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Tecnologie industriali (parte 2), Appunti di Tecnologie Meccaniche

- Cenni sui materiali, sui Trattamenti Termici e sui Test per la Caratterizzazione Meccanica e Tecnologica - Comportamento Plastico dei materiali metallici e processi associati - Cenni sulle lavorazioni per Asportazione di Truciolo - Materiali Polimerici e loro lavorazioni - Materiali Compositi e loro lavorazioni - Giunzioni meccaniche - Tecniche additive

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 26/08/2023

alessandro-mafrica
alessandro-mafrica 🇮🇹

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42 documenti

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Scarica Tecnologie industriali (parte 2) e più Appunti in PDF di Tecnologie Meccaniche solo su Docsity! Vado a graficare gli intervalli definiti dai valori trovati di V* e V**, a* e a**. Uso i logaritmi in modo da ottenere andamenti lineari. Si determinerà la regione di lavorabilità (walking window). Tuttavia, tale regione non tiene in considerazione i vincoli di lavorazioni. Introdotti questi, la regione di lavorabilità si riduce come in figura. La potenza è del tornio funzione della velocità: cresce all’aumentare della velocità e dell’avanzamento; la rugosità diminuisce quando la velocità aumenta e l’avanzamento diminuisce. area di lavorabilità non vincolata limite sulla potenza limite sulla rugosità Es. 3 (asportazione di truciolo) Un processo di cilindratura a singola passata e con avanzamento a = 0,5 mm/giro viene eseguito su pezzi con diametro di 100 mm e lunghezza 120 mm. L’azienda, lavorando in continuo 8 ore al giorno, produce una quantità di truciolo giornaliera di 200 kg consumando 20 utensili al giorno (densità materiale = 7,87). La legge di Taylor è pari a VT = 200 mentre la forza principale di taglio per i valori di passata e avanzamento utilizzati è pari a 100 kN. Si determini considerando nulli sia i tempi passivi che di cambio utente: i kWh giornalieri, sapendo che il rendimento della macchina è 0,8; la profondità di passata. 0,35 I kWh sono una misura dell’energia. Voglio la potenza nominale, pari al rapporto tra potenza reale e rendimento. A sua volta, la potenza reale è data dal prodotto tra forza e velocità. Per trovare la velocità posso usare la legge di Taylor; ricavo il valore di T. nlnv p V Un > Vm ) ra > lna am am T = 8h - 60min = 24min 20 utensili V = 200 = 65,76 m min ≈ 1 , 1 ms 240,35 Pr = F . V = 100 KN . 1,1 M S = 110 HW PN = PR M = 137,5 kW E = PN . 8h = 1100 kWh tes = t + tu p + tp = L N - a N = 1000V = 1000 - 65,76 = 210 giri min ITD 3 , 14 . 100 in cui p è l’unica incognita —> da qui trovo la passata Es. 1 Si deve effettuare una passata di tornitura su delle barre con D=99mm e L=300mm per ridurne il peso del 4%. Si dispone di un tornio parallelo che in lavorazione assorbe una potenza di 1466W e ha un rendimento n di 0.90. La legge di Kronemberg è: Fz=1000*p*a e il tempo attivo per eseguire la passata è stato di t=1min mentre il tempo di cambio utensile (tcu) è di 6min. Le legge di Taylor, utensile-pezzo, è pari a: VT =375. Determinare, considerando trascurabile il costo dell'utensile e i tempi passivi: 1) l'avanzamento "a" utilizzato; 2) il numero di pezzi che si riescono a tornire con un utensile e il tempo di esecuzione di ciascun pezzo. 3) la velocità economica di taglio (V*) e la velocità di massima produzione (V**) sapendo che 0,5 0,45 incognite e tes = 120 = 1,14min pz 210 - 0,5 n = 8- 60 = 421 pz 1,14 200kg = 0,475kg = m 421 pz VOL = M = 0,06dm } p VOL = ITDO ≥ . It do - Zp 2 L 4 4 VI C ✓ " = C R In _ 1 " è Tcu In _ 1 " am 1 Prede = 1466 . 0,9 = 1000 p.ao.SU r t = L N - a r > pi = 1mm itdj.IT Do - ZP ? L . p = 0.04 "È↳ , pz = 98mm 4 4 n n n Aext Aint lungh . { 1466 . 0,9=1000.1 - a ' V , | V = 67,16m min 1 1 = 300 a = 1,39mm giro 1000 . V ITD 60 - & Es. 4 Si vuole realizzare una singola passata di sgrossatura, con avanzamento a=0.4mm/giro, usando utensili in materiale ceramico su pezzi cilindrici in acciaio di diametro D0=100 mm e lunghezza L=200 mm. La lavorazione sarà realizzata assorbendo una potenza di Wnom=8kW, rendimento n=0.85. Il tempo di cambio utensile è Tcu=1min, i tempi passivi sono pari a Tp=0,5 min. Il costo del tagliente è Cu=0,98€. Il costo del posto di lavoro al minuto, M, è pari 12€. Le giornate lavorative annue siano 250 composte di 8 ore lavorative. La formula di Taylor per la coppia utensile pezzo è: VT a =320. L'espressione per il calcolo della forza principale di taglio è Pz=2000pa . L'azienda decide di lavorare con la velocità che minimizza i costi di lavorazione. Determinare: 1) il diametro finale del pezzo tornito; 2) il costo dell'energia in un anno, sapendo che il consumo è legato solo alle fasi attive di lavorazioni. Costo energia pari a 0.2 €/kWh. 0,3 0,56 0,75 con 1,75 = 1,13 + TCU > Tcu = 6,2min 10 1 VI C R = tu + * = 1+0,98=1,08 R In _ 1 " am 12 Vt = 320 = 405,1m min = 6,75m S 1,08 1 _ 1 03 . 0,4956 0,3 Pr = MPNOM = 6800W = 2000 p . 0,4° '" . 6,75 > p = 1mm Df = do - ZP = 98mm 2 (EN = ECONS - CUE t = L N - a N = 1000 V = 1290 giri min ITD t = 200 = 0,387min 1290 - 0,4 VT» . a ◦ ' 56 = 320 > T = 1,096min T = 2,83P = t Ciò significa che su 8h, lavoro 8*0,312 = 2,496 h 06/05 Slide 06 - pag.17 - es.2 Si consideri un massello cilindrico in acciaio (C=610 N/mm2, n=0,18) le cui dimensioni siano pari a: D0=160 mm, h0= 180 mm. Riduzione dell’altezza iniziale del 40%. Supponendo di voler eseguire un processo di upsetting con =0,3 all’interfaccia stampo/pezzo, e considerando 3 steps di deformazione di uguale ampiezza: 1. Disegnare il diagramma - corrispondente; 2. Calcolare il valore della tensione assiale in corrispondenza dell’ultimo step di deformazione per i seguenti valori del raggio: 50mm, 100mm. 3. Disegnare il diagramma delle tensioni assiali all’interfaccia pezzo/stampo 4. Calcolare il carico massimo necessario (in tonnellate) per eseguire lo schiacciamento. 5. Supponendo che, per ogni step, il valore del carico di schiacciamento si mantenga costante, calcolare il costo di una commessa di 30.000 pz, sapendo che: costo energia=0,14 €/kWh; costo manodopera=15€/h; Velocità di schiacciamento=1 mm/s; Rendimento Macchina=0,75; impegno manodopera=5 sec/pz. (Si considerino trascurabili i tempi di carico e scarico della billetta). condizione non verificata Tes = 0,387 + 0,353 + 0,5 = 1,24min t Tes = 0,312 = 31,2 ' . > E =P -2,496h = 8000 . 2,496Wh = 19,968 kWh CEN = 250 -19,968 kWh = 4992€ µ T E do = 5mm F = 1011N Mt = 1000 NMM T = 610 E ° ' " e = 0,3 E = ln 1 + e = ln 1,3 = 0,262 To = 610 . 0.262° '" = 479,32 MPa F = 10 UN 7 Ox = 10.000 = 509.3 MPa . 52 T = 16 - Mt = 40,74hPa ITD > 2 + 6T ? E 2002 > 528731 ≤ 459455,325 Slide 06 - pag.18 - es.3 Una pressa industriale viene utilizzata per ottenere dei tranciati da lamiere di acciaio ricotte (legge di flusso plastico: = 300 ). La macchina lavora con rendimento h=0.9 ed assorbe dalla rete elettrica una potenza di 101.5kW lavorando ad una velocità costante di 20 mm/s. L’ingegnere di produzione deve determinare le dimensioni dei cilindretti tranciati, considerando: a) una produzione di 31650 pezzi al mese (lavorazione in un ciclo di 8 ore per 22 giorni al mese); b) le corse di discesa e di salita del punzone assorbono la stessa energia e sono entrambe pari allo spessore del tranciato. Successivamente, noto che il costo unitario dell’energia è pari a 0,15 €/kWh, calcolare il costo energetico per l’esecuzione del lotto mensile. Infine, questi cilindretti, prima di essere venduti vengono schiacciati su tavola piana per dimezzarne l’altezza. Volendo utilizzare la stessa pressa della tranciatura, determinare il valore massimo di velocità costante che può essere impostato ed il tempo per completare questo secondo processo (si consideri attrito nullo tra tavola e cilindretti ed il tempo di risalita del punzone pari a quello di discesa – corsa pari allo schiacciamento da imprimere). diametro e spessore incognite T [ 0.35 E = 0 Passorbita = 101,5 UN 0=300 E ◦ ' 35 V = 20mm s M = 0,9 Q = 31650 pz > 22g 8h PR = Pass - Y = 91,35kW 1 Pr = Ftrau . v FTR = 0,7 TR - ITDS TR OR = 300 nn = 300 . 0,35° » = 207,75 91350W = 0,7 . 207,75 . 3,14 . D . S - 0.02 M S 31650 - Z - S = 8h . 22giorni - 60 . 60 - 20 mm s > S = 200mm s t v D= 91350 = 50mm 1826,54 E MESE = 101,5kW - 8h . 22 = 17864kWh 2 C = E MESE - cu = 17864kWh . 0,15€ 11Wh = 2679 , 6€ ^ E = 0 v v v v v v 3 ^ 200 100 v < Df > " Slide 07 - pag.61 - es.9 Un’azienda produce elementi elastici in alluminio di spessore 2mm e larghezza 500mm per un sistema di chiusura di un cancello automatico tramite un processo di laminazione su tavola piana. In esercizio, il raggio di piegatura massimo di tale elemento risulta essere di 280mm. Il materiale, che prima di eseguire la laminazione è allo stato ricotto, ha legge di flusso plastico caratterizzato dalle costanti C=900 ed n=0,85. Si dispone di un laminatoio che assorbe in lavorazione una potenza di 12MW (rendimento =0.9). I rulli sono realizzati di un materiale molto costoso per garantire una bassa interazione con l’alluminio (attrito = 0.05). Il loro costo incide in modo consistente sul costo del laminatoio. Determinare: 1. La deformazione impressa all’elemento elastico in fase di laminazione; 2. Il volume ottimo dei rulli per minimizzare il costo dell’attrezzatura. 3. La quantità di lamierini prodotti in un ciclo di lavorazione in continuo di 8 h, sapendo che ogni lamierino è lungo 1000mm e che la velocità in uscita dai rulli è il 10% più elevata della velocità in corrispondenza della sezione neutra. = deformazione di primo snervamento Trovato vu, conosciamo il tempo di lavorazione, da cui otteniamo la lunghezza lavorata: TF = 2mm 0=900 E ◦ ' 85 B = 500mm Pass = 12MW RLAV = 280mm M = 0,9 RLAV > RMAX = te = 2mm. 70000 , sto = 250 MPa = CE " 200 200 E = To & = 250 ^ ◦ ' 85 = 0,221 > 0,02 C 900 E = ln to ff ) to = tre ≤ = Ze ◦ ' 221 = 2,49mm ah < µ ? R 7 0,492 0,052 R > RMIN = 0,49 = 196mm 0,052 Un = 1. lvr = 1,1 WR Plan = F { W v v Pass - y Pave - L . B tu 8h . 36005 h = Lprod 1000mm 1am = ho lamierini Slide 07 - pag.58 - es.3 Un lamiera è caratterizzata da un indice di anisotropia normale pari a 1.2. Tale lamiera di acciaio con E=210GPa, di spessore pari a 1mm viene sottoposta a trazione fino a subire una riduzione di spessore del 20%. Il seguente materiale, caratterizzato dalla legge di flusso plastico con C=210 [MPa] e n=0.3, viene sottoposto a piegatura lungo l’asse di trazione. Determinare il RMAX di piegatura, nell’ipotesi di considerare trascurabile la variazione di spessore della lamiera in seguito al cessare della sollecitazione di trazione. Determinare, inoltre, il raggio minimo considerando che la lamiera può aumentare del 50% la sua lunghezza prima di arrivare a rottura. Il seguente materiale, caratterizzato dalla legge di flusso plastico con C=210 [MPa] e n=0.3, viene sottoposto a piegatura lungo l’asse di trazione. sto tirando il provino lungo l Slide 07 - pag.58 - es.2 Un’azienda, ha vinto una nuova commessa per la produzione di tranciati da utilizzare per l'industria navale. All’ingegnere di produzione viene chiesto di andare a dimensionare la nuova pressa da acquistare per tale commessa che dovrà essere in grado di produrre 10000 tranciati circolari al giorno con un diametro di 150mm. Le lamiere da tranciare sono di un acciaio al carbonio C20 in cui la corsa del punzone necessaria ad arrivare a rottura risulta pari al 50% dello spessore della lamiera (s=5mm). Il materiale è caratterizzato da una tensione a rottura pari a 590MPa. Si consideri una velocità di salita e di discesa del punzone costante e trascurabili eventuali tempi morti. La salita del punzone porta il punzone a sollevarsi di 10mm rispetto al piano superiore della lamiera per facilitare la movimentazione della stessa. Tempo di lavorazione di 8 h al giorno. R = EW = 1,2 0=210 E ° ' } Et to = 1mm E = 210 G-Pa tf = 0.8mm RMAX = te 200 , J = CE " Et = la 1 > Ew = 1,2 . Et = 0,267 0,8 = 0,223 Et + Ew + El = 0 > El = 0,5 rmax = te = 0.8 . 210 ✗ 10 } = 492,43mm 200 2 . 210 . 0,503 R MIN = 50T = t = 0,8mm A ' , a _ . = 1,5 - 1 lo = 50º . lo Np = 10.000 TR = 590mm DT = 150mm ah = 10mm t = 5mm T = 8h 09/05 Materiali polimerici = “insieme di tanti monomeri”. Un polimero è un materiale che mette insieme una serie di elementi più piccoli detti monomeri. Esistono numerose tipologie di polimeri che differiscono per tipologia di lavorazione, molto spesso. Spesso i materiali polimerici vengono definiti plastiche. Le performance meccaniche di una plastica/materiale polimerico (in questo contento confondiamo i due termini) sono abbastanza basse: si tratta di materiali leggeri (tensione a snervamento e rottura basse), anche se ci sono eccezioni; hanno scarsa resistenza alla temperatura, anche se ci sono eccezioni; sono isolanti (raramente vi sono polimeri conduttori). Il materiale termoplastico (paraurti), la fibra di carbonio (tettuccio) e il termosetting (sta per materiale termoindurente) sono materiali plastici. Queste 3 categorie vengono accorpate nei materiali polimerici. I materiali termoplastici e termoindurenti sono le 2 famiglie principali di polimeri usati nelle lavorazioni industriali, possono essere di tipo rigido o gommoso. P = Ftvt FT = 0.7 . TR ltdt = 973108,32 N Tr a corsa = 25mm . 10.000 = 250m v 2 10mm + 52mm V = 250m = 8,7 ✗ 10 -3ms 8h . 3600 La differenza tra un polimero e un metallo sta nel fatto che il polimero, prima del passaggio di stato, incontra un altro valore di temperatura: la temperatura di transizione vetrosa Tglass, tale per cui la parte amorfa del polimero passa da rigida a movibile. Tglass non provoca un cambio di stato, ed è per questo che si parla di transizione del 2º ordine. A questo punto, possiamo introdurre la differenza tra una plastica e una gomma (ossia un elastomero). Se la Tglass del mio polimero è inferiore alla temperatura ambiente, significa che sto lavorando ad una temperatura (quella ambiente) in cui il mio polimero ha la parte amorfa movibile (è questo il caso della gomma). Se la temperatura Tglass assume un valore maggiore rispetto alla temperatura ambiente, invece, la parte amorfa diventa rigida. Posso trasformare un polimero da termoplastico a gomma modificando la temperatura in cui si trova (cioè portandola sopra o sotto la Tglass e modificando quindi la parte amorfa). In sostanza: la gomma ha temperatura di transizione vetrosa più bassa della temperatura ambiente (parte amorfa movibile); la plastica ha temperatura di transizione vetrosa più alta della temperatura ambiente (parte amorfa rigida). Posso ottenere una plastica da una gomma raffreddandola, cioè riducendo la sua temperatura ambiente ad un valore inferiore rispetto a Tglass. I polimeri a loro volta possono essere combinati tra loro. Fino ad ora abbiamo considerato omopolimeri (polimeri formati soltanto da monomeri di uno stesso tipo); esistono anche polimeri formati da monomeri differenti (si parla di copolimeri). Possiamo parlare di: copolimeri alternati (polimero A - polimero B - polimero A - ...) copolimeri a blocchi (un blocco di un monomero e un blocco di un altro monomero) copolimeri random copolimeri ramificati (la catena principale di un monomero, la catena ramificata di un altro monomero) Posso customizzare le performance del mio materiale introducendo vari tipi di polimeri. Un ulteriore fattore che incrementa la flessibilità del materiale è rappresentato dall’impiego di Esistono additivi di vario genere, come antiossidanti, stabilizzanti UV, coloranti, ... Posso anche migliorare le performance di base del mio polimero mediante gli additivi. Gli additivi non partecipano alla costruzione della catena polimerica (differenza sostanziale con i polimeri). L’additivo si inserisce nelle catene polimeriche più come riempitivo. Avere catene isotattiche significa avere catene molto facilmente accorpabili; catene atattiche, con atomi distribuiti in maniera disordinata, implica una maggiore difficoltà nell’ordinare la catena e dunque nell’avvicinare la catena. Avere catene lontane equivale ad avere forze di Van Der Waals meno intense. Inoltre la densità di un materiale isotattico è molto maggiore della densità di un materiale atattico (volume occupato più piccolo). Un polimero più denso è un polimero più forte. Si parla anche di tatticità del polimero (concetto legato all’ordine nella costruzione della catena polimerica) Immaginiamo di avere una catena con monomeri caratterizzati da 3 atomi di idrogeno e 1 radicale differente. Se il radicale sempre la stessa posizione nei vari monomeri, si parla di catena isotattica. Se il radicale non si trova sempre nella stessa posizione ma c’è una sorta di ordine - ripetibilità (ad esempio: il radicale si alterna tra la posizione 2 e la posizione 4), si parla di catena sindiotattico. Nel momento in cui non c’è alcun ordine, si parla di catena atattica. H - R - H - R - H - R - H - R H - R C - C - C - C - C - C - C - C - C - C H - H - H - H - H - H - H - H H - H H - R - H - H - H - R - H - H C - C - C - C - C - C - C - C H - H - H - R - H - H - H - R H - R - H - H - H - H - R - H C - C - C - C - C - C - C - C H - H - H - R - H - R - H - H isotattico sindiotattico atattico Consideriamo 4 tipologie di polietilene differenti in funzione della densità: LDPE (Low Density Polietilene): proprietà meccaniche basse, molto flessibile con rigidezza bassa, adatto per realizzare componenti con alta necessità di essere lavorati (ad esempio pellicole o buste di plastica); LLDPE (linear low density polietilene): caratteristiche meccaniche ancora più basse. HDPE (high density polietilene): ha densità più elevata, una struttura cristallina più resistente, viene utilizzato per formare i contenitori di detersivi liquidi (performance meccaniche più elevate); UHMW (ultrahigh molecolar weight polietilene): proprietà tendenti a quelle della fibra. È un materiale con performance meccaniche paragonabili all’acciaio. Cosa cambia tra la lavorazione di un materiale termoplastico e di un termoindurente? A livello generale, per lavorare un polimero si parte da polveri e granuli di materiale polimerico (molto raramente lamiere). Il ciclo di lavorazione è il seguente: si parte da plastiche trasparenti, si aggiungono gli additivi e si effettua la formatura della miscela ottenuta. Per finishing fases si intende la fase di finitura finale, che per materiali polimerici è molto rara (a causa dell’alta formabilità del materiale polimerico che non la rende necessaria). Plastiche Additivi Formatura Finishing fases Prodotto finale Nel caso in cui si lavora un termoplastico si ha un ciclo chiuso. Si parte dalle polveri di polimero allo stato solido; si effettua una fase di heating (riscaldamento) fino ad una temperatura superiore alla temperatura di transizione vetrosa o alla temperatura di fusione (dipende dal processo considerato). Segue il forming, dopo il quale ottengo il prodotto finito. Nello specifico: effettuo il processing e terminata la lavorazione raffreddo il materiale (cooling) per riportarlo allo stato solido (temperatura portata sotto Tg o Tm). Se il prodotto finito non va bene, ritorno al materiale iniziale e riparto col ciclo (posso ripeterlo n volte). Su un termoindurente il ciclo è aperto. Parto sempre da materiale polimerico allo stato solido. Tuttavia, se nel caso precedente il materiale era stato già polimerizzato, col termoindurente parto da materiale che deve ancora essere polimerizzato, dunque da monomeri. Questo perché se il materiale fosse già polimerizzato non potrei più lavorarlo. Anche in questo ciclo si effettua heating (si fornisce calore per attivare la polimerizzazione). Segue una fase di processing che deve essere molto rapida in quanto le catene polimeriche iniziano a essere vincolate dall’inizio della reticolazione. Dopo la lavorazione c’è un’ulteriore fornimento di calore che serve a completare la fase di curing (reticolazione). Completata la fase di curing, posso eseguire la fase di raffreddamento per ottenere il prodotto finito, che non potrà nuovamente essere lavorato come nel caso dei termoplastici. ^ > > > Wass = 10kW do = 10mm p = 8850 kg/m } n = 0 . 8 E = 0,1 µ = 0,1 25099 a , 8h gg o = 400 E ° ' } ✗ = 60 ln do ≥ df 2 = & ) DF = 1021 e 0,1 = 9,51 mm 2 AOVOP = AFVF p Ptraf = Ftraf . Vtraf = 10kW - 0,8 = 8000W FT = Oz Af = 139,61 . I 9,512 = 9511 , 67N > TZ = Tave 1 + µcotgt E = CE " 1 + µ cotg ✗ E = n + 1 = 400 - 0.1°' } 1 + 0,1 cotg 6º . 0.1 = 139.61 1,3 rttraf = Pr = 0,8 M S = VF Ft It . 9,512mm ≥ . 800mm s = 56796 mm } SAf - VF = 4 P = 8.85×10-6 Kg mm } Ò = AF - Vr. - p = 0,5 kg S = 1800kg h 3 Q = 1800 - 8kg giorno = 14400 kg R = 14400 -7€ g = 100800€ giorno 4 WASS = 10 kW > E = 10kWh . 8h = 80kWh Cgiorn = 80 kWh . 0,15€ kWh = 12 € Il tubo subirà una deformazione permanente (la forza applicata è superiore al carico massimo applicabile) do = 40mm o = CE " , n = 0 S = 1,5mm C = 400 MPa Lo = 100mm Fa = 94250 N 1 A TUBO = 40? It 372 = 181,335mm ≥ 4 ^ 40 -25 F = 400 MPa . At = 400.181,335 = 72612 Ne 94250N = Fa v D= 40mm > ✗ = ? 94250 = 400 IT ✗ 2 - IT 402 ) ✗ = 4 94250 + IT 402 = 43,59 4 4 IT 400 4 E = ln AO Af do = 40mm a = 0.1mm g Fz = 2000 a ◦ ' ⇒ p N = 1000 rpm p = 1mm L = 300mm 1 P = Fz . Vz = 355,65N - 2,09 M S = 744,49 W > vz = ITDN = 125,6 m min = 2,09ms 1000 2 Texe = t + Tp + tu = 3min p ' con t = L N - a So di consumare il truciolo in 3 minuti. Il truciolo realizzato è: volume di truciolo di un pezzo No, il lamierino non può essere ricavato da una lama incrudita: il raggio di esercizio è minore del raggio max. 3 I 402 _ È 382 300 = 4 Vol = 71592 mm } M = V. P = 71592mm } 2700×10 - s Hg mm > = 193,2g 193,2g = 1,07g S 180s t = 1mm B = 1000mm O = 1000 E ◦ ' 2 RMAX = 45mm RMAX = te con Jo = 1000 . 0,002°' ≥ = 288,54 200 Rreax = 1 - 70.000 = 121 , 3 > 45 2. 288,54 t = 1mm = TFIN 1. 70.000 = 45 > To = 777,77 MPa = CEM 200 E = 777.77 ^ 0.2 = 0,882 = ln to 1000 tf to = tf e ◦ ' 882 = 2,4mm 13/05 Lavorazioni dei termoplastici: estrusione e stampaggio a iniezione sono le due lavorazioni principali per i materiali polimerici. La busta di plastica, ad esempio, si realizza per estrusione. Una penna si realizza per stampaggio a iniezione. Estrusione I macchinari impiegati sono detti estrusori: si tratta di macchine dalle grandi dimensioni. La struttura è composta da un primo imbuto detto tramogia (hopper), che permette l’entrata del materiale in un “cilindro” detto cilindro di estrusione. Il cilindro è costituito da un rivestimento e intorno ad esso sono presenti degli heaters (riscladatori): nella fase di lavorazione è infatti previsto il riscaldamento per ottenere la parte viscosa del materiale. All’interno del cilindro troviamo una vite che ha una serie di funzioni, tra cui quella di mescolare il polimero solido (polveri) e gli additivi. La vita crea inoltre attrito nel polimero, generando un extra heating (riscaldamento). Quando il materiale è fuso, la parte finale crea le condizioni di pressione e temperatura omogenee per spingere il materiale nella matrice di estrusione. La matrice è l’elemento che mi consente di realizzare un elemento con sezione costante e lunghezza infinita. Nell’estrusione, la vite ha una dimensione variabile (è costante solo nella metening zone): questa caratteristica geometrica serve a creare l’aumento di pressione. Il processo di estrusione dei polimeri è continuo: le condizioni di pressione e temperatura sono garantite continuamente dal riscaldamento e da questa variazione della sezione. Tale processo è consigliabile solo per i materiali termoplastici; per i termoindurenti non è indicato in quando appena si avvia il riscaldamento parte la reticolazione. Una possibile variante adatta ai termoindurenti potrebbe consistere nell’utilizzare un punzone al posto della vite (con una fase di riscaldamento breve a valle dell’estrusione). Un altro elemento importante dell’estrusore è il breaker plate (la parte finale): si tratta di una piastra con dei passaggi londitudinali. È utile perché: forma una sorta di tappo che garantisce la giusta pressione nella metening zone; blocca eventuali impurità; fa dimenticare al materiale polimerico la sua precedente storia di deformazione. In particolare, quest’ultima caratteristica consente di evitare che il fluido continui a girare mantenendo la propria rotazione; nel breaker plate si forza il materiale a passare in canali longitudinali, e in questo modo il polimero assume una direzione lineare (assiale). Consideriamo l’estrusore composto da: feed section – zona di alimentazione (il materiale entra e alimenta il sistema); compression area – zona centrale (dove creo il riscaldamento e l’aumento di pressione e fondo il materiale); metening zone – zona finale (dove rendo omogeneo il tutto). Quello considerato finora è un estrusore monovite; ce ne sono altre tipologie. Quando ho problemi con la densità dei polimeri, e dunque con il mescolamento, posso usare estrusori a doppia vite o con verso di rotazione opposto, ad esempio. Nella fase di estrusione vera e propria possiamo osservare un aspetto che differenzia l’estrusione dei metalli e quella dei polimeri: viene detto die swell e significa rigonfiamento della matrice. Il fenomeno consiste in realtà nel rigonfiamento del materiale estruso una volta abbandonata la matrice. È dovuto alle proprietà viscoelastiche del polimero: le catene polimeriche hanno delle ramificazioni che interagiscono tra loro (sbattono una sull’altra) quando sono “costrette” dalla matrice di estrusione; abbandonata la matrice e terminata la sollecitazione, si ha un ritorno. La forma del componente è determinata dalla sezione della matrice: basta cambiare questa per ottenere prodotti diversi.   Una proprietà dei polimeri e non dei metalli è l’alta formabilità (per la lavorazione di film di pellicola o buste di plastica): la posso sfruttare quando, prendendo una matrice, riesco a lavorarla per estrusione realizzando componenti anche molto sottili. Calandratura: l’azione di stretching serve a sfruttare le forze covalenti della catena polimerica, andando a massimizzare le performance del materiale lungo una direzione. Ad esempio, riferendoci al film, con lo stretching si massimizza la resistenza del materiale sul piano. Questa azione migliora inoltre le qualità estetiche, come la brillantezza e la lucentezza. Stampaggio a iniezione Lo stampaggio a iniezione è un processo discontinuo (diversamente dall’estrusione). Il processo avviene nel seguente modo: la vite gira come nell’estrusione miscelando il materiale, ma accumula il materiale sulla punta. La quantità di materiale accumulato viene misurato con la check valve (nella punta della vite); quando si raggiunge la quantità desiderata, la vite smette di ruotare e spinge il materiale nello stampo. La valvola di controllo, a questo punto, impedisce che il materiale torni indietro. Anche questo tipo di processo si effettua solo per i termoplastici. Per i termoindurenti si utilizza uno stantuffo al posto della vite. Mentre lo stampo è riempito dai canali di alimentazione, agiscono i canali di raffreddamento che servono a raffreddare il materiale. La fase di raffreddamento (cooling) è fondamentale perché consente di ridurre i tempi di lavorazione. Terminato il raffreddamento, la vite torna indietro e riprende a girare, mentre lo stampo si apre facendo cadere il pezzo finito. La dimensione del pezzo è molto importante per una serie di motivi: se il pezzo è piccolo, ci si aspetta di pagarlo poco, per cui si ha la necessità di incrementare la produttività e questo si ottiene mediante la riduzione dei tempi di raffreddamento (quindi di lavorazione); il processo presenta dei vincoli sullo spessore del componente, in quanto maggiore è lo spessore, maggiore sarà il tempo di raffreddamento (inoltre i polimeri hanno una bassa conducibilità termica); vista la complessità dello stampo, dimensioni eccessive sono da evitare in modo da non spendere molto per l’acquisto dello stampo. Concetto di tempo ciclo di lavorazione Se vogliamo quantificare il tempo di esecuzione, dobbiamo considerare le seguenti aliquote (legate a ciò che succede nello stampo): tempo di chiusura dello stampo; tempo di cooling; tempo di apertura (espulsione del pezzo). Questa somma è ciò che determina la produttività del processo. Il tempo di cooling comprende una serie di fasi subite dal polimero, tra cui le fasi di processo vero e proprio. Texe = Tclosing + Tcooling + Tejection Per quanto riguarda le variabili di lavorazione, le due principali sono la pressione e temperatura di lavorazione. Possiamo vedere in grafico la finestra di lavorabilità in funzione di tali due parametri. Le due variabili devono essere settate in modo opportuno perché: - se la temperatura è troppo bassa, si ha short shot: avrò un materiale molto viscoso, per essere mosso necessita di molta forza e pertanto non si riesce a riempire lo stampo, - se la temperatura è troppo elevata, il materiale polimerico si va a degradare; - se la pressione è troppo bassa c’è troppo ritiro (too much shrinkcage); - se la pressione è troppo alta, si forma il flash (bava): lo stampo vince le forze di chiusura e parte di materiale fuoriesce. Per quanto riguarda lo stampo, nello stampaggio a iniezione, è molto importante il sistema di tenuta dello stesso (che può essere di tipo meccanico o idraulico, il primo più semplice ed economico, il secondo più flessibile). Lo stampo vero e proprio è l’elemento fondamentale di tale parte del dispositivo. Si tratta di un componente molto complicato e, di conseguenza, costoso. I canali di alimentazione, presenti nello stampo, sono un elemento con una funzione molto rilevante: si ipotizzi di voler realizzare diverse forme contemporaneamente, si vuole che la stessa quantità materiale raggiunga tutti gli stampi nello stesso tempo, per avere un raffreddamento bilanciato. La configurazione a Sinatra, tra le due in figure, è quella che consente al materiale di confluire negli stampi in modo bilanciato. Spesso i canali di alimentazione sono riscaldati (ci sono delle serpentine attorno ai cavi); questo serve a evitare che il materiale si raffreddi nella forma. Possibili difetti di lavorazione: zone di ritiro, short shot, ostacoli che ostruiscono il passaggio del materiale che non si salda dove previsto. Come realizzare una bottiglia di plastica: processo combinato definito blow molding. Il blow molding è un processo combinato: estrusione o stampaggio a iniezione. Il semilavorato che si ottiene è un parison (un cilindro fatto di materiale termoplastico). Esso viene messo all’interno di stampi ad una temperatura compresa tra la temperatura di fusione e di transizione vetrosa. Gli stampi vengono chiusi; la parte inferiore del parison viene termosaldata, dall’alto si crea la filettatura (sfruttando la forma dello stampo) e si gonfia il pezzo (soffiaggio). Nel momento in cui si ha la necessità di realizzare un pezzo particolare, si parte da un parison realizzato tramite stampaggio ad iniezione (e non tramite estrusione).   Una variabile importante è lo stretch blow moulding, che prevede un passaggio intermedio di stretching tra l’estrusione e il soffiaggio. La fase di stretching serve a direzionare le catene polimeriche (permette di ottenere bottiglie più performanti e resistenti lungo l’asse principale). Inoltre, molti rinforzi che posso usare per un polimero non possono essere impiegati per gli altri materiali, che sono sottoposti a temperature di lavorazione maggiori. Proprietà dell’MMC: quando si crea un MMC, l'obiettivo potrebbe essere una combinazione delle proprietà della matrice, come l'elevata duttilità o conducibilità termica, e le proprietà del rinforzo, come l'elevata rigidità o il basso coefficiente di dilatazione termica Proprietà del CMC: i materiali ceramici sono generalmente fragili e in genere la resistenza è regolata dalla dimensione dalla “tenacia” a rottura. Gli approcci generali per la produzione di ceramiche resistenti consistono nel ridurre la dimensione massima dei difetti di lavorazione o nel migliorare la tenacità alla frattura. I compositi a matrice polimerica (PMC) sono i compositi che studiano in modo più approfondito. Ad oggi i PMC sono realizzati sia con polimeri termoplastici che termoindurenti. In realtà, in passato erano predilette matrici di termoindurenti. Quando impiego un termoindurente, parto da monomeri che devono essere polimerizzati: la bassa viscosità che ne consegue rende più semplice la formazione di compositi a partire da resine termoindurenti. Matrici Il materiale con maggiore rigidezza è la fibra di carbonio, che rinforza maggiormente il polimero. I compositi in fibra di carbonio sono più difficili di realizzare ma garantiscono performance più elevate. Il loro costo è particolarmente alto a causa dell’alto costo del processo di lavorazione. A sua volta, il processo risulta costoso in quanto la tensione a rottura del materiale è molto bassa, il che rende il carbonio difficile da lavorare. Impiegare fibra di vetro garantisce sicuramente performance più basse, ma costi più contenuti (questo è dato dal comportamento del materiale). Dal punto di vista della lavorazione, infatti, avere a che fare con il vetro è più semplice: può subire deformazioni elastiche senza arrivare a rottura al contrario del carbonio. In conclusione, possiamo affermare che le fibre di carbonio e di vetro hanno costi e performance totalmente opposte. La fibra di Kevlar è una sorta di via di mezzo tra quella di carbonio e quella di vetro. Ci sono diverse tipologie di rinforzo che possono essere utilizzate per i PMC. Quando si parla di composto si parla spesso di tessuto (fili intrecciati). In qualche modo possiamo immaginare che, data la nostra fibra (pensata come un filo), possiamo intrecciarla in diversi modi ottenendo diversi tipi di rinforzo. Dai più semplici ai più complicati: - Dry yarns (“dry” sta per asciutto, “yarn” sta per filo): parlare di yarn significa riferirsi a fili costituiti dall’intreccio di n fili. I dry yarns sono “fibre asciutte”, nel senso che le fibre non sono ancora impregnate con la resina polimerica (sarà fatto durante la lavorazione); - Welted yarns (“welted” sta per bagnato): la differenza rispetto ai dry yarns sta nel fatto che le fibre sono già impregnate di resina polmerica; - Unidiretional plies: - 3D weaves: - Braided fabric: 20/05 Le fibre lunghe hanno maggiore capacità di fornire resistenza alle matrici rispetto alle fibre corte. In funzione delle esigenze del prodotto, si realizzando composti a fibra lunga o corta. I composti realizzati con rinforzi a fibra corta sono detti mats (mats = poltiglia). I mats possono essere realizzati con termoplastici o termoindurenti (ci possono essere differenze a livello lavorativo). Mats termoindurente: matrice polimerica termoindurente che riveste le fibre. Problema: avendo una matrice termoindurente, le lavorazioni devono essere effettuate in tempi brevi, in quanto la reticolazione inizia appena si ha riscaldamento. Il processo è il seguente: parto dai monomeri, li riscaldo ed effettuo la lavorazione (creazione del composito), cui non segue la seconda fase di riscaldamento (non voglio che si completi la reticolazione). Il mats termoindurente si ottiene con una fase di congelamento del prodotto post lavorazione, in modo da bloccare la reticolazione. Il mats termoindurente ha una data di scadenza. In genere, le fibre usate per questo genere di composito sono corte. Spesso, si tratta di fibre di vetro, in quanto sono più economiche. Inoltre, quando uso fibre corte il vantaggio che riescono a garantire è molto relativo: le performance migliorano in modo significativo quando il rinforzo è costituito da fibre lunghe. Plies: polimeri rinforzati con fibre lunghe. Il ply può essere pensato come un foglio costituito da fibre lunghe rivestite con polimero. Un ply deve avere uno spessore compreso tra 0,1 mm e 1 mm. Il ply può essere formato in termoplastico o in termoindurente. Ovviamente, nel caso di impiego di un termoindurente, devo prevedere una fase di congelamento che blocchi la reticolazione. Si tratta di un composto altamente anisotropo: ha performance elevate solo lungo la direzione della fibra. Lungo le altre direzioni ha performance bassissime. Il ply unidirezionale non è altro che l’elemento a partire del quale si costruiscono i laminati. I laminati sono un insieme di plies sovrapposti. Un laminato può essere customizzato: nella sua costruzione, posso disporre n ply disposti tutti lungo la stessa direzione, generando un laminato unidirezionale. Il composto è performante perché il livello di anisotropia può essere scelto: posso ad esempio stabilire di disporre 6 ply lungo la direzione x e 2 lungo la direzione y: il laminato ottenuto avrà buone performance lungo x e performance “modeste” anche lungo y. Nel momento in cui realizzo un laminato con plies orientati in maniera abbastanza bilanciata lungo tutte le direzioni, posso dire di avere un materiale quasi isotropico. Proprietà importante: i plies rispetto all’asse di mezzeria devono essere simmetrici. Nel caso in cui non lo fossero, in fase di raffreddamento/curing si potrebbe creare una distorsione/perdita di polarità del laminato. Punto debole del laminato: lungo lo spessore il laminato resiste solo con la matrice (le performance sono migliorate solo lungo le direzioni del piano). Si parla di delaminazione: i plies sollecitati con sollecitazioni fuori dal piano si vanno a separare (si stacca la resina, in pratica). I fabrics, o tessuti, sono costituiti da un rinforzo fatto di fili intrecciati. Il rinforzo effettivamente è costruito come un tessuto vero e proprio (si parla infatti di fili di trama e di ordito). Posso customizzare il tessuto andando a modificare il tipo di intreccio tra i fili. Il filo intrecciato garantisce una risposta anche lungo lo spessore del materiale (differenza rispetto ai laminati). L’intreccio Woven enfatizza le risposte del fabric lungo lo spessore. Quello che si guadagna in termini di performance lungo l’asse z, tuttavia, si va a perdere sul piano (con che impatto dipende dall’angolo di Crimp, quest’ultimo agisce sul miglioramento delle performance lungo lo spessore). Possiamo vedere l’angolo di Crimp come l’angolo che si forma nel momento in cui, per favorire l’intreccio, un filo subisce una curvatura lungo l’asse z. Lo stitched (punti di cucitura) è un laminato in cui i diversi ply sono tenuti insieme lungo lo spessore da punti di cucitura (generalmente fatti con fibre). Lo stitched si realizza con le fibre di vetro: nella cucitura ho bisogno di una certa flessibilità, che non può essere garantita dalle fibre di carbonio (più fragili). Il braided mette insieme alcune proprietà del laminato e alcune proprietà del tessuto: è un tessuto in cui i fili vengono intrecciati, ma c’è una direzione in cui le fibre sono dritte e non presentano angoli di Crimp. Se realizzo un composito andando a sovrapporre lamine differenti, sto realizzando un “pannello sandwich” (fuori dal mondo classico dei materiali compositi). Il concetto è quello di mettere la parte resistente a flessione laddove serve (esterno) e riempire la parte centrale con un materiale leggero. A prescindere dalla tipologia di lavorazione, quando lavoro un composto effettuo i seguenti passi: 1. Preparazione dello stampo: spesso consiste nel rivestire lo stampo di specifiche sostanze che servono a creare un layer di distaccante, per poter rimuovere il componente; 2. Disposizione del rinforzo nello stampo; 3. Disposizione della resina nello stampo; 4. Compattazione: devo fare in modo che la resina entri nel fabric. È una fase rilevante per un termoplastico, che è più viscoso ed entra meno facilmente nel tessuto; 5. Polimerizzazione della resina: se si usa un termoindurente, bisogna attendere il completamento della reticolazione; 6. Estrazione del pezzo dallo stampo. Saldature Fare una saldatura consiste nel creare un cordone di saldatura che serve a unire i due elementi. Per realizzare un cordone di saldatura, in genere vado ad aggiungere materiale al componente. Esistono numerose configurazioni di cordone, dalle quali dipendono le tipologie di saldatura. A seconda di dove vado a realizzare fisicamente il cordone, posso parlare di cordone in piano, frontale, sopratesta, di testa, di spigolo, a L, a sovrapposizione, a T. Le varie configurazioni presentano grado di difficoltà diversi, prevedono configurazioni e talvolta anche variabili di lavorazione differenti (il tutto dipende da cosa si vuole ottenere). Macroclassificazione dei processi di saldatura Innanzitutto, distinguiamo saldature autogene ed eterogene. Saldature autogene: il cordone di collegamento si crea senza aggiunta di materiale o con aggiunta dello stesso materiale di cui sono fatte le parti saldate; Saldature eterogene: il materiale d’apporto è sempre utilizzato e ha caratteristiche meccaniche e termiche inferiori rispetto ai componenti che sto mettendo insieme. Le saldature autogene si vanno a suddividere in funzione delle fonti di calore utilizzate (per fondere il materiale): - a gas: il gas bruciando genera il calore che serve a riscaldare il materiale. Rientra: o saldatura ossiacetilenica: due gas impiegati, ossigeno + acetilene; - arco: l’arco elettrico fornisce il calore per riscaldare il materiale. Comprende: o arco sommerso (BH, MetalSUD); o MIG, MAG; o TIG; o Elettrodi rivestiti: - resistenza: non realizzano un cordone, ma punti di saldatura; - stato solido: permettono di creare la giunzione senza passare per fusione (temperature di lavorazione inferiori). Presenta un vantaggio economico (minore energia), ma la giunzione non è ugualmente performante; - altre (molto costose ma molto performanti): laser, fascio di elettroni, plasma. Consentono altissima densità di energia (riscaldamento) in pochissimo tempo. Posso scegliere una lavorazione rispetto ad un’altra in funzione delle caratteristiche del materiale. Definizioni passata: singola operazione di saldatura lungo il giunto; per realizzare un cordone possono rendersi necessarie tante passate. cordone di saldatura: è il risultato della passata. In genere non basta una, ma servono più passate di saldatura. Il numero n di passate necessarie per realizzare il cordone dipende dal materiale. bagno di fusione: porzione di metallo che si trova allo stato fuso durante la saldatura. Possiamo vedere in immagine un cordone complicato che necessita 5 passate. Tra una passata e l’altra devo attendere che il materiale si raffreddi, onde evitare difetti interni al materiale. In generale, la prima passata viene effettuata con il girato capovolto: questo consente di creare un tappo. A partire dalla seconda passata fino all’n-esima passata, il pezzo è girato all’opposto. Anche nella saldatura c’è un tempo di preparazione delle superfici da tenere in considerazione. La preparazione dipende da: - posizioni di saldatura, c’è differenza tra effettuare saldature sul piano o a L; - spessore del cordone da saldare, dallo spessore dipende il numero delle passate e i tempi di attesa; - tipo di metallo di base; - penetrazione richiesta dalla saldatura, spesso serve asportazione di truciolo per effettuare la saldatura. Questo consente di raggiungere anche spessori di una certa entità. Quando lo spessore è elevato, affinché ci sia il passaggio del materiale fuso, devo allontanare le lamiere (cianfrinatura) o asportare materiale. Saldatura ossiacetilenica C2H2 è l’acetilene: questo gas viene impiegato come combustibile. O2 è l’ossigeno: in questo caso è il comburente. Dalla reazione primaria di combustione tra acetilene e ossigeno, si genera: L’acetilene si presta molto bene a questo processo in quanto brucia con l’ossigeno anche i prodotti della reazione primaria (ulteriore energia). CO e H2, infatti, reagiscono con l’ossigeno e danno origine alle reazioni secondarie: Da una molecola di C2H2 e di O2 è possibile ricavare 195 kCal. Bruciando l’ossigeno, riduco e limito il rischio di ossidazione. La postazione di saldatura ossiacetilenica è creata da 2 bombole, una di ossigeno e una di acetilene. Le due bombole spillano il gas mandato nel cannello (una sorta di tubo); sulla punta del cannello confluiscono e poi reagiscono ossigeno e acetilene. Dalla punta del cannello esce la fiamma che consente fisicamente la saldatura. Si tratta di una saldatura semplice ed economica, che non richiede attrezzature costose. La fiamma si può considerare costituita di 3 zone: il dardo, dove avviene la reazione primaria; la zona di saldatura, dove avvengono le reazioni secondarie; il fiocco, ossia la punta della fiamma, dove la temperatura è inferiore. La fiamma inoltre può essere definita neutra, carburante o ossidante in base alle percentuali di ossigeno e acetilene. In saldatura si impiega la fiamma neutra: tutto l’acetilene si va a bruciare. Una fiamma ossidante viene usata quando c’è bisogno di tagliare: l’acetilene in eccesso si occupa di “sparare via” il materiale. La fiamma carburante viene usata raramente perché brucia in modo incorretto l’acetilene (che ha il costo maggiore): si usa quando si vuole proteggere particolarmente il cordone dall’ossidazione. Modalità operative La saldatura ossiacetilenica si usa per saldare materiali con basso rischio di ossidazione (ad esempio, non si usa con l’alluminio). Per spessori sottili, si può effettuare saldatura senza metallo d’apporto (misure inferiori ai 3-4 mm). Spesso, oltre alla cianfrinatura, prima di effettuare saldatura occorre pulire le superfici dei lembi. Saldatura ad arco elettrico Un arco elettrico è una zona in cui riesco a creare un flusso di corrente (un flusso di elettroni che si muovono lungo l’arco e riscaldano la parte da saldare). In poche parole, l’arco elettrico è un sistema che funzione seguendo la legge di Ohm: generando una differenza di potenziale ∆V tra due elettrodi che presentano una resistenza elettrica, avrò un flusso di corrente I (V = RI). Quest’ultimo viene impiegato per il riscaldamento. Il delta che possiamo vedere in figura (spazio tra i due elementi) è lo spazio dove si genera l’arco elettrico (può essere visto come un ulteriore elemento che chiude il circuito). Un flusso di elettroni va a sbattere contro l’anodo; un flusso di ioni va invece a sbattere contro il catodo. Le zone, pertanto, si scaldano in modo differente (gli elettroni sono presenti in maggior numero e sono più veloci). L’energia generata dal passaggio della corrente si distribuisce nel seguente modo: 1/3 sul catodo e 2/3 sull’anodo). Un elettrodo è rappresentato dai pezzi/lamiere da saldare, un altro è la macchina che genera la differenza di potenziale. Saldature MIG/MAG – Metal Inert/Active Gas A seconda dell’uso di gas inerti (elio) o attivi (CO2). La MIG è usata per materiali con maggiore rischio di ossidazione. MIG e MAG sono altamente automatizzabili. Non si prevede più un elettrodo di dimensioni contenute, ma è presente una pistola in cui entra filo metallico, il quale crea un elettrodo che funge da materiale da apporto. Il filo che si srotola è costituto dallo stesso tipo di metallo della lamiera da saldare. Arco sommerso Il concetto di fondo è quello di MIG e MAG. A differenza loro, l’arco sommerso utilizza polveri che vanno a coprire il bagno fuso (funge da protezione per l’ossidazione). La polvere contribuisce alla formazione di un cordone dalle performance elevate. MIG, MAG e arco sommerso prevedono la concentrazione del calore sulla lamiera (corrente continua modalità inversa). In condizioni estreme, anche in questi casi potrei utilizzare corrente alternata per creare condizioni di lavoro che limitino l’ossidazione. Nella saldatura, la zona centrale di lavorazione viene fusa e poi si solidifica; la zona lontana mantiene la propria microstruttura; la zona intermedia, detta termicamente alterata, subisce un’influenza microstrutturale dovuta sia al riscaldamento che al raffreddamento. A livello di volume, nella parte centrale il volume cresce e diminuisce in corrispondenza del riscaldamento e del raffreddamento. Quando eseguo saldatura devo prevedere una sorta di riduzione di volume del cordone (fuso, a differenza del resto) che deve essere compensata dalle deformazioni della ZTA e del materiale base. Influenza dell’ATS: massimizzare l’ATS consente di ridurre la zona termicamente alterata e dunque eventuali contrazioni e dilatazioni del materiale. Anche la forma del cordone può influire sui cicli termici: avere zone di conduzione più ampie permette di raffreddare più velocemente la zona saldata, ad esempio. Un ulteriore trucco può essere rappresentato dal preriscaldamento, che consente di evitare disomogeneità tra parte saldata e ZTA. Generalmente si parla di saldature fatte bene nei casi in cui sono utilizzate fonti di calore molto forti. Una saldatura molto performante usa il laser come fonte di calore. Il laser è puntuale e garantisce una potenza molto elevata. Gli effetti della saldatura vengono localizzati intorno al cordone di saldatura, minimizzando l’ATS. Saldature allo stato solido: cambia il principio. I vantaggi dello stato solido rispetto alla fusione consistono nello sfruttamento di un principio dei metalli che è la capacità di potersi legare mediante “diffusione atomica”, la quale avviene per alte temperature e alte pressioni di contatto. Il riscaldamento avviene a temperature inferiori rispetto a quella di fusione (80% – 90% della temperatura di fusione); inoltre, le parti da saldare vengono compattate l’una contro l’altra. Una terza variabile su cui far leva è una deformazione epsilon che posso creare nella zona di contatto (permette di creare unione). Infine, è fondamentale il tempo di lavorazione, che viene ridotto in corrispondenza dell’incremento delle 3 precedenti variabili. Vantaggi: si riduce la zona termicamente alterata; i costi energetici sono minori (non ho necessità di fondere il materiale); si riduce il rischio di ossidazione. Esistono diversi tipi di saldatura allo stato solido, ma sono predilette le saldature per attrito. La friction welding, ad esempio, prevede l’unione delle parti grazie al calore generato dall’attrito tra le superfici in moto relativo tra loro. Il materiale subisce una ricalcatura per effetto della pressione. La zona saldata sarà libera dal pericolo di ossidazione (la pressione tra le superfici distrugge l’eventuale ossido). Una sua variante è la friction stir welding: si abbina il riscaldamento per attrito ad un mescolamento attuato mediante un punzone, che si inserisce tra le due lamiere da saldare. 30/05 Le saldature sono lavorazioni rivolte ai materiali metallici; vedremo in seguito come si possono effettuare giunzioni anche tra metalli e polimeri o tra 2 polimeri. Saldature a resistenza: il processo consiste nel creare un circuito chiuso di corrente che permette di generare calore per effetto Joule. Rispetto ai casi precedenti manca l’arco elettrico. I due fogli di lamiera sono sovrapposti e compressi da due elettrodi: il flusso di corrente derivante genera il calore. Il calore generato parte dal centro della lamiera e si diffonde verso l’esterno. Analiticamente, il calore è dato dal prodotto tra: k = coefficiente di perdite; R = resistenza; I^2 = quadrato della corrente; t = tempo di lavorazione. La saldatura a resistenza non prevede la creazione di un cordone di saldatura, ma è una saldatura per punti. Molto spesso la giunzione può essere difettosa: se si stima la necessità di 3000 punti di saldatura, se ne effettuano 4500 (sovrastima che garantisca la tenuta nel caso in cui un numero significativo di giunzioni fossero difettose). La saldatura a resistenza è usata principalmente per acciai con spessore compreso tra 3 e 6 mm. Gli elettrodi (o pinze), riscaldati ad alte temperature, vengono raffreddati mediante un impianto di raffreddamento (possiamo vederlo come serpentina nello schema di impianto) in modo da non raggiungere temperature critiche per le lamiere. Rimane da analizzare la zona di contatto tra le lamiere. Qui la resistenza è elevata (si tratta di acciai con una buona conduzione). Le 2 zone di contatto tra le lamiere e le rispettive pinze non presentano una zona di passaggio, bensì dei punti di passaggio: infatti, le superfici sono caratterizzate da rugosità, per cui si ha contatto laddove le creste dell’una “toccano” le valli dell’altra. A livello concettuale, limitando la zona di passaggio aumenta la resistenza legata alla conduzione della corrente. È in queste ultime 3 zone che si concentrano le 3 resistenze maggiori. I picchi di generazione di calore si registrano proprio in corrispondenza di R1 (elettrodo 1 – lamiera 1), di R2 (lamiera 1 – lamiera 2) e di R3 (lamiera 2 – elettrodo 2). La resistenza più grande tra le 3 è R2: si trova in corrispondenza di 2 acciai (dove la sezione di passaggio è minore, perché il rame è deformabile e si “spalma” sull’acciaio). Regolazione del processo: i parametri di processo per l’ottimizzazione del processo sono: a) Intensità di corrente b) Pressione c) Tempo di saldatura Saldatura rapida: tempi brevi di saldatura e correnti elevate. Migliora il rendimento del processo e aumenta la durata degli elettrodi perché la temperatura elevata si concentra sulle lamiere. Saldatura lenta: tempi lunghi di saldatura e correnti basse. Il calore ha il tempo di trasmettersi. Il raffreddamento quindi sarà più lento. Utile per gli acciai alto legati per ridurre l’effetto di tempra. Una variante della saldatura per punti è la saldatura a rulli: stesso principio, ho due rulli che si muovono lungo le superfici delle lamiere da unire (al posto delle pinze). Sui rulli è applicata una forza e, ad intermittenza, anche una corrente. È possibile creare una sorta di cordone di saldatura interno a partire dalla sovrapposizione dei punti di saldatura (posso ottenerlo andando a settare in modo adatto le variabili di processo). Saldature eterogene: avvengono sempre con l’aggiunta di materiale d’apporto dalle proprietà differenti rispetto al materiale che sto saldando. La lamiera saldata non subisce alcuna fusione. Esistono due tipologie di saldature eterogenee: saldobrasature o brasature. Le saldobrasature avvengono sempre con la fase di preparazione delle lamiere (cianfrinatura, creo spazio per realizzare il cordone di saldatura). La brasatura vera e propria, invece, può avvenire senza preparazione delle superfici. Se prevedo la cianfrinatura, voglio una saldatura più performante. La scelta dipende dal tipo di materiale usato come materiale d’apporto: più è viscoso, minore è la difficoltà a penetrare le lamiere (in tal non si richiede saldobrasatura). Fissaggio meccanico (mechanical fastening) Processi semplici a livello logico, ma con molte varianti. Si vanno a dividere tenendo conto di 2 variabili: effettuare fissaggio con o senza aggiunta di materiale; effettuare fissaggio con o senza preparazione delle lamiere. I processi noti come utilizzo di dadi e bulloni o viti avvengono con aggiunta di materiale e preparazione delle lamiere. I rivetti prevedono aggiunta di materiale, mentre la preparazione della lamiera può avvenire o no in funzione del tipo di rivetto usato. Una variante del fissaggio meccanico sviluppata ultimamente è l’Injection Overmolding: sfrutta la flessibilità dello stampaggio a iniezione (realizzare forme complicate in modo intuitivo). Si parte dall’idea di rafforzare elementi scatolari per contrastare la formazione di grinze. Generalmente, in questi casi si inseriscono localmente le nervature (striscette) laddove si ha una sollecitazione pericolosa. Per espletare questa operazione bisogna considerare il costo dell’elemento aggiuntivo, il costo del montaggio (compresi tempi). La deformabilità del polimero consente di evitare questa lavorazione aggiuntiva. Si va a definire uno stampo customizzato che preveda una sede per l’inserimento del frame (elemento aggiuntivo dello stampo): questo garantisce la formazione dell’interferenza meccanica tra polimero e metallo. La soluzione trovata migliora il rinforzo (posso scegliere dove collocarlo) e abbatte i costi. Friction Spot Joining: nasce per unire con tecniche di riscaldamento per attrito i multimateriali. È una tecnica che si pone come sostituto della saldatura per punti. Il processo prevede l’uso di un punzone costituito da 3 parti, 2 delle quali (le interne) possono traslare e ruotare. La parte esterna, invece, serve a creare il bloccaggio (funzione del premilamiera). Il materiale riscaldato (della lamiera superiore) viene spinto dal punzone sulla lamiera inferiore, creando giunzione prevalentemente mediante interferenza meccanica (e anche saldatura, temperature vicina alla fusione). L’unione avviene per diffusione atomica. Viene impiegato per unire alluminio e alluminio, o alluminio e metallo. L’alluminio è fortemente soggetto al rischio di ossidazione e in tal senso il processo risponde bene alle sue esigenze: prevede temperature più basse e nessun contatto con l’ambiente circostante. Il nub è l’interferenza meccanica che crea connessione tra il metallo e il polimero. Il gap è invece un difetto di lavorazione: più rilevante è il gap, maggiore è l’interazione meccanica (ma esteticamente la giunzione non è bella). Possiamo osservare delle macchie nere sulla superficie: sono il risultato della degradazione delle catene polimeriche dovuta alle alte temperature. Il polimero che brucia innesca la combustione, quindi crea gas, il quale a sua volta genera “vuoti” (il polimero è bruciato localmente). Il difetto si localizza solo sulla superficie grazie alla bassa conducibilità dei materiali polimerici. Saldatura di un metallo e un polimero Concetto di fondo: la saldatura di un polimero/composito con un metallo può avvenire mediante riscaldamento della zona di contatto; la connessione viene garantita con la bonding area (il polimero fuso aderisce alla superficie metallica). Riscaldare il metallo (componente superiore) comporta un trasferimento di calore per conduzione sul polimero, il che non va bene. Se si riscalda il polimero, da sotto dunque, si genera una situazione peggiore: la conduzione risulta più problematica, prima di fondere la superficie di contatto avrò bruciato la superficie opposta. La saldatura per induzione impiega una bobina in cui scorre corrente elettrica alternata: questo crea un campo magnetico che interferisce con la lamiera metallica, generando delle correnti parassite che riscaldano la lamiera dall’interno (e non superficialmente), quindi in corrispondenza del contatto con il polimero. Il calore di genera dove mi serve, con conseguente fusione del polimero. La lavorazione è stata ottimizzata inserendo la bobina induttore in un punzone con un tappo di materiale ceramico (in modo che non sia influenzato dal campo magnetico). La pressione del punzone garantisce la tenuta in fase di solidificazione del polimero. Saldatura con laser: il vantaggio principale di questa tipologia di saldatura è la modalità di trasmissione di energia del laser. In particolare, più piccolo è il fascio, maggiore è la densità di energia: il massimo riscaldamento si raggiunge sul punto focale. Questo consente di concentrare il riscaldamento dove ce n’è bisogno. L’energia del laser inoltre, essendo una luce, non viene assorbita da un corpo trasparente. Nel caso in cui il polimero non è trasparente, non posso sparare il laser direttamente sul polimero: vado a concentrare il laser sul metallo, creando la fusione del polimero per conduzione. In questo genere di processo è fondamentale settare opportunamente la lavorazione: fissare la potenza del laser, stabilire la posizione della focale rispetto alla superficie. Lavorazioni additive Il machining, a differenza dell’additive, prevede eliminazione di massa. Lo svantaggio del machining è creare il materiale per poi eliminarlo; inoltre, esistono limiti di lavorazione (non tutte le zone possono essere raggiunte dall’utensile). L’additive prevede l’aggiunta di materiale strato dopo strato. L’idea iniziale era usare l’additive per realizzare prototipi. Si parlava pertanto di rapid prototyping: si lavora il materiale per realizzare in modo rapido un prototipo a scopo più estetico che pratico (performance molto basse). Il passaggio all’additive manifacturing si concretizza nel momento in cui si sceglie di rendere l’output del prototyping funzionale oltre che estetico. Il ciclo di produzione prevede che si parta da un disegno CAD, a partire del quale si elabora il disegno (da CAD a CAM). Il CAM è un software che analizza il disegno e restituisce il linguaggio macchina per effettuare l’asportazione di truciolo. Problema della lavorazione: dopo l’additive si rende necessaria una fase di finitura superficiale per eliminare lo stair case (effetto scala). L’effetto scala è tanto più accentuato tanto maggiore è la distanza tra i singoli piani. Limiti: non riesco a ottenere una densità piena del componente; il riscaldamento sul metallo ha effetto sulla microstruttura; materiale meno performante. Tutti questi limiti sono in realtà superabili. Il limite più grande è il tempo di lavorazione (nonostante un ottimo time to market). Un dettaglio da tenere in considerazione sono i supporti: nonostante l’additive non provochi spreco di materiale, come l’asportazione di truciolo, necessita di elementi di supporto che vanno progettati insieme al particolare sul disegno CAD. In particolare, i supporti si rendono necessari nel caso di disegni complicati per consentire la lavorazione piano per piano (layer by layer). I supporti sono realizzati con lo stesso materiale del particolare, ma hanno una struttura reticolare (con l’obiettivo di minimizzare la quantità di materiale di scarto). La principale tecnica additiva è la stereolitografia (SLA). Alla base del processo, c’è la fotopolimerizzazione. Lo spessore dello «slice» varia tra 0.05 e 0.15mm; il laser va a solidificare solo i contorni della forma e una serie di tratti tra perimetro interno ed esterno, pertanto il pezzo subirà successivamente una fase di post-trattamento di qualche ora. Un’altra tecnica performante è il Fused Deposition Modeling (FDM). Alla base del processo, c’è un filo di polimero termoplastico o cera. Lo spessore del filo è di pochi decimi di mm; la camera di lavoro si mantiene tra i 50° e gli 80°C. Tecniche di sintetizzazione delle polveri – due tipi di approccio: • Depongo le polveri come un letto e sintetizzo; • Sparo le polveri sul fuoco del laser (laser cladding). È possibile utilizzare un collante in alternativa al laser (principio dello stampo a getto). 06/06 Additive Manifacturing: informazioni storiche La stampa 3D nasce nel 1986 con la pubblicazione del brevetto di Chuck Hull che inventa la stereolitografia. Dal 1986 la stampa 3D si è evoluta e differenziata, con l'introduzione di nuove tecniche di stampa e di numerosi materiali. Dal 2009 il costo delle stampanti 3D si è considerevolmente ridotto, rendendole economicamente accessibili alle piccole e medie i mprese, favorendone l'ingresso negli uffici. L'ambito principale di utilizzo è considerato la prototipazione rapida. La tecnologia trova uso anche nel settore della gioielleria, calzoleria, progettazione industriale, architettura, automobilistico, aerospaziale, medico e dentistico. Dal 2018 alcune aziende hanno iniziato a realizzare prodotti in serie attraverso tecnologie di stampa 3D: ad esempio, suole di un modello di scarpe da corsa attraverso la tecnologia Clip e iniettori in metallo di un motore aeronautico con tecnologia EBM (Electron Beam Melting). Approccio Different way of thinking: si distingue dalle tradizionali tecnologie di lavorazione perché non asporta materiale dal grezzo ma ottiene particolari tridimensionali molto complessi attraverso il deposito progressivo di strati di materiale Process: disegno CAD 3D – slicing – produzione – post produzione. Tipologie di Additive Manifacturing FDM - Fused Deposition Modelling: filamenti di polimeri vengono riscaldati ed estrusi tramite un ugello, il quale si muove lungo l'asse x, y e z, creando forme geometriche. Semplicità ed economicità. Stereolitografia: stratificazione di polimero fotosensibile liquido. Il processo include la polimerizzazione del liquido mediante un laser. Binder Jetting: utilizza un letto di polveri, che vengono fatte aderire tramite un legante (binder) depositato tramite una testa a getto d'inchiostro. Ambito di applicazione Rapid Manufacturing: creazione di particolari senza i vincoli delle tecnologie tradizionali Rapid Tooling: creazione rapida di stampi per ottenere altri particolari Prototipazione rapida: creazione di prototipi in tempi molto ristretti aiutando quindi non solo i designer del prodotto a verificarne e validarne le caratteristiche ma anche ad esempio facilitando trattative che possono essere discusse con un prototipo sottomano ok Esercizio 7 Oz = C Eliot " + " - G "" 1 +µ cotgd E tot = 52,04 MPa { tot n +1 Tf = CE fot = 636 , 66 Mia Jz e Jf AO = 7mm ? ✗ = 6º p = 7,86g cm } Af = 5 mm ? µ = 0,1 Pn = 1kW dt = 8h vtraf M = 0,85 m = 50kg C = ? 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