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Teologia 3 Guenzi (non frequentanti), Dispense di Teologia

riassunto dei tre libri da portare + riassunto dei tre capitoli a scelta del suo file

Tipologia: Dispense

2016/2017

Caricato il 13/07/2017

Silvbi
Silvbi 🇮🇹

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Scarica Teologia 3 Guenzi (non frequentanti) e più Dispense in PDF di Teologia solo su Docsity! 1) INTRODUZIONE ALL'ETICA CRISTIANA, Giannino – Piana PARTE PRIMA: I FONDAMENTI 1) CRISI E ATTUALITà DELLA DOMANDA ETICA Crisi morale: sintomi evidenti in: - vissuti personali: la caduta di normative, come quelle sulla sessualità, rimette in discussione i valori, provocando agnosticismo morale e difficoltà a discernere ciò che è giusto, con conseguente scetticismo e visione utilitarista; - comportamenti sociali: cadono i pilastri della convivenza civile, con piattaforme diverse di valori e parametri di comportamento diverse. Le cause: 1) avanzare della cultura individualista, basata su bisogni soggettivi di benessere e autorganizzazione, che escludono apertura all'altro. Nonostante il ritorno al soggetto può portare al recupero della dimensione soggettiva, cade quella relazionale, perché l'individuo ripiega su se stesso; 2) fenomeno della complessità: organizzazione e gestione si complicano, in campo sociale si ha una moltiplicazione delle appartenenze e la differenziazione provoca la sostituzione delle classi sociali con nuove corporative; in campo etico, il bene "comune" è sostituito da interessi privati, la politica diviene politica "di scambio" tra corporazioni; 3) sistema economico: capitalismo selvaggio, basato sulle logiche dell'efficienza che cancellano la prospettiva progettuale della vita, basandola solo sulla materialità; 4) fenomeno della secolarizzazione: il crollo di ideologie e narrazioni religiose implica un ripiegamento sull'immediato, senza proiezione sul futuro: cadono le domande di senso, manca un quadro valoriale conducendo ad un'etica debole, dove conta solo elaborare norme per cercare di riparare la situazione. Attualità della domanda etica: la crisi dell'etica mette in discussione i modelli tradizionali di comportamento, ma anche la sua plausibilità: c'è esigenza a recuperarla, visto il disagio esistenziale umano dato da insicurezza, lacerazione interiore, difficoltà a definire l'identità e a trovare valori condivisi che spingano a comportamenti solidali, impedendo di identificare due situazioni in particolare che richiederebbero un maggiore controllo: a) informatizzazione: moltiplica le informazioni e fa cadere le coordinate spazio-temporali, con predominio del linguaggio logico-matematico a scapito di quello simbolico e sviluppo di relazioni virtuali, che rischiano di ridurre socialità, senso critico e creatività. Anche il settore finanziario ne risente: la tecnica è divenuta un fine, non è più uno strumento. Cade il significato della morale dell'intenzione e della responsabilità, e serve una regolamentazione per evitare la dequalificazione del comunicare dovuta al mezzo, che induce passività e dipendenza nell'uomo; b) manipolazioni genetiche: dominio dell'uomo sulla specie umana, con tentazioni prometeiche ad identificare come lecito tutto ciò che è tecnicamente possibile. Tuttavia i rischi sono grandi, servono limiti tra ciò che è lecito e ciò che lede alla dignità umana. Tuttavia, la difficoltà ad individuare valori condivisi rende l'etica in situazione contraddittoria: necessità ad essa, ma difficile da realizzare. CONCLUSIONE: persiste la domanda di etica, da cui dipende la convivenza rispettosa della dignità delle persone e la promozione dei diritti. 2) CONTESTO BIBLICO La Bibbia contiene messaggio morale che interseca la Parola con le tradizioni, ed ha ripercussioni sulla condotta quotidiana: 1) alla crescita della fede non corrisponde la crescita morale, che richiede più tempo; 2) carattere di storicità dell'esperienza morale: l'ethos è soggetto al divenire, allo sviluppo della società, ma i principi guida dell'etica sono sempre evidenti, in 3 categorie: 1) L'alleanza: radice dell'agire morale. Alleanza= dialogo permanente tra Dio e l'uomo, processo che culmina nel patto del Sinai ed ha compimento in Gesù. a) Alleanza e legge: la legge acquista significato perché Dio si pone come unico ed è creduto tale, ma la Legge non è fine dell'agire dell'uomo biblico: è un mezzo per preservare e far crescere l'alleanza, grazie a precetti negativi che evidenziano ciò che non è parte dell'alleanza. Il nesso tra la prima e la seconda tavola rende evidente che la Legge non è imposizione esterna, ma un sì dell'amore: la comunione che Dio offre trova attuazione nel libero consenso umano. La nuova alleanza in Gesù sancisce un nuovo rapporto filiale tra uomo e Dio, lo Spirito è "legge nuova" che dona alla vita cristiana carattere di piena e perfetta libertà. Gesù non rende superflua la vecchia Legge, ma ne respinge il formalismo legalistico, perché la legge è uno strumento di adesione interiore dello spirito: si tratta di confrontare ciò che la legge esterna propone con le esigenze soggettive, facendo appello allo spirito e rispondendo al principio interiore; b) Fede come primo atto morale: la vita morale nell'alleanza ha carattere responsoriale: è il "si" esistenziale dell'uomo a Dio. La creazione è chiamata all'esistenza, ma il solo significato dell'esistenza è rispondere a Dio. Dio è centro dell'impegno morale, la sua volontà è soggetta delle obbligazioni morali: l'etica biblica è diversa da quelle umanistiche di realizzazione personale. E' etica teologale, in cui la fede è primo atto morale. Liégé: "non esiste morale nel cristianesimo; esiste una fede nel mistero cristiano, che trasforma la vita del credente". I precetti della legge sono adesione totale dell'alleanza, la legge è senso pratico della promessa: credere è un modo di agire. La certezza della fede è la constatazione che la promessa di salvezza trova compimento nella persona di Gesù. La fede è la nozione più complessa e più importante del Nuovo Testamento: speranza, carità, facoltà del giusto. Dio è tutto: viene chiesto all'uomo di prendere coscienza di essere una creatura, e di unirsi con legame profondo e attivo a Dio. L'etica cristiana, quindi è una morale religiosa, non un'ascesi; c) In Cristo e nello Spirito: l'alleanza trova attuazione in Cristo, gli uomini sono chiamati a divenire figli nel Figlio. L'esistenza cristiana diviene risposta di amore alla chiamata suprema di Dio: egli ha dato la sua vita per noi. Gesù è ragione e principio della vita morale del cristiano, che è rinascita, vita nuova in cristo. L'indicativo di salvezza della partecipazione alla vita di Dio in Cristo diventa imperativo di salvezza: imitare Cristo fino al dono totale di sè. Cristo, per la sua originalità, non può essere assunto a modello come un qualsiasi uomo. E' mediatore con il Padre. Dobbiamo rivestirci di Cristo, essere fedele significa divenire immagine del Figlio: vita operosa in Cristo, con Cristo e in Cristo. Momento culminante è morire per rinascere una vita nuova, ispirata da giustiza e santità, con il battesimo: lo Spirito di Cristo pone l'esistenza sotto il regime della "grazia", conferendogli capacità di costruire il regno. La morale cristiana è cristocentrica, cristonomica, pneumatologica: viviamo con Cristo, per Cristo, come lui: è modello della condotta, che libera l'uomo alla conquista della pienezza di vita. Accogliendo il dono di Dio, si attua la fede: è però un'opzione, richiede assenso incondizionato al suo progetto. 2) Conversione: dinamismo della vita morale. Dio sollecita l'uomo ad invertire rotta, mutare atteggiamento interiore: a) Conversione religiosa e morale: - religiosa: nella letteratura profetica, tempo dell'esilio, momento difficile per il popolo d'Israele che conosce decadenza religiosa e adesione ad idoli stranieri: serve ritornare a Dio per possibilità della salvezza, con purificazione del cuore e nel dono di sé. Le disposizioni interiori devono riconoscersi esternamente: digiuno, solidarietà. L'ingresso del Regno implica decisione radicale di fede della persona di Gesù. Paolo coglie il peccato come condizione dell'uomo di impotenza e morte: la conversione è liberazione attraverso il battesimo, passaggio alla vita; - morale: nell'Antico Testamento, la lettura sapienziale medita sulla Legge: il peccato è la sua violazione, con rischio di formalismo. Nel Nuovo testamento, quindi, la fede in Cristo è appello morale di rivolgersi a Dio; 1) Sequela nell'orizzonte del Regno: il regno è attuazione della signoria di Dio sulla storia nella persona di Gesù. La sequela è servire la causa del regno, progetto globale dell'intero agire. Alla libertà del credente si pone la possibilità di affrontare le conflittualità del mondo con una tensione in avanti, costante impegno a cambiare il mondo. La mediazione etica tuttavia, può rendere ambigua l'interpretazione. La soluzione di salvare l'agire morale cristiano senza sottrarlo alla mondanità è partecipare alla "Kenosi" di Cristo, ossia alla sua rinuncia di essere in doxa, perché schiavo. 2) Connessione tra indicativo e imperativo: la salvezza di Dio avviene con umile obbedienza, rinascita interiore che trasforma gli stili di vita. Il dinamismo della vita morale sviluppa l'incorporazione dell'evento pasquale, in cui Gesù si immola per darci la possibilità di una "nuova vita". Lo scarto tra Dio e azione umana resta, altrimenti si giugerebbe a presunzione: Gesù è di fatto inimitabile, ma all'uomo è richiesto coinvolgimento di tutta la persona al disegno di Dio. 3) "E' stato detto dagli antichi… ma io vi dico": messaggio di Gesù che va oltre le leggi giudaiche, con le antitesi del discorso della montagna che danno al credente nuova forza di libertà e di valutazione. L'antropologia è presupposto della cristologia e viceversa: l'efficacia della fede si misura nei presupposti all'azione. La fede incontra una ragione morale situata in un certo contesto, ma si proietta sull'agire ispirando fiducia fondata sulla consapevolezza che il tempo presente è riscattato. Contributo della cristologia alla teologia morale è indicare che il cristiano non vive la legge naturale, ma un'interpretazione di essa attraverso Cristo: non è una morale universalmente comunicabile né un dato, ma una meta escatologica che non ci deve però far perdere l'identità dell'evento singolare. c) Recupero di Gesù nella storia: rischi di precompressioni riduttive, in particolare sulla riflessione morale, necessitano di proporre un orizzonte fenomenologico e uno simbolico del rapporto tra fede e morale in Gesù: 1) Orizzonte fenomenologico: la predicazione di Gesù ne vangelo ha al centro la proclamazione del Regno nella storia, ed influenza il modo di intendere il comandamento di Dio: conferisce all'uomo libertà, ma richiede impegno di una permanente conversione. Le parabole sono provocazioni all'esercizio della radicalità. La prassi di Gesù è modello emblematico, l'amore di Dio si manifesta in lui e rende plausibile l'impegno alla non violenza e amore del nemico con esempio concreto. Gesù è una nuova teologia della storia: la sua storia è paradigma, l'antropologia quindi deriva dalla cristologia. Gesù manifesta con miracoli, perdono dei peccati e infine con la Pasqua l'accoglienza concreta della fede, come riferimento imprescindibile per l'uomo: la Parola è legata alla conversione profonda. 2) Nel segno del "mistero": il messaggio cristiano è mistero, esperienza morale e di fede sono unite: l'esperienza di fede rinvia all'esperienza morale, che a sua volta conferisce all'esperienza di fede un concreto indirizzo esistenziale. Alleanza, conversione, regno di Dio: sono categorie connotate da valenza sia religiosa che etica, rendenti il rapporto tra uomo e Dio con modelli di comportamento. Comunque la distinzione resta: fede come esperienza interiore che illumina l'esistenza; ethos ambito in cui la fede si rende trasparente. La feconda reciprocità tra i due è unione: sono ricevuti dall'alto, la loro accoglienza con la libertà umana genera la capacità di accogliere l'altro, e conferisce alla libertà la possibilità di realizzarsi nel quadro di una rete relazionale. d) Prassi messianica come fondamento dell'agire. Gesù da precise indicazioni: la prassi messianica aiuta a superare la frattura tra Gesù-figlio di Dio e Gesù-storico, visione unitaria del mistero nella persona di Gesù: la fede è obbedienza del Figlio al Padre, atto in cui la libertà umana si manifesta: Cristo è mediatore tra Dio e l'uomo, forma concreta della potenza di Dio con i miracoli, con cui libera l'uomo dai condizionamenti. La prassi di Gesu stimola liberazione, trascende la fiducia con una salvezza che solo Dio può dare: la croce simboleggia la rinuncia della potenza, l'obbedienza a Dio in abbandono fiduciale. L'annuncio del Regno è la proclamazione della possibilità di una comunione conviviale da estendere a tutti, sollecitazione ad agire e riconoscere la sovranità di Dio. Fede e libertà sono connessi: l'atto di fede è il primo atto morale, che fonda la vera libertà dell'uomo che seguirà l'esempio di Gesù. Il mistero di Gesù è promessa, la vittoria sulla morte è speranza. Ci spinge a creatività e libertà: Dio non aliena la libertà dell'uomo, ne è fondamento: libertà "per", il traguardo è l'amore: il nuovo inizio, la distruzione di pregiudizi e barriere sociali nella cordialità e compartecipazione. Le parabole descrivono la realtà e ci obbligano a guardare il nostro stesso comportamento: sono la nuova possibilità di vedere e sentire la vita, pro o contro Gesù. La prassi messianica diventa, nel discepolo, partecipazione alla vita di Dio come responsabilità storica. Il discorso della montagna è adesione ad un ethos nuovo, che obbliga i discepoli, ma sono indicazioni insufficienti a dare conto della globalità della chiamata evangelica. L'esperienza cristiana è recuperata nella sua unità originaria, il cui principio unificante è lo Spirito, sorgente dell'agapè, comandamento di Dio radice di tutti i comportamenti. L'uomo ha necessità di porsi un'etica tradotta in norme, che evidenzino i comportamenti giusti: la capacità dello Pneuma (capacità di valutare ciò che deriva da Dio) ci è data con lo Spirito. La rivelazione, inoltre, offre modelli etici precisi, anche se sono contenuti in una dimensione storica. Per questo vanno riattualizzati, ma si adattano a situazioni diverse nel momento in cui si mette l'accento sugli atteggiamenti essenziali del credente nel mondo. Forma di giustizia, espressione nell'amore in cui l'uomo è accettato nei suoi diritti e nella sua irripetibilità: l'esperienza di fede e morale sono in piena coniugazione gazze alla libertà, condizione di partenza per accogliere la fede e fattore determinante dei comportamenti morali. Il costante rapporto fede-libertà trova in Cristo il momento in cui l'esperienza di fede si trasforma in esperienza morale, dando credibilità al Vangelo. CONCLUSIONI: la cristologia narrativa ha nella prassi messianica il culmine, che fa luce sul messaggio vangelico sollecitando il discepolo a dare all'etica connotati nuovi. La nuova storia del pensiero è una nuova antropologia, un'etica alternativa che mette a soqquadro il sistema valoriale borghese per affermare di perdere se stessi fino all'esperienza sulla croce. 2) Dimensione ecclesiale: la vita morale cristiana ha nel mistero il suo fondamento, affonda nella cristologia: il dono dello Spirito crea una comunione fraterna. La chiesa è luogo di raduno dell'unità rinnovata, mondo pacificato riconciliato con Dio per mezzo di Gesù da un unico Spirito, unico altare e pane i credenti formano un unico corpo. a) Comunione: la visione unitaria e comunionale della chiesa del Vaticano II, che ridimensiona la prospettiva socio-giuridica, inscrive la chiesa nell'azione dello Spirito. Concetto chiave è la comunione, esperienza della chiesa delle origini, con condivisione dei beni in cui la carità è iniziativa suscitata da Dio: concordanza, fratellanza nella santa Trinità, con tensione tra l'esigenza di salvare la chiesa (mai riducibile ad una comune prassi umana) e la necessità di metterla in rapporto con la realtà storica, formando una comunità concreta con rapporto tra comunione e comunità che sia dialettico. Il dono della comunione è una vocazione: il popolo di Dio vive la sua dimensione messianica nella solidarietà, poveri e sofferenti sono immagine di Cristo. L'etica coinvolge le relazioni tra chiese, e si estende all'umano, intercettando gioie e angosce. La chiesa non è astrazione: è realtà concreta la cui anima è lo Spirito. Annuncio e comunione nella prassi messianica sono sintesi dell'etica cristiana, che è ecclesiastica perché la chiesa è luogo in cui far vivere la comunità fraterna e da cui partire per rendere il farsi del regno del Signore nella storia. Obiettivo: umanizzazione del mondo, civiltà dell'amore; b) Agapè come via privilegiata: la chiesa è spazio vitale dell'agapè: i credenti sono figli dello stesso Padre, ogni ministero è carità. Modello di riferimento è Gerusalemme, in cui si realizza l'amore fraterno: umiltà che stimola a servire gli altri, superando gelosie e rivalità. Benevolenza, affidabilità di carità come amore operoso: assistenza a poveri, vedove, elemosina disinteressata e ospitalità della chiesa, comunione di fratelli che concorrono alla realizzazione della comunità umana. Segno e strumento del Regno, realtà in funzione di esso: scopo della chiesa è unità, pace e giustizia, che rendono visibili la comunione tra uomini. Senso pieno della carità è la trinità, che suscita il dono: Dio è amore, dona il Figlio per noi. la vita morale è agapè, con cui si realizza la comunità: logica della gratuità ed impegno a far cadere le barriere; c) Fondazione sacramentale della prassi cristiana: momento più alto dell'incontro con Dio è l'immersione nella grazia divina, con stretto rapporto tra celebrazione e prassi cristiana. Culto celebrato e culto della vita: restituzione ai sacramenti della dimensione simbolica. La liturgia è vivo mistero cristiano che connette contemplazione e azione. Il carattere simbolico inserisce l'agire quotidiano in prospettiva escatologica: l'unità dell'evento rivela la verità della prassi cristiana, dinamica, salvezza dall'alto accolta dalla vita morale dell'uomo come dono, che porta compimento nell'uomo tramite il suo impegno. Il primato del ricevere sul fare: agire è rispondere a un dono, l'eucarestia ce lo ricorda. L'etica è dinamismo: punto di partenza è Dio, non esiste conflitto tra azione divina e libertà umana: l'agore umano è capacità di farsi investire di grazia. L'azione celebrativa vede scambio tra soggetti, riconoscimento di una comune appartenenza come base per affermare l'identità di ciascuno. L'uomo guadagna in ragione: interazione sociale come piena affermazione della soggettività, riformulazione della prassi cristiana in modello simbolico che accoglie istanza sociale e creatività del singolo. L'azione liturgica conferisce unione tra oggettivo e soggettivo, tra impegno e dono: responsabilità dell'uomo è agire verso Dio, con rispetto del dinamismo relazionale. I sacramenti sono la chiesa, la chiesa è sacramento: l'etica cristiana si muove nella chiesa, mediatrice per il genere umano, dono di Dio. L'etica cristiana è etica di vocazione ecclesiale: si riqualifica l'etica cristiana nella dimensione simbolica, adottando una prospettiva aperta di perfezione vangelica. d) Eucarestia: fonte e culmine dell'agire morale. Dall'eucarestia: orientamenti per il quotidiano, perché la pasqua di Cristo diventa pasqua del credente: continua celebrazione del mistero di morte e risurrezione, in cui l'indicativo di salvezza diviene imperativo, secondo tre orientamenti che rendono evidente la prassi cristiana come eucaristica: 1) Etica della sovrabbondanza: Dio supera ogni aspirazione umana con la gratuità del suo amore, agisce oltre il bisogno dell'uomo, che deve fare propria la legge della sovrabbondanza: etica cristiana che assuma come norma la misericordia, sia cosciente di vivere dei doni di Dio e si faccia a sua volta donatore, con atteggiamento di totale ricettività: primato è l'iniziativa di Dio, che viene incontro all'uomo, che deve rendere grazie; 2) Etica della convivialità: unione di uomo e Dio e altri uomini nel convivio, come all'ultima Cena, in cui Gesù è ospitante e offre la comunione con sé e con Dio. Cammino tra i discepoli e Gesù con il Padre, unità dei fedeli che partecipano al pane eucaristico: la contraddizione tra la celebrazione e il comportamento quotidiano chiama l'uomo ad acquisire una mentalità nuova, del dono di sé e della disponibilità a servire. L'eucarestia è azione in cui Cristo si dona alla comunità e unisce i suoi membri: la Chiesa come corpo di Cristo è comunità eucaristica: punto in cui trae l'origine l'attività comunitaria è la vitalità della chiesa, strumento di Dio per cui al convivialità eucaristica diviene vissuta: è un'esigenza teologale che porta all'imperativo etico che trova attuazione nella corporeità storico-sociale della chiesa. L'agire del credente trova verità in condivisione e servizio, dono permanente di sé agli altri. 3) Etica del Regno: nell'eucarestia c'è il "già" del Regno, che stimola gli altri al "non ancora": partecipazione reale che dà spinta escatologica. La conversione del pane e vino in corpo e sangue di Gesù indica che l'insieme della realtà creaturale fa ingresso in un mondo nuovo, inaugurato da Dio in Cristo: il valore cristiano della creazione e cosmico dell'incarnazione fondano il valore dell'impegno della chiesa nel mondo, sono in continuità nel sacramento, presa in considerazione della pratica etica. L'agire umano libera l'universo dalla schiavitù e trasforma il mondo con attuazione dell'eucarestia. Il momento liturgico ha 1) L'esperienza di libertà: è ambivalente: l'uomo percepisce di essere capace di decisione, ma avverte che diversi fattori influiscono su quella libertà: il condizionamento interagisce con la libertà. L'uomo si sente causa dell'agire, ma sa che ogni scelta avviene con precisi presupposti che riducono lo spazio stessa della libertà. Il bene particolare attrae la volontà, motivata da buone ragioni, ma non determina l'azione perché il soggetto deve fare proprie queste ragioni; 2) Diverse forme del condizionamento: l'agire umano è intreccio di autonomia e determinismo, la libertà non è assoluta, ma situata: la sggettività umana, in virtù della corporeità, ha una collocazione spazio-temporale in cui le influenze esterne incidono sulle decisioni. Questo è limite ma anche possibilità: le limitazioni non sono sempre razionali (affetto, carattere, strutture sociali…) ma condizionano l'azione come campo in cui esercitare la libertà; 3) Libertà e autorealizzazzione: la libertà non si esaurisce nella scelta, ma è un compito dell'uomo da sviluppare nel tempo: le singole scelte sono manifestazioni di una libertà che è in relazione con l'altro, parte del costituirsi; 4) La prospettiva cristiana: la libertà è riconosciuta dalla Bibbia come parte dell'uomo, ma è da finalizzare al bene grazie all'azione di Cristo. Lo svilupo della libertà cristiana non è svincolarsi dalla corporeità ma rendere trasparente attraverso di essa la capacità di autodonarsi a servizio degli altri. La libertà cristiana è compiere il bene, volerlo come riflesso della libertà di Dio, che vuole solo il bene e rifiuta il male. Questo mistero di Dio c'è anche nell'uomo: chi comprende la sua libertà come dono per fare il bene, ne è chiamato. Originata ed edificata da Dio, la libertà è chiamata a far compiere la sua volontà con la carità. La persona è inizio e fine dell'esperienza di libertà: rende possibile la realizzazione e ne è obiettivo. La libertà è elemento decisivo di maturazione della qualità morale. 3) Struttura dell'atto morale: l'atto umano ha nel soggetto libero il criterio di valutazione della moralità: a) Primato dell'intenzione nella Bibbia e nella tradizione successiva: il mero adeguamento alla legge sollecita il recupero dell'atteggiamento interiore, e questo ha conferma nel Nuovo Testamento, dove atti caritatevoli diventano insignificanti se non espressione di aumentica carità. Il giudizio finale indica che il destino eterno è legato alla positività delle azioni compiute, con equilibrio tra intenzione e azione che caratterizza la tradizione cristiana. La Scolastica (Tommaso D'Aquino) evidenzia che il rapporto tra soggetto e azione non è solo basato sulla retta intenzione, se non si accompagna alla bontà dell'atteggiamento interiore. Nel XVII secolo la casistica pone l'accento sul contenuto materiale dell'azione, e la prassi pastorale imponeva di eseguire un esame di coscienza prima di confessarsi dando penitenza per numero, specie e circostanze di peccato, prescindendo dalle intenzioni interiori e riducendo il sacramento a processo meccanico di assoluzione dai peccati b) Verso un nuovo equilibrio: il Vaticano II restituisce primato all'intenzionalità, anche se l'azione non è indifferente: rientra nella valutazione, in quanto l'agire personale ha conseguenze sugli altri, e l'atto è manifestazione di ciò che il soggetto intende. L'eticità è mediazione tra intenzione soggettiva ed efficacia storica, luogo di confronto tra convinzione e responsabilità. 4) Opzione fondamentale: chiave interpretativa per cogliere il progetto di realizzazione dell'uomo. 1) Motivazioni dell'opzione fondamentale come chiave interpretativa (concetto di Jacques Martain): - analisi psicologica: evidenzia continuità psichica dell'agire umano, l'esistenza è evento a tappe successive unite dalla persona e dal suo progetto di realizzazione: se si vuole comprendere il significato delle azioni, si deve risalire all'atteggiamento interiore; - riflessione psicologica: la natura della libertà è fondamentale: progetto di sé che la persona persegue con le azioni. Il concetto di Martain implica che il primo atto libero dell'uomo è decisione pro o contro il Bene assoluto, Dio, anche se è un atto particolare rappresenta una presa di posizione religiosa ed etica radicale, che rinvia all'assoluto. Rahner, allo stesso modo, rileva che la libertà umana non è semplice scelta, ma implica una libertà più radicale nell'intimo della persona, di scegliere tra dono di sé (carità) e ricerca di se (egoismo). L'opzione fondamentale è scelta morale per eccellenza, che si effettua nel profondo dell'io, dove l'uomo decide di se, e che orienta le scelte successive della persona. 2) Radici antropologiche: a caratterizzare la persona c'è un centro profondo, che conferisce unità, e stratificazioni esterne spazio-temporali, dimensione unite. L'opzione fondamentale si forma con processo che prevede scelte univocamente orientate, con influenza sulle scelte successive che non è mai totale, perché la libertà stessa potrebbe ribaltare la situazione. La conoscenza della presenza dell'opzione fondamentale non è mai riflessa, ma immediata: non coincide con il contenuto oggettivo dell'azione, ma è assunzione di un atteggiamento altruistico. La misura del valore morale delle azioni è data dal rapporto che istituiscono con l'opzione fondamentale, il significato va ricercato nel continuum. 3) Statuto teologico: l'opzione fondamentale è essenzialmente decisione pro o contro il bene: implica una scelta radicale del disporsi davanti a Dio, ha valenza religiosa perché è assenso o dissenso al suo appello. La filosofia trascendentale considera l'uomo come essere aperto alla trascendenza: l'opzione fondamentale è decisione di aderire o meno all'Assoluto, ed il Bene non è impersonale: è la persona di Cristo, che sollecita il discepolo alla sequela. L'opzione fondamentale diviene adesione o rifiuto della grazia dalla libertà umana 4) Ricadute etiche: l'opzione fondamentale è orizzonte delle scelte della persona. L'agire umano esprime la comprensione che il soggetto ha di sé, con conseguenze: 1) migliore interpretazione dell'agire umano nel suo significato morale, perché l'agire è percepito nel legame con intenzionalità del soggetto; 2) Attenzione privilegiata alla struttura delle singole azioni: sono atti con cui si integra la vita ad un disegno di fondo, che dà stabilità di indirizzo, ma c'è in gioco la libertà: la continuità è fedeltà, consolidarsi della realtà interiore; 3) Importanza assegnata alle premesse dell'azione: predecisione data dalla storia della persona. CONCLUSIONI: la riflessione etica sull'agire umano e sull'intenzionalità trova chiave interpretativa nel concetto di "opzione fondamentale", in cui gli atti morali ricevono illuminazione dal mondo interiore del soggetto e concorrono a costituirlo con processo circolare il cui fine è il perseguimento della piena realizzazione del soggetto. 2) COSCIENZA E NORMA: realtà interdipendenti in cui l'eticità risulta dall'interazione tra soggetto e oggetto. La coscienza coincide con la persona in quanto soggetto etico, la norma nel valore della persona e nelle finalità della sua natura. a) Primato della coscienza: facoltà che sotto la guida della ragion pratica giudica l'agire umano. Quadro di valori interiori, che ricevono contenuti normativi dal confronto con la realtà, mediante l'ausilio della ragion pratica. Nella coscienza l'uomo è istanza etica, e l'etica qui prende valore più vero: si intrecciano personalità e capacita di controllo delle situazioni. Evoluzione storica della coscienza morale: origini nel mondo greco, con Democrito, che lo percepisce come esterno; la scuola di Socrate lo interiorizza, descrivendo la coscienza come demone che giudica le azioni. Gli stoici attivano a definire la "coscienza riflessa", ragione dell'uomo traccia del logos universale. Nella Bibbia, il termine "cuore" mette in luce la relazione tra interiorità e bene delle azioni; l'ebraismo passa da percepire la coscienza come volontà di Dio imposta a interiorizzazione, nella relazione tra uomo e Dio. La coscienza diviene presenza di Dio nel cuore dell'uomo, costante richiamo all'Alleanza: i comandamenti sono un dialogo. Nel Nuovo testamento, nella coscienza è in gioco il destino di Dio: la coscienza dipende da Dio e dalla sua volontà, è riflesso della maturità della fede, giudice e testimone. La coscienza acquisisce nella fede possibilità di piena espressione in dignità, come norma ultima della vita morale dell'uomo. La tradizione cristiana approfondisce il ruolo della coscienza nell'elaborazione della decisione morale, perché è luogo in cui prende posizione il Logos, giudice interiore. Agostino evidenzia l'irriducibilità della coscienza alla dimensione psicologica, perché è anche l'incontro tra Dio e l'uomo, "voce di Dio", regola universale della moralità capace di fornire a tutti la norma di condotta e farsi testimone della correttezza di comportamento. La Scolastica predilige un rapporto più antropologico, distinguendo una coscienza originaria (Synderesis) dalla "coscientia", coscienza che applica ai casi concreti. Per alcuni le intuizioni che formano la Synderesis sono in realtà conoscenze applicate alle situazioni concrete, per altri è decisivo il rapporto alla fedeltà. Nella riflessione medievale di Tommaso d'Aquino, si afferma l'obbligo si seguire la coscienza: chi agisce contro di essa, agisce contro Dio. In epoca moderna, la coscienza acquista importanza per il sacramento della confessione, che valuta le responsabilità ma in maniera legalistica, facendo nascere i sistemi morali. La ripresa della visione unitaria della coscienza si ha nel secolo scorso, in cui la psicologia recupera la dimensione emotive e razionale della coscienza, riscoprendone l'aspetto "religioso", come luogo in cui l'uomo è chiamato a rispondere a Dio che lo interpella (Vaticano II, "Gaudium et spes"): "tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile la legge dell'amore di Dio e del prossimo". La coscienza è norma definitiva e vincolante per il singolo, ambito di realizzazione della carità, istanza autonoma che però è parte integrante della dignità della persona perché l'uomo non può delegare la responsabilità dei propri comportamenti. La risposta a Dio è sempre personale, nella concretezza situazionale dell'azione, come momento più alto di integrazione della persona. b) Natura e identità della coscienza morale: coscienza= facoltà che presiede la conoscenza di bene e male: quale identità e come avviene la produzione di giudizio in questa realtà personale e quindi unica, ma complessa? 1) Coscienza: voce della ragione, in quanto applicazione dei valori alle situazioni con coinvolgimento delle passioni e dei sentitmenti. La coscienza è realtà sovradeterminata, che dipende dall'esterno e fa percepire qualcosa come il bene a cui sottostare. 2) Subcoscienza: la psicoanalisi rivela i limiti dati dal subconscio, con la tesi di Freud secondo cui la coscienza si sviluppa in due passi: - formazione della coscienza tabù: bambino che accetta ordini parentali e comportamenti per paura di essere ripudiato o punito; - confronto: 5-6 anni, con "super io" e complesso di Edipo che interiorizza i valori. Gli sviluppi della psicoanalisi riconoscono pulsioni sotterranee che influenzano il rapporto al reale, ma l'assolutizzazione del dato psicologico riduce l'importanza della ragione, rendendo necessarie altre interpretazioni. In definitiva, la coscienza gode nell'uomo adulto di autonomia, con influenza di valori interni ed esterni. 3) Coscienza: vice dello Spirito. La coscienza ha radici nel super-io, ma l'azione dello Spirito la potenzia intrecciando il livello etico a quello teologico, in cui l'uomo prende consapevolezza della propria responsabilità morale. Le circostanze divengono luogo di stimolo a vivere in relazione con Dio, aderire ai valori evangelici orientando le scelte quotidiane. 4) Coscienza: sede del giudizio morale. La coscienza determina la moralità dell'agire: non è correttezza dei singoli atti, ma realizzazione personale, applicazione delle norme etiche come istinto morale che fa sentire l'uomo responsabile della sua esistenza. La coscienza è un principio selettivo responsabile dei valori morali e dei beni umani nell'orizzonte del pensiero di Dio, ed è sempre possibile incorrere in un errore. Comporta, tuttavia, che la coscienza non perda la propria dignità: deve acquisire sempre maggiore capacità, è quindi connessa ad una seria formazione, saggezza necessaria a mediare, fedeltà ai valori e Nella Bibbia: Antico Testamento contiene 613 comandi, espressi in maniera personale, cui fa eccezione il Decalogo, forma categorica con cui Dio si rivolge al suo interlocutore, chiedendo sottomissione. L'autonomia è fondamentale, frutto della mediazione umana. Nel Nuovo Testamento le numerose direttive sono elaborate con metodo paradigmatico: punto di riferimento dei vissuti quotidiani. La tradizione cristiana successiva continua a sviluppare norme, e in epoca moderna nasce la "scienza morale", etica normativa che produce numero sterminato di norme inerenti vari ambiti di vita personale e sociale. Il ricorso alla norma è necessario, ma la norma ha grado di astrattezza: l'ultimo giudizio è la decisione del singolo. EPIKEIA: la "giustizia legale" dipende da una "giustizia superiore": se la norma entra in conflitto con la seconda, o non interpreta le istanze, l'uomo non deve aderirvi. E' chiamata in causa la responsabilità soggettiva, per aderire alle vere esigenze della situazione: le norme morali hanno un limite, serve l'uomo per la loro applicazione. La superiorità della giustizia naturale su quella legale, pone in evidenza che dove la legge civile è "giusta" e protegge beni importanti per lo sviluppo della collettività, serve aderirvi. In situazioni difficili, servono criteri tolleranti: se alcune leggi lasciano scoperti alcuni valori, serve un confronto tra la natura specifica della legge e il contesto in cui si colloca. Il ricorso all'obiezione di coscienza, che è in fondo l'EPIKEIA, è modalità applicativa le cui condizioni vanno soppesate tenendo in considerazione la pluralità dei sistemi valoriali e la ricerca del bene comune. Il riconoscimento della possibilità dell'obiezione di coscienza è un grande traguardo di civiltà: rinuncia a far valere a tutti i costi la legge, riconoscendo la necessità di dare spazio a scelte personali. Fondazione delle norme: hanno il compito di determinare la correttezza oggettiva delle varie situazioni, con due modelli: 1) Modello deontologico: giudizio a priori, con ammissione dell'esistenza di azioni "intrinsecamente immorali", senza deroga. Questo trascura la storicità della condizione umana: l'assolutezza di un nucleo negativo immutabile non si concilia con le azioni interumane, il cui valore è condizionato; 2) Modello teleologico: giudizio morale formulato in base al calcolo delle conseguenze, effetti su altri e su mondo. Questo permette di elaborare norme duttili, attente al contesto, capaci di interpretare le istanze, ma non bisogna cadere nell'utilitarismo per cui "il fine giustifica i mezzi": il mezzo deve tenere in conto le ricadute negative. Entrambi i modelli sottolineano aspetti essenziali del fatto etico: immutabilità e relatività. Il modello ideale è "teologico deontologicamente fondato": la norma morale conserva così assolutezza, senza rinunciare alla mutevolezza e alla capacità di aderire alle situazioni, in sintonia con la tradizione cristiana per cui i beni vengono sempre valutati in relazione al bene assoluto, la carità. CONCLUSIONE: norme morali necessarie ma parziali: vanno verificati valori e corrispondenza alle situazioni. 3) Decisione morale e idea di responsabilità. Coscienza e norma danno elaborazione della decisione morale. La coscienza ha primato: norma ultima, non però autosufficiente, perché ha bisogno di essere soggettivamente certa attraverso i sistemi morali che definìscono le regole per conformare il giudizio alla verità. a) Giudizio e decisione nelle diverse situazioni. La maturità morale non è sempre sufficiente: la complessità delle situazioni esiste ripensamenti nei vari contesti. Nella formazione del giudizio morale, il credente si avvale di riferimenti alla parola di Dio e del magistero, che tiene in considerazione la dimensione totale del popolo. La responsabilità della persona è comunque decisiva per il giudizio: indicazioni morali di metodo e contenuto sono spazio aperto, ma il soggetto nel suo contesto con possibilità psichiche e fisiche, comporta che il giudizio sia un compromesso. Si cerca la soluzione più corretta perseguibile, con consapevolezza del limite creaturale che vince la tentazione all'assolutezza (presunzione di onnipotenza), tendendo quindi al "bene possibile", e a volte se l'unica possibilità è optare per il "male minore" bisogna poi intervenire per limitare i danni, soprattutto ad innocenti. b) Responsabilità morale tra intenzionalità ed efficacia. Il rapporto coscienza-norma trova espressione nella responsabilità, lettura unitaria dell'agire morale in cui il soggetto è moralità, l'altro è colui cui la moralità si rivolge, ed esige valutazione dei contenuti dell'azione. L'agire è intreccio di fattori che acquisiscono significato in reciproca interazione: connessa alla singolarità, la responsabilità implica acquisizione di abitudini virtuose che garantiscono lo sviluppo positivo della libertà, ed entra in gioco la persona nel suo complesso: "l'uomo tende al bene non solo con la volontà spirituale, ma anche con le forze psicofisiche". Il coinvolgimento della persona implica recupero del mondo interiore, progetto di vita, per impegno ad atteggiamenti buoni che da soli non bastano: devono incarnarsi in comportamenti giusti. Da un lato, solo una visione globale del bene consente la verifica della bontà dell'azione; dall'altro, l'azione è ambito di bene particolare e quindi limitato: serve considerare circostanze e conseguenze, coniugando atteggiamento buono e comportamento corretto come condizione di una forma di responsabilità in cui soggetto, oggetto e azione sono in rapporto positivo. CONCLUSIONE: la persona è punto di partenza e di arrivo della moralità: adesione al bene con obiettivo di promuovere la vita di tutti. 3) PECCATO E VITA VIRTUOSA Facce contrapposte della libertà, opzioni di fondo che coinvolgono la globalità della persona delineando senso ultimo della moralità. 1) Peccatore, peccato e peccati. La rivelazione non definisce il peccato, ma narra l'esperienza del peccatore inserendola nella storia della salvezza che culmina nell'evento- Cristo. La comprensione del peccato può avvenire come comprensione della misericordia di Dio. a) Crisi del peccato di oggi: ogni è difficile riflettere sul peccato, che sembra rimosso dalla coscienza dell'uomo per: 1) Processo di secolarizzazione: affermazione della radicale autonomia dell'uomo, che annulla la possibilità di parlare di peccato, perché un modno senza Dio è senza peccato; 2) Esiti delle scienze umane: la biologia mette in luce gli istinti, la psicoterapia la colpa, la sociologia l'influsso dell'educazione, l'antropologia la storicità dei valori, con negazione della libertà e quindi impossibilità a parlare di peccato; 3) Collettivizzazione della colpa: rende difficile attribuire colpe al singolo, per concorso di più soggetti; 4) Mistica del peccato: esperienza della colpa come condizione per liberare l'uomo dalle false certezze, facendo nascere il bisogno di redenzione. Qui il peccato è via necessaria per scoprire il volto di Dio, manifestato nella persona di Gesù: peccato come sorgente di valore. I fattori negano il peccato, oggi è difficile definire la natura e la presenza per i condizionamenti della libertà e la mancanza di criteri che riconducano la colpa a rottura della relazione con Dio. b) Dimensioni costitutive del peccato: 1) Rottura dell'alleanza: dimensione religiosa: assenza e silenzio di Dio. E' rifiutare la vocazione. Il primo peccato, quello originale paradigma di tutti gli altri, è rifiuto di essere creatura, volontà di essere Dio. L'alleanza è un legame coniugale, il peccato è adulterio: nel Nuovo Testamento il peccato entra in relazione con l'azione redentrice di Cristo, venuto al mondo per dare conoscenza della salvezza. Gesù Dio e uomo entrano in comunione, e la risurrezione è vittoria sulla potenza del male. Il peccato è un "no" alla chiamata di Dio: è una grandezza religiosa prima che etica, trasgressione di un precetto. L'amore dell'alleanza non si esaurisce nel comandamento, ma si esprime con esso: è difficile percepire la dimensione religiosa del peccato nella nostra società, anche perché la catechesi ha insistito sulla dimensione etica moralizzando la colpa; 2) Rottura della solidarietà umana e cosmica: dimensione sociale. La rottura della relazione con Dio, porta a rompere i rapporti con gli altri. L'umanità perde integrazione sociale: è torre di Babele, idolatria ed ingiustizia. Nel Nuovo Testamento il peccato è sottomissione cosmica a Satana, che estende l'oppressione a tutta l'umanità. Paolo evidenzia che il mondo in cui viviamo è avvolto nelle tenebre, poteri malvagi che condizionano le scelte personali. Ogni atto peccaminoso rettifica il regno del peccato nel mondo. I peccati possono dividersi in peccati-azione e peccati-incapacità personale, ed hanno una dimensione sociale per tre livelli: 1) Ricadute che ogni azione peccaminosa ha sugli altri e sul mondo, che alimentano la situazione di male: il peccato sociale qui è trasversale; 2) Atti il cui contenuto ha a che fare con il rapporto con l'altro (contro giustizia); 3) Conssiderazione che gli atti di ingiustizia e violenza sono strutturali, disumani e sociali: "peccato del mondo" che fanno insorgere situazioni difficilmente vincibili e finiscono per plasmare l'esistenza; 3) Atto del soggetto: dimensione personale: il peccato è un atto umano, la cui libertà rincorre cose effimere rifiutando Dio. Il Nuovo Testamento rileva l'interiorità come fonte del peccato: la libertà è il dono più grande di Dio, ma anche il più rischioso che può portare a distruggersi, perché ogni azione umana è inclusa nella storia personale e rispecchia le intenzioni dell'anima, lo stimolo interiore che porta l'uomo a costruirsi. Il peccato è rifiuto della propria identità, rifiuto di vivere la comunione e quindi rifiuto di realizzassi per quello che si è: il peccato è disgregatore, condiziona profondamente la vita dell'umanità. Il peccato è una realtà complessa, che ha radici nel mistero della persona e la consapevolezza della sua gravità diventa possibile nella fede a Dio, che sollecita alla comunione con sé e offre possibilità di riscatto. c) La questione etica: peccato e classificazioni. Il peccato ha un fattore oggettivo (la materia) e soggettivo (avvertenza e libero consenso). Nella Bibbia si distinguono i peccati che - "non conducono alla morte": la rottura con Dio può essere riparata; - "conducono alla morte": rottura definitiva, peccati contro lo Spirito e senza remissione perché dovuti ad un atteggiamento interiore e ad un'ostinata volontà. Tommaso d'Aquino: il peccato è diviso in "mortale", avverso a Dio, e "veniale", che dipende quindi dalla spazio-temporalità della condizione umana e lascia presumere che manchi pieno coinvolgimento interiore. Epoca moderna: si accentua il fattore oggettivo, con classificazione dettagliata delle tipologie di peccato, ma si finisce così per scorporarlo dall'interiorità del soggetto. L'essenza del peccato in ambito soggettivo, nel profondo dell'io, è l'opzione fondamentale negativa: egocentrismo ed anticarità che porta all'orientamento complessivo della vita, le cui azioni sono solo parti del processo, che rafforzano e costruiscono l'opzione negativa come processo graduale, in cui la coscienza morale perde progressivamente sensibilità. Scelte particolari negative portano allo svuotamento dell'opzione positiva fino alla sua sostituzione. La dottrina dell'"opzione fondamentale" quindi non è a senso unico, ma è unità di due fattori: aspetto dinamico (rapporto tra soggetto e oggetto) e intenzione. La scelta negativa, contro Dio, è peccato mortale, e la materia consente di valutare l'intensità della partecipazione personale ma non è un criterio univoco. E' difficile valutare alcune situazioni, e alcuni moralisti inseriscono quindi tra peccato mortale e veniale la categoria di "peccato grave", che si differenzia dal peccato mortale per la mancata rottura del rapporto con Dio, e da quello veniale per la materia grave. Il peccato mortale, comunque, è un processo di autodeterminazione negativa che porta per sempre l'uomo ad opporsi a Dio. Lo stretto legame persona-peccato, fa dire a molti che più che parlare di peccato si del cristiano implica unificazione dell'operare intorno a tale ispirazione. La carità è dono e grazia, dimostrazione di voler ricambiare il dono dell'esistenza ricevuto da Dio ai fratelli. 2) DECALOGO: LE DIECI PAROLE, CARMINE DI SANTE INTRODUZIONE Evento del Sinai: rivelarsi di Dio che lascia il creato senza fiato, consegna delle tavole a Mosé. L'uomo è impotente, Dio dice chi è e soprattutto cosa vuole. I 10 comandamenti sono il centro della rivelazione biblica, la sintesi concisa ed essenziale in cui si cela la grandezza del monoteismo ebraico. Alla luce del nuovo comandamento, le due tavole "Decalogo" o "Le dieci parole" sono dette "tavole della legge" o della "testimonianza", e sono continuamente ribadite: 1) Invito a Mosè da Dio a salire sul Sinai (Esodo) 2) Quando scende (Esodo) 3) Quando vengono infrante dal popolo in attesa di Mosè, che costituiscono "il vitello d'oro", simbolo delle divinità naturalistiche 4) Quando Mosé ottiene perdono da Dio. L'insistenza è sull'iniziativa di Dio a chiamare Mosè e la modalità di fissare le regole sulle tavole, opera di Dio: le tavole e la scrittura sono opera di Dio. La scrittura garantisce sicurezza e fedeltà, la pietra non è deperibile. La voluntas Dei si rivela, Mosè raccoglie e accoglie, ma è un evento che non proviene dalla storia. Chouraqui, scrittore ebreo algerino, ricorda che in Algeria i Comandamenti erano scritti in oro su tavole di legno, e venivano imparate a memoria. Numero e classificazione Deuteronomio: primo discorso che Mosè rivolge al popolo, sulla rivelazione del Sinai (o Oreb). Secondo discorso: ricorda l'alleanza tradita e ricostituita: arca di legno d'acacia, taglia due tavole di pietra su cui il Signore scrive le 10 parole. Non è facile testualmente risalire al numero 10: nel capitolo 20 dell'Esodo (prima formulazione del decalogo) e nel cap. 5 del Deuteronomio (2 formulazione) sembrano far pensare al numero 20. Secondo Filone d'Alessandria e Giuseppe Flavio, i comandamenti 3/4 e 10/11 si uniscono, e alla fine si formano 2 gruppi: 1) Gruppo 1-4: rapporto Dio-uomo 2) Gruppo 6-10: rapporto uomo-uomo. L'ebraismo ufficiale invece impone numerazione diversa, dividendoli in 2 gruppi di 5, e la tradizione cristiana accetta questo ma unisce i primi due e divide l'ultimo. A partire dal Concilio di Trento, alcune volte il testo nella tradizione cristiana viene semplificato, come il 3° comandamento "ricordati del giorno del sabato, per santificarlo" diviene "ricordati di santificare le feste". Contenuto e struttura Comandamenti: vincolo, ma assenza di costrizione: sono vera libertà e responsabilità per l'alterità umana e divina. Dio rivendica la signoria sull'uomo per inviarlo al prossimo, finendo alla giustizia sociale. Dio vuole l'uomo per sé per istituire tra gli uomini un vincolo d'amore di bontà, gratuità e disinteressamento. Per la Bibbia l'uomo è un essere per sé: non è socievole (Aristotele) o lupus (Hobbes). Nella lotta della vita "mors tua vita mea" si fuori-esce con il comandamento, ovvero il nuovo orizzonte della bontà per l'altro. L'uomo deve a Dio l'amore e anche al prossimo. 1° nucleo: amore uomo- Dio; 2° nucleo: amore per il prossimo. Nesso profondo tra i due: amare Dio è volere ciò che egli vuole, quindi amare il prossimo superando la logica dell'essere e della persistenza. Il rapporto con l'origine (padre e madre), la prossimità dell'altro (non uccidere), sessualità (non adulterio), con la parola (falsa testimonianza), con le cose (non rubare) e la potenza desiderativa (non desiderare). Amare Dio è farlo scendere sulla Terra. La tradizione ebraica mette 5 e 5 su due tavole, in modo che i comandamenti si corrispondano. "Io sono il Signore tuo Dio" - "Non uccidere": si mettono in relazione il teologico e l'etico, Dio è traccia nella storia. Uccidere un uomo è come uccidere l'io sono. Il testo Ci sono alcune variazioni tra tradizione ebraica e cristiana, e come detto, sono 2 le edizioni nella Bibbia dei 10 comandamenti: Esodo e Deuteronomio 1 ) IO SONO IL SIGNORE TUO DIO: la compagnia di Dio Prima parola: autoattestazione in cui si riassume l'evento esotico in cui Dio si rivela, liberando gli ebrei d'Egitto, stipulando un'alleanza e introducendoli in una terra fertile. L'idea rivoluzionaria è quella del Dio unico di tutti gli uomini, sovrano di tutto, che condensa monoteismo biblico-ebraico. Il Dio supremo, sta al di sopra di ogni destino e costrizione; non combatte con altre divinità, non sacrifica, non profetizza né pratica stregoneria: volontà divina libera che trascende ogni ente. Autodefinizione di "Signore" della singolarità umana, usando il "tuo". Signore dell'io che offre la liberazione dall'Egitto, idea nuova per 3 motivi: 1) Dio biblico che non si definisce in base a ciò che opera nel ciclo naturale, ma in base alla sua opera nella storia; 2) Dio si "schiera" con schiavi ed oppressi, è un partigiano che così libera anche gli oppressori, dall'incatenamento dell'io; 3) Si preoccupa dell'altro. L'essere di Dio non è per sé, ma per l'altro: non dà nemmeno un nome di sè. "Io sono colui che sono": non dà definizione antologica, sembra anzi sottrarsi da ogni definizione con volontà di non rispondere. L'irrilevanza del nome divino lo rende Presenza che sorprende: né nome ontologico, né dinamico. E' un nome-funzione, che si risolve nella promessa: sarà sempre con te. La compagnia. 2) NON AVRAI ALTRI DEI AL DI FUORI DI ME: unicità di Dio Dio è unico: affianca il cammino, stare di fronte a Dio vuol dire escludere ogni altro dio. Unicità di Dio sotto lo sguardo di Israele, unicità di Israele sotto lo sguardo di Dio. Il testo "shema Israel" è un brano del Deuteronomio, parte costitutiva della preghiera sinagogale, e contiene questo rapporto di unicità uomo-Dio. "Amerai il tuo signore con tutta l'anima e tutte le tue forze": il rabbino Munk scrive che queste parole sono la "professione di fede" che accompagnano tutta la vita del credente. Lo Shema è alla base, assioma di pensiero che dirige la volontà nella vita familiare e comunitaria, segno di riconoscimento che ha spinto i martiri a salire al rogo. Nello Shema Dio, attraverso Mosè, vincola a sé il volere di Israele: "Ascolta Israele" le parole che contengono la rivendicazione dell'amore esclusivo: amare un unico Dio e solo il proprio Dio. Dio vuole per sé il "cuore di Israele": unicità intensa, tanto che Rabbi Aqiba (135 d.C.) fa del suo martirio una celebrazione dello Shema. "Tu amerai l'eterno, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, la tua anima e le tue forze. Voglia di dare la mia vita per la santificazione del Nome. Pronunciando "ehad" (Uno) morì". L'unicità di Dio, ne vieta la rappresentazione e l'oggettivazione, che metterebbe in discussione assolutezza ed alterità: sarebbe la negazione di Dio che, soggetto e mai oggetto, irrompe nella coscienza, sarebbe un Dio "idolo" e quindi fasullo. Affermando unicità di Dio e vietandone la pensabilità e la rappresentazione, si istituisce assoluta e irriducibile alterità, irraggiungibilità dell'uomo. 3) NON PRONUNCERAI INVANO IL NOME DEL SIGNORE: timore o servizio di Dio Dio va nominato solo in preghiera: fuori dallo spazio dissologico (liturgico) del dialogo tra uomo e Dio, no. Perché? 1) Tradizione cristiana: il comandamento diviene soprattutto "non bestemmiare Dio", e la bestemmia (chiamare Dio o santi in causa associando a parole offensive", era punibile penalmente. Maledire Dio è mancanza di rispetto per il credente e forma di insofferenza anche per le autorità religiose; 2) Seconda interpretazione: "non giurare il falso": nome di Dio usato invano perché associato al falso, trasformando Dio (garante del vero) in essere menzognero, minacciando l'ordine del reale; 3) Avverbio "invano": "shaveh", al femminile forma "shoah", ovvero qualcosa di vano, situazioni in cui gli uomini non accedono più alla loro singolarità. Negando Dio, si nega il bene e si consegna il mondo a catastrofe e Shoah, dove regna la violenza (come Sodoma, città in cui tutti dovevano essere identici e c'è rifiuto della differenza); 4) Significato più vero: livello profondo, perché il testo originale sarebbe "Non portare il nome del Signore, tuo Dio, invano". L'uomo, per la Bibbia, è essere "ad immagine e somiglianza di Dio", non come essere, ma dialogicamente ed eticamente: è Dio che interpella e comanda l'uomo nella sua coscienza, dandogli possibilità di salvezza. L'uomo è il "portatore" di Dio, il battesimo ci rende Tempio dello Spirito Santo. L'uomo biblico vede Dio come suo partner e luogotenente: è "Teofoto", e se porta invano questo nome significa che si fa promotore di ingiustizia (prima grande offesa a Dio) e di violenza. Spesso nella storia l'uomo ha fatto violenza in nome di Dio (crociate, inquisizione, nazismo), e Chouraqui dice che questo è un modo scandaloso di usare il nome di Dio. Cio che "offende" Dio è l'ingiustizia che ne "vanifica" il nome, ed offesa nell'offesa è servirsi del suo nome per legittimare l'uso della forza. Non sarà mai possibile vietare la violenza, e infatti il comandamento ne vieta la sacralizzazione, in modo che, ricondotta alla sua nudità di forza bruta, potrà essere sconfitta più facilmente. 4) RICORDATI DEL GIORNO DEL SABATO PER SANTIFICARLO: legge della gratuità Dieci comandamenti: sono formulati in negativo, questo ed un altro no. La dizione cristiana lo rende "santificare le feste": sabato, "shabbat" in ebraico, è la categoria rappresentativa della concezione ebraica del reale: Dieci Comandamenti, in qualsiasi tradizione, sono resi facilmente con vocaboli equivalenti, tutti tranne Shabbat, che non ha traduzione in altra ligia, Sul piano del lessico: "cessare" o "interrompere l'azione che si stava compiendo", quindi sospensione del lavoro e riposo, ripreso oggi anche con il termine periodo sabbatico. Quindi Dio istituisce per Israele uno spazio oltre e altro dal lavoro: divieto di non lavorare contenuto nel trattato Shabbat, che precisa le attività da evitare: uso degli strumenti, accensione fuoco, cucina,… il senso non è la necessità del riposo, ma affermazione che l'uomo è oltre e altro dal lavoro, dall'essere "produttore". Lavorare vuol dire scoprirsi dotato di "potere": il divieto è quindi di ridursi ad un soggetto di potere, con l'alienazione dell'umano, perché non è rappresentato da ciò che fa, ma da ciò che è fatto da Dio, che si china su di lui e si prende cura dei suoi bisogni. Era quindi riduttiva la distinzione fatta (fino al Vaticano II) tra lavori materiali, proibiti, e intellettuali, raccomandati: la vera discriminante è tra chi vive come "soggetto di potere" e chi vive come "oggetto di grazia e gratuità". L'orizzonte di grazia è senso ultimo del sabato. Nel mondo di oggi del consumismo, la gratuità è un gesto insolito, rivoluzionario, contraddice il sistema. 1) Nel Deuteronomio, l'osservanza del sabato è motivata dall'Esodo: ricordarlo è ricordare l'amore di Dio disinteressato, che libera e nutre l'uomo conducendolo sul Sinai per l'alleanza e donare la terra dove scorre latte e miele. Nel Deuteronomio, quindi, fare "shabbat" è ricordare di quanto Dio ha fatto ad Israele in Egitto, ricordare la gratuità divina. 2) Nell'esodo "il Signore si riposò nel giorno settimo. Benedisse lo shabbat e lo santificò". Sabato fondato non sulla liberazione ma sulla creazione, intesa non come Dio che pone in essere il non essere, ma che libera il mondo dal caos, per essere imitato. Dio fa shabbat movimenti gay, ma è giudizio critico della concezione della sessualità ridotta a piacere. La fecondazione artificiale mette in gioco desideri onnipotenti, la vita viene colonizzata con interessi speculativi dalla biogenetica: fluisce fuori dai corpi, ma anche dai pensieri e dalle responsabilità genitoriali. La sessualità è mistero, gratuità e dono. L'accoglienza e responsabilità trova una soluzione alla contraddizione sulla sessualità di Freud, dell'io come fine a se stesso e come anello di una catena. CONCLUSIONE: ragione ultima della sessualità, nella Bibbia: dono da accogliere e ridonare responsabilmente, contro la concezione naturalistica che la vede come una cosa spontanea, contro la concezione dualistica che la vede come asservimento al razionale: la sessualità è partecipare alla gratuità di Dio che, associando l'uomo al suo essere creatore, ne fa co-creatore di riconoscenza e di responsabilità. 8) NON RUBARE: gratuità e proprietà Proibizione del furto e dell'appropriazione indebita. Secondo Marx, l'alienazione umana nel "Manifesto Comunista" del 1848, è legata ad un antagonismo tra borghesia e proletariato che produce sofferenza negli oppressi. Per la Bibbia, la volontà di appropriazione colpisce tutte le classi sociali, riguarda la soggettività umana, il cuore degli uomini. L'alienazione come volontà di appropriazione per la Bibbia è la costituzione dell'io come "proprietario", perché nega lo statuto di creatura a cui tutto è dato gratis. Adamo si fa ingannare, rifiuta il padre commettendo l'ingiustizia originaria; Caino instaura il regime del terrore, imponendo agli altri il rispetto e seminando violenza. Quindi ingiustizia suprema è negare la gratuità. Dio ordina: "voi siete presso di me stranieri e inquilini". L'interpretazione non è che l'uomo ha la sua patria altrove ed è un estraneo sulla terra, perché renderebbe impossibile conciliare uomo e mondo. Nella Bibbia, in Israele l'uomo è straniero perché non può rivendicare diritto di possesso: è ospite, "inquilino". L'io ha tutto senza possedere nulla: l'ospitalità annulla la logica dell'appropriazione, illumina lo splendore del dono disinteressato. Passare da schiavi a liberi è passare da un modo di essere concentrati sull'io ad uno di essere centrato sull'altro. L'uomo è ospitato gratuitamente sul mondo, venire al mondo è nascere e bisogna ringraziare. Il divieto di non rubare quindi è rivolto in primis a Dio, perché il suo dono è per tutti: non si ruba ciò che è stato dato gratis. Non è un comandamento che ordina il rispetto della proprietà privata, ma anzi la mette in crisi: del mondo Dio è l'unico proprietario, mentre ogni altro re o imperatore è al massimo amministratore. Dio dà ricchezze per il servizio dei fratelli: la proprietà, di fatto, è modalità di un rapporto più profondo con i beni, dove chi ne è proprietario è solo amministratore. Chi ha, ha dovere di donare agli altri. Senso autentico della proprietà: denuncia come ingiustizia e violenza ogni accumulo di violenza non intenzionata alla solidarietà, perché possedere il gratuito è assurdo, il solo possibile atteggiamento è riconoscenza e responsabilità. 9) NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA: gratuità e parola La Bibbia sottrae la parola alla menzogna e la pone a servizio della verità. Nessuna società può sussistere senza il vincolo della parola data: ogni parola degraderebbe a semplice suono, e causerebbe disgregazione sociale. La verità biblica non è quella aristotelica per cui c'è corrispondenza tra ragione e cosa: la verità biblica è fedeltà e misericordia. "Tannè" ebraico per "non risponderai constro il tuo prossimo da testimone di menzogna": secondo Ouaknin, il senso è non utilizzare la parola per far soffrire l'altro. La parola ha potere malefico: indiscrezione, pettegolezzo, falsa testimonianza: idolatria, incesto ed omicidio sono meno rilevanti della maldicenza. La verità della parola non è adeguarsi all'oggetto, perché per benevolenza può essere violata, come chi mentiva nella persecuzione nazista degli ebrei, dichiarando di non sapere dove fossero nascosti. La parola è etica, instauratrice di relazione e misericordia: se pronunciarla diviene un impedire la comunione invece che favorirla, diverrebbe menzogna etica incarnata in sincerità verbale. La parola può farsi menzogna anche nella rilettura della storia, come i "revisionisti" che si sforzano di dimostrare che le vittime del nazismo sono una menzogna, approfittandosi del clima di disillusione odierno e della tendenza a mettere tutto in discussione. Contro la tentazione di falsificazione della parola umana, vigila la parola divina che comanda di non rispondere "contro il tuo prossimo rivolgendogli contro la parola". Verità della parola= essere ponte di comunione tra umani perché circoli l'amore di Dio. 10) NON DESIDERARE: gratuità e desiderio Regolamentazione del desiderio per la donna e per oggetti e valori. Nella tradizione cristiana il comandamento si divide in due, in quella ebraica (qui seguita) è un unico comandamento, che vieta desiderio di: casa, moglie ed altro del tuo prossimo. Il Deuteronomio non mette però la donna sullo stesso piano della casa: prima pone il divieto di desiderare moglie del prossimo. Questo divieto, comunque, è paradossale: mette in discussione ogni visione romantica di desiderio pacifico e liberatorio. Per Girard, il desiderio non è beato accesso alla felicità e benessere, ma fonte di risentimento in cui l'altro è colui al quale l'io diviene ostile. Nel saggio "Vedo Satana cadere come le folgore", espone il suo pensiero controcorrente per cui esiste nella Bibbia una concezione originale del desiderio e dei conflitti da essi generati. I comandamenti dal sesto al nono sono semplici, brevi, vietano violenze gravi. Il decimo è lungo, proibisce un desiderio: il desiderio in sè. Nel Discorso della montagna, Gesu già annunciava che chiunque guarda con desiderio una donna è al di fuori dell'orizzonte dell'amore: annuncio biblico radicale, che contraddice concezioni metafisiche (desiderio come via all'assoluto) e antropologiche (pienezza dell'umano) tipiche della società dell'eros. La ragione del divieto, per Girard, è nel nesso tra desiderio e violenza. Struttura mimetica del desiderio: l'io desidera ciò che l'altro desidera, quindi tutti sono desideranti rivali, ed individuano un debole su cui scaricare l'aggressività prodotta. La ragione non è nel soggetto desiderante o nella cosa: sta nel fatto che a desiderarla è l'altro. La fonte della violenza è la rivalità: questa poi diviene falsa testimonianza, furto, adulterio e omicidio. L'ultimo comandamento, quindi, smarcherà queste forme di violenza e riconosce nel desiderio l'elemento scatenante delle violenze proibite nei quattro comandamenti precedenti. Il Decalogo proibisce prima le azioni violente, poi la causa: desiderando tutti la stessa cosa, si producono odio, invidia, conflitto e violenza. Per la Bibbia, però, l'io si costituisce da sé soggetto violento quando prova volontà di dominio. Un esempio è un midrash (spiegazione rabbinica) della ragione per cui Caino uccide Abele. Per il primo maestro perché Caino dice "La terra è mia"; per il secondo "questa donna è mia"; per il terzo "questo tempio è mio". Alla radice comunque c'è volontà di possesso, trasformazione in "mio" di ciò che non può essere mio perché dono di Dio. Oggettivare una donna e un tempio. Vietando di desiderare: si sottrae il mondo all'ordine del possesso, restituendolo all'ordine di gratuità dove il Padre chiama l'io a fare altrettanto. Impossessarsi è contraddittorio: il desiderio va ricondotto alla sua verità originaria, la bontà di ogni essere è prima dell'uomo e per l'uomo: l'orizzonte del gratuito, così, fonda il desiderio sull'amore gratuito e disinteressato. Nel libro della sapienza, Salomone confessa di aver fatto una scoperta rispetto al quale le ricchezze sono nulla e non c'è gemma eguagliabile: per la Bibbia questa è la gratuità divina, da desiderare più di salute, bellezza e luce: sapienza della gratuità come paradigma dell'essere è scoprire una luce il cui "splendore non tramonta mai". APPROFONDIMENTI 1) Comandamento e libertà Il Dio biblico si rivela come comandamento: è scandaloso per chi fa coincidere libertà ed autonomia. Il comandamento, però, è potenza capace di instaurare la libertà: dono della Torah come dono più grande, paragonato ad una colomba, che venne creata e in seguito Dio donò le ali: Dio dona la Torah perché sia ciò che porta l'uomo, come le ali permettono di volare. Chiarificazioni: 1) Soggetto del comandamento: Dio, solo: ogni altro è un usurpatore. Affermare la signoria di Dio è sottrarre l'uomo al dominio e aprirgli lo spazio della libertà: 2) Contenuto del comandamento: amore per il prossimo, non amore di desiderio che tende all'altro, ma amore di alterità come libera scelta e volontà di bene; 3) Concetto di libertà, mito fondante della modernità: l'uomo, dimentico di essere stato generato, concepisce la libertà come spontaneità, ma la Bibbia la intende come decisione, non tra le infinite possibilità dell'io, ma come decisione tra io e Dio, tra desiderio e nuovo orizzonte di gratuità e bontà: la libertà così diviene valore appagante, slegamento da se stessi che, libertà come amore finalizzato all'altro e quindi responsabilità. L'annuncio di un umano dove l'io non è più parola prima: prima c'è l'Altro con la sua Parola, un comandamento che non è limite ma affermazione che l'umano è chiamato alla bontà e preceduto dalla Bontà: Bene prima dell'essere. 2) Comandamento e dignità Per la saggezza indiana, la salvezza consiste nel porsi all'ultimo posto, ma questo per l'uomo è impossibile: prima che nella volontà dell'uomo, la volontà divina ha creato l'uomo "poco meno di un Dio", con "tutto sotto i suoi piedi: armenti, bestie, uccelli, pesci". Però sarebbe un errore interpretare questa signoria come volontà di potenza: per la Bibbia è possibile solo attraverso il comandamento di amare, che istituisce la dignità che per l'ONU (Dichiarazione dei Diritti del 1948) pone come fondamento stesso dell'umano. La dignità per la Bibbia non si individua oggettivamente o razionalmente: si iscrive nel comandamento, che si incarna nel volto dell'altro e nel suo bisogno: si rivolge all'io rendendolo responsabile, facendo percepire l'altro come assoluto indisponibile con bisogno di pane e perdono: va colta la povertà e la miseria, la responsabilità nei confronti dell'altro, che pone la dignità umana sempre come dignità relazionale, una forza imperativa di bontà. Ciò vale anche per i valori, ciò che nell'uomo sempre vale e permane: assoluto bisogno dell'altro. Oggi non siamo in una crisi di valori, ma in una crisi dell'io: il valore rende l'io responsabile, e appartiene alla decisione dell'io la sua esistenza. Da Westerbork, campo nazista, la prigioniera Hillesum scrive: "non esiste nesso causale tra comportamento delle persone e amore che si prova per loro… l'amore è come un ardore… qui di amore non ce n'è molto, eppure mi sento ricca". Tutti si sono ritrovati d'accordo nel formulare la lista dei Diritti, ma non bisogna chiedersi perché: i valori non esistono in sé, ciò che li fa esistere è il comandamento a farli esistere. 3) Comandamenti e nuovo testamento Idea diffusa vuole che la morale dei comandamenti sia stata superata da quella cristiana del perdono. Questa contrapposizione tra legge e amore, tra ebraismo e cristianesimo, secondo Lattes, è un'invenzione dei secoli, che concepiscono la Legge come schiavitù. Eppure il popolo ebraico non coglie la Torah come peso, ma anzi intende la dolcezza e la gioia della sua esperienza, come Schetcher (rabbino inglese) che precisa che da un lato alcuni decantano questo peso, dall'altro abbiamo la testimonianza di 25 secoli di gioia, felicità, vita e morte sotto la Legge. Le ragioni della contrapposizione sono molteplici, tra cui: - Discorso della montagna: oggi gli esegeti concordano sul fatto che l'affermazione delle tesi di Gesù con antitesi alle leggi ebraiche non vanno intese come contrapposizione, ma come riconferma: la discussione di Gesù appartiene alla metodologia della discussione magistrale dialogica, che scaturisce da un comune amore per la Sacra scrittura, senza volontà di demolire l'ebraismo; - Lettera di Paolo ai Galeti: il linguaggio con cui "maledice" l'ebraismo non va inteso alla lettera: non polemizza contro la Legge dell'Amore, ma contro l'uso formale e strumentale che se ne fa, e la rinnega così nella sostanza più profonda. La rilettura cristiana dei testi giudaici come strettamente lealisti è sbagliata: l'ambivalenza della legge, come precetto e dono salvifico, è un dato costitutivo della tradizione giudaica. destino dell'essere umano dipende dal rispetto dell'umanità del proprio fratello: è importante autocontrollo e gentilezza. L'aggressione annulla la comunicazione e la vita. 2) Riconciliati con tuo fratello prima di portare doni all'altare, mettiti d'accordo con l'avversario perché tu non vada in prigione: offrire doni a dio è mostrare amore nei suoi confronti, ma se c'è un problema con un fratello: - lasciare il rituale; - dirigersi alla persona per riconciliarsi. Riconciliazione= divenire qualcosa di diverso, volontà di pacificazione. Mettersi d'accordo con l'avversario implica il riconoscimento delle proprie responsabilità; 3) Non commettere adulterio; se il tuo occhio destro è occasione di scandalo, cavatelo, come la mano destra; chiunque ripudia sua moglie, commette adulterio: adulterio= ingiustizia verso la donna, il cuore è sede delle decisioni esistenziali, e riconoscere l'altro come un "tu" rifiuta di pensare l'altro come una merce o come partner: non si deve dominare. La rinuncia ad occhio e mano destra sono indispensabili piuttosto che perdere la propria interiorità. Il salto di qualità è, inoltre, la questione del ripudio della moglie, che vuol dire "rispedire al mittente". Ma non c'era riferimento preciso a cosa motivasse il ripudio. Miglior giustizia= conservare il legame, per la difesa delle possibilità esistenziali della donna. L'unico atto illecito è l'atto di "porneia", flagrante adulterio o parentela tra i coniugi o l'origine straniera (non ebrea) e rapporti extramatrimoniali. Nell'ambiente di Matteo c'era preoccupazione dell'unità del matrimonio e della sua "santità" reale: un matrimonio senza uso legittimo della sessualità non è ammissibile; 4) Non spergiurare, anzi non giurare assolutamente: ogni giuramento è aggiramento dell'importanza e del ruolo divini. Il riferimento a cielo, terra, gerusalemme vanno evitati: si strumentalizzerebbe la potenza di Dio, quindi bisogna preservare la santità da ogni indebita chiamata in causa. Non è vietare i giuramenti, ma vietare che si trasformino in infedeltà. Nell'esprimersi umano è un alternativa netta: vero "si" o vero "no" in azioni, parole e pensieri, senza ambiguità e ambivalenze: la giustizia si declina nella chiarezza di comunicazione. La parola, ascoltata e detta, è principio della vita: un rapporto diretto con il male è conseguenza di un modo di pensare ed esprimersi al di la delle trasparenze; 5) Occhio per occhio… anzi, non seguire la logica del malvagio: il corretto equilibrio relazionale non è sufficiente per Gesu. Bisogna rompere il circolo vizioso di violenza, fare azioni radicalmente diverse dai malvagi: in situazioni quotidiane (il testo fa riferimento a un manrovescio, che chi lo commetteva doveva pagare una multa perché era un colpo umiliante; poi al fatto che durante un processo la tunica andava tolta: si dice di privarsi anche del mantello; se qualcuno costringe a fare un miglio, Gesu invita a farne due). Si rifiutano atteggiamenti con scopo di manifestare gratitudine alla misericordia perfetta di Dio, riconoscimento dello spirito di gratuità e della logica del dono. Gesù intende aprire una strada per opporsi alla malvagità, resistere all'oppressione senza emularla, neutralizzare il nemico senza esserne distrutto; 6) Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico… anzi, amate i nemici e pregate per i persecutori, o sareste come i pubblicani: siate perfetti come il Padre: morale giudaica è distinguere amici e nemici. Gesu invita alla componente positiva: scegliere la via dell'amore disinteressato e intenso (agapè) verso i nemici, declinando l'amore e domandando a Dio il bene dei persecutori. Opinione con fondamento: acquisire la consapevolezza che possono divenire figli di dio e partner del signore: la figliolanza divina è data da amore e preghiera, che può innescare un processo di cambiamento. Dio rispetta la libertà umana e fornisce a tutti le stesse caratteristiche ambientali di fondo; i profili morali possono essere giustizia e bontà o malvagità e ingiustizia, ma non dipendono dal creatore. Pubblicani e pagani possono essere superati, si può raggiungere l'altezza morale di Gesu con un amore fattivo e quotidiano, essenziale dell'umanità di ciascuno. Apertura del cuore a chi è ostile: l'amore per il nemico è un altro nome per dire Dio. Piena relazione con Dio è ricercare la perfezione, essere e agire del padre sono la motivazione di una scelta etica che è puro esercizio di giustizia verso dio e i propri simili. La chiamata di Gesù alla perfezione è chiamata alla pienezza di vita= massima positività nei due rapporti fondamentali della vita cristiana: con il padre e con i propri compagni. 4) PREGARE PER DIVENTARE GIUSTI Pratica della ritualità giudaica: vanno rivisti alla radice del cammino verso il regno 1) Non praticare giustizia per dare spettacolo, non avrete ricompensa: elemosina segreta= ricompensa dal Padre; preghiera segreta, digiuno nel segreto: praticare la giustizia per puro esibizionismo è al di fuori della relazione con il creatore: elemosina, preghiera e digiuno sono eventualità che vanno vissute oltre l'ipocrisia, senza ostentazione, perché squalifica il gesto stesso. La segretezza dell'elemosina è necessaria per evitare l'umiliazione del destinatario e fondamentale per la consapevolezza dell'agire: non avere testimoni garantisce la serietà e l'effettualità del rapporto. Digiuno= dimostrare capacità di astenersi dal cibo, quindi dalla materialità anche più necessaria: lo sguardo di Dio ci segue, serve autenticità di scelta, con preghiera intima e senza calcolare la ricompensa, perché Dio riconosce la bontà delle scelte umane. 2) Brano centrale del Discorso della montagna: Padre nostro. Fa della relazione con il divino l'arte portante di qualsiasi riflessione: pregando non si devono sprecare parole come i pagani, che si rivolgono alla divinità per appropriarla ai suoi desideri e bisogni. I destinatari della parola di Gesù sono chiamati ad entrare nel progetto di Dio. Il signore non deve essere persuaso ad interagire con gli uomini con molte parole: il divino è consapevole delle necessità umane. I testi ebraici sono: - Qaddish: recitato nella liturgia sinagogale; - Preghiera delle 18 benedizioni: I secolo d. C, sempre recitato nella liturgia sinagogale ordinaria. Testo cristiano del Padre nostro: contiene due dimensioni interagenti e successive: - aspettative circa Dio Padre e la venuta del Regno; - richieste relative ai bisogni umani fondamentali. Prima di chiedere a Dio di rispondere a necessità umane, l'individuo è invitato a porsi in relazione filiale con il Padre. a) Padre nostro che sei nei cieli: comune identità di figli. La collocazione spaziale ha 4 aspetti: trascendenza divina; distinzione dal Creato; dominio sulla terra; ammirazione degli umani. La paternità dell'individuo è della comunità, "noi" e "nostro", universalità e fraternità nell'amore di Dio; b) Sia santificato il tuo nome: l'identità di Dio è presenza senza limiti, benefica a vantaggio dell'umanità. Accettare è chiedere al Padre di avere le capacità per riconoscere la sua bontà. Creature invitate a chiedere di saper vivere la pienezza dell'alleanza con Dio del Sinai: ricerca della giustizia in ogni relazione della vita; c) Venga il tuo regno: auspicio della realizzazione del regno di Dio. La preghiera è progressiva realizzazione nella storia. Per Gesù il regno di Dio è forza già ora percepibile; d) Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra: volontà come influsso di vita che dona esistenza e la rinnova: collaborazione umana all'attuarsi del divino attraverso la decisione degli individui che la presenza umana nel mondo non è di chi crede di essere di fronte ad un tesoro da sfruttare. Chi recita il Padre nostro invoca che la realizzazione raggiunga pienezza in Lui e in Noi; e) Dacci oggi il nostro pane quotidiano: idea essenziale, senza aggiunte: interpretazione materiale e simbolica; f) E rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori: Dio stabilisce amicizia con gli esseri umani. Il perdono accordato è condizione del perdono divino o la conseguenza? Il "come" significa "nel modo in cui": chi prega chiede di entrare nella dinamica di relazione gratuita di Dio, è eticamente ancora inadeguato; g) E non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male: l'allettamento del male esiste: chi sceglie Dio non esenta gli umani dal cedere dal male. Dio può divenire destinatario di chiedere di sottrarre al male. L'accezione maschile allude all'autore fondamentale del male. CONCLUSIONI: sei richieste, con elemento di giunzione la richiesta del pane. Gli ultimi due versetti sono culmine della relazione con Dio: non c'è certezza ma eventualità che il perdono diventi prassi quotidiana degli esseri umani. Le cadute etiche trovano perdono di Dio in relazione allo spazio che il singolo dà al modo accogliente di relazionarsi agli altri. Non si tratta di cercare una nuova tecnica "cristiana" per fare beneficenza, pregare o digiunare, ma di una nuova libertà per reimpostare con creatività il rapporto con Dio e i simili. Le comunità materne si contrappongono all'ipocrisia religiosa: - ipocrisia: rischio latente; - ogni avvenimento quotidiano è invito a prendere parte alla logica del bene; - preghiera cristiana: non funzione di domandare il necessario al divino: è atto verbale con cui l'uomo riconosce e confessa la misericordia del padre. La richiesta del pane al centro è il necessario per vivere: non si chiedono prima "cose grandi": si parla a Dio partendo dall'uomo, si parla dell'uomo partendo da Dio. Altri luoghi del nuovo testamento: agonia di Gesù: non si sa se Marco influenza Matteo, ma c'è reciproca forza di attrazione che arricchisce le parole. Anche nel vangelo secondo Giovanni, Lettera agli Ebrei ed alcune di Paolo delineano il rapporto senza eguali di Gesu e Dio e la crescita della familiarità degli umani nella fratellanza con Gesu e Dio come padre di tutti. 5) BENE DELLA GIUSTIZIA 1) Non accumulate tesori sulla terra, ma nel cielo: dov'è il tesoro, sarà anche il cuore: conservare i beni solo incorruttibili; 2) Lucerna del corpo è l'occhio: che sia chiaro, non malato o il corpo sarà tenebroso: secondo la concezione giudaica, la luce entra dall'occhio e si diffonde nel corpo: luce e oscurità sono le metafore della condizione umana. Se la fonte di luce è l'oscurità, la situazione dell'individuo è tenebrosa in 2 modi: occhio ed intenzione decidono della luce e delle tenebre; 3) Non potete avere come servo sia Dio che Mammona: donarsi totalmente a "beni materiali, denari e ricchezze" è alternativo a Dio, che occupa in modo totale la vita umana: il problema della ricchezza e delle tentazioni ha 3 direttrici: - in rapporto a Dio: idolatria; - in rapporto agli individui che si affannano ad accumulare: vanità; - in rapporto agli altri: oppressione. Gesù afferma che la corrispondenza tra apertura a Dio e chiusura all'esclusività del tesoro sulla terra è impegno di fondo nella vita: tesoro scelto, occhio posseduto, padrone accettato. Non è contrapposizione tra grandezze ma soggettiva; 4) Non affannatevi per mangiare, bere, indossare: gli uccelli non seminano ma il Padre li nutre; i gigli nel campo non si vestono. Il padre sa di cosa avete bisogno: cercate il regno di Dio e troverete queste cose: genuinità economica del Gesù storico: necessità fondamentali, ma la vita vale di piu. Azione maschile di seminare - uccelli; filare - gigli: imponibilità umana di variare l'estensione della vita e superiorità degli umani rispetto al resto, apice dell'attenzione positiva del Creatore. Chi è miscredente cede a queste preoccupazioni. Gesù è certo che il padre sia conscio delle necessità per la personale esperienza e per le occasioni di preghiera. Le preoccupazioni materiali sono da considerare, ma bisogna vivere giusta relazione con gli altri e con i beni terreni. I discepoli devono abbandonarsi alla fiducia, lasciando preoccupazioni: necessarie sono la cooperazione con Dio allo sviluppo della realtà e la necessità di procurarsi il sostegno essenziale alla vita; 5) Non affannatevi per il domani: ogni giorno ha la sua pena: relazione Regno-giustizia: sottomissione a Dio e disponibilità ad obbedirgli sono impegno totale dell'essere umano, NASCERE ALLA VITA: dallo stupore di esistere ad un senso per vivere Nascere e morire sono accadimenti in cui si svela per il credente un senso per l'esistere, si determina una prospettiva per la comprensione di sé da parte dell'uomo. Sono esperienze degne di significati, elaborati dai credenti di ogni tempo, e ciò è importante oggi, in cui c'è una percezione debole del senso della vita, poiché si dà valore assoluto al sapere tecnico- scientifico, precludendosi l'accesso alla sapienza delle tradizioni religiose. Anche la scienza bioetica pare fare una riflessione operativa che rischia di occultare la profondità degli eventi di generare, essere generati, patire e morire. Giovanni Paolo II, nell' Evangelium Vitae del 25 marzo 1995, scrive: "l'uomo non riesce più a percepirsi come "misteriosamente altro"… si considera come uno dei tanti esseri viventi, organismo ristretto nella sua fisicità che non è più capace di lasciarsi interrogare sul senso della sua esistenza e si preoccupa solo del "fare"…: programmare, controllare e dominare la nascita e la morte. 1) Atrio dello stupore: risuonare del mistero della vita Stupore: originale dimensione affettiva con cui s'inaugura l'interrogarsi dell'uomo sul proprio intimo e sul divino. Non è banale cultura di affetti, sensazioni o ricerca di esperienza: stupore e affetto sono l'essere colpiti da una realtà in cui l'origine è ignota, sulla quale l'uomo non ha padronanza. Si inaugura una riflessione per scoprire l'esperienza originaria della vita. Chiodi afferma che l'esperienza del nascere è un debito radicale, che istituisce come "in relazione agli altri". Nascor, dal latino, indica una forma passiva, che sarà radice di ogni attività. Nel Salmo 139 c0p l'inutilità di fuga dalla generazione: fin dall'origine c'è uno sguardo di un altro, quello dei genitori, carico di desiderio, in cui si annuncia lo sguardo di Dio: è già presente dalla nascita la relazione con Dio, che dà senso all'esistenza. Nascere come figli, creature di Dio: intuizione originale che forma l'itinerario di riconoscimento del senso dell'esistenza, in cui il ruolo cardine è da dare ai primi capitoli della genesi. 2) Uomo come "immagine e somiglianza di Dio" Capitolo 1, Genesi: uomo come "cosa bellissima-buonissima" e "immagine e somiglianza di Dio". Oltre al nesso con Dio per il pensiero razionale, il senso sta nel fatto che l'uomo è destinatario di una relazione particolare con Dio, che separa l'uomo dalle altre creature. Uomo custode, interprete e interlocutore della "parola", con cui Dio crea il senso delle cose che si riflette sulla sua struttura particolare e trova esplicitazione nella "signoria ministeriale" dell'uomo sulle realtà. - immagine, "selem": richiama la continuità tra Dio e l'uomo, sua icona; - somiglianza, "demut": distanza da Dio. L'accorgersi stupito dell'essere nato grazie all'iniziativa di altri si precisa nella Genesi: meraviglia di essere stato creato come vivo riflesso dello splendore divino, ma anche distanza da Dio per l'avere un inizio e una fine. Essere creati è il primo evento di una storia punteggiata dall'intervento di Dio (alleanza), ma resta affidata all'esercizio della responsabilità. La bontà del mondo non è automatica: serve obbedienza e libertà. Nascere inaugura una storia di libertà vissuta con Dio, donata come condizione di ogni possibilità, ma va protetta e tutelata fino alla maturità: già nel neonato, in quanto figlio, si riconosce dignità umana. 3) Vivente tra cielo e terra: "polvere" e "alito di vita" Capitolo 2: racconto creazione uomo e donna, che ugualmente insiste sulla tensione tra uomo e altre creature: l'uomo non è un Dio, ma non è riducibile ad un animale. E' una creatura perché plasmato con la polvere, (Adam, da adamah, "terra"), ma Adam richiama anche "dam", sangue, elemento in cui risiede la vita. Gli animali possiedono uno spirito di vita, "ruah", mentre agli uomini è dato l'alito divino, "neshamah", luce interiore divina che illumina l'uomo e lo rende dotato di coscienza, consapevolezza dell'agire: la persona è collegata a Dio con la coscienza. L'essere creatura è un limite, ma rappreenta luogo in cui l'uomo comprende il suo dipendere da Dio e respirare la sua vita: nasce per morire, ma è punto di partenza per la comprensione della trascendenza della vita umana. 4) Distorsione del senso del limite della vita Capitolo 3: differenze tra lettura ebraica, di Paolo e della dottrina del "peccato originale", ma noi ci occuperemo solo di approfondire il concetto di "limite". Prima della trasgressione dell'interdetto divino, il limite (uomo e donna come realtà terrestri e parola di Dio che proibisce di mangiare il frutto dell'Albero), non si comprende il limite come realtà frustrante: segnala che il limite creaturale è lo spazio delimitato in cui uomini e donne sperimentano relazioni buone ed appaganti. Il serpente è passamano del limite ontologico e radicale: mangiare del frutto per non morire, significava colmare la distanza tra uomo e Dio. Solo dopo aver mangiato il frutto il limite appare negativo, un confine soffocante, e non più come luogo di apertura dell'io a mettere in atto relazioni positive con gli altri. La ripresa cristiana non vuole superare questi concetti, ma arricchisce il testo antico, già con la "Lettera ai Romani" di Paolo, che coglie il rapporto tra il primo Adamo, datore di morte, e l'ultimo Adamo, Cristo datore di grazia e giustificazione. Anche nella Lettera ai Filippesi, Paolo riporta che Adamo, spinto dalla "pretesa di essere come Dio", volle impadronirsi dell'uguaglianza con lui; Gesù, invece, obbedì a Dio fino al dono di sé con la morte in croce. Cristo ci dona sé come vita eterna, compimento di una promessa iscritta da sempre nell'opera creatrice di Dio. 5) Apparire alla vita del primo e di ogni figlio Dopo la cacciata dal giardino troviamo una ricca trama di genealogie con cui si connette la nascita allo sviluppo della storia dell'umanità e delle alleanze tra Dio e l'uomo. La nascita di Caino, nella Bibbia, vede grande attenzione al senso celato dietro questa generazione. Eva grida di stupore: "ho creato un uomo con il Signore". La nascita di un uomo trascende l'unione sessuale dei genitori: la vita è dono di Dio, il figlio ha dignità e indisponibilità. Significato: c'è responsabilità umana di vivere la propria vita come dono divino. Nascere (come morire) è luogo in cui trovare una dimensione che trascende l'essere umano biologico: sono eventi in cui si annuncia l'opera di Dio. Karl Barth ribalta l'assioma di Cartesio "cogito, ergo sum", affermando: "cogito, ergo sum": sono pensato e dunque sono. Essere conosciuti da Dio e quindi amati, si spinge oltre dalla nascita: nascere, per la sapienza biblica, comincia nel grembo, in cui viene tessuta l'esistenza sotto lo sguardo di Dio (Salmo 139, forte lirismo). Le azioni attribuite a Dio sono "tu hai formato i miei reni", verbo "qanah", lo stesso con cui Eva parla della sua maternità: un atto di libertà, e non una costrizione dell'uomo-marito-padre. Dio che "crea" e forma le "reni, sede nella simbologia corporea degli impulsi più intimi dell'uomo. "Sei tu che mi hai tessuto": allude all'opera raffinata di una tessitrice: il verbo "shkk" ebraico contiene anche senso di "protezione": fare e custodire, corpo come veste regale che forma nella profondità della terra, immagine della maternità in cui si compie la gestazione. La realtà embrionaria è resa con il termine "golmi", che evoca qualcosa di arrotolato, che si distende progressivamente sotto gli occhi di Dio nel corso del tempo della gestazione. La dignità si salda già nella forma iniziale della vita umana: prima di poterlo scoprire con la propria ragione, è già essere riconosciuto da Dio. Non si tratta di un destino ineluttabile che pesa sulla vita dell'uomo, ma di una relazione di conoscenza fatta di amore. Dio è per lui scaturigine di vita e spazio di libertà. Possiamo accostare un altro brano sapienziale biblico: oltre alla creazione come tessitura e vasaio (Dio che plasma l'uomo), Giobbe esclama di essere stato creato come latte cagliato per preparare il formaggio, quando protesta per la sua malattia e sofferenza. Il respiro di vita e l'opera di Dio restano un mistero, resta impossibilità di ridurre ad evidenza empirica il segreto di ogni vita. C'è una legge radicale dell'esistere umano, per cui la vita anticipa la coscienza: lo stupore precede la ragione, perché noi non nasciamo per opera nostra ma da altri: la consapevolezza verrà dopo, all'inizio siamo nel pensiero dei genitori nelle veci di Dio. La nascita non è fatto biologico, ma presenza di un essere protetto fin dagli inizi. Il pensiero di Dio è insondabile, pari al "mistero del grembo": dobbiamo abbracciare la speranza, affinché l'amore di Dio si compia in ognuno di noi. Nel giorno in cui si determina la nascita di un essere umano, per il credente è un fatto legato alla carne e a Dio. La fede che spera è chiamata a fermarsi, con desiderio che lo sguardo di Dio continui a penetrare ogni vita. Il buio avvolge nascita e morte, Dio penetra questo buio con la sua luce. La tradizione legge il mistero dell'irrompere della vita come dono divino, che non porta ad un imperativo morale, ma rappresenta un documento alla qualità della vita dell'uomo. Sapersi creatura e figlio sono parte della consapevolezza che nel rapporto madre/bambino, Dio è presente e permette la costruzione della relazione tra i due: "conosce" la sua creatura fin dal concepimento e anche da prima, perché essere concepiti vuol dire essere conosciuti da Dio ancor prima di poterlo conoscere. Parlare della vita come mistero segnala l'impossibilità di ridurre la vita a parametri esplicativi come scienza o filosofia: la vita è mistero perché realtà simbolica, non si spiega da sola ma trae significazione come "promessa" cui tenere fede nell'esistenza con "rispetto" della vita, facendo si che con le proprie azioni resti apertura al compimento possibile di sè. 6) Ripresa meta-etica: l'uomo immagine di Dio e la persona umana 6.1) Tema teologico della persona umana: uomo come immagine di Dio, centro del discorso del "Gaudium et spes" del Concilio vaticano, radice del tema del "rispetto alla vita umana". La persona è un essere relazionale, in cui la vita diviene luogo di alleanza con Dio: il cristianesimo (con Boezio), coglie in più la distintività umana, sottolineando la individualità, ben divesa dalla valorizzazione della singolarità umana propria della Bibbia, che invece pone al centro l'uomo concreto, senza considerare l'individualità come essitenza autonoma e indipendente. 6-2) Qualificazione dell'uomo come persona: prospettiva centrata sulla dinamica relazionale, che ravvisa nella persona la sua unicità corporea e spirituale. L'immagine di Dio è unita all'individualità: l'uomo non si confronta con gli altri esseri viventi chiedendo "Cosa sono?" ma "Chi sono?", facendo emergere l'incompatibilità degli uomini indipendentemente da razza e religione. Il pensiero antico fa riflessioni sull'uomo universale, senza cogliere l'irripetibilità di ogni singola creatura umana. Riconosce l'uguaglianza di tutti, ma non coglie la dignità inalienabile del singolo. L'esistenza dell'uomo è legittimata prima dell'incontro con qualsiasi altro, e questa corrente si distanzia dal pensiero di distinguere essere umano e essere persona. Non si attribuisce dignità personale solo in presenza di particolari condizioni: occorre sostenere l'originalità della nozione di persona, risultato della considerazione degli esseri umani. La distinzione sembra quasi distorsione semantica, ma tutto va ricondotto al problema del rispetto personale, nelle forme pratiche dell'agire e della "prossimità", non risolte con statuti ontologici. 6.3) Tema della corporeità, "dualismo" anima-corpo: recente è il superamento della tesi che contrappone il principio spirituale (immagine di Dio) e quello materiale. La corporeità, in realtà, è luogo insuperabile in cui si mostra l'originalità dell'uomo e la presenza di un elemento spirituale, chiamato anima, conferisce la sua forma umana. L'anima non è da intendere come soggettività e "puro spirito", non è indipendente dalla materia, ma è costituita come spirito umano finito, legato all'esistenza, e non è quindi più prossima a Dio rispetto al corpo. La Commissione Teologica Internazionale afferma che l'antropologia biblica esclude il dualismo mente-corpo: l'uomo è unità di corpo e anima, che è la "forma substantialis". Le scoperte scientifiche dimostrano che la materia è puramente potenziale, non ha tendenza ad organizzarsi, ma l'organizzazione dell'universo sottintende la presenza di una qualche "informazione". E' necessaria una reinterpretazione in chiave esistenziale delle spiegazioni: il corpo può essere descritto in modo organico dalla scienza, ma questo rischia di trascurare aspetti essenziali della realtà. Serve un'operazione di ricomprensione che porti alla "soggettività concreta", dato corporeo e insieme intelligenza. Il principio di integrazione dell'uomo è descrivibile nel linguaggio biologico, ma non può risolversi in esso. L'individualità si muta nella forma sintetica di compresa in riferimento al più ampio tessuto sociale, in cui la famiglia non perde i suoi obiettivi significati. 2) La tipicità del "familiare" Donati interpreta il legame familiare nella permanenza di una struttura fondamentale della famiglia, intesa come "specifica" relazione sociale. Le formazioni familiari hanno variazioni su una struttura di base. La situazione contemporanea modifica il sistema di razionalità della famiglia, perché si condividono meno oggetti, e più elementi simbolici. Si può parlare di struttura permanente: la coppia-famiglia organizza un'interazione di reciprocità, intenzionalità di generazione e affettività. La sessualità e la dinamica affettiva non sono colti come benessere individuali, ma simbolizzano la valorizzazione di ciascuno dei partner come "legame", non "relazione", che manterrebbe polarizzazione dell'individuo. Il legame familiare, invece, è una dinamica profonda che supera scambio e rivendicazione dei diritti l'uno sull'altro, per assumere il codice del dono. I membri di una famiglia sono destinati all'altro, affidabili. La dinamica del dono si esplica nella progettualità generativa, con cui si crea lo spazio di un altro (il figlio) e si trova verità di sé (essere stati generati). L'intreccio di dono e generazione rende quest'idea di "dipendenza" come possibile accesso ad una verità soggettiva: alla radice di ognuno c'è la cura accogliente di altri, che concedono la vita. La specifica relazione familiare è intreccio di componenti orizzontali di sessualità- reciprocità (legame di coppia) e componente verticale di tensione e apertura, per dono e generatività. Cresce la probabilità che ogni elemento vada per conto suo, nella società odierna, ma resta un nucleo fondamentale che non è convenzionale, ma costante antropologica. Esistono, cioè, requisiti minimi perché un legame sia familiare: patto coniugale, pensato come progetto stabile; legame generativo genitoriale. Belletti sintetizza l'identità della famiglia: 1) Luogo di valorizzazione delle differenze individuali; 2) Identità definibile come condizione "socialmente rilevante" che "ridefinisce l'identità della persona e la sua relazione sociale"; 3) Realtà che assimila valori sociali e contribuisce alla loro rigenerazione; 4) Ambito educativo primario e insostituibile. La famiglia è protetta anche dal Decalogo: "non commetterai adulterio", impegno a non alterare la forma del legame coniugale, con espressione buona e doverosa per la vita degli uomini, capitale umano fondamentale per il singolo e per la società. 3) "Capitale sociale" della famiglia Belletti: la famiglia, oggi, non sembra capitale sociale per via del carattere privatistico, mentre il capitale sociale è stock di relazioni a carattere cooperativo della società. In realtà, il capitale primario del nucleo familiare, non è fruito solo internamente: da esso dipende invece il capitale sociale della società civile. Il bene scambiato e l'umanità prodotta nella famiglia contribuiscono a creare fiducia nella società, superare indifferenze e generare una cultura di cittadinanza responsabile. Alcuni indici del capitale prodotto dalla famiglia: 1) Primaria cura per nuove generazioni e per la fascia debole/anziana della popolazione; 2) Ammortizzatore sociale con ridistribuzione del reddito disponibile per difficoltà; 3) Creazione di stili di vita eco-compatibili con criterio di sobrietà; 4) Umanità che si riverbera all'esterno. Diviene necessaria una più decisa consapevolezza della funzione sociale della famiglia, rendendola soggetto politico riconoscibile come interlocutore privilegiato. La maggiore visibilità è determinante, perché in mancanza di politiche familiari, si distrugge il capitale sociale prodotto dalla famiglia. Serve quindi articolare un equilibrio tra i due assi dell'insegnamento sociale cristiano, anche in ambito familiare: sussidiarietà, con attenzione a politiche di sostegno, e solidarietà, con protagonismo delle famiglia a rigenerare la compattezza del tessuto sociale. Belletti afferma che una positiva relazione tra famiglia e politica si realizza con incontro tra famiglia (con responsabilità e orientamento pro-sociale) e politiche (con approccio promozionale a movimentare le famiglie), in modo da ottimizzare le potenzialità interne di incremento del bene comune. 4) "Fragilità" delle relazioni familiari Nel 2006: 50mila divorzi e 80mila separazioni, con 246mila matrimoni: una famiglia su due incontra separazione, con possibile creazione di "famiglie ricostruite" a partire dai divorzi che portano difficoltà relazionali tra genitori e figli. 1) Si impone progressivamente la convivenza come esperimento in vista di un possibile matrimonio; 2) cala il tasso di nuzialità in Italia, e cresce l'eta media di uscita di casa paterna; 3) Debolezza progettuale individuale che rende difficile "scommettere per tutta la vita", per la difficoltà a decifrare i sentimenti e un approccio al presente; 4) Paura dell'incertezza: difficoltà a fare famiglia unita a indicatori di insicurezza legati a denaro e lavoro, premesse e punti saldi per la progettualità familiare; 5) modello sociale di autorealizzazione individuale che subordina la dimensione progettuale di matrimonio e famiglia, rendendo la regolazione degli equilibri interni come forze a disposizione dei singoli. Quindi: fedeltà e tenuta del matrimonio, oggi, sono processi perennemente in trasformazione, ridiscussi dagli eventi e dalla disposizione dei soggetti. Il matrimonio è un'esperienza che può realizzarsi o meno, scelta "importante", che oggi è divenuta anche reversibile. Il matrimonio non dà più significato all'intimità tra due persone, perché questa viene acquisita precedentemente: tende ad offuscarsi la differenza tra famiglia legale e sentirsi famiglia. C'è, quindi, fragilità nel costituirsi della famiglia e questo è fattore costante per tutta l'esistenza, che riguarda in primis l'unione di coppia. Bauman, nel libro "Amore liquido, sulla fragilità dei legami affettivi", mette l'accento sulla mutevolezza e revocabilità dei legami affettivi, concepiti come sperimentazioni provvisorie, in cui l'amore diviene episodio distinto con convinzione dei partner della sua fragilità e brevità. La nostra epoca esaspera il desiderio di affettività, ma perde la solidità e l'idea per cui il legame implichi un progetto a lungo termine di cura reciproca. L'amore è consumistico, e anche la decisione di essere padre e madre tende ad essere soddisfacimento di un desiderio di coppia che vede nel figlio "oggetto di consumo emotivo", stentando a riconoscere in lui soggettività libera ed originale. La comprensione della fragilità dei legami non è quindi suscettibile solo di valutazione morale-cristiana, ma richiede un'attenzione educativa. 5) Amore "adulterato": apertura in prospettiva educativa Secondo Marcaletti, la relazione coniugale che fonda la famiglia trova senso nel suo generare legame sociale, ma questo senso oggi è messo in questione, non tanto a livello ideologico, ma di pratica. Non è l'istituzione matrimoniale ad essere in crisi, ma i percorsi che conducono ad essa: è una crisi dei processi di socializzazione alla vita a due, ed è quindi centrale un approccio all'"adulterazione" dei rapporti coniugali che riporti al senso del legame familiare e a una lettura delle possibilità dell'amore umano. La tradizione cristiana dispone di una lettura originale sul destino della relazione di coppia, con accentuazione della dimensione di legge (nomos) rispetto al senso, logos. Si è teso a definire un quadro normativo per ribadire la forma unica e indissolubile del matrimonio cistiano, evidenziando la genesi di precetti su sessualità e comportamenti, ma questo non può essere l'unico modo di interpretare. Serve lasciar emergere il senso che caratterizza la dinamica tra i sensi, attenzione al nomos non disgiunto dal logos, per chiarificare il senso umano-cristiano dell'incontro tra maschio e femmina e ne indirizza il destino nella vocazione a matrimonio e famiglia. Domanda di essere compreso il comandamento "tu non adultererai", parola che ambisce a impegnarsi per la vita costruendo dedizione, dando direzione all'esistenza. Non è parola critica e giudizio, ma pone differenza dal sentire comune permettendo di accedere ad un livello di profondità altrimenti irraggiungibile. Conferenza Episcopale Italiana, "Educare alla vita buona del Vangelo", percorso di formazione per educazione dei sentimenti: tra l'educazione di intelligenza razionale manca una coltivazione della sensibilità affettivo-emotiva che si riflette nella generazione adulta. Si possono individuare due piste per orientare l'educazione all'amore in vista di una vita matrimoniale: 1) esperienza della sessualità contemporanea, che Bauman descrive come erotismo che non si allea né con la riproduzione sessuale né con l'amore, ma che reclama indipendenza, come libertà di piacere sessuale fine a se stesso, così che l'erotismo acquista leggerezza, ma diviene anche preda di forze pronte a sfruttarne i poteri di seduzione. Oggi si cerca di emancipare l'erotismo dai vincoli biologici della riproduzione e dai vincoli culturali dell'amore: in sostanza abbbiamo netta separazione tra significato riproduttivo dell'eros (fecondità), ludico (erotismo), intersoggettivo (amore, con assolutizzazione del momento ludico. La risposta educativa impone l'importanza di offrire un aiuto alla lettura di sé e del proprio corpo: educazione alla corporeità che non si centra sulla singola soggettività, ma si apre alla dimensione comunicativa. Pagati sostiene che il corpo si presenta come parola che esprime, ha bisogno di stabilire dialogo e convivenza: la questione fondamentale è rispondere alla domanda "Cosa voglio dire con il mio corpo", quindi educare alla maturazione della propria sessualità significa aiutare a darsi questa risposta. La struttura materiale non si esaurisce nella sua sensività: la cosa importante è che attraverso la materialità, si donano altre cose. La funzione del corpo è la sua simbolicità: la pienezza di una realtà corporea si raggiunge e mantiene se la corporeità umana riesce a dare invito alla trascendenza; 2) Famiglia contemporanea: non solo deconnette i membri dal legame con la società, ma elevare la qualità di sentimento come criterio della verità delle relazioni espone i soggetti a richieste di investimento emotivo eccessive, che spesso portano a delusioni. Giddens formula il concetto di "relazione pura": la relazione sociale viene costituita in virtù dei vantaggi che i soggetti possono trarre in rapporto con l'altro, quindi si mantiene stabile finche le parti ritengono di trarne sufficienti benefici. Tuttavia l'elemento decisionale di costituire una coppia e la forza motivazionale a continuare finiscono a riconnettersi all'insicurezza e alla debolezza decisionale dell'uomo contemporaneo. C'è insufficienza di formazione di valori cristiani del matrimonio, che si limitano a porre in evidenza l'indissolubilità del legame piuttosto che aiutare le persone a potenziarlo. La libertà continua a generare l'immagine di un uomo in grado di poter agire in modo conforme al proprio volere, senza soggezione, ma qui rischia di sperimentare il dubbio sulla sua reale libertà. La tradizione cristiana può essere fondamentale: intende la libertà non come fine dell'agire, ma come mezzo, ricordando di agire in conformità di un'indicazione superiore come punto di riferimento che può contribuire a dare forma compiuta alla propria esistenza. Essere se stessi non è accontentarsi: la libertà non è un regime indeterminato di presunta tutela delle possibilità dell'esistenza, non è affrancamento dalla legge: la libertà p presenza di una legge in grado di indicare il bene integrale della vita. Si aumenta la capacità decisionale delle persone quando intendono l'orizzonte di responsabilità: non si deve rendere ragione unicamente a se stessi, ma offrire una risposta credibile all'altro: "tu non commetterai adulterio": rispetto del legame matrimoniale non per sé, ma come responsabilità per l'altro. Marcel: è decisiva la costruzione di interventi educativi tesi a rafforzare la fedeltà a se stessi, perché il primo patto nuziale che l'uomo stringe è quello con se stessi. CAPITOLO 3 LE SCRITTURE EBRAICO-CRISTIANE E IL RAPPORTO UOMO-DONNA Filosofa americana Buther, "Undoing Gender": individua nel mito di Edipo il racconto che fonda il codice della normale eterosessualità, e ruolo altrettanto significativo viene dato ai primi capitoli della Genesi, che parlano di archetipo della coppia coniugale. Questi capitoli non sono unicamente determinazione della "natura umana", ma attestano il significato
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