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Tematica del tempo in Seneca. Confronto con Marco Aurelio, Sant'Agostino e Orazio., Appunti di Lingue e letterature classiche

Il trattato di Seneca sul tempo, in cui l'autore si interroga sulla brevità della vita umana e sul modo in cui gli uomini impiegano il proprio tempo. Seneca critica la concezione comune del tempo e sostiene che la vita dell'uomo è abbastanza lunga per compiere le cose necessarie, ma viene spesa in maniera futile. Il documento include anche un confronto con le opere di Sant'Agostino, Marco Aurelio e Orazio.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 15/09/2023

aurora-armillotta
aurora-armillotta 🇮🇹

52 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Tematica del tempo in Seneca. Confronto con Marco Aurelio, Sant'Agostino e Orazio. e più Appunti in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! ✷IL TEMPO -De brevitate vitae: “E’ davvero breve il tempo della vita?”, “Solo il saggio possiede passato, presente e futuro” -De ira: “L’esame di coscienza” -Epistulae ad Lucilium: Epistola 1 -Confronto con Sant’Agostino (Confessiones), Marco Aurelio (A se stesso) e Orazio. E' DAVVERO BREVE IL TEMPO DELLA VITA? (De brevitate vitae, 1,2) CAPITOLO I Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur,/ quod in exiguum aevi gignimur,/ quod haec tam velociter, tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant,/ adeo ut exceptis admodum paucis ceteros in ipso vitae apparatu vita destituat.// Nec huic publico,/ ut opinantur,/ malo turba tantum et inprudens vulgus ingemuit:/ clarorum quoque virorum hic adfectus querellas evocavit.// Inde illa maximi medicorum exclamatio est,/ "Vitam brevem esse, longam artem";/ inde Aristotelis cum rerum naturā exigentis minime conveniens sapienti viro lis est:/ "aetatis illam animalibus tantum indulsisse/ ut quina aut dena saecula educerent,/ homini in tam multa ac magna genito tanto citeriorem terminum stare."// Non exiguum temporis habemus,/ sed multum perdimus.// Satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est,/ si tota bene conlocaretur;/ sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit,/ ubi nulli bonae rei inpenditur,/ ultimā demum necessitate cogente / quam ire non intelleximus transisse sentimus.// Ita est:/ non accipimus brevem vitam/ sed facimus nec inopes eius sed prodigi sumus.// Sicut amplae et regiae opes,/ ubi ad malum dominum pervenerunt,/ momento dissipantur, at quamvis modicae,/ si bono custodi traditae sunt,/ usu crescunt, / ita aetas nostra bene disponenti multum patet. Seneca apre il trattato sul tempo mettendo subito in evidenza come gli homines mortales si lamentano della propria vita, perché priva del tempo necessario. Dalle prime righe dell'opera, Seneca sottolinea le 3 parole chiave del De brevitate vitae, inserendo una sorta di climax dal generale al particolare : -aevum: corrisponde alla vita complessiva, tutto il tempo vissuto da una persona; -spatium: deriva da pateo, estendersi e corrisponde, quindi, ad un intervallo di tempo; -tempus: deriva da τεμνω, tagliare e corrisponde, quindi, ad ogni istante della vita. Seneca ritiene che gli uomini abbiano una concezione sbagliata del tempo: essi trascorrono tutta la vita a dedicarsi ad attività futili e solamente quando diventano anziani si rendono conto della vera essenza e importanza della stessa vita. Dunque, l’uomo si accorge che la sua vita è trascorsa, solo quando essa sta per terminare. “La maggior parte dei mortali, o Paolino, si lamenta della avarizia della natura, per il fatto che noi siamo generati per un brevissimo tempo e per il fatto che questi intervalli di tempo concessi a noi passano tanto velocemente e tanto rapidamente, a tal punto che eccetto pochissimi, la vita abbandona gli altri nello stesso momento in cui ci si prepara alla vita.” Non solo il vulgus si lamenta della limitatezza della vita umana, bensì anche uomini di un certo spessore, come Ippocrate e Aristotele. Infatti, Seneca polemizza la massima del medico greco, “la vita è breve, l'arte è lunga”: Ippocrate intendeva esortare l'uomo a non perdere tempo, ma a concentrarsi sulla complessità della propria arte, in quanto, secondo lui, la vita dell'uomo non è abbastanza lunga per permettergli di raggiungere una totale conoscenza di una determinata materia. Seneca, invece, interpreta questo aforisma in chiave negativa: la vita non sarebbe breve se non se ne disperdesse gran parte in inutili occupazioni. Poi, l'autore prende ad esame Aristotele, il filosofo greco per eccellenza che ha pronunciato una massima che, secondo Seneca, non si addice alla sua figura: egli accusa la natura di essere stata tanto generosa con gli animali, che vivono per tante generazioni, e maligna con l'uomo, che è destinato a raggiungere velocemente il terminum, il cippo miliare, la fine della propria vita. “Di questo male, che è di tutti, come si crede, non si è lamentato solamente la massa e il popolo inconsapevole: questo sentimento richiamò lamentele anche degli uomini illustri. Da qui, proviene quel detto del più grande dei medici, “la vita è breve, l'arte è lunga”; da qui, proviene la questione per nulla conveniente ad un uomo saggio, di Aristotele, che disputa con la natura: quella ha concesso agli animali di vivere tanto da trascorrere cinque o dieci generazioni, invece all'uomo, creato per molte grandi imprese, ha fissato un termine tanto più breve.” Grazie a queste premesse, Seneca continua a supportare la sua tesi, inserendo una sentenza: la vita dell’uomo è lunga, abbastanza per compiere le cose necessarie, tuttavia viene spesa in maniera futile. L’autore rimarca ancora una volta che l’uomo perde il suo tempo senza accorgersene e, solo quando è arrivato alla fine dei suoi giorni, egli si rende conto di quanto sia già trascorsa. “Non è che abbiamo poco tempo, ma ne perdiamo molto. Ci è stata data una vita abbastanza lunga e abbondante per il compimento delle cose più importanti, se fosse tutta ben collocata; ma quando scorre attraverso la sfrenatezza e la noncuranza, quando è spesa per nessuna cosa buona, sotto la stretta della necessità finale ci accorgiamo che è passata quella che non abbiamo capito che trascorreva.” Nella chiusura del primo capitolo, Seneca inserisce un exemplum tratto dalla vita quotidiana: il paragone tra la vita e le ricchezze materiali. Infatti, secondo Seneca, l’importante non è la durata della vita, ma il modo in cui si impiega il proprio tempo: una persona può avere moltissime ricchezze (molto tempo a disposizione), ma, se non sa gestirle in maniera efficace, le perderà in poco tempo. “E’ così: non abbiamo ricevuto una vita breve, ma l’abbiamo resa tale e di essa non siamo poveri, ma molto generosi. Come grandi e magnifiche ricchezze, quando giungono presso un cattivo padrone, in un attimo vengono dissipate, invece, anche se modeste, se sono consegnate ad un bravo custode, esse crescono con l’impiego, così la durata della nostra vita, per chi sa programmare bene, ha una grande estensione.” CAPITOLO II Quid de rerum naturā querimur?/ Illa se benigne gessit:/ vita,/ si uti scias,/ longa est.// Alium insatiabilis tenet avaritia,/ alium in supervacuis laboribus operosa sedulitas;/ alius vino madet, / alius inertiā torpet;/ alium defetigat ex alienis iudiciis suspensa semper ambitio,/ alium mercandi praeceps cupiditas circa omnis terras,/ omnia maria spe lucri ducit;/ quosdam torquet cupido militiae,/ numquam non aut alienis periculis intentos aut suis anxios;/ sunt quos ingratus superiorum cultus voluntariā servitute consumat;/ multos aut adfectatio alienae fortunae aut suae cura detinuit;/ plerosque nihil certum sequentis vaga et inconstans et sibi displicens levitas per nova consilia iactavit;/ quibusdam nihil quo cursum derigant placet,/ sed marcentis oscitantisque fata deprendunt,/ adeo ut quod apud maximum poetarum more oraculi dictum est verum esse non dubitem:/ "exigua pars est vitae quā vivimus."// Ceterum quidem omne spatium non vita sed tempus est.// Urgent et circumstant vitia undique nec resurgere aut in dispectum veri attollere oculos sinunt,/ sed mersos et in cupiditatem infixos premunt.// Numquam illis recurrere ad se licet;/ si quando aliqua fortuito quies contigit,/ velut profundo mari,/ in quo post ventum quoque volutatio est,/ fluctuantur,/ nec umquam illis a cupiditatibus suis otium stat.// De istis me putas dicere/ quorum in confesso mala sunt?/ Aspice illos ad quorum felicitatem concurritur:/ bonis suis offocantur.// Quam multis divitiae graves sunt! quam multorum eloquentia et cotidiana ostentandi ingenii occupatio sanguinem educit! quam multi continuis voluptatibus pallent! quam multis nihil liberi relinquit circumfusus clientium populus! Omnis denique istos ab infimis usque ad summos pererra:/ hic advocat,/ hic adest,/ ille periclitatur,/ ille defendit,/ ille iudicat,/ nemo se sibi vindicat,/ alius in alium consumitur.// Interroga de istis/ quorum nomina ediscuntur,/ his illos dinosci videbis notis:/ ille illius cultor est, hic illius; suus nemo est.// Il secondo capitolo si apre con una sorta di priamel in prosa: Seneca inserisce un’enumerazione di tutte le tipologie di occupati, che vengono soffocati dai vizi e dalle passioni, attività che essi considerano fondamentali e fruttuose per la propria vita, ma che in realtà diventano solo fonte di preoccupazione. Alcuni sono avidi, altri lavorano instancabilmente, altri sono dominati dal vino, altri ancora sono influenzati dall’inerzia, che dai poeti elegiaci viene considerato un valore. Seneca parla anche di coloro che pensano solo al commercio, alla guerra, o alla cura personale, quindi all’apparenza, e concorda con la massima “è ben poca la parte della vita nella quale siamo vivi”: nonostante non sia chiara la paternità della sentenza, Seneca utilizza la frase per ribadire che l’uomo deve imparare a staccare dalle occupazioni che lo rendono passivo e vivere in piena serenità in tranquillità, altrimenti la vita si trasforma in una corsa contro il tempo. “Perché ci lamentiamo della natura? Essa si è comportata con generosità: la vita, se solo tu sappia impiegarla, è lunga. Uno è dominato da un'avidità insaziabile, un altro da uno zelo instancabile a faticare inutilmente, uno è fradicio di vino, un altro è paralizzato dall'inerzia, uno, lo esaurisce un'ambizione che sempre dipende dai giudizi altrui, un altro, una smania precipitosa di commerciare lo conduce, con la speranza del guadagno, per ogni dove, terra o mare che sia, certuni sono torturati dalla voglia di far la guerra, e non c'è istante in cui non siano o tesi ai pericoli altrui o angosciati per i propri, c'è chi si lascia logorare in una volontaria schiavitú, da un ingrato ossequio tributato ai superiori, molti sono tenuti occupati dal cercar di raggiungere la bellezza altrui o dall'aver cura della propria; moltissimi, senza punti fermi da cui lasciarsi guidare, sono sballottati in mezzo a (sempre) nuove decisioni da una volubilità ondeggiante e instabile e scontenta di sé; a certuni non piace nulla a cui dirigere la rotta, ma la morte li sorprende a marcire tra uno sbadiglio e l'altro, al punto che non ho dubbi sulla verità di ciò che è detto, in forma di sentenza solenne nel (verso del) più grande dei poeti: «piccola è la parte della vita nella quale viviamo». Effettivamente tutto lo spazio rimanente non è vita, ma tempo.” vengono strappati, alcuni vengono portati via di nascosto, alcuni scorrono via. Tuttavia, è gravissima la perdita che avviene attraverso la negligenza. E se vorrai prestare attenzione, gran parte della vita scorrerà via mentre ci comportiamo male, la maggior parte della vita mentre non facciamo nulla, tutta la vita mentre facciamo altro. [2] Chi mi potrai indicare che assegni qualche prezzo al tempo, che valuti la giornata, che si renda conto di morire ogni giorno? In questo infatti ci sbagliamo, il fatto che vediamo lontana la morte, gran parte di essa è già passata; tutta l'esistenza che sta alle nostre spalle la tiene la morte. Fai dunque, mio Lucilio, quello che scrivi di fare, afferra tutti i momenti; così accadrà che tu dipenda meno dal domani, se dominerai l'oggi. Mentre si rinvia, la vita scorre via. [3]Tutte le cose, Lucilio, sono degli altri, soltanto il tempo è nostro; la natura ci ha collocati nel possesso di quest'unica cosa fuggevole e labile, dalla quale ci caccia chiunque vuole. E così grande è la stoltezza dei mortali che le cose che sono meno importanti e di minor valore, certamente recuperabili, accettano che siano loro messe in conto quando le hanno ottenute, (e invece) nessuno che abbia ricevuto del tempo ritiene di essere debitore di alcunché, mentre in realtà esso è l'unica cosa che neppure una persona grata può restituire. [4] Mi chiederai forse che cosa faccia io che ti impartisco questi suggerimenti. Ti confesserò francamente: quello che accade presso una persona dispendiosa ma attenta, mi torna il conto della spesa. Non posso dire di non perdere nulla, ma potrei dire che cosa perdo e perché e come; potrei fornire i motivi della mia povertà. Ma capita a me ciò che (capita) alla maggior parte di coloro che sono stati ridotti all'indigenza non per propria colpa: tutti perdonano, nessuno aiuta. [5] Quale è dunque la conclusione? Non ritengo povero colui per il quale quel poco che resta è abbastanza; tu tuttavia preferisco che risparmi i tuoi beni, e incomincerai a tempo utile. Infatti, come sembrò ai nostri antenati, 'è tardiva la parsimonia alla fine'; infatti al fondo rimane non solo il meno, ma il peggio. Stammi bene. ●Questo passo apre le Epistulae ad Lucilium e presenta uno degli argomenti più importanti dell’opera: il tempo. [1] Seneca si rivolge a Lucilio con un atteggiamento paternalistico e lo esorta a non perdere tempo, bensì a godere di ogni momento della sua vita. Infatti, Seneca considera il tempo come un qualcosa che è destinato a svanire, qualcosa di fragile che scorre velocemente e che viene sottratto all’uomo. Di conseguenza, il filosofo consiglia all’interlocutore di non essere negligente, quindi vivere all’insegna della fretta e della meccanicità delle azioni, perché in questo modo l’uomo si perde molti momenti importanti della sua vita. Infatti, il tempo scorre allo stesso modo sia quando l’uomo si comporta male, sia quando non fa nulla, che quando intraprende altre inutili attività. [2] Seneca parla poi del concetto di morte, che tutti considerano come una dimensione lontana. In realtà, il filosofo afferma che la morte è già passata perché si porta con sé tutti i momenti che viviamo. L’invito è quello di afferrare tutti i momenti della vita presente, quindi dominare l’oggi e non farsi dominare dal domani: il futuro è un qualcosa che non si può prevedere e dal quale non bisogna dipendere (Suggestioni del Cristianesimo). [3] Il tempo è l’unica cosa che l’uomo possiede ed è necessario che lo impieghi nel modo corretto. Infatti, molto spesso gli uomini si comportano da stolti perché si fanno prendere dalle cose futili, non funzionali al raggiungimento della virtù e non danno il giusto peso alle cose. [4] In seguito, Seneca inserisce la sua esperienza personale: nonostante abbia ben presente il valore del tempo, talvolta si lascia guidare dalle passioni. Però, Seneca è attento e segna tutto (“ratio constat”): egli può descrivere perfettamente come,quando e perché si è comportato così. [5] Nella conclusione, Seneca esorta Lucilio a prendersi cura del proprio tempo e dei propri ben e lo fa citando una massima che i più attribuiscono ad Esiodo: “è tardiva la parsimonia alla fine”. Seneca consiglia di apprezzare il tempo che ci è dato, ma sin dalla gioventù, perché alla fine della vita è ormai tardi perché resta pochissimo tempo. BISOGNA GUARDARE A SE STESSI (A se stesso/I ricordi, Marco Aurelio) Κἂν τρὶς χίλια ἔτη βιώσεσθαι μέλλῃς καὶ τοσαυτάκις μύρια,/ ὅμως μέμνησο/ ὅτι οὐδεὶς ἄλλον ἀποβάλλει βίον/ ἢ τοῦτον ὃν ζῇ,/ οὐδὲ ἄλλον ζῇ/ ἢ ὃν ἀποβάλλει.// Eἰς ταὐτὸν οὖν καθίσταται τὸ μήκιστον τῷ βραχυτάτῳ.// Tὸ γὰρ παρὸν πᾶσιν ἴσον/ καὶ τὸ ἀπολλύμενον οὖν ἴσον/ καὶ τὸ ἀποβαλλόμενον οὕτως ἀκαριαῖον ἀναφαίνεται.// Oὔτε γὰρ τὸ παρῳχηκὸς οὔτε τὸ μέλλον ἀποβάλοι ἄν τις˙/ ὃ γὰρ οὐκ ἔχει,/ πῶς ἄν τις τοῦτο αὐτοῦ ἀφέλοιτο;/ Tούτων οὖν τῶν δύο ἀεὶ μεμνῆσθαι˙/ ἑνὸς μέν, ὅτι πάντα ἐξ ἀιδίου ὁμοειδῆ καὶ ἀνακυκλούμενα/ καὶ οὐδὲν διαφέρει, πότερον ἐν ἑκατὸν ἔτεσιν ἢ ἐν διακοσίοις ἢ ἐν τῷ ἀπείρῳ χρόνῳ τὰ αὐτά τις ὄψεται˙/ ἑτέρου δέ, ὅτι καὶ ὁ πολυχρονιώτατος καὶ ὁ τάχιστα τεθνηξόμενος τὸ ἴσον ἀποβάλλει.// Tὸ γὰρ παρόν ἐστι μόνον οs στερίσκεσθαι μέλλει/ εἴπερ γε ἔχει καὶ τοῦτο μόνον καὶ ὃ μὴ ἔχει τις οὐκ ἀποβάλλει.// Qualora tu fossi in procinto di vivere tremila anni e altrettante volte, allo stesso tempo ricordati che nessuno lascia una vita diversa da quella che si trova a vivere, né vive una vita diversa rispetto a quella che vive. Allo stesso modo, quindi, un tempo lunghissimo si congiunge ad un tempo brevissimo. Il presente è uguale per tutti e il passato, dunque, è uguale e ciò che si perde si mostra brevissimo. Infatti, qualcuno non potrebbe perdere né il passato né il futuro; se qualcosa non si possiede come si può perdere? Ricordati sempre due cose: la prima che tutte le cose da sempre sono uguali e chiuse in un cerchio e nulla differisce se qualcuno vedrà queste cose per cento o duecento anni o in un tempo infinito; l’altra che sia il tempo più lungo sia quello più breve che morirà perdono la stessa cosa. Il presente è l’unica cosa di cui si può essere privati, anche se ha solo questo e ciò che non ha non si lascia sfuggire. ● Marco Aurelio fu un imperatore romano, figlio di Antonino Pio e padre di Commodo, che si dedicò anche alla letteratura. Ebbe un’importante formazione e lesse Epitteto, un filosofo greco portato a Roma come schiavo- precettore. Conosceva il greco tanto da scrivere la sua opera più importante proprio in questa lingua. Marco Aurelio è ricordato per aver scritto Εις αυτον, A se stesso o I ricordi, un’opera autobiografica, impostata come se fosse un diario intimo, in cui annota tutti i pensieri come Leopardi nello Zibaldone. L’imperatore utilizza un linguaggio quotidiano e tecnico perché scrive una prosa caratterizzata da parole nuove e specifiche e anche dal futuro perfetto, tipico dell’età ellenistica. Marco Aurelio tecnico compie riflessioni su argomenti disparati come la fragilità dell’uomo, la ricerca della verità e della felicità, il taedium e il tempo. Egli considera il tempo come un qualcosa di molto breve se visto in relazione all’intera vita dell’uomo: ognuno di noi ha una sola vita ed è necessario che si sfrutti al meglio. L’unico modo per farlo è vivere il presente, senza preoccuparsi del passato e del futuro, due dimensioni che l’uomo non possiede e che quindi non si possono perdere. Al termine del passo, Marco Aurelio inserisce l’idea dell’ἀνακύκλωσις, la ciclicità degli eventi che si susseguono sempre allo stesso modo. PASSATO, PRESENTE E FUTURO (Confessiones, Sant’Agostino) [16, 21] Et tamen, Domine, sentimus intervalla temporum/ et comparamus sibimet /et dicimus alia longiora et alia breviora. Metimur etiam, quanto sit longius aut brevius illud tempus quam illud et respondemus duplum esse hoc vel triplum, illud autem simplum aut tantum hoc esse quantum illud. Sed praetereuntia metimur tempora, cum sentiendo metimur; praeterita vero, quae iam non sunt, aut futura, quae nondum sunt, quis metiri potest, nisi forte audebit quis dicere metiri posse quod non est? Cum ergo praeterit tempus, sentiri et metiri potest, cum autem praeterierit, quoniam non est, non potest. Sunt videlicet futura et praeterita. [17, 22] Quaero, pater, non affirmo: Deus meus, praeside mihi et rege me. Quisnam est, qui dicat mihi non esse tria tempora, sicut pueri didicimus puerosque docuimus, praeteritum, praesens et futurum, sed tantum praesens, quoniam illa duo non sunt? An et ipsa sunt, sed ex aliquo procedit occulto, cum ex futuro fit praesens, et in aliquod recedit occultum, cum ex praesenti fit praeteritum? Nam ubi ea viderunt qui futura cecinerunt, si nondum sunt? Neque enim potest videri id quod non est. Et qui narrant praeterita, non utique vera narrarent, si animo illa non cernerent; quae si nulla essent, cerni omnino non possent. Sunt ergo et futura et praeterita. ●Sant’Agostino è un filosofo cristiano che nasce nel 354 d.C. a Tagaste in Africa. In gioventù egli era pagano perché aveva aderito al manicheismo (movimento religioso che considera la realtà come la lotta tra il bene e il male). In seguito, però, grazie alla lettura della Bibbia, delle opere di Plotino e all’incontro come il Vescovo Ambrogio di Milano, Agostino si converte al cristianesimo e divenne vescovo di Ippona. Scrive le Confessiones, un’autobiografia che testimonia la sua fede in Dio, un unico Dio buono e onnipotente e che si configura come una ricerca della verità. Non è un diario, ma l’analisi di un viaggio interiore che ha come meta la conversione. In questo passo, Agostino recupera dalla tradizione la riflessione sul tempo, dandogli però un taglio teologico: egli si interroga sulla dimensione del tempo prima della creazione della Terra. Agostino non dà insegnamenti come Seneca, ma si rivolge a Dio con umiltà: si crea una conversazione intima tra il filosofo e Dio, basata sul confronto. Agostino dice di supporre ciò che sta dicendo, non di affermarlo definitivamente: “Che cosa è, allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so”. Secondo lui, l’uomo si rende conto del passare del tempo perché tende sempre a misurarlo e a fare paragoni tra diversi intervalli di tempo. Tuttavia, si può misure solo l'intervallo di tempo che si sta vivendo, non quello che si ha già vissuto o che si dovrà vivere: solo il tempo presente può essere misurato perché percepito, ma quando sarà passato non esiste più ed è impossibile misurarlo. Di conseguenza, da un punto di vista “tecnico”, esiste solo una dimensione temporale, il presente, tuttavia l’uomo ne percepisce tre: il passato e il futuro esistono solamente nella dimensione interiore dell’uomo, solo come memoria o previsione. Infatti, l’uomo li vede solamente sotto forma di immagini: Agostino si ricorda dell’infanzia attraverso alcuni flash e si rende conto del futuro attraverso l’aurora, indice del sorgere del sole. (Bergson) ORAZIO SENECA L’idea oraziana del carpe diem è fortemente legata alla filosofia epicurea e ai suoi caratteri. Infatti, Orazio invita i giovani a l’attimo affinché si possa godere di ogni istante della vita e si possa raggiungere l’ἡδονή, il piacere dei sensi. E’ una concezione che deriva da una grande malinconia nei confronti della vita e visione pessimistica del futuro. Secondo Orazio, infatti, la dell’uomo é breve, è fragile e caratterizzata da momenti che passano velocemente. Il futuro, invece, è una dimensione insondabile e che non si può determinare. Di conseguenza, l’unico modo per essere felici e soddisfatti della propria vita é sfruttare al meglio il proprio tempo. L’idea senecana del carpe diem è fortemente legata al saggio stoico. Seneca non ritiene che la vita sia breve, ma che sia compito dell’uomo impiegarla in attività utili. Gli uomini sono convinti di non avere abbastanza tempo perché svolgono impieghi svantaggiosi. Si tratta, quindi, di una concezione qualitativa del tempo: l’uomo deve intraprendere un percorso che lo conduca alla saggezza. Anche Seneca dice che bisogna dominare il presente, ma non tanto perché in futuro non si avranno gli stessi momenti, bensì perché il presente è l’unico momento in cui si può ottenere un perfezionamento morale.
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