rugosità teorica: 1. Utensile con raggio di punta nullo L’utensile si muove mentre il pezzo ruota. Ma di quanto sarà più in avanti dopo un giro del pezzo lavorato? L’utensile si troverà più in avanti di una distanza pari all’avanzamento, f. Quale sarà invece il profilo del pezzo lavorato? Il pezzo lavorato non sarà liscio, ma avrà un profilo caratterizzato da una rugosità massima pari alla lunghezza DB. Il valore di questa rugosità è facilmente calcolabile usando i teoremi dei triangoli: f = AD̅̅ ̅̅ + DC̅̅ ̅̅ = DB̅̅ ̅̅ cot κ′ + DB̅̅ ̅̅ cot κ = DB̅̅ ̅̅ (cot κ′ + cot κ) DB̅̅ ̅̅ = Rt = Rmax Da cui si ricava che: 𝐑𝐦𝐚𝐱 = 𝐟 𝐜𝐨𝐭 𝛋′ + 𝐜𝐨𝐭 𝛋 𝟏𝟎𝟑 [𝛍𝐦] ➔ Rugosità massima [μm] Avanzamento [mm] Si moltiplica per 1000 come fattore correttivo! 𝐑𝐚 = 𝐑𝐦𝐚𝐱 𝟒 Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 96 2. Utensile con raggio di punta r non nullo Se si utilizza un utensile con raggio di punta non nullo, è necessario imporre una condizione: affinché l'utensile tagli il pezzo effettivamente con la punta e non con il suo fianco, il punto di intersezione degli utensili ideali, che indicano lo spostamento dell’utensile durante la lavorazione, deve trovarsi sulla circonferenza (punta dell’utensile) e non sulle rette tangenti (fianchi dell’utensile). Bisogna quindi imporre che: ND̅̅ ̅̅ ≤ AC̅̅̅̅ DE̅̅ ̅̅ ≤ QB̅̅ ̅̅ ND̅̅ ̅̅ = DE̅̅ ̅̅ = 𝑓 2 da cui si ottiene che: 𝒇 𝟐 < 𝑟 𝐬𝐢𝐧𝛋′ 𝒇 𝟐 < 𝑟 𝐬𝐢𝐧𝛋 Se queste condizioni non sono verificate, significa che è stato sbagliato: - l’utensile, in quanto il raggio di punta (proprietà dell’utensile) non è adeguato; - l’avanzamento, non adeguato in quanto l’utensile lavora con i fianchi. Questa dispensa è stata realizzata sulla base degli appunti presi frequentando le lezioni. D.Sarandrea 97 Per il calcolo della rugosità massima si può usare una formula approssimante, detta formula di Schmaltz. Rmax = Rt = OG̅̅ ̅̅ − OD̅̅ ̅̅ = OG̅̅ ̅̅ − √ON2̅̅ ̅̅ ̅̅ − ND2̅̅ ̅̅ ̅̅ = (r − √r2 − 𝑓2 4 )103 𝐑𝐦𝐚𝐱 ≈ 𝒇𝟐 𝟖 𝐫 𝟏𝟎𝟑 [μm] Inoltre, si ha che la rugosità aritmetica si può calcolare come: 𝐑𝐚 ≈ 𝟏𝟎𝟎𝟎 𝟑𝟐 𝒇𝟐 𝐫 6.3 Usura e vita degli utensili Durante le lavorazioni per asportazione, l’utensile subisce un’usura. Le cause dell’usura possono essere di ordine: • meccanico: principalmente legate all’abrasione dovuta allo scorrimento del truciolo (incrudito) sull’utensile; • termico: durante la lavorazione la temperatura si innalza notevolmente e al variare della temperatura variano le caratteristiche meccaniche dell'utensile; • chimico: con l’aumento di temperatura possono innescarsi meccanismi di ossidazione (per esempio, l’ossido del ferro è la ruggine) o diffusione allo stato solido (scambi di particelle tra pezzo e utensile) che infragiliscono l’utensile stesso.
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