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"Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo" Yrvin D. Yalom - Riassunto, Sintesi del corso di Psicologia Clinica

Riassunto completo e molto accurato di un ottimo testo.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 11/06/2020

MaurizioGarbocc
MaurizioGarbocc 🇮🇹

4.5

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Scarica "Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo" Yrvin D. Yalom - Riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! TEORIA E PRATICA DELLA PSICOTERAPIA DI GRUPPO (Irvin D. Yalom) INTRODUZIONE La terapia di gruppo è nata negli anni ’40 del XX secolo e ha subito da allora molteplici adattamenti per adeguarsi all’evoluzione della pratica clinica. Oggi ne esistono molteplici forme e quindi è corretto parlare di Terapie di gruppo, piuttosto che di terapia di gruppo. Esistono infatti terapie che si differenziano per: - la problematica comune al gruppo di soggetti a cui sono rivolte (terapia di gruppo per soggetti con depressione acuta e cronica, disturbi alimentari, cardiopatici, Hiv, vittime di abusi sessuali, divorziati, famiglie disturbate, coppie di coniugi…); - le collocazioni ambientali (setting) ( corsie ospedaliere, carceri, case-famiglia, studi privati di uno psicoterapeuta...); - gli orientamenti (cognitivo-comportamentale, psicopedagogico, interpersonale, della Gestalt, supportivo-espressiva, psicoanalitico, dinamico-interazionale, di psicodramma… Inoltre ci sono tecniche imparentate con la terapia di gruppo: gruppi esperienziali, di addestramento, di auto-aiuto, di sostegno attraverso Internet, i cui obiettivi sono a metà strada tra crescita personale, sostegno, educazione e terapia). Per affrontare questo variegato mondo, occorre separare ciò che è la “facciata” di ciascuna scuola (forma, tecniche, linguaggio specializzato, atmosfera), dal “nucleo” del processo terapeutico, cioè i meccanismi essenziali del cambiamento. Essi sono in numero limitato e notevolmente simili in tutti i gruppi. Un tempo l’autore li definiva “fattori di guarigione”, ma oggi preferisce definirli “fattori terapeutici” che conducono ad un cambiamento, ad una crescita. I fattori terapeutici sono undici. Per trattare l’argomento l’autore ha scelto di analizzare un prototipo di terapia di gruppo, per offrire una serie di principi che consentano di modificare questo modello di base per adattarlo a qualsiasi specifica situazione clinica. Il modello prototipico scelto è il gruppo di psicoterapia intensiva di clienti esterni, composto in modo eterogeneo, che si incontra per numerosi mesi (quindi a lungo termine) e i cui ambiziosi obiettivi sono un’attenuazione dei sintomi e un cambiamento caratteriologico. Essa, oggi spesso poco praticabile per fattori economici, permette ai terapeuti di operare a totale beneficio dei clienti e richiede molto impegno sia al terapeuta sia al cliente. La sanità pubblica considera enfaticamente la terapia di gruppo la modalità di cura del futuro e quindi i clinici devono prepararsi a questo. Essi devono tenersi continuamente in contatto con il mondo della ricerca ed essere in grado di valutare le ricerche fatte da altri. Fare uso del rigore scientifico per convalidare i principi basilari e i risultati di un trattamento è indispensabile per non cadere vittima di mode passeggere e ripetere così gli errori del passato (lobotomie…). Va comunque ricordato che, a differenza delle scienze fisiche, molti aspetti della psicoterapia resistono alla quantificazione; la psicoterapia è sia un’arte sia una scienza e l’incontro umano che è al centro della terapia sarà sempre un’esperienza profondamente soggettiva e non quantificabile. In una efficace terapia di gruppo è cruciale l’interazione interpersonale nel “qui e ora”; il gruppo terapeutico valido diviene un’arena [il contenitore della Corbella] dove: - i clienti interagiscono liberamente gli uni con gli altri; - li aiuta ad indentificare e comprender cosa non va nelle loro interazioni; - li rende capaci di modificare questi modelli comportamentali maladattativi. Ma i gruppi che si fondano esclusivamente su questi presupposti (come quelli psicopedagogici e quelli cognitivo-comportamentali) secondo l’autore non raccolgono tutti i frutti possibili della terapia di gruppo: occorre puntare anche l’attenzione sul processo interpersonale, sulla centralità dell’interazione, perché la focalizzazione interazionale è il motore della terapia di gruppo. Trascurando questo aspetto, come avviene nella ricerca sostenuta dai sistemi mutualistici ed assicurativi, che puntano su efficacia, brevità e giustificabilità, si rischia di confondere una parvenza di efficacia con la vera efficacia. CAPITOLO 1: I FATTORI TERAPEUTICI DELLA TERAPIA DI GRUPPO La psicoterapia di gruppo è altamente efficace, quantomeno al pari della psicoterapia individuale. Il cambiamento terapeutico è un processo particolarmente complesso che avviene attraverso un’intricata interazione di esperienze umane, qui indicate come “fattori terapeutici”. Essi sono undici: - Infusione della Speranza (cap.1); - Universalità (cap.1); - Informazione (cap.1); - Altruismo (cap.1); - Ricapitolazione costruttiva del gruppo primario familiare (cap.1); - Sviluppo di Tecniche di Socializzazione (cap.1); - Comportamento imitativo (cap.1); - Apprendimento interpersonale (cap.2); - Coesione di gruppo (cap.3); - Catarsi (purificazione); - Fattori esistenziali. Le distinzioni sono ovviamente arbitrarie, ma essi si possono considerare come elementi che forniscono una mappa cognitiva per chi vuole apprendere la tecnica della terapia di gruppo. Questi fattori nella pratica sono interdipendenti e nessuno di essi si manifesta o funziona separatamente; essi possono costituire parti differenti del processo di cambiamento: alcuni (per esempio la comprensione di sé) agiscono a livello cognitivo. Altri (per esempio lo sviluppo di tecniche di socializzazione) agiscono a livello a livello di cambiamenti comportamentali; altri (ad esempio la catarsi) agiscono a livello emozionale ed altri ancora (per es. la coesione) possono essere descritti in modo più preciso come condizioni preliminari al cambiamento. Inoltre la loro interazione e la loro importanza possono variare ampiamente da gruppo a gruppo. Esistono tre modi per individuare e valutare i fattori terapeutici: ascoltare i clienti, i terapeuti e la ricerca sistematica. La ricerca ha dimostrato che i fattori terapeutici valutati dai clienti possono differire e di molto, da quelli citati dai loro terapeuti o dagli osservatori del gruppo, e questa osservazione si ritrova anche nella psicoterapia individuale. Inoltre molti elementi di confusione influenzano la valutazione che il cliente dà dei fattori terapeutici: per esempio, la durata del trattamento e il livello di funzionamento di un individuo, il tipo di gruppo, l’età e la diagnosi del cliente. Un altro elemento che complica la ricerca di fattori terapeutici comuni dipende da quanto i vari individui appartenenti a un gruppo possono percepire in modi diversi lo stesso fatto, che può essere importante o utile per alcuni membri del gruppo e irrilevante o persino nocivo per altri. Nonostante questi limiti i resoconti del paziente sono una fonte ricca e ancora relativamente intatta di dati preziosi sul processo terapeutico. Anche se ci sono sicuramente aspetti del processo di cambiamento che operano al di fuori della consapevolezza del cliente, ciò che i membri effettivamente dicono deve essere preso in considerazione. Oltre ai pareri del terapeuta e a quelli dei pazienti esiste una terza via per individuare i fattori terapeutici: la ricerca sistematica. Il metodo più comune è quello di mettere in correlazione una serie di variabili relative alla terapia con l’esito della terapia stessa. Individuando quali variabili sono significativamente correlate con esiti positivi, è possibile costruire una base a partire dalla quale cominciare poi a determinare i fattori terapeutici. Tuttavia questo metodo non è scevro da problematiche. Per dedurre i fattori terapeutici che presenta, l’autore si è avvalso di tutti questi metodi. Le gruppo costituito da poco o che si trova in qualche difficoltà che ne ha impedito l’evoluzione o ha indotto una regressione temporanea. Questo perché il dare consigli può riflettere una resistenza ad un coinvolgimento più intimo, in cui si cerca di gestire le relazioni piuttosto che creare veri legami. Raramente un suggerimento porta un beneficio diretto ad un soggetto, ma indirettamente il consiglio adempie una funzione: il processo del consigliare, più che il contenuto del consiglio stesso, può essere proficuo perché implica e rende palese una reciproca cura e interessamento. Dare o chiedere consigli costituisce un comportamento che spesso fornisce importanti indizi per la spiegazione di una patologia interpersonale (per esempio il cliente che chiede continuamente consigli e suggerimenti agli altri, solo per rifiutarli o frustrarli, definito “paziente lamentoso che rifiuta l’aiuto”; altri reclamano attenzione e forme di interessamento protettivo chiedendo suggerimenti per un problema che o è irrisolvibile o è stato già risolto; altri assorbono i consigli come spugne e tuttavia non ricambiano mai; altri non chiedono mai aiuto direttamente e così via). Altri tipi di gruppi, più strutturati e non centrati sull’interazione fra i membri, fanno uso esplicito ed efficace di suggerimenti orientati e diretti, consigli e slogan (ad esempio gli Alcolisti Anonimi, che chiedono al soggetto di restare sobrio solo per ventiquattr’ore alla volta). Altruismo: i clienti ricevono qualcosa per il fatto stesso di dare, non solo come parte della sequenza reciproca dare-ricevere, ma anche dall’atto intrinseco di dare. Gli individui psichiatrici che intraprendono la terapia sono demoralizzati e hanno un senso di autostima molto ridotto e sono perciò convinti di non poter offrire agli altri nulla di veramente valido. Per molto tempo si sono considerati un peso per gli altri, e scoprire di essere stati importanti per altre persone è un’esperienza risanatrice che dà un forte impulso all’autostima. La terapia di gruppo è l’unica a dare l’opportunità ai clienti di essere di beneficio agli altri. I clienti si aiutano enormemente l’un l’altro, possono offrire appoggio, suggerimenti, intuizioni, rassicurazioni o dividere con altri membri del gruppo problemi simili. È facile che i membri del gruppo accettino più volentieri osservazioni da un altro membro che dal terapeuta. Per molti il terapeuta è un professionista pagato, ma gli altri membri rappresentano il mondo reale: si può contare su di loro per avere una reazione spontanea e sincera. Alla fine della terapia quasi tutti ritengono che gli altri membri del gruppo siano stati importanti per il loro miglioramento. Inoltre attraverso l’esperienza dell’altruismo i soggetti apprendono di avere degli obblighi verso le persone da cui desiderano ricevere cure L’altruismo è un fattore terapeutico cruciale anche in altri sistemi di cura. Per esempio nelle culture primitive si dà spesso alla persona disturbata il compito di preparare una festa o di eseguire qualche tipo di servizio per la comunità. La gente ha bisogno di sentirsi necessaria. Appena entrati nel gruppo in genere i soggetti non apprezzano l’impatto terapeutico degli altri (“come può un cieco guidare un cieco?”), ma di solito chi denigra la prospettiva di essere aiutato in realtà pensa di non avere nulla da offrire agli altri e la miglior elaborazione critica di questa resistenza si ottiene partendo proprio da questa valutazione che il soggetto ha di sé stesso. Dice Frankl: il senso della vita si materializza quando siamo andati al di là di noi stessi, quando abbiamo dimenticato noi stessi e ci siamo interessati a qualcuno (o qualcosa) che è al di fuori di noi. Ricapitolazione costruttiva del gruppo primario familiare: la maggior parte dei clienti che intraprendono una terapia di gruppo hanno alle spalle una storia di esperienze profondamente insoddisfacenti vissuto nel gruppo più importante, nonché il primo cronologicamente: la famiglia. Il gruppo ripropone le dinamiche familiari e i conflitti familiari vengono in esso rivissuti, ma in modo costruttivo; i ruoli vengono esplorati e messi in discussione. Il gruppo assomiglia sotto molti aspetti a una famiglia: vi sono figure genitoriali autoritarie, i fratelli coetanei, rivelazioni personali, forti emozioni e una profonda intimità, come pure sentimenti ostili e di competitività. In effetti, i gruppi terapeutici sono spesso condotti da una coppia di terapeuti dei due sessi nel deliberato tentativo di simulare il più verosimilmente possibile la coppia genitoriale. Una volta che il disagio iniziale viene superato è inevitabile che i clienti interagiscono con i leader e con il gruppo in modi che ricordano quelli secondo i quali un tempo interagivano con i genitori e i fratelli. Se i leader del gruppo vengono associati ai genitori, provocheranno reazioni associate alle figure genitoriali/autoritarie. Ciò che è importante non è solo che i primi conflitti familiari vengano rivissuti, ma che vengano rivissuti in modo correttivo. La riesposizione senza che venga fornito un adeguato aiuto può solo peggiorare la situazione. Lavorare con i terapeuti e gli altri membri del gruppo, significa anche lavorare su eventi irrisolti del passato. Tecniche di socializzazione: l’apprendimento della socialità, ovvero lo sviluppo delle doti essenziali per il vivere sociale, è un fattore terapeutico che agisce in tutti i gruppi, sebbene la natura delle abilità insegnate e il carattere più o meno esplicito del processo siano notevolmente variabili a seconda del tipo di terapia. Ad esempio nei gruppi di adolescenti si può valorizzare esplicitamente lo sviluppo delle abilità sociali, mentre in altri gruppi l’apprendimento della socialità è più indiretto. Nella terapia di gruppo dinamica, che incoraggia un feedback esplicito, i clienti possono ottenere numerose informazioni sul comportamento sociale non adattivo. Per esempio, possono rendersi conto della propria imbarazzante tendenza a evitare di guardare negli occhi la persona con la quale conversano, o venire a conoscenza delle impressioni degli altri sul proprio atteggiamento altezzoso e arrogante, o di una quantità di altre abitudini sociali che hanno compromesso, a loro insaputa, il rapporto con gli altri. Spesso il gruppo, per individui che non hanno mai instaurato relazioni di una certa profondità, rappresenta la prima occasione di un serio feedback. Di frequente le persone che sono membri del gruppo da più tempo acquisiscono abilità sociali estremamente complesse: sono in sintonia con il processo di gruppo; hanno imparato a essere utilmente reattivi verso gli altri; hanno acquisito metodi di risoluzione dei conflitti; saranno meno portati a esprimere giudizi impulsivi e più capaci di sperimentare ed esprimere un’adeguata empatia. Queste capacità sono le fondamenta dell’intelligenza emotiva. Comportamento imitativo: i clienti durante la psicoterapia possono sedere, camminare, parlare e anche pensare come i loro terapeuti. Vi sono notevoli prove del fatto che i terapeuti influenzino gli schemi comunicativi nel gruppo che conducono, modellando certi comportamenti, per esempio, la disponibilità ad aprirsi o il fornire sostegno. Nei gruppi il processo imitativo è il più diffuso, poiché si possono assumere a modello alcuni aspetti sia degli altri membri del gruppo che del terapeuta. I membri del gruppo imparano osservando il modo in cui gli altri affrontano i problemi. Questo processo può essere molto importante in gruppi omogenei che lavorano su problemi fortemente condivisi. Bandura ha dimostrato che l’imitazione è una forza terapeutica importante. Nella terapia di gruppo non è raro che un cliente tragga beneficio dall’osservare la terapia di un altro individuo che ha problemi simili ai suoi, un fenomeno generalmente noto come terapia del sostituto o dello spettatore. Il comportamento imitativo ha in genere un ruolo molto importante nelle prime fasi della presenza in un gruppo, poiché i membri del gruppo cercano i membri più anziani o terapeuti con cui identificarsi. Anche un comportamento imitativo specifico di breve durata può contribuire allo “scongelamento” individuale mediante la sperimentazione di nuovi comportamenti, che a loro volta possono innescare una spirale adattiva. Non è raro in realtà che i clienti nel corso della terapia provino su di sé, per così dire, parti di altre persone e poi le abbandonino perché mal confacentisi. Questo processo può avere una forte influenza terapeutica; scoprire ciò che non si è contribuisce a far scoprire ciò che si è. CAPITOLO 2: L’APPRENDIMENTO INTERPERSONALE Apprendimento interpersonale: si tratta di un fattore terapeutico ampio e complesso, che nella terapia di gruppo rappresenta l’equivalente di fattori terapeutici della terapia individuale quali l’insight, l’elaborazione del transfert e l’esperienza emotiva correttiva. Esso è costituito anche da processi caratteristici della situazione di gruppo e si sviluppa solo come risultato del lavoro specifico del terapeuta. Per definirlo occorre definire prima tre altri concetti: l’importanza delle relazioni interpersonali, l’esperienza emotiva correttiva e il gruppo come microcosmo sociale.  L’importanza delle relazioni interpersonali: nello studio della società umana si evidenzia che le relazioni interpersonali svolgono una funzione essenziale. La capacità dell’uomo di entrare in relazione con gli altri è stata evidentemente adattiva in senso evolutivo: senza legami interpersonali intensi e positivi, non sarebbe stata possibile la sopravvivenza dell’individuo, né quello della specie. Bowlby in base ai suoi studi sulla relazione tra madre e bambino piccolo, conclude che il comportamento di attaccamento non è solo necessario per la nostra sopravvivenza, ma è essenziale, intrinseco, geneticamente connaturato. Se la madre e il neonato vengono separati, entrambi provano una forte angoscia concomitante alla loro ricerca dell’oggetto perduto. Se la separazione è prolungata, la gravità delle conseguenze per il neonato sarà proporzionale. Per Mitchell “si può comprendere l’individuo solo sullo sfondo delle sue relazioni passate e presenti”. W. James sottolineava: “non solo siamo animali sociali che amano spiccare tra i compagni, ma abbiamo una tendenza innata a farci notare, e a farci notare con benevolenza, dai nostri simili. Non si potrebbe immaginare punizione più diabolica, se fosse fisicamente possibile, di quella di essere lasciato libero nella società e restare del tutto inosservato dai membri di questa”. Le riflessioni di James sono state convalidate dalle ricerche più recenti, che documentano la sofferenza e le conseguenze sfavorevoli della solitudine. Vi sono prove convincenti che la percentuale di tutte le maggiori cause di morte è significativamente più elevata per le persone sole, non sposate, divorziare e vedove ed è vero anche il contrario: le integrazioni sociali hanno un impatto positivo sul decorso di malattie anche gravi. Così i modelli della psicoterapia dinamica si sono evoluti da una psicologia freudiana, monopersonale e pulsionale, in una psicologia relazionale bipersonale. La psicoterapia contemporanea utilizza un “modello relazionale in cui la mente viene concepita come costituita in base a configurazioni relazionali tra sé e gli altri”. Di fondamentale importanza per comprendere il processo terapeutico di gruppo sono i modelli interpersonali di psicoterapia sviluppatisi dalle idee di Sullivan e dalla sua Teoria interpersonale della psichiatria, secondo la quale la personalità è quasi interamente il prodotto dell’interazione con altri esseri umani significativi. Il bisogno dell’uomo di essere strettamente legato agli altri è fondamentale quanto qualunque esigenza biologica e, considerato il lungo periodo d’infanzia impotente, ugualmente necessario alla sopravvivenza. Durante lo sviluppo il bambino, nella sua ricerca di sicurezza, tende a incrementare quei tratti e quegli aspetti di sé che incontrano approvazione e a soffocare o negare quegli aspetti che vengono disapprovati. Alla fine l’individuo sviluppa un concetto di sé basato su queste valutazioni che egli percepisce fatte da persone per lui importanti. Questo processo continua durante il ciclo evolutivo. Sullivan ha usato il termine di Distorsioni Paratattiche per descrivere la propensione dell’individuo a deformare le sue percezioni degli altri. La distorsione paratattica si verifica quando in una situazione interpersonale una persona si mette in relazione con un’altra non sulla base degli attributi reali dell’altra, ma interamente o principalmente sulla base di una Si può concludere che la terapia è un’esperienza emotiva e correttiva. Si ha bisogno di sperimentare fortemente qualcosa, ma si deve anche, attraverso le facoltà di ragionamento, comprendere le implicazioni di quell’esperienza emotiva: la componente cognitiva è essenziale. Col tempo le convinzioni radicate cambiano e i cambiamenti saranno rafforzati se i nuovi comportamenti interpersonali faranno scaturire reazioni interpersonali positive.  Il gruppo come microcosmo sociale: un gruppo che interagisce liberamente, con poche li- mitazioni strutturali, si trasforma con il tempo in un microcosmo sociale. Dopo un sufficiente lasso di tempo ogni cliente comincia ad essere se stesso, a interagire con i membri del gruppo come interagisce con le altre persone presenti nella sua sfera so- ciale, a creare nel gruppo lo stesso universo interpersonale nel quale ha sempre vissuto, ov- vero i clienti iniziano quindi a manifestare il loro comportamento sociale non adattivo. Non è necessario che essi descrivano la propria patologia, perché prima o poi la agi- ranno nel gruppo. Spesso l’individuo che soffre di una certa patologia caratteriologica ha difficoltà a descri- verla, perché essa fa parte della trama stessa del proprio sé e non è raggiungibile attraverso la consapevolezza esplicita e cosciente. Di conseguenza, la terapia di gruppo, che enfa- tizza il feedback, risulta un trattamento particolarmente efficacia per le persone che presentano una patologia caratterologica. In genere il compito iniziale del gruppo consiste nell’affrontare quel membro la cui patolo- gia interpersonale è più appariscente. Alcuni stili interpersonali diventano infatti trasparenti anche con un’unica interazione, mentre altri possono essere compresi solo dopo mesi di os- servazione. Sviluppare la capacità di identificare e di apportare vantaggi terapeutici al comportamento interpersonale non adattivo, che si rivela nel microcosmo sociale del piccolo gruppo, è uno dei compiti fondamentali di un programma di formazione per psicoterapeuti di gruppo. Il microcosmo sociale: un’interazione dinamica Più spontanea è l’interazione fra i membri del gruppo, più rapido e autentico sarà lo svilup- po del microcosmo sociale, il quale a sua volta aumenta la probabilità che i problemi cru- ciali di tutti i membri del gruppo siano esplicitati e presi in considerazione. L’interazione del gruppo è così ricca che il ciclo di transazione non adattativo di ogni membro si ripete numerose volte e così i membri hanno molteplici opportunità per riflettere e comprendere. Ma per far questo, il Feedback che ricevono deve essere chiaro ed utilizzabile. Per far sì che un feedback non sia inutile o dannoso serve l’Empatia; essa un elemento chiave per il successo del gruppo, che permette, attraverso la percezione del mondo interio- re degli altri, di tenere in conto le vere motivazioni e aspirazioni, sottese al loro comporta- mento. Tuttavia, soprattutto con clienti provocatori o aggressivi, manifestare empatia può risultare arduo, anche per i terapeuta. Il riconoscimento dei modelli comportamentali nel microcosmo sociale Se il terapeuta vuole utilizzare il microcosmo sociale a fini terapeutici, per prima cosa deve imparare a identificare i ricorrenti modelli interpersonali disadattivi. Gli indizi cruciali sono le reazioni emotive dei membri e/o del terapeuta stesso al comportamento del soggetto. Il terapeuta o altri clienti possono sentirsi arrabbiati verso un membro del gruppo, o sfruttati o succhiati all’osso o in qualsiasi altro modo ci si può sentire nei confronti di un’altra per- sona. Questi sentimenti costituiscono informazioni importanti e dovrebbero essere presi in considerazione dai terapeuti. Se i sentimenti suscitati negli altri sono estremamente discor- danti rispetto ai sentimenti che il cliente vorrebbe suscitare, o i sentimenti suscitati sono quelli desiderati e tuttavia inibiscono la crescita, allora una parte cruciale del problema dle cliente è qui. Però si può affermare anche che un’intensa reazione emotiva è spesso dovuta alla patologia non del soggetto, ma di colui che reagisce e per questo la terapia di gruppo offre un netto vantaggio: essa contiene osservatori molteplici. Così, dato che reazione emotiva di un sin- golo membro non è sufficiente, il terapeuta può cercare prove e conferme individuando i modelli ripetitivi nel tempo e le reazioni multiple, cioè le reazioni di molti altri membri del gruppo (validazione consensuale). Comunque anche il cliente più disturbato può essere una fonte valida e precisa di feedback in certi momenti, perché nessun individuo ha conflitti in tutte le aree. Infine il terapeuta fa affidamento sulla prova più valida di tutte: le proprie reazioni emotive. Infatti il terapeuta deve saper riconoscere le proprie reazioni nei confronti del cliente e, affinché la terapia abbia validità, deve sapersene distaccare e non reagire nel modo tipico in cui reagirebbe chiunque altro a quel comportamento (per questo il terapeuta deve conoscer- si nel modo più completo possibile). Quindi le reazione del terapeuta sono da considerarsi fonti preziose di dati. Attraverso la Co-terapia si può essere ancora più sicuri che le reazioni del terapeuta siano obiettive. Il microcosmo sociale è reale? Malgrado i dubbi che possono avere a volte i membri e i terapeuti neofiti, la risposta è “sì”. Perché al suo interno il paziente può esprimersi come vuole ed è libero di essere quello che è. I pazienti all’interno di tale terapia si conoscono completamente e profondamente. E’ ve- ro che i membri passano solo una piccola frazione della loro vita insieme, ma la realtà psi- cologica non è equivalente alla realtà fisica: psicologicamente i membri del gruppo passano insieme un tempo infinitamente più lungo del tempo contenuto in uno o due incontri setti- manali in cui fisicamente occupano lo stesso luogo. Considerazioni generali sull’apprendimento interpersonale Sintetizziamo ora il meccanismo dell’apprendimento interpersonale come fattore terapeutico. 1) Abbiamo visto che la sintomatologia psicologica trova la sua origine e la sua espressione nelle relazioni interpersonali disturbate. Il compito della psicoterapia è aiutare il cliente a imparare come formarsi relazioni interpersonali gratificanti e libere dalle distorsioni. 2) Il gruppo psicoterapeutico si evolve in un microcosmo sociale, in una rappresentazione in minia- tura dell’universo sociale di ciascun cliente. 3) I membri del gruppo esibiscono la loro patologia e, attraverso i Feedback e l’autoriflessione, di- ventano consapevoli degli aspetti significativi del loro comportamento interpersonale, quindi della loro responsabilità personale in esso, e capiscono che ciascuno è autore del proprio mondo interper- sonale. 4) Da questa scoperta segue che allora il soggetto ha anche il potere di cambiare il proprio mondo relazionale. 5) L’intensità e l’importanza di questa consapevolezza sono direttamente proporzionali alla carica emotiva dell’esperienza. 6) Il soggetto può così azzardare nuovi comportamenti e verificare che essi non hanno quelle con- seguenze disastrose che temeva. 7) Infine il comportamento appreso nel gruppo viene trasportato nell’ambiente sociale del cliente. 8) Gradualmente si mette in moto una Spirale Adattativa, prima all’interno e poi all’esterno del gruppo, che giunge ad acquisire una tale autonomia ed efficacia da rendere superflua la terapia. Ciascuna di queste fasi richiede un intervento specifico del terapeuta, che deve offrire un feedback specifico, incoraggiare l’autosservazione, chiarire il concetto di responsabilità, esortare il cliente a rischiare e a togliersi dalla mente le conseguenza disastrose fantasticate, rafforzare il trasferimento dell’apprendimento… Transfert e Insight Transfer e Insight hanno avuto un ruolo troppo importante nelle precedenti formulazioni di processo terapeutico per essere omessi. Essi sono molto importanti ed in questo capitolo Yalom li ha inclusi nel fattore dell’apprendimento interpersonale. Il Transfert nella terapia di gruppo è una forma specifica di distorsione percettiva interpersonale, avente una gamma ed una varietà molto maggiori che nella terapia individuale. Elaborare il trans- fert, cioè la distorsione nella relazione con il terapeuta, nella terapia di gruppo è solo una parte di una serie di distorsioni che devono essere esaminate nel processo terapeutico. L’Insight non è facilmente definibile; Yalom lo usa nella sua accezione di “guardare all’interno”; esso avviene quando si scopre qualcosa di importante su se stessi (sul proprio comportamento, sul proprio sistema motivazionale o sul proprio inconscio). Nel gruppo terapeutico si possono avere insight ad almeno quattro livelli diversi: 1) raggiungere una visione più obiettiva del proprio modo di apparire nella relazione con gli altri; 2) comprendere i modelli interattivi di comportamento più complessi; 3) apprendere perché fanno quello che fanno con le altre persone (insight motivazionale), (di solito si impara che ci si comporta in quel certo modo perché si crede che un comportamento diverso cau- serebbe delle catastrofi); 4) capire come si è arrivati ad essere fatti in quel certo modo (insight genetico, cioè della genesi dei modelli comportamentali attuali, quindi riguardante il passato, esperienze lontane nel tempo). Occorre fare attenzione a non equiparare necessariamente “profondo” a “buono”: frequentemente si verificano importanti cambiamenti terapeutici in assenza di insight genetico, oppure esso si verifica, ma non comporta progressi terapeutici. Quindi il recupero dell’esperienza passata può essere utile, ma la chiave del cambiamento è la comprensione del modo in cui ci si relaziona oggi con l’altro, quindi nel “qui e ora”. I progressi della ricerca neuroscientifica permettono di capire meglio il perché: oggi sappiamo che ci sono diversi sistemi di memoria; la memoria procedurale, implicita, raccoglie anche le nostre esperienze relazionali, ma non è pienamente raggiungibile attraverso il dialogo; può però essere raggiunta attraverso la componente relazionale ed emotiva della terapia. In conclusione è importante che si manifestino degli insight nel senso generico del termine, non in quello genetico, perché la comprensione intellettuale sostiene il meccanismo della trasformazione. CAPITOLO 3: LA COESIONE DI GRUPPO Di per sé non è un fattore terapeutico, ma una condizione necessaria per una terapia efficace: essa intensifica lo sviluppo di altri fattori terapeutici. In condizioni di accettazione e comprensione i clienti sono più disposti ad esprimere ed esplorare sé stessi, a divenire consapevoli, ad integrare aspetti fino ad allora ritenuti inaccettabili di sé e a creare relazioni più profonde con gli altri. L’Autostima è molto influenzata dal ruolo del cliente in un gruppo coesivo: il comportamento sociale richiesto ai membri per essere stimati dal gruppo è socialmente adattivo per l’individuo sia all’interno che all’esterno del gruppo. Inoltre i gruppi ad alto livello di coesione sono più stabili e questa stabilità è indispensabile per un buon esito della terapia (un abbandono precoce della terapia preclude ogni beneficio al soggetto che se ne va, ma contemporaneamente ostacola anche il progresso del resto del gruppo). La coesione favorisce un maggiore autosvelamento, la capacità di assumersi rischi e l’espressione costruttiva del conflitto nel gruppo (espressione che può facilitare in modi diversi il buon esito della terapia). operante, ma in un contesto molto più ampio, non meccanicistico come avviene nel Comportamentismo. Anche se le terapie comportamentali hanno buoni risultati, questo dipende sempre anche dalle relazioni, o tra il terapeuta e il cliente, o nelle relazioni sociali del soggetto che sono profondamente mutate una volta che egli si è liberato dai sintomi. In realtà, come già detto, tutti i fattori terapeutici sono strettamente interdipendenti e quindi il cambiamento del comportamento e degli atteggiamenti, qualunque ne sia l’origine, genera altri cambiamenti. Quando il gruppo modifica la sua valutazione del cliente egli si sente più soddisfatto di sé nel gruppo e con il gruppo e ha così inizio la spirale adattativa descritta nel cap.2. La Dissonanza si crea anche nella direzione opposta (Stima Pubblica>Autostima); in questo caso per superarla si può: - abbassare la Stima Pubblica rivelando insufficienze, ma nei gruppi terapeutici questo produce un ulteriore aumento della Stima Pubblica, dato che il rivelare proprie inadeguatezze è molto apprezzato; - riesaminare e rivalutare il proprio livello di Autostima. Più viene smentita l’immagine negativa che il cliente ha di sé attraverso nuove esperienze relazionali, più efficace è la terapia. I dati delle ricerche dimostrano che i membri più popolari ed influenti nei gruppi terapeutici hanno una maggiore probabilità di cambiare; essi raggiungono popolarità ed influenza in virtù della loro partecipazione attiva, autosvelamento, autoesplorazione, espressione delle emozioni, comportamento non difensivo, capacità di agire da leader, interesse per gli altri e sostegno nel gruppo. In sintesi, essi aderiscono più strettamente alle norme del gruppo. La sfida della terapia di gruppo è aiutare anche gli altri soggetti ad aumentare la propria autostima e le proprie capacità sociali adattative. Coesione di gruppo e partecipazione La presenza di coesione è molto importante, infatti i gruppi con coesione bassa, quindi con un grande avvicendamento di clienti, hanno un minor potenziale terapeutico, anche per i membri che restano. Infatti è nelle fasi di stabilità che si svolge la maggior parte del lavoro terapeutico. Per questo il terapeuta dovrebbe compiere ogni possibile sforzo per accrescere la coesione fin dalle prime riunioni (attraverso diverse strategie: un’intensa preparazione preliminare, una composizione omogenea, interventi strutturati… illustrate nel cap.15). Coesione ed espressione dell’ostilità La coesione non va confusa con uno stato di confortevole distensione, infatti i gruppi coesi permettono anche uno sviluppo e un’espressione maggiore di ostilità e conflitto. I gruppi coesivi hanno delle norme orali accettate da tutti i membri che incoraggiano un’aperta espressione del disaccordo, dei conflitti e del sostegno. Invece l’ostilità inespressa cova e si manifesta in molti modi indiretti, nessuno dei quali facilita il processo terapeutico del gruppo. Comunicare con qualcuno che non piace o che addirittura si odia non è facile e la tentazione di evitare l’altro interrompendo i contatti è molto grande; ma quando i canali di comunicazione sono chiusi, si chiudono anche le speranze di risolvere il conflitto e di crescere come individuo. Nei gruppi, la pulsione all’appartenenza può creare sentimenti potenti all’interno dei gruppi e di forte spinta ad escludere e svalutare tutto ciò che ne è al di fuori. E’ usuale che le persone sviluppino pregiudizi verso i gruppi a cui non appartengono. L’ostilità fra i gruppi può dissolversi dinanzi ad una crisi che sia superabile solo con la cooperazione di tutti i gruppi. Questi principi sono utili anche per il lavoro clinico con i piccoli gruppi: la comunicazione non deve essere interrotta, gli avversari devono continuare a lavorare insieme seriamente, a desiderare di andare al di là delle ingiurie. Alla base deve esserci coesione: se i membri sono abbastanza importanti l’uno per l’altro, sono disposti a tollerare il disagio del conflitto, come avviene in una famiglia con violenti conflitti interni, ma con un forte senso di lealtà reciproca. E’ importante che i soggetti comprendano che la rabbia non è letale. Inoltre il conflitto può accrescere l’autosvelamento, perché ciascuno tende a rivelarsi sempre di più per chiarire la propria posizione. E’ dimostrato che i gruppi coesivi sono maggiormente portati ad esprimere l’ostilità non solo tra i membri, ma anche verso il leader. Se il gruppo reprime questi sentimenti, possono derivarne numerose conseguenze nocive, come la creazione di un Capro Espiatorio, che segnala che l’aggressione è stata spostata dalla causa effettiva, spesso il terapeuta. L’esprimere apertamente sentimenti negativi verso il terapeuta quasi sempre rafforza il gruppo, che apprende che l’ostilità può essere espressa senza causare una calamità irreparabile. Attenzione al Pensiero di Gruppo, inteso come deterioramento dell’efficacia mentale, della valutazione della realtà e del giudizio morale risultante da pressioni esercitate dal gruppo. Tale pressione esercitata dal gruppo a conformarsi e mantenere il consenso NON è una coesione basata su un’alleanza che facilita la crescita dei membri, anzi è il contrario. Il Pensiero Critico e Analitico dei membri del gruppo deve essere appoggiato ed incoraggiato dal leader e considerato come norma essenziale del gruppo stesso. CAPITOLO 4: ANCORA SUI FATTORI TERAPEUTICI I fattori terapeutici sono fin qui stati separati per chiarezza espositiva, ma essi sono strettamente interdipendenti. Vediamo ora come essi operano in quanto parti di un processo dinamico. Ovviamente essi non hanno tutti la stessa efficacia e l’importanza di essi cambia a seconda del tipo di terapia di gruppo che si pratica, della fase del processo di gruppo e dello specifico soggetto. Vi sono pochi dati sulla questione del valore relativo dei diversi fattori terapeutici e della loro interrelazione, perché categorizzare e quantificare dimensioni soggettive è di per sé problematico. Occorre quindi imparare a convivere con l’incertezza. I fattori terapeutici nell’opinione del cliente Come valutano i pazienti i vari fattori terapeutici? Quali considerano più importanti? L'importanza attribuita ai diversi fattori è soggettiva e dipende dal tipo di gruppo, dalla fase della terapia e dal livello intellettivo del paziente. Yalom riporta i dati di uno studio fatto al fine di rispondere alle domande precedenti: furono studiati i fattori terapeutici in 20 terapie di gruppo a lungo termine con esito positivo, e tra essi vennero selezionati i pazienti con i migliori risultati. I soggetti erano rimasti in terapia per un tempo minimo di 8 mesi e avevano terminato o stavano per terminare la terapia. La durata della terapia andava dagli 8 ai 22 mesi (durata media 16 mesi). Tutti i soggetti compilarono un Q-sort sui fattori terapeutici e furono intervistati da una squadra di tre ricercatori. Furono stabilite dodici categorie di fattori terapeutici e furono elencate 5 voci per descrivere ogni categoria, per un totale di 60 voci. Ogni voce venne trascritta su un cartellino, ciascun paziente ricevette il mucchio di cartellini e fu invitato a raggrupparli in 7 pile. Ogni pila era contrassegnata e si chiese al paziente di collocare in ognuna di esse un certo numero di cartellini nel seguente modo: 1 il più utile per me nel gruppo (2 cartellini) 2 utilissimo (6) 3 molto utile (12) 4 utile (20) 5 scarsamente utile (12) 6 meno utile (6) 7 il meno utile per me (2). Dopo il Q-sort, che richiese 35 minuti, ciascun paziente venne intervistato per un'ora dai tre ricercatori. Furono riesaminate le ragioni che erano alla base della scelta della voce più utile e meno utile. I risultati mostrarono che le voci considerate più utili per i pazienti furono, in ordine di importanza: - scoprire ed accettare lati di me precedentemente sconosciuti o inaccettabili; - essere capace di dire ciò che m'infastidiva invece di tenerlo dentro; - gli altri membri del gruppo mi dicono sinceramente quello che pensano di me; - imparare a esprimere i miei sentimenti; - l'insegnamento del gruppo sul tipo di impressione che faccio agli altri; - esprimere sentimenti negativi o positivi verso un altro membro del gruppo; - apprendere che devo assumermi la responsabilità definitiva del modo in cui vivo la mia vita, indipendentemente da quanto io sia guidato e appoggiato dagli altri; - apprendere come avvicino gli altri; - vedere che gli altri riuscivano a rivelare cos imbarazzanti e correre altri rischi traendone beneficio mi ha aiutato a fare lo stesso; - avere maggior fiducia nei gruppi e nelle altre persone. Si consideri che 7 delle prime 8 voci rappresentano una qualche forma di insight, andando così a convalidare il principio (cap.2) che la terapia è un processo che consiste di un'esperienza emotiva e della riflessione che viene fatta su quell'esperienza. Altri studi descrivono i fattori selezionati da clienti esterni alla terapia di gruppo. Questi risultati esprimono un considerevole accordo: tra le dodici Categorie (cioè i Fattori Terapeutici), quelli ritenuti più importanti sono: Catarsi, Comprensione di Sé e Apprendimento interpersonale, seguiti da Coesione e Universalità. Tra i fattori che vengono valutati di meno invece si trovano: Ricapitolazione della vita familiare e Comportamento imitativo. Un ricercatore ha suggerito che i fattori terapeutici rientrino in tre grandi gruppi: Ridare Speranza (Speranza, Universalità e Accettazione), Autorivelazione (Autosvelamento e Catarsi) ed Elaborazione Psicologica (Apprendimento Interpersonale e Comprensione di Sé). In sintesi i metodi di raggruppamento suggeriscono che i fattori terapeutici di gruppo consistano di meccanismi: universali, di mediazione e specifici di cambiamento. Questi dati sono riferibili a gruppi con l’ambizioso obiettivo di mitigare sintomi e giungere ad un cambiamento comportamentale e caratteriologico. Gruppi con obiettivi diversi e durata minore possono dotarsi di raggruppamenti diversi di fattori terapeutici. La Catarsi Essa ha sempre avuto un ruolo importante nel processo terapeutico, sebbene le ragioni alla base del suo utilizzo siano cambiate nel tempo. Molti terapeuti hanno tentato di aiutare i clienti a liberarsi di emozioni represse e soffocate, ma già Freud aveva imparato che la catarsi è necessaria, ma non è sufficiente (viviamo esperienze emotive per tutta la vita, senza che ci spingano a cambiare). Tra i pazienti, chi mostra una maggiore capacità di apprendimento ha vissuto la Catarsi in aggiunta ad una qualche forma di Apprendimento Cognitivo: la Capacità di Riflettere sulla propria esperienza emotiva è una componente essenziale del processo di cambiamento. La Catarsi è parte di un processo interpersonale: i benefici duraturi non si ottengono esprimendo i propri sentimenti in una stanza deserta. personalità determinano forze in reciproco conflitto e che queste forze esistono a livelli differenti di consapevolezza. La visione esistenziale differisce dalle altre visioni dinamiche per quanto riguarda il contenuto della lotta interiore: nell’impostazione psicoanalitica classica, ad esempio, la lotta è tra le pulsioni fondamentale e l’ambiente che ne frustra il soddisfacimento; invece l’orientamento esistenziale postula che la lotta principale dell’essere umano è contro qualcosa di prestabilito, cioè contro i problemi fondamentali dell’esistenza: morte, solitudine, libertà, mancanza di senso. Da ciascuno di questi ambiti può derivare angoscia. Venire a patti autenticamente con queste realtà dell’esistenza permette di considerare insignificante ciò che è tale. Nelle risposte al Q-sort i clienti hanno dimostrato di comprendere che la guida e il sostegno che possono ricevere dagli altri sono limitati e che la responsabilità ultima per il modo di condurre la propria vita è esclusivamente la loro. Essi hanno anche imparato anche che, sebbene possano essere vicini agli altri, c'è un punto oltre il quale non possono essere accompagnati: esiste una solitudine fondamentale dell'esistenza che deve essere affrontata. A volte le persone cercano di evitarla evitando di fare scelte, di prendere decisioni, perpetuando il mito che ci sarebbe sempre qualcuno che avrebbe deciso per loro, che li avrebbe accompagnati, che sarebbe stato lì per loro: la scelta e la libertà implicano invariabilmente solitudine. (Yalom narra la storia di Sheila, una studentessa che lamentava da anni di essere depressa e sola senza un reale motivo, vivendo questo stato d'animo senza capirne l'origine. Fino a quando nel corso della terapia emerse la sua più grande paura “esistenziale”: quella di crescere. Si sentiva meglio quando qualcuno si prendeva cura di lei e quando era immune da qualsiasi responsabilità di vita e il terapeuta capì che occorreva lavorare proprio in quella direzione: farle comprendere e accettare la nostra condizione per quella che è). Gli esseri umani possono correlarsi alle preoccupazioni ultime dell'esistenza in uno o due modi possibili: - possono reprimere o ignorare la propria situazione di vita e vivere in quello che Heidegger definì “uno stato di oblio dell'essere”, cioè vivere calati nel mondo degli oggetti, nei diversivi di ogni giorno (assorbiti dalle chiacchere, tranquillizzati, preoccupati solo del modo in cui le cose sono); - possono esistere in “uno stato di coscienza dell'essere”, una condizione in cui non ci si meraviglia del modo in cui le cose sono, ma del fatto che esse sono. In questa condizione si è consapevoli di essere, si vive in modo autentico, si abbracciano le proprie possibilità e i propri limiti e si è consapevoli di essere responsabili della propria vita (nella definizione che dà Sartre della responsabilità: essere responsabile significa essere “l’incontestato autore di…”). Essere consapevole della propria autocreazione, nello stato autentico di coscienza dell'essere, dà all'individuo il potere di cambiare. Quindi il terapeuta deve essere particolarmente attento ai fattori che fanno passare la persona dalla modalità quotidiana dell’esistenza a quella autentica. A volte sono le esperienze limite, estreme, a consentire il passaggio, ma esse avvengono solo raramente nel corso della terapia e il leader esperto trova altri modi per introdurre questi fattori. L'enfasi sempre maggiore che si dà alla terapia breve offre un'eccellente opportunità: la conclusione incombente della terapia può essere usata dal terapeuta per spingere i pazienti a considerare altre conclusioni, inclusa la morte e a riconsiderare come migliorare la qualità della vita e rendere soddisfacente il tempo che resta. In questo caso l’interpersonale e l’esistenziale si intersecano e i clienti cominciano a porsi domande più fondamentali. Altri leader tentano di indurre un'esperienza estrema usando una terapia esistenziale di shock. Con una varietà di tecniche, cercano di portare i pazienti sull'orlo dell'abisso dell'esistenza (ad esempio, chiedere ai clienti di comporre il proprio epitaffio, o far disegnare una linea che rappresenti la vita e chiedere di indicare su di essa la loro posizione presente), ma la capacità umana di diniego è enorme ed e raro che il gruppo non si rifugi in argomenti meno minacciosi. Dalla conduzione di gruppi di malati terminali, Yalom ha imparato molto, soprattutto sulle questioni fondamentali, ma non manifeste della vita. In questo caso i membri offrivano un sostegno incredibile l’uno all’altro e offrire e ricevere aiuto li strappava al loro morboso egocentrismo e forniva loro uno scopo. Quasi tutti i malati terminali esprimono anche la profonda paura di essere inutili e privi di valore per gli altri. Il gruppo offre loro l’opportunità di trovare un senso al di fuori di sé: porgendo aiuto agli altri trovano uno scopo che spesso non appare con la semplice riflessione introspettiva. Nietzsche scrisse “Colui che possiede un motivo per vivere può sopportare quasi ogni modo di vivere”. E' proprio la visione di andare aldilà della malattia, di cogliere un diverso senso di sé piuttosto che provare rassegnazione, a dare un senso di liberazione e autonomia. Quel che il terapeuta può fare di fronte all’inevitabile è essere, fare qualcosa essendoci con il cliente. La configurazione di questi gruppi non è fatta dal terapeuta e dai morenti, ma da tutti “noi umani”, che stiamo morendo, che ci stiamo legando di fronte alla nostra condizione comune. Già Schopenhauer suggerì che dovremmo rivolgerci l’uno l’altro chiamandoci “compagni di sventura” [io suggerirei “di avventura”]. Il gruppo mostra bene il doppio significato della parola separazione: noi siamo soli, separati, ma anche parte di. Navi che navigano nello stesso mare e sono confortate dal vedere le luci di altre navi. Discordanze tra le opinioni di clienti e terapeuti I dati della ricerca dicono che i terapeuti e i clienti differiscono nella valutazione dei fattori terapeutici del gruppo: i clienti tendono a privilegiare i fattori relazionali ed esistenziali (l’incontro con una nuova figura di autorità che esprime accettazione, l’interessamento, la sollecitudine), mentre i terapeuti privilegiano le tecniche e l’abilità nell’applicarle. E’ fondamentale che i terapeuti tengano nel dovuto conto questo divario, perché il disaccordo circa i compiti e gli obiettivi della terapia può danneggiare l’alleanza terapeutica. La capacità del terapeuta di reagire alla vulnerabilità del cliente con calore e tenerezza è di importanza fondamentale e può rappresentare la base del potere di trasformazione della terapia. Nella ricerca, come nel lavoro clinico, è bene dar retta alla massima “Ascoltare il cliente”. Le forze che modificano i fattori terapeutici Non è possibile costruire una gerarchia assoluta dei fattori terapeutici, perché ci sono molte forze modificatrici che li influenzano: il tipo di terapia di gruppo, la fase della terapia, le forze esterne al gruppo e le differenze individuali. Fattori terapeutici nelle diverse terapie di gruppo I diversi tipi di terapie di gruppo favoriscono l’azione di diversi raggruppamenti di fattori terapeutici. Numerosi studi hanno dimostrato che i membri di gruppi terapeutici di pazienti ricoverati non scelgono la stessa costellazione di tre fattori (apprendimento interpersonale, catarsi e comprensione di sé) che sono scelti in genere dai pazienti appartenenti a gruppi di non ricoverati, ma scelgono un gruppo eterogeneo di fattori, tra i quali spiccano l’infondere speranza e fattori esistenziali (in particolare l’infondere speranza). L’infondere speranza è al primo posto nei gruppi di pazienti ricoverati, perché molti pazienti arrivano in ospedale in uno stato di estrema demoralizzazione; spesso il più efficace antidoto alla demoralizzazione è la presenza di altri pazienti che hanno vissuto recentemente le stesse difficoltà e hanno scoperto un modo di uscire dalla disperazione. I fattori esistenziali sono di particolare importanza per i pazienti ricoverati perché spesso l'ospedalizzazione li mette a confronto con i limiti delle altre persone; le risorse esterne sono state esaurite; la famiglia, gli amici, i terapeuti hanno fallito; i pazienti hanno toccato il fondo e comprendono che possono fare affidamento soltanto su se stessi. I gruppi con composizione omogenea scelgono fattori diversi a seconda delle loro caratteristiche: - Alcolisti Anonimi: infusione della speranza, Informazione, Universalità, Altruismo, Coesione di gruppo; Pazienti in dimissione da ospedali psichiatrici: Informazione e Sviluppo di tecniche di socializzazione; - Gruppi di auto-aiuto: Universalità, Guida, Altruismo e Coesione; - Pazienti psicotici con allucinazioni uditive intrusive trattati in gruppi di TCC: Universalità, Speranza e Catarsi. Per loro riuscire finalmente a parlare delle voci e sentirsi capiti ha un valore inestimabile; - Adolescenti DSA: Riconoscimento reciproco (ossia rivedere sé stessi negli altri, sentendosi così meno isolati e più valutati). Quando i terapeuti formano un nuovo gruppo in un ambiente speciale o per una specifica popolazione clinica il primo passo è determinare gli obiettivi adeguati e quindi i fattori terapeutici che saranno probabilmente di maggiore aiuto per quel particolare gruppo. Quindi è di vitale importanza ricordare i dati di ricerca, secondo i quali tipi differenti di terapia di gruppo fanno uso di differenti fattori terapeutici. Fattori terapeutici e fasi della terapia I Fattori terapeutici che vengono considerati più importanti variano nel corso del trattamento. (Ad esempi nelle Fasi Iniziali il gruppo si preoccupa della sopravvivenza, di stabilire i confini e di mantenere costante la partecipazione; appaiono quindi importanti fattori come l'Infusione della Speranza, la Guida o l'Universalità. Una fase iniziale di universalità è inevitabile, poiché i membri del gruppo cercano somiglianze e confrontano sintomi e raggruppamenti di problemi. Fattori come l'Altruismo e la Coesione di gruppo operano per tutto il corso della terapia, tuttavia la loro natura cambia a seconda della fase del gruppo. L’Altruismo inizialmente assume la forma di offerta di suggerimenti e di domande e attenzione adeguate. In seguito può assumere la forma di una più profonda presenza e di un atteggiamento premuroso. La Coesione di gruppo agisce come fattore terapeutico inizialmente attraverso il sostegno, l'accettazione e l'agevolazione dell'assiduità alle sedute, in seguito attraverso l'interrelazione tra la stima di gruppo e l'autostima e il suo ruolo nell'apprendimento interpersonale. Solo dopo lo sviluppo della Coesione di gruppo i clienti possono impegnarsi profondamente nell’autosvelamento, nel confronto e nel conflitto indispensabili al processo dell’autoapprendimento interpersonale). I bisogni e gli scopi dei pazienti mutano durante il corso della terapia. Come i bisogni e gli obiettivi dei pazienti mutano durante la terapia, così devono mutare anche i necessari processi terapeutici. Anche in questo senso la terapia dinamica è tale: i clienti cambiano, il gruppo attraversa una sequenza di sviluppo prevedibile, e così mutano anche la supremazia e l’influenza dei fattori terapeutici. Fattori terapeutici esterni al gruppo Il terapeuta o il gruppo non devono svolgere tutto il lavoro che porta al cambiamento, ci sono altri fattori che intervengono, come quelli che hanno già aiutato il paziente in passato e derivano dall'ambiente interpersonale. Si è già parlato di Spirale Adattativa per indicare il processo, opposto al Circolo Vizioso, attraverso il quale un cambiamento nel soggetto è causa di cambiamenti nel suo ambiente interpersonale, i quali producono in lui ulteriori cambiamenti. In un campione di venti pazienti , diciotto descrissero una quantità di fattori esterni al gruppo: una nuova relazione, un divorzio portato a termine dopo anni di lotta, un successo a scuola o nel lavoro e cosi via. Ad un esame approfondito risulta che il fattore esterno è complementare alla terapia di gruppo: il gruppo rappresenta la spinta sufficiente a permettere al soggetto di trarre vantaggio dalle risorse dell’ambiente, in realtà già disponibili da tempo. Attraverso il gruppo vengono acquisite abilità estrinseche e liberate abilità intrinseche, ma inattive: la psicoterapia rimuove le ostruzioni nevrotiche che hanno bloccato lo sviluppo del soggetto. Le differenze individuali In generale i leader che propongono norme verso un aumento dell’impegno e un decremento del conflitto hanno migliori risultati tecnici. Come avviene la creazione delle norme da parte del leader Vi sono due ruoli fondamentali che può svolgere il terapeuta all’interno di un gruppo: - esperto tecnico; - partecipante che si pone come modello. Esperto tecnico Quando assumono il ruolo di esperti tecnici i terapeuti scivolano deliberatamente nello stile tradizionale dell’esperto e utilizzano una varietà di tecniche per guidare il gruppo in una direzione che considerano opportuna. Essi tentano esplicitamente di creare delle norme durante la preparazione dei clienti alla terapia di gruppo e poi rafforzano l’istruzione data sostenendola con il peso dell’autorità e dell’esperienza e presentando la motivazione fondamentale che la supporta, per ottenere il sostegno dei clienti. Nella fase iniziale i terapeuti hanno a disposizione un’ampia scelta di tecniche che permettono di costruire la cultura di gruppo. Esse vanno da istruzioni e suggerimenti espliciti a sottili tecniche di rinforzo. Dato che il leader deve creare una rete in cui i membri del gruppo interagiscano liberamente, egli può chiedere ad esempio, durante le riunioni, quali siano le reazioni di tutti i membri del gruppo nei confronti di un membro o di un problema sorto nel gruppo; oppure può chiedere al gruppo di impegnarsi in esercizi che insegnino i clienti ad interagire;… Oppure possono utilizzare tecniche più implicite di rinforzo sociale: rinforzare positivamente o negativamente il comportamento attraverso numerosi atti verbali e non verbali, come annuire, sorridere, mettersi in una posizione ricettiva… per contro possono tentare di bloccare un comportamento che non considerano sano non facendo commenti, non annuendo… L’obiettivo nell’uso di queste tecniche di condizionamento operante è promuovere un coinvolgimento autentico e significativo. Il terapeuta che si pone come modello I leader creano le norme anche attraverso il loro comportamento nel gruppo e l’esempio. Un sistema notevolmente convalidato dalla ricerca è il Modeling: il cliente è incoraggiato a modificare il proprio comportamento osservando il terapeuta mentre assume liberamente e senza effetti negativi il comportamento desiderato. Bandura in numerosi studi ben controllati asserisce che gli individui possono essere influenzati ad adottare un comportamento più adattivo o meno adattivo osservando e facendo proprio il comportamento del terapeuta. Il leader, presentando un modello di accettazione benevola e di apprezzamento delle forze e delle aree problematiche altrui, contribuisce a plasmare un gruppo orientato verso la guarigione. Il leader presenta un modello di spontaneità e sincerità interpersonale, ma ciò non significa che debba esprimere liberamente tutto ciò che prova (la disinibizione totale è sempre dannosa nei rapporti umani). Quindi il terapeuta deve presentare un modello di responsabilità e di adeguata riservatezza insieme ad onestà. L’interagire come membro del gruppo richiede anche che il terapeuta accetti e riconosca i suoi eventuali errori. Il terapeuta che ha bisogno di apparire infallibile offre ai suoi clienti un esempio che li sconcerta e li ostacola nel loro lavoro. Un’altra conseguenza del bisogno di essere perfetti la ritroviamo quando il terapeuta diventa troppo cauto nel fare le sue osservazioni per paura di fare errori. Il leader che fornisce un modello empatico e non giudicante aiuta a stabilire una cultura di gruppo gentile ed accettante. Esempi di norme nel gruppo terapeutico L’autocontrollo nel gruppo E’ importante che il gruppo cominci ad assumersi la responsabilità del proprio funzionamento da subito. Alcuni clienti possono andare alla riunione di gruppo come al cinema, valutando la seduta come fosse un film, invece occorre aiutarli a capire che sono loro stessi il film. Se questa norma non si sviluppa ne risulta un gruppo passivo, dove i membri dipendono dal leader, che fornisce loro movimento e una direzione. Il leader di tale gruppo, che si sente affaticato o irritato dal peso di dover fare funzionare tutto, è consapevole che qualcosa è andato storto nella prima fase di sviluppo del gruppo. Autosvelamento E’ assolutamente essenziale nel processo di terapia di gruppo. I clienti non trarranno mai beneficio dalla terapia se non si apriranno in modo totale. Yalom preferisce condurre un gruppo le cui norme stabiliscono, in pratica, che l’autosvelamento è necessario, pur avvenendo secondo i tempi di ogni membro del gruppo. Ciò viene chiarito nelle riunioni individuali preliminari. Se un cliente ha un grande segreto si precisa che prima o poi dovrà condividerlo, altrimenti ricreerà nel setting le modalità di essere in relazione con gli altri basate sulla doppiezza, che esistono al di fuori del gruppo. L’individuo che mantiene il segreto tesse una ragnatela di inibizioni sempre più fitta intorno a sé. Talvolta rimandare il racconto di questo segreto ha un valore adattivo, perché svelarsi troppo presto può portare a ricevere un’etichetta che impedisce agli altri di conoscerci meglio. Altre volte può invece essere controproducente. Il terapeuta può valutare il valore dell’indugio in base al contesto. Quale posizione deve assumere il terapeuta quando qualcuno rivela il grande segreto? Quando il paziente rivela il grande segreto il terapeuta deve aiutarlo a svelare ancora di più, ma con una modalità orizzontale piuttosto che verticale. L’Apertura Verticale riguarda il contenuto: un’apertura maggiore e più in profondità a proposito del segreto. L’Apertura Orizzontale riguarda l’apertura (meta apertura) in particolar modo sugli aspetti interazionali dell’apertura. Come regola generale è sempre utile muoversi da frasi generali, che riguardano il gruppo, verso affermazioni più personali, cioè chiedere ai membri di differenziare fra i membri del gruppo (“chi pensi avrebbe riso di te?”). L’autosvelamento è sempre un atto interpersonale. Ciò che è importante non è il fatto che uno si apra, ma che uno riveli qualcosa di rilevante nel contesto di una relazione con gli altri. Ancora più importante dell’effettivo sollievo che l’individuo prova è il fatto che l’apertura sfoci in una relazione con gli altri più ricca, più profonda e più complessa. Nessuno dovrebbe essere punito per il suo autosvelamento. Uno delle conseguenze più disastrose che può avvenire all’interno del gruppo è quando i membri fanno un uso improprio, nei momenti di conflitto, del materiale delicato che è stato fiduciosamente rivelato. Se ciò avviene il terapeuta deve intervenire con decisione poiché non è solo una lotta sleale, ma c’è anche il rischio di vanificare importanti norme del gruppo. Egli deve richiamare l’attenzione sulla violazione di fiducia; l’episodio va sottolineato per rinforzare la regola che l’autosvelamento non è solo importante, ma è sicuro. Norme procedurali La modalità procedurale ottimale in terapia è che il gruppo sia non strutturato, spontaneo e liberamente interattivo. Ma una tale modalità non si evolve mai naturalmente: è richiesta sempre, da parte del terapeuta, una costruzione più attiva della cultura di gruppo. Il leader deve tentare di strutturare un gruppo in modo da inserire le norme terapeutiche fondamentali (sostegno e confronto, autosvelamento, automonitoraggio, interazione, spontaneità, importanza del gruppo, aiuto prestato ai membri). L’importanza del gruppo per i suoi membri Più importanza i membri danno al gruppo più esso diventa efficace. L’ideale è quando i membri considerano le sedute l’evento settimanale più importante della loro vita. Al terapeuta il compito di rinforzare in tutti i modi questa convinzione, dimostrando che il gruppo è importante per lui (con puntualità, avvisando con molto anticipo l’impossibilità di effettuare un incontro…). L’aiuto da parte dei membri del gruppo l gruppo funziona meglio se i suoi membri apprezzano il prezioso aiuto che possono offrirsi l’un l’altro. Se il gruppo continua a considerare il terapeuta l’unica fonte di aiuto, allora non acquisisce un livello ottimale di autonomia e rispetto si sé. Per rafforzare questa norma il terapeuta può richiamare l’attenzione sulle occasioni che dimostrano il reciproco aiuto dei membri. Allo stesso modo non devono passare inosservati i comportamenti che vanificano questa norma. Il sostegno e il confronto E’ essenziale che i membri del gruppo percepiscano il loro gruppo come sicuro e di sostegno. Il conflitto deve avere luogo nel gruppo di terapia, ma troppo conflitto all’inizio può danneggiare lo sviluppo del gruppo: prima che i membri si sentano abbastanza liberi di esprimere dissenso, devono sentirsi sufficientemente sicuri ed avere un’alta opinione del gruppo, tanto da essere disposti a tollerare riunioni spiacevoli. CAPITOLO 6: IL TERAPEUTA E IL LAVORO NEL “QUI E ORA” Tutte le terapie di gruppo traggono vantaggio dalla capacita del terapeuta di riconoscere e capire il “qui e ora”. Vediamone l’applicazione terapeutica nella terapia di gruppo. Il punto fondamentale che proposto in tutto il volume è: il concentrarsi sul “qui e ora”, per dare risultati efficaci, deve basarsi su due livelli complementari, nessuno dei quali ha potere terapeutico se preso singolarmente. Il primo livello è quello di Sperimentazione: i membri del gruppo vivono nel “qui e ora”; sviluppano forti sentimenti verso gli altri membri del gruppo, verso il terapeuta e verso il gruppo. Questi sentimenti “qui e ora” diventano, in gran parte, ciò di cui discorrono. La verità è astorica: gli eventi immediati della seduta hanno la precedenza su quelli della vita che scorre all’esterno e sul lontano passato dei membri del gruppo. Questa attenzione facilita lo sviluppo e l’espressione del microcosmo sociale di ciascun membro del gruppo. Apre la strada al feedback, alla catarsi, agli autosvelamenti significativi e all’acquisizione di tecniche di socializzazione. Il gruppo diviene più vitale e tutti i suoi membri si sentono intensamente coinvolti nella riunione. Il concentrarsi sul “qui e ora” però rapidamente si scontra con i proprio limiti se non è presente il secondo livello: la chiarificazione del processo. Se si vuole che il potente fattore terapeutico dell’apprendimento interpersonale divenga operante, il gruppo deve saper riconoscere, esaminare e comprendere il processo terapeutico: deve esaminare se stesso, deve studiare le proprie transazioni, deve trascendere le mera esposizione e applicarsi all’integrazione di quell’esperienza. Se si vuole che il gruppo sia efficace sono essenziali entrambi questi aspetti; se infatti è presente solo il primo l’esperienza del gruppo sarà intensa, i membri del gruppo si sentiranno intensamente coinvolti, l’espressione delle emozioni sarà alta e tutti giungeranno alla conclusione della terapia trovandosi d’accordo nel dire: wow. Che magnifica esperienza! E tuttavia essa si dimostrerà perché esso offre un aiuto nella comprensione (e nella trasformazione) del modo di essere in relazione con gli altri che l’individuo ha nel presente. Riassumendo: affinché l’uso della focalizzazione sul “qui e ora” sia efficace sono necessarie due fasi: l’esperienza del “qui e ora” e la chiarificazione del processo. La combinazione di queste due fasi assicura ad un gruppo esperienziale una potenza irresistibile. Il terapeuta ha dei compiti diversi a seconda della fase: in un primo tempo il gruppo deve essere immerso nell’esperienza del “qui e ora”; in un secondo tempo deve essere guidato nel comprendere il processo dell’esperienza del “qui e ora”: ossia ciò che l’interazione trasmette circa la natura delle relazioni reciproche dei membri del gruppo. La prima fase, l’attivazione del “qui e ora”, diviene parte della struttura normativa del gruppo; alla fine i membri assisteranno il terapeuta in questo compito La seconda fase, la chiarificazione del processo, è più difficile, perché esistono potenti ingiunzioni contro l’espressione di commenti sul processo nei rapporti sociali quotidiani e il terapeuta deve superarle. Il compito di esprimere commenti sul processo resta soprattutto responsabilità del terapeuta e consiste in un’ampia e complessa gamma di comportamenti (etichettare singoli atti, contrapporre atti, combinare atti nel tempo, sottolineare conseguenze indesiderabili dei modelli comportamentali del cliente, identificare comportamenti nel qui e ora che siano analoghi alla condotta dei membri nella vita quotidiana…). Tecniche di attivazione del “qui e ora” (prima fase) Yalom suggerisce di pensare il “qui e ora”: quando si è soliti pensare al “qui e ora”, automaticamente si indirizza il gruppo verso il “qui e ora”. A volte il terapeuta si sente un pastore che guida un gregge in un cerchio che si stringe sempre più. Richiama le pecorelle smarrite, ossia le incursioni nel materiale storico personale, le discussioni sulle situazioni di vita attuale, gli intellettualismi, e le guida nuovamente nel circolo. Ogni volta che viene sollevata una questione nel gruppo il terapeuta pensa: come posso collegare ciò con il compito primario del gruppo? Come posso farlo rivivere nel “qui e ora”? Deve essere implacabile in questo sforzo ed è bene iniziarlo fin dalla prima riunione del gruppo. Il terapeuta usa le parole come il chirurgo il bisturi. Il terapeuta ha il compito di spostare l’attenzione dall’esterno all’interno, dall’astratto allo specifico, dal generico al personale, dal personale all’interpersonale (Ad esempio se un cliente descrive uno scontro con il coniuge il terapeuta lo riporta nel gruppo: se dovessi essere arrabbiato con qualcuno di loro a chi ti rivolgeresti? Il terapeuta può approfondire l’interazione incoraggiando ulteriori reazioni dagli altri). Anche le semplici tecniche di chiedere ai clienti di parlarsi l’un l’altro, di guardarsi l’un l’altro e di darsi del tu sono molto utili. A volte per i membri del gruppo risulta più facile lavorare in coppia o in sottogruppi magari con persone che hanno il loro stesso problema. Questa cosa può avvenire spontaneamente o avvenire grazie all’aiuto del terapeuta che crea un ponte tra i membri specifici. L’uso dei modi congiuntivo e condizionale fornisce sicurezza e distacco e spesso facilita le cose in modo miracoloso. Yalom li usa di frequente quando incontra una resistenza iniziale (“se tu non ti sentissi così intorpidito e chiuso, cosa proveresti verso Mery?”). Il terapeuta deve insegnare come offrire un feedback tramite istruzioni esplicite, modelli e rinforzo di un feedback efficace. Un principio importante che deve essere spiegato ai clienti è di evitare domande e osservazioni globali (ad esempio “sono noioso?”, oppure “mi piaci”. Sono più utili frasi come: “mi sento più vicino a te quando hai voglia di essere sincero circa i tuoi sentimenti, come nella seduta della scorsa settimana quando hai detto di essere attratto da Mery, ma temevi che lei ti avrebbe deriso. Mi sento invece lontano quando sei impersonale”). Questi commenti sono ugualmente indicati nella terapia individuale. La Resistenza può manifestarsi in numerose forme. Spesso appare nelle astute sembianze dell’uguaglianza totale (ad esempio i clienti dicono di provare gli stessi sentimenti verso tutti). Quindi può capitare che un cliente dica che sente lo stesso calore verso tutti, che non provi rabbia verso alcuno. Non bisogna lasciarsi fuorviare: queste affermazioni non sono mai vere! L’indifferenza non esiste. Non bisogna stancarsi di indagare e aiutare i membri a differenziarsi; infine essi riveleranno piccole differenze nei sentimenti provati e queste differenze sono spesso l’anticamera di una piena partecipazione interattiva. A volte Yalom suggerisce di porre queste differenze sotto una lente di ingrandimento. La resistenza non è di solito un’ostinazione conscia, ma ha più spesso origini inconsapevoli. A volte il compito del “qui e ora” è così poco familiare e sgradevole per il cliente, che assomiglia all’apprendimento di un nuovo idioma. Yalom prova una sorta di timore reverenziale per il sotterraneo e ricco filone di dati che esiste in ogni gruppo e in ogni seduta. Al di sotto di ogni sentimento espresso in quella sede ve ne sono strati invisibili e inespressi. Queste ricchezze possono essere sfruttate dicendo, ad es: “Ci sono così tante informazioni che potrebbero essere preziose per tutti noi oggi se solo sapessimo come portarle alla luce. Mi chiedo se siamo in grado, alcuni di noi, di dire al gruppo alcuni dei pensieri che ci vengono in mente in questo silenzio”. L’esercizio è ancora più efficace se il terapeuta vi partecipa personalmente, anzi lo inizia. Prove empiriche convalidano il principio che i terapeuti che impiegano l’auto svelamento in modo assennato e disciplinato vedono aumentare la loro efficacia terapeutica. Molte delle osservazioni fatte dal terapeuta possono essere lontane dallo scopo, ma la questione non sta nella precisione obiettiva: nel momento in cui si continua a guidare costantemente il gruppo verso ciò che è pertinente, dal “là e allora” al “qui e ora”, si è operativamente corretti. Ad esempio se un gruppo passa tutto il tempo a parlare di monotone e noiose feste e il terapeuta chiede ad alta voce se i membri del gruppo si stanno indirettamente riferendo alla seduta odierna, non vi è modo di determinare con qualche certezza che l’affermazione sia accurata. La correttezza in questo caso deve essere definita in modo relativistico e pragmatico. Spostando l’attenzione del gruppo dal “là e allora” al “qui e ora” il terapeuta lavora a vantaggio del gruppo e questa operazione, costantemente rafforzata, porterà infine ad una coesione interna forte che contribuisce grandemente alla terapia. Nel complesso l’attività del leader del gruppo è correlata all’esito in modo curvilineo (troppa o troppo poca attività porta a un esito non positivo). Troppo poca attivazione da parte del leader dà come risultato un gruppo che si da fare senza approdare a niente. Troppa attivazione produce un gruppo dipendente che persiste nel guardare al leader come a colui che deve continuamente imboccarlo. Il giusto è sempre nel mezzo. Lo scopo non è creare un’organizzazione sociale ben congegnata e ottimizzata, ma un’organizzazione che funzioni abbastanza bene e che generi sufficiente fiducia perché il microcosmo sociale di ciascun membro del gruppo possa svilupparsi. L’elaborazione delle resistenze verso il cambiamento è la chiave per produrre quel cambiamento. Quindi il terapeuta non vuole girare attorno agli ostacoli, ma passarci attraverso. Tecniche per mettere in luce il processo(seconda fase) Non appena i clienti vengono indirizzati verso un modello di interazione nel “qui e ora”, il terapeuta deve impegnarsi nel far diventare questa interazione terapeuticamente vantaggiosa. Questo compito consta di sei fasi:  I clienti devono riconoscere ciò che stanno facendo con le altre persone (a partire da semplici azioni fino a modelli comportamentali complessi che si sviluppano nel tempo);  devono poi valutare l’impatto di questo comportamento sugli altri e capire come esso influenza l’opinione che gli altri hanno di loro, e conseguentemente l’impatto che questo comportamento ha nei loro stessi riguardi;  devono decidere se sono soddisfatti del loro abituale stile interpersonale;  devono esercitare la loro volontà per cambiare;  devono trasformare l’intenzione in decisione e la decisione in azione;  devono consolidare il cambiamento e trasferirlo dall’ambito del gruppo alla vita quotidiana. Quindi il terapeuta deve aiutare il cliente ad avere intenzione di cambiare, questa intenzione deve diventare una decisione e la decisione deve diventare un’azione. Riconoscimento del processo Per aiutare i clienti a comprendere il processo in corso, occorre che il terapeuta per primo lo sappia riconoscere. In altre parole, durante l’interazione del gruppo deve essere capace di riflettere e di chiedersi: “Perché questa situazione si sta verificando in questo gruppo, in questo particolare modo e in questo specifico momento?”. Il terapeuta esperto lo fa in modo naturale, ma non è facile per il terapeuta agli inizi della carriera essere consapevole del processo e l’acquisizione di questa prospettiva è uno dei compiti più importanti della sua formazione. Alcune direttive generali possono aiutare a riconoscere il processo. Il terapeuta deve stare molto attento al linguaggio non verbale e quindi vedere: chi si siede vicino a lui, chi lontano, se quando parlano tra di loro si guardano negli occhi o invece guardano lui, chi guarda l’orologio, chi dice di essere interessato, ma poi sposta la sedia all’indietro… Una varietà di modificazioni posturali possono essere prese in considerazione. (ad es. la flessione del piede è un segno comune di angoscia). Il terapeuta osservando ed insegnando al gruppo ad osservare il comportamento non verbale, può accelerare il processo di autoesplorazione. A volte il processo viene chiarito prendendo in considerazione non ciò che viene detto ma ciò che viene omesso (ad es. la cliente che offre feedback a un cliente uomo, ma mai ad un'altra donna, il gruppo che non affronta mai il terapeuta e non lo interroga…). E’ importante anche osservare il processo del “qui e ora” in relazione all’assenza: quando manca un paziente è importante vedere anche come reagisce il gruppo a tale mancanza (ad esempio se quando manca un determinato paziente parlano tutti in maniera più sciolta potremmo dire che quel determinato paziente veniva vissuto come persona rigida o minacciante, che in qualche modo influenza in tal senso. Se invece manca un cliente e non si riesce ad iniziare a parlare, allora egli viene vissuto come colui o colei che tende a dare il la alla conversazione). Tutte queste informazioni vengono condivise, esplicitate anche in assenza cliente, e poi vengono riportate quando lo stesso cliente torna ad essere presente. In modo analogo una grande quantità di dati sui sentimenti verso il leader spesso emergono in una riunione in cui il terapeuta o il co terapeuta sono assenti. Il terapeuta deve ricercare le incongruenze tra il comportamento verbale e quello non verbale ed essere particolarmente curioso quando avviene qualcosa di aritmico (ad es. quando una reazione sembra spropositata rispetto alla frase che l’ha provocata, oppure sembra priva di senso o fuori bersaglio). In questi casi occorre considerare varie alternative: - la distorsione paratattica (chi risponde sta sperimentando chi parla in modo non realistico); - le meta comunicazioni (chi risponde sta reagendo precisamente non al contenuto manifesto, ma ad un altro livello di comunicazione); - lo spostamento (chi risponde non sta reagendo alla transizione in corso, ma a sentimenti derivanti da transizioni precedenti). Tensioni abituali all’interno del gruppo Determinate tensioni sono sempre presenti, in qualche misura, in qualsiasi gruppo terapeutico. A volte esse rimangono latenti per mesi, finché qualche evento le risveglia. La conoscenza di queste tensioni spesso aiuta a riconoscere il processo. Ad esempio, un terapeuta che esprime una valutazione positiva su un membro del gruppo spesso suscita sentimenti di rivalità fra fratelli. La spiegazione deve essere coerente con i valori e la struttura di riferimento della comunità di appartenenza del cliente (nelle culture primitive spesso è solo la spiegazione magica o religiosa quella accettabile e quindi valida ed efficace). Per il processo di cambiamento non è importante una verità storica, ma una narrazione personale plausibile e significativa per il soggetto. Il passato non è statico. Non è che nel “qui e ora” venga negata l’importanza del passato, ma esso deve divenire servo e non padrone. Notare che l’interpretazione viene percepita solo quando la relazione del cliente con il terapeuta non è quella giusta; la sua efficacia è massima in un clima di accettazione e fiducia. A volte il cliente accetta da un altro membro un’interpretazione che non avrebbe accettato dal terapeuta. Tre concetti sono profondamente associati all’Interpretazione: - l’uso del passato; - le interpretazioni del gruppo come un tutto; - il transfert. L’uso del passato Troppo spesso la spiegazione viene confusa con l’eziologia (studio delle origini). Un sistema esplicativo può postulare una causa da una qualsiasi di un vasto numero di prospettive ed è molto radicata l’idea che le cause del comportamento possano essere trovate solo nel passato. Ma i fattori potenti ed inconsci che influenzano il comportamento non sono affatto limitati al passato: il presente (le forze del momento che operano sul comportamento) e anche il futuro sono determinanti significative del comportamento (infatti abbiamo sempre dentro di noi il senso di uno scopo, di un Sé idealizzato, di scopi da raggiungere e pericoli da evitare. Tutti questi elementi si proiettano nel futuro ed influenzano profondamente il nostro comportamento). Inoltre il passato non determina presente e futuro più di quanto non sia determinato da essi; così un cliente che come risultato della terapia modifica la sua immagine di sé, può ricostruire il passato (ad esempio richiamare esperienze positive da lungo tempo dimenticate) e un nuovo passato può influenzare ulteriormente l’autostima. Il passato visita incessantemente il gruppo e ancora di più il mondo interiore di ciascuno durante tutto il corso della terapia. Conoscere il processo che un altro ha seguito per diventare ciò che è, è una condizione spesso indispensabile per conoscerlo come persona. Quindi una focalizzazione astorica dell’interazione nel “qui e ora” non è mai pienamente raggiungibile. Ciò che importa è sempre il tono: il passato è il servo e non il padrone. E’ importante perché spiega la realtà attuale del cliente, ma non è necessario fare un’analisi sistematica di ciò che è successo nel passato: bisogna fare un’analisi settoriale e quindi comprendere, testare, palesare come questo passato agisce nel presente nelle relazioni del soggetto. Se invece si fanno scavi archeologici si toglie tempo alla relazione e alla terapia del “qui o ora”. In pratica il passato ha un valore implicito. Le interpretazioni del gruppo come un tutto Bion e il suo orientamento (metodo Tavistock, in sé ormai superato) è un modello utile per capire le dinamiche del gruppo come un tutto. Gli individui si comportano in modo diverso in un gruppo rispetto a come si comportano in coppia. I fenomeni del gruppo come un tutto influenzano il corso clinico del gruppo e possono agire a vantaggio della terapia oppure ostacolarla. La principale forza del gruppo come un tutto che agisce a vantaggio della terapia è la Coesione. I due ostacoli più comuni sono i Problemi Angosciosi e le Norme di gruppo Antiterapeutiche. Il terapeuta deve essere conscio di queste forze per imbrigliare le forze del gruppo al servizio della terapia e per neutralizzare quelle che invece la impediscono. Problemi angosciosi In questi casi i problemi del gruppo come un tutto devono venire affrontati prima che qualsiasi lavoro interpersonale significativo possa ricominciare, perché essi impediscono che il gruppo si impegni nel suo compito primario. Per il terapeuta non è facile sfidare l’intero gruppo. Di solito il problema viene discusso sul piano simbolico (ad esempio, il disagio per l’assenza del terapeuta può condurre a discussioni sull’inaccessibilità dei genitori, o sulla morte e le malattie). Il terapeuta può osservare che si sente a disagio o perplesso e via via capire ed aiutare a capire la vera natura del problema. Norme di gruppo antiterapeutiche Un esempio ne sono: - Parlare a turno: procedura comoda, ma da respingere perché impedisce la libera interazione nel “qui e ora”. - Dedicare l’intera riunione al primo problema sollevato. In questi casi il terapeuta può avere bisogno di esprime interpretazioni del gruppo come un tutto, che descrivano con chiarezza il processo e gli effetti deleteri di tali modalità. La scansione temporale degli interventi di gruppo In generale una questione che sia critica per l’esistenza o il funzionamento dell’intero gruppo ha sempre la precedenza su una questione interpersonale più circoscritta. CAPITOLO 7: IL TERAPEUTA. TRANSFERT E TRASPARENZA Dopo aver discusso cosa deve fare il terapeuta nel gruppo, vediamo come deve essere. Freud definì Transfert l’insieme degli atteggiamenti verso il terapeuta che erano stati “trasferiti” da precedenti atteggiamenti nei confronti dei figure importanti nella vita del cliente; egli comprese ben presto che erano ben lungi dall’essere di ostacolo alla terapia, anzi: un loro uso appropriato poteva essere lo strumento più efficace in possesso del terapeuta (quale miglior modo per aiutare il cliente a riappropriarsi del passato che permettergli di sperimentare e agire nuovamente i sentimenti provati un tempo verso i genitori, attraverso la relazione attuale con il terapeuta?). Egli chiamo Nevrosi da Transfert la relazione intensa e conflittuale che spesso si sviluppa con il terapeuta; essa poteva essere sottoposta all’esame di realtà e curandola si curava simultaneamente il conflitto infantile. L’odierna terapia Cognitiva riconosce un concetto simile al Transfert, che chiama Schema del cliente. Benché negli ultimi cinquant’anni anche la teoria e la terapia Psicoanalitica abbiano subito una notevole evoluzione, alcuni principi fondamentali riguardanti il ruolo del transfert nella terapia sono sopravvissuti fino a poco tempo fa: - l’analisi del transfert è il più importante strumento del terapeuta; - è bene che i terapeuti lo facilitino rimanendo “opachi” (il ruolo dello “schermo vuoto”, oggi molto criticato), un po’ come manichini vestibili secondo l’estro del cliente; - l’interpretazione più importante che il terapeuta può fare è quella che chiarisce alcuni aspetti del transfert. Oggi però si ritiene che ciò che occorre al paziente non sia tanto la chiarificazione o insight, quanto un’esperienza, ripetuta, di essere visto, coinvolto personalmente e, fondamentalmente, apprezzato ed accudito (Mitchell, 1993). Il fattore curativo quindi sarebbe, sia nella terapia individuale che di gruppo, la Relazione. Una Relazione che richiede coinvolgimento autentico e la capacità di entrare in sintonia empatica con l’esperienza interiore emotiva e soggettiva del cliente. In questo modello bipersonale, l’esperienza emotiva del terapeuta nella terapia è una fonte fondamentale e potente di dati riguardanti il cliente. Gli Psicoanalisti dissentono invece su quanto il terapeuta possa svelarsi. Nella terapia di gruppo il problema è la priorità o meno del Transfert rispetto ad altri fattori terapeutici; ovviamente a seconda dell’orientamento teorico le tecniche usate sono notevolmente diverse. Secondo Yalom se il terapeuta valuta le interazioni paritarie (quindi senza enfatizzare la propria centralità) e transfert tra parti come espressioni primarie (e non solo in sostituzione del terapeuta) allora anche l’intensità dell’esperienza del transfert nel gruppo ne trarrà vantaggio. E’ importante ricordare che: 1) il Transfert è onnipresente nei gruppi terapeutici e influenza la natura degli scambi verbali; 2) senza una valutazione del transfert e delle sue manifestazioni il terapeuta sarà spesso incapace di comprendere pienamente il processo di gruppo; 3) i terapeuti che trascurano i fenomeni di transfert possono seriamente fraintendere alcuni scambi e confondere i membri, invece che guidarli. Invece quelli che si interessano solo agli aspetti transferali della loro relazione con i membri, possono non riuscire ad entrare veramente in relazione con loro; 4) ci sono clienti la cui terapia dipende dalla risoluzione della distorsione di transfert, altri il cui miglioramento dipenderà dall’apprendimento interpersonale derivato dal lavoro con un altro membro del gruppo, oppure interamente da altri fattori terapeutici; 5) le distorsioni del Transfert tra i membri del gruppo possono essere elaborate in modo efficace forse ancora di più rispetto a quelle nei confronti del terapeuta; 6) gli atteggiamenti verso il terapeuta sono anche basati sulla realtà e non solo sul Transfert; 7) mantenendo una certa flessibilità il terapeuta può fare un buon uso terapeutico di questi atteggiamenti nei suoi confronti, senza trascurare le molte altre funzioni che ha nel gruppo. Il Transfert nel gruppo terapeutico Ogni cliente, in grado maggiore o minore, percepisce il terapeuta in modo inesatto a causa delle distorsioni di Transfert, a volte anche prima di iniziare la terapia (poche persone sono completamente prive di conflitti verso problemi quali l’autorità genitoriale, la dipendenza, Dio, l’autonomia e la ribellione, tutti personificati nella figura del terapeuta). Queste distorsioni sono continuamente all’opera sotto la superficie della discussione di gruppo. Lo testimonia la differenza che si osserva nel gruppo quando entra il terapeuta: l’arrivo non ricorda solo al gruppo i suoi compiti, ma suscita in ogni membro antiche costellazioni emotive a proposito dell’adulto, dell’insegnante, di colui che giudica. Il modo di sedersi è spesso rivelatore di sentimenti complessi ed intensi: spesso i membri cercano di sedersi il più lontano possibile dal terapeuta e se i coterapeuti lasciano una sedia vuota tra loro, essa sarà l’ultima ad essere occupata. E’ stato osservato che i sentimenti potenti e non realistici dei membri del gruppo verso il terapeuta impediscono una loro valutazione precisa. Alcuni membri cercano in svariati modi di essere il figlio prediletto dal terapeuta, richiamando i sentimenti di rivalità del gruppo sorelle-fratelli: il maggiore vorrebbe eliminare il minore o privarlo dei suoi privilegi, ma rendendosi conto che i genitori li amano entrambi, la sola soluzione possibile è l’uguaglianza: se uno non può essere il favorito, non deve esserci alcun favorito. Da questa esigenza di uguaglianza nasce lo spirito di gruppo. Freud ricorda che questo spirito si applica ai membri del gruppo, non al leader: essi non desiderano essere uguali a lui, al contrario hanno sete di obbedienza, “brama di sottomissione” (Fromm, 1941) e nella storia questo ha portato a tragici risultati, quando i leader erano pericolosamente narcisistici e i seguaci deboli, fiacchi e demoralizzati: probabilmente si è ucciso più per amore (di un leader) che dell’odio. Come conseguenza del Transfert il gruppo può attribuire al leader poteri sovraumani, attribuire alle parole del terapeuta più peso e saggezza di quanto ne abbiano. impulsivamente eliminate in nome della sincerità. Per questo Yalom consiglia di disfarsi nel gruppo di tutte le censure interiori e di tutti i filtri tranne uno: il filtro della Responsabilità verso gli altri. Questo non significa non esprimere sentimenti negativi, giacché non c’è crescita in assenza di conflitto, ma la Responsabilità, non l’apertura totale, è il principio a cui ispirarsi. I clienti hanno una Responsabilità umana l’uno verso l’altro e il terapeuta ne ha una verso i clienti e verso i compiti della terapia. Il terapeuta deve essere chiaro con sé stesso riguardo al motivo per cui rivela parti di sé e quando è confuso è bene che riconsideri i suoi compiti nel gruppo. Quando prende in considerazione un processo di autosvelamento deve chiedersi “a che punto è il gruppo?”, “il gruppo può trarre giovamento da un leader che si offre come modello di apertura personale?”, “ l’autosvelamento ostacolerà il mantenimento del gruppo?”. Il terapeuta di gruppo deve sapere quando è il momento di ritirarsi sullo sfondo, perché a differenza di quello individuale egli non deve essere l’asse portante della terapia, ma deve essere l’ostetrica del gruppo, costruire un processo terapeutico attivo. Nonostante l’orientamento al gruppo, occorre conservare una certa concentrazione sull’individuo, perché non tutti i clienti hanno bisogno delle stesse cose. Infine, ricordare che la mera catarsi non è in sé un’esperienza correttiva: l’apprendimento o la ristrutturazione cognitiva (per la maggior parte forniti dal terapeuta) sono necessari perché il cliente sia capace di generalizzare le esperienze di gruppo, trasportandole nella vita esterna. E’ necessaria al cliente l’acquisizione di una certa conoscenza dei modelli comportamentali generali attivi nella relazione interpersonale. CAPITOLO 8: LA SELEZIONE DEI CLIENTI Una buona terapia di gruppo ha inizio con una buona selezione dei pazienti. È fondamentale compiere una buona selezione poiché un gruppo composto in modo inadeguato può morire subito. Il capitolo approfondisce la selezione per un gruppo eterogeneo di clienti esterni che si propone come obiettivi il sollievo dai sintomi e la modificazione di disturbi del carattere. Ma molti di questi principi generali si applicano anche ad altri tipi di gruppi. Dato che esistono tantissimi gruppi orientati a problemi specifici, non è possibile didatticamente concentrarsi sulla strategia di selezione indicata per ciascuno, il che del resto sarebbe una strategia troppo rigida e limitata. Una volta acquisite le basi dei vari prototipi di gruppo psicoterapeutico, si sarà in grado di modificare la tecnica per adattarla alle diverse popolazioni e ai diversi ambiti clinici. Efficacia della terapia di gruppo La terapia di gruppo è una potente modalità che produce significativi benefici ai suoi partecipanti. Molte ricerche hanno tentato di determinare l’efficacia della terapia di gruppo rispetto a quella individuale, e i risultati sono chiari: vi sono notevoli prove che la terapia di gruppo è almeno tanto efficace quanto quella individuale. Uno studio che si è basato sulla rassegna di 32 ricerche sperimentali ha indicato che la terapia di gruppo è stata più efficace della terapia individuale nel 25% delle ricerche. Nell’altro 75% non sono state rilevate differenze significative. Altre ricerche indicano inoltre che la terapia di gruppo ha vantaggi specifici: è superiore alla terapia individuale nel fornire apprendimento sociale, sviluppare sostegno sociale e migliorare le reti sociali, fattori che hanno grande importanza nel ridurre la possibilità di recidiva per i clienti con disturbi legati all’uso di sostanze; - è più efficace nella terapia per l’obesità. La terapia individuale tuttavia potrebbe essere preferibile per i clienti che richiedono una gestione clinica attiva e quando le problematiche di relazione sono meno importanti, mentre lo sono maggiormente l’insight e la comprensione personale. Criteri di inclusione La maggioranza dei terapeuti non seleziona i clienti per la psicoterapia di gruppo, essi compiono piuttosto un’operazione di scarto. A partire da un insieme di clienti, i terapeuti di gruppo di lunga esperienza decidono che alcuni non sono probabilmente in grado di lavorare in un gruppo terapeutico e vanno esclusi. E accettano tutti gli altri clienti. Il metodo sembra grossolano, ma in pratica è più facile specificare i criteri di esclusione che quelli di inclusione: un solo elemento è sufficiente per escludere il cliente, mentre per giustificare l’inclusione occorre delineare un profilo più complesso [le ipotesi si falsificano, non si verificano. N.d.r.]. Ci sono molte terapie di gruppo e i criteri di esclusione sono validi solo per il tipo di gruppo considerato; una caratteristica che porta a escludere qualcuno da un gruppo può rappresentare proprio l’aspetto che dirige la scelta verso un altro gruppo (ad esempio una paziente anoressica poco comunicativa e priva di sensibilità psicologica sarebbe adatta ad un gruppo omogeneo cognitivo-comportamentale per i disordini alimentari e non per un gruppo interazionale a lungo termine). È opinione concorde dei clinici che gli individui non sono candidati adatti per un gruppo terapeutico eterogeneo di clienti non ricoverati, se sono: cerebropatici, paranoidi, ipocondriaci, tossicodipendenti e alcolisti, psicotici in fase acuta o sociopatici. Ma gli elenchi hanno minor valore rispetto all’identificazione dei principi che stanno alla base. Ed ecco quella che può considerarsi la direttiva generale: i clienti falliranno nella terapia di gruppo se non saranno capaci di partecipare al Compito Primario del gruppo, che sia per motivi logistici, psicologici o interpersonali. Per poter partecipare al Compito Primario del gruppo terapeutico interazionale dinamico, il cliente deve: - avere la capacità e la volontà di esaminare il proprio comportamento interpersonale; - di autosvelarsi; - di dare e ricevere feedback. I clienti inadatti tendono a costruire un ruolo interpersonale che si dimostra dannoso per loro stessi e per il gruppo. In tali casi il gruppo diventa il luogo in cui ricreare e riconfermare schemi disadattivi senza possibilità di apprendimento o cambiamento. Ad esempio si sconsiglia di solito l’inserimento di un individuo sociopatico in un gruppo eterogeno perché egli svolge un’azione distruttiva, sfruttando a tal punto le energie del gruppo che il suo abbandono lascia il gruppo mutilato, perplesso, scoraggiato. Con questo non si intende dire che la terapia di gruppo sia controindicata per questi pazienti, anzi una forma particolare di terapia di gruppo con una composizione più omogena può essere il trattamento migliore per loro. La maggior parte dei clinici concordano nel ritenere che i clienti che si trovano a vivere una crisi situazionale acuta non siano buoni candidati per la terapia di gruppo e che andrebbero trattati in una modalità individuale, familiare o di rete sociale. I clienti profondamente depressi e con tendenze suicide non dovrebbero essere ammessi in un gruppo eterogeneo di tipo interazionale, ma in gruppi omogenei perché tali soggetti richiedono un’attenzione specifica. Inoltre le tendenze suicide sono vessatorie e sottopongono a troppa angoscia gli altri membri. Sono risultati efficaci gruppi omogenei per clienti suicidari. Una buona frequenza è talmente necessaria perché il gruppo sviluppi la coesione che è saggio escludere i clienti che, per qualsiasi ragione, non possono assicurarla. Questi criteri di esclusione sono vaghi e primitivi. Alcuni terapeuti hanno tentato di giungere a criteri più raffinati attraverso lo studio sistematico dei clienti che abbandonano la terapia. Gli abbandoni L’Abbandono è un fallimento per il cliente e un danno per i membri che restano. Purtroppo è un fenomeno molto comune per tutti i tipi di psicoterapia: dal 17% al 57%, ma nella terapia di gruppo è più preoccupante a causa degli effetti deleteri sul resto del gruppo. Il corretto sviluppo di un gruppo richiede la stabilità dei suoi membri. Imparare a scartare nella selezione i clienti destinati ad abbandonare la terapia, sarebbe già un buon risultato. Motivi della conclusione prematura del trattamento Anche se i terapeuti sono esperti è inevitabile che vi sia un certo numero di abbandoni. Studi rigorosi indicano che i clienti destinati ad abbandonare la terapia hanno probabilmente le seguenti caratteristiche: - scarsa sensibilità psicologica; - ridotta capacità di pensare alle emozioni senza azione; - bassa motivazione; - maggiore reattività rispetto alla capacità di riflessione; - minori emozioni positive; - forte tendenza al diniego; - forte somatizzazione; - abuso di sostanze; - maggiore rabbia e ostilità; - appartenenza a una classe socioeconomica inferiore e minore efficacia sociale; - minori capacità intellettive; - mancanza di comprensione del modo in cui funziona la terapia di gruppo; - esperienza o aspettativa di instabilità culturale; - minore gradevolezza (almeno secondo il terapeuta). Queste conclusioni suggeriscono che proprio coloro avrebbero più bisogno di aiuto, che più fortemente necessitano di ciò che un gruppo può offrire, sono quelli con le maggiori probabilità di insuccesso. Questo paradosso, insieme a questioni socioeconomiche, ha portato al tentativo di modificare il gruppo terapeutico in modo da andare incontro ad un maggior numero di questi clienti a rischio. Ricordare dunque che le suddette caratteristiche dovrebbero essere considerate precauzionalmente, piuttosto che essere viste come controindicazioni assolute. La persona che fallisce in un gruppo o in un certo tipo di gruppo potrebbe invece riuscire bene in un altro. Si dovrebbe mirare a ridurre, non ad eliminare gli abbandoni. In un altro studio l’analisi dei dati indicò nove ragioni principali di abbandono della terapia da parte dei clienti: - Fattori esterni; - Condotta di gruppo deviante; - Problemi di intimità; - Paura del contagio emotivo; - Incapacità di dividere con gli altri il terapeuta; - Complicazioni dovute alla simultaneità della terapia individuale e di gruppo; - Provocazioni inziali; Gli impulsivi di solito lavorano meglio nei gruppi che in terapia individuale. I soggetti estremamente intellettualizzati possono raggiungere risultati migliori grazie agli stimoli affettivi disponibili in un gruppo. I clienti che non lavorano bene nella terapia individuale a causa di gravi problemi di Transfert (possono non essere in grado di tollerare l’intimità della relazione a due, deformando in tal modo tale relazione, oppure coinvolgendosi troppo profondamente con il terapeuta e aver quindi bisogno dell’esame di realtà fornito dagli altri membri del gruppo). Anche nei casi in cui i problemi interpersonali non sono predominanti la terapia di gruppo può ancora essere il trattamento di elezione, infatti molti clienti richiedono una terapia pur non presentando un disturbo interpersonale manifesto; essi menzionano la sensazione che manchi qualcosa nella loro vita, angoscia diffusa, anedonia, dispersione di identità, depressione lieve... Ma a un’occhiata più profonda ciascuno di questi disturbi ha una base interpersonale. Ricerche sui criteri di inclusione Gli studio dei criteri di inclusione devono basarsi sull’analisi dei pazienti che hanno avuto esperienze positive di terapie di gruppo. Purtroppo però questi tipi di studio sono difficilmente verificabili. Dai diversi studi compiuti è emerso un assunto importante: La popolarità del cliente nel gruppo è strettamente collegata all’esito positivo ed essa dipende in buona parte da un alto autosvelamento e dalla capacità di introspezione; infatti la popolarità viene attribuita ai soggetti che con il loro comportamento aiutano il gruppo a progredire verso i suoi obiettivi. Un’alta tendenza ad assumersi rischi e le aspettative più favorevoli risultano correlate con un comportamento terapeuticamente proficuo nel gruppo. Il fatto che una serie di aspettative positive possa presagire un esito favorevole è confermato dalla ricerca: più il cliente si aspetta che la terapia sia utile, sia essa di gruppo o individuale, più utile essa sarà. Attraverso un’adeguata preparazione è possibile creare nel cliente aspettative positive. Il ruolo di una precedente terapia è importante a questo proposito: clienti esperti hanno aspettative più realistiche e più positive della terapia. L’accordo tra il terapeuta e il cliente sulle aspettative dalla terapia rafforza l’alleanza terapeutica, che predice anche esiti migliori. L’influenza del cliente sugli altri membri del gruppo A differenza del reclutamento per la terapia individuale, in cui è necessario considerare solo se il cliente potrà giovarsi o meno della terapia e se lui e un determinato terapeuta saranno in grado di stabilire una relazione di lavoro, il reclutamento per la terapia di gruppo non può ignorare il contesto di gruppo (quindi occorre considerare non solo se il singolo trarrebbe vantaggio dal gruppo, ma anche il viceversa). Infatti i terapeuti di gruppo non solo si impegnano nel trattamento di ogni membro, ma fanno sì che anche tutto il gruppo si impegni verso ogni individuo. Ci sono clienti che avrebbero una buona resa in diverse modalità terapeutiche, ma vengono collocati in un gruppo per una qualche esigenza specifica di quel gruppo (ad esempio, a volte sembra che alcuni gruppi abbiano bisogno di un membro aggressivo o di un membro forte di sesso maschile). I clienti borderline, nonostante la loro carriera terapeutica burrascosa, vengono inseriti nei gruppi per la loro influenza positiva sul processo terapeutico: questi clienti hanno in genere una maggiore consapevolezza del loro inconscio, sono meno inibiti, meno attenti alle formalità sociali e molto spesso favoriscono una cultura di gruppo più sincera e più intima. È necessario tuttavia, essere molto cauti nell’includere un cliente con una forza dell’Io significativamente inferiore a quella degli altri membri del gruppo. Se questi membri hanno tratti comportamentali socialmente desiderabili e vengono stimati dagli altri membri del gruppo per la loro capacità di aprirsi e per la loro sensibilità, di solito ottengono risultati positivi. Tuttavia se il loro comportamento allontana gli altri e se il gruppo si sente minacciato dal fatto che, anziché guidare il gruppo, essi lo ritardano, allora essi saranno spinti verso un ruolo deviante e la loro esperienza probabilmente sarà controterapeutica. I sentimenti del terapeuta verso il cliente Un altro importante criterio di inclusione sono i sentimenti del terapeuta nei confronti del paziente. Indipendentemente dalla causa, qualora il terapeuta provi forte antipatia e disinteresse per un cliente (o non riesca a capire o cambiare quella reazione) dovrebbe indirizzarlo altrove. Man mano che i terapeuti acquistano esperienza e si conoscono sempre meglio di solito divengono più generosi e tolleranti e i clienti che trovano sgradevoli sono sempre meno. Spesso l’antipatia sperimentata dal terapeuta riflette l’impatto tipico che il cliente ha sugli altri e quindi è fonte di dati utili per la terapia. Esame complessivo della procedura di selezione Applichiamo a questo materiale un principio organizzatore centrale, un semplice sistema di ricompensa e punizione: i membri del gruppo sono inclini ad abbandonare il gruppo prematuramente, e quindi sono candidati indesiderabili, quando le punizioni o gli svantaggi dell’appartenenza al gruppo superano le ricompense effettive o sperate. Quando l’autore parla di punizioni o svantaggi, intende il prezzo che il cliente deve pagare per l’appartenenza al gruppo: un investimento di tempo, denaro ed energie, nonché una varietà di disforie derivanti dall’esperienza di gruppo (angoscia, frustrazione, scoraggiamento e rifiuto). Il cliente dovrebbe avere una parte importante nel processo di selezione; egli può prendere una decisione ragionata solo se gli vengono fornite informazioni sufficienti: per esempio, la natura dell’esperienza, la durata prevista della terapia, ciò che ci aspetta da lui nel gruppo. Le ricompense derivanti dall’appartenenza ad un gruppo terapeutico consistono nei diversi tipi di gratificazioni che i clienti ottengono dal gruppo. I membri sono soddisfatti del loro gruppo se:  ritengono che il gruppo soddisfi i loro bisogni personali: questi bisogni di solito sono espressi in termini di liberazione dalla sofferenza, meno spesso in termini di comprensione di sé o di crescita personale. Parecchi fattori sono importanti al riguardo: ci deve essere un bisogno personale significativo; il gruppo deve essere considerato come un agente che potenzialmente vada incontro a quel bisogno; occorre vedere nel tempo il procedere del gruppo verso il soddisfacimento di quel bisogno. Naturalmente ci deve essere un certo disagio per fornire la necessaria motivazione al cambiamento. Il rapporto tra disagio e l’opportunità della terapia di gruppo non è lineare, ma curvilineo. I clienti che sono troppo poco a disagio (e che hanno scarsa curiosità per i gruppi e per sé stessi) in genere non sono disposti a pagare il prezzo dell’appartenenza al gruppo. D’altra parte i clienti che provano un disagio moderatamente alto sono disposti a pagare un prezzo alto, purché abbiano fiducia o abbiano le prove che il gruppo può aiutarli e lo farà. I clienti in uno stato di disagio molto grande, derivante da una notevole tensione ambientale, da conflitti interni o da un’insufficiente forza dell’Io, possono essere talmente soverchiati dall’angoscia che gli obiettivi e le attività del gruppo dinamico a lungo termine appaiono per loro totalmente irrilevanti. Inizialmente il gruppo non è in grado di soddisfare bisogni personali molto pressanti. La terapia di gruppo dinamica e interazionale non è efficace né efficiente nel gestire crisi acute e angoscia psicologica intensa. Non è la terapia di gruppo in assoluto ad essere contro indicata per i clienti che presentano uno stato di disagio molto grande, ma la terapia di gruppo psicodinamica a lungo termine.  Sono gratificati dalla loro relazione con gli altri membri del gruppo: i membri del gruppo sono gratificati nella loro relazione con gli altri membri del gruppo, e spesso questa fonte di attrazione verso il gruppo può bloccare le altre. Lo sviluppo della gratificazione interpersonale può essere un processo lento; i clienti in psicoterapia spesso disprezzano loro stessi e quindi sono inizialmente inclini a disprezzare i loro colleghi. Spesso possono usare il terapeuta come oggetto transizionale e se instaurano con lui una relazione positiva è più facile che instaurino relazioni confidenziali tra loro.  Sono gratificati dalla loro partecipazione al compito del gruppo: la gratificazione che i clienti traggono dal partecipare al compito del gruppo è inscindibile da quella ricavata dalla relazione con gli altri membri del gruppo. Il compito del gruppo è essenzialmente interpersonale (arrivare ad una cultura di gruppo caratterizzata da intimità, accettazione, introspezione, comprensione e onestà reciproche). E’ dimostrato che la partecipazione al compito del gruppo è un’importante fonte di gratificazione derivante dall’appartenenza al gruppo.  Sono gratificati dall’appartenenza al gruppo di fronte al mondo esterno: i membri di molti gruppi sono gratificati dall’appartenenza al gruppo perché il mondo esterno attribuisce grande valore e prestigio al gruppo. Questo non vale per i gruppi terapeutici, ma i membri del gruppo terapeutico svilupperanno comunque un certo orgoglio nei confronti del loro gruppo: per esempio, lo difenderanno se viene attaccato da un nuovo membro. Se i clienti si vergognano di appartenere al gruppo e sono riluttanti a rivelarlo ad amici o persino al coniuge, allora evidentemente l’appartenenza al gruppo terapeutico apparirà loro discordante con i valori di altri importanti gruppi, ed è improbabile che svilupperanno una grande attrazione per il gruppo. Ricapitolando La selezione dei clienti per la terapia di gruppo è un processo che procede per esclusione: i terapeuti escludono alcuni clienti e accettano gli altri. Gli studi sulle defezioni nelle prime fasi forniscono importanti criteri di esclusione: - clienti che con ogni probabilità assumerebbero il ruolo di devianti (incapaci di partecipare al compito del gruppo); questi, in un gruppo interazionale eterogeneo, sono soggetti che non possono o non vogliono esaminare sé stessi e le loro relazioni con gli altri e che non riescono ad accettare la propria responsabilità per le difficoltà che vivono. - Una scarsa sensibilità psicologica è un criterio fondamentale per l’esclusione da un gruppo terapeutico ad orientamento psicodinamico. - Si dovrebbero escludere dai gruppi a lungo termine coloro che si trovano a vivere una crisi, che possono essere indirizzati in modo più efficace a gruppi di terapia breve orientati al problema, o ad altre modalità terapeutiche. - I conflitti nella sfera dell’intimità rappresentano sia un’indicazione che una controindicazione per la terapia di gruppo, perché questa terapia può offrire un aiuto notevole al riguardo, ma se i conflitti sono troppo estremi il cliente deciderà di abbandonare il gruppo o ne verrà escluso. Il compito del terapeuta è selezionare i clienti che sono più vicini al confine tra bisogno e impossibilità. Se questi indicatori non sono presenti, allora la grande maggioranza di coloro che lo richiedono possono essere indirizzati ad una terapia di gruppo CAPITOLO 9: LA COMPOSIZIONE DEI GRUPPI TERAPEUTICI Oggi le pressioni dell’amministrazione sanitaria spingono verso l’attenuazione dei sintomi, la creazione di gruppi omogenei, l’attuazione di incontri strutturati e la brevità della terapia. Secondo l’autore però i principi per la composizione del gruppo sono attinenti a tutte le forme di terapia di gruppo, anche a quelle più strutturate e più omogenee. Non bisogna cadere nella trappola della “taglia unica” uguale per tutti. probabilità di un abbandono prematuro della terapia. Raccomandazione finale E’ sempre più difficile trovare un numero sufficiente di clienti per formare e mantenere i gruppi. Così i clinici di oggi formano in genere i gruppi accettando, entro certi limiti, i primi sette-otto candidati disponibili che sono stati individuati come buoni candidati ad una terapia di gruppo. Si utilizzano i principi più rudimentali riguardo alla composizione: un ugual numero di uomini e donne, o un ampio spettro di età, di attività o di stile interazionale. Ma ci sono altre opzioni eccellenti: comporre un gruppo a partire da clienti che si seguono già individualmente; i clinici che collaborano tra loro condividendo gli spazi possono riempire un gruppo alla volta insieme… Il compito più importante del terapeuta è creare un gruppo dotato di Coesione. Conviene investire tempo ed energie in un’accurata selezione dei clienti per la terapia di gruppo e nella loro preparazione preliminare. La composizione del gruppo non ne influenza significativamente il carattere, ma se il gruppo sta insieme e se il terapeuta valuta i fattori terapeutici e si mantiene flessibile nello svolgimento del suo ruolo, può utilizzare in senso terapeutico qualunque situazione si presenti (tranne la mancanza di motivazione). CAPITOLO 10: LA CREAZIONE DEL GRUPPO. SPAZIO, TEMPO, DIMENSIONI, PREPARAZIONE Prima di convocare il gruppo, il terapeuta deve prendere alcune importanti decisioni: deve provvedere a un luogo adatto per le riunioni e stabilire direttive circa la durata del gruppo, le dimensioni del gruppo, l'ammissione di nuovi membri, la frequenza degli incontri. L’ambiente fisico Le riunioni del gruppo possono essere tenute in qualunque ambiente purché la stanza sia tale da garantire la riservatezza e da eliminare le cause di distrazione. Alcuni terapeuti preferiscono che i membri del gruppo siedano intorno a un grande tavolo circolare, tuttavia la maggior parte preferiscono che non ci sia nulla al centro, in modo che tutto il corpo del paziente sia visibile. Se la seduta del gruppo deve essere registrata o osservata a scopi didattici attraverso uno specchio unidirezionale, si deve richiedere in anticipo il permesso del gruppo. Se si parla di soli due studenti, essi possono restare anche nella stanza stessa purché in silenzio. Gruppi aperti e gruppi chiusi All'inizio il leader decide se il gruppo dovrà essere aperto o chiuso. Il Gruppo Chiuso blocca le ammissioni, non accetta nuovi membri e in genere si incontra per un numero prefissato di sedute. La maggior parte dei gruppi chiusi sono gruppi di terapia breve che si riuniscono settimanalmente per mesi o anche meno. Un gruppo chiuso che dura di più ha difficoltà a mantenere la stabilità dell'appartenenza per motivi legati alla pratica con i pazienti esterni. Invariabilmente i membri del gruppo se ne vanno, si trasferiscono o si trovano di fronte a un'imprevista incompatibilità di orari. Il gruppo chiuso a lungo termine è realizzabile in un ambiente in cui sia assicurata una notevole stabilità, ad esempio una prigione, una base militare, un ospedale psichiatrico. Oppure in un gruppo ambulatoriale psicoanalitico in cui tutti i membri siano contemporaneamente in psicoterapia individuale con il leader del gruppo. Il Gruppo Aperto al contrario mantiene dimensioni costanti, sostituendo i membri che interrompono la terapia. Anche il gruppo aperto può avere durata prestabilita. Durata e frequenza delle sedute Fino alla metà degli anni sessanta la durata della seduta di psicoterapia sembrava fissa: cinquanta minuti per la terapia individuale e ottanta-novanta minuti per la terapia di gruppo. Arrivando a circa due ore si raggiunge una stasi nel miglioramento, perché il gruppo diventa stanco, monotono e quindi inefficace. Sebbene la frequenza degli incontri possa variare da una a cinque volte alla settimana, la grande maggioranza dei gruppi si riuniscono solo una volta alla settimana. In realtà l'ideale sarebbe due volte alla settimana, poiché i gruppi che si incontrano una sola volta alla settimana spesso risentono dell'intervallo tra le riunioni. Il gruppo prolungato Durante il periodo anarchico degli anni sessanta i terapeuti di gruppo hanno fatto audaci esperimenti con la variabile tempo. In quel periodo fu in voga il “gruppo maratona”: esso si incontrava per una seduta prolungata, dalle ventiquattro alle quarantott'ore, con poco o nessun tempo per dormire; i partecipanti dovevano rimanere insieme per tutto il tempo stabilito; i pasti venivano serviti nella stanza della riunione e, se richiesti, venivano concessi brevi sonnellini durante la seduta o in tempi programmati a tale scopo. Si dava importanza all'autosvelamento, a un intenso confronto interpersonale, al coinvolgimento affettivo e alla condivisione delle emozioni. I sostenitori del gruppo prolungato affermavano che questo accelerava lo sviluppo del gruppo e intensificava l'esperienza emotiva. Si diceva che il microcosmo sociale del gruppo si manifestasse più rapidamente poiché i pazienti mangiavano, dormivano, piangevano e vivevano insieme ininterrottamente in un luogo in cui non ci si poteva nascondere. Si pensava inoltre che la stanchezza derivante dalla mancanza di sonno contribuisse all'abbandono delle maschere sociali e che quindi i soggetti fossero maggiormente loro stessi. Tuttavia, nonostante queste affermazioni, il movimento dei gruppi maratona, è svanito. Durante gli anni sessanta e settanta molti terapeuti indirizzavano i pazienti che seguivano terapie individuali ai gruppi maratona per il fine settimana. Negli anni ottanta molti consigliavano ai loro pazienti di seguire sedute di maratona di addestramento alla consapevolezza organizzate in gruppi di grandi dimensioni. Non ci sono dubbi sul fatto che il gruppo prolungato possa suscitare affetti potenti e possa incoraggiare i suoi membri a sperimentare un nuovo comportamento, ma perché il cambiamento si consolidi deve essere trasferito nelle relazioni e negli approcci esterni e comprovato continuamente nella vita di tutti i giorni. I dati indicano che la trasposizione del cambiamento è laboriosa e richiede un certo lasso di tempo che non si può ridurre. La terapia di gruppo breve La Terapia di Gruppo Breve sta diventando sempre più importante e più ampiamente utilizzata, soprattutto per l'aspetto economico. Che cosa significa breve? Molti definiscono brevi le terapie che prevedono un numero di riunioni variabile dalle 20 alle 25 sedute, altri dalle 16 alle 20… Meglio quindi dare una definizione funzionale: un gruppo di terapia breve è il gruppo che, incontrandosi per il più breve periodo di tempo possibile, riesce a realizzare alcuni obiettivi specifici. Quindi parliamo di un gruppo che si occupa: - di una crisi acuta (ad esempio la perdita del lavoro) che potrebbe durare 8 sedute; - di una importante perdita relazionale (ad esempio un divorzio, un lutto) che potrebbe durare da 12 a 20 sedute; - del miglioramento rispetto a radicati disturbi del carattere, dalle 60 alle 70 sedute. A prescindere dalla durata precisa, tutti i gruppi di psicoterapia breve (esclusi quelli psicopedagogici) condividono aspetti comuni: tutti danno la precedenza all’efficacia; si propongono una serie di obiettivi distinti e tentano di restare concentrati sul raggiungimento di questi obiettivi; tentano di restare nel “qui e ora” o su problemi recenti; si occupano costantemente dei vincoli di tempo; hanno spesso una composizione omogenea mirata ad un determinato problema (sindrome, esperienza di vita); sottolineano i problemi interpersonali piuttosto che quelli intrapersonali. La terapia di gruppo breve può essere considerata come una “quota”, a cui eventualmente aggiungere in futuro un’altra quota. Il leader di un gruppo di terapia breve deve tenere conto di una serie di principi generali: 1. Deve aver cura di chiarire gli obiettivi e mantenere i membri del gruppo concentrati su di essi, gestire il tempo ed essere attivo ed efficace; 2. Deve indirizzare i membri al trasferimento dell’apprendimento alla vita quotidiana, sottolineando che il trattamento serve a mettere in moto il cambiamento; 3. Deve cercare di trasformare gli svantaggi del tempo limitato in vantaggi; la conclusione già fissata ed imminente può aumentare la consapevolezza della dimensione esistenziale della vita, nessuno risolve magicamente i nostri problemi, la responsabilità finale sta dentro di noi; 4. Non deve dimenticare il nome ufficiale del gruppo non determina il lavoro della terapia: è molto più efficace focalizzarsi verso quegli aspetti del problema ufficiale che hanno effetti nel “qui e ora” del gruppo; 5. Deve essere flessibile ed usare tutti i mezzi disponibili per aumentare l’efficacia (utilizzo di diari…); 6. Il tempo è limitato, ma il leader non deve fare l'errore di cercare di risparmiare tempo rinunciando alla seduta individuale preliminare al gruppo. Al contrario deve curare molto bene soprattutto la preparazione e la selezione. Deve esserci un colloquio iniziale individuale atto a valutare l'idoneità del soggetto. Quando la durata del gruppo è solo, ad esempio, di 12 sedute, e 2 o 3 vengono sprecate occupandosi di un cliente non idoneo che poi abbandona, il costo è molto alto; 7. Deve usare l'incontro individuale preliminare non solo per una preparazione standard al gruppo, ma anche per aiutare il paziente a riformulare i suoi problemi e precisare i suoi obiettivi così da renderli adatti a una terapia breve. Sintesi: la ricerca sulla terapia di gruppo breve è ancora agli inizi. I suoi primi risultati mostrano l'efficacia delle modalità di terapia breve, ma non si è dimostrato che la terapia breve sia superiore a quelle a lungo termine. Le dimensioni del gruppo La letteratura clinica indica che la dimensione ideale di un gruppo terapeutico interazionale è di 7-8 membri. Quando le dimensioni del gruppo si riducono a 3 o 4 membri, il gruppo cessa di operare come gruppo, diminuisce l'interazione e spesso i terapeuti si ritrovano impegnati in una sorta di terapia individuale all'interno del gruppo. In questo modo molti vantaggi risultano compromessi:  è limitata l’interazione; riguardo alla formazione di sottogruppi. Un metodo per la preparazione al gruppo Vi sono molti metodi per preparare i pazienti alla terapia di gruppo. Il più semplice e pratico è quello di fornire completamente nei colloqui preliminari (almeno due) le informazioni necessarie a facilitare un ingresso ottimale nel gruppo. I fraintendimenti vanno indicati in modo dettagliato e corretti con una discussione accurata ed esauriente. E’ saggio illustrare ai pazienti i problemi che si presume essi vivranno inizialmente nella terapia e presentare loro alcuni concetti e alcune direttive chiare perché possano giungere ad un comportamento efficace nel gruppo. Yalom ha riscontrato che un colloquio preparatorio che presenti i seguenti obiettivi è molto utile:  Fare in modo che i pazienti diventino alleati informati, fornendogli alcuni concetti sulla base interpersonale della patologia e sul funzionamento della terapia; cominciare con l'af- fermare che, sebbene ciascun individuo manifesti i propri problemi in modo differente, tutti coloro che ricorrono alla psicoterapia hanno in comune la difficoltà di fondo di stabilire e mantenere relazioni intime e gratificanti con gli altri;  Descrivere il gruppo terapeutico con un linguaggio semplice e chiaro. Sottolineare che non sarà facile lavorare direttamente sulle proprie relazioni con gli altri membri del gruppo; ciò potrà anzi produrre una forte tensione, ma è d'importanza decisiva poiché se si possono comprendere e risolvere completamente le proprie relazioni con gli altri membri del grup- po, la trasposizione nel mondo esterno sarà notevole. I pazienti troveranno allora il modo di avere relazioni più soddisfacenti sia con le persone che attualmente occupano una posizio- ne di rilievo nella loro vita, sia con quelle che conosceranno in seguito;  Offrire direttive sul modo migliore di partecipare al gruppo: suggerire ai pazienti che il modo migliore di aiutare sé stessi è essere sinceri e diretti per quanto riguarda i loro senti- menti nel gruppo in quel momento, in particolare i sentimenti verso gli altri membri del gruppo e i terapeuti. Dire loro che man mano che arrivano ad avere fiducia nel gruppo pos- sono rivelare aspetti intimi di sé. Suggerire di vedere il gruppo come un luogo di discussio- ne in cui si rischia e in cui col progredire dell'apprendimento, si possono mettere alla prova nuovi tipi di comportamento;  Anticipare le frustrazioni e le delusioni della terapia, in particolare dei primi incontri. Preannunciare certi ostacoli e preavvisare i pazienti del sentimento di perplessità e di sco- raggiamento che proveranno nei primi incontri. Discutere la tendenza di alcuni a ritirarsi emotivamente, a nascondere i propri sentimenti, a lasciare che gli altri li esprimano per lo- ro, a formare alleanze di dissimulazione e preannunciare il probabile sviluppo di sentimenti di frustrazione o irritazione nei confronti del terapeuta e l'attesa vana di risposte da parte sua;  Proporre alcune idee sulla durata della terapia; fare in modo che il cliente si impegni riguardo alle riunioni. Gli obiettivi terapeutici della terapia di gruppo sono ambiziosi, perché si desidera modificare comportamenti e atteggiamenti che si sono formati nell'arco di molti anni; non avverranno cambiamenti importanti per mesi e ci vorrà almeno un anno per avere qualche risultato. Spingere con decisione i pazienti a rimanere nel gruppo e a ignorare qualsiasi impulso ad abbandonarlo prima di aver verificato fino in fondo la validità della terapia. E' quasi impossibile predire la reale efficacia del gruppo durante i primi dodici incontri, quindi chiedere ai pazienti di rinviare il giudizio a un periodo successivo, di impegnarsi per almeno dodici riunioni prima di valutare l'utilità del gruppo.  Infondere fiducia nella terapia di gruppo, far nascere aspettative rispetto alla sua efficacia. Si può descrivere brevemente la storia e l'evoluzione della terapia di gruppo, come la terapia di gruppo è passata da una fase in cui era apprezzata per i vantaggi che offriva sul piano economico, poiché consentiva alla psichiatria di raggiungere un gran numero di pazienti, alla sua posizione attuale, dove è chiaramente vista come un trattamento che ha qualcosa di peculiare da offrire e spesso è quello da preferire;  Porre delle regole di base sulla privacy e sulla formazione di sottogruppi. Niente è più importante della possibilità di condividere sinceramente percezioni e sentimenti su di sé e sugli altri membri del gruppo. La riservatezza è essenziale nella terapia di gruppo, proprio come in qualunque forma di rapporto medico-paziente. Affinché i membri del gruppo si sentano liberi di parlare, devono essere certi che le loro dichiarazioni resteranno all'interno del gruppo. Oltre alle regole di base di onestà e riservatezza, occorre discutere dei contatti dei membri al di fuori del gruppo: essi, in varie forme, si manifesteranno in ogni gruppo psicoterapeutico ed è importante presentare questo problema già a partire dal colloquio preliminare. In proposito è necessario sottolineare due punti particolarmente importanti:  Il gruppo offre la possibilità di rendersi conto dei propri problemi nelle relazioni sociali; non è una riunione mondana per farsi degli amici. Al contrario: se il gruppo viene usato come luogo dove cercare amici perde la sua efficacia terapeutica. In altre parole, il gruppo terapeutico insegna come formarsi relazioni intime a lungo termine, ma non fornisce questo tipo di relazione.  Comunque, se per caso o deliberatamente i membri si incontrano fuori dal gruppo, allora è loro responsabilità discutere gli aspetti cruciali di questi incontri all'interno del gruppo. Ciò che ostacola la terapia è l’omertà che spesso circonda questi incontri. È particolarmente inutile che i terapeuti stabiliscano regole che proibiscono la socializzazione fuori dal gruppo. Quasi inevitabilmente nel corso della terapia i membri del gruppo si impegneranno in una certa socializzazione fuori dal gruppo e, di fronte alle proibizioni, potranno essere restii a parlarne. Un approccio di ingiunzione e proibizione spinge semplicemente i clienti verso un atteggiamento del tipo “fatta legge, trovato l’inganno”. Riguardo alla formazione di Sottogruppi Yalom spiega ai clienti che le amicizie tra i membri del gruppo spesso impediscono loro di parlare apertamente l’uno con l’altro nel gruppo. I membri del gruppo possono sviluppare un senso di lealtà nei confronti di una relazione a due e quindi esitare a tradire l’altro riferendo al gruppo le loro conversazioni. E tuttavia questa segretezza sarà in conflitto con l’apertura e la sincerità che sono essenziali nel processo terapeutico. Ricapitolando, questo metodo di preparazione alla terapia di gruppo ha numerosi obiettivi, che hanno alla base la liberazione dai pregiudizi. Il terapeuta trasmette un messaggio in cui dichiara di rispettare il giudizio e l’intelligenza del cliente, che la terapia è un’impresa basata sulla collaborazione, che il terapeuta è un esperto che opera con un metodo scientifico e che desidera condividere le proprie conoscenze con il cliente. Una buona preparazione rende il cliente capace di prendere una decisione basata su dati noti riguardo all’opportunità o meno di iniziare la terapia. Questo tipo di preparazione può essere applicata a qualsiasi tipo di terapia di gruppo, modificando i dettagli opportunamente, ma qualsiasi gruppo terapeutico trae vantaggio dalla preparazione dei clienti. Meglio al limite una preparazione breve (vedi quella in 3’ del cap.15) che nessuna preparazione. Altri metodi La preparazione cognitiva diretta presentata in un’unica volta a un cliente potrebbe non essere sufficientemente efficace. I clienti sono piuttosto ansiosi durante i colloqui preliminari e spesso ricordano molto poco del contenuto del messaggio del terapeuta, oppure fraintendono vistosamente i punti fondamentali. Di conseguenza è necessario ripetere e sottolineare molti punti essenziali della preparazione sia durante le sedute preliminari, sia durante le primissime riunioni del gruppo. Per i suoi gruppi di clienti ambulatoriali che si incontrano una volta alla settimana, l’autore prepara resoconti scritti ogni settimana e li spedisce a tutti i componenti del gruppo dopo ogni seduta. Questi riassunti sono un’eccellente occasione di informare nuovamente i clienti, per iscritto, degli aspetti essenziali della procedura di preparazione al gruppo. Quando un nuovo cliente si aggiunge a un gruppo già formato, Yalom gli fornisce una preparazione supplementare chiedendogli di leggere i resoconti riguardanti le riunioni precedenti. Molti terapeuti hanno descritto altri metodi per accrescere l’efficacia della procedura di preparazione: - alcuni usano un altro membro del gruppo per sostenere e preparare il nuovo cliente; - altri redigono un documento scritto che il membro deve studiare prima di entrare nel gruppo (l’appendice del libro comprende un esempio di opuscolo); - altre tecniche includono: l'ascolto di un'audiocassetta o la visione di una videocassetta delle riunioni; offrire ai clienti un addestramento personale riguardo al comportamento desiderato all'interno del gruppo… I risultati di alcuni studi dimostrano che i clienti sottoposti ad una preparazione preliminare, confrontati con pazienti inseriti direttamente nel gruppo, avevano una maggiore fiducia nella terapia e si impegnavano molto di più nell'interazione di gruppo rispetto ai clienti non preparati. Inoltre la ricerca mostra che più è arduo il processo di inserimento, tanto più grande sarà il desiderio di unirsi al gruppo e la conseguente attrazione esercitata dal gruppo (principio alla base dei riti di iniziazione e dei criteri di selezione ed ammissione a molte organizzazioni). Perché induce a pensare che, se l’ammissione è così difficoltosa, il gruppo a cui ci si vuole unire deve essere veramente qualcosa di prezioso. CAPITOLO 11: L’INIZIO Il lavoro del terapeuta col paziente comincia molto prima della riunione iniziale del gruppo, anzi come è già stato illustrato l’esito finale positivo del gruppo dipende in gran parte dall’esecuzione efficace dei compiti che precedono la terapia. Le fasi di avvio del gruppo Ogni gruppo ha uno sviluppo peculiare. Ciascuno dei suoi membri comincia a manifestarsi sul piano interpersonale e a creare il proprio microcosmo sociale; col tempo ciascuno, se i terapeuti fanno bene il loro lavoro, comincerà a comprendere il proprio stile interpersonale e alla fine sperimenterà un nuovo comportamento. E' indispensabile per il terapeuta avere dimestichezza con la sequenza evolutiva del gruppo: se egli deve aiutare il gruppo a creare le sue norme e impedire la creazione di norme anti terapeutiche, deve avere un'idea chiara dello sviluppo naturale e ottimale del gruppo terapeutico, perché al di là delle peculiarità, esistono delle forze dinamiche che operano in tutti i gruppi e ne influenzano la vita. Schematicamente, secondo Tuckman, si possono postulare cinque Fasi: - Formazione (coinvolgimento e affiliazione dei membri); - Crisi (focalizzazione su controllo, potere, stima pubblica, competizione e differenziazione individuale); - Creazione delle norme (sviluppo della coesione); - Esecuzione (lunga fase produttiva di lavoro, contrassegnata da intimità, impegno, coesione vera); indipendentemente dal problema in esame. A volte i clienti difendono il terapeuta perché si sono imbattuti in una serie di oggetti inaffidabili e lo percepiscono erroneamente come una persona estremamente debole; altri hanno bisogno di proteggerlo perché immaginano nella loro fantasia un’eventuale alleanza contro gli altri membri potenti del gruppo. Il terapeuta deve fare attenzione a non trasmettere segnali velati di difficoltà personali ai quali i soccorritori risponderanno adeguatamente. Lo schieramento degli attaccanti e dei difensori può essere una guida preziosa per la comprensione di tendenze del carattere, che sarà utile per il futuro del gruppo. Molti di questi sentimenti conflittuali si cristallizzano intorno alla questione del nome del leader: i membri devono riferirsi al terapeuta con il titolo professionale o dandogli del tu? Alcuni pazienti useranno subito il nome del terapeuta o addirittura un diminutivo, prima di indagare su ciò che egli preferisce. Altri anche dopo che il terapeuta si è detto d'accordo nel farsi chiamare per nome, non riusciranno comunque a pronunciare una tale irriverenza e continueranno ad avvolgere il terapeuta in un titolo professionale. Per il terapeuta di gruppo questa fase è spesso difficile e spiacevole sul piano personale. Inoltre egli deve imparare a distinguere un attacco alla sua persona da un attacco al suo ruolo nel gruppo. I terapeuti particolarmente minacciati da un attacco del gruppo si proteggono in diversi modi. Occorre ricordare che dare ai propri bisogni emozionale la precedenza rispetto alle esigenze del gruppo è una maniera sicura per ottenere un fallimento. Il terapeuta che resiste a un attacco senza essere né distrutto né distruttivo nella sua vendetta, ma che reagisce cercando di capire ed elaborare le fonte e gli effetti dell'attacco, dimostra al gruppo che l'aggressività non è necessariamente letale e che può essere espressa e compresa dal gruppo. A volte i gruppi nominano segretamente un leader tra i membri del gruppo per sostituire il terapeuta e questo è sempre un processo insoddisfacente, che lascia scoraggiati e confusi sia il gruppo che il paziente-leader. Un’altra fonte di conflitto nel gruppo trae origine dal processo intrinseco del cambiamento. Ciascuno deve affrontare il disagio che nasce dal dover abbandonare vecchi modelli, che sono sfidati da altri membri del gruppo. I clienti acquisiscono solo gradualmente la capacità di partecipare, provare emozioni e poi riflettere sull’esperienza che vivono; quando questo diventa possibile, gli schemi comportamentali nocivi e abituali possono essere trasformati. La terza fase: sviluppo della coesione La terza fase della formazione iniziale del gruppo è lo sviluppo della coesione di gruppo. A seguito del precedente periodo di conflitto, il gruppo gradatamente si evolve in un’unità compatta. Durante questa fase migliora il morale, aumentano la fiducia reciproca e l'autosvelamento. Alcuni membri del gruppo rivelano la vera ragione per la quale sono ricorsi al trattamento; si possono organizzare riunioni per prendere un caffè dopo le sedute di gruppo; la frequenza migliora e i pazienti non mostrano di preoccuparsi per gli assenti. Si definisce questa fase come “vicino o lontano”: le angosce principali sono legate alle sensazioni di non essere simpatici o abbastanza vicini alla gente o di essere troppo intimi con gli altri. Anche se in questa fase ci può essere una maggiore libertà nell'aprirsi ci possono essere anche limitazioni d'altro tipo nella comunicazione: spesso il gruppo reprime tutte le espressioni di affetti negativi in nome della coesione. Tutto è dolcezza e luce. I membri del gruppo in un certo senso si uniscono contro il resto del mondo poiché emergono un forte sostegno reciproco, un grande orgoglio per l'appartenenza al gruppo e una decisa condanna degli avversari nel mondo esterno al gruppo. Questa fase perdura per il resto della vita del gruppo, con brevi recrudescenze periodiche di ciascuna delle fasi precedenti. Quindi si può ritenere che la fase di sviluppo della coesione sia composta da due sottofasi: - una prima di grande sostegno reciproco; - una successiva di lavoro del gruppo o di vero e proprio lavoro di squadra, in cui emerge la tensione dovuta non alla lotta per il potere, ma alla lotta che ciascun membro del gruppo conduce contro le proprie resistenze. Sintesi generale È stato dimostrato che le fasi non seguono un andamento lineare, i confini tra le varie fasi non sono chiaramente delineati né si può mai dire che un gruppo abbia superato del tutto una certa fase. Lo sviluppo della terapia è fortemente influenzato dal caso, dalla composizione particolare e unica del gruppo. In genere il corso dello sviluppo subisce fortemente l’influenza del paziente con la patologia interpersonale più vistosa (cioè non necessariamente la più grave, ma quella che è più immediatamente evidente al gruppo). Tra i pazienti che possono alterare le tipiche direzioni evolutive troviamo gli individui con la tendenza alla monopolizzazione e all’esibizionismo, l’indiscriminata disponibilità ad aprirsi, o la tendenza incontrollata ad esercitare l’autorità. I terapeuti li apprezzano perché propongono una provocazione al gruppo, stimolano l’espressione delle emozioni e accrescono l’interesse e la vivacità delle riunioni; essi vengono definiti catalizzatori. Comunque la psicoterapia, individuale o di gruppo, dovrebbe essere una sorta di viaggio condiviso e qualsiasi metodo basato su “fasi” può essere pericoloso, se il terapeuta ha idee preconcette e fa riferimento a protocolli procedurali; per questo alcune tendenze inculcate a forza nelle strutture sanitarie pubbliche sono così dannose. Cercare di adeguare la vita del gruppo ad una serie stereotipata di fasi ostacola l’unica cosa veramente desiderata dai clienti: la “presenza terapeutica”. L’appartenenza al gruppo All'inizio la sequenza di sviluppo del gruppo terapeutico è fortemente influenzata dai problemi che riguardano l'appartenenza al gruppo. La rotazione dei membri, i ritardi e le assenze sono fatti importanti nel gruppo in via di sviluppo e spesso ne minacciano l'integrità e la stabilità. Un notevole assenteismo può far deviare l’attenzione e l’energia dai compiti di sviluppo al problema del mantenimento dell’appartenenza al gruppo. Il terapeuta deve intervenire per scoraggiare l'irregolarità della frequenza e se necessario sostituire coloro che se ne sono andati. Rotazione dei membri Un numero significativo di persone abbandona i gruppi interazionali entro le prime 12-20 riunioni. Se due o più membri lasciano, normalmente vengono aggiunti dei nuovi membri, ma spesso una pari percentuale di questi ultimi lascia entro le 12 riunioni. Solo a questo punto il gruppo si stabilizza e comincia a impegnarsi su altre questioni. In genere quando i pazienti sono rimasti nel gruppo per circa venti riunioni a quel punto hanno assunto il necessario impegno a lungo termine. I pazienti che seguono una terapia combinata raramente abbandonano il gruppo. Non solo il terapeuta conosce il paziente così bene che la selezione per il gruppo è ben fondata, ma attraverso il sostegno individuale, egli aiuta il paziente ad affrontare i conflitti o i momenti di sfiducia. Frequenza e puntualità Benché i terapeuti inizialmente incoraggino la frequenza regolare e la puntualità, alcune difficoltà sorgono inevitabilmente nelle prime fasi del gruppo. I ritardi e la frequenza irregolare indicano in genere resistenza alla terapia. Quando parecchi membri del gruppo arrivano tardi o sono assenti bisogna cercare la fonte della Resistenza di gruppo: per qualche ragione la coesione è scarsa e il gruppo è in uno stato d'incertezza. Altre volte la resistenza ha una base individuale e non di gruppo (ad esempio, un paziente che arrivava periodicamente in ritardo, esitava a impegnarsi nel gruppo perché si vergognava della sua impotenza e delle sue fantasie omosessuali. Dopo essersi confidato e aver elaborato la sua vergogna, scoprì che gli importanti impegni di lavoro che avevano la precedenza ed erano responsabili dei suoi ritardi cessarono improvvisamente di esistere). I terapeuti hanno adottato differenti sistemi per migliorare la frequenza: molti sottolineano l’importanza della frequenza regolare durante i colloqui preliminari. Normalmente si usa addebitare la tariffa piena per le sedute mancate. Un paziente che ha una scarsa frequenza alle sedute ha poche possibilità di trarre beneficio dal gruppo. Altri terapeuti cercano di migliorare la frequenza sfruttando la pressione di gruppo: rifiutandosi di tenere la riunione finché non è presente un numero prestabilito di membri. Il gruppo spesso è frustrato e irritato dalle ripetizioni o false partenze provocate dalla frequenza irregolare; il terapeuta dovrebbe incoraggiare i membri del gruppo a esprimere le loro reazioni contro i ritardatari e gli assenteisti. Ma bisogna stare attenti a non punire chi partecipa con regolarità, negando il trattamento mentre si applica la pressione del gruppo sui membri assenti. A volte bisogna però tenere presente che il gruppo immaturo spesso gradisce la riunione ristretta, considerandola un'occasione per godere dell'attenzione più personale del leader; in questi casi la preoccupazione del leader per la frequenza non viene condivisa dal gruppo. L'assenteismo e i ritardi sono una forma di comportamento che riflette caratteristiche, modalità personali di entrare in relazione con gli altri. Occorre quindi esaminare il significato personale dell’azione del cliente. Spesso la psicopatologia del cliente è responsabile della sua scarsa frequenza. Quindi l’assenteismo ed i ritardi sono parte del microcosmo sociale di un cliente e se affrontati possono essere utilizzati a vantaggio della comprensione di sé. I pazienti che devono saltare una riunione o arrivare in ritardo dovrebbero, come viene loro consigliato, telefonare al terapeuta per poter risparmiare al gruppo di perdere tempo nel chiedersi con curiosità che cosa gli sia accaduto. Indipendentemente da quanto piccolo possa essere il gruppo, è molto importante dal punto di vista terapeutico il fatto che i pazienti sappiano che il gruppo è sempre là, stabile, e che ci si può contare; col tempo la sua costanza genererà la costanza della frequenza. Il problema tecnico relativo alle sedute ristrette, in particolare quelle con tre membri o meno, consiste nel pericolo che, in assenza dell'interazione, il terapeuta ritorni a mettere a fuoco i processi intrapsichici in un modo che è caratteristico della terapia individuale e abbandoni la sua concentrazione sul gruppo e sulle questioni interpersonali. Gli abbandoni Un altro fattore frequente è l'abbandono del gruppo. Alcuni clinici sostengono che le defezioni sono non solo inevitabili, ma necessarie alla selezione di un gruppo coeso. Inoltre gli errori nel processo di selezione sono inevitabili, possono verificarsi eventi inattesi nella vita di alcuni membri e possono svilupparsi incompatibilità. I motivi generali di abbandono nascono da problemi causati dalla devianza, dalla formazione di sottogruppi, da conflitti dovuti all'intimità e all'autosvelamento, dal ruolo di provocatore iniziale, dalla tensione esterna, da complicazioni dovute alla simultaneità di terapia individuale e di gruppo e così via. Una preoccupazione comune del gruppo è che anche se i nuovi membri sono necessari, rallentano ugualmente il lavoro del gruppo. Il gruppo teme che sia necessario ricapitolare il materiale già noto per i nuovi venuti e che il gruppo dovrà ricominciare il ciclo, per così dire, e rivivere le fasi della graduale presentazione sociale e del cerimoniale rituale. Questa aspettativa si dimostra infondata; i nuovi pazienti introdotti in un gruppo già avviato di solito arrivano rapidamente al livello prevalente di comunicazione di gruppo e saltano le prime fasi di sperimentazione caratteristiche di un gruppo appena formato. Un'altra causa, meno frequente, dell'accoglienza ambivalente riservata al nuovo venuto è che i pazienti del gruppo che sono migliorati si sentono a volte minacciati dal contrasto con individui nei quali vedono se stessi come erano all'inizio della terapia. Per evitare di esporsi nuovamente a dolorosi periodi di vita passati, spesso vorrebbero evitare i nuovi pazienti, che sembrano la reincarnazione di loro stessi come erano un tempo. Comunemente i nuovi membri hanno una prospettiva unica e costruttiva dei membri del gruppo; vedono i più vecchi così come sono in quel momento, rafforzando la realtà dei cambiamenti ottenuti e ammirandone le qualità e questa forma di feedback può servire da indicatore potente del lavoro svolto e influenzare positivamente il morale di tutti. Direttive terapeutiche E' necessario che i nuovi membri che entrano in un gruppo già avviato siano preparati dal terapeuta all'esperienza terapeutica. Oltre a preparare i pazienti nella maniera normale, il terapeuta dovrebbe anche cercare di aiutarli ad affrontare le tensioni caratteristiche dell'entrare in un gruppo già formato. L’autore preferisce anticipare ai pazienti i sentimenti di esclusione e di smarrimento che proveranno nell'entrare in un ambiente sociale insolito, che non hanno contribuito a costruire. Di solito è utile descrivere al nuovo paziente gli avvenimenti principali delle ultime riunioni. Se il gruppo sta vivendo degli avvenimenti particolarmente intensi è saggio informare i nuovi pazienti in modo più completo. Molti terapeuti preferiscono introdurre i nuovi membri a due per volta. Questo metodo può offrire molti vantaggi sia al gruppo che ai nuovi membri. Anche se l'introduzione di coppie di pazienti non ha dimostrato di diminuire il numero degli abbandoni e a volte, se uno dei due pazienti si integra molto più facilmente dell'altro nel gruppo può sortire l'effetto opposto a creare un disagio ancora maggiore per l'altro, in ogni caso l'introduzione di coppie di pazienti presenta molti elementi positivi: - il gruppo risparmia tempo ed energie assimilando due pazienti insieme; - i due pazienti possono allearsi fra di loro e sentirsi così meno estranei al gruppo. Un’interessante strategia che si può applicare al processo di aggiunta di nuovi membri consiste nel coinvolgere il gruppo nella selezione. Il terapeuta può permettere all'interno del gruppo di intervistare i candidati all'inserimento e quando il candidato esce, votare per il suo ingresso nel gruppo. Inoltre, la procedura può essere a doppio senso: il candidato può valutare il gruppo nello stesso tempo in cui viene valutato. Naturalmente se il gruppo decidesse di non accettare il paziente allora il terapeuta si assume la responsabilità di collocarlo in un altro gruppo. Questa procedura è scomoda, richiede tempo e dovrebbe essere utilizzata solo con un gruppo a lungo termine. L'introduzione di nuovi membri, se vista in modo appropriato, può favorire il processo terapeutico dei membri anziani del gruppo, che possono rispondere ai nuovi venuti con stili estremamente idiosincratici; infatti ogni stimolo importante offerto al gruppo sollecita una varietà di risposte dai membri ed è utile capire i motivi alla base delle diverse risposte, perché chiarisce alcuni aspetti del carattere. Inoltre osservare che alcuni clienti rispondono ad una certa situazione in modo marcatamente diverso dal proprio è un’esperienza che colpisce e, se correttamente utilizzata, può fornire notevoli chiarificazioni sul proprio comportamento. Freud paragonò la psicoterapia ad una partita a scacchi, in quanto si sa di più e si è scritto molto sull’apertura e sulla fine che sulla fase intermedia. CAPITOLO 12: IL GRUPPO AVANZATO Una volta che il gruppo è sopravvissuto ai primi mesi della sua esistenza non è più possibile descrivere delle distinte fasi di sviluppo. Ha inizio il complesso e ricco processo di elaborazione in cui i principali fattori terapeutici operano con crescente forza ed efficacia. Il gruppo avanzato è caratterizzato dalla crescente capacità dei membri di operare riflessioni, esprimere autenticità, autosvelamenti e feedback. La formazione di Sottogruppi Il frazionamento si verifica in tutte le organizzazioni sociali. Il processo può essere transitorio o duraturo, utile o dannoso. La formazione di sottogruppi è una caratteristica inevitabile e di solito disgregatrice della vita del gruppo, eppure se il processo viene compreso e correttamente incanalato, può favorire il lavoro terapeutico. Per spiegare il fenomeno è necessario considerare fattori individuali e fattori legati al gruppo. Fattori Individuali Nel gruppo terapeutico la formazione di sottogruppi nasce dalla convinzione di due o più membri del gruppo di poter trarre maggiore gratificazione da una relazione fra di loro che da una relazione con tutto il gruppo. In un certo senso questi clienti scelgono di “passare all’atto” per alleviare tensioni interne ed evitare un’espressione diretta l’esplorazione di sentimenti ed emozioni. Il passaggio all’atto diventa una forma di Resistenza solo quando il cliente rifiuta di esaminare il suo comportamento nel gruppo; ma se il comportamento esterno al gruppo viene riportato successivamente ed elaborato, può mostrarsi di grande importanza terapeutica. Fattori del Gruppo Il sottogruppo può essere la manifestazione di un forte grado di ostilità non scaricata, in particolare verso un leader autoritario e restrittivo: i membri, incapaci di esprimere la loro rabbia e frustrazione direttamente al leader, liberano questi sentimenti unendosi e prendendo come capri espiatori uno o più altri membri del gruppo. In altri casi la formazione di sottogruppi segnala la presenza di problemi nello sviluppo del gruppo; ad esempio una mancanza di Coesione. Aspetto clinico dei Sottogruppi I sottogruppi sono spesso il risultato della socializzazione al di fuori del gruppo. Incontri per un caffè o una cena, lunghe conversazioni telefoniche, una relazione sessuale… La formazione può verificarsi anche all’interno della stanza in cui ha luogo la terapia, perché i membri percepiscono delle affinità e si alleano. Ci possono essere innumerevoli legami comuni tra i clienti: un analogo livello di istruzione, valori simili, età simile, stato coniugale simile. Nei grandi gruppi sociali spesso si formano due fazioni opposte, ma nei gruppi terapeutici questo di solito non accade: i membri esclusi dal sottogruppo in genere non si uniscono a formare un secondo sottogruppo. I membri del sottogruppo si possono individuare attraverso il loro comportamento: sono sempre d'accordo tra loro indipendentemente dal problema ed evitano di affrontarsi tra loro; può capitare che si scambino sguardi d'intesa quando parla un membro non appartenente al sottogruppo e che insieme arrivino alla riunione e se ne vadano. Conseguenze della formazione di Sottogruppi La formazione di sottogruppi può avere conseguenze terribilmente distruttive sulla vita del gruppo terapeutico. Le complicazioni nascono sia che il paziente venga incluso in un sottogruppo, sia che ne venga escluso. Inclusione: i pazienti inclusi in un sottogruppo, a due o più ampio, spesso scoprono che la vita di gruppo è enormemente più complicata e meno remunerativa. Quando un cliente mette in disparte gli obiettivi di gruppo e fa atto di fedeltà agli obiettivi del sottogruppo, la lealtà diventa un problema di primaria importanza. Deve conformarsi alle regole procedurali del gruppo, che prevedono la disamina libera e sincera dei sentimenti se, così facendo, verrà meno alla riservatezza stabilita segretamente con un altro membro del gruppo? Problemi gravi sorgono quando i membri del gruppo allacciano relazioni sessuali tra loro. Freud che non praticò mai la terapia di gruppo, scrisse nel 1921 un saggio sulla psicologia dei gruppi, in cui sottolineava l'incompatibilità tra una relazione d'amore sessuale e la coesione di gruppo. Pur dissentendo dal fondamento della sua argomentazione, le sue conclusioni sono interessanti: nessun legame di gruppo, sia esso di razza, nazionalità, classe sociale o credo religioso, resiste alla minaccia dell'importanza prioritaria che due persone innamorate danno l'una all'altra. I legami del gruppo terapeutico non fanno eccezione. I membri di un gruppo terapeutico che iniziano una relazione d'amore quasi inevitabilmente daranno con il passare del tempo, maggiore priorità alla loro relazione di coppia rispetto alla relazione con il gruppo. Il loro comportamento è tutto indirizzato all'altro e cancellano così il terapeuta, gli altri membri del gruppo e, cosa più importante, i loro obiettivi primari nella terapia. Fenomeni di questo tipo costituiscono la ragione profonda per cui la formazione di sottogruppi ostacola la terapia. Esclusione: Anche l'esclusione dal sottogruppo complica la vita del gruppo. Si ridesta nei clienti l'angoscia associata alle precedenti esperienze di esclusione che, se non scaricata attraverso l'elaborazione, può arrivare a essere paralizzante. Essi possono essere riluttanti a intromettersi in una relazione o a rischiare di incorrere nell'ira delle persone interessate discutendo del sottogruppo nella seduta. Neanche i terapeuti sono immuni da questo problema. Ricordare in proposito che tutto ciò che capita tra i membri del gruppo, anche al di fuori delle sedute, fa parte del “qui e ora” del gruppo. Se si è in dubbio, rivelare sia ciò di cui si è a conoscenza che i propri dubbi e la propria riluttanza a parlarne. Considerazioni terapeutiche La formazione di un sottogruppo non è inevitabilmente distruttiva. Se gli obiettivi del sottogruppo coincidono con gli obiettivi del gruppo, il sottogruppo può in tal caso favorire la coesione di gruppo. Ad esempio: i membri di un gruppo si preoccuparono di una di loro che si sentiva così sola e scoraggiata da pensare al suicidio. In parecchi la tennero sotto sorveglianza telefonica per una settimana, con vantaggio sia per la paziente che per la coesione di tutto il gruppo. Il principio è chiaro: qualsiasi contatto al di fuori del gruppo può dimostrarsi abbastanza utile, purché non vengano abbandonati gli obiettivi del gruppo. fronte a una solenne domanda: se avesse saputo in anticipo il risultato dell'avventura, avrebbe fatto qualcosa di diverso? Bill disse “No, non avrei fatto niente di diverso! Se non penso io al mio piacere personale chi ci pensa?”. Insisteva sul fatto che i membri del gruppo e il terapeuta, di fatto stavano cercando di derubarlo della sua forza vitale e della sua libertà. Bill non voleva essere oppresso dalla depressione di Jan. C'erano donne che lo amavano in tutto il paese ma per lui queste donne non avevano un'esistenza indipendente: preferiva pensare che nascevano solo nel momento in cui lui appariva loro. Jan tormentò Bill. Gli disse che c'era un altro uomo seriamente interessato a lei e gli chiese di parlare chiaro, di essere sincero riguardo ai sentimenti che provava per lei e di lasciarla libera. Ora Bill era assolutamente certo di non desiderare più Jan. Bill e Jan girarono intorno a queste problematiche per mesi. Di tanto in tanto ripresero la loro relazione, ma sempre con maggior sobrietà e ingannando sempre meno sé stessi. Durante un periodo in cui il gruppo non stava lavorando percepii che era arrivato il momento giusto e li affrontai in maniera energica. Jan arrivò tardi alla riunione. Lei e Bill ridacchiarono quando lui commentò che l'irresponsabilità di lei riguardo ai soldi la rendeva più adorabile. Sbalordii il gruppo osservando che Jan e Bill stavano facendo così poco lavoro terapeutico che mi chiedevo se avesse senso che continuassero a partecipare al gruppo. Bill lasciò la riunione furente con me. Per tutta una giornata fantasticò di sposarla per dimostrarmi che mi sbagliavo, ma ritornò al gruppo per tuffarsi seriamente nel lavoro. Jan fu profondamente abbattuta nei due giorni successivi e poi improvvisamente prese delle decisioni di più ampia portata riguardo al lavoro, al denaro, agli uomini e alla terapia. Il gruppo entrò quindi in una fase di lavoro produttivo che fu ulteriormente approfondita quando introdussi una paziente più anziana che portava con sé molti temi che erano stati trascurati nel gruppo: i genitori, la morte, il matrimonio, il decadimento fisico. Jan e Bill si disinnamorarono. Cominciarono a esaminare le loro relazioni con altre persone del gruppo incluso il terapeuta. Il risultato sia per Jan che Bill fu sbalorditivo, secondo qualunque criterio di considerazione degli esiti. Nei colloqui effettuati nove mesi dopo la loro conclusione della terapia, entrambi manifestarono notevoli cambiamenti. Jan non era più depressa, autodistruttiva o promiscua. Stava vivendo la relazione più stabile e più soddisfacente che avesse mai avuto con un uomo. Bill, una volta compreso di aver voluto una relazione inconsistente con la donna con cui viveva, per permettersi di cercare ciò che in realtà non desiderava, si lasciò andare a provare sentimenti più profondi e si sposò poco dopo, prima di lasciare il gruppo. La sua depressione ansiosa, il suo imbarazzo tormentato, il senso dilagante di vuoto erano stati completamente sostituiti dalle loro controparti vitali. Lo sviluppo e l’elaborazione della loro relazione al di fuori del gruppo non è stata una complicazione, ma una parte imprescindibile della loro terapia. Il prezzo pagato, tuttavia, fu enorme: enormi quantità di tempo, di energie. Gli altri membri furono trascurati e molte questioni importanti non furono nemmeno sfiorate. Il conflitto terapeutico Il conflitto è ineliminabile dalla società umana. Se il conflitto viene negato o represso, si manifesterà inevitabilmente in maniera indiretta, logorante e spesso pericolosa. Sebbene le nostre associazioni immediate con il conflitto siano negative, se riflettiamo un momento ci vengono in mente associazioni positive: il dramma, l'entusiasmo, il cambiamento, lo sviluppo. Il conflitto è inevitabile nella vita di gruppo e la sua assenza indica un deterioramento della sequenza di sviluppo. Esso può essere di grande valore nel corso della terapia. Imparare ad affrontarlo efficacemente è un passo terapeutico importante, che contribuisce alla maturità personale e alla capacità di recupero emozionale. Fonti di ostilità Nel gruppo terapeutico sono molte le fonti di ostilità, affiancate da un egual numero di modelli esplicativi (psicologia dell’Io, delle relazioni oggettuali, del Sé…). - Inizialmente vi sono antagonismi che sono proiezioni del disprezzo di sé dei clienti; essi hanno una così scarsa considerazione di sé che all'inizio è per loro inconcepibile che altri, simili a loro, abbiano qualcosa di valido da offrire. - Il Transfert e le Distorsioni Paratattiche (tendenze a deformare le percezioni degli altri) spesso generano ostilità: un paziente può reagire agli altri non sulla base della realtà, ma sulla base di un'immagine dell'altro deformata dalle sue relazioni del passato e dai suoi bisogni e timori interpersonali attuali. Gli individui possono aver represso per anni o per tutta la vita alcune caratteristiche o desideri per i quali provano grande vergogna; quando incontrano un'altra persona che incarna proprio questi tratti, generalmente la evitano o provano un forte, ma inspiegabile antagonismo nei suoi confronti. - L'Identificazione Proiettiva, un processo inconscio coinvolto nel fenomeno del rispecchiamento, consiste nel proiettare alcuni dei propri attributi su un altro individuo verso cui si sente un'inusuale attrazione-repulsione. L'Identificazione Proiettiva ha una componente intrapsichica e una interpersonale: i contenuti del proprio sé rinnegato non solo vengono collocati su un altro, ma anche in un altro, cosicché il comportamento dell'altro si modifica realmente, per reazione alla comunicazione manifesta e non di chi proietta. Colui che proietta entra in relazione con colui che riceve la proiezione secondo i tratti rinnegati e proiettati con disgusto, orrore o pietà e così facendo modifica il comportamento dell'altro. - La Rivalità può essere un'ulteriore fonte di conflitto, poiché i pazienti competono l'uno con l'altro nel gruppo. Essi possono gareggiare per avere la parte più grande dell'attenzione del terapeuta oppure per un determinato ruolo. - L’aggiunta di nuovi membri al gruppo accende spesso dei sentimenti di rivalità. - Talvolta l'antagonismo si può sviluppare anche sulla base di differenze di opinione fondate su differenti esperienze di vita. I membri del gruppo appartenenti a generazioni diverse, possono discutere sul problema della droga, sull'etica del lavoro, sul codice sessuale o sulle credenze religiose, liberali e conservatori possono scaldarsi molto su questioni politiche. - La disillusione e il disappunto crescenti verso il terapeuta che frustra le aspettative non realistiche dei pazienti nei suoi confronti sono altre fonti di ostilità. Se il gruppo non è in grado di affrontare direttamente il terapeuta, può crearsi un capro espiatorio, una soluzione altamente insoddisfacente sia per la vittima che per il gruppo. L’ostilità può essere compresa tenendo conto le fasi di sviluppo del gruppo; nella prima fase il gruppo incoraggia la regressione e quindi l’emergere di parti irrazionali e selvagge. Durante tutta la vita del gruppo i membri soffrono di ferite narcisistiche, provenienti dai feedback o dal sentirsi trascurati, non compresi, esclusi… che si manifestano attraverso ritorsioni rabbiose. Dopo la fase iniziale di solito la rabbia deriva da: tendenze proiettive, rivalità fra fratelli, transfert, conclusione prematura della terapia di un membro. Come gestire l’ostilità Dato che gli antagonisti sono convinti di essere nel giusto e che gli altri hanno torto, questo porta a posizioni di stallo e all’interruzione della comunicazione: le due parti cessano di prestarsi attenzione e di cercare di comprendersi; si investe più nella verifica delle proprie convinzioni che nella comprensione dell’altro; i gesti di conciliazione vengono concepiti come trucchi insidiosi. Alla base di tutto questo vi è la Sfiducia. Se si permettesse a questa sequenza di realizzarsi anche nei gruppi terapeutici, le possibilità di cambiamento e apprendimento sarebbero scarse. All'inizio della vita del gruppo si devono stabilire un clima di gruppo e delle norme di gruppo che impediscano tali sviluppi. Il requisito primo e indispensabile per riuscire a domare il conflitto è la Coesione: i membri del gruppo devono formarsi un sentimento di fiducia e rispetto reciproci e devono arrivare a valutare il gruppo come un mezzo importante per soddisfare i loro bisogni personali. I pazienti devono capire che perché il gruppo sopravviva deve essere mantenuta la comunicazione, tutte le parti devono continuare a trattare direttamente l’una con l’altra, ognuno deve essere preso sul serio. Il gruppo coesivo, in cui ciascuno viene preso sul serio, elabora rapidamente norme che obbligano i suoi membri ad andare al di là delle ingiurie; ciascuno deve approfondire ed esplorare gli epiteti sprezzanti, deve essere disposto a cercare di capire in modo più approfondito dentro di sé il suo antagonismo e rendere manifesti quegli aspetti degli altri che lo irritano. Si devono fissare delle norme che chiariscano che i membri del gruppo sono là per comprendersi e non per sconfiggere o mettere in ridicolo gli altri. Una volta che un membro si rende conto che gli altri lo accettano e che cercano di capirlo, gli sembra meno necessario mantenersi rigidamente nelle proprie convinzioni e può essere disposto ad indagare sugli aspetti di sé negati in precedenza. L'empatia è un elemento importante nella risoluzione del conflitto e facilita l'umanizzazione della lotta. Da notare che l'eliminazione permanente dei conflitti non è l'obiettivo finale del gruppo terapeutico; il conflitto si ripresenterà costantemente nel gruppo, nonostante l'efficace risoluzione dei conflitti precedenti e nonostante l'esistenza di grande rispetto e confidenza reciproci. E comunque neppure l'espressione sfrenata della rabbia è un obiettivo della terapia di gruppo. E' compito del terapeuta sfruttare il conflitto, usandolo per far crescere i membri del gruppo. Ricordare che l'uso terapeutico del conflitto, come di tutti i comportamenti nel “qui ed ora”, è un processo in due Fasi: - esperienza (espressione delle emozioni); - comprensione dell'esperienza. Per impedire un sovraccarico sarebbe utile fermarsi, capire insieme cosa succede, da dove arrivano le sensazioni forti; per questo si può proporre un Fermo Immagine, cioè spingere verso una posizione riflessiva. Quasi sempre due membri del gruppo che sentono un notevole antagonismo reciproco, potrebbero essere molto utili l'uno per l'altro. Ciascuno ovviamente si preoccupa di come l'altro lo considera, in genere c’è molta invidia e molta proiezione reciproca, due elementi che offrono l’opportunità di s coprire parti nascoste di sé stessi. L'autostima degli antagonisti può aumentare con il conflitto. Quando le persone si arrabbiano vicendevolmente la cosa in sé può essere presa come un'indicazione che sono importanti l'una per l'altra e si prendono sul serio. Alcuni hanno definito queste relazioni rabbiose “amore difficile”. Le persone che non provano alcun interesse reciproco si ignorano vicendevolmente. Per i pazienti che sono incapaci di esprimere rabbia, il gruppo può servire come terreno di prova in cui correre dei rischi e imparare che tale comportamento non è né pericoloso, né necessariamente distruttivo. I pazienti possono essere aiutati a esprimere la loro rabbia in modo più diretto e più completo. Uno dei modi più comuni di lotta indiretta e autolesionistica è quello usato da Jan nell'illustrazione clinica della formazione dei sottogruppi. Questa strategia porta il paziente, in una forma o nell'altra, a farsi del male, nella speranza di provocare senso di colpa nell'altro: è la strategia del “guarda cosa mi hai fatto”. Di solito è necessario molto lavoro terapeutico per cambiare questo modello che è radicato nella prima infanzia. adottare un atteggiamento di sostegno e facilitare un’ulteriore apertura sull’esperienza stessa dell’autosvelamento. Come discusso nel cap. 7, la trasparenza del terapeuta, in particolare nel “qui e ora”, può essere un modo efficace per incoraggiare i membri a fare altrettanto. Ma la trasparenza del leader deve sempre tenere conto di ciò che è utile al gruppo in quel particolare momento; egli non dovrebbe rivelare sentimenti che potrebbero indebolire l’efficacia del gruppo, come impazienza, preoccupazione per un cliente esterno, o altri pensieri decisamente personali. La conclusione del trattamento La fase finale della terapia di gruppo è particolarmente complessa: i membri possono andarsene perché hanno raggiunto i loro obiettivi, oppure abbandonare prematuramente, l’intero gruppo può terminare, il terapeuta può lasciare il gruppo… I sentimenti sulla conclusione devono essere esplorati da diverse prospettive: il membro, il terapeuta, il gruppo nel suo insieme. La parola “conclusione” ha comunemente connotazioni sfavorevoli, ma la fine concordata e condivisa della terapia è una parte positiva e integrale del lavoro terapeutico. La conclusione dovrebbe essere netta e focalizzata, non un lento spegnersi. Affrontare la fine della terapia è un confronto con i propri limiti, ci fa ricordare che quanto sia preziosa la natura delle nostre relazioni e che è necessario concludere con il minor numero possibile di rimpianti rispetto al lavoro fatto, alle emozioni inespresse o ai sentimenti celati. L’uscita di scena del cliente Ciascun paziente che entra nel gruppo vi partecipa, se ne serve e lo vive in modo estremamente personale. Allo stesso modo la conclusione della terapia è una questione strettamente individuale. La sanità decreta che la maggior parte dei gruppi terapeutici siano di breve durata e orientati al problema. La maggior parte dei pazienti hanno bisogno di un periodo che va all'incirca dai 12 ai 24 mesi per ottenere dei cambiamenti sostanziali nella struttura del carattere e miglioramenti per quanto riguarda i sintomi; alcuni clienti possono ottenere moltissimo in pochi mesi, mentre per altri sono necessari anni. Inoltre alcuni hanno obiettivi di gran lunga più ambiziosi di altri. La conclusione del trattamento è solo una fase del processo evolutivo del soggetto, i clienti continuano a cambiare. Dopo la conclusione della terapia non ci sono solo miglioramenti, possono anche avvenire dei regressi. Molti pazienti provano un senso di angoscia e depressione dopo il distacco dal gruppo. Alcuni pazienti prolungano indebitamente la permanenza nel gruppo perché sperano di ricevere delle garanzie riguardo la possibilità di superare difficoltà future. Spesso i pazienti sperimentano una breve recrudescenza della loro sintomatologia originaria poco prima della conclusione del trattamento; il terapeuta deve aiutare il paziente a comprendere che questo fenomeno non è altro che un atto di protesta contro la conclusione. Alcuni nascondono i progressi e i miglioramenti per l’eccessivo timore dell’abbandono e della conclusione del trattamento. Il terapeuta dovrebbe aiutare i clienti a venire a patti con il fatto che non si può mai essere sicuri, si è sempre vulnerabili. Un segnale utile a capire che si è pronti per la conclusione è il fatto che il gruppo diventa meno importante per il paziente. In genere una decisione riguardante la conclusione del trattamento presa ad un momento opportuno verrà discussa per alcune settimane nel gruppo e in quel periodo il paziente in questione elaborerà i sentimenti che nascono dall’aver deciso di andarsene. Il cliente che lascia la terapia individuale può tornare, ma il cliente che lascia il gruppo non potrà più farvi ritorno; il gruppo è un microcosmo che rappresenta alcune delle questioni più cruciali e dolorose della vita. Dopo che il paziente avrà lasciato il gruppo è consigliabile non inserire nessun paziente nuovo per una riunione o più; è il momento giusto per gli altri di fare un bilancio dei progressi ottenuti in terapia. Può essere appropriato anche un addio rituale purché , come qualsiasi evento del gruppo, venga esaminato ed elaborato. Anche il terapeuta deve fare attenzione ai propri sentimenti; alcuni clienti suscitano l’orgoglio di Pigmalione; dire addio a certi clienti è dire addio ad una parte di sé stessi, per di più un addio definitivo: se il terapeuta ha fatto un buon lavoro, il cliente non ha più bisogno di lui e tronca i contatti. L’uscita di scena del terapeuta Il terapeuta che sta per lasciare il gruppo deve affrontare qualsiasi questione irrisolta o rimasta in sospeso con i membri del gruppo. Alcuni clienti riescono ad esprimere materiale fino ad allora celato (percepiscono “l’ultima possibilità”), mentre altri hanno una recrudescenza dei sintomi (come a dire “guarda cosa mi fa la tua partenza”); il terapeuta non deve eludere nessuno di questi problemi, è un’opportunità eccellente per stabilire dei ruoli e aiutare i membri a valutare le proprie risorse. Se i membri del gruppo decidono di continuare, è compito del terapeuta assicurare una nuova leadership. Il processo di transizione richiede tempo considerevole e pianificazione. Un metodo utilizzato è che il nuovo leader incontri singolarmente tutti i membri seguendo il modello degli incontri preparatori al gruppo, mentre il vecchio continua a tenere le riunioni. La fine del gruppo Sono varie le ragioni che portano alla conclusione di un gruppo. I gruppi di terapia breve hanno una data di conclusione già decisa fin dall’inizio. I gruppi aperti terminano di solito solo quando il terapeuta va in pensione o si trasferisce, ma se vi è un co-terapeuta questo può continuare a condurre il gruppo; oppure il terapeuta può decidere di porre termine al gruppo perché la maggior parte dei clienti sono pronti a concludere circa nello stesso periodo. I gruppi odiano morire e i membri in genere evitano la conclusione del trattamento. Possono far finta che il gruppo continui in qualche altra costellazione, per esempio organizzando rimpatriate o incontri regolari. Ma il terapeuta farà bene a porre il gruppo di fronte alla realtà: la fine del gruppo rappresenta una ver perdita. Di solito quando il gruppo è maturo il modo migliore per affrontare la questione è l’approccio diretto: ricordare ai membri che si tratta del loro gruppo e che sta a loro decidere quando porvi termine. Il dolore viene in parte superato condividendo esperienze passate. Il terapeuta non deve “”seppellire” il gruppo troppo presto: deve mantenere la questione della conclusione davanti al gruppo, pur continuando ad esortarlo al lavoro fino all’ultimo minuto. Il terapeuta sperimenta il disagi della conclusione, anch’egli non è impermeabile ai sentimenti di perdita e di lutto e quindi deve entrare nella discussione, facilitare il lavoro del gruppo rivelando i propri sentimenti circa la separazione. Nel piccolo eppur sconfinato microcosmo del gruppo terapeutico si vivono alcuni dei momenti più veri e più sentiti della vita. CAPITOLO 13: I CLIENTI DIFFICILI Ogni paziente deve presentare un problema: il successo della terapia dipende dal fatto che ogni cliente incontri i problemi fondamentali della vita e riesca ad affrontarli nel “qui e ora” del gruppo. Il termine “cliente difficile” è di per sé problematico; egli difficilmente esiste nel vuoto, ma è invece un insieme composto da numerosi elementi: le psicodinamiche del cliente, le dinamiche del gruppo, le interazioni tra il cliente con gli altri membri e il terapeuta. Si tende a sovrastimare il ruolo del carattere del cliente e a sottovalutare il ruolo del contesto interpersonale e sociale. Però alcune costellazioni comportamentali meritano un’attenzione particolare, perché sono comunemente ricorrenti. Analizzeremo otto tipi di clienti difficili: il monopolizzatore, il cliente silenzioso, il cliente ansioso, il cliente lamentoso che rifiuta l'aiuto, il cliente psicotico o bipolare, il cliente schizoide, il cliente borderline e il cliente narcisista. Il Monopolizzatore E’ uno dei problemi più comuni e frustranti per molti terapeuti. E’ un individuo che sembra costretto a chiacchierare incessantemente e che cade in preda all'angoscia se resta in silenzio; se altri prendono la parola si inserisce mediante svariate tecniche: risponde a tutte le affermazioni che vengono fatte nel gruppo, sottolineando continuamente somiglianze tra i problemi di chi sta parlando e i propri, con il ritornello ricorrente “anch'io sono così”. Alcuni tengono le redini della conversazione assumendo il ruolo dell'inquisitore, mentre altri ancora trattengono l'attenzione dei membri del gruppo con materiale bizzarro o sessuale e piccante. Coloro che sono fortemente isterici possono monopolizzare il gruppo mediante il metodo della crisi: espongono al gruppo episodi sconvolgenti di vita, che sembrano sempre richiedere un'attenzione urgente e prolungata. Gli altri membri del gruppo se ne stanno intimiditi in silenzio, pensando che al confronto i loro problemi sono delle banalità. Effetti sul gruppo Sebbene il gruppo per una o due riunioni, accolga con piacere e magari incoraggi il monopolizzatore, l'umore cambia rapidamente trasformandosi in frustrazione e rabbia. Se nel gruppo non c'è un membro particolarmente assertivo, per qualche tempo il monopolizzatore non potrà essere affrontato direttamente; il gruppo può invece covare la sua ostilità in silenzio o fare attacchi indiretti. In genere gli attacchi indiretti contro il monopolizzatore servono solo a peggiorare la situazione e conducono a un circolo vizioso. Il parlare compulsivo del monopolizzatore è un tentativo di affrontare l'angoscia; man mano che egli sente crescere la tensione e il risentimento nel gruppo, anche la sua angoscia aumenta e cresce quindi la sua tendenza a parlare in maniera compulsiva. Alla fine questa fonte di tensione non scaricata eserciterà un effetto distruttivo sulla coesione, che si manifesta attraverso segni di smembramento del gruppo quali la lotta indiretta contro un bersaglio spostato, l'assenteismo, gli abbandoni e la formazione di sottogruppi. Quando il gruppo affronta davvero il monopolizzatore, lo fa spesso in modo esplosivo e brutale; colui che parla a nome del gruppo in genere riceve l'appoggio di tutti, a volte con uno scroscio di applausi. Il monopolizzatore può allora tenere il broncio, imporsi il silenzio totale per una o due riunioni o lasciare il gruppo. In ogni caso, dal punto di vista terapeutico, si è concluso ben poco. Considerazioni terapeutiche Il compito generale del terapeuta è interrompere il modello comportamentale del monopolizzatore. Il cliente noioso Raramente si inizia una terapia perché si è noiosi. Tuttavia, in maniere sottilmente celate, questo disturbo non è infrequente. I pazienti si lamentano di non avere mai nulla da dire, di essere lasciati da parte alle feste, di non essere mai invitati a uscire nuovamente dopo la prima volta, di essere inibiti, timidi, socialmente impacciati. Nel microcosmo sociale del gruppo terapeutico i pazienti noiosi riproducono questi problemi e annoiano i membri dei gruppo e anche il terapeuta; se essi dovessero smettere di frequentare il gruppo, semplicemente ne uscirebbero senza lasciare traccia di sé. Il paziente noioso nella terapia di gruppo, è una persona estremamente inibita, che manca di spontaneità, che non si assume mai dei rischi. Le frasi dei pazienti noiosi sono sempre espresse su un terreno sicuro e sono sempre prevedibili; sono spesso masochisti (si autoflagellano prima che chiunque altro possa colpirli). Dicono quello che pensano sia richiesto dall’esterno, quindi prima di parlare passano in rassegna i visi degli altri, per capire cosa essi si aspettano che dicano e scacciano ogni sentimento che nasce dentro di loro. Lo stile sociale individuale varia considerevolmente: uno può essere silenzioso, un altro artefatto e iperrazionale, un altro timido e schivo, altri ancora sono dipendenti, esigenti e imploranti. Se il terapeuta si sente annoiato da un paziente, ha a disposizione un elemento molto importante. Si deve sempre partire dal presupposto che, se si è annoiati da un paziente, significa che egli annoia anche gli altri membri del gruppo. Il terapeuta deve respingere la propria noia con la curiosità, si deve chiedere “Che cosa lo rende noioso?”. Ricordare che il terapeuta deve mantenere un atteggiamento socratico nei confronti di questi pazienti: il suo compito non è quello di inserire qualcosa nell'individuo, anzi è l'esatto contrario, ossia è quello di far uscire qualcosa che è sempre stato dentro di lui. Quindi non si deve tentare di animare un paziente noioso, o di iniettare verve, spontaneità, ricchezza in lui, si deve invece cercare di identificare le sue parti creative, vitali e infantili che sono state soffocate e aiutarlo a rimuovere gli ostacoli che si frappongono a una libera espressione di questi suoi aspetti. Il cliente lamentoso che rifiuta l'aiuto Il paziente che rifiuta l'aiuto fu individuato per la prima volta da Frank nel 1952. Egli esprime nel gruppo un modello comportamentale molto caratteristico: chiede aiuto al gruppo in modo implicito o esplicito presentando problemi e lagnanze e poi respinge l'aiuto che gli viene offerto. Egli introduce continuamente nel gruppo problemi ambientali o somatici e spesso li descrive in modo da farli apparire insormontabili. Spesso rivolge tutta la sua attenzione al terapeuta, in una lotta instancabile per ricevere da lui cure o consigli. Basa la sua relazione con gli altri membri del gruppo su una sola dimensione: quella di stabilire che egli è più bisognoso di aiuto degli altri. Raramente si mostra competitivo, tranne quando un altro membro del gruppo tenta di accaparrarsi l'attenzione del terapeuta o del gruppo presentando un problema; in questo frangente spesso cerca di sminuire le lagnanze degli altri paragonandole negativamente alle proprie: “Mi sembra una tale perdita di tempo ascoltarti, quando i miei sono problemi di vita o di morte e i tuoi sembrano così superficiali”. Quando il gruppo e il terapeuta rispondono al suo appello, egli respinge l'aiuto offertogli; il rifiuto è inequivocabile, anche se può assumere forme diverse e sfumate: a volte il consiglio è respinto apertamente, a volte indirettamente, a volte può essere accettato verbalmente, ma non tradotto in azione, oppure, se viene tradotto in azione, inevitabilmente non serve a migliorare la situazione del paziente. Effetti sul gruppo Gli altri membri del gruppo prima sono annoiati e irritati, poi frustrati e confusi. Ne soffre la fiducia nel processo di gruppo, in quanto i membri del gruppo provano un senso d'impotenza e inoltre disperano che il gruppo possa rendersi conto dei loro bisogni personali. Il senso di coesione viene compromesso dalla comparsa dell'assenteismo o dal fatto che i pazienti danno vita a sottogruppi nel tentativo di escludere il paziente che rifiuta l'aiuto. Dinamica Il modello comportamentale del paziente che rifiuta l'aiuto sembra essere un tentativo di risolvere un grande conflitto circa la dipendenza: da una parte, il paziente si sente impotente e insignificante e ritiene di dipendere completamente dagli altri per avere un senso di valore personale. D'altro canto però la sua posizione di dipendenza è ampiamente sopraffatta da una profonda sfiducia e ostilità verso le figure di autorità. Ne deriva un circolo vizioso, che si è già verificato per gran parte della sua vita: logorato dal bisogno, egli chiede aiuto ad una figura che prevede non sia disposta ad aiutarlo; la sua previsione del rifiuto deforma la sua modalità di richiesta di aiuto, in modo che la profezia si avvera e si accumulano ulteriori prove a sostegno della sua convinzione circa il malanimo del potenziale soccorritore. Considerazioni terapeutiche Il terapeuta che confonde l’aiuto richiesto con l’aiuto necessario commette un grosso errore. Il cliente sollecita i consigli non per il loro potenziale valore bensì per respingerli; in definitiva il consiglio, la guida, la cura del terapeuta saranno respinti, dimenticati, oppure se seguiti, si dimostreranno inefficaci. Un altro errore grossolano è che il terapeuta si carichi della frustrazione e del risentimento verso il paziente; la ritorsione serve semplicemente a chiudere il noto circolo vizioso, si realizza ancora una volta la previsione di maltrattamento e abbandono fatta dal paziente, il quale trova così una giustificazione per la sua rabbia. Quale condotta deve seguire allora il terapeuta? Un clinico suggerisce, forse in preda alla disperazione, che il terapeuta interrompa il circolo vizioso indicando che egli “non solo capisce, ma condivide i sentimenti d'impotenza del paziente circa la sua situazione”, rifiutandosi così di perpetuare il suo ruolo in una relazione inutile. Si consiglia di non investire energie nel costruire una relazione basata sulla comprensione e sulla sollecitudine; di evitare qualsiasi espressione di ottimismo, incoraggiamento o consiglio e di adottare invece un atteggiamento di ironia in cui si concorda con il contenuto pessimismo del paziente continuando a mantenersi distaccati. Usare fasi come “perché non… sì ma…” perché l’uso di definizioni descrittive rende spesso il processo trasparente ed accettabile per il cliente. Occorre però essere molto cauti nell’approccio canzonatorio, per non cadere nella derisione o nell’umiliazione. Generalmente questo cliente non è consapevole della propria mancanza di empatia e si deve cercare di aiutarlo a considerare la propria influenza sugli altri membri; questo è un passaggio fondamentale nell’analisi del suo modello caratteristico di relazione. Cliente psicotico o bipolare Il destino del paziente psicotico, la reazione degli altri membri del gruppo, le scelte efficaci a disposizione del terapeuta, tutto dipende anche dal momento in cui la psicosi si manifesta nella storia del gruppo. In generale, quanto più il gruppo è collaudato e il membro in questione è ben inserito in esso, tanto più tollerante ed efficace sarà il gruppo nell'affrontare la crisi. Nelle fasi iniziali del gruppo Un paziente gravemente psicotico dovrebbe essere escluso nel processo di selezione, ma i pazienti con una malattia bipolare apparentemente stabile sono indirizzati comunemente alla terapia di gruppo perché affrontino le conseguenze interpersonali della loro malattia. Se per caso o di proposito un paziente così gravemente disturbato viene incluso nel gruppo è quasi inevitabile che ne soffrano sia il gruppo che il paziente. Il gruppo viene ostacolato nei suoi progressi, il paziente cade rapidamente in un ruolo deviante. A volte, nonostante un'attenta selezione, un paziente, a causa di una tensione imprevista derivante da circostanze della sua vita o dal gruppo, diventa psicotico nelle prime fasi della terapia. Il gruppo appena formato è facilmente influenzabile, qualunque episodio che all'inizio del gruppo assorba un'eccessiva quantità di tempo e distolga le energie dai compiti inerenti alla fase di sviluppo è potenzialmente distruttivo per il gruppo. Nelle fasi più avanzate del gruppo La situazione cambia completamente quando in un paziente, che è stato membro attivo e impegnato di un gruppo, si verifica l'improvvisa e grave comparsa di una psicosi. La preoccupazione degli altri membri del gruppo può riguardare inizialmente il paziente e non sé stesso o il gruppo. Poiché avevano conosciuto e compreso come persona il paziente attualmente in crisi psicotica, spesso reagiscono con grande preoccupazione e interesse; è meno probabile che il paziente sia visto come oggetto strano e spaventoso da evitare. Le implicazioni per la terapia di gruppo sono evidenti: i membri di un gruppo terapeutico che partecipano personalmente alla programmazione di una linea d’azione, si impegneranno maggiormente nell’esecuzione del programma. Presteranno maggiori cure a un membro del gruppo che presenti manifestazioni psicotiche e riconosceranno che è un problema anche loro e non solo del terapeuta. La condivisione di intense esperienze emotive di solito rafforza i legami tra i membri del gruppo, quindi aumenta la coesione. Il pericolo per il gruppo si presenta quando il paziente psicotico assorbe un’enorme quantità di energie per un tempo molto lungo. A questo punto altri membri possono uscire dal gruppo: ciò non fa altro che aggravare il problema. In questi casi una possibilità che il terapeuta ha è quella di incontrarsi con il paziente disturbato in sedute individuali finché la crisi perdura. Un cliente in preda ad uno stato ipomaniacale grave è pericoloso per il gruppo, mentre un caso di mania non è un problema perché la decisione è chiara: è necessario un ricovero. Un cliente bipolare con disturbo acuto e scarsamente contenuto non è un buon candidato per un trattamento interazionale. Sono invece utili gruppi omogenei specifici per clienti con questo disturbo. Questi gruppi offrono aiuto psicoeducativo, sottolineano l’importanza di attenersi alla terapia farmacologica, del mantenimento di uno stile di vita salutare e delle routine di autoregolazione. Il cliente con un disturbo del carattere: Schizoide, Borderline e Narcisista Questi tre tipi di clienti difficili si possono incontrare nella terapia di gruppo. Spesso vengono descritti insieme, raggruppati come clienti dell’Asse II, ma i criteri diagnostici del DSM IV non rendono giustizia alla loro complessità e non riescono a catturare adeguatamente la loro esperienza troppo, fare sesso in modo eccessivo, far baldoria, guidare in modo imprudente; 5) minacce ricorrenti di suicidio, comportamenti suicidari o automutilazioni; 6) instabilità affettiva dovuta a eccessiva reattività: 7) sensazione cronica di vuoto; 8) rabbia intensa ingiustificata o mancanza di controllo della rabbia; 9) ideazione paranoide transitoria correlata allo stress. Tuttavia questa categoria manca ancora di precisione; a differenza di altri disturbi questo non è un disturbo omogeneo: un paziente può essere marcatamente dissimile da un altro. Quindi la decisione di includere un paziente borderline in un gruppo dipende dalle caratteristiche dell'individuo esaminato, piuttosto che dalla sua appartenenza a un'ampia categoria diagnostica. Per il terapeuta di gruppo non è importante l’inafferrabile e irrisolvibile domanda “come si è diventati ciò che si è”, ma piuttosto la natura delle forse esistenti nei fatti, che influenzano il modo in cui il cliente si mette in relazione con gli altri. Siccome questi clienti sono difficili da diagnosticare in un’unica seduta preliminare, molti clinici li introducono senza volerlo. Ci sono comunque sempre più prove che la terapia di gruppo sia una forma efficace di cura; in particolare il trattamento in gruppo eterogeneo, combinato a quello individuale (questi pazienti sono estremamente difficili da trattare in terapia individuale, perché essi agiscono la rabbia con assenze, ritardi, uso di droghe o automutilazioni); la loro terapia è molto lunga, si tratta di molti anni. L’angoscia di separazione e la paura dell’abbandono svolgono un ruolo cruciale nella dinamica del cliente borderline. La minaccia di una separazione fa nascere una grande angoscia e mette in gioco le difese peculiari di questa sindrome: scissione, identificazione proiettiva, svalutazione e fuga. Il gruppo può mitigare l'angoscia di separazione in due modi: il primo luogo vengono introdotti uno o due nuovi terapeuti nella vita del paziente e ciò lo protegge dalla grave disforia che si verifica quando il terapeuta individuale non è disponibile. Inoltre il gruppo stesso diventa un'entità stabile nella vita del paziente, un'entità che esiste anche in assenza di alcuni membri. Il gruppo offre un’opportunità unica per sperimentare la perdita di una relazione importante (l’uscita di un altro cliente) vivendola alla presenza confortante di altri che stanno affrontando contemporaneamente la stessa perdita. Inoltre il paziente borderline può avere una funzione stabilizzatrice sul gruppo, perché l’angoscia di separazione li induce a tenere unito il gruppo. Uno dei maggiori vantaggi che può fornire il gruppo è il potente esame di realtà che viene fornito dal continuo flusso di feedback; in questo modo la regressione è molto meno pronunciata: le distorsioni, i bisogni e le paura primitive possono essere smorzati dai continui richiami alla realtà. E’ comunque necessario che il cliente abbia la capacità di tollerare almeno una minima quantità di frustrazione o di critica, senza agiti eccessivi. La maggior parte dei gruppi eterogenei di pazienti esterni possono, nel migliore dei casi, inglobare solo uno o al massimo due pazienti. Il cliente narcisista Un narcisismo appropriato, cioè un sano amore per sé stessi, è essenziale per lo sviluppo del rispetto e della fiducia in sé. L'eccessivo narcisismo prende invece la forma di un amore di sé che esclude gli altri, che fa perder di vista il fatto che gli altri siano esseri senzienti; che gli altri sono costituiti da un Io, che costruisce e sperimenta un mondo unico. Nella forma estrema, i narcisisti sono egoisti e sperimentano il mondo e gli altri individui come esistenti unicamente per loro. Sebbene esista una diagnosi formale del disturbo narcisistico di personalità, vi sono molti individui con tratti narcisistici che creano problemi interpersonali caratteristici nel corso della terapia di gruppo. Secondo il DSM-IV-TR questo disturbo richiede almeno 5 dei seguenti 9 criteri: 1) Senso grandioso dell’importanza del Sé; 2) essere assorbito da fantasie di successo illimitato, potere, amore o grande talento; 3) credere di essere speciali e di poter essere capiti solo da altri individui speciali e di alto status; 4) richiedere un’ammirazione eccessiva; 5) possedere un forte senso dei propri diritti; 6) presentare un comportamento di sfruttamento interpersonale; 7) mancare di empatia; 8) essere spesso invidiosi degli altri; 9) manifestare un comportamento o atteggiamenti arroganti e presuntuosi. Molti individui con difficoltà narcisistiche presentano aspetti di grandiosità, bisogno di essere ammirati dagli altri e mancanza di empatia. Tendono ad avere una vita emotiva vuota, traggono poche gioie dalla vita eccetto i tributi dagli altri e tendono a svalutare quelli da cui non si aspettano molti riconoscimenti. La loro autostima è fragile e si impoverisce facilmente, generando spesso sdegno verso la fonte dell’affronto. Problemi generali Il paziente narcisista presenta in genere un decorso più tempestoso, ma più produttivo nel gruppo rispetto alla terapia individuale. Di fatto la modalità individuale offre così tanta gratificazione che il problema emerge più lentamente: viene ascoltata ogni parola del paziente, viene esaminato ogni sentimento e fantasia e così via. Nel gruppo invece ci si aspetta che il paziente condivida il tempo con gli altri, entrando in empatia, aiutando, avviando relazioni, preoccupandosi dei sentimenti altrui. Questo cliente si sente vivo quando è al centro dell’attenzione, protegge orgogliosamente la sua unicità e, dato che in questo caso l'attenzione non è sempre rivolta a lui, può risentirsi qualora venga incluso nelle interpretazioni del gruppo, come massa. Il fatto che gli altri membri del gruppo identifichino, si oppongano e blocchino le richieste di attenzione del narcisista, frustra il paziente. Alcuni pazienti che si sentono speciali, pensano non solo di meritare la massima attenzione da parte del gruppo, ma che questa attenzione debba arrivare senza che loro facciano alcuno sforzo. Si aspettano che il gruppo si preoccupi per loro, vada loro incontro, pretendono interesse mentre loro non ne dimostrano. La mancanza di empatia di questo cliente è particolarmente evidente nel gruppo; egli non fa mai domande, non sostiene e non aiuta gli altri. Egli può descrivere le sue esperienze di vita con grande entusiasmo, ma è un pessimo ascoltatore e si annoia quando parlano gli altri. Molti terapeuti fanno distinzione tra il narcisista “ipergratificato” e quello “ipogratificato” che tende a sentire di più le privazioni ed è più irritato, addirittura esplosivo. Il comportamento del secondo tipo è frainteso dagli altri membri del gruppo, che interpretano la rabbia come un attacco al gruppo piuttosto che come l'ultimo disperato tentativo di difendere un Sé altrimenti indifeso. I gruppi terapeutici hanno un grande vantaggio nel trattamento dei narcisisti patologici, perché i terapeuti non devono fungere da sostenitori della realtà, in quanto gli altri membri del gruppo assumono quel ruolo e fornisco esami di realtà potenti ed accurati. Questi clienti sono eccessivamente sensibili alle critiche ed è fondamentale che gli altri non esitino ad affrontarli in modo diretto e coerente. Se il gruppo comincia ad ignorare, difendere o trattare da mascotte un narcisista, la terapia fallisce, perché il gruppo non offre più un esame di realtà e il cliente assume il dannoso ruolo di deviante. Conclusioni Con tutti questi clienti problematici il compito maggiore del terapeuta è gestire in modo terapeutico l’individuo altamente vulnerabile all’interno del gruppo. CAPITOLO 14: FORME SPECIALI DI TERAPIA E TACNICHE AUSILIARIE Nella forma tipica di terapia di gruppo (sei, otto clienti) intervengono spesso altri fattori: il paziente può essere contemporaneamente sottoposto a terapia individuale; nel gruppo ci può essere un coterapeuta; occasionalmente il gruppo può riunirsi in assenza del terapeuta; il cliente può essere partecipe di un gruppo dei dodici passi. Vediamo queste varianti ed alcune tecniche che, anche se non sono indispensabili, possono accelerare il corso della terapia. Terapia individuale e terapia di gruppo effettuate simultaneamente La terapia Congiunta è un tipo di trattamento in cui il paziente viene visto da un terapeuta in terapia individuale e da un terapeuta diverso nella terapia di gruppo. Nella terapia Combinata il paziente viene trattato dallo stesso terapeuta simultaneamente in terapia individuale e di gruppo. E' probabile che nella pratica privata la terapia Combinata sia più impiegata della terapia Congiunta. Non si dovrebbero assolutamente considerare la terapia Congiunta e quella Combinata come equivalenti. Esse hanno aspetti e indicazioni cliniche estremamente diversi. Ogni volta che si integrano due modalità di trattamento, bisogna considerare la loro compatibilità: di più non sempre significa di meglio. La terapia Congiunta Per l’autore la terapia individuale congiunta di solito non è essenziale per la terapia di gruppo, ma il cliente caratterologicamente difficile ha bisogno di una terapia in simultanea, sia essa combinata o congiunta (clienti che hanno vissuto abusi sessuali o per i quali la vergogna è particolarmente importante). Piuttosto comunemente membri di un gruppo possono attraversare una grave crisi esistenziale che richiede il sostegno di una terapia individuale temporanea. A volte il processo terapeutico di gruppo richiede una terapia individuale per prevenire l'eventualità che un cliente abbandoni il gruppo o per controllare più da vicino un paziente suicida o impulsivo. La terapia individuale può facilitare il miglioramento del paziente nella terapia di gruppo, ma è vero anche il contrario: la terapia di gruppo può essere usata per far progredire o facilitare il decorso della terapia individuale. Spesso l'interazione affettiva del gruppo è meravigliosamente stimolante e dà luogo a un'ampia gamma di dati, sia per il lavoro individuale che per quello di gruppo. Nei casi in cui, nei clienti caratteriologicamente difficili, nella terapia individuale emergano gravissimi problemi di transfert, il gruppo terapeutico può essere particolarmente utile nel diluire il transfert e nel facilitare l'esame di realtà. Complicazioni Oltre a questi vantaggi, nella terapia Congiunta vi sono numerose complicazioni: - quando c'è una differenza marcata tra gli orientamenti di base del terapeuta individuale e del terapeuta di gruppo, le due terapie possono seguire due vie opposte per raggiungere lo stesso scopo; - spesso i clienti che iniziano la terapia di gruppo sono scoraggiati e frustrati dalle sedute iniziali, che offrono un aiuto meno valido della terapia individuale, dove i loro bisogni narcisistici sono Quando il gruppo è a tempo definito mentre la terapia individuale prosegue, allora se vi è una terapia da considerarsi come primaria, è la terapia individuale, che continua ad elaborare da un mese all'altro gli elementi forniti dal gruppo. I gruppi di terapia Combinata sono per la maggior parte guidati da un solo terapeuta. Vi sono eccezioni: un terapeuta può invitare un collega o uno studente a guidare con lui il gruppo; due terapeuti possono mettere insieme i rispettivi pazienti individuali in modo da avere un numero di persone sufficiente a formare un gruppo. Combinare la terapia di gruppo con i gruppi dei dodici passi E’ sempre esistita una certa antipatia tra le categorie che proponevano queste due modalità, che a volte sfociava in una denigrazione reciproca. Di recente si è diventati consapevoli del fatto che soggetti che fanno uso di sostanze da abuso sperimentano di norma anche un disturbo interpersonale e vi sono prove che la terapia di gruppo può giocare un ruolo importante nel superare la dipendenza. Vi sono prove anche a favore dei risultati ottenuti con la terapia dei dodici passi. I gruppi terapeutici e gli alcolisti anonimi (o gruppi analoghi per altre dipendenze) possono integrarsi vicendevolmente, se vengono rimossi alcuni ostacoli: - i leader dei gruppi devono informarsi sul meccanismo con cui operano i gruppi dei dodici passi e imparare ad apprezzare la saggezza che sta alla base del loro programma e l’enorme sostegno che esso offre; - chiarire equivoci e malintesi (gruppi dei dodici passi sono contrari ai farmaci, incoraggiano a ridurre la responsabilità personale… la terapia di gruppo tralascia la spiritualità…). E’ difficile fare affermazioni generali sulle riunioni degli AA, perché non sono tutte uguali. Le differenze maggiori riguardano: - gli AA si affidano pesantemente alla relazione dei membri con un potere superiore, alla sottomissione a quel potere e alla comprensione del Sé in relazione a quel potere; - la terapia di gruppo incoraggia l’interazione fra i membri, soprattutto nel “qui e ora” (mentre gli AA proibiscono esplicitamente lo scambio di battute durante le riunioni; ma dato che non c’è un leader esperto a guidare il gruppo, la decisione appare saggia e funzionale). Converrebbe che il terapeuta frequentasse qualche riunione degli AA per acquisire dimestichezza con i dodici passi, per poter utilizzare un linguaggio comune che copra entrambe le modalità e rafforzi l’idea che la terapia ed il processo di recupero si facilitino a vicenda. Per le convergenze cercate da Yalom tra le due modalità, vedi tabella a pagina 476. I Coterapeuti Alcuni terapeuti di gruppo preferiscono incontrare il gruppo da soli ma la maggior parte preferiscono lavorare con un co terapeuta. L'esperienza clinica insegna che la coterapia può presentare particolari vantaggi, soprattutto ai terapeuti alle prime armi, ma presenta anche potenziali pericoli. Finché il terapeuta non acquista sufficiente esperienza da essere ragionevolmente sicuro del suo modo di presentarsi al gruppo, il feedback del coterapeuta è fondamentale per permettere di discernere ciò che è reale da ciò che è distorsione di Transfert nella percezione che i pazienti hanno di lui. Analogamente i coterapeuti possono aiutarsi reciprocamente nell'identificare e nell'elaborare le loro reazioni di Controtransfert nei confronti dei diversi pazienti. (Un gruppo prescrisse unanimemente a un giovane di approfittare di un gran numero di occasioni sessuali che erano casualmente disponibili, per cercare di elaborare la sua timidezza sessuale. In realtà il consiglio era disastroso per quel paziente, che con gradi difficoltà stava occupandosi della sua relazione con la giovane moglie; tuttavia incapace di opporsi a quanto accadeva nel gruppo, il terapeuta si trovò ad aderire al consiglio che il gruppo aveva dato al paziente. Le decisioni del gruppo sono spesso eccessive e in una situazione simile un co-terapeuta può servire da moderatore). Una delle incombenze più spiacevoli e difficili per il terapeuta principiante è resistere all'attacco del gruppo nei propri confronti e aiutare il gruppo a farne un uso costruttivo; in questo caso la presenza di un co-terapeuta può rivelarsi preziosa: può aiutare i membri del gruppo a elaborare la loro rabbia e nello stesso tempo incoraggiare l'ulteriore esame di tutti i sentimenti verso il terapeuta. Sono emersi risultati interessanti da una coppia di coterapeuti costituita da figlio e padre: i terapeuti conclusero che la presenza di un padre e di un figlio che lavoravano insieme in armonia era per i pazienti una dimostrazione vivente della soluzione positiva dei conflitti tra genitori e figli. Un problema controverso è quello della convenienza o meno che i coterapeuti esprimano apertamente il loro disaccordo durante la seduta di gruppo. In genere ho trovato che il disaccordo dei co-terapeuti non è utile al gruppo nelle prime riunioni: in quella fase il gruppo è troppo instabile e non ancora abbastanza coesivo da tollerare una simile divisione nella leadership. Successivamente il dissenso dei terapeuti può contribuire moltissimo alla terapia; tuttavia alcuni pazienti provano disagio al vedere la discordia esistente fra i coterapeuti, come se assistessero a un conflitto tra i loro genitori, ciò nonostante la sincerità e la forza del gruppo ne escono rafforzate. Vantaggi - I coterapeuti si equilibrano e si sostengono reciprocamente; - insieme, le loro possibilità cognitive e osservative sono più ampie; - con il loro duplice punto di vista danno origine a numerose idee e strategie; - la natura delle distorsioni di transfert diventa più evidente perché i pazienti si differenziano tra di loro nelle relazioni verso ciascuno dei coterapeuti e nelle relazioni che stabiliscono con loro. La maggior parte dei coterapeuti si suddividono i ruoli: un terapeuta assume un ruolo più provocatorio, più socratico, mentre l'altro offre più appoggio e mantiene l'armonia del gruppo. Una coppia di coterapeuti uomo e donna può offrire peculiari vantaggi: si può evocare con più forza l'immagine del gruppo come famiglia primaria. Svantaggi Gli svantaggi della coterapia nascono dai problemi esistenti nella relazione tra i due coterapeuti. E' importante che essi si sentano a proprio agio e aperti l'uno con l'altro. Un leader può essere più capace di educare e sostenere e l'altro, più capace di affrontare e tollerare la rabbia. Se i coterapeuti sono competitivi e seguono le loro interpretazioni personali, piuttosto che sostenere ciascuno la linea di indagine proposta dall'altro, allora il gruppo sarà confuso e turbato. E' altrettanto importante che i coterapeuti utilizzino il medesimo linguaggio professionale. Se due terapeuti con livelli di esperienza nettamente differenti devono guidare insieme un gruppo, entrambi devono essere maturi, a proprio agio con l'altro e nei propri ruoli di cooperatori e di insegnate e allievo. Il leader esperto insegna ponendosi come modello e incoraggiando il neofita a partecipare in ogni modo possibile. L'allievo si sforza di evitare una competizione distruttiva e un'ossequiosa mancanza di assertività: uno dei suoi compiti è separarsi e differenziarsi dal suo maestro. Sulla base delle considerazioni precedenti, la scelta del coterapeuta non dovrebbe essere fatta alla cieca: non acconsentire a guidare il gruppo con qualcuno che non conoscete bene o che non vi piace. Meglio guidare un gruppo da soli con una buona supervisione che lasciarsi bloccare in una relazione troppo vincolante di coterapia. La Scissione è un fenomeno che si verifica spesso nei gruppi guidati da coterapeuti: certi pazienti rispondono ai propri sentimenti di impotenza e di debolezza di fronte alle figure di autorità cercando di separare i terapeuti in un modo molto simile a quello in cui, nella loro famiglia originaria, possono aver cercato di dividere i genitori. Possono intromettersi tra loro. Un simile processo dovrebbe essere individuato e interpretato; in genere indica atteggiamenti fortemente conflittuali verso le figure di autorità. Alcuni dei gruppi si spaccano in due fazioni e ciascun coterapeuta ha la sua squadra di pazienti con i quali si trova in una relazione speciale. Altri pazienti si schierano dalla parte di uno dei terapeuti per le sue caratteristiche personali o perché ritengono che sia più intelligente. E' parte essenziale di un buon team di coterapia il Momento della Discussione: i coterapeuti devono fissare un tempo al di fuori del gruppo per parlare insieme e prendersi cura della propria relazione. Come minimo hanno bisogno di alcuni minuti prima di ciascuna riunione e da quindici a venti minuti alla fine per fare un resoconto e condividere le proprie riflessioni ciascuno sul comportamento dell'altro. La riunione senza leader Alcuni terapeuti, specialmente quelli che guidano riunioni con gruppi a lungo termine più di una volta alla settimana, programmano una riunione senza leader o alternata. Il concetto risale al 1949 quando Alexander Wolf, un pioniere nella storia della terapia di gruppo, propose per la prima volta l'uso di riunioni alternate periodicamente programmate senza il terapeuta; i suoi gruppi che si riunivano tre volte alla settimana ed egli chiedeva di riunirsi altre due o tre volte senza di lui a casa di uno dei membri del gruppo. Oggi i terapeuti usano solo raramente una riunione senza leader regolarmente programmata, ma non è insolito che fissino una riunione senza leader nelle poche occasioni in cui sono fuori città. Tali riunioni sono sempre meno utilizzate. All'inizio i membri del gruppo in genere non accolgono con favore la proposta di una riunione senza leader, perché ciò fa sorgere molte paure infondate delle conseguenze della sua assenza. In uno studio l’autore ha chiesto a una serie di pazienti che avevano seguito la terapia di gruppo per almeno otto mesi che cosa sarebbe accaduto nel gruppo se i terapeuti fossero stati assenti. La maggior parte ha espresso in ordine di frequenza queste preoccupazioni: 1. Il gruppo devierebbe dal suo compito fondamentale. Ci sarebbe un'atmosfera da riunione mondana, i problemi sarebbero evitati, ci sarebbero lunghi silenzi. “Chi si preoccuperebbe di reinserire nella conversazione quelli che non parlano?”; 2. Il gruppo perderebbe il controllo delle sue emozioni. La rabbia sarebbe senza freni e nessuno sarebbe disponibile né per portare soccorso ai membri del gruppo che sono stati offesi né per aiutare i membri del gruppo aggressivi a controllarsi. Molte preoccupazioni sono manifestamente infondate e riflettono una posizione infantile e dipendente ed è proprio per questa ragione che una riunione senza leader può svolgere una funzione importante nel processo terapeutico. Si aiutano così i membri del gruppo a sperimentare sé stessi come adulti autonomi, responsabili e pieni di risorse che, anche se possono trarre vantaggio dalla presenza del terapeuta, sono tuttavia in grado di controllare le proprie emozioni. Le riunioni senza leader incoraggiano la maturazione personale e la capacità decisionale. Perché la riunione senza leader sia un'esperienza costruttiva è importante scegliere il momento adatto: il terapeuta deve essere sicuro che il gruppo abbia sviluppato la coesione e creato norme efficaci, prima di proporre che vengano prese in considerazione le riunioni alternate. Questo lavoro richiede approssimativamente dai venti ai 20-30 minuti ed è meglio redigerlo dopo la seduta. E' assoluta convinzione dell’autore che questa procedura faciliti moltissimo la terapia. La sua prima esperienza con il riassunto scritto fu in terapia individuale. Una giovane donna, Ginny, aveva frequentato un gruppo terapeutico per sei mesi, ma dovette interrompere perché si era trasferita fuori città e non riusciva a organizzarsi con i trasporti per arrivare in tempo alle riunioni. Inoltre la sua timidezza eccessiva e la sua inibizione le avevano reso difficile partecipare al gruppo. Fui d'accordo nel trattarla in terapia individuale, ma a una condizione: dopo ogni seduta lei doveva scrivere un riassunto parlando a ruota libera delle sue impressioni sulla realtà nascosta della seduta, esprimendo ciò che pensava e sentiva veramente, ma che non aveva espresso a parole. Mi dissi d'accordo nello scrivere un riassunto ugualmente sincero. Ginny aveva un transfert positivo pronunciato, mi idealizzava in ogni modo, e io speravo che un riassunto scritto che trasmettesse i miei veri sentimenti, come il piacere, lo scoraggiamento, la confusione, la stanchezza, le avrebbe consentito di rapportarsi a me in modo più spontaneo. Per un anno e mezzo Ginny e io scrivemmo riassunti settimanali e l'esperimento si rivelò molto positivo: Ginny migliorò e i riassunti contribuirono molto a quel successo. I riassunti sono più validi se sono sinceri e diretti riguardo al processo terapeutico. L’autore li fa praticamente identici a quelli che redige per il suo archivio personale e si basano sul presupposto che il paziente è un collaboratore a tempo pieno del processo terapeutico e che la psicoterapia viene rafforzata, non indebolita, dalla demistificazione. Il riassunto ha parecchie funzioni: - aiuta a comprendere i fatti che si verificano nella seduta; - individua quali sono le riunioni buone; - nota e ricompensa i progressi del paziente e gli sviluppi indesiderati; - fornisce interpretazioni. Rinvigorimento e continuità Il riassunto diventa un ulteriore contatto per il gruppo durante la settimana. I gruppi diventano più forti se il lavoro presenta una maggiore continuità, se gli argomenti presi in esame in una riunione non vengono abbandonati, ma esplorati più in profondità nelle riunioni successive. Il riassunto incrementa questo processo. Spesso i pazienti cominciano una riunione facendo riferimento al riassunto della riunione precedente, che può essere un tema che desiderano esplorare o un affermazione su cui non sono d'accordo. Il processo di comprensione Il riassunto aiuta i clienti a sperimentare nuovamente e a comprendere i fatti importanti della riunione. Abbiamo detto che il “qui e ora” è costituito da due fasi: esperienza e comprensione dell’esperienza: il riassunto facilita la seconda fase. E’ più facile che il cliente ascolti le interpretazioni del terapeuta non nella mischia del momento, ma più tardi, essendo lontano dall’intensità del coinvolgimento. Creazione delle norme del gruppo I riassunti possono essere utilizzati per rafforzare alcune norme in modo implicito ed esplicito. L’influenza del terapeuta Il terapeuta può, nel riassunto, tenere viva l'attenzione del paziente sul suo compito primario, ricordandogli il proposito che aveva assunto all'inizio della terapia. Idee nuove Spesso il terapeuta comprende un evento dopo che si è verificato. Inoltre i riassunti forniscono al terapeuta una seconda opportunità per trasmettere importanti considerazioni che non erano state esposte per mancanza di tempo o per un atteggiamento troppo difensivo del cliente. Trasmissione della prospettiva temporale del terapeuta I terapeuti, rispetto ai clienti, mantengono una prospettiva temporale a lungo raggio e sono consci dei cambiamenti che si verificano nel corso del tempo nel gruppo ed in ciascuno dei suoi membri. I riassunti offrono ai clienti un'ulteriore prospettiva temporale: poiché essi quasi sempre conservano e archiviano i riassunti, hanno alla fine un resoconto globale del loro progresso nel gruppo, resoconto a cui possono con grande profitto fare riferimento in futuro. L’autosvelamento del terapeuta attraverso i riassunti I terapeuti, a beneficio dei clienti, possono usare il riassunto come mezzo per rivelare i sentimenti personali originatisi nel “qui e ora” e le loro idee riguardo alla teoria e alla logica su cui si basa il proprio comportamento nel gruppo. Colmare lacune Un'evidente e importante funzione del riassunto è quella di colmare le lacune dei pazienti che perdono le riunioni per malattia o per vacanze. I riassunti li tengono aggiornati su quanto è accaduto e li mettono in grado di rientrare più rapidamente nel vivo delle riunioni. Nuovi clienti L'inizio della terapia di un nuovo paziente può essere anche facilitato dalla lettura dei riassunti delle riunioni precedenti. Di solito si chiede ai nuovi pazienti di leggere i riassunti prima di partecipare alla prima riunione. Conclusioni e consigli dell’autore I riassunti facilitano la terapia. La relazione paziente-terapeuta ne è rafforzata e non si verifica nessuna complicazione di transfert. Ovviamente viene chiesto ai pazienti di considerare i riassunti con lo stesso grado di riservatezza con il quale considerano gli altri eventi del gruppo. Si usano solo i nomi di battesimo, si evita ogni identificazione esplicita di qualche problematica particolarmente delicata e si spedisce il tutto senza indicare il mittente sulla busta. E' meglio dettare il riassunto immediatamente dopo una seduta. Fare in modo che tra la riunione e il riassunto non intervenga neanche una telefonata. E’ consigliata questa pianificazione: prima cercate di costruire l'ossatura della riunione ricordando dalle due alle quattro problematiche più importanti. Cercare di ricordare le transazioni che si sono verificate tra le diverse problematiche. Quindi tornare a ogni problematica e cercare di descrivere il contributo alla discussione di ciascun membro del gruppo per ciascuna di esse. Prestare particolare attenzione al proprio ruolo, compreso ciò che si è detto e ciò che ci è diretto. Documentazione della terapia di gruppo La documentazione deve mantenere la riservatezza e soddisfare diversi obiettivi: - dimostrare che è stato fornito il giusto tipo di cura; - descrivere il processo e l’efficacia del trattamento; - facilitare la continuazione della cura da parte di un altro terapeuta in un momento successivo; - verificare che è stato fornito in una certa data e ad una certa ora un servizio per cui è stata emessa una ricevuta. Per questo si raccomanda di tenere un doppio archivio: un archivio di gruppo e un dossier separato per ogni membro. Esercizi strutturati L’autore usa il termine esercizi strutturati per denotare un'attività in cui un gruppo segue una certa serie specifica di istruzioni. La logica che sta alla base degli esercizi strutturati varia, ma in genere si ritiene che essi accelerino la terapia. Gli esercizi strutturati cercano di velocizzare il gruppo con metodi di riscaldamento che aiutano a superare i primi esitanti e difficili passi della terapia; rendono più rapida l'interazione assegnando agli individui che interagiscono compiti che permettono di aggirare un comportamento sociale di presentazione ritualizzato, e rendono più rapido il lavoro individuale, utilizzando tecniche progettate per aiutare i membri del gruppo a muoversi per entrare in contatto con le emozioni represse, con le parti sconosciute di loro stessi e con le proprie caratteristiche fisiche. L'esercizio strutturato può richiedere solo alcuni minuti oppure occupare un'intera riunione. Può essere prevalentemente verbale oppure non verbale, può coinvolgere l'intero gruppo in quanto gruppo oppure un membro a confronto diretto con il gruppo (ad esempio la caduta fiduciosa: un individuo sta in piedi a occhi chiusi in mezzo al gruppo e si lascia cadere, permettendo agli altri di sostenerlo, di accudirlo e cullarlo), oppure il gruppo come insieme di individui (si può chiedere a ogni membro del gruppo di comunicare le proprie impressioni iniziali rispetto agli altri), o il gruppo come coppie (la camminata nel buio: il gruppo è diviso in coppie che devono compiere un breve percorso e in ogni coppia uno dei due viene bendato e viene guidato dall'altro), oppure una coppia designata ( si può chiedere a due membri del gruppo impegnati in un conflitto di alternarsi nello spingere lentamente a terra l'altro e nel tirarlo su), o ancora un membro designato (il cambio di sedie: si può chiedere a un membro del gruppo di dar voce a due o più ruoli interiori conflittuali, spostandosi da una sedia all'altra mentre assume uno o l'altro ruolo). La popolarità di questi esercizi è stata notevolmente accresciuta dalla terapia della Gestalt, ma l’uso sconsiderato degli esercizi strutturati ha portato al fallimento dell’intento che stava alla base delle tecniche. La Gestalt è un’impresa ambiziosa e meditata, mentre spesso viene considerata una terapia veloce, orienta all’uso di espedienti. Essa cerca di penetrare i sistemi di diniego e fornisce ai clienti nuove prospettive sulla loro posizione nel mondo. Purtroppo la tecnica è stata spesso scambiata per l’essenza dell’orientamento, anche per il virtuosismo creativo e tecnico dello stesso Perls e la sua abilità di fare proseliti, portando molti a confondere il mezzo con il messaggio. Utilità degli esercizi strutturati Gli studi sono giunti alle seguenti conclusioni: i leader che usavano molti esercizi strutturati erano popolari all'interno dei loro gruppi. Nel periodo immediatamente successivo alla conclusione di un gruppo, i membri del gruppo li consideravano più competenti, più efficaci e più sensibili del leader che ne facevano un uso più limitato. Tuttavia i membri dei gruppi in cui si faceva più ampio uso di esercizi strutturati avevano
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