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Teologia III Guenzi Non Frequentanti- introduzione all'etica cristiana, discorso alla montagna, saggi, Sintesi del corso di Teologia

riassunto del programma d'esame teologia III che comprende i libri: -introduzione all'etica cristiana -discorso alla montagna matteo 5-7 -3 saggi a scelta

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

In vendita dal 29/09/2015

cristina.baragatti01
cristina.baragatti01 🇮🇹

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Scarica Teologia III Guenzi Non Frequentanti- introduzione all'etica cristiana, discorso alla montagna, saggi e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! 1) INTRODUZIONE ALL'ETICA CRISTIANA, Giannino – Piana PARTE PRIMA: I FONDAMENTI 1) CRISI E ATTUALITà DELLA DOMANDA ETICA Crisi morale: sintomi evidenti in: - vissuti personali: la caduta di normative, come quelle sulla sessualità, rimette in discussione i valori, provocando agnosticismo morale e difficoltà a discernere ciò che è giusto, con conseguente scetticismo e visione utilitarista; - comportamenti sociali: cadono i pilastri della convivenza civile, con piattaforme diverse di valori e parametri di comportamento diverse. Le cause: 1) avanzare della cultura individualista, basata su bisogni soggettivi di benessere e autorganizzazione, che escludono apertura all'altro. Nonostante il ritorno al soggetto può portare al recupero della dimensione soggettiva, cade quella relazionale, perché l'individuo ripiega su se stesso; 2) fenomeno della complessità: organizzazione e gestione si complicano, in campo sociale si ha una moltiplicazione delle appartenenze e la differenziazione provoca la sostituzione delle classi sociali con nuove corporative; in campo etico, il bene "comune" è sostituito da interessi privati, la politica diviene politica "di scambio" tra corporazioni; 3) sistema economico: capitalismo selvaggio, basato sulle logiche dell'efficienza che cancellano la prospettiva progettuale della vita, basandola solo sulla materialità; 4) fenomeno della secolarizzazione: il crollo di ideologie e narrazioni religiose implica un ripiegamento sull'immediato, senza proiezione sul futuro: cadono le domande di senso, manca un quadro valoriale conducendo ad un'etica debole, dove conta solo elaborare norme per cercare di riparare la situazione. Attualità della domanda etica: la crisi dell'etica mette in discussione i modelli tradizionali di comportamento, ma anche la sua plausibilità: c'è esigenza a recuperarla, visto il disagio esistenziale umano dato da insicurezza, lacerazione interiore, difficoltà a definire l'identità e a trovare valori condivisi che spingano a comportamenti solidali, impedendo di identificare due situazioni in particolare che richiederebbero un maggiore controllo: a) informatizzazione: moltiplica le informazioni e fa cadere le coordinate spazio-temporali, con predominio del linguaggio logico-matematico a scapito di quello simbolico e sviluppo di relazioni virtuali, che rischiano di ridurre socialità, senso critico e creatività. Anche il settore finanziario ne risente: la tecnica è divenuta un fine, non è più uno strumento. Cade il significato della morale dell'intenzione e della responsabilità, e serve una regolamentazione per evitare la dequalificazione del comunicare dovuta al mezzo, che induce passività e dipendenza nell'uomo; b) manipolazioni genetiche: dominio dell'uomo sulla specie umana, con tentazioni prometeiche ad identificare come lecito tutto ciò che è tecnicamente possibile. Tuttavia i rischi sono grandi, servono limiti tra ciò che è lecito e ciò che lede alla dignità umana. Tuttavia, la difficoltà ad individuare valori condivisi rende l'etica in situazione contraddittoria: necessità ad essa, ma difficile da realizzare. CONCLUSIONE: persiste la domanda di etica, da cui dipende la convivenza rispettosa della dignità delle persone e la promozione dei diritti. 2) CONTESTO BIBLICO La Bibbia contiene messaggio morale che interseca la Parola con le tradizioni, ed ha ripercussioni sulla condotta quotidiana: 1) alla crescita della fede non corrisponde la crescita morale, che richiede più tempo; 2) carattere di storicità dell'esperienza morale: l'ethos è soggetto al divenire, allo sviluppo della società, ma i principi guida dell'etica sono sempre evidenti, in 3 categorie: 1) L'alleanza: radice dell'agire morale. Alleanza= dialogo permanente tra Dio e l'uomo, processo che culmina nel patto del Sinai ed ha compimento in Gesù. a) Alleanza e legge: la legge acquista significato perché Dio si pone come unico ed è creduto tale, ma la Legge non è fine dell'agire dell'uomo biblico: è un mezzo per preservare e far crescere l'alleanza, grazie a precetti negativi che evidenziano ciò che non è parte dell'alleanza. Il nesso tra la prima e la seconda tavola rende evidente che la Legge non è imposizione esterna, ma un sì dell'amore: la comunione che Dio offre trova attuazione nel libero consenso umano. La nuova alleanza in Gesù sancisce un nuovo rapporto filiale tra uomo e Dio, lo Spirito è "legge nuova" che dona alla vita cristiana carattere di piena e perfetta libertà. Gesù non rende superflua la vecchia Legge, ma ne respinge il formalismo legalistico, perché la legge è uno strumento di adesione interiore dello spirito: si tratta di confrontare ciò che la legge esterna propone con le esigenze soggettive, facendo appello allo spirito e rispondendo al principio interiore; b) Fede come primo atto morale: la vita morale nell'alleanza ha carattere responsoriale: è il "si" esistenziale dell'uomo a Dio. La creazione è chiamata all'esistenza, ma il solo significato dell'esistenza è rispondere a Dio. Dio è centro dell'impegno morale, la sua volontà è soggetta delle obbligazioni morali: l'etica biblica è diversa da quelle umanistiche di realizzazione personale. E' etica teologale, in cui la fede è primo atto morale. Liégé: "non esiste morale nel cristianesimo; esiste una fede nel mistero cristiano, che trasforma la vita del credente". I precetti della legge sono adesione totale dell'alleanza, la legge è senso pratico della promessa: credere è un modo di agire. La certezza della fede è la constatazione che la promessa di salvezza trova compimento nella persona di Gesù. La fede è la nozione più complessa e più importante del Nuovo Testamento: speranza, carità, facoltà del giusto. Dio è tutto: viene chiesto all'uomo di prendere coscienza di essere una creatura, e di unirsi con legame profondo e attivo a Dio. L'etica cristiana, quindi è una morale religiosa, non un'ascesi; c) In Cristo e nello Spirito: l'alleanza trova attuazione in Cristo, gli uomini sono chiamati a divenire figli nel Figlio. L'esistenza cristiana diviene risposta di amore alla chiamata suprema di Dio: egli ha dato la sua vita per noi. Gesù è ragione e principio della vita morale del cristiano, che è rinascita, vita nuova in cristo. L'indicativo di salvezza della partecipazione alla vita di Dio in Cristo diventa imperativo di salvezza: imitare Cristo fino al dono totale di sè. Cristo, per la sua originalità, non può essere assunto a modello come un qualsiasi uomo. E' mediatore con il Padre. 1 Dobbiamo rivestirci di Cristo, essere fedele significa divenire immagine del Figlio: vita operosa in Cristo, con Cristo e in Cristo. Momento culminante è morire per rinascere una vita nuova, ispirata da giustiza e santità, con il battesimo: lo Spirito di Cristo pone l'esistenza sotto il regime della "grazia", conferendogli capacità di costruire il regno. La morale cristiana è cristocentrica, cristonomica, pneumatologica: viviamo con Cristo, per Cristo, come lui: è modello della condotta, che libera l'uomo alla conquista della pienezza di vita. Accogliendo il dono di Dio, si attua la fede: è però un'opzione, richiede assenso incondizionato al suo progetto. 2) Conversione: dinamismo della vita morale. Dio sollecita l'uomo ad invertire rotta, mutare atteggiamento interiore: a) Conversione religiosa e morale: - religiosa: nella letteratura profetica, tempo dell'esilio, momento difficile per il popolo d'Israele che conosce decadenza religiosa e adesione ad idoli stranieri: serve ritornare a Dio per possibilità della salvezza, con purificazione del cuore e nel dono di sé. Le disposizioni interiori devono riconoscersi esternamente: digiuno, solidarietà. L'ingresso del Regno implica decisione radicale di fede della persona di Gesù. Paolo coglie il peccato come condizione dell'uomo di impotenza e morte: la conversione è liberazione attraverso il battesimo, passaggio alla vita; - morale: nell'Antico Testamento, la lettura sapienziale medita sulla Legge: il peccato è la sua violazione, con rischio di formalismo. Nel Nuovo testamento, quindi, la fede in Cristo è appello morale di rivolgersi a Dio; b) Vita cristiana come conversione continua: la conversione è dono del Signore, esige dall'uomo riconoscimento della condizione di peccato e attesa operosa del riscatto: buona notizia, possibilità che Dio offre all'uomo di entrare con lui in rapporto filiale. L'uomo che si converte è consapevole di essere peccatore, si pente e confessa rimettendosi al giudizio di Dio senza scuse. Da questo origina gioia: ricreare comunione di vita con Dio in Cristo, con collaborazione ed impegno marane di costante conversione, perseguedo la perfezione del padre fino ad offrire la propria vita. Obiettivo è servizio ai fratelli: la comunione con Dio richiede riconoscimento della sua presenza nell'uomo; c) Ideale di perfezione e beatitudini: l'annuncio di vicinanza del Regno influenza l'azione: la signoria di Dio è criterio per interpretare ed agire. Gesù è luogo in cui si realizza il Regno, mondo nuovo senza dolore e male, fondato sull'amore. Senso della conversione è la sequela di Gesù: imitazione di Gesù come imperativo morale delle proprie scelte, adesione ad un'etica della perfezione volta a portare a compimento le Leggi antiche, radicandole nel cuore. Le antitesi del discorso della montagna fanno risalire allo spirito e all'attenzione della qualità del cuore: le "beatitudini" elencate da Gesu (povertà, purità di cuore, …) sono logica del regno, richieste radicali ai discepoli; d) Morale escatologico-profetica: l'agire è radicato nel "già", ma anche nel "non ancora" del Regno. E' richiesta capacità di rapportarsi al Regno nella storia, discernendo dagli eventi storici. Il dinamismo di conversione proietta la vita in avanti, come stimolo a migliorare sapendo che Dio conosce il nostro limite umano: le "beatitudini" non sono precetti, ma norme escatologiche verso l'ideale di perfezione mai esauribile. A rendere possibile questo è la speranza, ferma convinzione che Dio rimanga fedele alla promessa: attuazione dell'alleanza in Cristo come eredità della vita eterna. 3) Primato della carità: contenuto della vita morale. L'alleanza è comunione di amore offerta da Dio all'uomo: esige disponibilità dell'uomo ad amare i fratelli. Agapè, caritas in latino: amore che viene da Dio e che a lui fa ritorno, incarnato in Gesù, che chiede lo stesso ai disc epoli. a) Messaggio di Gesù: nell'antico Testamento, il principio unitario dei dieci comandamenti è "amare Dio", spirito riassuntivo: "amerai il tuo prossimo come te stesso", nesso confermato dalla corrispondenza tra la prima e la seconda tavola. Gesù sintetizza le esigenze morali del Vecchio Testamento con novità: 1) fa opera di unità delle prescrizioni del giudaismo: il comandamento dell'amore. La riconciliazione con il fratello, nel discorso della Montagna, è più importante del sacrificio: culto e sabato sono nulla senza amore. La carità p centrale per la vita morale del credente, criterio di valutazione del comandamento. Anche Paolo segnala la centralità dell'afide morale, anche perché conseguenza della salvezza donata e risposta adeguata alla vocazione dell'uomo, che vivifica i comandamenti; 2) amore di Dio e del prossimo sono uniti e interdipendenti: Gesù sottolinea l'unità intrinseca della Legge: noi amiamo perché Dio ci ama per primi. Unico comandamento è l'amore di Dio, incarnato nell'amore del fratello proprio perché ci rendiamo partecipi dell'amore di Dio con la fede, che è quindi la scoperta che dio è Amore, e conduce all'osservanza pratica delle sue parole. La carità, quindi, rende trasparente la vera fede; 3) estensione illimitata del comandamento dell'amore per il prossimo, fino al nemico: rinunciando al contraccambio, combattiamo il male con la forza del bene; 4) natura di Dio: è relazione e dono. Gesù è dono perfetto di Dio agli uomini, l'incarnazione è carattere di chiamata. L'agapè è una forma particolare di amore, diverso da quello umano: è "caritas" in latino, spinge a donarsi in maniera generosa e disinteressata all'altro, senza condizioni né bisogno di vantarsi: la carità tutto crede, spera e sopporta. Non è precetto divino, ma Dio stesso che si propone come significato dell'esistenza. b) Comandamento e comandamenti: l'agapè è IL comandamento, che con i comandamenti si incarna nell'esistenza. La carità è contrassegnata da unicità: compimento integrale della legge. La carità non è centro, ma anima dei comandamenti, che non sono "leggi", ma inviiti a rendere operante nella vita quotidiana la carità, che non è quindi una virtù, ma la vita eterna. La carità è su piano diverso degli altri comandamenti: agire secondo carità è agire secondo Cristo: esiste stretto rapporto tra amore di Dio e per il prossimo, rendendo inscindibili le dimensioni religiose ed etiche della vita del credente. L'originalità dell'insegnamento di Gesu è il superamento della concezione intima del rapporto con Dio: l'amore per Dio si manifesta nella solidarietà, necessaria al funzionamento della comunità e criterio di certezza per chi vive in comunione con Dio. Chiunque ama Dio, ama anche chi nasce da Dio: è una teologia dell'amore. Si ama realmente quando si ama ciò che l'Altro ama: Dio è agapè, vuole l'amore e lo realizza per primo amando l'uomo peccatore. Il vangelo della carità è criterio etico per valutare l'agire umano, con relazione tra fede e morale. L'amore di Dio rimanda all'amore del prossimo, impegno morale come scopo oltre l'etica filosofica e umanitaria; 2) Etica della convivialità: unione di uomo e Dio e altri uomini nel convivio, come all'ultima Cena, in cui Gesù è ospitante e offre la comunione con sé e con Dio. Cammino tra i discepoli e Gesù con il Padre, unità dei fedeli che partecipano al pane eucaristico: la contraddizione tra la celebrazione e il comportamento quotidiano chiama l'uomo ad acquisire una mentalità nuova, del dono di sé e della disponibilità a servire. L'eucarestia è azione in cui Cristo si dona alla comunità e unisce i suoi membri: la Chiesa come corpo di Cristo è comunità eucaristica: punto in cui trae l'origine l'attività comunitaria è la vitalità della chiesa, strumento di Dio per cui al convivialità eucaristica diviene vissuta: è un'esigenza teologale che porta all'imperativo etico che trova attuazione nella corporeità storico-sociale della chiesa. L'agire del credente trova verità in condivisione e servizio, dono permanente di sé agli altri. 3) Etica del Regno: nell'eucarestia c'è il "già" del Regno, che stimola gli altri al "non ancora": partecipazione reale che dà spinta escatologica. La conversione del pane e vino in corpo e sangue di Gesù indica che l'insieme della realtà creaturale fa ingresso in un mondo nuovo, inaugurato da Dio in Cristo: il valore cristiano della creazione e cosmico dell'incarnazione fondano il valore dell'impegno della chiesa nel mondo, sono in continuità nel sacramento, presa in considerazione della pratica etica. L'agire umano libera l'universo dalla schiavitù e trasforma il mondo con attuazione dell'eucarestia. Il momento liturgico ha il suo culmine nella comunione, agamica in quando riacquista fecondità il perenne rendimento di grazie. 3) Prospettiva escatologica: a) Ermeneutica della speranza: la speranza, dagli anni 70, diviene principio chiave del messaggio cristiano, nel contesto di una cultura aperta al futuro riacquista centralità la prospettiva escatologica. La vita cristiana è peregrinazione verso la pienezza, le beatitudini sono ideale mai raggiungibile; b) Radicamento cristologico: Gesù fonda la speranza, in quanto "si" di Dio all'uomo con la risurrezione, salvezza del Figlio e anticipazione della nostra. Il Regno si lega alla persona di Dio, causa iniziale della sua speranza per la relazione unica che ha con Dio, l'uomo e la storia. La fede rende possibile la speranza di salvezza, il mistero pasquale è paradigma della nostra condotta finalizzata a costruire il regno come sorgente di speranza, promessa e compimento della vita piena. L'esistenza cristiana è dialogo: incontro tra grazia di Cristo e libertà dell'uomo che dà assenso al progetto divino. Il regno è già presente, non ancora in pienezza: la parzialità rende il credente nel mondo ma non "del" mondo: aspira ad altro. c) Tra impegno e attesa: teologia della speranza e della liberazione: - accettazione della storia come luogo in cui Dio si rivela in Gesù, senza comprensione negativa della storia; - apertura al futuro, come storia che attribuisce senso, origine e finalismo all'impegno di Dio con gli uomini. Tra già e non ancora, l'agire del credente è in tensione. Il regno, dono di Dio, è legato alla disponibilità dell'uomo: Cristo contiene un giudizio, rivelando la caducità della ricerca autosufficiente della salvezza, e la promessa, annunciando che le speranze non andranno deluse. Tensione giudizio-promessa: radicata nell'uomo, nell'inquietudine umana che nasce dall'aspirazione ad una comunione con la constatazione che nessuna relazione si rivela appagante, causando costante proiezione in avanti. L'escatologia cristiana rivela verità e destino dell'agire umano, impegna il credente a rendere trasparenti nella storia le esigenze della giustizia, garantendo che il mondo nuovo è possibile; d) Etica della speranza: la speranza dà senso, stile e slancio all'azione umana: stile di vita di vigilanza e perseveranza ad accogliere quanto verrà, con preghiera, sobrietà e temperanza che la Bibbia associa all'allontanamento dai bisogni per fare spazio all'azione divina. Il discepolo deve partecipare attivamente: coraggio di osare, con maturità spirituale, grazie al tempo della salvezza, forza che permette di avanzare a dispetto degli ostacoli e di andare deitti. Atteggiamenti: coraggio, non presunzione di autosufficienza, non disperazione: vita nella fraternità, impegno quotidiano a liberare uomini. La speranza cristiana si verifica e manifesta nell'impegno alla fratellanza. Etica della speranza= etica della fraternità, alla ricerca delle modalità con cui renderla operante. PARTE SECONDA: CATEGORIE INTERPRETATIVE 1) PERSONA E AGIRE MORALE La persona è soggetto etico, da cui discende il contenuto della moralità. 1) Antropologia e etica: l'antropologia definisce ciò che l'uomo è, l'etica ciò che è chiamato a diventare: sono connesse perché si considera l'uomo nelle sue possibilità infinite del divenire. a) Agire umano come agire della persona: la persona è soggetto complesso, per natura e per relazioni: la persona cristiana è poi immagine di Dio, ma creatura fragile tentata dal male, bisognosa di una salvezza come dono dall'alto. L'essere nuovo è Cristo, senso dell'agire della soggettività. b) Bene della persona come criterio etico: criterio fondamentale, valore della azioni da commisurare all'effetto che hanno su persona e realizzazione. La complessità degli elementi che compongono l'identità personale (moti biofisici, psichici e morali) rende l'azione parte di un tutto, da collocare nel suo insieme. La coscienza garantisce consistenza e coerenza dell'agire, e forma unità operativa tra persona, azione e storia individuale. Il fine della vita è la forma concettuale che dona senso alle decisioni quotidiane. Il bene della persona è realtà complessa: soddisfazione di necessità vitali, bisogno di affetto, … coinvolge l'intero agire umano: il senso etico autentico educa la persona ad allargare gli orizzonti, scorgere le possibili interferenze e infine abbracciare i valori superiori; c) Verso un "personalismo teologico": la globalità implica di considerare le azioni nella totalità: obbliga a misurare l'azione nella prospettiva del fine del bene della persona, che diviene appoggio fisso per l'agire ed è però anche una realtà in fieri. La proposta morale ha due livelli: 1) metaetico: immagine che si ha dell'uomo e determinazione di ciò che attiene al suo bene; 2) normativo: concreti contenuti dell'azione, forniti dall'analisi delle sue conseguenze nel mondo. I due livelli sono distinti, ma non separabili: l'analisi delle conseguenze si sviluppa entro l'orizzonte e sotto l'influenza di una metaetica privilegiata. d) Specificità della prassi cristiana: prassi cristiana come imperativo morale dipendente dalla nuova persona, Cristo, che invita a partecipare alla figliolanza divina. Lo Spirito indorizza l'uomo al pieno compimento di sé, conferendo armonia ed unità all'esistenza. L'incontro con Gesù muta il modo di pensare e agire: è dono di Dio da cui scaturisce impegno: l'esistenza cristiana è trasformata dall'azione dello Spirito, l'uomo è inclinato a conformare a Cristo il proprio 5 agire, come principio interiore per compiere spontaneamente il bene. Volontà tramite grazia, esistenza come cammino di adesione al progetto di amore, lo Spirito è legge dell'agire, e il contesto ecclesiale è quello in cui naturalmente si rivela il senso profondo della Parola e si attua il disegno divino. I vari atti della persona vanno valutati in rapporto alla conformità al progetto di carità, che ha fondamento nel mistero del Dio Trinità. Ogni azione è un consenso o una negazione della verità intima della persona, e l'esistenza umana riceve senso particolare dall'obbligo di agire come dono totale di sé. 2) Fattori costitutivi dell'agire morale: coscienza e libertà La partecipazione soggettiva determina il grado di moralità delle azioni umane. La scolastica divide l'agire umano in: - atti umani: secondo Tommaso d'Aquino l'uomo conosce oggetto e fine delle azioni, che compie per libera scelta; - atti dell'uomo: atti che non avvengono sotto controllo di intelligenza e volontà, ma sono moti istintualità e vita vegetativa. Solo gli atti umani possono avere significato morale, dipendente dall'umanità e legato quindi alla conoscenza del suo significato e alla libertà di esecuzioni. a) Connotati della conoscenza morale: ha come oggetto un preciso piano valoriale, è frutto di un'adesione esistenziale, ed è caratterizzata da connaturalità: i valori dopo un cammino di educazione divengono insiti, "sentiti", consentono di valutare subito la bontà delle azioni. Per questo la conoscenza può essere: - immediata: istinto spirituale che percepisce la bontà delle azioni; - riflessa: ritorno sull'esperienza vissuta, presupposto della scienza morale perché medita e verifica sulle azioni. La conoscenza morale più significativa è l'immediata, in costante divenire, che si trasforma nell'azione e mediante l'azione. Tale conoscenza implica una riflessione dall'oggetto e dalla sua qualità morale fino alle circostanze. Il concetto di "conoscenza" riflette i valori umani, colti nella loro unità, il cui paradigma è nell'amore di Dio. La conoscenza morale del credente è nell'esperienza cristiana "tout court": illuminazione interiore che consente il discernimento delle situazioni umane. b) Libertà e decisione morale: la libertà è fattore decisivo a determinare la moralità. Un atto è tanto più etico quanto è più umano, ed è tanto più umano quanto più è un atto libero: 1) L'esperienza di libertà: è ambivalente: l'uomo percepisce di essere capace di decisione, ma avverte che diversi fattori influiscono su quella libertà: il condizionamento interagisce con la libertà. L'uomo si sente causa dell'agire, ma sa che ogni scelta avviene con precisi presupposti che riducono lo spazio stessa della libertà. Il bene particolare attrae la volontà, motivata da buone ragioni, ma non determina l'azione perché il soggetto deve fare proprie queste ragioni; 2) Diverse forme del condizionamento: l'agire umano è intreccio di autonomia e determinismo, la libertà non è assoluta, ma situata: la sggettività umana, in virtù della corporeità, ha una collocazione spazio-temporale in cui le influenze esterne incidono sulle decisioni. Questo è limite ma anche possibilità: le limitazioni non sono sempre razionali (affetto, carattere, strutture sociali…) ma condizionano l'azione come campo in cui esercitare la libertà; 3) Libertà e autorealizzazzione: la libertà non si esaurisce nella scelta, ma è un compito dell'uomo da sviluppare nel tempo: le singole scelte sono manifestazioni di una libertà che è in relazione con l'altro, parte del costituirsi; 4) La prospettiva cristiana: la libertà è riconosciuta dalla Bibbia come parte dell'uomo, ma è da finalizzare al bene grazie all'azione di Cristo. Lo svilupo della libertà cristiana non è svincolarsi dalla corporeità ma rendere trasparente attraverso di essa la capacità di autodonarsi a servizio degli altri. La libertà cristiana è compiere il bene, volerlo come riflesso della libertà di Dio, che vuole solo il bene e rifiuta il male. Questo mistero di Dio c'è anche nell'uomo: chi comprende la sua libertà come dono per fare il bene, ne è chiamato. Originata ed edificata da Dio, la libertà è chiamata a far compiere la sua volontà con la carità. La persona è inizio e fine dell'esperienza di libertà: rende possibile la realizzazione e ne è obiettivo. La libertà è elemento decisivo di maturazione della qualità morale. 3) Struttura dell'atto morale: l'atto umano ha nel soggetto libero il criterio di valutazione della moralità: a) Primato dell'intenzione nella Bibbia e nella tradizione successiva: il mero adeguamento alla legge sollecita il recupero dell'atteggiamento interiore, e questo ha conferma nel Nuovo Testamento, dove atti caritatevoli diventano insignificanti se non espressione di aumentica carità. Il giudizio finale indica che il destino eterno è legato alla positività delle azioni compiute, con equilibrio tra intenzione e azione che caratterizza la tradizione cristiana. La Scolastica (Tommaso D'Aquino) evidenzia che il rapporto tra soggetto e azione non è solo basato sulla retta intenzione, se non si accompagna alla bontà dell'atteggiamento interiore. Nel XVII secolo la casistica pone l'accento sul contenuto materiale dell'azione, e la prassi pastorale imponeva di eseguire un esame di coscienza prima di confessarsi dando penitenza per numero, specie e circostanze di peccato, prescindendo dalle intenzioni interiori e riducendo il sacramento a processo meccanico di assoluzione dai peccati b) Verso un nuovo equilibrio: il Vaticano II restituisce primato all'intenzionalità, anche se l'azione non è indifferente: rientra nella valutazione, in quanto l'agire personale ha conseguenze sugli altri, e l'atto è manifestazione di ciò che il soggetto intende. L'eticità è mediazione tra intenzione soggettiva ed efficacia storica, luogo di confronto tra convinzione e responsabilità. 4) Opzione fondamentale: chiave interpretativa per cogliere il progetto di realizzazione dell'uomo. 1) Motivazioni dell'opzione fondamentale come chiave interpretativa (concetto di Jacques Martain): - analisi psicologica: evidenzia continuità psichica dell'agire umano, l'esistenza è evento a tappe successive unite dalla persona e dal suo progetto di realizzazione: se si vuole comprendere il significato delle azioni, si deve risalire all'atteggiamento interiore; - riflessione psicologica: la natura della libertà è fondamentale: progetto di sé che la persona persegue con le azioni. Il concetto di Martain implica che il primo atto libero dell'uomo è decisione pro o contro il Bene assoluto, Dio, anche se è un atto particolare rappresenta una presa di posizione religiosa ed etica radicale, che rinvia all'assoluto. Rahner, allo stesso modo, rileva che la libertà umana non è semplice scelta, ma implica una libertà più radicale nell'intimo della persona, di scegliere tra dono di sé (carità) e ricerca di se (egoismo). L'opzione fondamentale è scelta morale per eccellenza, che si effettua nel profondo dell'io, dove l'uomo decide di se, e che orienta le scelte successive della persona. 2) Radici antropologiche: a caratterizzare la persona c'è un centro profondo, che conferisce unità, e stratificazioni esterne spazio-temporali, dimensione unite. L'opzione fondamentale si forma con processo che prevede scelte univocamente orientate, con influenza sulle scelte successive che non è mai totale, perché la libertà stessa potrebbe ribaltare la situazione. La conoscenza della presenza dell'opzione fondamentale non è mai riflessa, ma immediata: non coincide con il contenuto oggettivo dell'azione, ma è assunzione di un atteggiamento altruistico. La misura del valore morale delle azioni è data dal rapporto che istituiscono con l'opzione fondamentale, il significato va ricercato nel continuum. 3) Statuto teologico: l'opzione fondamentale è essenzialmente decisione pro o contro il bene: implica una scelta radicale del disporsi davanti a Dio, ha valenza religiosa perché è assenso o dissenso al suo appello. La filosofia trascendentale considera l'uomo come essere aperto alla trascendenza: l'opzione fondamentale è decisione di aderire o meno all'Assoluto, ed il Bene non è impersonale: è la persona di Cristo, che sollecita il discepolo alla sequela. L'opzione fondamentale diviene adesione o rifiuto della grazia dalla libertà umana 4) Ricadute etiche: l'opzione fondamentale è orizzonte delle scelte della persona. L'agire umano esprime la comprensione che il soggetto ha di sé, con conseguenze: 1) migliore interpretazione dell'agire umano nel suo significato morale, perché l'agire è percepito nel legame con intenzionalità del soggetto; 2) Attenzione privilegiata alla struttura delle singole azioni: sono atti con cui si integra la vita ad un disegno di fondo, che dà stabilità di indirizzo, ma c'è in gioco la libertà: la continuità è fedeltà, consolidarsi della realtà interiore; 3) Importanza assegnata alle premesse dell'azione: predecisione data dalla storia della persona. CONCLUSIONI: la riflessione etica sull'agire umano e sull'intenzionalità trova chiave interpretativa nel concetto di "opzione fondamentale", in cui gli atti morali ricevono illuminazione dal mondo interiore del soggetto e concorrono a costituirlo con processo circolare il cui fine è il perseguimento della piena realizzazione del soggetto. 2) COSCIENZA E NORMA: realtà interdipendenti in cui l'eticità risulta dall'interazione tra soggetto e oggetto. La coscienza coincide con la persona in quanto soggetto etico, la norma nel valore della persona e nelle finalità della sua natura. a) Primato della coscienza: facoltà che sotto la guida della ragion pratica giudica l'agire umano. Quadro di valori interiori, che ricevono contenuti normativi dal confronto con la realtà, mediante l'ausilio della ragion pratica. Nella coscienza l'uomo è istanza etica, e l'etica qui prende valore più vero: si intrecciano personalità e capacita di controllo delle situazioni. Evoluzione storica della coscienza morale: origini nel mondo greco, con Democrito, che lo percepisce come esterno; la scuola di Socrate lo interiorizza, descrivendo la coscienza come demone che giudica le azioni. Gli stoici attivano a definire la "coscienza riflessa", ragione dell'uomo traccia del logos universale. Nella Bibbia, il termine "cuore" mette in luce la relazione tra interiorità e bene delle azioni; l'ebraismo passa da percepire la coscienza come volontà di Dio imposta a interiorizzazione, nella relazione tra uomo e Dio. La coscienza diviene presenza di Dio nel cuore dell'uomo, costante richiamo all'Alleanza: i comandamenti sono un dialogo. Nel Nuovo testamento, nella coscienza è in gioco il destino di Dio: la coscienza dipende da Dio e dalla sua volontà, è riflesso della maturità della fede, giudice e testimone. La coscienza acquisisce nella fede possibilità di piena espressione in dignità, come norma ultima della vita morale dell'uomo. La tradizione cristiana approfondisce il ruolo della coscienza nell'elaborazione della decisione morale, perché è luogo in cui prende posizione il Logos, giudice interiore. Agostino evidenzia l'irriducibilità della coscienza alla dimensione psicologica, perché è anche l'incontro tra Dio e l'uomo, "voce di Dio", regola universale della moralità capace di fornire a tutti la norma di condotta e farsi testimone della correttezza di comportamento. La Scolastica predilige un rapporto più antropologico, distinguendo una coscienza originaria (Synderesis) dalla "coscientia", coscienza che applica ai casi concreti. Per alcuni le intuizioni che formano la Synderesis sono in realtà conoscenze applicate alle situazioni concrete, per altri è decisivo il rapporto alla fedeltà. Nella riflessione medievale di Tommaso d'Aquino, si afferma l'obbligo si seguire la coscienza: chi agisce contro di essa, agisce contro Dio. In epoca moderna, la coscienza acquista importanza per il sacramento della confessione, che valuta le responsabilità ma in maniera legalistica, facendo nascere i sistemi morali. La ripresa della visione unitaria della coscienza si ha nel secolo scorso, in cui la psicologia recupera la dimensione emotive e razionale della coscienza, riscoprendone l'aspetto "religioso", come luogo in cui l'uomo è chiamato a rispondere a Dio che lo interpella (Vaticano II, "Gaudium et spes"): "tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile la legge dell'amore di Dio e del prossimo". La coscienza è norma definitiva e vincolante per il singolo, ambito di realizzazione della carità, istanza autonoma che però è parte integrante della dignità della persona perché l'uomo non può delegare la responsabilità dei propri comportamenti. La risposta a Dio è sempre personale, nella concretezza situazionale dell'azione, come momento più alto di integrazione della persona. b) Natura e identità della coscienza morale: coscienza= facoltà che presiede la conoscenza di bene e male: quale identità e come avviene la produzione di giudizio in questa realtà personale e quindi unica, ma complessa? 1) Coscienza: voce della ragione, in quanto applicazione dei valori alle situazioni con coinvolgimento delle passioni e dei sentitmenti. La coscienza è realtà sovradeterminata, che dipende dall'esterno e fa percepire qualcosa come il bene a cui sottostare. 2) Subcoscienza: la psicoanalisi rivela i limiti dati dal subconscio, con la tesi di Freud secondo cui la coscienza si sviluppa in due passi: - formazione della coscienza tabù: bambino che accetta ordini parentali e comportamenti per paura di essere ripudiato o punito; - confronto: 5-6 anni, con "super io" e complesso di Edipo che interiorizza i valori. 7 esige valutazione dei contenuti dell'azione. L'agire è intreccio di fattori che acquisiscono significato in reciproca interazione: connessa alla singolarità, la responsabilità implica acquisizione di abitudini virtuose che garantiscono lo sviluppo positivo della libertà, ed entra in gioco la persona nel suo complesso: "l'uomo tende al bene non solo con la volontà spirituale, ma anche con le forze psicofisiche". Il coinvolgimento della persona implica recupero del mondo interiore, progetto di vita, per impegno ad atteggiamenti buoni che da soli non bastano: devono incarnarsi in comportamenti giusti. Da un lato, solo una visione globale del bene consente la verifica della bontà dell'azione; dall'altro, l'azione è ambito di bene particolare e quindi limitato: serve considerare circostanze e conseguenze, coniugando atteggiamento buono e comportamento corretto come condizione di una forma di responsabilità in cui soggetto, oggetto e azione sono in rapporto positivo. CONCLUSIONE: la persona è punto di partenza e di arrivo della moralità: adesione al bene con obiettivo di promuovere la vita di tutti. 3) PECCATO E VITA VIRTUOSA Facce contrapposte della libertà, opzioni di fondo che coinvolgono la globalità della persona delineando senso ultimo della moralità. 1) Peccatore, peccato e peccati. La rivelazione non definisce il peccato, ma narra l'esperienza del peccatore inserendola nella storia della salvezza che culmina nell'evento-Cristo. La comprensione del peccato può avvenire come comprensione della misericordia di Dio. a) Crisi del peccato di oggi: ogni è difficile riflettere sul peccato, che sembra rimosso dalla coscienza dell'uomo per: 1) Processo di secolarizzazione: affermazione della radicale autonomia dell'uomo, che annulla la possibilità di parlare di peccato, perché un modno senza Dio è senza peccato; 2) Esiti delle scienze umane: la biologia mette in luce gli istinti, la psicoterapia la colpa, la sociologia l'influsso dell'educazione, l'antropologia la storicità dei valori, con negazione della libertà e quindi impossibilità a parlare di peccato; 3) Collettivizzazione della colpa: rende difficile attribuire colpe al singolo, per concorso di più soggetti; 4) Mistica del peccato: esperienza della colpa come condizione per liberare l'uomo dalle false certezze, facendo nascere il bisogno di redenzione. Qui il peccato è via necessaria per scoprire il volto di Dio, manifestato nella persona di Gesù: peccato come sorgente di valore. I fattori negano il peccato, oggi è difficile definire la natura e la presenza per i condizionamenti della libertà e la mancanza di criteri che riconducano la colpa a rottura della relazione con Dio. b) Dimensioni costitutive del peccato: 1) Rottura dell'alleanza: dimensione religiosa: assenza e silenzio di Dio. E' rifiutare la vocazione. Il primo peccato, quello originale paradigma di tutti gli altri, è rifiuto di essere creatura, volontà di essere Dio. L'alleanza è un legame coniugale, il peccato è adulterio: nel Nuovo Testamento il peccato entra in relazione con l'azione redentrice di Cristo, venuto al mondo per dare conoscenza della salvezza. Gesù Dio e uomo entrano in comunione, e la risurrezione è vittoria sulla potenza del male. Il peccato è un "no" alla chiamata di Dio: è una grandezza religiosa prima che etica, trasgressione di un precetto. L'amore dell'alleanza non si esaurisce nel comandamento, ma si esprime con esso: è difficile percepire la dimensione religiosa del peccato nella nostra società, anche perché la catechesi ha insistito sulla dimensione etica moralizzando la colpa; 2) Rottura della solidarietà umana e cosmica: dimensione sociale. La rottura della relazione con Dio, porta a rompere i rapporti con gli altri. L'umanità perde integrazione sociale: è torre di Babele, idolatria ed ingiustizia. Nel Nuovo Testamento il peccato è sottomissione cosmica a Satana, che estende l'oppressione a tutta l'umanità. Paolo evidenzia che il mondo in cui viviamo è avvolto nelle tenebre, poteri malvagi che condizionano le scelte personali. Ogni atto peccaminoso rettifica il regno del peccato nel mondo. I peccati possono dividersi in peccati-azione e peccati-incapacità personale, ed hanno una dimensione sociale per tre livelli: 1) Ricadute che ogni azione peccaminosa ha sugli altri e sul mondo, che alimentano la situazione di male: il peccato sociale qui è trasversale; 2) Atti il cui contenuto ha a che fare con il rapporto con l'altro (contro giustizia); 3) Conssiderazione che gli atti di ingiustizia e violenza sono strutturali, disumani e sociali: "peccato del mondo" che fanno insorgere situazioni difficilmente vincibili e finiscono per plasmare l'esistenza; 3) Atto del soggetto: dimensione personale: il peccato è un atto umano, la cui libertà rincorre cose effimere rifiutando Dio. Il Nuovo Testamento rileva l'interiorità come fonte del peccato: la libertà è il dono più grande di Dio, ma anche il più rischioso che può portare a distruggersi, perché ogni azione umana è inclusa nella storia personale e rispecchia le intenzioni dell'anima, lo stimolo interiore che porta l'uomo a costruirsi. Il peccato è rifiuto della propria identità, rifiuto di vivere la comunione e quindi rifiuto di realizzassi per quello che si è: il peccato è disgregatore, condiziona profondamente la vita dell'umanità. Il peccato è una realtà complessa, che ha radici nel mistero della persona e la consapevolezza della sua gravità diventa possibile nella fede a Dio, che sollecita alla comunione con sé e offre possibilità di riscatto. c) La questione etica: peccato e classificazioni. Il peccato ha un fattore oggettivo ( la materia) e soggettivo (avvertenza e libero consenso). Nella Bibbia si distinguono i peccati che - "non conducono alla morte": la rottura con Dio può essere riparata; - "conducono alla morte": rottura definitiva, peccati contro lo Spirito e senza remissione perché dovuti ad un atteggiamento interiore e ad un'ostinata volontà. Tommaso d'Aquino: il peccato è diviso in "mortale", avverso a Dio, e "veniale", che dipende quindi dalla spazio- temporalità della condizione umana e lascia presumere che manchi pieno coinvolgimento interiore. Epoca moderna: si accentua il fattore oggettivo, con classificazione dettagliata delle tipologie di peccato, ma si finisce così per scorporarlo dall'interiorità del soggetto. L'essenza del peccato in ambito soggettivo, nel profondo dell'io, è l'opzione fondamentale negativa: egocentrismo ed anticarità che porta all'orientamento complessivo della vita, le cui azioni sono solo parti del processo, che rafforzano e costruiscono l'opzione negativa come processo graduale, in cui la coscienza morale perde progressivamente sensibilità. Scelte particolari negative portano allo svuotamento dell'opzione positiva fino alla sua sostituzione. La dottrina dell'"opzione fondamentale" quindi non è a senso unico, ma è unità di due fattori: aspetto dinamico (rapporto tra soggetto e oggetto) e intenzione. La scelta negativa, contro Dio, è peccato mortale, e la materia consente di valutare l'intensità della partecipazione personale ma non è un criterio univoco. E' difficile valutare alcune situazioni, e alcuni moralisti inseriscono quindi tra peccato mortale e veniale la categoria di "peccato grave", che si differenzia dal peccato mortale per la mancata rottura del rapporto con Dio, e da quello veniale per la materia grave. Il peccato mortale, comunque, è un processo di autodeterminazione negativa che porta per sempre l'uomo ad opporsi a Dio. Lo stretto legame persona-peccato, fa dire a molti che più che parlare di peccato si dovrebbe parlare di uomo peccatore, perché conta l'atteggiamento interiore, e la consapevolezza che anche il peccato più grande può essere perdonato dalla azione misericordiosa del Padre. 2) Vita virtuosa. L'abbandono dello stato di peccatore è un cambiamento radicale, una METANOIA con acquisizione di una serie di comportamenti virtuosi che modificano in profondità il modo di essere dell'uomo. Le virtù teologali (fede speranza e carità) accompagnano il credente nel cammino progettuale di ricerca della perfezione del Padre. a) Concetto di virtù: evoluzione storica. La riflessione sull'impianto virtuoso della vita morale impone due considerazioni: 1) Importanza sempre maggiore assunta dalle scienze umane dello strutturarsi dell'agire umano, dando rilievo alle abitudini come modi stabili di reazione alle diverse situazioni; 2) Constatazione del'insufficienza dei valori a dare conto da soli delle ragioni del comportamento morale: serve acquisire comportamenti. La virtù parte dalla filosofia ellenistica: Pitagora, Socrate, Platone fino ad Aristotele che chiarisce senso della virtù e struttura della vita virtuosa, come "disposizione stabile dello spirito in relazione alla scelta". L'elemento formale è l'habitus, permanente inclinazione ad un comportamento determinato; il giusto mezzo è la seconda caratteristica della virtù, cioè via più efficace per dare concreta incarnazione all'ideale. -> VIRTU= saggezza pratica che orienta il discernimento tra bene e male. Scolastica: Tommaso d'Aquino definisce la virtù come uno status, che consente all'uomo di divenire se stesso. La natura è potenzialità, che ha bisogno per autentico sviluppo umano di venire assunta da libertà e ragione. La virtù consente alla persona di divenire ciò che è, orientare le proprie potenzialità alla promozione di sé. Le caratteristiche che qualificano la virtù, sono: - orientamento verso il bene: perseguimento della perfezione personale, non in logica individualistica ma tenendo conto della coesistenza degli altri; - costanza: stile di vita che favorisce di attingere il bene con prontezza e minore sforzo. Nel Novecento si riprende il tema della virtù reagendo all'etica normativa, perché l'adeguatezza delle singole decisioni alle norme finisce nel rigorismo, escludendo il rapporto con il mondo interiore della persona e la donazione che fa di sè. Scheler, in "Per la riabilitazione della virtù" presenta la virtù come ciò che fa prendere coscienza all'uomo della propria grandezza, conferendo la gioia del bene compiuto. Successive riflessioni: aspetto attraente della virtù, di grande spessore spirituale. b) Definizione della virtù: principio dell'agire che abilita l'uomo all'adempimento dei valori e delle istanze normative da esse scaturenti. Inclinazione naturale al bene, assimilazione in profondità dei valori: - aspetto formale: modo globale di rispondere all'esigenza etica, non "come dobbiamo agire", ma "come dobbiamo essere", meta dell'essere buono dell'uomo nel suo nucleo intimo; - contenuti valoriali: persona umana nella sua dignità inalienabile, i beni hanno come centro la persona umana nella sua realtà ontologica, ma ha carattere formale, perciò servono contenuti concreti, un "etica materiale dei valori" capace di incarnarsi nelle situazioni orientando l'impegno umano. c) Ragioni della ripresa odierna. L'importanza acquisita dalla soggettività porta ad un'interpretazione restrittiva dell'uomo: identifica soggetto ed individuo sottraendo la valenza sociale; le scienze umane poi evidenziano gli istinti, rendendo il soggetto impossibilitato a cogliere l'ordine morale come risposta ad un bisogno di realizzazione. L'eticità assume contorni sovrastrutturali, realtà che si pone dall'esterno come obbligazione assoluta o viene negata nella sua identità originaria riducendosi ad un insieme di "regole" convenzionali ispirate al criterio del consenso sociale o della sola ricerca dell'utile. Il disagio conduce alla dissoluzione delle "evidenze etiche" che sono fondamento necessario di ogni convivenza civile. La preoccupazione dell'etica della virtù è correlare l'atteggiamento soggettivo e l'ordine oggettivo, cogliendo la specificità del fatto morale. Riducendo l'etica al soggetto, si rendono insufficienti le sole norme: serve un approccio che spieghi il "perché essere morali", e quindi virtuosi. La virtù è un modo di atteggiarsi verso tutte le azioni, ma non come abitudine automatica: è frutto di una scelta personale, che richiede costante esercizio perché la libertà delle decisioni si conformino alla verità della natura umana. L'etica così promuove la crescita della persona, nella quale la misura del bene non viene ricercata all'esterno, ma fa parte della coscienza, perché si assimilano valori che permettono di mettere in ato in modo corretto le virtù in ogni situazione. d) Orizzonte della vita teologale. La vita morale si inserisce in quella teologale: il rapporto con Dio si traduce in comportamento morale di carità, in cui influiscono le 3 virtù teologali e da essa prendono forma le virtù morali. L'attuazione della vita morale quindi è amore del prossimo non riducibile agli atti singoli, ma come autodonazione completa, in cui l'altro è colto come via mediante cui rendere manifesto l'amore di Dio. Vita teologa e e vita morale non sono realtà separate, ma si postulano a vicenda: fede, speranza e carità animano la vita morale conferendole valore religioso. 11 e) Contenuti delle virtù morali. "virtù" sono atteggiamenti, le cui classificazioni nella storia sono varie e complesse, ma rifacendosi alla classificazione quaternaria di Platone (fortezza, giustizia, temperanza e prudenza), i padri della chiesa utilizzano paragoni suggestivi per evidenziare l'interazione (es. Ambrogio le vede come quattro fiumi). La Scolastica, con Tommaso d'Aquino, costituìisce l'articolazione dell'intera morale speciale nella "Summa Theologiae": nell'illustrazione dei doveri morali, Tommaso abbandona lo schema tradizionale dei comandamenti adottando quello delle virtù. Riconduce tutte le virtù alle quattro principali: - fortezza, temperanza e giustizia sono tratti del carattere che regolano le forze istintualità; - prudenza: capacità di scegliere i mezzi con cui raggiungere i beni naturali. Kant evidenzia la virtù come sistema di doveri dell'uomo, verso se stesso e verso fil altri; negli ultimi decenni la virtù è ripresa come reazione nei confronti di un'etica normativa esterna, che rischia di annullare le responsabilità dei soggetti. L'articolazione delle virtù cardinali nei vari ambiti di azione viene articolandosi, e fornisce ispirazione generale che orienta l'azione: 1) Giustizia: apertura di se stessi al prossimo, con attenzione al rispetto di dignità del prossimo e promozione dei suoi diritti, come valori che danno unicità alla persona: uomini figli di un unico Padre, giustizia sociale che si completa nella cariità; 2) Fortezzza: perseguire il proprio progetto rifiutando il conformismo ed impegnandosi a moderare gli istinti; 3) Temperanza: conquista di una totale signoria sul mondo delle passioni, impedendo che offuschino la mente e producano alienazione. Le energie umane vengono incanalate a perseguire pienezza personale, con gerarchia della realtà in confronto a ciò che conta davvero; 4) Prudenza: vera ragione pratica, che orienta verso la globalità del bene: fattore connettivo delle virtù. Le pulsioni interiori vengono controllate razionalmente, la possibilità del giudizio concede di decidere nel qui e ora cosa è giusto fare per il "bene vivere". La prudenza non si oppone al coraggio, che è capacità di osare: sono grandezze da integrare per dare senso alla esperienza morale cristiana. 6) CONCLUSIONI Nella prospettiva cristiana, il vissuto virtuoso ha alla base le virtù teologali, e trova concreta espressione nelle virtù morali, che traggono forza dallo Spirito che si insinua nel cristiano dal Battesimo, per la "ricreazione" dell'uomo. Le virtù teologali sono adesione a Dio, alimentare la vita secondo lo Spirito. Fede e speranza confluiscono nella carità, dando all'agire morale, guidato dalle virtù cardinali, il suo senso ultimo. L'esistenza morale del cristiano implica unificazione dell'operare intorno a tale ispirazione. La carità è dono e grazia, dimostrazione di voler ricambiare il dono dell'esistenza ricevuto da Dio ai fratelli. 2) DECALOGO: LE DIECI PAROLE, CARMINE DI SANTE INTRODUZIONE Evento del Sinai: rivelarsi di Dio che lascia il creato senza fiato, consegna delle tavole a Mosé. L'uomo è impotente, Dio dice chi è e soprattutto cosa vuole. I 10 comandamenti sono il centro della rivelazione biblica, la sintesi concisa ed essenziale in cui si cela la grandezza del monoteismo ebraico. Alla luce del nuovo comandamento, le due tavole "Decalogo" o "Le dieci parole" sono dette "tavole della legge" o della "testimonianza", e sono continuamente ribadite: 1) Invito a Mosè da Dio a salire sul Sinai (Esodo) 2) Quando scende (Esodo) 3) Quando vengono infrante dal popolo in attesa di Mosè, che costituiscono "il vitello d'oro", simbolo delle divinità naturalistiche 4) Quando Mosé ottiene perdono da Dio. L'insistenza è sull'iniziativa di Dio a chiamare Mosè e la modalità di fissare le regole sulle tavole, opera di Dio: le tavole e la scrittura sono opera di Dio. La scrittura garantisce sicurezza e fedeltà, la pietra non è deperibile. La voluntas Dei si rivela, Mosè raccoglie e accoglie, ma è un evento che non proviene dalla storia. Chouraqui, scrittore ebreo algerino, ricorda che in Algeria i Comandamenti erano scritti in oro su tavole di legno, e venivano imparate a memoria. Numero e classificazione Deuteronomio: primo discorso che Mosè rivolge al popolo, sulla rivelazione del Sinai (o Oreb). Secondo discorso: ricorda l'alleanza tradita e ricostituita: arca di legno d'acacia, taglia due tavole di pietra su cui il Signore scrive le 10 parole. Non è facile testualmente risalire al numero 10: nel capitolo 20 dell'Esodo (prima formulazione del decalogo) e nel cap. 5 del Deuteronomio (2 formulazione) sembrano far pensare al numero 20. Secondo Filone d'Alessandria e Giuseppe Flavio, i comandamenti 3/4 e 10/11 si uniscono, e alla fine si formano 2 gruppi: 1) Gruppo 1-4: rapporto Dio-uomo 2) Gruppo 6-10: rapporto uomo-uomo. L'ebraismo ufficiale invece impone numerazione diversa, dividendoli in 2 gruppi di 5, e la tradizione cristiana accetta questo ma unisce i primi due e divide l'ultimo. A partire dal Concilio di Trento, alcune volte il testo nella tradizione cristiana viene semplificato, come il 3° comandamento "ricordati del giorno del sabato, per santificarlo" diviene "ricordati di santificare le feste". Contenuto e struttura Comandamenti: vincolo, ma assenza di costrizione: sono vera libertà e responsabilità per l'alterità umana e divina. Dio rivendica la signoria sull'uomo per inviarlo al prossimo, finendo alla giustizia sociale. Dio vuole l'uomo per sé per istituire tra gli uomini un vincolo d'amore di bontà, gratuità e disinteressamento. Per la Bibbia l'uomo è un essere per sé: non è socievole (Aristotele) o lupus (Hobbes). Nella lotta della vita "mors tua vita mea" si fuori-esce con il comandamento, ovvero il nuovo orizzonte della bontà per l'altro. L'uomo deve a Dio l'amore e anche al prossimo. 1° nucleo: amore uomo- Dio; 2° nucleo: amore per il prossimo. Natale 1942, Bonhoeffer (condannato a mote per anti-nazismo) scrive: "disprezzando gli uomini cadremmo nello stesso errore dei nostri avversari… l'unico rapporto fruttuoso con uomini e deboli è l'amore, la volontà di mantenere la comunione con loro". L'imperativo a non uccidere, iscritto nel volto di ogni umano, denuncia l'oblio e il disprezzo, annuncia che solo nel prendersi cura si accede alla percezione dell'essere umano e si tiene accesa la speranza di un'umanità in cui siano bandite guerre, condanne a morte, secondo il futuro intravisto da Isaia. 7) NON COMMETTERE ADULTERIO: gratuità e sessualità "non commettere atti impuri" si è tradotto nella storia e nella catechesi ad un'attenzione morbosa, un uso ideologico che non risponde alla domanda cosa voglia dire "atti impuri". Il male è come una macchia: impurità, simbolo suscettibile di numerose riprese, come per esempio avere una "reputazione macchiata". Il comandamento quindi è di non alterare l'umano, e la sua sessualità. L'adulterio è uno dei casi, ma viene condannata qualsiasi adulterazione del comportamento di uomo e donna: il "nef" è un adultero, un furfante, un dissoluto che infrange il comportamento sessuale, come la "nefet". Ma cosa "altera" la sessualità? Secondo la tradizione ebraica, il settimo comandamento corrisponde al secondo "non avrai altro Dio": alterare la sessualità quindi è trasformarla in un falso dio, che non è in grado di garantire felicità. Il libro "Le particelle elementari" di Houellebecq, in Francia, qualche anno fa, suscita scandalo per mettere in luce la liberalizzazione sessuale, con scene erotiche, ma l'autore sostiene che la sua condanna è legata all'aver descritto scene sessuali poco soddisfacenti, comunicando malessere legato alla sessualità: non voleva essere né contro né a favore della sessualità, ma solo realista, perché il sesso a volte non funziona. Il racconto parla di crisi di coppia e famiglia, date dalle condizioni socioeconomiche e dall'individualismo. Non fare della sessualità un idolo= abbandonare l'illusione che sia in grado di far crescere l'uomo, promuovendo la consapevolezza che l'io è teso tra pulsione e relazione: il modello estetico occidentale tende a rendere l'eros un'energia positiva, ma Freud sottolinea che l'individuo che considera la sessualità come uno dei propri fini, è allo stesso tempo uno strumento della specie umana per riprodursi. Accettare l'ambiguità dell'eros è assumere un atteggiamento che non la demonizza né assolutizza: per la Bibbia, la sessualità è un mistero dove fiorisce il nuovo. Questo comandamento è imperativo a trasformare la pulsione in linguaggio e relazione, in dono gratuito: "offrire" nel senso di uscire dalla relazione puramente utilitaristica con le cose. Parlare significa includere l'altro: l'essenza dell'uomo è il linguaggio, poiché dicendo il nome delle cose le stacchiamo da noi e ce le offriamo a vicenda. Allo stesso modo, nella sessualità, l'altro da desiderabile si trasforma in "tu": ciò che altera la sessualità umana è la riduzione a piacere dell'io dove il partner è ridotto a merce di scambio e consumo, dove c'è assenza della parola. L'adulterio stesso è assenza di comunicazione nelle relazioni, mancanza di responsabilità che porta a tradire la fiducia del partner ed espone al rischio di un figlio di cui non ci si può assumere responsabilità, che si inserirebbe con difficoltà nell'esistenza, non sarebbe amato. Gli adulteri si iscrivono fuori dai vincoli sociali e di responsabilità. La salvaguardia della sessualità umana non risponde ai nuovi problemi come femminismo, contraccezione e movimenti gay, ma è giudizio critico della concezione della sessualità ridotta a piacere. La fecondazione artificiale mette in gioco desideri onnipotenti, la vita viene colonizzata con interessi speculativi dalla biogenetica: fluisce fuori dai corpi, ma anche dai pensieri e dalle responsabilità genitoriali. La sessualità è mistero, gratuità e dono. L'accoglienza e responsabilità trova una soluzione alla contraddizione sulla sessualità di Freud, dell'io come fine a se stesso e come anello di una catena. CONCLUSIONE: ragione ultima della sessualità, nella Bibbia: dono da accogliere e ridonare responsabilmente, contro la concezione naturalistica che la vede come una cosa spontanea, contro la concezione dualistica che la vede come asservimento al razionale: la sessualità è partecipare alla gratuità di Dio che, associando l'uomo al suo essere creatore, ne fa co-creatore di riconoscenza e di responsabilità. 8) NON RUBARE: gratuità e proprietà Proibizione del furto e dell'appropriazione indebita. Secondo Marx, l'alienazione umana nel "Manifesto Comunista" del 1848, è legata ad un antagonismo tra borghesia e proletariato che produce sofferenza negli oppressi. Per la Bibbia, la volontà di appropriazione colpisce tutte le classi sociali, riguarda la soggettività umana, il cuore degli uomini. L'alienazione come volontà di appropriazione per la Bibbia è la costituzione dell'io come "proprietario", perché nega lo statuto di creatura a cui tutto è dato gratis. Adamo si fa ingannare, rifiuta il padre commettendo l'ingiustizia originaria; Caino instaura il regime del terrore, imponendo agli altri il rispetto e seminando violenza. Quindi ingiustizia suprema è negare la gratuità. Dio ordina: "voi siete presso di me stranieri e inquilini". L'interpretazione non è che l'uomo ha la sua patria altrove ed è un estraneo sulla terra, perché renderebbe impossibile conciliare uomo e mondo. Nella Bibbia, in Israele l'uomo è straniero perché non può rivendicare diritto di possesso: è ospite, "inquilino". L'io ha tutto senza possedere nulla: l'ospitalità annulla la logica dell'appropriazione, illumina lo splendore del dono disinteressato. Passare da schiavi a liberi è passare da un modo di essere concentrati sull'io ad uno di essere centrato sull'altro. L'uomo è ospitato gratuitamente sul mondo, venire al mondo è nascere e bisogna ringraziare. Il divieto di non rubare quindi è rivolto in primis a Dio, perché il suo dono è per tutti: non si ruba ciò che è stato dato gratis. Non è un comandamento che ordina il rispetto della proprietà privata, ma anzi la mette in crisi: del mondo Dio è l'unico proprietario, mentre ogni altro re o imperatore è al massimo amministratore. Dio dà ricchezze per il servizio dei fratelli: la proprietà, di fatto, è modalità di un rapporto più profondo con i beni, dove chi ne è proprietario è solo amministratore. Chi ha, ha dovere di donare agli altri. Senso autentico della proprietà: denuncia come ingiustizia e violenza ogni accumulo di violenza non intenzionata alla solidarietà, perché possedere il gratuito è assurdo, il solo possibile atteggiamento è riconoscenza e responsabilità. 9) NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA: gratuità e parola La Bibbia sottrae la parola alla menzogna e la pone a servizio della verità. Nessuna società può sussistere senza il vincolo della parola data: ogni parola degraderebbe a semplice suono, e causerebbe disgregazione sociale. La verità biblica non è quella aristotelica per cui c'è corrispondenza tra ragione e cosa: la verità biblica è fedeltà e misericordia. "Tannè" ebraico per "non risponderai constro il tuo prossimo da testimone di menzogna": secondo Ouaknin, il senso è non utilizzare la parola per far soffrire l'altro. La parola ha potere malefico: indiscrezione, pettegolezzo, falsa 15 testimonianza: idolatria, incesto ed omicidio sono meno rilevanti della maldicenza. La verità della parola non è adeguarsi all'oggetto, perché per benevolenza può essere violata, come chi mentiva nella persecuzione nazista degli ebrei, dichiarando di non sapere dove fossero nascosti. La parola è etica, instauratrice di relazione e misericordia: se pronunciarla diviene un impedire la comunione invece che favorirla, diverrebbe menzogna etica incarnata in sincerità verbale. La parola può farsi menzogna anche nella rilettura della storia, come i "revisionisti" che si sforzano di dimostrare che le vittime del nazismo sono una menzogna, approfittandosi del clima di disillusione odierno e della tendenza a mettere tutto in discussione. Contro la tentazione di falsificazione della parola umana, vigila la parola divina che comanda di non rispondere "contro il tuo prossimo rivolgendogli contro la parola". Verità della parola= essere ponte di comunione tra umani perché circoli l'amore di Dio. 10) NON DESIDERARE: gratuità e desiderio Regolamentazione del desiderio per la donna e per oggetti e valori. Nella tradizione cristiana il comandamento si divide in due, in quella ebraica (qui seguita) è un unico comandamento, che vieta desiderio di: casa, moglie ed altro del tuo prossimo. Il Deuteronomio non mette però la donna sullo stesso piano della casa: prima pone il divieto di desiderare moglie del prossimo. Questo divieto, comunque, è paradossale: mette in discussione ogni visione romantica di desiderio pacifico e liberatorio. Per Girard, il desiderio non è beato accesso alla felicità e benessere, ma fonte di risentimento in cui l'altro è colui al quale l'io diviene ostile. Nel saggio "Vedo Satana cadere come le folgore", espone il suo pensiero controcorrente per cui esiste nella Bibbia una concezione originale del desiderio e dei conflitti da essi generati. I comandamenti dal sesto al nono sono semplici, brevi, vietano violenze gravi. Il decimo è lungo, proibisce un desiderio: il desiderio in sè. Nel Discorso della montagna, Gesu già annunciava che chiunque guarda con desiderio una donna è al di fuori dell'orizzonte dell'amore: annuncio biblico radicale, che contraddice concezioni metafisiche (desiderio come via all'assoluto) e antropologiche (pienezza dell'umano) tipiche della società dell'eros. La ragione del divieto, per Girard, è nel nesso tra desiderio e violenza. Struttura mimetica del desiderio: l'io desidera ciò che l'altro desidera, quindi tutti sono desideranti rivali, ed individuano un debole su cui scaricare l'aggressività prodotta. La ragione non è nel soggetto desiderante o nella cosa: sta nel fatto che a desiderarla è l'altro. La fonte della violenza è la rivalità: questa poi diviene falsa testimonianza, furto, adulterio e omicidio. L'ultimo comandamento, quindi, smarcherà queste forme di violenza e riconosce nel desiderio l'elemento scatenante delle violenze proibite nei quattro comandamenti precedenti. Il Decalogo proibisce prima le azioni violente, poi la causa: desiderando tutti la stessa cosa, si producono odio, invidia, conflitto e violenza. Per la Bibbia, però, l'io si costituisce da sé soggetto violento quando prova volontà di dominio. Un esempio è un midrash (spiegazione rabbinica) della ragione per cui Caino uccide Abele. Per il primo maestro perché Caino dice "La terra è mia"; per il secondo "questa donna è mia"; per il terzo "questo tempio è mio". Alla radice comunque c'è volontà di possesso, trasformazione in "mio" di ciò che non può essere mio perché dono di Dio. Oggettivare una donna e un tempio. Vietando di desiderare: si sottrae il mondo all'ordine del possesso, restituendolo all'ordine di gratuità dove il Padre chiama l'io a fare altrettanto. Impossessarsi è contraddittorio: il desiderio va ricondotto alla sua verità originaria, la bontà di ogni essere è prima dell'uomo e per l'uomo: l'orizzonte del gratuito, così, fonda il desiderio sull'amore gratuito e disinteressato. Nel libro della sapienza, Salomone confessa di aver fatto una scoperta rispetto al quale le ricchezze sono nulla e non c'è gemma eguagliabile: per la Bibbia questa è la gratuità divina, da desiderare più di salute, bellezza e luce: sapienza della gratuità come paradigma dell'essere è scoprire una luce il cui "splendore non tramonta mai". APPROFONDIMENTI 1) Comandamento e libertà Il Dio biblico si rivela come comandamento: è scandaloso per chi fa coincidere libertà ed autonomia. Il comandamento, però, è potenza capace di instaurare la libertà: dono della Torah come dono più grande, paragonato ad una colomba, che venne creata e in seguito Dio donò le ali: Dio dona la Torah perché sia ciò che porta l'uomo, come le ali permettono di volare. Chiarificazioni: 1) Soggetto del comandamento: Dio, solo: ogni altro è un usurpatore. Affermare la signoria di Dio è sottrarre l'uomo al dominio e aprirgli lo spazio della libertà: 2) Contenuto del comandamento: amore per il prossimo, non amore di desiderio che tende all'altro, ma amore di alterità come libera scelta e volontà di bene; 3) Concetto di libertà, mito fondante della modernità: l'uomo, dimentico di essere stato generato, concepisce la libertà come spontaneità, ma la Bibbia la intende come decisione, non tra le infinite possibilità dell'io, ma come decisione tra io e Dio, tra desiderio e nuovo orizzonte di gratuità e bontà: la libertà così diviene valore appagante, slegamento da se stessi che, libertà come amore finalizzato all'altro e quindi responsabilità. L'annuncio di un umano dove l'io non è più parola prima: prima c'è l'Altro con la sua Parola, un comandamento che non è limite ma affermazione che l'umano è chiamato alla bontà e preceduto dalla Bontà: Bene prima dell'essere. 2) Comandamento e dignità Per la saggezza indiana, la salvezza consiste nel porsi all'ultimo posto, ma questo per l'uomo è impossibile: prima che nella volontà dell'uomo, la volontà divina ha creato l'uomo "poco meno di un Dio", con "tutto sotto i suoi piedi: armenti, bestie, uccelli, pesci". Però sarebbe un errore interpretare questa signoria come volontà di potenza: per la Bibbia è possibile solo attraverso il comandamento di amare, che istituisce la dignità che per l'ONU (Dichiarazione dei Diritti del 1948) pone come fondamento stesso dell'umano. La dignità per la Bibbia non si individua oggettivamente o razionalmente: si iscrive nel comandamento, che si incarna nel volto dell'altro e nel suo bisogno: si rivolge all'io rendendolo responsabile, facendo percepire l'altro come assoluto indisponibile con bisogno di pane e perdono: va colta la povertà e la miseria, la responsabilità nei confronti dell'altro, che pone la dignità umana sempre come dignità relazionale, una forza imperativa di bontà. Ciò vale anche per i valori, ciò che nell'uomo sempre vale e permane: assoluto bisogno dell'altro. Oggi non siamo in una crisi di valori, ma in una crisi dell'io: il valore rende l'io responsabile, e appartiene alla decisione dell'io la sua esistenza. Da Westerbork, campo nazista, la prigioniera Hillesum scrive: "non esiste nesso causale tra comportamento delle persone e amore che si prova per loro… l'amore è come un ardore… qui di amore non ce n'è molto, eppure mi sento ricca". Tutti si sono ritrovati d'accordo nel formulare la lista dei Diritti, ma non bisogna chiedersi perché: i valori non esistono in sé, ciò che li fa esistere è il comandamento a farli esistere. 3) Comandamenti e nuovo testamento Idea diffusa vuole che la morale dei comandamenti sia stata superata da quella cristiana del perdono. Questa contrapposizione tra legge e amore, tra ebraismo e cristianesimo, secondo Lattes, è un'invenzione dei secoli, che concepiscono la Legge come schiavitù. Eppure il popolo ebraico non coglie la Torah come peso, ma anzi intende la dolcezza e la gioia della sua esperienza, come Schetcher (rabbino inglese) che precisa che da un lato alcuni decantano questo peso, dall'altro abbiamo la testimonianza di 25 secoli di gioia, felicità, vita e morte sotto la Legge. Le ragioni della contrapposizione sono molteplici, tra cui: - Discorso della montagna: oggi gli esegeti concordano sul fatto che l'affermazione delle tesi di Gesù con antitesi alle leggi ebraiche non vanno intese come contrapposizione, ma come riconferma: la discussione di Gesù appartiene alla metodologia della discussione magistrale dialogica, che scaturisce da un comune amore per la Sacra scrittura, senza volontà di demolire l'ebraismo; - Lettera di Paolo ai Galeti: il linguaggio con cui "maledice" l'ebraismo non va inteso alla lettera: non polemizza contro la Legge dell'Amore, ma contro l'uso formale e strumentale che se ne fa, e la rinnega così nella sostanza più profonda. La rilettura cristiana dei testi giudaici come strettamente lealisti è sbagliata: l'ambivalenza della legge, come precetto e dono salvifico, è un dato costitutivo della tradizione giudaica. Il Nuovo Testamento annuncia il perdono di Dio, Gesu sulla croce lo rivela escatologico: non si oppone ai dieci comandamenti. Annunciare perdono del peccatore non è legittimarlo, ma dischiudergli la coscienza della colpa e fargli dono dell'uscirne. Il perdono è condizione di possibilità dei comandamenti mosaici: annunciare a chi pecca che è perdonato è annunciare la possibilità di tornare a vivere senza peccato. Il perdono non è morale più nobile, ma è la condizione di possibilità di osservanza dei comandamenti, anche se sono stati violati. 3) DISCORSO DELLA MONTAGNA, ERNESTO BORGHI PREMESSA Capitoli 5-7 del Vangelo secondo Matteo, il "discorso della montagna", sono un riferimento fondamentale, valori guida della fede e cultura cristiane: 109 versetti che hanno influito nella cultura e nelle lingue euro-occidentali (es. "porgere l'altra guancia"). Nonostante la possibile ambiguità di una considerazione letterale di questo verso, le implicazioni di questo teso sono notevoli, ed il concetto di beatitudine, giustizia e perfezione evangeliche oggi sono poco chiari. Cosa voleva dire Matteo con queste parole, e come si traducono nella vita di oggi? CONTESTO Primo dei 5 discorsi che pronuncia Gesù, con alternanza tra parti narrative e discorsive. La predicazione inizia con adesione al progetto del padre nonostante le difficoltà. Tre azioni fondamentali del nazareno: insegnare, annunziare il Vangelo, guarire le infermità. Il Sinai è luogo prescelto per parlare a folla e discepoli, stesso luogo della rivelazione di Dio per simboleggiare continuità con la Torah ( insegnamento, dottrina; "vangelo" è invece buona notizia dell'amore di Dio e della libertà donata a un ebreo: amore e comandamento sono in armonia: la Torah è data per amore, per amore viene rispettata). I destinatari sono i discepoli e le masse. La postura seduta però indica insegnamento non destinato alle grandi masse. Si divide in sette parti. 1) LE BEATITUDINI Beati: ebraico "ashré": condotta di vita integra di chi si fa guidare dai comandamenti di Dio e non li trasgredisce. Cerca la sapienza, basata sulla giustizia divina rivelata nella Torah. Questa però è beatitudine in prospettiva terrena: nella lettura apocalittica biblica, sono detti beati coloro in difficoltà o sfavore, che hanno felicità proiettata nella dimensione escatologica: il nuovo Testamento riceve la concezione duplice di terreno ed escatologico. 1) Beati i poveri in/per spirito, perché di essi è il regno dei cieli: povero, oppresso; nello spirito= colui che non avanza pretese intellettuali di autosufficienza e quindi accoglie la salvezza come un dono. Poveri per lo spirito= liberi spiritualmente dai beni materiali. Regno dei cieli= modo in cui Dio esercita la sovranità: dominio del donare, condividere, felicità fondata sulla misericordia. Appartiene ai poveri che sono disponibili a ricevere: il Regno è compimento della volontà divina, condizione in cui ogni povertà viene meno perché Dio desidera che il dolore scompaia nella vita umana. 2) Beati i sofferenti, perché saranno consolati: sono coloro che per calamità e per la morte di esseri umani subiscono privazioni e manchevolezze, e sono quindi consapevoli della dimensione mortale della vita, che non è oppressione ma normalità. La consolazione è la gioia del mondo nuovo. 3) Beati i miti, che erediteranno la terra: chi è mite rinuncia alla violenza e ha fiducia nella costruttività. Sinonimo di umiltà ed assenza di collera, non anestetizzazione. Accettando tempi e modalità divine, chi crede non possiede la terra, ma accetta che Dio la consegni alla fine, nel Regno dei cieli. 4) Beati coloro che hanno fame e sete, saranno saziati: condotta etica conforme alle esigenze di Dio. Esiste giustizia personale e sociale, ed entrambi vanno considerati perché esistano. La sazietà è un punto di arrivo al di la della dimensione terrena: vivere secondo gratuità, trovare soddisfazione da Dio nell'attenzione esistenziale. 5) Beati quanti operano misericordia, ne saranno oggetto: i sensibili alle miserie degli altri, attuano perdono e offrono benevolenza. Dio stesso riconosce in loro l'immagine del proprio figlio. 6) Beati i puri di cuore, vedranno Dio: razionalità umano-divina piena, rettitudine interiore con socialità umana. I puri di cuore non sono gli asceti che evitano il contatto, ma coloro che hanno nitidezza esteriore relativamente al cuore e all'interno del cuore. Chi ha un cuore chiaro e perfetto è giusto, cerca ed ama Dio con tutto il cuore, la sede dell'attività emotiva, intellettuale e volitiva del singolo. Nella sesta beatitudine, l'interiorità è volta alla volontà di Dio e quindi al bene dei simili. Vedere Dio è esserci in relazione, avere un rapporto affettivo. Il futuro del verbo rimanda alla dimensione escatologica. 17 1) Non accumulate tesori sulla terra, ma nel cielo: dov'è il tesoro, sarà anche il cuore: conservare i beni solo incorruttibili; 2) Lucerna del corpo è l'occhio: che sia chiaro, non malato o il corpo sarà tenebroso: secondo la concezione giudaica, la luce entra dall'occhio e si diffonde nel corpo: luce e oscurità sono le metafore della condizione umana. Se la fonte di luce è l'oscurità, la situazione dell'individuo è tenebrosa in 2 modi: occhio ed intenzione decidono della luce e delle tenebre; 3) Non potete avere come servo sia Dio che Mammona: donarsi totalmente a "beni materiali, denari e ricchezze" è alternativo a Dio, che occupa in modo totale la vita umana: il problema della ricchezza e delle tentazioni ha 3 direttrici: - in rapporto a Dio: idolatria; - in rapporto agli individui che si affannano ad accumulare: vanità; - in rapporto agli altri: oppressione. Gesù afferma che la corrispondenza tra apertura a Dio e chiusura all'esclusività del tesoro sulla terra è impegno di fondo nella vita: tesoro scelto, occhio posseduto, padrone accettato. Non è contrapposizione tra grandezze ma soggettiva; 4) Non affannatevi per mangiare, bere, indossare: gli uccelli non seminano ma il Padre li nutre; i gigli nel campo non si vestono. Il padre sa di cosa avete bisogno: cercate il regno di Dio e troverete queste cose: genuinità economica del Gesù storico: necessità fondamentali, ma la vita vale di piu. Azione maschile di seminare - uccelli; filare - gigli: imponibilità umana di variare l'estensione della vita e superiorità degli umani rispetto al resto, apice dell'attenzione positiva del Creatore. Chi è miscredente cede a queste preoccupazioni. Gesù è certo che il padre sia conscio delle necessità per la personale esperienza e per le occasioni di preghiera. Le preoccupazioni materiali sono da considerare, ma bisogna vivere giusta relazione con gli altri e con i beni terreni. I discepoli devono abbandonarsi alla fiducia, lasciando preoccupazioni: necessarie sono la cooperazione con Dio allo sviluppo della realtà e la necessità di procurarsi il sostegno essenziale alla vita; 5) Non affannatevi per il domani: ogni giorno ha la sua pena: relazione Regno-giustizia: sottomissione a Dio e disponibilità ad obbedirgli sono impegno totale dell'essere umano, non serve surplus di sofferenza. Riconoscenza dei doni della provvidenza, fiducia in Dio, relativizzazione della materialità e tensione verso i valori dello spirito: tre dimensioni non praticabili se ci si affanna per le questioni materiali imminenti. Il discernimento etico esige maturità umana. La moralità dell'agire significa assumersi responsabilità con una limpida analisi di sé, imparare a conoscersi, valutarsi e definirsi. Per superare le "possessioni materiali" occorre donare il proprio cuore essendo semplici e chiari negli scopi della vita: scegliere il "tesoro" e cosa conservare. 6) REGOLE DELLA GIUSTIZIA 1) Non giudicate, sarete giudicati: togli prima la trave dal tuo occhio: centralità della giustizia superiore a quella di scribi e farisei. Giudicare è valutazione totalizzante priva di amore: unico giudizio legittimo è la misura divina, dunque amore e misericordia, mentre sentenziare sugli altri è un problema di ogni religione. Se si è impediti nella vista, necessità primaria è fare sparire il limite: l'individuo deve prima valutarsi nella capacità di vedere la sua esistenza: Gesù guarda non per giudicare chiudendo alla vita, ma per creare aperture; 2) Non date cose sante ai cani, non gettate perle ai porci: i cani sono randagi e i maiali impuri: non dare il prezioso a chi non lo apprezza, perché conseguenze negative per il dono e per il donatore. Il discepolo getta le perle nel fango quando la sua luce si oscura e il suo sale perde sapore, ovvero quando la vita non produce buone azioni; 3) Chiedete e vi sarà dato: dare cose buone ai figli, il Padre darà cose buone: la gratificazione divina dipende dalla bontà del Padre. La richiesta è fondata fiducia, le cose buone sono le esigenze del Padre nostro; 4) Quanto vogliate che gli esseri umani facciano a voi, fatelo a loro: regola d'oro comune a molte religioni: fare il bene a partire dal desiderio spontaneo. Reciprocità positiva totale, gratuità totale: l'unione delle dimensioni: - riassume la concretezza delle direttive complessive del discorso della montagna; - è proposta all'universalità dei destinatari; - proviene da Gesu; - si radica come guida dell'interiorità. Equivalenza reciproca e sovrabbondanza gratuita allo scopo di porre l'unilateralità in vista dello sviluppo della bilateralità. Il giudizio dell'altro si fonda sull'affidamento a Dio, nel rispetto della creaturalità e dei criteri divini di rapporto con gli altri. Le parole sul tesoro e i detti annessi sono le conseguenze delle prime tre richieste sulla vita dei discepoli dentro il mondo. Richiedere il pane solo per oggi, domandare il perdono e non gettare cose sante come ammonizione sulla vera tentazione e sul male che sovrasta i discepoli: disprezzare quanto nel Padre nostro è stato loro affidato. Pratica della "regola d'oro", amore verso i nemici come fedeltà radicale. Amore di Dio nella generosità verso i propri simili 7) CONDIZIONI DELLA GIUSTIZIA (peculiarità con i paralleli lucani) 1) Entrate attraverso la porta stretta: larga è la porta che conduce all'annientamento esistenziale: duplicità della via della vita e della morte: molti la seconda, pochi la prima che comporta difficoltà e sofferenze di una vita autentica; 2) Guardatevi dai falsi profeti, lupi rapaci: un albero buono non produce frutti cattivi. Albero che non produce frutti buoni: tagliato e gettato nel fuoco: attenti ai falsi profeti: l'albero è metafora, perché c'è unione tra una persona e il suo afide. Produrre buoni frutti è fare la volontà di Dio e avere fidicia, messaggio del Dio di Gesù 3) Non chi chiede entrerà nel Regno, ma chi fa la volontà del Padre. Molti diranno: noi abbiamo profetato e compiuto miracoli: operatori di iniquità: molti parlano in nome delle opere realizzate, ma chi vanta meriti non ha etica cristiana: vero profeta vive in conformità con la verità e mette in pratica la volontà del padre; 4) Chi ascolta queste parole costruisce una casa sulla roccia, se no sulla sabbia: differisce da Luca perché la Palestina e le piogge sono riferimento geografico di Matteo, Luca allude alle inondazioni delle regioni extrapalestinesi. Comunque: dicotomia fra ascolto e realizzazione dipende dalla responsabilità di ciascuno. Alternatività delle scelte: opzione a favore della vita come pratica dell'esistenza: equità/inequità, saggezza/ stoltezza, verità/ falsità: fare la volontà del padre è vivere secondo il discorso della montagna. "frutti" dell'agire sono esiti e moltiplicatori della vita piena. La croce è fondamento obiettivo e storico della libertà dell'uomo: Gesù si pone nelle mani della libertà, accettando fino all'ultimo. RIEPILOGO: Essere beati, sale e luce della terra significa mirare alla giustizia vera, amare i nemici. La Torah è radice di questa prospettiva, secondo continuo approfondimento del rapporto con Dio, verso un'unificazione dell'essenziale della vita: - dall'interiorità unificata all'impegno sociale integrale; - dall'amore totale personale alla concretezza dell'universalità; - da comandi o precetti morali a inviti pressanti fondati sul principio di beatitudine. Ispirare la propria vita ad un elevato contenuto etico: la giustizia è relazione di alleanza con Dio nell'amore verso gli altri esseri umani. I rapporti con gli altri sono opportunità di incontro, fedeltà e riconciliazione. VALORE DI MT. 5-7 PER LA VITA QUOTIDIANA: Rispetto integrale dell'essere umano alla base della giustizia, per farlo: - ricercare i responsabili di reato e verificarne la consapevolezza; - essere sicuri dell'espiazione delle pene; - favorire il recupero etico, fisico, psichico dei detenuti con reinserimento nella vita sociale; - sostenere individui e famiglie segnati da uccisioni o menomazioni di congiunti per violenza, mafia e terrorismo. Se questo si realizza, si pratica effettivamente una giustizia degna dell'essere umano. La giustizia che arriva al perdono è decisiva per costruire relazioni umane meno bisognose di giustizia repressiva e punitiva, capaci quindi di aumentare il tasso di felicità. L'amore disarmante e disarmato non evita ma affronta i conflitti. Non è altruismo fanatico, né sentimentalismo: si unisce un "egoismo" illuminato e l'altruismo possibile con buona volontà e sincerità totale. Vivere così è poco praticato e difficile. La separazione tra Nord e Sud del pianeta è una ragione per cui impegnarsi: bisogna allontanassi dalla logica del profitto economico. Iniziative come il commercio equosolidale sono uno sviluppo. Molte associazioni di carattere assistenziale e culturale dimostrano che sta aumentando la sensibilità, ma serve come base la convinzione che l'arricchimento economico e materiale non è primo obiettivo. La crescita economica di tutti va perseguita in modo organico e compatibile con l'ambiente naturale dell'uomo. Non devono esistere uomini sempre destinati a lottare per sopravvivere: senso serio di responsabilità sociale e culturale. Molti rapporti familiari poi sono intrisi di grigiore e stanchezza, ma sposarsi è ragionare di valori non socioeconomici a favore del singolo. Troverebbe minore terreno la mentalità di assicurarsi vantaggi matrimoniali economici e sociali senza assumersi le responsabilità della scelta. L'asservimento all'esteriore attraversa la vita di chiese e società; spesso il servilismo è stimolato e premiato, la libertà di coscienza depressa, gli accordi tra i poteri hanno obiettivi economici. Esistono persone dedite alla libertà e giustizia, ma la superficialità e la prevaricazione, l'opportunismo e la scarsa fiducia in cultura e amore sono cancri continui. L'educazione permanente dovrebbe far comprendere cosa significa essere giusti in ogni fase della vita. Gesti concreti di giustizia si basano su libertà di coscienza individuale e consapevolezza di essere parti di una comunità. Cammino lungo e faticoso, ma efficace per ottenere pace e per conferire alla vita una direzione sensata e divina. APPUNTI PER NON FREQUENTANTI CAPITOLO 1 NASCERE ALLA VITA: dallo stupore di esistere ad un senso per vivere Nascere e morire sono accadimenti in cui si svela per il credente un senso per l'esistere, si determina una prospettiva per la comprensione di sé da parte dell'uomo. Sono esperienze degne di significati, elaborati dai credenti di ogni tempo, e ciò è importante oggi, in cui c'è una percezione debole del senso della vita, poiché si dà valore assoluto al sapere tecnico-scientifico, precludendosi l'accesso alla sapienza delle tradizioni religiose. Anche la scienza bioetica pare fare una riflessione operativa che rischia di occultare la profondità degli eventi di generare, essere generati, patire e morire. Giovanni Paolo II, nell' Evangelium Vitae del 25 marzo 1995, scrive: "l'uomo non riesce più a percepirsi come "misteriosamente altro"… si considera come uno dei tanti esseri viventi, organismo ristretto nella sua fisicità che non è più capace di lasciarsi interrogare sul senso della sua esistenza e si preoccupa solo del "fare"…: programmare, controllare e dominare la nascita e la morte. 1) Atrio dello stupore: risuonare del mistero della vita Stupore: originale dimensione affettiva con cui s'inaugura l'interrogarsi dell'uomo sul proprio intimo e sul divino. Non è banale cultura di affetti, sensazioni o ricerca di esperienza: stupore e affetto sono l'essere colpiti da una realtà in cui l'origine è ignota, sulla quale l'uomo non ha padronanza. Si inaugura una riflessione per scoprire l'esperienza originaria della vita. Chiodi afferma che l'esperienza del nascere è un debito radicale, che istituisce come "in relazione agli altri". Nascor, dal latino, indica una forma passiva, che sarà radice di ogni attività. Nel Salmo 139 c0p l'inutilità di fuga dalla generazione: fin dall'origine c'è uno sguardo di un altro, quello dei genitori, carico di desiderio, in cui si annuncia lo sguardo di Dio: è già presente dalla nascita la relazione con Dio, che dà senso all'esistenza. Nascere come figli, creature di Dio: intuizione originale che forma l'itinerario di riconoscimento del senso dell'esistenza, in cui il ruolo cardine è da dare ai primi capitoli della genesi. 2) Uomo come "immagine e somiglianza di Dio" Capitolo 1, Genesi: uomo come "cosa bellissima-buonissima" e "immagine e somiglianza di Dio". Oltre al nesso con Dio per il pensiero razionale, il senso sta nel fatto che l'uomo è destinatario di una relazione particolare con Dio, che separa l'uomo dalle altre creature. Uomo custode, interprete e interlocutore della "parola", con cui Dio crea il senso delle cose che si riflette sulla sua struttura particolare e trova esplicitazione nella "signoria ministeriale" dell'uomo sulle realtà. - immagine, "selem": richiama la continuità tra Dio e l'uomo, sua icona; - somiglianza, "demut": distanza da Dio. 21 L'accorgersi stupito dell'essere nato grazie all'iniziativa di altri si precisa nella Genesi: meraviglia di essere stato creato come vivo riflesso dello splendore divino, ma anche distanza da Dio per l'avere un inizio e una fine. Essere creati è il primo evento di una storia punteggiata dall'intervento di Dio (alleanza), ma resta affidata all'esercizio della responsabilità. La bontà del mondo non è automatica: serve obbedienza e libertà. Nascere inaugura una storia di libertà vissuta con Dio, donata come condizione di ogni possibilità, ma va protetta e tutelata fino alla maturità: già nel neonato, in quanto figlio, si riconosce dignità umana. 3) Vivente tra cielo e terra: "polvere" e "alito di vita" Capitolo 2: racconto creazione uomo e donna, che ugualmente insiste sulla tensione tra uomo e altre creature: l'uomo non è un Dio, ma non è riducibile ad un animale. E' una creatura perché plasmato con la polvere, (Adam, da adamah, "terra"), ma Adam richiama anche "dam", sangue, elemento in cui risiede la vita. Gli animali possiedono uno spirito di vita, "ruah", mentre agli uomini è dato l'alito divino, "neshamah", luce interiore divina che illumina l'uomo e lo rende dotato di coscienza, consapevolezza dell'agire: la persona è collegata a Dio con la coscienza. L'essere creatura è un limite, ma rappreenta luogo in cui l'uomo comprende il suo dipendere da Dio e respirare la sua vita: nasce per morire, ma è punto di partenza per la comprensione della trascendenza della vita umana. 4) Distorsione del senso del limite della vita Capitolo 3: differenze tra lettura ebraica, di Paolo e della dottrina del "peccato originale", ma noi ci occuperemo solo di approfondire il concetto di "limite". Prima della trasgressione dell'interdetto divino, il limite (uomo e donna come realtà terrestri e parola di Dio che proibisce di mangiare il frutto dell'Albero), non si comprende il limite come realtà frustrante: segnala che il limite creaturale è lo spazio delimitato in cui uomini e donne sperimentano relazioni buone ed appaganti. Il serpente è passamano del limite ontologico e radicale: mangiare del frutto per non morire, significava colmare la distanza tra uomo e Dio. Solo dopo aver mangiato il frutto il limite appare negativo, un confine soffocante, e non più come luogo di apertura dell'io a mettere in atto relazioni positive con gli altri. La ripresa cristiana non vuole superare questi concetti, ma arricchisce il testo antico, già con la "Lettera ai Romani" di Paolo, che coglie il rapporto tra il primo Adamo, datore di morte, e l'ultimo Adamo, Cristo datore di grazia e giustificazione. Anche nella Lettera ai Filippesi, Paolo riporta che Adamo, spinto dalla "pretesa di essere come Dio", volle impadronirsi dell'uguaglianza con lui; Gesù, invece, obbedì a Dio fino al dono di sé con la morte in croce. Cristo ci dona sé come vita eterna, compimento di una promessa iscritta da sempre nell'opera creatrice di Dio. 5) Apparire alla vita del primo e di ogni figlio Dopo la cacciata dal giardino troviamo una ricca trama di genealogie con cui si connette la nascita allo sviluppo della storia dell'umanità e delle alleanze tra Dio e l'uomo. La nascita di Caino, nella Bibbia, vede grande attenzione al senso celato dietro questa generazione. Eva grida di stupore: "ho creato un uomo con il Signore". La nascita di un uomo trascende l'unione sessuale dei genitori: la vita è dono di Dio, il figlio ha dignità e indisponibilità. Significato: c'è responsabilità umana di vivere la propria vita come dono divino. Nascere (come morire) è luogo in cui trovare una dimensione che trascende l'essere umano biologico: sono eventi in cui si annuncia l'opera di Dio. Karl Barth ribalta l'assioma di Cartesio "cogito, ergo sum", affermando: "cogito, ergo sum": sono pensato e dunque sono. Essere conosciuti da Dio e quindi amati, si spinge oltre dalla nascita: nascere, per la sapienza biblica, comincia nel grembo, in cui viene tessuta l'esistenza sotto lo sguardo di Dio (Salmo 139, forte lirismo). Le azioni attribuite a Dio sono "tu hai formato i miei reni", verbo "qanah", lo stesso con cui Eva parla della sua maternità: un atto di libertà, e non una costrizione dell'uomo-marito-padre. Dio che "crea" e forma le "reni, sede nella simbologia corporea degli impulsi più intimi dell'uomo. "Sei tu che mi hai tessuto": allude all'opera raffinata di una tessitrice: il verbo "shkk" ebraico contiene anche senso di "protezione": fare e custodire, corpo come veste regale che forma nella profondità della terra, immagine della maternità in cui si compie la gestazione. La realtà embrionaria è resa con il termine "golmi", che evoca qualcosa di arrotolato, che si distende progressivamente sotto gli occhi di Dio nel corso del tempo della gestazione. La dignità si salda già nella forma iniziale della vita umana: prima di poterlo scoprire con la propria ragione, è già essere riconosciuto da Dio. Non si tratta di un destino ineluttabile che pesa sulla vita dell'uomo, ma di una relazione di conoscenza fatta di amore. Dio è per lui scaturigine di vita e spazio di libertà. Possiamo accostare un altro brano sapienziale biblico: oltre alla creazione come tessitura e vasaio (Dio che plasma l'uomo), Giobbe esclama di essere stato creato come latte cagliato per preparare il formaggio, quando protesta per la sua malattia e sofferenza. Il respiro di vita e l'opera di Dio restano un mistero, resta impossibilità di ridurre ad evidenza empirica il segreto di ogni vita. C'è una legge radicale dell'esistere umano, per cui la vita anticipa la coscienza: lo stupore precede la ragione, perché noi non nasciamo per opera nostra ma da altri: la consapevolezza verrà dopo, all'inizio siamo nel pensiero dei genitori nelle veci di Dio. La nascita non è fatto biologico, ma presenza di un essere protetto fin dagli inizi. Il pensiero di Dio è insondabile, pari al "mistero del grembo": dobbiamo abbracciare la speranza, affinché l'amore di Dio si compia in ognuno di noi. Nel giorno in cui si determina la nascita di un essere umano, per il credente è un fatto legato alla carne e a Dio. La fede che spera è chiamata a fermarsi, con desiderio che lo sguardo di Dio continui a penetrare ogni vita. Il buio avvolge nascita e morte, Dio penetra questo buio con la sua luce. La tradizione legge il mistero dell'irrompere della vita come dono divino, che non porta ad un imperativo morale, ma rappresenta un documento alla qualità della vita dell'uomo. Sapersi creatura e figlio sono parte della consapevolezza che nel rapporto madre/bambino, Dio è presente e permette la costruzione della relazione tra i due: "conosce" la sua creatura fin dal concepimento e anche da prima, perché essere concepiti vuol dire essere conosciuti da Dio ancor prima di poterlo conoscere. Parlare della vita come mistero segnala l'impossibilità di ridurre la vita a parametri esplicativi come scienza o filosofia: la vita è mistero perché realtà simbolica, non si spiega da sola ma trae significazione come "promessa" cui tenere fede nell'esistenza con "rispetto" della vita, facendo si che con le proprie azioni resti apertura al compimento possibile di sè. 6) Ripresa meta-etica: l'uomo immagine di Dio e la persona umana 6.1) Tema teologico della persona umana: uomo come immagine di Dio, centro del discorso del "Gaudium et spes" del Concilio vaticano, radice del tema del "rispetto alla vita umana". La persona è un essere relazionale, in cui la vita diviene luogo di alleanza con Dio: il cristianesimo (con Boezio), coglie in più la distintività umana, sottolineando la solo internamente: da esso dipende invece il capitale sociale della società civile. Il bene scambiato e l'umanità prodotta nella famiglia contribuiscono a creare fiducia nella società, superare indifferenze e generare una cultura di cittadinanza responsabile. Alcuni indici del capitale prodotto dalla famiglia: 1) Primaria cura per nuove generazioni e per la fascia debole/anziana della popolazione; 2) Ammortizzatore sociale con ridistribuzione del reddito disponibile per difficoltà; 3) Creazione di stili di vita eco-compatibili con criterio di sobrietà; 4) Umanità che si riverbera all'esterno. Diviene necessaria una più decisa consapevolezza della funzione sociale della famiglia, rendendola soggetto politico riconoscibile come interlocutore privilegiato. La maggiore visibilità è determinante, perché in mancanza di politiche familiari, si distrugge il capitale sociale prodotto dalla famiglia. Serve quindi articolare un equilibrio tra i due assi dell'insegnamento sociale cristiano, anche in ambito familiare: sussidiarietà, con attenzione a politiche di sostegno, e solidarietà, con protagonismo delle famiglia a rigenerare la compattezza del tessuto sociale. Belletti afferma che una positiva relazione tra famiglia e politica si realizza con incontro tra famiglia (con responsabilità e orientamento pro- sociale) e politiche (con approccio promozionale a movimentare le famiglie), in modo da ottimizzare le potenzialità interne di incremento del bene comune. 4) "Fragilità" delle relazioni familiari Nel 2006: 50mila divorzi e 80mila separazioni, con 246mila matrimoni: una famiglia su due incontra separazione, con possibile creazione di "famiglie ricostruite" a partire dai divorzi che portano difficoltà relazionali tra genitori e figli. 1) Si impone progressivamente la convivenza come esperimento in vista di un possibile matrimonio; 2) cala il tasso di nuzialità in Italia, e cresce l'eta media di uscita di casa paterna; 3) Debolezza progettuale individuale che rende difficile "scommettere per tutta la vita", per la difficoltà a decifrare i sentimenti e un approccio al presente; 4) Paura dell'incertezza: difficoltà a fare famiglia unita a indicatori di insicurezza legati a denaro e lavoro, premesse e punti saldi per la progettualità familiare; 5) modello sociale di autorealizzazione individuale che subordina la dimensione progettuale di matrimonio e famiglia, rendendo la regolazione degli equilibri interni come forze a disposizione dei singoli. Quindi: fedeltà e tenuta del matrimonio, oggi, sono processi perennemente in trasformazione, ridiscussi dagli eventi e dalla disposizione dei soggetti. Il matrimonio è un'esperienza che può realizzarsi o meno, scelta "importante", che oggi è divenuta anche reversibile. Il matrimonio non dà più significato all'intimità tra due persone, perché questa viene acquisita precedentemente: tende ad offuscarsi la differenza tra famiglia legale e sentirsi famiglia. C'è, quindi, fragilità nel costituirsi della famiglia e questo è fattore costante per tutta l'esistenza, che riguarda in primis l'unione di coppia. Bauman, nel libro "Amore liquido, sulla fragilità dei legami affettivi", mette l'accento sulla mutevolezza e revocabilità dei legami affettivi, concepiti come sperimentazioni provvisorie, in cui l'amore diviene episodio distinto con convinzione dei partner della sua fragilità e brevità. La nostra epoca esaspera il desiderio di affettività, ma perde la solidità e l'idea per cui il legame implichi un progetto a lungo termine di cura reciproca. L'amore è consumistico, e anche la decisione di essere padre e madre tende ad essere soddisfacimento di un desiderio di coppia che vede nel figlio "oggetto di consumo emotivo", stentando a riconoscere in lui soggettività libera ed originale. La comprensione della fragilità dei legami non è quindi suscettibile solo di valutazione morale-cristiana, ma richiede un'attenzione educativa. 5) Amore "adulterato": apertura in prospettiva educativa Secondo Marcaletti, la relazione coniugale che fonda la famiglia trova senso nel suo generare legame sociale, ma questo senso oggi è messo in questione, non tanto a livello ideologico, ma di pratica. Non è l'istituzione matrimoniale ad essere in crisi, ma i percorsi che conducono ad essa: è una crisi dei processi di socializzazione alla vita a due, ed è quindi centrale un approccio all'"adulterazione" dei rapporti coniugali che riporti al senso del legame familiare e a una lettura delle possibilità dell'amore umano. La tradizione cristiana dispone di una lettura originale sul destino della relazione di coppia, con accentuazione della dimensione di legge (nomos) rispetto al senso, logos. Si è teso a definire un quadro normativo per ribadire la forma unica e indissolubile del matrimonio cistiano, evidenziando la genesi di precetti su sessualità e comportamenti, ma questo non può essere l'unico modo di interpretare. Serve lasciar emergere il senso che caratterizza la dinamica tra i sensi, attenzione al nomos non disgiunto dal logos, per chiarificare il senso umano-cristiano dell'incontro tra maschio e femmina e ne indirizza il destino nella vocazione a matrimonio e famiglia. Domanda di essere compreso il comandamento "tu non adultererai", parola che ambisce a impegnarsi per la vita costruendo dedizione, dando direzione all'esistenza. Non è parola critica e giudizio, ma pone differenza dal sentire comune permettendo di accedere ad un livello di profondità altrimenti irraggiungibile. Conferenza Episcopale Italiana, "Educare alla vita buona del Vangelo", percorso di formazione per educazione dei sentimenti: tra l'educazione di intelligenza razionale manca una coltivazione della sensibilità affettivo-emotiva che si riflette nella generazione adulta. Si possono individuare due piste per orientare l'educazione all'amore in vista di una vita matrimoniale: 1) esperienza della sessualità contemporanea, che Bauman descrive come erotismo che non si allea né con la riproduzione sessuale né con l'amore, ma che reclama indipendenza, come libertà di piacere sessuale fine a se stesso, così che l'erotismo acquista leggerezza, ma diviene anche preda di forze pronte a sfruttarne i poteri di seduzione. Oggi si cerca di emancipare l'erotismo dai vincoli biologici della riproduzione e dai vincoli culturali dell'amore: in sostanza abbbiamo netta separazione tra significato riproduttivo dell'eros (fecondità), ludico (erotismo), intersoggettivo (amore, con assolutizzazione del momento ludico. La risposta educativa impone l'importanza di offrire un aiuto alla lettura di sé e del proprio corpo: educazione alla corporeità che non si centra sulla singola soggettività, ma si apre alla dimensione comunicativa. Pagati sostiene che il corpo si presenta come parola che esprime, ha bisogno di stabilire dialogo e convivenza: la questione fondamentale è rispondere alla domanda "Cosa voglio dire con il mio corpo", quindi educare alla maturazione della propria sessualità significa aiutare a darsi questa risposta. La struttura materiale non si esaurisce nella sua sensività: la cosa importante è che attraverso la materialità, si donano 25 altre cose. La funzione del corpo è la sua simbolicità: la pienezza di una realtà corporea si raggiunge e mantiene se la corporeità umana riesce a dare invito alla trascendenza; 2) Famiglia contemporanea: non solo deconnette i membri dal legame con la società, ma elevare la qualità di sentimento come criterio della verità delle relazioni espone i soggetti a richieste di investimento emotivo eccessive, che spesso portano a delusioni. Giddens formula il concetto di "relazione pura": la relazione sociale viene costituita in virtù dei vantaggi che i soggetti possono trarre in rapporto con l'altro, quindi si mantiene stabile finche le parti ritengono di trarne sufficienti benefici. Tuttavia l'elemento decisionale di costituire una coppia e la forza motivazionale a continuare finiscono a riconnettersi all'insicurezza e alla debolezza decisionale dell'uomo contemporaneo. C'è insufficienza di formazione di valori cristiani del matrimonio, che si limitano a porre in evidenza l'indissolubilità del legame piuttosto che aiutare le persone a potenziarlo. La libertà continua a generare l'immagine di un uomo in grado di poter agire in modo conforme al proprio volere, senza soggezione, ma qui rischia di sperimentare il dubbio sulla sua reale libertà. La tradizione cristiana può essere fondamentale: intende la libertà non come fine dell'agire, ma come mezzo, ricordando di agire in conformità di un'indicazione superiore come punto di riferimento che può contribuire a dare forma compiuta alla propria esistenza. Essere se stessi non è accontentarsi: la libertà non è un regime indeterminato di presunta tutela delle possibilità dell'esistenza, non è affrancamento dalla legge: la libertà p presenza di una legge in grado di indicare il bene integrale della vita. Si aumenta la capacità decisionale delle persone quando intendono l'orizzonte di responsabilità: non si deve rendere ragione unicamente a se stessi, ma offrire una risposta credibile all'altro: "tu non commetterai adulterio": rispetto del legame matrimoniale non per sé, ma come responsabilità per l'altro. Marcel: è decisiva la costruzione di interventi educativi tesi a rafforzare la fedeltà a se stessi, perché il primo patto nuziale che l'uomo stringe è quello con se stessi. CAPITOLO 3 LE SCRITTURE EBRAICO-CRISTIANE E IL RAPPORTO UOMO-DONNA Filosofa americana Buther, "Undoing Gender": individua nel mito di Edipo il racconto che fonda il codice della normale eterosessualità, e ruolo altrettanto significativo viene dato ai primi capitoli della Genesi, che parlano di archetipo della coppia coniugale. Questi capitoli non sono unicamente determinazione della "natura umana", ma attestano il significato della differenza uomo-donna e pongono un logos (senso) della comprensione della diversità. Le espressioni del testo biblico su maschile e femminile, che insieme rendono immagine e somiglianza di Elohim (Dio), e quelle che parlano della relazione già pensata in chiave nuziale tra i due, fondano una comprensione dell'umano pensata in vista di incontro reciproco, che chiarifica l'identità di ciascuno. Ognuno è un progetto originario ma è anche un percorso aperto alla capacità umana di dare forma alla vita: l'origine, il testo sacro, domanda di essere decifrato. Nel primo testamento troviamo la presentazione di coppie esemplari, ed emerge il volto ambiguo della sessualità: inganni, violenze, stupri. Inoltre, ruolo importante in questi testi è rivestito dalle consuetudini della cultura, come la poligamia, giustificata ad Israele per il bene della prole, ma ricondotta nella discendenza di Caino a "Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà" (Lamech, 4° cap. Genesi). Si afferma una necessità di rivolgersi all'altro sesso, ma una sottomissione violenta della donna: questa storia di deformazione del rapporto tra sessi si solidifica, per peccato dell'uomo e per giustificazione culturale. Tuttavia, i primi due capitoli della Genesi offrono la lettura più radicale ed originale di natura positiva della differenza tra sessi, in una cultura di comunione intersoggettiva. I primi capitoli della Genesi contengono la verità sull'origine (nell'ottica del progresso di alleanza uomo-Dio), ma anche la forma degna per l'uomo di relazione maschio-femmina. Nel secondo capitolo, la densità simbolica è molta. La solitudine di Adam è riconosciuta da Jhwh, che la riconosce, perché ricerca un "aiuto" per coltivare e custodire l'Eden. L'aiuto ricercato è "come davanti a lui": precisa che sia in grado di corrispondere a lui, chiarificare con la sua presenza il senso stesso dell'esistenza di Adam, ma anche la possibilità che sia "contro" di lui: si contesta la necessità di cura continua delle relazioni, e la resistenza alle forme di possesso. Adam non denomina la donna come ha fatto con gli animali, ma riconosce e comprende il limite delle sue pretese di uomo: la sua parla è apprezzamento stupito, riconosce la donna come realtà uguale e differente, "osso dalle mie ossa". Inoltre Adam dorme, mentre Dio agisce: impossibilità di determinare a partire da sé le qualità della compagna. C'è un "segreto" condiviso tra donna e Dio che sfugge all'uomo. Adam deve restare aperto alla differenza, comunicare ed entrare in contatto con lei. La logica patriarcale è una modalità storico-culturale che ha plasmato la relazione, sedimentando una "storia di peccato" dominativa dell'uno sull'altro. Ma la parola divina iniziale "non è bene che Adam sia da comprendere come solo", evidenzia che non è pienezza di senso la solitudine: l'umano tende alla comunione. L'Unico resta il divino, mentre la divisione dei sessi non è una "punizione", ma una possibilità di ritrovare dalla differenza uomo-donna una tensione alla convivialità. "il sesso come differenza impedisce all'uomo di rinchiudersi nell'immagine che si fa di sé": uomo e donna insieme dicono di Dio, sono immagine di Elohim: il fratricidio di Caino e la rottura della comunione dei popoli con la "torre di Babele" attestano l'affermarsi dell'ostilità ed indifferenza per l'altro. La parola che Adam usa, "la si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta" ha senso diverso: Lacroix afferma che maschile ha senso solo se in rapporto con "femminile" e viceversa. La differenza è primaria rispetto all'identità: nella logica biblica si va oltre la constatazione della reciprocità nella differenza, per rintracciare un principio che la accoglie come valore. Il discorso teologico reagisce alle derive ideologiche sul genere, e fa pensare ad uomo e donna in modo diverso. Inoltre, in Gen 2, la dinamica del racconto si sviluppa nell'identità reciproca uomo-donna fino alla costituzione della coppia coniugale: "i due saranno una sola carne". La coppia richiede che l'uomo lasci l'identificazione basata sulla sua famiglia di origine, in cui entra la donna, che lascia la propria. La riflessione contro-culturale che scaturisce è la differenza sessuale e la reciproca destinazione nel patto patrimoniale, non come "acquisto" della moglie. Il maschio lascia la propria casa per definire il proprio destino a partire dall'unione con la sua sposa e dall'impegno di essere unità esistenziale, coppia coniugale dotata di senso. La lettura dei primi 3 capitoli della Genesi resta affidata alla parola divina "datar", che conferisce ordine alla realtà e affida all'uomo il compito di custodirlo e dargli forma umana a partire dalla prossimità uomo-donna, elementi basilari della cultura umana. La "normalità" e "naturalità" della distinzione uomo-donna sono da comprendere in forma prospettica, come promessa di vita e reciprocità: la natura dell'umano deve resistere oltre le identificazioni culturali che possono deformarla. Il messaggio neo-testamentario, precipita su indicazioni morali tese a ribadire la forma indissolubile del matrimonio cristiano e ad evidenziare la genesi di specifici precetti riguardanti la sessualità e la censura. Tale chiave di accesso è decisiva, se ci si sforza di far rientrare le norme nella teologia. Ma per lasciar emergere il senso dei testi sula dinamica tra sessi, emerge il senso umano-cristano del confronto e dell'incontro maschio-femmina, per definire direttive e regole. Accanto alle riflessioni sulla reciprocità, sul valore personale e sul rafforzamento dell'unione delle persone, occorre aggiungere il contributo del nuovo testamento a superare sessismo e sistema patriarcale, per portare in evidenza la libertà delle persone a dare corpo alla verità nella relazione personale, con critica alla discriminazione degli individui. La chiave di lettura è contenuta nel Discorso della Montagna, quando Gesù mostra che con il ripudio della moglie, lo scioglimento matrimoniale diventa potere del maschio sula donna. Gesù scioglie questo nodo tra la cultura umana e la parola di Dio, perché non c'è in essa nessuna prospettiva maschilista, che si rende evidente invece se la donna lasciata si ritrova in condizione fragile e senza protezione. Gesù con la sua parola vuole fondare la tutela della relazione buona coniugale, senza supremazie di sesso. Angelini afferma che la norma morale non può essere derivante dalla cultura umana, perché l'insegnamento di Gesù è diverso: diventa prioritario l'impegno ad una pacificazione delle relazioni sulla base delle differenze sessuali, con una nuova esistenza del credente chiamata ad esprimere l'etica di Cristo. La differenza sessuale (uomo-donna), sociale (schiavo-padrone) e religiosa, sono discriminazioni del rapporto pieno con Dio: vanno costruiti rapporti civili più improntati a comunione e riconciliazione. A partire da qui, trovano ulteriore senso le singole affermazioni morali. Cahill (teologa statunitense), afferma che un tema del Nuovo Testamento è la trasformazione dei rapporti umani, affinché riflettano davvero la potenza di Dio, incoraggiando emozioni e virtù che hanno profonde conseguenze nei rapporti morali. L'etica (ethos) di compassione e solidarietà tra gruppi sociali, l'inclusione degli emarginati, introducono una domanda: in che modo fede e vita cristiana possono spezzare le relazioni di dominio e promuovere la solidarietà? La parola di Gesù, come annuncio del regno di Dio, è tensione tra presente e futuro, indica il ritorno alla radice: "natura" umana intesa come realtà che ha inizio nell'inizio del tempo,e compimento aperto attraverso la storia. La Genesi ripropone la verità, evidenziando lo scarto tra la radice e la cultura: ma la verità del principio si esprime sulla base della prossimità tra gli uomini, partendo dal rapporto uomo-donna, per poi aprirsi a tutta la società. Il rispetto della verità iscritta nella natura umana, implica relazione di comunione tra gli uomini verso il Regno. La parola del Vangelo è affidata ai discepoli di Gesu, chiamati a stimolare le migliori realizzazioni storiche di questo dalla collettività umana. Dal rapporto uomo-donna si trae senso per la vita umana, destinata alla coppia coniugale, ma più in generale alla razionalità. Si deve superare la differenza biologica dei sensi, portando l'attenzione alla forza progettuale della cultura come senso promettente della vita. La proiezione del destino escatologico nella storia, implica una trasformazione degli assetti costituiti che impediscono la realizzazione delle persone. Da risorti non si prenderà "né moglie né marito": la risurrezione implica il superamento del presupposto sessista sulla condizione umana. Tale proiezione futura si ripercuote nel presente dei discepoli, che devono costruire rapporti di riconoscimento legati ad un'identità ancora sessuata: ma la norma culturale non è adeguata, perché l'umano ha una persistenza definitiva che non passa dalla caratterizzazione culturale moglie-marito. Paolo, nella lettera ai Galati, afferma "non c'è Giudeo né Greco, maschio e femmina… tutti siete uno in Cristo Gesù". Il principio supremo deve partire dall'agire salvifico di Cristo, che opera nella storia una riconciliazione delle fratture culturali legate al sesso, con ricerca della pacificazione e comunione, che non annulla però differenze maschile-femminile, ma si realizza attraverso di essa o è chiamata a trascenderla come unica modalità di comprensione delle relazioni tra i soggetti. La relazione uomo-donna, nella lettera di Paolo agli Efesini, è richiamata da "questo mistero è grande": "mysterion" delinea la comunione profonda che Dio attua nel cosmo e nella storia, con culmine in Cristo. Questa tensione alla comunione motiva l'essere nella comunità cristiana e penetra la società umana partendo dal nucleo familiare. Il vincolo nell'amore e la considerazione profonda dei soggetti, evidenzia un cambiamento che deve attraversare la famiglia, connotata dal potere maschile: deve affermarsi il logos (senso) di una pari dignità tra persone con cui dare forma ai legami. Nella lettera Corinzi 11, abbiamo la prova esplicita di dialettica tra i sessi. Il sessismo è il punto di partenza di Paolo, che inizia dicendo "di ogni uomo capo è Cristo, e capo della donna è l'uomo, capo di Cristo è Dio". Il testo però evidenzia la questione etica della vita cristiana: Antico e Nuovo testamento si differenziano, perché il sessismo era un fattore accreditato culturalmente ma di fatto il testo riconosce un ruolo attivo alla donna nella preghiera comune. Per questo Paolo non fa coincidere la condizione dei cristiani allo standard culturale di subordinazione della donna, e sottolinea l'unità del genere umano "nel Signore né la donna è senza l'uomo, né l'uomo senza la donna". Questo motivo "teologico" è supportato dalla considerazione biologica che "come la donna è stata tratta dall'uomo, l'uomo nasce dalla donna", cioè l'uomo nasce da un corpo diverso dal proprio: il significato ultimo della distinzione maschile-femminile è trascendente, è il principio di comprensione della realtà umana: per Paolo, Dio in quanto origine del senso compiuto dell'umano si mostra nel maschile e nel femminile. Chiave di reciprocità e tensione alla comunione implicata nella differenza, nel pensiero di Paolo che è uno specchio dell'interpretazione culturale (Grecia e primi cristiani): introduce anche un'osservazione sull'abbigliamento di uomini e donne, ma come "naturale" costume umano. CONCLUSIONI: 1) Differenza maschile e femminile: fondamentale per pensare la cultura umana, fondando la prossimità originaria con cui delineare le relazioni tra persone; 2) Insufficienza a porre nella differenza tutto il senso biblico, poiché in essa si fonda anche la critica a non identificare nella cultura umana la figura etica per l'apprezzamento dell'uomo. Serve una vigilanza sulle forme di pensiero che introducono una ferita nella comune dignità umana delle persone. Il rischio di enfatizzare la dimensione normativa, consente di individuare il carattere inverante che la legge evangelica propone (come "principio" inaggirabile"), e anche il carattere liberante per il superamento di posizioni che offuscano il senso stesso del principio. Questa prospettiva deve condurre ad una attualizzazione dell'azione di riconciliazione, in 27
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