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La situazione economica e politica in Italia e Germania dopo la Prima Guerra Mondiale, Schemi e mappe concettuali di Storia

La situazione economica e politica in Italia e Germania dopo la fine della Prima Guerra Mondiale. Il testo tratta della crisi che affliggeva entrambi i paesi, delle conseguenze della guerra, della formazione del Commonwealth e dell'organizzazione delle elezioni in Italia. Inoltre, vengono presentati i principali fatti salienti della situazione in Germania, dalla Repubblica di Weimar alla tentata rivoluzione di Monaco e all'ascesa di Adolf Hitler.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 25/02/2022

andreastella1705
andreastella1705 🇮🇹

4.5

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Scarica La situazione economica e politica in Italia e Germania dopo la Prima Guerra Mondiale e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia solo su Docsity! L’ASCESA DEI FASCISMI IN EUROPA INTRODUZIONE La situazione sociale, politica ed economica dell’Europa alla fine del primo Conflitto Mondiale si presentava alquanto precaria, sia per le nazioni vincitrici che per quelle sconfitte. Dal lato dei paesi vincitori, la Francia poteva contare su un’indennità di guerra particolarmente proficua da parte della vicina Germania, ben 132 miliardi di marchi d’oro, mentre il Regno Unito manteneva ancora dei solidi rapporti con le colonie, arrivando alla formazione del Commonwealth. Quest’organizzazione, ancora esistente al giorno d’oggi, concedeva ad alcune nazioni come Australia, Canada e Nuova Zelanda un’indipendenza formale a patto che queste riconoscessero come Capo di Stato il sovrano del Regno Unito . Dal lato opposto, i paesi sconfitti quali la Germania soffrivano di gravi crisi economiche e sociali. L’antico impero tedesco era infatti costretto, oltre al versamento dell’indennità di guerra, a smilitarizzare la Renania e il bacino della Ruhr, ricco di carbone, e a cedere alla Francia le altrettanto strategiche regioni dell’Alsazia e della Lorena. L’ITALIA L’Italia, benché nazione vincitrice a tutti gli effetti della guerra, si trovava in un contesto assai simile a quello tedesco, per vari motivi. Innanzitutto, la situazione in cui si vedeva lo Stato committente di armi, munizioni e tutto il necessario per il proseguimento della Guerra finì di esistere e molte fabbriche che basavano l’intera filiera produttiva su di essa furono costrette alla chiusura. Le altre imprese sopravvissute alla crisi, invece, dovevano affrontare il problema della riconversione, ovvero cambiare la propria filiera produttiva da beni bellici a beni di consumo. Come diretta conseguenza della chiusura delle fabbriche, molti operai ma in particolar modo operaie (dal momento che gli uomini erano al fronte) furono licenziati. Parallelamente a ciò, si assisteva alla formazione di gruppi di femministe che pretendevano il suffragio universale esteso anche alle donne, le celebri suffragette. A tutti gli effetti, stava tornando in auge la questione operaia. I protagonisti chiedevano salari adatti al carovita, maggiore sicurezza sui luoghi di lavoro e “le tre otto”, ovvero 8 ore di lavoro al giorno, 8 ore di riposo a settimana pagate e 8 giorni di ferie all’anno. La vita politica dopo la fine della Prima guerra mondiale in Italia fu alquanto agitata ma presentava delle novità, come dimostrato dalle votazioni parlamentari del novembre del 1919. Il protagonista e vera rivelazione fu il Partito Popolare Italiano (PPI), che ottenne 100 seggi. Gli altri due partiti maggiori presenti a questa chiamata alle urne furono il Partito Liberale, che perse la maggioranza assoluta ottenendo solo 96 seggi, e il Partito Socialista Italiano, vero e proprio vincitore con 156 seggi. Il PPI era nato nel 1919 su iniziativa del sacerdote siciliano Don Luigi Sturzo, riunendo a sé le forze di ispirazione cattolica che, grazie al Patto Gentiloni, entravano a fare parte della vita politica italiana. Precedentemente alle elezioni, il clima politico e sociale dell’Italia era particolarmente teso e precario e tale condizione, storicamente chiamata Biennio Rosso, durò fino per tutto il 1919 e il 1920. I protagonisti di tale periodo sono delle particolari categorie di persone tutte accomunate dalla sensazione di malcontento dovuta alla Prima guerra mondiale come i reduci, invalidi e non, desiderosi di un’adeguata pensione di guerra, ufficiali del Regio Esercito, i contadini rimasti senza terre, gli impiegati e professionisti della piccola borghesia e ovviamente i nazionalisti. Spesso il malcontento sfociò in vere e proprie occupazioni di fabbriche e scioperi da parte degli operai, repressi da delle nuove organizzazioni armate che stavano compiendo razzie in tutta Italia: le squadracce fasciste, ovvero il braccio armato del Movimento Fascista. Nel marzo del 1919 l’ex-socialista rivoluzionario Benito Mussolini, giornalista e direttore del quotidiano “Il Popolo d’Italia”, aveva fondato i Fasci di Combattimento, forze paramilitari aventi come obiettivo la lotta al socialismo e, ovviamente, la repressione degli atti di ribellione. Tali armate potevano contare sull’appoggio degli industriali, interessati a mantenere l’ordine nelle proprie imprese e dell’apparato statale ancora di corrente liberale. Benché il neonato Movimento Fascista si presentò alle elezioni, esso ottenne poche migliaia di voti e non ottenne alcuna rappresentanza all’interno del Parlamento. La XXV legislatura del Regno d’Italia ebbe vita breve, in quanto a maggio del 1921 vennero indette le elezioni che vedevano di nuovo delle novità. Il partito Socialista Italiano, durante un congresso a Livorno, vedeva una frangia dei propri capi politici staccarsi formando così il Partito Comunista d’Italia, vera anima rivoluzionaria del PSI che ideologicamente si situava assai vicino alla neonata Unione Sovietica. Alle elezioni, il PSI e il PCI ottengono insieme 138 seggi, il PPI 108, il Partito Fascista 109 e il Partito Liberale ottenne la maggioranza. In un clima sempre più di tensione, il 28 ottobre 1922 avvenne la celebre marcia su Roma, ovvero una mobilitazione generale di tutte le forze fasciste per ottenere il potere . Si trattò di una manifestazione a tutti gli effetti organizzata, ma Benito Mussolini stesso era consapevole della debolezza dei propri adepti e proprio per questo riponeva la sua fiducia nel benestare della monarchia e sulla debolezza del governo. Il Re Vittorio Emanuele III, timoroso di una guerra civile, rifiutò di firmare la dichiarazione di stato d’assedio frettolosamente preparata dal governo Facta, causando così la caduta del governo. Il Re vedeva in Mussolini un uomo forte capace di mettere ordine nella delicata politica italiana e quindi, il 29 ottobre Vittorio Emanuele III diede l’incarico, in modo effettivamente
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