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Teoria dell'educazione, Appunti di Pedagogia

Descrizione accurata della teoria dell'educazione, con una panoramica sulle differenti idee educative e sull'antropologia dell'uomo. sguardo volto agli stili educativi all'interno della relazione educativa, con esempi e casistiche. Si parte dalle metafore dell'educazione fino ad arrivare al progettare educativo.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 16/05/2023

simone-pirrera
simone-pirrera 🇮🇹

3.5

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Scarica Teoria dell'educazione e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! PEDAGOGIA GENERALE METAFORE DELL’EDUCARE (CAP 1) Via analogica: partiamo quindi dalle similitudini, metafore e dai paragoni. Necessaria, inoltre, la premessa che l’educazione è pensata dagli uomini in maniere diverse, non c’è un unico modo di pensare e descrivere l’educazione, ma presenti molteplici elaborazioni culturali. “meta  cambiamento + “phrein  portare METAFORA DELL’OSTRETICA Idea del paragone del lavoro dell’educatore a quello dell’ostetrica deriva da un dialogo di Platone, “Teeteto”: all’interno dell’opera presente dialogo tra Socrate e il suo allievo Teeteto discutendo sulla natura della vera conoscenza. Maestro vuole far ragionare il giovane affinchè sia lui stesso ad arrivare a capire ciò di cui stanno parlando. L’arte di ostetrico, dice nel testo, si applica alle anime partorienti, però non genera conoscenza la fa venir fuori dal soggetto stesso. L’ostetrica non crea e non trasmette nulla, ma aiuta a far venire fuori un qualcosa che era già presente dentro l’individuo ma che da solo non sarebbe uscito con facilità. l’educazione, quindi, avviene attraverso un tirar fuori cose che sono già dentro l’individuo. METAFORA DELLA PIANTA Il giardiniere lascia che la pianta cresca. All’interno della pianta è presente il progetto di crescita, che va solo lasciato sviluppare predisponendo l’ambiente circostante. il seme suggerisce che l’educazione è un lasciar che venga fuori. Nel momento in cui, il giardiniere non si ritiene soddisfatto di come sta crescendo il seme, correggerà dall’esterno il suo sviluppo modificandone la direzione. Azione contemplativa da parte dell’educatore METAFORA DEL VASO Le metafore precedenti descrivono un qualcosa già pieno, differente dal vaso che è qualcosa da riempire. Maria Montessori definì il bambino come una “mente assorbente”. L’educazione è quindi un tirar fuori o un mettere dentro? Se è un tirar fuori ciò che ricaviamo dal soggetto in crescita è sempre buono o serve raddrizzarlo? Se è un mettere dentro chi decide cosa mettere dentro? Educando come recipiente che: - Ha la capacità di modificare ciò che viene messo dentro (acqua ha una forma in un recipiente, e un’altra in un altro) - Ce sempre una relazione tra il recipiente e ciò che viene versato METAFORA DELL’ARGILLA L’artigiano modella una massa in-forme che è dura, grumosa e presenta impurità. L’artigiano sa cosa vuole creare mentre l’argilla no e si lascia modellare. Educare come dare forma. CONCLUSIONE - L’educazione ricorda diversi movimenti che l’educatore può compiere nei confronti dell’educando - Le metafore dell’educazione mostrano aspetti diversi dell’educazione Bruner:  Pensiero per la mano sinistra  pensiero divergente, quello che procede per libere associazioni, creativamente, per immagini e metafore  Pensiero per la mano destra  pensiero logico, lineare, che usa idee chiare e distinte EDUCAZIONE E I SUOI FALSI SINONIMI (CAP 2) L’educazione è qualcosa che gli uomini fanno, ovvero si tratta di azioni, comportamenti e atti che contengono un pensiero. l’educare è una forma di agire L’educazione è quindi una categoria ampia di azioni alla quale corrisponde non un unico termine, ma un insieme di parole che possono sembrare sinonimi ma in realtà presentano significati diversi. John Dewey e Maritain convergono su questo punto: - Maritain dice che l’educazione ha tre significati diversi - Dewey fa un elenco di verbi che rimandano a differenti modalità di educazione Sviluppo-educazione-istruzione-formazione-socializzazione-animazione-addestramento-cura-pedagogia SVILUPPO L’essere umano non rimane sempre uguale a sé stesso nel corso della sua vita e come il suo cambiare sia connesso con i processi educativi al quale è sottoposto. Ci sono diverse accezioni di sviluppo come sviluppo economico, o sviluppo industriale, a noi interessa lo sviluppo personale. Nei confronti dell’educazione lo sviluppo si riferisce ad un processo naturale ed inevitabile. La differenza però tra educazione e sviluppo è l’inevitabilità del secondo (legato alla natura biologica dell’uomo) e l’occasionalità dell’educazione che dipende da eventi storici. Tema affrontato spesso dalla pedagogia è quello del rapporto tra natura e cultura: ciascuno di noi è fatto in un determinato modo per via della sua costituzione biologica (natura) o per via dell’influenza dell’ambiente circostante (sviluppo)? Nello sviluppo conta più una o l’altra? Ciò ha portato ad una dialettica tra nativisti ed empiristi, nella quale per i primi il patrimonio congenito è ciò che influenza maggiormente lo sviluppo. Per gli empiristi invece l’uomo è malleabile (“tabula rasa”) ed è il contesto ambientale ad avere una maggiore influenza sulla crescita personale. Le due posizioni determinano precise conseguenze sul piano teorico: - Rispetto al grado di libertà o autodeterminazione del soggetto - Rispetto al potere dell’educazione (capacità di produrre degli effetti sull’educando) - Rispetto alle sue stesse caratteristiche (per i nativisti: diventare ciò che si è. Per gli empiristi: grandezza dell’uomo data dallo sviluppo civile più avanzato) Caduta successivamente questa rigida e schematica opposizione tra natura e cultura che sembravano non potessero interagire. Ad esempio, dal punto di vista della cultura che è un processo che varia in base alle interazioni sociali con i coetanei e altre persone, o con il gruppo di appartenenza. Lo sviluppo, quindi, è determinato sia da fattori innati che acquisiti e nello specifico da: - Fattori ereditari e capacità soggettive - Influenza del contesto socio-culturale - Esperienze fatte - Interventi educativi a cui è esposto Istruire deriva da “instruere” che significa “costruire” e “ordinare”, come un sistemare uno strato dopo l’altro per ottenere una costruzione completa. In questo senso la scuola si organizza in più gradi a loro volta suddivisi in classi: - Grado preparatorio (asilo) -> luogo educativo per far conoscere sé stessi e il mondo, per sviluppare l’uso della parola, imparando inoltre la convivenza con altre persone - Istruzione elementare (primaria) -> scopo di formare le capacità linguistiche, cognitive e relazionali - Istruzione secondaria (medie e superiori) -> fornisce una base di cultura generale variamente orientata a seconda degli indirizzi - Istruzione superiore (università ecc) -> ha lo scopo di preparare all’esercizio delle diverse professioni in maniera approfondita e accurata, grazie al connubio tra insegnamento e ricerca scientifica Secondo un’altra terminologia si può accorpare alla “scuola di base” l’intero arco di scolarizzazione valido per tutti (nel nostro paese fino a 14 anni) distinguendolo dai gradi scolastici in cui prevale l’elemento della differenziazione a seconda delle finalità. Quanto detto fin qui ci permette di distinguere l’istruzione generale, da quella specifica e professionale - Istruzione generale  si basa sul principio di Comenio (padre della didattica) di “insegnare tutto a tutti” ovvero far conoscere l’intero mondo dell’esperienza umana a tutti gli uomini (anche sfruttando la ricorsività ovvero stessi insegnamenti percorsi più volte ma in maniera diversa in base all’età). Ciò può essere giustificato da Bruner che secondo lui l’istruzione si deve concentrare sugli elementi base che costituiscono le discipline perché il loro possesso ti permette di avere una conoscenza panoramica ma non superficiale. - Istruzione specifica  tali conoscenze possono essere approfondite solo in pochi ambiti poiché è impossibile padroneggiare tutti i campi del sapere in maniera profonda. Quindi da generale a specifica cambia il livello di approfondimento - Istruzione professionale  si fonda sulle differenti finalità che l’istruzione può perseguire. Come il poter assumere un determinato ruolo lavorativo In secondo luogo, importante è la dicotomia tra istruzione materiale (concentrata sui contenuti da trasmettere e quindi alle informazioni delle varie discipline) e l’istruzione formale (concentrata sul potenziamento delle capacità dell’educando) Herbart: L’educatività dell’istruzione  l’insegnamento di qualsiasi contenuto, unitamente al modo in cui esso è effettuato, è inevitabilmente educativo poiché necessariamente sviluppa certe attitudini, certe capacità e certi valori. Non esiste istruzione senza educazione: da un lato ciò esclude la possibilità di un’istruzione neutra e oggettiva (non basata su particolari scelte pedagogiche, culturali o valoriali) dall’altro lato, il tema dell’impossibile neutralità dell’istruzione fa comprendere il suo grande potere, quale strumento atto a plasmare le attitudini e le convinzioni dei singoli e dei gruppi sociali. Se riprendiamo invece le definizioni di educazione istruzione vediamo come, l’istruzione sia una categoria più ristretta di azioni e totalmente ricompresa nell’educazione. nel rapporto tra educazione ed istruzione si fonda l’analoga distinzione tra pedagogia e didattica nella quale la prima è la disciplina che studia l’educazione e la seconda la disciplina che studia quei particolari processi educativi che abbiamo definito istruzione. FORMAZIONE È il termine più difficile da definire poiché nel linguaggio pedagogico è tutt’ora usato con significati diversi a seconda delle situazioni, degli ambiti e delle concezioni pedagogiche. Il suo significato quindi non è univoco, ma ci sono 3 accezioni principali:  L’origine di questa parola deriva dal latino “forma” che designa l’immagine completa, integrale di un essere giunto alla piena maturità. “form-azione” inserendo quindi l’elemento dell’agire operativo si configura come “dare una certa forma”. Formazione, infatti, esprime proprio il pensiero del “modellare” e “plasmare”, capace quindi di trasformare l’educando in un soggetto completo e maturo. critica: la coscienza pedagogica attuale non è d’accordo con il presupposto che l’educando sia un soggetto totalmente passivo e inanimato che viene plasmato a piacimento dall’educatore. In questo modo la formazione diverrebbe un’opera di adattamento del soggetto ai voleri dell’educatore e di assoggettamento ai modelli socioculturali non rispettando la libertà e la personalità dell’educando. Formazione assumerebbe così i connotati di un’azione demiurgica e onnipotente nella quale l’educatore crea l’educando e lo plasma come un Dio.  Formazione come Bildung, parola tedesca che significa “creare”,” costruire” (da cui anche il verbo inglese to build) “formare” ma designa anche il “ritratto” e “l’immagine”. Concezione di Bildung come sviluppo integrale del soggetto umano in tutte le sue qualità e aspetti secondo l’idea che l’uomo è un soggetto complesso ma strutturalmente organico, le cui componenti sono tutte interrelate. Lo strumento primario attraverso cui si può raggiungere tale risultato formativo è l’incontro con la cultura, poiché essa umanizza e che rende l’uomo veramente e propriamente tale Bildung quindi è la coltivazione di sé, la coltivazione dello spirito, la cultura che umanizza ed eleva. Esso è contemporaneamente il mezzo agente (cultura che forma) e il processo e il fine (formazione che si ottiene attraverso la cultura) con una duplicità di significati che si riscontra anche nel greco “Paideia” che significa insieme “cultura” e “educazione”. formazione è educazione come acquisizione di una cultura approfondita  Formazione è quell’ambito dell’educazione finalizzata all’acquisizione di competenze utili a svolgere un certo ruolo, professionale o sociale. Spesso indicato anche come “training” (formazione professionale o aggiornamento). Essa ha uno scopo molto più preciso rispetto alle prime due e si giustifica sulla necessità del mondo produttivo di disporre di lavoratori capaci di svolgere le mansioni richieste. Se formazione1 e formazione 2 sono quasi sinonimi di educazione poiché esprimono due modi di concepirla, non si può dire lo stesso sulla formazione 3 poiché essa comprende un’estensione ridotta dell’educazione . SOCIALIZZAZIONE Socializzazione può assumere dei significati diversi in base al campo disciplinare in cui è utilizzata. in pedagogia è intesa come il campo dell’educazione volto a far apprendere al bambino la capacità di interagire con gli altri. Imparando a costruire e a gestire legami, significativi e gratificanti con adulti, coetanei, con l’altro sesso ecc socializzazione  educazione alla socialità però importanti sono anche le accezioni del termine nel campo della psicologia e soprattutto della sociologia - in ambito psicologico, si parte dal fatto che il bambino è un essere sociale, che fin da subito quindi è portato ad interagire con gli altri. Socializzazione  processo evolutivo attraverso il quale gli individui sviluppano le competenze necessarie per costruire relazioni sociali pedagogia utilizza questo termine in riferimento all’intervento educativo, mentre la psicologia guarda al semplice processo di sviluppo che si accresce attraverso l’esercizio stesso delle interazioni - in ambito sociologico, la socializzazione  processo messo in atto da ogni gruppo sociale, attraverso cui si cerca di far acquisire alla generazione più giovane i valori, le norme, gli atteggiamenti del gruppo. In tal modo le società risolvono il problema di dare continuità a sé stesse nel tempo (senza un’azione socializzante ed integrativa le società si disintegrerebbero). in quest’ottica, la socializzazione produce aspettative a cui il soggetto è costretto a conformarsi e dall’altro risponde al bisogno di appartenenza dell’uomo e contribuisce a generare l’identità di ciascuno perché appunto fornisce un insieme di certezze in grado di strutturare la personalità i luoghi della socializzazione sono i più vari perché di fatto in ogni ambito della società agiscono forme di socializzazione più o meno evidenti, dalla famiglia, al gruppo di coetanei, alla scuola, i mezzi di comunicazione mediale. Differenza tra educazione e socializzazione: Chiare in questa concezione le differenze tra socializzazione (sociologia) ed educazione, poiché l’elemento discriminante è dato dall’intenzionalità, dato che l’educazione comporta sempre un certo gradi di consapevolezza e volontà da parte degli attori che ne prendono parte, mentre la socializzazione rappresenta un concetto più vasto. *Precisiamo però, il concetto di educazione informale  educazione data dalle influenze provenienti dall’ambiente di vita del soggetto (non intenzionali) influiscono sui suoi comportamenti. * Un secondo aspetto che distingue la socializzazione (sociologia) dall’educazione è dato dalle differenze epistemologiche dei due termini, poiché la prima è una scienza prevalentemente descrittiva, il concetto di socializzazione si basa su processi reali. La pedagogia invece, descrive si i processi che accadono nella realtà ma possiede anche un’anima orientata a indicare le finalità educative. Analogo al concetto di socializzazione nell’ambito sociologico è il concetto di “inculturazione” proveniente dall’antropologia culturale, che esplicita che l’insieme degli atteggiamenti, dei comportamenti delle norme condivisi da un gruppo sia la loro “cultura”, così che l’inculturazione indica il sistema di trasmissione di tutto ciò e il suo corrispondente processo di acquisizione dell’individuo. la relazione tra società e cultura è molto stretta, un certo tipo di cultura implica un certo modello sociale e trasferire cultura significa trasferire tutta la relativa struttura sociale. $$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$ Educazione formale  educazione che ha una finalità educativa principale e ben definita, con personale ben addestrato a tale ruolo Educazione non formale  educazione in cui scopo educativo è ricercato in maniera intenzionale ma risponde ai bisogni più specifici, ruoli educativi assimmetrici Educazione informale  educazione si realizza attraverso la libera e scambievole interazione tra persone (no intenzionalità) $$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$ ANIMAZIONE Nonostante la prima idea di animazione che ci viene in mente sia quella nelle feste dei compleanni, essa ha un ampio spettro di applicazioni, ad esempio: - ambito culturale -> animazione teatrale, mostre - associazionismo -> animazione di gruppi di volontariato o legati a specifici interessi - istruzione e formazione -> scuole, seminari x adulti, laboratori - formazione professionale -> orientamento professionale, progetti di lavoro socialmente utile - educazione preventiva e riabilitativa -> centri per anziani, centri di aggregazione giovanile, ex tossicidip. - Turismo e tempo libero -> villaggi turistici, crociere, ludoteche L’animazione  forma di educazione e di intervento sociale che “da anima”, da vita, rimette in funzione ciò che altrimenti sarebbe spento. Inoltre, l’animazione è azione e produce azione, è movimento e rimette in movimento. quindi l’animazione può essere definita come uno stile di educazione caldo, empatico, finalizzato al coinvolgimento e alla partecipazione dei soggetti, attento agli aspetti emotivi e relazionali del processo che viene generato. intervento caratterizzato da ruoli aperti e non rigidamente definiti con un setting flessibile e una valutazione (quando c’è) effettuata assieme ai partecipanti del percorso fatto assieme. è l’antitesi della didattica dei contesti formali. Guido Contessa: “l’animazione è una professione che coopera al cambiamento degli utenti, singoli o aggregati, mediante gli strumenti ludici e di attivazione culturale” tale definizione ci fa cogliere due elementi: - Carattere metodologico -> vengono indicati i metodi dell’animazione ovvero quelli ludici, lavorando coi singoli ma soprattutto coi gruppi che possono ridare vita, movimento alle situazioni stagnanti - Carattere teleologico -> “cambiamento degli utenti” collegata all’idea di educazione critico-liberatoria. Scopo dell’animazione dunque è quello di produrre un cambiamento nei soggetti, nei singoli o in gruppo affinché cerchino, trovino una condizione di maggior benessere. ADDESTRAMENTO La pedagogia invece ha un’identità plurale: storicamente, è molto più antica delle scienze dell’educazione,essa ha sempre avuto un rapporto con la riflessione filosofica con la quale ha condiviso i metodi. Oggi però accanto alla pedagogia teoretica e ad una storica sono molto diffusi gli approcci empirici CINQUE IDEE DI EDUCAZIONE (CAP 3): 1. Educazione come sviluppo delle capacità innate del soggetto 2. Educazione come coltivazione integrale dell’uomo 3. Educazione come processo di trasmissione/appropriazione della cultura 4. Educazione come ingresso nel gruppo sociale 5. Educazione come liberazione del soggetto dalle schiavitù della società EDUCAZIONE COME SVILUPPO DELLE CAPACITA’ INNATE DEL SOGGETTO In primo luogo, si nota la parola “sviluppo” che indica un processo naturale di crescita che avviene per una forza interna e secondo modalità che non sono necessariamente decise con una scelta volontaria. L’affermazione prosegue parlando di “capacità innate”, cioè di potenzialità che sono già dentro un individuo fin dalla nascita e che non dipendono da ciò che apprende progressivamente o dagli influssi esterni. L’idea espressa quindi nella definizione ribadisce il vedere l’uomo come già in possesso di un progetto di crescita che non necessita di interventi esterni (anzi potrebbero essere controproducenti perché modificherebbero il progetto iniziale) Principi che accompagnano questa idea dell’educare: - La naturale autosufficienza  soggetto per crescere non ha bisogno di qualcosa dall’esterno in aggiunta. L’uomo è visto come un essere bio-psichico che trova ogni suo compimento in una dimensione materialistico-immanente e prevalentemente individuale - La libertà  se un soggetto viene lasciato libero crescerà nel migliore dei modi. Lasciarlo libero significa avere fiducia del fatto che le emozioni, gli impulsi che lo guidano siano buoni - La negatività di tutte le influenze che arrivano dall’esterno ovvero degli “influssi sociali”. La società cerca solo di imbrigliare l’individuo e l’educazione è il principale strumento usato per ottenere questo scopo. Per controverso la pedagogia deve trasformarsi in anti-pedagogia perché qualunque forma di educazione prevede un’autorità e di conseguenza è intrinsecamente impositiva, repressiva, castrante per il solo fatto che tende a modificare lo “sviluppo naturale” dell’uomo. - L’imbrigliamento dell’uomo attraverso l’educazione fa si che il soggetto non sia più “padrone di se stesso” in quanto interiorizza le norme da rispettare Che cos’è allora questa idea di educazione? È un semplice lasciar fare alla spontaneità della natura, dove l’educatore deve solo contemplare (stare a guardare), considerata da Rousseau un’educazione negativa, nel senso che non è basata su azioni positive (da fare) ma sul non fare. l’educazione, in questa logica, è anche maieutica in quanto finalizza solo a “tirar fuori” ciò che è già dentro (ostetrica) facilitando un evento spontaneo e naturale nella consapevolezza che un uomo non debba acquisire capacità (perché già interne a lui) ma le debba soltanto mettere in movimento, “esercitare” per non lasciarle addormentate dentro di sé (pestalozzi). Non esistono ideali di uomini da perseguire perché sarebbero come gabbie precostituite per cui un individuo viene indirizzato dall’educatore non a realizzare il potenziale che ha in sé ma ad adempiere un progetto che gli viene imposto. Questa idea di educazione viene definita dalla parola natura (riferita alla “naturalità” bio-psichica dell’uomo) perciò pedagogia naturalista EDUCAZIONE COME COLTIVAZIONE INTEGRALE DELL’UOMO Bisogna innanzi tutto chiedersi che cos’è l’uomo? Sappiamo che è composto da una molteplicità di dimensioni che interagiscono una con l’altra influenzandosi reciprocamente (dimensione corporea, intellettiva, emotiva, comunicativa ecc). ogni riduzionismo (considerare l’uomo costituito solo da una dimensione) è un impoverimento dell’immagine stessa di uomo. se sul piano descrittivo i riduzionismi sono un problema conoscitivo dal piano educativo invece prefigurano un’educazione sbilanciata verso uno solo o pochi aspetti. Parlare di educazione come “educazione integrale” significa considerare la molteplicità delle dimensioni tutte correlate tra loro e tutte meritevoli dell’attenzione formativa implicando la necessità che ciascuno costruisca sé stesso attraverso uno sforzo di realizzazione attuabile solo tramite l’aiuto di una guida educativa (no autosufficienza) Principi alla base di “coltivazione integrale”: - L’unitarietà e l’integralità dell’uomo, cioè il suo essere costituito da più dimensioni diverse tutte organicamente connesse tra di loro - L’illiceità di visioni riduzionistiche di uomo come di ogni visione che anteponga all’uomo qualcos’altro - L’idea della poliedricità dell’uomo viene ad assumere i tratti di un ideale educativo, per cui l’azione educativa deve tendere verso un ideale di uomo che l’educatore ha in mente dall’inizio del suo operato. Ciò significa che la coltivazione integrale dell’uomo è un’educazione teleologicamente orientata da una scelte che l’educatore compie Quindi l’educazione è un processo integrale che deve cioè considerare tutto l’uomo nella sua sistemicità. L’idea di integralità è grosso modo analoga a quella di “onnilateralità”, solo che quella di integralità era proprio delle pedagogie cristiane mentre la seconda a quelle comuniste. pedagogie cristiane -> sostenevano questa idea sulla base dell’unitarietà dell’essere umano nella sua essenza creato da Dio a propria immagine e quindi perfetto nella sua configurazione. pedagogie comuniste -> difendevano il principio dell’onnilateralità sulla base del diritto di avere un’educazione “completa” Poiché integrale, l’educazione deve essere per tutti anche liberale, ovvero un’educazione da “uomini liberi”. spesso per indicare questa idea di educazione si utilizza anche la parola “Bildung” ovvero un’educazione basata sul dare forma al soggetto che sta crescendo attraverso gli strumenti della cultura. Infine, se c’è un ideale educativo prestabilito verso cui andare, il ruolo dell’educatore è un ruolo di guida che rispetta la libertà dell’educando. È un modello quindi non contemplativo bensì direttivo. Infatti, questo modello educativo richiede una sottomissione a una disciplina interiore ed esteriore che permette al soggetto di crescere coltivando la propria umanità. Tale disciplina è interiore perché richiede lo sforzo volontario del soggetto stesso e una tensione personale di autoprogettazione della propria crescita disciplina esteriore perché richiede l’affidamento a un educatore che sappia anche accettare e coltivare la libertà dell’altro, il cui valore personale non può essere schiacciato nemmeno in virtù di un principio giusto. L’educazione, secondo questo modello quindi, è un’opera che si realizza nel rapporto umano profondo tra due soggetti fatto di fiducia, orientamento al bene e cura dell’altro. e quindi l’educazione non può essere un’azione puramente tecnica, meccanica, freddamente professionale poiché l’orientamento al bene e la relazionalità personale ne fanno un’opera che è assiologicamente orientata (orientata ad alcuni valori). Uomo come soggetto libero, ma libertà costruita in una forma matura, ovvero consapevole e rensponsabile. Questa idea di educazione viene definito pedagogie umaniste EDUCAZIONE COME PROCESSO DI TRASMISSIONE/APPROPRIAZIONE DI CULTURA Questa definizione si riferisce a “cultura” = insieme molto ampio di conoscenze che l’umanità ha elaborato nel corso dei secoli e ne costituiscono il patrimonio. Ovvero conoscenze che appartengono ai vari campi del sapere e alle varie discipline, i grandi classici della cultura, le opere o anche i comportamenti che possono essere appresi. Questa cultura deve essere trasmessa alle nuove generazioni che non ne conoscono i contenuti affinché le apprendino e su queste formino e possano costruire nuove conoscenze. Formatività della cultura, concetto che risale non solo al principio espresso da “Bildung” ma anche al suo corrispettivo greco “paideia”. Werner Jaeger e il suo studio intitolato “Paideia: la formazione dell’uomo greco” nella quale sostiene che una delle creazioni degli antichi filosofi greci è proprio un’idea di cultura (paideia) che forma l’uomo e lo plasma secondo un ideale che mettte al centro l’umanità stessa dell’uomo, anche in rapporto al suo ruolo nelle polis. si consolida così, lungo i secoli successivi, l’idea secondo cui il vero uomo, l’uomo completo, l’ideale a cui l’educazione deve tendere sia quello che si è confrontato con la cultura degli avi, acquisendola e formandosi su di essa. (da ciò nasce la convinzione che la migliore formazione sia quella basata sugli studi classici) “trasmissione” e “appropriazione” esprimono due diversi significati del rapporto che si può instaurare tra educando e cultura: trasmissione -> rimanda ad un processo di consegna di qualcosa a qualcuno, il quale ha il solo compito di riceverlo appropriazione -> sembra focalizzare l’attenzione più sul ricevente che sul trasmettitore implicando un atteggiamento meno passivo della prima definizione che non deve solo riceve ma anche farlo proprio entrambe le definzioni si basano su un’idea di una cultura che precede ciascuno di noi, perché proveniente dalla storia dell’umanità, e con cui ciascuno di noi ha il compito di confrontarsi per accoglierla e diventare grazie a questa, più uomo. In sintesi: - La cultura è l’insieme delle espressioni e delle conoscenze prodotte dall’umanità nel corso della sua storia. Tale insieme costituisce un patrimonio di cui si sostiene il valore e che pertanto deve essere custodito in maniera pressoché fedele - La cultura da così origine a processi sostanzialmente conservativi, perché legati al mantenimento in vita del patrimonio suddetto ma anche valutativi perché le espressioni culturali vengono sottoposte a una selezione che stabilisce cosa debba essere conservato (cultura alta) e cosa invece non serve tramandare ai posteri (cultura bassa) - Singolo soggetto non nasce completo e nemmeno autosufficiente, poiché uomini non si nasce ma si diventa e lo si diventa nella misura in cui si riceve il patrimonio culturale dell’umanità Inoltre, dato che l’educazione corrisponde ad una “trasmissione” ed “appropriazione” essa è soprattutto un’istruzione con precisi contenuti da trasmettere. Questa precisione di contenuti implica che non tutti possono rivestire il ruolo dell’educatore, per cui servono professionisti appositamente preparati allo scopo e luoghi formalmente dedicati. Lo scopo resta il “mettere dentro” nonostante si possano utilizzare metodi maieutici e attivi, nella quale l’educatore ricopre una posizione di superiorità formale in quanto è colui che sa, decide cosa insegnare, come insegnarlo e valuta l’allievo. In questo modello di educazione prettamente trasmissivo e intellettualistico, possono rientrare varianti con caratteri più vicini alle modalità del trasferimento passivo o dell’appropriazione ricostruttiva e ricreativa. Ad esempio, l’educazione può coincidere con un modellamento (Skinner) del comportamento umano attraverso una procedura addestrativa finalizzata a massimizzare l’apprendimento di risposte riproduttive (cioè è buona la risposta che l’allievo riproduce fedelmente ciò che l’insegnante ha detto o ciò che ha letto sul libro). Oppure l’educazione può coincidere con forme meno meccaniche e più costruttivistiche, per il cui il sapere equivale non solo alla memorizzazione e ripetizione ma anche alla comprensione, l’attribuzione di senso e l’elaborazione di quanto appreso in senso applicativo ma anche generativo (Bruner). l’educazione può inoltre coincidere con una comunicazione spirituale tra allievo e maestro, in cui quest’ultimo avvicina il suo sapere capace anche di parlare all’interiorità e di liberare la forza creatrice dell’intelletto (Gentile). Infine, l’educazione può essere legata non ad un insieme di saperi già cristallinizzati ma a un modello di scienza ancora in fieri, come quello della sistemica, fuori dal quale si ritiene che non possano trovarsi soluzioni adeguate per i problemi che l’umanità dovrà affrontare nel prossimo futuro (Morin). trasformazione dell’esistente attraverso l’educazione, sia sul piano individuale che sul piano sociale secondo questa idea l’educazione è un processo che mira alla libertà dei soggetti umani attraverso l’incremento delle capacità personali, comprese quelle legate al senso critico e alla partecipazione democratica nella propria comunità di appartenenza. Per essere davvero liberanti i processi educativi non possono solo tendere verso la libertà come finalità generale ma devono anche porla a fondamento delle pratiche e utilizzare metodi democratici e partecipativi, basati non sul ruolo indottrinante dell’educatore ma sul ruolo del gruppo come comunità di scambio di significati, esperienze di vita e apprendimento poiché gli elementi chiave di questo modello sono critica e liberazione, si chiamerà pedagogia critico-emancipatoria. I MECCANISMI DEL PENSARE PEDAGOGICO: INTERMEZZO (cap 4) La pedagogia è un modo di pensare. È un insieme di contenuti, un corpus di concetti e teorie che si sono stratificati nel tempo e che ci consentono di dire che la pedagogia è la disciplina che studia l’educazione; ma poiché anche altre discipline indagano lo stesso oggetto, a distinguerla e caratterizzarla sono i “modi di pensare”. La pedagogia è sì la disciplina che studia l’educazione ma è anche quella che la elabora secondo un proprio specifico modo di pensare. Mettere a fuoco questo tema significa indagare la questione relativo allo statuto epistemologico della pedagogia in modo da comprendere che tipo di disciplina sia (se scientifica o meno) a quali condizioni posso pronunciare affermazioni fondate, quali siano i suoi rapporti con le altre scienze. DIETRO OGNI PEDAGOGIA CI SONO UN’ANTROPOLOGIA E UNA FILOSOFIA POLITICA Presupposto basilare implica che ogni discorso sull’educazione presuppone una certa idea di uomo e di società. Il rapporto basilare tra la pedagogia di un pensatore e la sua antropologia è evidente negli autori dei secoli passati che consideravano la pedagogia come un capitolo di un quadro molto più articolato nella quale organizzavano lo sviluppo della loro speculazione filosofica. in altre parole, questa correlazione tra i vari ambiti della riflessione filosofica evidenzia il rapporto derivativo della pedagogia in quanto capitolo finale, logicamente conseguente dai risultati elaborati nei gradini precedenti. Si può identificare questo modo di intendere la pedagogia con i termini “pedagogia ancella della filosofia”, quindi a lei subordinata. la strutturazione logica dei saperi: 1. Gnoseologia -> mette a fuoco le possibilità conoscitive della ragione umana 2. Ontologia e metafisica -> definiscono la struttura ontologica del reale 3. Antropologia -> studia l’essenza e i caratteri dell’essere umano 4. Etica -> stabilisce i valori che devono ispirare il comportamento dell’uomo 5. Politica -> precisa quali siano le forme più adeguate del vivere umano sociale 6. Pedagogia -> propone finalità e modi del processo che porta a realizzare pienamente un certo ideale di uomo Oggi, questo modo di fare pedagogia è molto raro, la trattazione pedagogica si è staccata dalla fondazione filosofica e si presenta il più delle volte come una trattazione a sé stante, oppure congruente con quadri teorici mutati dalle altre scienze umane. Anche se non esplicito come in passato, rimane il meccanismo per cui una certa teoria dell’educazione sia basata su un’idea di uomo e di società. Parlare dell’educazione dell’uomo implica avere in mente cosa l’uomo sia e possa/debba diventare (antropologia) nel contesto di un certo gruppo sociale che si pensa sia organizzato in un certo modo (filosofia politica) PEDAGOGIE PUEROCENTRICHE, ADULTOCENTRICHE, EPISTEMOCENTRICHE Oltre alla classificazione basata sull’antropologia di riferimento possiamo identificare le teorie dell’educazione in base alla distinzione tra puerocentriche, adultocentriche ed epistemocentriche. Con questi termini non si vuole indicare una focalizzazione esclusiva su un singolo elemento (il bambino, l’adulto ecc..) perché una buona teoria dell’educazione considera sempre il fatto che l’educazione si esplica in una relazione tra due soggetti. questi termini non sono nemmeno da intendere in maniera letterale: puerocentrico non vuol dire “bambino al centro” ma educando al centro; adultocentrico non vuol dire “adulto al centro” ma educatore al centro; epistemocentrico non è solo “scienza al centro” ma il contenuto che deve essere trasmesso nella relazione didattica o educativa. Questi termini indicano una posizione preminente all’interno dell’azione educativa, rispettivamente dell’educando, dell’educatore e del contenuto da trasmettere/acquisire, nel senso che una certa teoria, pur riconoscendo che l’azione educativa è costituita da un campo di relazioni tra diversi attori ed elementi, pone a propria base la necessità di rispettare in modo prioritario le esigenze di uno di questi.  Pedagogie adultocentriche: ampiamente maggioritarie e largamente incontestate lungo tutta la storia del pensiero pedagogico almeno fino a Rousseau, si basano su un approccio educativo e didattico in cui si chiede all’educando di imitare il modello di uomo espresso dalle esigenze sociali e di apprendere ciò che l’adulto ha deciso di trasmettere (anche in maniera verbalistica e forzata) Per questo all’educatore è riconosciuto un ruolo direttivo nel rapporto educativo, anche perché è lui il modello che si chiede di imitare al bambino  Pedagogie puerocentriche: fondate su una riscoperta della specificità dell’infanzia, come età caratterizzata da modi di sentire e pensare diversi da quelli dell’adulto. In tal modo le pratiche educative sono caratterizzate dal rispetto di tali specificità e dello sviluppo che ciascun soggetto manifesta. Sul piano didattico adottano metodi anti-autoritari, di autogoverno e che tengono in massima considerazione la situazione di vita dei soggetti educandi, i loro interessi, le modalità di apprendimento preferite, rigettando il principio dell’aderenza a programmi di insegnamento prestabiliti. (modello di pedagogia naturalistica è un esempio di modello puerocentrico)  Pedagogie epistemocentriche: sono quelle che vedono come prioritarie le esigenze del contenuto da trasmettere (“cultura”), il cui valore in quanto patrimonio dell’umanità e le cui caratteristiche strutturali dal punto di vista epistemico ed euristico (relative alla ricerca di nuove conoscenze) sono ciò a cui le azioni educative si devono principalmente adattare. Secondo questi approcci è il contenuto da trasmettere a determinare gli obiettivi educativo-didattici, i metodi più opportuni da impiegare, i ruoli dell’educatore e dell’educando, lo stile della relazione e così via. (esempio le pedagogie culturaliste) LE OPPOSIZIONI POLARI La pedagogia è una disciplina che talvolta sembra contraddirsi e affermare una cosa insieme al suo contrario. (es. educazione che mira ad inserire nel gruppo sociale ma, nello stesso tempo, punta a modificare la consuetudine e i valori del gruppo sociale stesso). il fatto è che le cose, anche nel caso della conoscenza scientifica, sono più articolate del sempre vero/falso, e nel corso della storia molti pensatori abbiano dovuto affrontare il problema di contenere gli opposti. Romano Guardini utilizza l’espressione “opposizione polare” per descrivere come dentro la stessa realtà concreta, convivano aspetti antitetici che però non si escludono a vicenda ma esistono contemporaneamente e, anzi, non potrebbero stare uno senza l’altro. Se applichiamo la questione all’educazione ci sembra che molti casi si possano risolvere andando alla ricerca di un punto di equilibrio. (es. dialettica autorità/libertà oppure cura/autonomia) Nel ragionamento pedagogico i due opposti convivono, li si deve pensare assieme e non si può optare per l’uno o per l’altro. Le opposizioni polari sono un dato che permette una comprensione più profonda dei fenomeni, da più versanti e con prospettive più ricche di visione. Aforisma: “quando sulla tua strada incontri un bivio, imboccalo” L’OTTIMISMO PEDAGOGICO L’ottimismo è quel tratto di carattere che ci permette di vedere il positivo delle cose e ci predispone ad accogliere il futuro con sufficiente speranza verso ciò che ci spetta. Siamo portati a pensare che sia un carattere proprio delle persone e non delle discipline, che invece hanno uno sguardo neutro e oggettivo. la pedagogia però è una disciplina strana e presume al suo interno ottimismo che indica un atteggiamento che lo sguardo di questa disciplina assume come proprio. Se la pedagogia non fosse ottimista giungerebbe alla conclusione che l’educazione non servirebbe a nulla. Invece essa si basa sul presupposto che l’educazione, nelle sue molteplici forme abbia sempre un certo grado di efficacia nel raggiungere i suoi scopi e che anche di fronte ad una situazione difficilmente modificabile sia sempre meglio provare per dare all’educando una possibilità di cambiamento. Nei capitoli precedenti abbiamo incontrato due aspetti che ci riconducono a questo ottimismo pedagogico: - Concetto di educabilità dell’uomo, ragion per cui si postula che il soggetto umano sia educabile, quindi modificabile e malleabile. Se fosse un’entità granitica l’educazione non esisterebbe. Il discorso pedagogico invece esiste e ha un senso proprio in ragione della sua fiducia nelle possibilità rinnovative di ogni soggetto, per cui vale la pena pensare e mettere in atto un’azione educativa orientata verso un fine ulteriore - Che non posiamo non ritenere come una condizione migliore di quella di partenza. In questo senso, perciò, l’ottimismo pedagogico si realizza nel fatto che ogni azione educativa è guidata da una “legge preferenziale del meglio” secondo cui lo scopo verso cui tende è necessariamente un accrescimento, un progresso. LA DINAMICA ANALISI-PROSPETTAZIONE Ulteriore caratteristica della pedagogia è il duplice piano su cui si colloca: i suoi discorsi sono centrati talvolta su ciò che esiste e, talaltra, su ciò che vorremmo che esistesse. Questi due piani sono collegati ma non sovrapponibili. Tale duplice centratura può essere riscontrata in due analoghe situazioni ma non identiche: In primo luogo, nelle azioni educative e nello specifico quando si progettano tali azioni, vi è da un lato il momento dell’analisi della situazione iniziale, dall’altro la prospettazione della situazione che vorremmo vedere alla fine, ovvero gli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere. In secondo luogo, questa dinamica si può osservare sul piano epistemologico, ricordando la distinzione classica tra scienze descrittive e scienze normative.  Scienze descrittive -> finalizzate a descrivere una certa realtà di fatto  Scienze prescrittive -> finalizzate a stabilire in che modo si dovrebbe fare una determinata cosa Da un lato allora c’è il “come una cosa è” e dall’altro “come dovrebbe essere”. Sergio De Giacinto ha sintetizzato la questione ipotizzando due distinguibili approcci della pedagogia ai problemi dell’educazione, quello diagnostico e quello prognostico. All’interno dell’educazione posiamo individuare quindi: la rilevazione (diagnosi) e la progettazione (prognosi) dalla quale possiamo distinguere due branche della pedagogia. - Rilevativa -> hanno importanza le capacità di fare storia, di trovare cause e relazioni tra avvenimenti e comportamenti, di fruire risultati di altre discipline strutturandoli in modo da mettere in luce le correlazioni ipotizzate. La punta massima di avanzamento, l’espressione più acuta di tale tendenza è la pedagogia sperimentale. - Prognostica -> la struttura teoretica ha una stessa collezione di risultati di altri saperi, ma raccolti ed articolati da un altro tema: la preparazione al futuro. La matrice che gestisce la fondamentale unità del pensare pedagogico non è solo rilevativo-interpretativa ma anche ottativo-progettuale. La struttura della teoria viene così ad assumere una modalità che la colloca nella storia con caratteristiche molto diverse, tra cui la principale è la modalità di affidare agli educatori una teoria che non avrà applicazione se non attraverso l’interpretazione ed una mediazione che gli educatori stessi opereranno Oltre a questa dinamica di oscillazione tra la descrizione dell’esistente e il progetto futuro partecipano altre due ulteriori modalità tipiche della pedagogia che rappresentano però posizioni più estreme delle due polarità citate prima. Esse sono la critica e l’utopia. - Critica -> è la situazione in cui la pedagogia si trova quando alla descrizione dell’esistente si applica il filtro valoriale che legge l’esistente stesso come adeguato o inadeguato. Da qui la critica perché si ritiene che ciò che esiste non sempre risponde ai caratteri ideali che dovremmo aspettarci Scurati: “la pedagogia nasce dall’indignazione” è quando proviamo disgusto che cerchiamo una soluzione alternativa  Obiettivi  terminalità più concrete e particolari, raggiungibili nel breve periodo attraverso azioni educative specifiche e mirate ad esempio legate a conoscenze o abilità circoscritte (es. imparare a risolvere le disequazioni) Sotto- obiettivi, obiettivi ulteriormente precisati La categoria e il termine “obiettivo” sono entrati nell’uso dei pedagogisti ed educatori durante gli anni 60 a seguito dell’elaborazione e diffusione dell’orientamento programmatorio – curricolare della didattica  “pedagogia degli obiettivi” volto a razionalizzare e scientificare i processi educativi ottimizzando percorsi, procedure e tecniche d’azione della didattica ciò è possibile se si hanno di mira degli obiettivi:  Momento tassonomico  obiettivi individuati e scanditi  Momento docimologico  mezzi per misurare quali obiettivi sono stati raggiunti e quali no Ciò si otteneva tramite l’elaborazione minuziosa dei sistemi di obiettivi di apprendimento (campo del sapere ma anche dell diverse dimensione del soggetto umano) chiamati Tassonomie. $$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$ tassonomie di obiettivi: la parola tassonomia indica la scienza delle classificazioni, ovvero un ordinamento classificatorio effettuato secondo criteri stabiliti, nel campo pedagogico-didattico si parla di tassonomie di obiettivi per indicare gli elenchi sistematici e ordinati di obiettivi educativi (in ordine di complessità per verificare i livelli raggiunti dall’educando) Benjamin Bloom: pubblicò la prima tassonomia di obiettivi nel 1956 con lo scopo di classificare il livello di difficoltà delle operazioni intelletuali richieste agli studenti durante gli esami scolastici. Tassonomia aggiornata di recente da Anderson e Krathwohl (2001) che organizza gli obiettivi relativi alla sfera cognitiva attorno a 6 capacità generali:  Ricordare  Comprendere  Applicare  Analizzare  Valutare  Creare $$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$ Gli obiettivi che la programmazione portava ad elaborare avevano sempre come caratteristica l’operazionalità ovvero si trattava sempre di obiettivi collegati al saper mettere in atto una certa azione. Questa digressione ci permette di comprendere due elementi importanti:  Lo spostamento  base su cui poggiare la scelta degli scopi dell’educare non è più solo legata ad un orientamento filosofico ma è piuttosto una conseguenza di una determinazione scientifica basata su un modello empirico- osservativo della conoscenza  fini e obiettivi nonostante una diversa fondazione epistemica possono essere inseriti all’interno di un unico quadro in cui si collocano a seconda della complessità i fini le finalità e gli obiettivi. Horkheimer: la ragione strumentale (1969) ha preso il sopravvento portando così a dimenticare che fini/finalità e obiettivi devono andare a costituire un sistema unitario e coerente di terminalità per l’educazione CINQUE IDEE DI EDUCAZIONE: I FINI Partendo dal presupposto che esistono innumerevoli idee di educazione, le differenze nelle scelte teleologiche operate dalle diverse pedagogie dipendono da due elementi:  il contenuto  mete indicate come degne di essere perseguite da un percorso educativo  l’origine  il modo attraverso cui si scelgono e si giustificano le preferenze di certe mete piuttosto che altre  Le pedagogie naturalistiche  educazione come sviluppo delle capacità innate del soggetto Alla base di questo pensiero c’è che non sia opportuno stabilire dall’esterno un fine educativo all’educando che cresce. I fini dell’educazione sono concepiti come direzioni di sviluppo che il soggetto deve percorrere in maniera libera e naturale. Crescita umana, non guidata dall’educatore, non avviene in maniera casuale e priva di senso ma ha due possibilità. La prima: ha una finalità interna alla natura dell’uomo; la seconda: orientamento che corrisponde alla risultante delle continue azioni di adattamento all’ambiente che gli individui compiono In entrambi i casi non può essere l’educatore ad imporre i fini perché i fini sono quelli che il processo di sviluppo del soggetto, da sé stesso, è portato a perseguire. I fini dell’educazione non devono intralciare i fini dello sviluppo.  Le pedagogie umaniste  educazione come coltivazione integrale dell’uomo L’uomo stesso è un fine, anzi il fine ultimo dell’educazione e di ogni azione sociale. Ciò è vero in 2 sensi: 1. Richiamo degli “imperativi categorici” (Kant)  “agisci in modo da trattare l’umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre insieme come fine, mai semplicemente come mezzo” ovvero ogni singolo individuo deve essere il fine di ogni azione morale e non sfruttato solo come mezzo. Se in campo etico ciò vale anche in quello educativo. 2. Fare dell’uomo il fine ultimo dell’educare significa coltivare ciascuno nella sua interezza, senza quei riduzionismi,e quelle dimenticanze che farebbero dell’educazione dell’uomo l’educazione della sola intelligenza, o moralità, o della sola spontaneità.  Le pedagogie culturaliste  educazione come processo di trasmissione/appropriazione della cultura Il fine di questa pedagogia corrisponde all’appropriazione della cultura. Dato che il sapere umano viene convenzionalmente organizzato in campi e materie e posto che è impossibile padroneggiarlo tutto, le pedagogie culturaliste selezionano i loro fini valutando: o Quali conoscenze sono più necessarie o Quali sono più formative rispetto allo sviluppo della personalità o di certi habitus mentali (es. latino si dice che insegna a pensare) o Quali sono necessarie o più opportune nelle diverse età (es. geografia alle elementari per conoscere il mondo) o Quali sono preparatorie rispetto a studi ulteriori che si potranno fare in seguito. Oltre alla selezione del sapere valutano anche le comptenze acquisibili delle varie discipline (es. storia può essere studiata in maniera nozionistica oppure come modoper capire il presente studiando il passato Quindi i fini dell’educazione corrispondono ad uno sviluppo sbilanciato più a livello intellettuale dell’educando rispetto a quelle umanistiche che prediligono uno sviluppo integrale.  Le pedagogie funzionaliste  educazione come ingresso nel gruppo sociale educazione come funzione sociale, orientata al mantenimento e sviluppo di un dato modello di convivenza umana e organizzazione politica, teleologia elaborata sulla base delle mete indicate dalla collettività. Su ciò gravita la politica che agisce come perno per le decisione della collettività. Finalità generale rimane quella dell’integrazione dell’individuo nel sistema di mentalità e valori del suo gruppo di appartenenza. Nella società attuale i fini dell’educazione sembrano orientati all’acquisizione di competenze utilizzate nei contesti professionali, a fianco di questa tendenza però troviamo la globalizzazione del mondo con fenomeni migratori e la conseguente necessità di relazione e convivenza tra i diversi soggetti provenienti da realtà diverse. Fini della convivenza interculturale che significano conoscenza, accettazione e valorizzazione delle differente attraverso la coltivazione delle disposizioni emotive e atteggiamenti relazionali aperti e privi di giudizi  Le pedagogie critico-emancipatorie  liberazione del soggetto dalle schiavitù della società Partono anch’esse dal presupposto antropologico della socialità dell’uomo ed evidenziano soprattutto la dimensione sociale dei fini dell’educazione ovvero la funzionalità al mantenimento del modello esistente di collettività. Ponendo in luce i difetti della società attuale però che tende ad opprimere alcuni individui mirano quindi a rimettere al centro l’essere umano e le sue esigenze. Fondando così visioni alternative che tornino a rispettare le prerogative e ne valorizzino i caratteri. La teleologia delle pedagogie critico- emancipatorie hanno un forte valore politico, ma legata com’è all’utopia, è volta ad educare uomini nuovi in vista di una nuova società. alla base quindi delle teleologie di queste pedagogie è presente una sorta di logica circolare: dall’analisi dei fini sociali dell’esistente, li rifonda recuperando il significato umanistico profondo dell’educazione e dei suoi valori per poi tornare a ricollocarli nella dimensione collettiva, connettendoli ai fini di un nuovo modello sociale. Hubert parla di una gerarchia dei fini, ovvero un sistema teleologico entro il quale possono coesistere fini/finalità e obiettivi diversi, magari anche solo accostati oppure posti in relazione gerarchica. “opposizioni polari” poiché spesso le teorie pedagogiche comprendono difficili equilibri e accostamenti arditi, tavolta apparentemente contraddittori ed è attraverso i sistemi teleologici che le teorie pedagogiche riescono a contemperare le diverse esigenze sollevate dalle diverse antropologie, filosofie, didattiche e politiche. I FINI E LA LORO ORIGINE I fini dell’educazione possono avere origini diverse. 3 possibili fonti da cui scaturiscono i fini dell’azione educativa:  Fini che hanno origine dai compiti evolutivi del soggetto umano che comprende le teorie pedagogiche di stampo psicologista. Nel trattato classico di Hubert il punto di partenza sono le caratteristiche psicologiche del soggetto preso nei suoi vari stadi evolutivi individuando per ciascuno gli interessi mentali predominanti (es. da 1 a 3 anni interessi motorio-percettivi e di linguaggio) da cui ne derivano i valori predominanti (es. valori sensuali o di piacere, i valori economici di acquisizione e appropriazione) Hubert qiuindi stabilisce i fine dell’educzione nelle sue diversità in base alle caratteristiche psico-evolutive del soggetto.  I fine derivati dal “dover essere” che a sua volta nasce da una natura o essenza dell’uomo. Questa origine appartiene per lo più alle pedagogie di stampo essenzialista ovvero quelle basate su filosofie che ritengono di poter giungere alla determinazione di cosa siano gli enti in sé e, quindi anche l’uomo. Una volta capito l’uomo in sé, nel suo valore più profondo, proprio, immutabile e sovratemporale (non storicizzabile) e acontestuale (non socialmente determinta) ne definiscono gli obiettivi attraverso un ragionamento logico deduttivo Mario Casotti  l’essenza dell’uomo può esser riassunta in base alla sua relazione con i “quattro trascendetali” della tradizione classica ovvero attributi che possono essere riferiti ad un essere esistente in wuanto esistente:  L’ente  il suo partecipare alla sfera di ciò che è  L’uno  avere una propria unitarietà  Il vero  partecipare alla verità, che l’intelletto può intendere  Il buono  partecipare ad un carattere morale che la volontà può perseguire A ciò si deve aggiungere che al di sopra di questi attributi vi è un principio supremo dell’essere, cioè Dio (dio della metafisica, non Dio della rivelazione). Se tale è la natura dell’essere umano ne consegue che i fini di ogni vera educazione tendono a realizzare compiutamente tale natura, nella sua fisicità (l’ente), intelligenza (il vero), moralità (il buono) e relazione con Dio (principio primo dell’essere e quindi anche dell’educazione)  Fini che derivano dalle priorità culturali formulate da un certo gruppo attraverso una determinazione consensuale. La definizione dei fini non deriva come nei primi due da un atto di conoscenza (conoscenza dello sviluppo umano, conoscenza dell’essenza propria dell’uomo). In questo caso la definizione dei fini deriva da un sentire sociale e da una sorta di “contratto” che lega gli appartenenti di un gruppo e fa dire le mete verso il quale il gruppo si deve dirigere e di conseguenza quali siano le direzione che i singoli appartenenti al gruppo devono perseguire. Anton S Makarenko: “è impossibile ricavare una metodica del lavoro educativo dai principi di scienze pure affini, come la psicologia e la biologia, a qualsiasi livello di elaborazione siano da esse giunte”. I fini sono essenzialmente politici e devono trovare la loro origine nelle direzioni della vita sociale.  Azione educativa guidata da obiettivi di breve periodo non sono messi in relazioni con finalità più generali (guardo sfocato sulla meta finale) Per questo un esercizio per gli educatori può essere quello di riprendere i principi pedagogici e di cogliere le conseguenze delle loro pensiero sul piano operativo considerando che la loro visione personale dell’educazione influisca sul loro lavoro  ciò è per esempio lo scopo della “Clinica della formazione” metodo teorico -operativo elaborato da Riccardo Massa e colleghi Inoltre quando si afferma che l’educazione è un’azione artificiale non si intende che l’educatore da solo ha l’onere e la responsabilità di questa scelta, poiché l’educazione avviene in una relazione tra educatore ed educando. educatore  deve possedere le chiara coscienza dei fini a cui il secondo si ispira inconsciamente Senza la collaborazione dell’educando il raggiungimento degli scopi è impossibile. Per questo si afferma che l’educazione abbia una dimensione relazionale tra educatore-educando e che ogni educazione sia anche un’ auto- educazione. Legame tra fini e valori: porre un fine equivale ad attribuirne un valore poiché ogni scelta fatta è motivata dalla convinzione che ci sia un fine meritevole di essere perseguito. Assiologia  riflessione critica sui valori (axios in greco = “degno” “di valore”) La teleologia in certi aspetti collima con un’assiologia ritenendo che ogni scelta sia basata su un valore personale che possiamo giustificare o motivare, ma non dimostrare scientificamente e tanto meno ritenere universale o valida per tutti. “L’educazione è il processo intenzionale attraverso cui qualcuno cerca di far raggiungere a qualcun altro una condizione o uno stato ritenuto migliore di quello di partenza” “Migliore” esprime indeterminatamente il terreno gombro su cui la libertà di scelta degli educatori può esprimersi EDUCARE L’UOMO COMPLETO Ogni visione teoretica delibera la propria visione, ma dato che il soggetto è uno non possiamo predestinarlo verso mete incongruenti tramite un’educazione squilibrata che soppravaluti cose e ne sminuisca altre. l’esigenza di raggiungere a una visione complessiva è sia logica (sintesi tra le diverse terminalità dell’educazione per considerarle nel loro insieme) sia pratica (necessità di organizzare il sistema organico di terminalità affinchè l’educando non subisca un’educazione squilibrata) Unica finalità dell’educazione consiste nell’integrazione armonica di tutti i fini e gli obiettivi nell’unità del soggetto umano, l’educazione dell’uomo completo: Baldacci  “questa idea pur nella sua indeterminatezza, e anzi proprio grazie a questa, svolge una funzione critica verso soluzioni unilaterali e un ruolo regolativo nel promuovere la multilateralità dell’educazione” idea che evita sbilanciamenti e rispetta il duplice principio di multilateralità e di unitarietà dell’individuo, essendo inoltre neutra e comprensiva. Dentro l’idea di uomo completo rimandano concezioni classiche di paideia e di humanitas, l’idea moderna di Bildung, quella pestalozziana di “multilateralità”, ecc.. ricomponendo altrettante dimensioni del soggetto (ragione, moralità, corporeità, emotività…) e i diversi bisogni educativi che emergono dai molteplici campi di esperienza in cui ciascuno è inserito. CONCLUSIONE Nuova metafora per parlare delle terminalità dell’educazione  il viaggio, in cui le terminalità sono come la meta da raggiungere. L’educazione corrisponde alla distanza da compiere che separa la meta con il punto di partenza. Questa distanza prima del viaggio deve essere colmata dalla progettazione del viaggio stesso. IL SOGGETTO DELL’EDUCAZIONE: L’ANTROPOLOGIA PEDAGOGICA (cap6) Antropologia (“anthropos” che significa “uomo”, nel senso di essere umano) relativo alla natura e alle caratteristiche dell’uomo. Introduciamo questo concetto poiché, in primo luogo la teleologia pedagogica ha una sua fonte importante nell’antropologia, in modo che l’educazione si basi su un’idea di uomo. In secondo luogo, dai caratteri che attribuiamo all’individuo discendono anche precise condizioni dell’educazione. Educazione non agisce sull’uomo perché non è oggetto, l’uomo è soggetto dell’educazione. ciò è importante per due ragioni:  Ciò permette di ricordare che l’atto educativo non deve trasformarsi in un atto manipolativo  Educazione richiede sempre una partecipazione dell’educando (educazione come auto-educazione)  Dire che l’individuo è soggetto dell’educazione infine significa che questi anche sottoposti a manipolazioni, mantiene comunque una sua sfera di libertà e di scelta che gli consente di porre da sè alcune mete del suo sviluppo LE PAROLE PER DIRE UOMO Parlare di “uomo”, “individuo”, “soggetto” o “persona” non è la stessa cosa: utilizzare uno o l’altro termine significa fare una scelta culturale o ideologica ART. 3 della Costituzione italiana (1948) utilizza tre modi diversi per denominare il soggetto umano: cittadino, persona e lavoratore. nell’assemblea costituente infatti c’erano 3 membri di tradizioni politiche e culturali diverse che volevano utilizzare il termine più vicino e che esprimeva al meglio ciò che l’uomo era per loro:  Mondo liberale  cittadino  Mondo socialista  lavoratore  Mondo cattolico  persona Quali sono le differenze tra i vari termini? Individuo -> sottolinea l’unicità di ogni soggetto facendocelo apparire come autonomo al gruppo sociale (rimanda a sensibilità anarco-radical- libertarie) cittadino -> ci fa percepire il soggetto come inserito in un consenso pubblico a cui non si è sudditi, ma ognuno possiede pari diritti (illuministico-liberali e democratiche) lavoratori -> basato su un’ideologia marxista (“compagni”) x sottolineare che l’uomo acquista dignità con il lavoro e che i lavoratori sono i veri elementi portanti della società e delle organizzazioni statuali. soggetto -> parte di una tradizione culturale che afferma la centralità dell’io trascendentale come principio determinante ogni azione e attività conoscitiva. (es. io penso di kant) giunta poi a postulare la crisi del soggetto come soggetto cosciente che determinato da strutture linguistiche e verbali preesistenti che lo condizionano nel suo pensare e relazionarsi con il mondo esterno (Levi- Strauss O Foucault). persona -> parola che appartiene al lessico della teologia ( le 3 “persone” della trinità) e delle filosofie cristiane, (anche della scolastica medioevale con Tommaso D’Aquino nella questione 29 della Summa theologiae definisce “persona” ogni ente individuale di natura relazionale). Il termine divenne in seguito una “bandiera” del movimento cattolico trasnazionale che a livello sociopolitico e filosofico cercava una “terza via” tra il comunismo collettivista e l’individualismo capitalistico accusando entrambi di non rispettare valore e qualità della persona umana. qualità individuate non solo nella razionalità e libertà, ma anche nella sua unitarietà di corpo, mente e spirito, nella sua creaturalità (= l’uomo non si da vita da solo ma la riceve in dono), nella perseità (= non ha il suo fine in se medesimo ma trova il suo compimento in un ordine superiore) nella sua apertura al trascendente e nella sua dignità basata sull’essere formato ad immagine di Dio. 2 critiche importanti: 1. Secondo una visione ontologico-metafisica, la struttura del soggetto - persona è fondata su una struttura dell’essere concepita come metastorica, invariabile, fonte di significato assoluto e di un ordine obbligante  ciò porta ad un’immagine deontologica bloccata della persona spogliando il soggetto dei suoi caratteri di identità mobile, di crescita empirica di orientamento creativo, di autonomia e di scelta. Immagine che dipende dal suo logos metafisico. così tutto il processo di formazione del soggetto risulta chiarito e preliminarmente definito. Oggi tale impostazione non è più giustificata sia per problemi:  Di carattere gnoseologico  è in grado, la ragione umana di arrivare alla coscienza certa di tali strutture dell’essere in modo indubitabile, invariabile nel tempo?  Di carattere ontologico e antropologico  può il senso del soggetto erigersi dall’ottica metafisica? Ovvero, può costruirsi la nozione di persona in forma aprioristica e metastorica, cioè sganciata dalla molteplicità di esperienze singole delle quali porta con sé l’orma? L’ontologizzazione della persona non porta ad un’ipostatizzazione cioè alla perdita dei caratteri individuali, finendo per considerarlo solo come un concetto astratto e sovrapersonale? 2. Seconda critica viene mossa alla nozione metafisica di persona che mette in luce gli esisti antiumanistici del personalismo cristiano. Se la persona è un soggetto che trova compimento in un ordine superiore che la trascende ciò implica una funzione deontologica che non solo descrive ciò che la persona è ma anche prescrive ciò che deve sforzarsi di diventare, facendo sì che la persona per somigliare al suo creatore, debba mortificarsi e accettare la sua volontà, perdendo di fatto la propria libertà e autonomia. antinomia costituita da esaltazione della persona e contemporaneamente subordinazione ad un ordine superiore. la parola e il concetto di persona si possono dire superati o inutilizzabili? No se li consideriamo in ottica post metafisica: Paul Ricoeur “muore il personalismo, ma ritorna la persona” intendendo che l’ismo fosse poco sostenibile e invece persona avesse una propria pregnanza e impiegabilità: “se ritorna la persona è perché resta il miglior candidato x sostenere le lotte giuridiche, politiche economico e sociali… voglio dire candidato migliore rispetto a “coscienza”, “soggetto”, “l’io” È in questa prospettiva non deontologica e non metafisica che la parola “persona” può essere oggi utilizzata, sottratta dalla sua interpretazione metafisico-cristiana. 2 guadagni da ciò: 1. Sul piano giuridico  si mantiene in vita un concetto che è utile per argomentare l’unicità, la specificità, il valore e i diritti di ogni essere umano 2. Sul piano fenomenologico e pedagogico concetto di persona abbraccia l’indiviualità storica di ciscuno di noi dal piano ontogenetico (=dello sviluppo individuale) e la nostra dinamicità filogenetica (=dell’evoluzione della specie) ANTROPOLOGIE Molteplicità di concezioni antropologiche su due livelli:  Contenutistico (diversi modi di intendere l’uomo):  Idea di uomo come soggetto portatore di diritti civili (legata a tradizione politica liberale)  Idea individualista, posizione che mette al centro i bisogni, gli interessi e i piaceri di uomo (anarchico-libertario)  Idea economicista di uomo, come soggetto produttore e consumatore di beni e servizi (politiche neoliberiste)  Idea esistenzialista che rifiuta l’idea di uomo astratta ma che ritiene che ogni soggetto si autodefinisca da sé per le sue scelte.  Idea fisicista che riconduce l’uomo alla sua materialità biologica, con le sue connessioni neurali, le reazioni endocrine ecc… che ne inducono pensieri e comportamenti. Concezione neurofisiologica  Idea olistica nella quale l’uomo è un centro di energie biopsichiche connesse con il cosmo con le quali deve porsi in una condizione di equilibrio.  Idea relazionale, soggetto come essere sociale che si mette in relazione con i suoi simili e costruisce società solidali.  Epistemico (diverse prospettive filosofiche e scientifiche che lo tematizzano) I CARATTERI DEL SOGGETTO UMANO IN PROSPETTIVA PEDAGOGICA Cartteristiche dell’uomo non trascurabili dalla pedagogia: La vita, l’unicità, l’unità, la coscienza, la moralità, la spiritualità, l’educabilità, la relazionalità, la libertà e la personalità.  VITA: Il soggetto umano è un corpo dotato di vita, perciò distinto dagli oggetti. In quanto essere vivente è capace di crescere, riprodursi e percepire. Questi caratteri hanno una diretta implicazione nell’educazione poiché segnalano che l’esistenza umana ha un inizio e una fine, che ogni soggetto non resta sempre uguale nel corso della sua vita e che l’uomo ha una sua fisicità.  UNICITA’: Già a livello corporeo si nota che ogni individuo è simile a tutti gli altri ma identico a nessuno, ogni soggetto è così unico (sia fisicamente che psicologicamente). Su questa base la pedagogia giustifica la necessità di un’educazione “individualizzata” o “personalizzata” educando anche al rispetto, e alla comprensione delle differenze di cui ognuno è portatore.  UNITA’: l’essere umano è un essere complesso, la filosofia classica lo divide nelle tre sfere di mente, corpo e anima. Oggi possiamo parlare più specificatamente delle sue componenti (razionalità, moralità, emotività ecc.) però è importante ricordare come siano integrate tra loro e non scomponibili. L’uomo ha una sua unità, ciò significa che la sua essenza individuale è data dall’insieme di tutti i suoi caratteri e che ognuno di questi è indistricabilmente connesso agli altri. Ravvisabile in un centro unificatore che ognuno poi si dà e chiama carattere o personalità.  COSCIENZA: l’uomo inoltre è un soggetto cosciente. In primo luogo, dal punto di vista neurologico la coscienza indica un’apertura verso il mondo esterno e comprende la vigilanza (capacità di aprire gli occhi sul mondo) e la consapevolezza che qualcosa esiste fuori di noi. X la teoria pedagogica dire che il soggetto è cosciente significa affermare la sua capacità di intenzionare, nella sua concezione di apertura al mondo e agli altri ed inoltre anche come senso di elaborazione di una cognizione progettuale che mentre mettiamo in opera un agire educativo ci rende presenti il suo significato e i suoi scopi. In secondo luogo, coscienza intesa nel suo significato filosofico, come luogo in cui si esercitano le scelte. Ciò sta alla base della moralità dell’agire.  SPIRITUALITA’: Parlando della dimensione spirituale possono insorgere diverse obiezioni e contrarietà, se si va a identificare la spiritualità con la sfera della religione, facendola arrivare a diventare una prova dell’esistenza di qualcosa di superiore. Non dobbiamo quindi associare spiritualità con la religione perché esistono forme di spiritualità new age che non si identificano con culti o religioni rivelate e poi perché possiamo riconoscere una dimensione spirituale, un’apertura all’immateriale, anche in pratiche diffuse come la meditazione.  MORALITA’: si apre qui il discorso del rapporto tra individuo e valori. Il soggetto in sé è già un valore e merita rispetto, attenzione e cura. Inoltre poiché è un valore in se ha anche dei diritti (Dichiarazione Universale dei diritti umani 1948) che interessano anche la sfera educativa come la libertà di pensiero e di istruzione, il godimento delle arti, partecipare al progresso scientifico, il riposo e lo svago. Bambini e adolescenti in virtù delle peculiarità di soggetti in crescita godono di diritti specifici. EDUCABILITA’ Disposizione innata del soggetto a lasciarsi educare, cioè ampliare le proprie capacità accogliendo l’aiuto esterno di un secondo soggetto che si prende cura, gli insegna e lo aiuta a crescere. Concetto di educabilità (bildsamkeit) venne introdotto da Herbart nelle “lezioni di pedagogia” 1834-35, nelle quali formula un’idea non del tutto passiva poiché legata alla partecipazione offerta del bambino che esplicitava i suoi interessi. Adulto non più educabile perché ha già raggiunto una sua stabilità. Educabilità = assioma, nella teoria pedagogica principio posto a fondamento logico che non deve essere dimostrato. Come possiamo parlare di educazione se l’uomo non potesse essere educato? Cosa significa quindi educabilità?  Educabilità presuppone incompiutezza dell’uomo dal punto di vista ontogenetico, quindi dello sviluppo individuale. Però l’incompiutezza determina una spinta interiore a crescere e migliorarsi (“a essere di più” diceva Freire ovvero cercare un compimento di sé sul piano esistenziale e individuale prima di quello sociale ed economico).  Educabilità rimanda al carattere dello sviluppo. L’essere umano è un soggetto “in-divenire”, mai pienamente finito e uguale a sé stesso.  Dato che è sempre “in-divenire” ha la possibilità di accogliere le istanze di trasformazione che provengono dall’educatore poiché è un soggetto plastico e malleabile, capace di assumere le diverse forme proproste sia da un intervento esterno sia che dalla scelta personale che ci direziona verso il nostro sviluppo. Michael Tommasello, ha studiato lo sviluppo mentale delle grandi scimmie e dei bambini interrogandosi sulle differenze tra queste specie per comprendere cosa ci renda specificatamente umani. Ciò che rende l’uomo, uomo, è per lui la cultura, che si è formata grazie alla capacità solo umana di cooperare creando un agente condiviso “noi” che opera con intenzioni condivise, una coscienza condivisa e valori sociomorali condivisi. L’uomo è in grado di produrre cultura a due livelli: 1. Dimensione coordinatrice  sincronicamente i membri di un gruppo culturale si coordiano nell’ambito di strutture cooperative autocreate (norme, istituzioni) e si correlano basandosi su motivazioni cooperative come fiducia, impegno ed equità 2. Dimensione trasmissiva  a livello diacronico, grazie alle capacità dei membri del gruppo di trasmettere abilità e conoscenze alle generazioni successive tramite processi di apprendimento culturale. Le acquisizioni così raggiunte non sono disperse ma vanno a contribuire formando un patrimonio irriversibile, non più del singolo ma dell’intero gruppo. Cultura non è solo un bagaglio di saperi ma è anche un processo di coordinamento, produzione e trasmissione a base collaborativa e sociale che è solo umano perché gli altri primati non sono prediposti ad interagire fin dalla tenera età con gli adulti e ricevere il loro insegnamento. Quindi la specificità umana, sostiene Tomasello, è l’educabilità. Da qui possiamo riprendere il rapporto tra natura e cultura, quindi tra fattore innato e fattore acquisito. parlare di educabilità significa includere nello sviluppo dell’individuo che agenti esterni hanno avuto un’influenza. La teoria di Tomasello si pone esattamente su questa linea, perché sostiene che l’unicità umana ha la predisposizione biologica per l’intenzionalità condivisa come sua causa permissiva (fattore innato) e l’esperienza socioculturale compiuta da ciascuno come sua causa prossima (fattore acquisito). Diventa difficile stabilire un confine netto tra agente e ambiente perché si ritiene che la mente individuale, con il contesto sociale, corporeo, ambientale e temporale siano interdipendenti. RELAZIONALITA’ Altra specificità dell’uomo è la sua capacità di creare forme complesse di interazione fra individui anche in giovane età. uno dei dilemmi dell’antropologia è il seguente: se uomo non fosse un soggetto relazionale cadrebbe la struttura educatore-educando dell’atto educativo. X Aristotele: uomo =animale politico perché non è capace di stare isolato e inoltre è nella dimensione comunitaria che pienamente si realizza. Appartenere ad un’organizzazione fa parte della sua natura. chi non fa parte della società ed è autosufficiente è una belva o un Dio. Nel Novecento la relazione diventa una categoria portante di tutto il pensiero antropologico, Buber con “io e tu” del 1923 descrive come nell’intenzionalità del soggetto la relazione è fondamento dell’esistenza. L’io non precede l’altro, non esiste mai da solo, è il rapporto tra io e tu il dato primordiale. Gli uomini sono orientati a mettersi in contatto con l’alterità sin dall’origine, entro una relazione che è evento-mistero nella quale l’alterità influisce su di essi e essi su di lei (che possono anche essere cose materiali ed entità immateriali) Il rapporto dell’io con l’alteralità si può realizzare in due modi: 1. Io-Esso  il soggetto si pone di fronte all’altro come a un oggetto, per conoscerlo ed utilizzarlo. Di conseguenza vieni fuori un rapporto impersonale e strumentale 2. Io-Tu  il soggetto si pone in un atteggiamento di vera apertura all’altro e alla sua profondità, in modo immediato e totale. Relazione basata su un incontro autentico, rispettoso e pienamente coinvolgente Le implicazioni pedagogiche sono abbastanza chiare, poiché l’uomo è strutturalmente legato all’altro attraverso un rapporto, questo rapporto è importante che assuma forme rispettose, dialogiche, non invadenti. Uomo dotato di linguaggio: conferma della sua natura relazionale ma anche della natura etica di tale atto. Apel sostiene che la comunicazione affinché sia comunicazione è necessario che sia regolata da norme. Studi delle neuroscienze: le ricerche condotte negli ultimi vent’anni dimostrano l’esistenza di forme rudimentali di imitazione risposta a stimoli sociali esterni, le quali sono legate alle caratteristiche funzionali e fisiologiche dei neuroni specchio. (es. “protoconversazioni” dialogo tra bambino e adulto basate sull’alternanza tra fissazione dello sguardo, sorrisi, silenzi ed emissioni sonore il tutto rispettando dei turni, creando una sorta di sintonizzazione emotiva progressiva.) Vittorio Gallese definisce come questi fenomeni di imitazione precocissima dimostrano come i legami interpersonali vengano costituiti all’inizio della vita con la creazione di uno spazio “noicentrico” che include tutti gli individui che abitano il mondo del bambino. Gli esseri umani sono gli unici a creare legami sociali fin dall’infanzia attraverso i due fenomeni dell’attenzione congiunta e della condivisione di emozioni positive: ciò si manifesta quando in un momento di relazione adulto e bambino prestano attenzione insieme ad un certo oggetto e, a partire dai 9 mesi, alternano lo sguardo all’oggetto osservato e al membro della coppia esprimendo anche stati emotivi. Questo coinvolgimento congiunto, attentivo ed emotivo sta alla base di due caratteristiche dell’uomo: 1. Sarebbe alla base della capacità umana di distinguere il soggettivo dall’oggettivo, la realtà e l’apparenza, in sostanza intuire che la nostra prospettiva di un certo oggetto potrebbe anche non combaciare con la realtà o con la prospettiva di un altro osservatore. Le grandi scimmie prendono il mondo per come gli appare senza confrontarlo con la posizione altrui e senza porsi un problema della veridicità della loro percezione. 2. Il coinvolgimento attentivo ed emotivo congiunto sarebbe alla base della socialità dell’essere umano e della sua moralità perché costituirebbe il senso del “noi” e delle regole che, entro questo “noi”, si devono seguire per dare vita non solo a forme di coesistenza ma anche a forme di collaborazione (ciò che Tomasello definizione intenzione collettiva) Tali forme di pensiero e di comportamento costituiscono una differenza tra l’uomo e le grandi scimmie, poiché le loro azioni non sono sottese ad una collaborazione bensì sono azioni su piani paralleli, ognuna è mossa dal proprio scopo sfruttando la presenza e le azioni delle altre come strumenti per raggiungere il proprio obiettivo. X Tomasello queste forme di intenzionalità congiunta e collettiva sono ciò che permette la creazione di una cultura, ovvero ciò che distingue l’uomo dagli animali. EDUCAZIONE E LIBERTA’ Un’altra importante caratteristica dell’essere umano è la libertà. Essa è oggetto di discussione poiché, secondo alcuni, i nostri pensieri e le nostre azioni sono determinate dal nostro genoma, dai processi biochimici attraverso cui funziona il nostro cervello o dall’influenza generata dal nostro gruppo di appartenenza. La libertà esiste nel momento in cui siamo stati noi ad aver scelto di compiere o meno una determinata azione. La distinzione più comune che si può fare è riportata nelle nozioni di libertas minor e libertas maior, o di libertà negativa e di libertà positiva.  Estensione del senso dell’io  interessato al mondo e agli altri  Cordiale rapporto con gli altri  capacità relazione, empatia  Sicurezza emotiva  autocontrollo, gestione delle emozioni  Percezione realistica  sa risolvere problemi e sa assumersi impegni adeguati alle sue capacità  Auto-oggettivazione  comprensione del sé e delle proprie facoltà  Concezione unificatrice della vita  soggetto si è costruito un’idea circa il senso e gli scopi della sua vita Soggetti in situazioni di disagio si rivolgono a terapeuti per migliorare i tratti di personalità immaturi o disfunzionali, esempi di queste pratiche sono: lo yoga, educazione delle emozioni, la cura di sé. Nonostante ciò, è difficile sentir parlare di educazione della personalità ma piuttosto educazione del carattere. Personalità e carattere nel lessico comune sono sinonimi ma nella scienza i due termini hanno storie diverse. “trattato del carattere” di Emmanuel Mounier del 1947. Lento declino che poi ha portato all’utilizzo di carattere nel gergo inglese “character” per descrivere quella parte di personalità che ha a che vedere con le scelte e i comportamenti morali (onestà, altruismo ecc) Di conseguenza la character education diventa l’educazione morale. CONCLUSIONE Il discorso antropologico sulla teoria dell’educazione ha un senso duplice, il quale in primo luogo, ci permette in base all’idea di uomo su cui ci basiamo indirizzare i corretti modelli di approccio, le diverse idee di educazione, i diversi scopi da raggiungere e una pluralità di metodi appropriati. In secondo luogo lo studio delle diverse idee ci fornisce un’osservazione a 360 su tutti i tratti salienti che lo definiscono Nel capitolo si è parlato di:  Il carattere dell’educabilità descriva le possibilità e i limiti dell’azione esterna che interviene sul soggetto per modificarlo  Il valore, in sé, del soggetto umano fondi l’inalienabilità dei diritti  Il carattere della relazionalità consenta di strutturare l’educazione in termini di rapporto  Il carattere della libertà definisca i limiti di tale rapporto, e contestualmente, fornisca un elemento indispensabile per la teleologia pedagogica  Il carattere dell’unicità dell’uomo e il suo progressivo strutturarsi come personalità singolare fondino la prospettiva dell’individualizzazione/personalizzazione dell’educazione e dell’insegnamento  Il carattere della complessità fondi il bisogno di un’educazione integrale LA RELAZIONE: CONTESTO E STRUMENTO DELL’AGIRE EDUCATIVO (CAP 7) “educazione come processo intenzionale in cui qualcuno vuole far raggiungere a qualcun altro una condizione o uno stato migliore di quello di partenza” L’educazione partendo dalla sua definizione implica la relazione fra due soggetti. La relazione è sia il contesto o setting primario dell’agire educativo sia il suo strumento attraverso cui l’educatore opera Dal punto di vista epistemologico, cercare l’atomo logico (il punto fondamentale, ciò che sta al centro della teoria dell’educazione) dell’educazione corrisponde al rapporto tra educatore ed educando. L’intero dell’educazione è il rapporto educativo Che cos’è una relazione educativa? Quali sono le sue caratteristiche? Analisi formale fatta da Sergio De Giacinto: descrivere la relazione stessa nella sua forma più pura eliminando tutte le variabili. 3 proprietà definite “emergenti”: 1. La pluralità e la compresenza di variabili: si riferisce al fatto che l’educazione, già nella sua struttura minima, è un sistema. Ciò indica che per sua natura ogni atto educativo possiede un complesso di variabili che entrano in gioco secondo modalità di relazione circolari in cui tutte le variabili sono connesse e si influenzano tra di loro. in primo luogo, le variabili sono educatore ed educando che rispettivamente ai propri ruoli mostrano un “asimmetria funzionale” (disparità relazionale, ciò che fa uno non fa l’altro, se fossero uguali non ci sarebbe educazione). non è una superiorità a livello di dignità, perché entrambi hanno pari diritti, è più un’asimmetria di ruolo legata a ciò che fanno all’interno della relazione 2. La finalizzazione: perché ci sia educazione è necessaria l’intenzionalità, o finalizzazione. Necessario che entrambi gli attori sappiano lo scopo della relazione, ovvero quello di educare. Inoltre, necessario che tutte le variabili all’interno della relazione siano finalizzate allo scopo. 3. La processualità: se è presente uno scopo da raggiungere ciò implica che esiste una situazione iniziale ed una finale. Con ciò si intende che l’educazione è un atto che si distende nel tempo e nel tempo si modifica, ed è calato in uno specifico contesto temporale ed in condizioni storiche non scelte. LA RELAZIONE EDUCATIVA SECONDO LA SAGGEZZA DEGLI EDUCATORI Riempiamo adesso di contenuto il concetto di relazione. I primi studiosi dell’atto educativo posero le prime riflessioni sulle diverse declinazioni dell’atto educativo (genitori-figli, maestri-alunni, sacerdoti-fedeli e così via) Individuate 5 tipologie di relazione:  Paternità  l’educatore è un padre per i bambini e i ragazzi che gli sono stati affidati. X Henri-Ireneè Marrou l’educatore è padre e non madre, perché la sua figura è modellata su quella di Dio, che è padre di tutti, basata quindi su una concezione cristiana in un’epoca di monachismo medievale. Infatti si parla anche di “abate” come primo educatore all’interno del monastero (che deriva da “abbà” che in aramaico significa “padre”). L’educatore non è un padre dispotico e violento ma un padre amorevole essendo esso ad immagine di Dio non può che essere un “buon pastore”. apostolo Paolo scrive nella lettera ai collossesi “voi figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al signore. Voi padri non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino” nasce così uno stile dell’educatore autorevole ma amorevole il quale diventa poi, seguito dal contesto, “padre spirituale”. Nell’antichità romana, ad esempio, l’idea di educatore come padre non era diffusa perché era presente il precettore, che di base era uno schiavo, che non volevano di certo sostituirsi al pater familias.  Familiarità  stile educativo efficace e formativo che implica una vita a stretto contatto tra maestro e scolaro, simile a convivenza con i propri genitori. es. la scuola di pitagora nella quale gli alunni il primo anno dovevano rimanere in silenzio x ascoltare gli insegnamenti poi venivano accolti nella casa di pitagora per proseguire gli studi. H. Pestalozzi ha sostenuto la necessità di uno stile educativo familiare e materno, come scrive nel suo romanzo “Leonardo e Gertrude” nella quale sostiene che l’educatore debba somigliare ad una brava madre in una relazione non dispotica, rigida o repressiva ma bensì calda, empatica, informale, diretta fatta di esperienze compiute assieme. secondo lui è educativo, vivere insieme e fare esperienze insieme condividendo momenti ed emozioni della vita quotidiana dando così la possibilità all’educando di vedere un uomo o una donna maturi e capaci di assumere le proprie responsabilità verso se stessi e gli altri.  Esemplarità  educatore come modello, deve essere un esempio di maturità, basato su due presupposti: educatore sia un individuo con un’alta moralità, e che i bambini apprendano attraverso imitazione.  Rispetto  spiegare le cose al bambino, ragionare e discutere con lui significa renderlo dignitoso di rispetto. Oggi ci sembra ovvio, ma in un passato dominato da pedagogie nere e adultocentriche, la superiorità dell’adulto sul bambino era cosa affermata. Dal Novecento in poi, secolo definito anche “secolo dell’infanzia” da Ellen Key nella quale venne attribuita un’importanza e una dignità diversa ai bambini consci dell’importanza dei processi di sviluppo che percorrono l’infanzia. importantissima fu la figura di Janusz Korczak che direttore della casa dell’orfano a Varsavia, espose il tema “diritto del bambino al rispetto”, essendo ciò che è ovvero un bambino, il suo diritto all’identità, alla quotidianità il rispetto per la fatica del suo crescere  Individualizzazione o personalizzazione  intendiamo con questi termini la consapevolezza, teorica ed operativa, che ogni educando è diverso dagli altri. L’estensione della scolarizzazione a tutti i bambini portò ad un insegnamento uguale per tutti e quindi standardizzato. Però nell’ultimo secolo venne definita la necessità dell’individualizzazione. individualizzazione -> si adattano i percorsi e i metodi, mentre gli obiettivi sono comuni personalizzazione -> si adattano percorsi e metodi e si valutano obiettivi adatti allo studente. inoltre due aspetti importanti nella gestione della relazione educativa sono:  La relazione è relazione tra soggetti singoli  L’educatore non può pensare di sottrarsi a tale relazione $$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$ Pedagogia nera: espressione coniata da Katharina Rutschky nel 1977 con la quale si indica tutti quegli insegnamenti o atti educativi basati su metodi dispotici e coercitivi con violenza fisica e psicologica. Tali pratiche sono giustificate da un rafforzamento caratteriale del bambino (maltrattamenti fatti per il suo bene). Alice Miller ha constatato che questi trattamenti violenti abbiano conseguenze negative sulla maturazione psichica del bambino che portano poi a sviluppare loro stessi una personalità violenta e autoritaria. $$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$ LA RELAZIONE EDUCATIVA NEL CONTESTO SOCIALE: POTERI, RUOLI, RAPPRESENTAZIONI Tema del potere: Data l’asimmetria funzionale della relazione tra educatore ed educando, essa è caratterizzata dall’esercizio di tale potere da parte dell’educare che significa anche responsabilità nei confronti dell’educando. Spesso nella letteratura scientifica si parla, all’interno del rapporto educativo, di forza, influenza ed egemonia dell’educatore. Emile Durkheim nel 1922 scrive che: 1. Nei rapporti tra educatore e educando il secondo è posto in uno stato di passività (paragonabile ad un ipnotizzato) rispetto al primo. La sua volontà è ancora rudimentale e perciò facilmente suggestionabile, ciò determina anche il contagio dell’esempio, ovvero incline all’imitazione 2. Maestro dotato di esperienza e cultura maggiore, perciò, darà alla sua azione l’efficienza necessaria Paragonare l’educazione all’ipnosi è eccessivo però siamo d’accordo che l’opera dell’educatore che sia consapevole o inconsapevole determina degli effetti duratori nel suo educando. per questo le istituzioni politiche hanno utilizzato l’educazione a scopo di lucro soggiogando gli individui ai propri fini. Nelle teorie marxiste e neomarxiste hanno sottolineato come i rapporti di classe tra capitalisti e proletari determinino forme educative improntate al mantenimento della distanza sociale tra classi. Se ciò è vero in merito ai sistemi educativi e scolastici (livello macrosociale) ciò non è altrettanto vero per la relazione tra educatore ed educando (livello microsociale). Le ricerche dello studioso Basil Bernstein hanno individuato una connessione tra le relazioni sociale, le relazioni educative e le forme di comunicazione: ogni classe sociale utilizza forme peculiari di comunicazione. classi inferiori -> modalità di comunicazione descrittive e pragmatiche classi superiori -> modalità di comunicazione analitiche e astratte Strutture sociali producono strutture linguistiche e le strutture linguistiche definiscono le relazioni tra individui. L’educatore, in base alla struttura linguistica utilizzata dall’alunno, avrà una relazione diversa in base al lessico alto o basso utilizzato da esso. 2. Stile permissivo  incapaci di trovare modalità di lavoro che andassero bene per tutti 3. Stile democratico  i bambini si dimostravano collaborativi 4. Spostando i bambini da un gruppo all’altro il loro atteggiamento cambiava adeguandosi al contesto Ciò dimostra che il loro comportamento era influenzato dalle relazioni sociali. Studi successivi dimostrano che lo stile dell’educatore influenza le modalità di apprendimento: attraverso lo stile formale raggiungo prima gli obiettivi dell’apprendimento ma solo nel breve-medio periodo. Nel lungo periodo invece classi condotte con stile formale o informale conseguono gli stessi risultati di apprendimento ma quelle condotte con uno stile democratico acquisiscono anche abilità sociali. 1. Stile autoritario: è uno stile che antepone ai bisogni dell’educando gli obiettivi prefissati; quindi, creare una relazione appagante è meno importante del raggiungimento degli obiettivi. L’educatore conduce l’educando lungo una strada che egli stesso ha scelto, senza rendere noto lo sviluppo del lavoro ma solo le fasi da svolgere nell’immediato, togliendo piena conoscenza all’educando di quanto lo aspetta. L’educatore inoltre non coinvolge l’educando nella verifica del lavoro, anzi emette più rinforzi negativi. L’autorità, infine, è esercitata senza ascoltare l’educando e senza motivare le decisioni prese.  L’educatore è un leader unico  La conduzione del gruppo di educandi corrisponde ad una forma di sorveglianza  L’educatore si assume la responsabilità del lavoro svolto e della sua organizzazione  L’educatore decide le regole, le comunica agli educandi e garantisce la disciplina  Le conseguenze delle azioni sono fisse a tutti gli educandi  Agli educandi sono accordate responsabilità limitate nello svolgimento del lavoro 2. Stile permissivo: definito anche stile “Laissez-faire” è caratterizzato da un’assenza di guida da parte dell’educatore che maschera la sua incapacità o non voglia di svolgere tale ruolo lasciando libero l’educando. Lascia che l’educando si muova da solo, ma non fornisce una visione complessiva del percorso e non lascia che l’educando ne prenda coscienza. Non ci sono regole perché non c’è controllo.  Le regole non sono stabilite con chiarezza e nessuno vigila  Gli obiettivi delle attività non sono stabiliti  l’individualità dell’educando è rispettata ma non viene guidata verso modelli funzionali  l’educatore reputa gli educandi responsabili ma loro non si sentono tali 3. Stile democratico: stile basato sull’assunzione della responsabilità da parte dell’educatore che fornisce e rende consapevole l’educando degli obiettivi del percorso, fornendo regole e setting chiari, accettando il dialogo e ascoltando i bisogni, gli stati d’animo e le richieste degli educandi. L’educatore coinvolge l’educando nelle scelte, lo coinvolge nei progetti e gli fornisce informazioni delle attività, in tal modo esercita la responsabilità dell’educando. I flussi comunicativi sono orizzontali ovvero esistono oltre che educatore -educando anche educando-educando o educando-educatore. La figura dell’educatore è una figura autorevole  La leadership è condivisa e la conduzione del gruppo corrisponde ad una forma di guida  Educandi sono coinvolti e corresponsabili delle attività, per questo le regole sono co- costruite da educatore ed educando  Ciascun soggetto si impegna per garantire la disciplina, intesa come cura del corretto funzionamento del lavoro  Tutti gli educandi hanno la possibilità di contribuire allo svolgimento dell’attività  Le conseguenze delle azioni sono soppesate di volta in volta e riflettono le differenze individuali Carl Rogers: tema della “Non direttività” egli ha innovato i metodi del colloquio terapeutico basandosi sul principio che il disagio psicologico deriva dalla mancanza di integrazione delle varie parti di sé. Nell’istaurarsi della relazione con il terapeuta però queste situazioni di squilibrio e di rifiuto, trovano uno stato di accettazione e congruenza. nella terapia, dunque, il paziente non riceve risposte preconfezionate ma è aiutato a trovarle e realizzarle da sé. Rogers chiama questa forma di relazione “relazione d’aiuto”  scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo e la maturità valorizzando maggiormente le proprie risorse personali. Rogers applica questo principio dal contesto terapeutico a quello educativo, avanzando le condizioni per un buon rapporto educativo improntato allo stile dell’ascolto, dell’autorevolezza, della partecipazione e della non direttività. 3 aspetti: autenticità, considerazione positiva incondizionata e comprensione empatica  Autenticità  buona relazione d’aiuto se l’educatore riesce ad essere pienamente sé stesso. Personalità integrata pienamente in contatto con sé stesso, che riconosca e accetti le proprie emozioni e le sappia esprimere senza rimozioni. Solo nel momento in cui l’educatore è autentico anche la relazione educativa è autentica.  Considerazione positiva incondizionata  atteggiamento di accettazione per l’educando e i suoi vissuti, togliendo ogni pregiudizio. Ciò favorisce l’instaurarsi di un clima di sicurezza e fiducia.  Comprensione empatica  empatia significa “sentire dentro”, ovvero atteggiamento di partecipazione profonda che un soggetto riesce a mettere in atto nei confronti dell’altro. Atteggiamento empatico si traduce nella pratica in uno stile comunicativo che mette in primo piano l’ascolto, l’astensione dal giudizio, disponibilità a considerare le opinioni meritevoli di considerazione e accettazione *comunicazione non autoritaria (Lumbelli)  usare una comunicazione centrata su di sé invece che sull’altro. es. “io non ho capito” piuttosto che “hai sbagliato ad esporti” Rogers conclude che questi per essere efficaci devono essere percepiti dall’educando. LA RELAZIONE EDUCATIVA NELL’INCONSCIO Adesso affrontiamo ciò che è dentro l’educatore ed educando. Postic scrive “attraverso il bambino, l’educatore è posto di fronte sé stesso” La relazione educativa è innervata da dinamiche intrapsichiche che, pur non essendo sempre manifeste, influenzano alcune modalità di comportamento e relazione. Ognuno di noi porta dentro ricordi, emozioni, fantasmi ed esperienze che lo influenzano in ciò che fa, sia che siano consapevoli che non. L’educatore pertanto deve essere consapevole a livello teorico generale questi processi ed inoltre deve riconoscerli in se stesso. le pulsioni di vita e morte, amore e aggressività (eros e thanatos) si possono riconoscere anche all’interno delle azioni dell’educatore stesso: amore è andare verso l’altro, dare la vita, far crescere. Morte è dominare, sottomettere e modellare. ciò come abbiamo detto è insito nell’educatore che spesso è in conflitto tra il desiderio di aiutare e far crescere l’educando e la rabbia o la frustrazione dello stesso quando disubbidisce. Educare quindi assume le sembianze di un creare, come atto onnipotente che genera da un lato la vita ma dall’altro superiorità e soggezione nei confronti del creato che venerano il creatore. Educare quindi è più un creare e tenere per sé, oppure un generare per lasciar andare? Entrambe le questioni vivono all’interno della mente dell’educatore, la prima è legata a pulsioni latenti di processi psichici. L’educatore inoltre può subire il fantasma della gioventù, ovvero da una parte ricerca la giovinezza poiché simbolo di una nuova esistenza da coltivare ma dall’altra prova invidia per la giovinezza perduta che non può più avere. Il fantasma più importante però è il rapporto che l’educatore ha avuto con la propria madre o con il caregiver, poiché l’educatore si identifica con lei (che è capace di dare cibo come di negarlo) e baserà il rapporto avuto come modello per l’educazione nei confronti dell’educando, considerato però come colui che si ciba ma è avido poiché invade l’educatore per depredarlo e trarne piacere senza limiti. Per questo si ripresenta in lui il sentimento di invidia già provato con la madre. anche la relazione educativa, infatti, così come quella terapeutica subisce l’influsso del “transfert”  ripetizione inconscia di schemi emotivi e relazionali avuti nel passato, all’interno di una relazione presente. Utilizzo del transfert cerca di riproporre condotte note ma anche di manipolare l’altro in modo che assuma comportamenti dell’educatore. il transfert inoltre avviene in entrambe le direzioni: educatore ripropone la sua relazione con la madre in modo che l’educando si conformi, altrettanto fa l’educando che tramite gli schemi materni conforma l’educatore. $$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$ ATTACCAMENTO: studio di uno psicologo britannico John Bowlby che dopo la Seconda guerra mondiale doveva constatare le conseguenze sui bambini che avevano perso casa e famiglia. Bambini separati dalle madri per un lungo periodo durante il 1 anno di vita, mostravano tratti di ribellione, distacco e disperazione. Definì in seguito il legame che si instaura tra neonato e il proprio caregiver è definito come attaccamento, per assicurare senso di protezione al bambino, e che soddisfi i suoi bisogni e lo accudisca. Tre diversi stili di accudimento parentale che portano a diverse tipologie di attaccamento:  Attaccamento sicuro: bambino riesce a stabilire vicinanza, avverte genitore come figura amorevole e disponibile, si sente degno di ricevere attenzione  Attaccamento evitante: madre tende a trascurare i suoi bisogni, bambino mostra atteggiamenti di distacco e sviluppa la sensazione di non meritare l’attenzione  Attaccamento ambivalente: genitore trascura i bisogni del bambino e lui cerca di attirarne l’attenzione, sviluppa l’idea di insicurezza  Attaccamento disorganizzato: contesti di grave trascuratezza il bambino non riesce a sviluppare un atteggiamento coerente, attuando condotte contraddittorie, non adattive e non strutturate. Relazione con il caregiver influisce sulla stabilità e sull’equilibrio interiore, inoltre la tipologia di rapporto con il caregiver diventa un modello di relazione con gli altri. $$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$$ Ambivalenza della relazione educativa: Kaes (1981) due assi: divoramento (prendere nutrimento, succhiare, ricevere vita) e castrazione (educatore svuotato decide di vendicarsi esercitando il proprio potere sull’educando). Haim descrive l’ambivalenza della relazione educativa (su adolescenti): rapporto educativo che ha un carattere conflittuale, poiché l’educatore detiene il potere e lo esercita verso lo sviluppo dell’educando, il quale però teme la sua crescita. l’educando invece ammira l’educatore e vuole identificarsi con lui, allo stesso tempo però vuole libertà e autonomia. DINAMICHE LATENTI NEL RAPPORTO EDUCATORE – EDUCANDO OLTRE ALLE dinamiche inconsce che ognuno si porta dentro dobbiamo ora trattarne altre differenti che si instaurano nel rapporto e non sono dipende dall’individuo singolo. 4 dinamiche: seduzione, identificazione, compensazione e protezione Seduzione: deriva dal latino “se-ducere” ovvero condurre via, metaforicamente significa “traviare”. Oltre alla sfera amorosa, assume i connotati di trascinare qualcuno verso di sé per poterne approfittare. La seduzione nasce nel seduttore dal desiderio di essere desiderato, ma dall’altro parte il sedotto si compiace dell’essere cercato. I modi attraverso cui l’educatore può sedurre sono i seguenti: attraverso le parole, gesti e atteggiamenti esclusivi. È chiaro però che l’atteggiamento seduttivo deve essere tenuto sotto controllo per non minare gli obiettivi dell’azione educativa. Inoltre, attraverso la seduzione si generano conflitti interni al gruppo di educandi aumentando Tale oltrepassamento è definito da Heidegger “progetto” (che deriva da pro-iectare e significa “gettare avanti”) e l’uomo viene così definito “progetto gettato” nella quale il primo termine indica l’oltrepassamento di sé stessi ponendosi liberamente verso il mondo, e il secondo indica il suo trovarsi in una condizione di determinatezza di soggetto reale che non può totalmente trascendersi poiché è vincolato dal suo essere, qui ed ora, un soggetto finito. per l’uomo essere nel mondo equivale a “prendersi cura delle cose e degli altri”: ciò significa che la relazionalità costitutiva dell’uomo, che è la sua apertura verso il mondo e la sua trascendenza verso di esso che assume il carattere della cura che apre la possibilità di trovare se stesso e di realizzarsi. Ricaviamo da ciò elementi importanti per la teoria della progettazione: 1. La costitutività esistenziale del progettare per l’essere umano 2. Dinamismo circolare costituito da impulso di trascendimento e vincoli limitanti dati dalla sua determinatezza 3. La direzione del progettarsi e del progettare (la cura) può essa essere un particolare modo di intendere l’educazione Teorie dell’organizzazione e del management: che fondano le loro radici sul Taylorismo (catena di montaggio). Tale organizzazione scientifica si basa sul principio che esiste un unico modo per svolgere efficacemente un certo processo. Ogni ciclo di lavoro poteva così essere ottimizzato per renderlo efficace ed efficiente e la progettazione consiste proprio nello studio del modo migliore per farlo. Sul piano educativo questa logica della progettazione la ritroviamo nella “pedagogia per obiettivi” (apprendimento avviene attraverso la suddivisione dei contenuti da apprende in micro-unità, alla quale ad ognuno corrisponde un’azione didattica) oppure nelle teorie di programmazione didattica. In quest’ottica, “progettare” assume il significato di “pianificazione” (planning) e del “gestire” (managing) che riflesso verso l’educatore significa capace di prevedere e controllare un mondo conoscibile e prevedibile, sappiamo però che l’educazione ha anche a che fare con l’imprevisto, con il non pianificabile, con la variabilità individuale, con la libertà dell’altro. Lipari ha individuato 3 famiglie di teorie della progettazione in campo educativo:  Teorie ad approccio ingegneristico  progettazione molto precisa delle azioni da svolgere, anticipatoria, rigida, in cui il processo da compiere è standardizzato. (es. programmazione didattica) [determinismo]  Teorie ad approccio dialogico  caratterizzate da un minimo di previsione e un massimo di spontaneità, con una progettazione aperta e flessibile con una completa disponibilità alla singolarità del caso concreto [indeterminismo]  Teorie ad approccio adhocratico  “ad hoc” ovvero pensato per un certo caso specifico. Attività progettuale come un insieme di azioni orientate a risolvere un problema contingente [pragmatico] 1. Progettare è necessario se non si vuole lasciare l’azione educativa al caso o all’improvvisazione 2. Però allo stesso tempo la progettazione non deve cadere nelle pretese della previsionalità 3. Progettare significa mettere in atto procedure come un’azione razionale e sensata di prefigurazione di un futuro possibile 4. Non esistono metodi unici (standardizzati) che infallibilmente portano al raggiungimento dell’azione educativa poiché i soggetti, le situazioni e le necessità sono sempre diverse 5. Efficacia ed efficienza non sono criteri sufficienti di valutazione poiché consentono solo una valutazione interna: la sensatezza degli obiettivi rimane esclusa dal campo della considerazione. Dato che le terminalità dell’educazione sono connesse a scelte di natura assiologica non sono valutabili con criteri puramente tecnici (quali sono efficacia ed efficienza) COSA SIGNIFICA PROGETTARE Tre caratteri della progettualità educativa:  Progettare è un guardare avanti: è un atto di prefigurazione di una situazione desiderata, accompagnato però dalla pianificazione di un percorso di avvicinamento che permetta di far transitare il soggetto dalla situazione iniziale a quella finale auspicata. L’auspicio è l’obiettivo mentre il progettare è la strada che conduce da sit. Iniziale a sir. Finale. Il guardare avanti che costituisce il progettare contiene un ingrediente di emotività, di desiderio e attesa. inoltre il guardare avanti non prevede un atto istantaneo ma un qualcosa che si distende nel tempo. Si comincia un’azione progettandola quando ancora non è in atto per poi accompagnarla lungo tutto il suo svolgimento con questo sguardo progettante che è la cura per l’azione stessa.  Progettare è un mixare: ovvero un’attività mentale che richiede una dote di sintesi poiché per comporre un piano educativo è necessario sapere associare in modo intelligente una serie di informazioni, di variabili e idee. Educare richiede un connubio di conoscenze sia teoriche sia situazionali, ed a questo momento logico De Giacinto dà il nome di “cabina di regia” nella quale si devono mettere insieme 3 cose:  La conoscenza della situazione iniziale, del suo contesto e dei suoi protagonisti  Gli obiettivi che si vogliono raggiungere i quali costituiscono la possibile soluzione al problema /bisogno per cui si organizza quell’intervento  Certe informazioni, teoriche o provenienti dall’esperienza le quali ci fanno dire che un dato percorso può essere indicato per raggiungere lo scopo prescelto ogni azione educativa è la sintesi di più variabili di diversa natura (obiettivi, tempi, risorse, spazi ecc).  Progettare è una cosa che si fa sempre: il pilotaggio dell’azione educativa rende necessario un ripensamento e una riprogettazione continui, rendendo l’insieme dei fattori interconnessi tra di loro in un rapporto circolare (nonostante tradizionalmente la progettazione veniva intesa una sequenza lineare) Per questo l’azione educativa viene scandita lungo tre momenti: 1. Fase preparatoria caratterizzata dallo studio della situazione iniziale (bisogni educativi, predisposizione risorse 2. Fase di attuazione dell’azione educativa 3. Fase conclusiva, la quale apre a una nuova azione rispondente a nuovi bisogni e a nuovi obiettivi A questo nucleo si collocano 3 attività: che si svolgono dietro le quinte, senza l’educando 1. Progettare 2. Documentare 3. Valutare IL CICLO DI VITA DI UN INTERVENTO EDUCATIVO Riprendendo le tre fasi dello svolgimento dell’intervento educativo esaminiamo ora fase per fase: Fase preparatoria: - momento più ideativo - analisi della situazione, risorse, obiettivi sono il contraltare dell’atto con cui l’educatore decide gli scopi da raggiungere azione educativa concreta ha delle terminalità stabilite dall’educatore in base alle proprie scelte e convinzioni di cui però deve tener conto anche dei bisogni dell’educando, i vincoli delle circostanze e la concretezza delle possibilità (piano della realtà pragmatica) momento preparatorio quindi si traduce in una riflessione concreta di attese e necessità.  Mondo delle attese:  esprime la volontà dell’educatore “vorrei portare l’educando fino a lì” esistono 3 fonti da interrogare per individuare i bisogni a cui rispondere:  Utenti diretti (chiedere direttamente alla persona coinvolta)  Indicazioni di esperti  Indicazioni ministeriali (disposizioni normative) Ecco perché le “attese” rispetto ai percorsi educativi assumono volti diversi a seconda che si riferiscano al campo della formazione professionale o a quello del disagio  Formazione professionale  bisogni formativi  Disagio  bisogno individuale di raggiungere un ideale di sé Inoltre, nel mondo delle attese bisogna considerare l’implicito e l’esplicito, perché non sempre i bisogni dell’educando si trasformano in richieste nitide e precise bensì possono costituire un groviglio di problemi e mascheramenti. Spesso la necessità educativa è percepita da estranei ma non dal soggetto, non traducendo così il bisogno in domanda.  Mondo delle necessità:  che non è l’educatore a scegliere, ma lo vincolano.  Caratteristiche dell’educando  esperienze pregresse, il suo livello di partenza e il possesso dei prerequisiti  Contesto  rilevanti tutti gli elementi che Tramma chiama “mappe del territorio con una rilevanza pedagogico-sociale” ovvero l’inquadramento generale di un dato territorio + la conoscenza del particolare che si pone in relazione allo specifico progetto  Richieste del committente  linee stabilite dall’organizzazione o dal servizio per cui si opera, ritiene che debba essere proposto Tutti questi elementi (attese e necessità) fanno parte del lavoro di sintesi e mixaggio dell’educatore Fase attuativa: educatore lavora a stretto contatto con l’educando per raggiungere gli obiettivi prefissati, detta anche fase di erogazione, che può essere più o meno lunga a seconda dei casi. Inoltre non è una fase piatta nella quale si fa quel che si è progettato, poiché ci si scontra con l’imprevisto. Fase di chiusura: prevede il momento del congedo dell’educando (momento in cui si porta l’educando alla piena consapevolezza dell’obiettivo raggiunto) ma anche eventuali attività di rendicontazione di quanto svolto e di progettazione di nuovi interventi. Nel momento in cui si raggiunge un obiettivo emergono nuovi bisogni e nuove mete LE AZIONI RICORRENTI: IL PROGETTARE Il progettare si concretizza nella stesura di un documento progettuale, ovvero un testo che raccoglie in forma anticipata e sintetica le principali scelte e indicazioni che guideranno in seguito la realizzazione del percorso. in forma anticipata perché il documento progettuale viene elaborato prima che il percorso sia messo in atto e in forma sintetica in senso sia formale che logico: non solo è un testo breve ma propone una visione panoramica dell’attività da realizzare, comprensiva di tutti gli elementi utili per un ottimale compimento dell’attività stessa. Documento progettuale ≠ progetto ovvero si distingue una certa attività educativa finita nel tempo dal testo scritto che la regola. Documento progettuale risponde a 3 esigenze: 1. Necessità di precisare il più possibile quello che gli educatori intendono fare, prendendo in considerazione fini, vincoli e bisogni. Durante la progettazione l’idea di partenza fa i conti con la messa alla prova, ovvero una verifica di fattibilità in primis e poi una prova di realtà. tutto ciò, inoltre, si fa in gruppo, cosa che determina un’aperta discussione di ogni scelta. 2. Documento progettuale ha una funzione comunicativa poiché come qualsiasi testo parla di qualcosa a qualcuno; quindi, dati i diversi possibili destinatari e alla funzione del documento bisogna adattare lo stile del testo. 3. Funzione di guida, sorta di programma di viaggio per l’educatore che può seguire per sapere cosa fare, con che scopo, in quale sequenza ecc Se il documento progettuale possiede queste importanti funzioni, la chiarezza deve essere la sua caratteristica principale. Inoltre. il contenuto e l’ordine con il quale viene esposto all’interno di un documento progettuale è specifico del singolo poiché specifiche ne sono le caratteristiche.
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