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Norme Giuridiche: Tipi, Funzioni e Gerarchie, Sintesi del corso di Teoria Generale Del Diritto

Una introduzione alla comprensione delle norme giuridiche, loro tipi, funzioni e gerarchie. Esplora le differenze tra norme permissive e definitorie, norme primarie e secondarie, norme formali e materiali, e le gerarchie formali e materiali. Inoltre, discute il concetto di ordinamento giuridico e istituzioni, e il conflitto tra norme comunitarie e nazionali.

Tipologia: Sintesi del corso

2012/2013

Caricato il 13/09/2013

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Scarica Norme Giuridiche: Tipi, Funzioni e Gerarchie e più Sintesi del corso in PDF di Teoria Generale Del Diritto solo su Docsity! TEORIA GENERALE DEL DIRITTO DAL LIBRO “LA SINTASSI DEL DIRITTO” INTRODUZIONE. Diritto e giurisprudenza: Si può caratterizzare la Filosofia del d. positivo mostrandone le sue relazioni con: • Il diritto stesso • La giurisprudenza Il Diritto = insieme di quei documenti normativi che si dicono “leggi”: le leggi in senso tecnico (atti del potere legislativo), la costituzione (atti del potere costituente) , i regolamenti (atti del potere esecutivo). La Giurisprudenza = insieme delle decisione dei giudici. In questo contesto uso qst vocabolo nel senso originario: la disciplina praticata dai giuristi accademici (professori di d.) e dai giudici. Quali relazioni intercorrono tra filosofia del d., d. e giurisprudenza? Due risp interessanti che corrispondono a due modi di concepire e praticare la filosofia del d.: 1. La filosofia del d. positivo come metagiurispudenza 2. La filosofia del d. positivo come laboratorio concettuale (costruzione di concetti) Gli strumenti della filosofia del diritto: Gli strumenti più importanti: 1. La Definizione = enunciato mediante il quale si determina il significato di un termine o di un espressione composta. “X significa Y”. Vi sono due tipi di definizioni: A. Le definizioni informative = descrivono in quale modo l’espressione definita è utilizzata da qlcn (es: i dizionari, quando descrivono come quella parola viene usata da coloro che parlano quella lingua). B. Le definizioni stipulative = propongono: • Di usare un termine preesistente in modo nuovo • In modo piu preciso rispetto all’uso comune (= ridefinizioni) • Stabiliscono come usare un termine di nuovo conio Le definizioni informative possono essere vere o false. Le definizioni stipulative non sono ne vere ne false. Le definizioni vertono non su cose, ma su parole: non descrivono oggetto, ma modellano concetti. 2. La distinzione tra enunciati empirici ed enunciati analitici. Si dice Empirico un enuciato che: A. Verte sui fatti B. Può essere vero o falso C. E’ vero o falso in virtù della sua relazione con il mondo: è vero se corrisponde ai fatti (la neve è bianca) è falso se non corrisponde ai fatti (la neve è blu). Si dice Analitico un enuciato che: A. Non verte sui fatti B. È necessariamente vero o necessariamente falso C. E’ necessariamente vero o falso non in virtù delle sue relazioni con i fatti, ma in virtù della sua struttura logica (Tizio è vivo o morto) o del significato dei termini che entrano a comporlo (nessuno scapolo è sposato). Gli enunciati analitici o sono tautologici (nessuno scapolo è sposato) e allora sono necessariamente veri; o sono autocontraddittori (Caio è vivo o morto) e allora sono necessariamente falsi. In entrambi i casi non trasmettono alcuna info sui fatti. 3. La distinzione tra linguaggio e metalinguaggio. Normalmente le parole parlano di “cose” = oggetti non linguistici o extralinguistici (es: il gatto). Ma accade che le parole parlino di altre parole (es: la parola “gatto” ha 5 lettere). Nel primo caso la parola “gatto” è usata, nel secondo caso è menzionata. Quando il linguaggio in cui ci esprimiamo ha ad ogg. Un altro linguaggio: A. Si usa chiamare “metalinguaggio” il linguaggio in cui ci esprimiamo B. Si usa chiamare “linguaggio-oggetto” il linguaggio di cui parliamo. 4. La distinzione tra enunciati descrittivi ed enunciati prescrittivi. Descrittivo = è un enunciato che formula e trasmette info sul mondo (la neve è bianca). Linguaggio della scienza. Hanno valore di verità. Controverse relative a fatti (come stanno le cose?), in linea di A PROPOSITO DI DIRITTO E MORALE Il d. ogg. È un insieme di regole o norme rivolte al comportamento umano: un ordinamento normativo della condotta. Ma come si distingue il d. (ordinamento giuridico) da ordinamenti normativi di altro tipo (morale)?!? Morale: Il sostantivo “morale” è ambiguo. Può denotare: A. La c.d. “morale positiva (o sociale)” = insieme di valori, concezioni del bene, sentimenti di giustizia, e regole di condotta generalmente condivisi in un dato ambiente sociale. B. Una particolare “morale ideale (o critica)” = insieme di valori, concezioni del bene, sentimenti di giustizia, e regole di condotta difesi dall’una o dall’altra dottrina morale. Morale contro diritto: Anche la morale, come il d., è un ordinamento normativo della condotta. Sia una che l’altra sono insieme di regole e norme che hanno ad ogg. la condotta, il comportamento di uomini. In che cosa si differenziano? Il d. presenta 2 tratti differenziali importanti: 1. Gli ordinamenti giuridici hanno un contenuto tipico e differenziale: disciplinano l’impiego della forza e della coercizione fisica. Contengono norme che dispongono quali sogg., in quali circostanze, con quali procedure, contro quali sogg., devono o possono fare uso della forza = il d. è una tecnica per ottenere la condotta desiderata mediante la minaccia della privazione coercitiva della proprietà, libertà e della vita. 2. Gli ord. giu. Presentano una struttura peculiare, più complessa rispetto agli ordinamenti morali. Il d. disciplina, tra le altre cose, la sua stessa creazione e applicazione. Troviamo norme che stabiliscono chi e in quale modo può creare nuove norme e applicare quelle esistenti. D. e morale sono due ordinamenti diversi: sia per il contenuto che per la struttura. Relazioni concettuali? Occorre introdurre un paio di nozioni elementari. 1. Relazioni concettuali. Si dice “concettuale” ogni relazione che intercorra tra 2 o più concetti, tale che uno di essi non possa essere definito senza fare ricorso all’altro. Es: per scapolosi intende maschio non sposato, allora i concetti di “maschio” e “non sposato” sono componenti della nozione di “scapolo”, e in questo senso vi è una relazione concettuale tra “scapolo”, “maschio”, “non sposato”. 2. Relazioni necessarie e relazioni contingenti. Una relazione è necessaria quando non può non sussistere; contingente quando può sussistere o no. Sono necessarie le relazioni concettuali (tra concetti), contingenti quelle fattuali (tra fatti). Le relazioni concettuali sussistono indipendentemente da quel che accade nel mondo. Ebbene, si danno tra d. e morale relazioni concettuali o necessarie?!? Si ammettono 2 risp. 1. Si dice “giusnaturaliamo” quel modo di vedere che risponde si. Il d. è, per definizione, un insieme di norme buono o giosto. Se un dato insieme di norme non è buono o giusto, allora non è diritto. 2. Si dice “positivismo giuridico” quel modo di vedere che risponde no. Il d. non è necessariamente buono o giusto; vi sono norme giuridiche giuste, e altre ingiuste. Il d. non necessariamente corrisponde alla morale sociale. Per riconoscere una norma come norma giuridica è sufficiente constatare che appartiene ad un ordinamento normativo che presenta le caratteristiche sopra dette. Relazioni fattuali: Tra d. e morale, anche se non esistono relazioni concettuali, sussistono ovvie relazioni fattuali, contingenti, e in particolare relazioni causali. Il d. è influenzato dalla morale in 2 sensi: 1. Da un lato, il contenuto del d. dipende dalla morale critica delle autorità normative. 2. Dall’altro lato, il contenuto del d. rispecchia di solito, la morale sociale, ossia le opinioni morali generalmente condivise. Dall’altra parte, il d. può a sua volta influenzare la morale sociale. IL LINGUAGGIO DEL DIRITTO Il diritto come discorso: Ad uno sguardo un po’ più sofisticato il d. si presenterà non proprio come l’insieme delle leggi, ma piuttosto come il contenuto normativo o prescrittivo delle leggi: ciò che le leggi dicono, il loro significato. Ma, in entrambi i casi, una cosa è abbastanza chiara: il d. è un fenomeno linguistico. Il d. è un discorso, il discorso delle autorità normative o il discorso del “legislatore”. Un discorso è una sequenza di enunciati. Un enunciato è una sequenza di parole dotata di forma sintattica e di senso compiuti. Gli enunciati di cui è composto il d. sono enunciati in linguaggio normativo, prescrittivo o direttivo. La distinzione tra linguaggio prescrittivo e descrittivo può essere analizzata da 3 angoli visuali: quello pragmatico, sintattico e semantico. Pragmatica del linguaggio prescrittivo: Profilo pragmatico: dal punto di vista, cioè, dell’azione che si compie proferendo un enunciato. Parlare è agire: proferire un enunciato è compiere un atto linguistico (=atto di linguaggio).. Descrivere e prescrivere sono “atti di linguaggio” diversi sotto il profilo funzionale: l’atto di descrivere adempie la funzione di formulare e trasmettere credenze, informazioni, conoscenze; l’atto di prescrivere adempie la funzione di dirigere, influenzare, modificare la condotta umana. Uno stesso enunciato può essere utilizzato sia dal legislatore, per prescrivere, sia dal giurista, per descrivere. Un medesimo enunciato, ma 2 diversi atti di linguaggio. Sintassi del linguaggio prescrittivo: Profilo sintattico: struttura degli enunciati (= dal modo in cui le parole sono concatenate). Gli enunciati prescrittivi hanno tipicamente forma verbale indicativa (“gli assassini sono puniti”); gli enunciati prescrittivi hanno tipicamente forma verbale imperativa (“punisci gli assassini!”) 2. Costitutive = regole che non semplicemente disciplinano, ma “creano” nuove forme di comportamento, rendendole pox. Tale forme di comportamento sono dette “fatti istituzionali”. Es: le norme che danno vita a istituzioni, quali la promessa, il matrimonio, la proprietà ecc. La relazione tra regole costitutive e fatti è duplice: • Per un verso, tali regole vertono su fatti bruti preesistenti • Per altro verso, “producono” fatti istituzionali, giacché conferiscono ad un fatto bruto un senso normativo nuovo. Risulta impox descrivere qst fatti senza far riferimento alle regole che lo costituiscono (es: non si può parlare di “matrimonio” senza fare riferimento alle norme giuridiche che attribuiscono a certi accordi il valore di “matrimonio”. Il linguaggio del d. include 3 tipi fondamentali si vocaboli. Es: si prendano le due norme seguenti: 1. “i diciottenni sono maggiorenni” 2. “i maggiorenni hanno l’obbligo di prestare servizio militare” La prima norma attribuisce ad un semplice fatto bruto (il compimento del 18 anno) una qualificazione giuridica, ossia una qualità “artificiale” (la maggiore età); in qst modo trasforma un fatto bruto in un fatto istituzionale. La seconda riconnette a tale fatto istituzionale una conseguenza deontica (l’obbligo di prestare servizio militare). Come l’es. vuole illustrare, nel discorso del d.: 1. Vi sono termini che si riferiscono a semplici fatti bruti (diciottenne) 2. Vi sono termini deontici (obbligo) privi di qls riferimento semantico 3. Vi sono termini (maggiorenne) che connettono un certo fatto bruto condizionante (compimento del 18) con una conseguenza deontica (l’obbligo di prestare servizio militare). NORME “Norma giuridica” nell’uso comune: Nel linguaggio comune dei giuristi, si usa chiamare “norma giuridica” qualsiasi enunciato che si incontri nelle fonti di d. La classe delle norme giuridiche comprende 2 sottoclassi: 1. Le norme in senso stretto = è una prescrizione (un comando di fare o omettere) dotata di struttura condizionale a contenuto generale e astratto. 2. Le norme in senso ampio o generico. La norma come prescrizione: Una norma è una prescrizione, un comando. Il vocabolo “prescrizione” può designare indistintamente 3 cose diverse: un atto, un enunciato e un significato. 1. La prescrizione in quanto atto: si dice “prescrizione” l’atto di prescrivere = atto linguistico inteso guidare, dirigere, influenzare, modificare la condotta umana. 2. La prescrizione n quanto enunciato: si dice “prescrizione” l’enunciato prescrittivo mediante il quale si compie l’atto linguistico in questione. Un enunciato prescrittivo è u enunciato che: • Verte su una condotta (un’azione o un’omissione) e • La qualifica come obbligatoria o doverosa. L’enunciato che qualifica obbligatoria un omissione si dice “proibizione” o divieto”. L’obbedienza a un comando si dice “esecuzione”. L’obbedienza a un divieto si dice “osservanza”. Gli enunciati prescrittivi, ed essi solo, esprimono prescrizioni. Le prescrizioni ed esse solo, dirigono condotta dei destinatari. Le prescrizioni, ed esse solo, sono suscettibili di obbedienza e violazione. I rimanenti enunciati, non esprimendo prescrizioni, non dirigono la condotta dei destinatari. 3. La prescrizione in quanto significato: si dice “prescrizione” ciò che è prescritto: ossia il “contenuto” dell’atto di prescrizione, il significato dell’enunciato prescrittivo, quale risulta dall’interpretazione dell’enunciato stesso. Le norme sono prescrizioni del 3 senso: non atti linguistici, ma il risultato, il prodotto di atti linguistici; e neppure enunciati ma il contenuto di senso, il significato, di enunciati . L’atto di prescrizione è un atto normativo. L’enunciato prescrittivo è una disposizione normativa. La norma come prescrizione a struttura condizionale: Una norma giuridica può essere ricostruita come un enunciato condizionale = il quale statuisce cosa si debba fare o omettere se si verificano certe circostanze. Le norme giuridiche sono prescrizioni condizionali o ipotetiche (es: “se qualcuno ha causato la morte di un uomo, allora deve essere punito”). Un enunciati condizionale può essere analizzato in 2 elementi componenti: 1. Un antecedente, o protasi = la parte dell’enunciato che determina la condizione (se…) = si riferisce a una classe di circostanze di fatto = fattispecie = è l’oggetto di disciplina. 2. Un conseguente, o apodosi = la parte dell’enunciato che statuisce la conseguenza (… allora..) = si riferisce ad una classe di conseguenze giuridiche = è il modo di disciplina. Ogni norma giuridica presenta una struttura sintattica “se F allora G”. La norma come prescrizione generale: Una norma è una prescrizione generale o una “regola di condotta”. • Si dice “singolare” una prescrizione che abbia ad ogg. una singola fattispecie, una fattispecie concreta. • Si dice “generale” una prescrizione che abbia ad ogg. una classe di fattispecie, una fattispecie astratta. La norma come prescrizione astratta: Una prescrizione NON è astratta quando si riferisce ad una singola fattispecie concreta e non ad una classe di fattispecie. Una prescrizione NON è astratta quando si riferisce a fattispecie passate, già verificatesi, e quindi identificate o identificabili. Vi sono 2 concetti di astrattezza: 1. Una prescrizione è astratta quando è generale. Generalità e astrattezza coincidono: due termini per un solo concetto (le norme sono prescrizioni generali O astratte). 2. Una prescrizione è astratta quando dispone per fattispecie future, ossia NON è retroattiva. (le norme sono prescrizioni generali E astratte). E la norma è pensata in qst secondo senso. Una norma è una prescrizione non retroattiva. Disporre contro provvedere: Il concetto di astrattezza consente di distinguere il “disporre” per il futuro dal “provvedere” per il passato: le norme dai provvedimenti. Un provvedimento è una prescrizione retroattiva, con struttura latente (“poiché”…”allora”). • Formulate = le norme che trovano espressa enunciazione o formulazione in qualche disposizione • Inespresse = le norme ricavate dalle norme formulate mediante procedimenti argomentativi (di varia natura). NORME DI CONDOTTA Le modalità deontiche: Si dicono norme di condotta tutte quelle norme il cui conseguente qualifica un comportamento come obbligatorio, vietato, permesso o facoltativo. I termini obbligatorio, vietato, permesso e facoltativo si dicono modalità deontiche, giacchè sono tutti traducibili in termini di dovere. Si dicono “imperative” le norme che qualificano la condotta come obbligatoria o vietata (comandi e divieti); si dicono “permissive” le norme che qualificano la condotta permessa o facoltativa. Il significato dei termini deontici: Per chiarire il significato dei termini che esprimono modalità deontiche, 3 osservazioni sono necessarie. 1. I termini deontici sono strumenti linguistici utili a qualificare comportamenti umani. Essi sono provvisti di riferimento semantico: non denotano oggetti, eventi o proprietà osservabili. Servono, ad istituire una connessione normativa tra un soggetto (destinatario delle norme) ed un comportamento (oggetto della norma). 2. Per questa ragione i termini deontici non possono essere definiti facendo ricorso a termini non deontici. Cio è quanto che i termini deontici sono interdefinibili: possono essere definiti l’uno per mezzo dell’altro. 3. uno qualunque dei termini deontici può essere usato come termine primitivo, indefinito, per definire tutti gli altri. In altre parole, per definire i termini deontici occorre rinunciare a definirne uno, affidandoci alla comprensione intuitiva del suo significato, ed usarlo poi x definire i rimanenti. Relazioni logiche tra i termini deontici: Sussistono le seguenti relazioni logiche principali: A. Permesso e non-permesso sono alternativi, mutuamente esclusivi. B. Data qst alternatività segue che un comportamento non può essere simultaneamente permesso e non-permesso. C. Data qst alternatività segue che un comportamento non può essere simultaneamente facoltativo e obbligatorio. D. Dalla alternatività tra permesso e non-permesso segue che un comportamento non può essere simultaneamente vietato e obbligatorio. E. Obbligatorio implica permesso. Se un azione è obbligatoria allora è permesso compierla: se non fosse permesso, allora sarebbe vietata. F. Permesso e facoltà sono compatibili. Di un comportamento può essere permessa sia la commissione, sia l’omissione = libertà! Norme imperative e norme permissive nei sistemi normativi: Norme imperative e norme permissive svolgono funzioni diversi: Le Norme imperative svolgono una funzione primaria, mentre quelle permissive secondaria. Un ipotetico ordinamento normativo costituito di sole norme permissive a stento sarebbe riconoscibile come ordinamento della condotta. In assenza di obblighi, tutto verrebbe permesso. Sotto questo profilo, le norme imperative svolgono una funzione costitutiva negli ordinamenti normativi: non vi è ordinamento normativo senza norme imperative. D’altro canto, le norme permissive trovano il loro uso tipico nell’una o nell’altra delle due funzioni seguenti: Per un verso, le norme permissive sono impiegate per rimuovere precedenti obblighi, entro quegli ordinamenti che includono il principio della “lex posterior”. Per altro verso, le norme permissive servono a prevenire l’istituzione di obblighi da parte di autorità normative subordinate, entro quegli ordinamenti che utilizzano il principio della “lex superior”. Al livello delle norme sulla produzione normativa (norme non su comportamenti, ma su atti normativi), le norme permissive adempiono a una funzione primaria, mentre le norme imperative giocano una funzione secondaria. Le norme permissive, sono strumenti per istituire autorità normative, mentre le altre servono a limitare l’autorità normativa conferita. Norme imperative e norme sanzionatorie: Sanzione = la privazione coercitiva di un bene, quale la libertà, la vita o la proprietà. Vi è una duplice relazione logica tra norme imperative e sanzioni: 1. Divieti e sanzioni: le norme penali sono formulate come norme sanzionatorie = norme che connettono ad un qualche comportamento una sanzione. Norme di qst genere sono imperative, ma sono rivolte agli organi dell’applicazione, ai giudici, non ai cittadini. Tra divieti e sanzioni vi è la seguente relazione logica: se una condotta è sanzionatoria, allora è vietata. La sanzione è condizione sufficiente di un divieto. Non vi è sanzione senza divieto. 2. Comandi e sanzioni: può accadere che un legislatore formuli un comando senza tuttavia riconnettere alcuna sanzione alla sua violazione. Abbiamo a che fare con genuini comandi o mere raccomandazioni? E’ più sensato ritenere che non si da obbligo o comando senza sanzione. Da qst punto di vista, tra comandi e sanzioni sussiste la seguente relazione logica: se l’omissione di una condotta non è sanzionata, allora quella condotta non è obbligatoria. La sanzione è condizione necessaria di un comando. Non vi è comando senza sanzione. (I divieti sono una sottoclasse dei comandi, giacchè un divieto è un comando di omettere o di non fare.) Uso e menzione dei termini deontici: Come sappiamo, qualunque espressione in lingua è suscettibile di 2 usi che vanno tenuti distinti. Da un lato, un’espressione può essere usata in un discoro diretto: per significare ciò che quella espressione significa. Dall’altro lato, un’espressione può essere usata in discorso indiretto: per riferire o citare un discorso altrui. Nel primo caso, si dice che il termine è usato; nel secondo, si dice che il termine è menzionato o “usato tra virgolette”. Gli enunciato (es:obbligo) esprimono certe norme: direttamente prescrivono. Gli enunciati in cui “obbligo” è solo menzionato (es: quelli di un giurista) non prescrivono, ma riferiscono che il legislatore ha prescritto o iterano le prescrizioni legislative. Ecco dunque che i termini deontici, sebbene siano portatori di senso normativo, possono essere impiegati anche nel discorso conoscitivo. I principi in quanto norme a fattispecie aperta = le regole sono norme con antecedente “chiuso”, mentre i principi sono norme con antecedente “aperto”. L’antecedente di una norma è chiuso, quando la norma enumera esaustivamente i fatti in presenza dei quali si produce la conseguenza giuridica che essa stessa dispone. E’ aperto quando la norma non enumera esaustivamente i fatti in presenza dei quali si produce la conseguenza giuridica corrispondente. I principi in quanto norme “defettibili” = le regole sono norme “indefettibili”, mentre i principi sono norme “defettibili”. Indefettibile = non ammette eccezioni che quelle stabilite in modo espresso. Defettibile = ammette eccezioni implicite, non stabilite nella norme stessa, e pertanto totalmente indeterminate. I principi in quanto norme giuridiche = le regole sono norme “precise”, circostanziate, mentre i principi sono norme “generiche”. Una norme “precisa” è una norma immediatamente suscettibile di applicazione a casi concreti. Una norma “generica” è invece una norme che: A. Esige la formulazione di altre norme senza di che non sarebbe atta a risolvere casi concreti; ma B. Per altro verso, può essere attuata, eseguita o concretizzata in modi diversi e alternativi. Classificazioni dei principi: I principi costituiscono una categoria eterogenea sotto diversi profili: 1. In primo luogo, occorre distinguere tra principi costituzionali e quelli di rango legislativo. I principi costituzionali sono vincolanti per il legislatore; mentre i principi legislativi possono essere, dalla legge stessa, derogati o abrogati. Nell’ambito dei principi costituzionali, ve ne sono alcuni, i c.d. principi “supremi” dell’ordinamento, che sono assolutamente immodificabili, sicchè non possono essere derogati, abrogati, o sovvertititi. 2. In secondo luogo, occorre distinguere tra i principi che abbracciano l’intero ordinamento e quelli che riguardano solo un suo specifico settore o una singola materia. Possiamo chiamare gli uni “principi generali in senso stretto” e gli altri “principi settoriali”. I primi, sono al tempo stesso principi costituzionali. Tra i principi settoriali (es: d. civile) ve ne sono alcuni di rango costituzionale, altri di rango legislativo (es: in d. amm., ha rango costituzionale il principio del buon andamento e imparzialità, mentre a rango legislativo il principio del giusto procedimento). 3. In terzo luogo, occorre distinguere tra principi espressi e quelli inespressi. Espressi = sono quelli che sono esplicitamente formulati in una apposita disposizione normativa, dalla quale possono essere ricavati mediante interpretazione (es: il principio di eguaglianza o di irretroattività). Inespressi = “privi di disposizione”, ossia non esplicitamente formulati in alcuna disposizione normativa ma elaborati o “costruiti” dagli interpreti. I principi inespressi sono frutto non propriamente di interpretazione ma di costruzione giuridica, ossia di integrazione del d. ad opera degli interpreti (principio di tutela della buona fede). SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE La “dimensione soggettiva” delle norme: Situazione giuridica soggettiva = l’attributo ascritto da una norma a un soggetto. I termini (innumerevoli) che denotano situazioni giuridiche soggettive sono strumenti atti sia a formulare, sia a rappresentare il contenuto di norme giuridiche, riguardate nella loro dimensione soggettiva. Secondo un analisi le situazioni giuridiche soggettive sono riducibili a diverse combinazioni di 8 situazioni elementari: pretesa, obbligo, libertà, non-pretesa, potere, soggezione, incompetenza, immunità. Queste situazioni giuridiche sono “elementari” in 2 sensi: in primo luogo, nel senso che ciascuna di esse non è ulteriormente scomponibile in situazioni più semplici; in secondo luogo, possono essere tra loro variamente combinate in modo tale da dar luogo a situazioni giuridiche complesse. E’ “complessa” una situazione giuridica soggettiva, che consta di una pluralità di situazioni elementari aggregate o combinate. Le 8 situazioni elementari possono essere disposte in 2 classi: 1. La prima classe comprende 4 situazioni soggettive, utili a raffigurare il contenuto di comuni norme di condotta (o “primarie”), quelle cioè che regolano il comportamento dei cittadini = situazioni giuridiche primarie. 2. La seconda classe include 4 situazioni soggettive, utili a raffigurare il contenuto di norme sulla produzione giuridica (o “secondarie”), quelle cioè che disciplinano le modalità per creare e modificare le stesse norme di condotta = situazioni giuridiche secondarie. Qst hanno ad oggetto le situazioni giuridiche primarie. Situazioni elementari istituite da norme di condotta: 1. Obbligo = la situazione giuridica di un soggetto al quale sia rivolta una norma imperativa. 2. Pretesa = la situazione giuridica di un soggetto al quale una norma consenta di esigere l’adempimento di un obbligo da parte di un altro soggetto. 3. Libertà = sia la … al quale una norma permissiva consenta di tenere un det. Comportamento, sia la situazione giuridica di un sogg. al quale nessuna norma imperativa imponga di tenere un dato comportamento. 4. Non pretesa = sia la … una norma neghi o sottragga una pretesa, sia .. al quale nessuna norma esplicitamente attribuisca una pretesa. Libertà e non-pretesa sono situazioni prive di autonomia concettuale: la libertà altro non è che l’assenza di obblighi, e la non-pretesa altro non è che l’assenza di pretese. Obblighi e pretese non esistono in natura = sono entità create dal diritto. Obblighi e pretese sono un concetto eterogenei sotto un profilo importante. Pretesa infatti, a differenza di un obbligo, è un concetto relazionale: nel senso che denota una relazione tra 2 distinti soggetti. Situazioni elementari istituite da norme sulla produzione giuridica: Sono situazioni soggettive che rappresentano il contenuto di norme sulla produzione giuridica: il potere, la soggezione, l’incompetenza e l’immunità. 1. Potere = la situazione giuridica di un sogg. al quale una norma consenta di creare o modificare situazioni giuridiche “primarie” in capo a sé stesso e ad altri soggetti. Creare nuovi obblighi e pretese. 2. Soggezione = la .. la cui situazione giuridica “primaria” possa essere modificata da un altro soggetto. 3. Incompetenza = assenza di potere. 4. Immunità = assenza di soggezione. Incompetenza e immunità sono situazioni giuridiche prive di autonomia concettuale = l’incompetenza non è altra cosa dall’assenza di competenza e l’immunità, non è altra cosa, dall’assenza di soggezione. I poteri e le soggezioni non esistono “in natura” sono entità create dal diritto. Potere e soggezione sono entrambi concetti relazionali. Rapporti giuridici: Rapporto giuridico = ogni relazione tra 2 soggetti che sia disciplinata da norme giuridiche. Nel linguaggio dottrinale si dice spesso che un soggetto “ha un d.” per intendere che il soggetto in questione è titolare di una situazione soggettiva tutelata. In che senso? Una situazione giuridica tutelata risulta dalla congiunzione di due distinte situazioni soggettive: A. Da un lato, una qls situazione soggettiva tra quelle enumerate precedentemente (libertà, immunità, pretesa, ecc). B. Dall’altro, il d. di azione, ossia il d. di rivolgersi ad un organo giurisdizionale per ottenere riparazione alla sua violazione. Si può dire che un sogg. abbia un d. solo a condizione che vi siano 2 norme: una prima che gli conferisce un “d.” ed una seconda norma che gli conferisce l’ulteriore d. di agire in giudizio per la tutela del primo. La fonte dei diritti: I d. possono essere ulteriormente distinti secondo il tipo di fonte da cui promanano. • d. costituzionali, conferiti dalla C. • d. legali, conferiti dalla legge. • D. contrattuali, quelli che nascono dai contratti. Generalmente parlando, i d. C. sono conferiti agli individui principalmente nei confronti dello stato = d. sogg. “pubblici”. I d. contrattuali sono conferiti ad un individuo = d. sogg. “privati”. Negli ordinamenti a costituzione rigida, i d. sogg. conferiti dalla costituzione sono caratterizzati da una particolare capacità di “resistenza” = sono d. che il legislatore ordinario non è autorizzato a limitare, sospendere, modificare o sopprimere. Una cosa è conferire un d., un'altra è garantirlo. La garanzia di un d. non può essere disposta da quella stessa norma che lo conferisce. Può solo essere disposta da un'altra norma (secondaria), la quale istituisca meccanismi atti a prevenire la violazione della prima. Diritti fondamentali: = sono i d. conferiti dalla C. Tali d. sono d. dei privati cittadini nei confronti “dello Stato” = “d. pubblici soggettivi”. Nell’ambito dei d. di fonte costituzionale è opportuno introdurre 2 distinzioni: 1. La prima distinzione attiene al contenuto dei d. I d. conferiti dalla C. si distinguono principalmente in d. di libertà e d. sociali. • Diritti di libertà = un d. costituzionale di libertà (es: d. di associazione) è una combinazione di “d.” distinti: libertà di tenere un certo comportamento, immunità da divieti del legislatore, pretesa che l’esecutivo ometta di impedire materialmente il comportamento in questione. • Diritti sociali = i d. sociali (es: d. al lavoro/ d. alla salute) possono essere configurati come pretese, cui corrisponde un obbligo dello stato. L’obbligo di adottare leggi, che incombe ovviamente sul legislatore, è un obbligo la cui violazione è, di fatto, priva di sanzione: non vi sono rimedi efficienti all’eventuale inadempimento del legislatore. Il giudice costituzionale può si annullare una legge esistente, ma non può annullare una legge inesistente, o l’inesistenza di una legge. In questo senso i d. sociali sono d. di “carta”. 2. La seconda distinzione attiene alla titolarità dei d. I d. conferiti dalla costituzione si distinguono in d. dell’uomo e d. del cittadino. • Diritti dell’uomo = i d. che la C. conferisci indistintamente a tutti gli uomini, indipendentemente dalla cittadinanza (es:d. di manifestazione del proprio pensiero). • Diritti del cittadino = i d. che la C. conferisce ai cittadini ed ad essi soli (es: d. di associazione). L’interesse legittimo: Nel d. amministrativo si incontra una situazione giuridica soggettiva = interesse legittimo = qst espressione si riferisce a 2 situazioni giuridiche soggettive dei privati cittadini nei confronti della P.A. A. Da un lato, “interesse occasionalmente protetto” o “interesse pretensivo” = la situazione di colui che non vanta una pretesa ad un atto amministrativo a lui favorevole, ma vanta la pretesa che l’amministrazione agisca conformemente alla legge; nonché la ulteriore pretesa che l’atto amministrativo a lui sfavorevole sia annullato e l’eventuale danno risarcito. B. Dall’altro, c.d. “D. affievolito” o “interesse oppositivo”, la situazione di chi, essendo titolare di un d. sogg. sacrificato da un atto amministrativo illegittimo, vanta, nuovamente, la pretesa che l’atto in questione sia annullato e il danno risarcito. Teniamo distinti gli “interessi occasionalmente protetti” dai “d. affievoliti”: A. Interesse occasionalmente protetti = è una situazione giuridica complessa, un aggregato di situazioni elementari, che include: • la pretesa alla legalità dell’atto amministrativo • la pretesa all’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo • la pretesa al risarcimento del danno ingiusto eventualmente causato dall’atto illegittimo. B. Diritti affievoliti = E’ una situazione giuridica complessa che include: • L’immunità da atti amministrativi illegittimi • La pretesa all’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo • La pretesa al risarcimento del danno ingiusto eventualmente patito a causa dell’atto illegittimo PARTE SECONDA NORME SULLA PRODUZIONE GIURIDICA. Il diritto disciplina la propria creazione: Il d. disciplina anche la sua stessa creazione e applicazione. Esso include accanto alle comuni norme di condotta rivolte ai cittadini, una lunga serie di norme “secondarie” che disciplinano la creazione e l’applicazione del d. stesso da parte degli organi dello S. “Norme sulla produzione giuridica” = norme che disciplinano precisamente la creazione di norme. Stabiliscono soltanto: A. Quale organo sia competente a creare ed abrogare norme = le norme che conferiscono competenza legislativa. B. Con quali procedimenti esso debba esercitare tale competenza = le norme sul procedimento legislativo. Norme di competenza: 1. In senso formale, si dice legge qualunque atto o documento che promani dall’organo cui la C. attribuisce la funzione legislativa, e goda perciò di un peculiare regime giuridico. 2. In un primo senso materiale si dice “legge” qualunque atto o documento che esprima norme generali e astratte. La legge si distingue da ogni provvedimento a contenuto individuale e concreto. 3. In un secondo senso materiale, si dice “legge” qualunque atto o documento che disciplini la condotta dei cittadini. Cosi intesa, la legge è ogni regola, prescrizione, o provvedimento che modifichi o innovi la situazione giuridica dei privati, creando per essi nuovi obblighi o facoltà. La legge si distingue da ogni atto che non incida sulla situazione giuridiche soggettive dei cittadini. I 2 concetti di legge in senso materiale sono stati impiegati quali strumenti dogmatici per avvalorare una certa distribuzione delle competenze normative tra gli organi legislativi e il monarca; ovvero tra la “legge” e il “decreto”. Il principio di legalità: Il principio di legalità è il principio di soggezione alla legge dei pubblici poteri. 1. In primo luogo, si può intendere legge nel senso tecnico di legge formale (ordinaria), ossia di atto dell’organo rappresentativo che è titolare della funzione legislativa. Il principio di legalità vale per il potere giurisdizionale e per il potere esecutivo. Se legge denota la “legge” formale, allora “pubblici poteri” denota l’esecutivo e il giudiziario. 2. In secondo luogo, si può intendere “legge” nel senso di norma o insieme di norme giuridiche generali e astratte. In questo senso, la “legge” non è cosa diversa dal “d. ogg”. Cosi inteso il principio di legalità può estendersi anche al potere legislativo, che può essere soggetto a norme di rango costituzionale: a condizione che la C. sia rigida. Sicchè se la legge denota il d. ogg., allora “pubblici poteri” denota tutti i poteri dello indistintamente. Così inteso, il principio di legalità è un corollario di quella dottrina politica che vede non nella legge, ma nella C. l’espressione della sovranità. Sicchè il potere legislativo incontra dei limiti = dei limiti costituzionali. Sempre che la C. sia rigida. Laddove il principio di legalità vale nei confronti dei poteri esecutivo e giurisdizionale abbiamo a che fare con uno S. di d. . Laddove il principio di legalità si estende anche al potere legislativo, abbiamo a che fare con uno S. costituzionale di d. La soggezione alla legge si atteggia diversamente a seconda del potere statale di cui si parla. 1. La soggezione alla legge in senso materiale del potere legislativo altro non è che il PRINCIPIO DI LEGITTIMITA’ C. , in virtù del quale la legge A. Deve essere approvata nelle forme stabilite dalla C. B. Deve disporre entro l’ambito materiale di competenza determinato dalla C. e C. Non può disporre in contrasto con la C. 2. La soggezione alla legge del potere giurisdizionale consiste nel dovere incondizionato di applicare la legge. Ogni potere giurisdizionale deve essere fondato su una specifica norma di legge e deve essere materialmente conforme alla legge; per altro verso, in nessun caso i giudici sono autorizzati a rifiutare l’applicazione della legge- 3. La soggezione alle legge del potere esecutivo è il PRINCIPIO DI LEGALITA’ PROPRIAMENTE DETTO. In virtù di tale principio, ogni atto dell’amministrazione deve essere autorizzato dalla legge. Detto altrimenti, ogni atto amministrativo presenta 2 distinte condizioni di validità: • Per un verso, deve essere fondato su una norma (costitutiva) attributiva di potere • Per altro verso, deve essere conforme alle norme che ne disciplinano la forma e il contenuto. Il declino della legge (nell’ordinamento vigente): Nell’ordinamento vigente la legge non può più considerarsi fonte del d. privilegiata. Varie ragioni: • È che la rigidità C. limita in vari modi il potere legislativo. • Ai sensi dell’art. 117 C., la legge statale non è più una fonte a competenza generale “residuale”. • I regolamenti dell’U.E. • Ruolo crescente acquisito dell’esecutivo nella produzione normativa. COSTITUZIONE Quattro usi del termine “costituzione”: 1. Un insieme di fatti = altro non è che il regime politico vigente in uno S. La C. è ciò che di fatto accade nella vita politica di uno S. 2. Un insieme di norme = la C. è l’insieme delle norme sulla “forma dello s.”. include: • Le norme che identificano gli organi centrali dello S. e distribuiscono tra essi le funzioni fondamentali. • Le norme che disciplinano i reciproci rapporti fra tali organi. • Le norme che identificano e conferiscono funzioni ad organi decentrati o locali. • Le norme che disciplinano i modi di formazione degli organi. • Le norme che disciplinano i rapporti tra gli organi ed i cittadini. Intesa in questo modo la C., ogni S. ha necessariamente una sua propria costituzione. Questo concetto di C. è quello adottati oggigiorno dagli studiosi di d. pubblico. La C. in qst senso è detta talvolta C. in senso “materiale”(o sostanziale). Al concetto di materiale sono connesse le nozioni di “materia costituzionale” e di “norma materialmente costituzionale”: • Si dicono materialmente costituzionali, le norme che identificano la “forma dello S”. tali norme possono essere scritte o consuetudinarie. Non è infrequente che molte di qst norme non siano scritte in C. • Si dice materia costituzionale, tutto ciò che da tali norme è disciplinato = “la forma dello S”. 3. Ad un particolare documento normativo = ossia un testo, formulato in una lingua naturale, esprimente norme; che formula e raccoglie, almeno la maggior parte delle norme materialmente costituzionali di un dato ordinamento. La C. è una sorta di “codice” della materia costituzionale. E’ un testo che si distingue da altri documenti normativi, almeno sotto i seguenti profili: • La C. si distingue in virtù del suo nome proprio e del suo stile solenne. • In virtù del suo contenuto caratteristico = per lo più contenuto “materialmente C.”. • In virtù dei suoi destinatari tipici = supremi organi costituzionali (non i cittadini). b. Ad invalidare norme successive di rango inferiore da esse formalmente difformi o con esse materialmente incompatibili. 3. In un terzo senso, si può dire che la C. sia fonte del d. per intendere che le norme costituzionali sono idonee a disciplinare direttamente i rapporti “orizzontali” inter- privati, e sono suscettibili di applicazione giurisdizionale da parte di qlcn giudice in qls controversa a lui o lei sottoposta. POTERE COSTITUENTE Poteri costituiti e potere costituente: La nozione di potere costituente si definisce per opposizione a quella di potere costituito. Si dice “costituito” ogni potere legale, ossia conferito e disciplinato da norme positive vigenti. Si dice “costituente” quel potere che instaura una “prima” C. Il potere “costituente” non può muoversi nel rispetto di un ordine costituzionale preesistente. Esso è un potere “di fatto” teso all’instaurazione di un nuovo ordine costituzionale. Si dice “prima C” ogni C. che non trovi il suo fondamento di validità in una C. precedente. Così inteso, il potere costituente è il fatto da cui la C. nasce. Ne segue, tra l’altro, che il potere costituente non sopravvive alla nascita della prima C., ma si esaurisce in essa e con essa. Due concezioni del potere costituente: Del potere costituente si incontrano 2 concezioni: formalistica e sostanzialistica. 1. Concezione formalistica = potere costituente è quello che per definizione si esercita “extra ordinem”, ossia in forme illegali o non-legali. 2. Concezione sostanzialistica = costituente è quel potere che esprime la “decisione politica fondamentale”: quel potere che sceglie i principi supremi e/o caratterizzanti dell’ordinamento, ovvero che determina la “forma dello S”. Presupposti e conseguenze: Queste 2 concezioni del potere costituente sottendono 2 distinte concezioni della C: 1. Concezione formalistica tacitamente suppone che la C. sia un insieme di norme finito. 2. Concezione sostanzialistica tacitamente suppone che la C. sia invece una totalità coesa di principi e valori. Queste 2 concezioni della C. implicano 2 diversi criteri di identità della C. 1. Secondo la concezione formalistica, una C. si comporta come qlnq altro insieme: un insieme perde la sua identità e si tramuta in un insieme distinto, ogniqualvolta un nuovo elemento sia introdotto, o un elemento preesistente sia eliminato o sostituito. La C. perde la sua identità ogniqualvolta intervenga una revisione costituzionale. Ogni revisione costituzionale produce una “nuvoa” C. Quel che conta è distinguere tra revisioni “legali” (ossia, attuate secondo le forme previste dalla stessa C. vigente) e revisioni illegali. 2. Secondo la concezione sostanzialistica, una C. conserva la sua identità materiale fino a che, non siano alterati i principi supremi di cui è costituita. Le 2 concezioni del potere costituente involgono 2 diversi modi di concepire la revisione costituzionale e i suoi limiti: a. Da un punto di vista sostanzialistico, il potere di revisione costituzionale non può spingersi fino a toccare i principi costituzionali supremi. Una cosa è la revisione costit., altra è l’instaurazione di una nuova C. La prima cosa è esercizio di un potere costituito, la seconda è esercizio di potere costituente. Revisione e instaurazione si distinguono non sotto il profilo formale, ma sotto il profilo sostanziale: è mera revisione ogni mutamento marginale, è genuina instaurazione ogni alterazione dell’identità assiologica della C.: i principi supremi della C. esistente sono limiti logici alla revisione costituzionale. La C. può essere cambiata in forme illegali, rivoluzionarie. b. Da un punto di vista formalistico, il potere di revisione C. si distingue da quello costituente solo per il fatto di esercitarsi nei modi previsti e disciplinati dalla C. Pertanto, il mutamento C. resta mera revisione (non si tramuta in instaurazione di un nuovo ordinamento C.). Ogni revisione comporta la modificazione dell’insieme di norme preesistenti, e la modificazione di un insieme da luogo ad un insieme diverso: ogni revisione C. produce una C. nuova. Ogni modificazione C. attuata in forme legali è mera revisione. Ogni modificazione attuata in forme illegali è instaurazione di una nuova C. Non sussistono limiti logici alla revisione C La revisione della norma sulla revisione: Può il procedimento di revisione C. essere usato per modificare quella stessa norma che disciplina? Secondo un certo modo di vedere, no. Una norma non può sensatamente riferirsi a se stessa. In altre parole, la disposizione che disciplina la revisione non può essere sensatamente interpretata come riferentesi anche a se medesima. La C. non è sovraordinata alle leggi di revisione C.: diversamente, queste non potrebbero modificarla. TIPOLOGIA DELLE COSTITUZIONI Varietà di classificazioni: Le C. si presentano ad una molteplicità di classificazioni interessanti, secondo i diversi criteri. 1. Una prima distinzione è quella tra C. scritte e C. consuetudinarie. 2. Una seconda distinzione, riferita esclusivamente alle C. scritte, attiene al modo di formazione del testo costituzionale. I tipi fondamentali sono i seguenti: • C. “octroyees”, ossia elargite dal sovrano al suo popolo • C. pattizie, nate da un accordo tra il sovrano ed un’assemblea rappresentativa • C. federali, nate da un accordo tra S. sovrani preesistenti • C. popolari, elaborate da un assemblea eletta dal popolo e approvata da referendum popolare. 3. Un terza distinzione, attiene alla materia regolata. Diverse sono: Controllo accentrato vs controllo diffuso: 2 differenze principali: 1. la prima, riguarda l’accesso alla giustizia C. In un sistema di controllo diffuso, ogni cittadino ha accesso diretto alla giustizia; ogni cittadino può agire di fronte a un tribunale per la violazione dei suoi d. C. In un sistema accentrato e a priori, i cittadini non hanno accesso diretto al giudice C.: solo alcuni organi C. hanno titolo per rivolgersi al tribunale C. In un sistema di controllo accentrato a posteriori, solo i giudici ordinari possono sottoporre casi al tribunale C: quando nasce una questione di legittimità C. 2. La seconda differenza riguarda gli effetti giuridici delle decisioni di illegittimità C. In un sistema di controllo diffuso, la dichiarazione di illegittimità C. di una disposizione legislativa è priva di effetti generali. Non è definitivamente espulsa dall’ordinamento, essa conserva la sua validità. (contrario, in un sistema di controllo accentrato). LA “COSTITUZIONALIZZAZIONE” DELL’ORDINAMENTO Costituzionalizzazione: in che senso? Molti ordinamenti giuridici europei hanno subito, nel secondo dopoguerra, un inteso processo di “costituzionalizzazione”. L’espressione può essere impiegata in 3 significati diversi: 1. Per riferirsi all’introduzione di una prima C. scritta in un ordinamento che per l’innanzi ne era privo. 2. Per riferirsi a quel processo storico-culturale che ha trasformato in un rapporto giuridico la relazione intercorrente tra sovrano e sudditi. Qst fenomeno è diverso dal precedente, non sempre il processo in questione si è risolto in una codificazione C. 3. Per intendere un processo di trasformazione di un ordinamento giuridico, al termine del quale l’ordinamento in questione risulta totalmente “impregnato” dalle norme C. C. pervasiva, invadente e debordante: • La legislazione è condizionata dalla C. = diretta ad attuare la C. • La giurisprudenza è condizionata dalla C. = i giudici hanno il potere e il dovere di applicare direttamente nelle controversie la C. • La C. disciplina non solo le relazioni verticali (S-cittadino) ma anche quelle orizzontali. • La dottrina tende a ricercare in costruzione il fondamento assiologico delle leggi. • Gli attori politici e gli organi C. si atteggiano espressamente ad interpreti della C. Condizioni di costituzionalizzazione: Sono condizioni necessarie di costituzionalizzazione dell’ordinamento: 1. Una C. lunga = che non si limiti ad disciplinare l’organizzazione dei pubblici poteri ma contenga disposizioni che conferiscono d., disposizioni di principio e disposizioni programmatiche. 2. La rigidità C. = C. scritta e rigida = diviene pox distinguere 2 “livelli” gerarchici di legislazione: quella ordinaria e quella C. 3. La garanzia giurisdizionale della C. = costituzione garantita. La “forza vincolante” della C.: un primo aspetto del processo di costituzionalizzazione è l’idea che la C. sia un insieme di norme vincolanti. Non sempre è ovvio che le norme in questione siano idonee a provocare l’abrogazione di leggi incompatibili anteriori alla C. e l’invalidità di leggi incompatibili successive. D’altronde, anche le norme che conferiscono d. di libertà si presentano spesso più come norme di principio che come precise regole di condotta. Sicchè è del tutto pox sostenere che norme siffatte non sono suscettibili di applicazione giurisdizionale fino a che non siano promulgate le leggi necessarie a precisarle o concretizzarle. Uno degli elementi essenziali del processo è la diffusione dell’idea che ogni norma C. sia una genuina norma giuridica, vincolante e suscettibile di produrre effetti giuridici. La sovra-interpretazione della C: Un secondo aspetto è la sovra-interpretazione del testo C. Qst aspetto dipende dagli atteggiamenti degli interpreti di fronte alla C: i giudici, gli organi dello S e i giuristi. Ogni C. è un testo “finito”, compiuto, limitato. Ogni C. contiene delle lacune. La sovra-interpretazione della C. è un atteggiamento interpretativo della C. che tende ad escludere che il d. C. sia lacunoso, e pertanto evita le lacune C., o cmq elabora norme inespresse atte a colmarle. La sovra-interpretazione consente di ricavare dal testo C. norme idonee a disciplinare qualsivoglia aspetto della vita sociale e politica. Non vi è legge che possa sfuggire al controllo di legittimità C. Non vi è spazio per alcuna discrezionalità legislativa. (nel nostro ordinamento, è una pratica della Corte C.). L’applicazione diretta delle norme C: Un terzo aspetto è la dottrina secondo cui le norme C. sono suscettibili di applicazione diretta in sede giurisdizionale. Questo aspetto dipende: per un verso, dalla diffusione di una certa concezione della C.; per altro verso, dall’atteggiamento dei giudici che ne deriva. Secondo la concezione liberale classica, la C. è un limite alla legislazione. Mentre, secondo una concezione moderna la legislazione non è che lo sviluppo dei principi C. o l’esecuzione dei programmi di riforma tracciati in C. E’ lecito sostenere che l’applicazione giurisdizionale della C. consista nel giudicare della legittimità costituzionale di leggi. E in questo senso la C. non può non essere applicata direttamente dai giudici comuni. Nella prassi le cose stanno altrimenti: • Ogni giudice applica la C. quando solleva, di fronte alla Corte C., una questione di legittimità C. • Quando è chiamato a giudicare della “non manifesta infondatezza” di una questione di legittimità C. • Dichiara l’illegittimità C. di un regolamento dell’esecutivo. • Un interpretazione adeguatrice della legge, ossia attribuisce alla legge un significato conforme a C. • Applicazione diretta alla C. (cosa abbastanza frequente). L’ordinamento come sistema: Dicendo che il d. è un ordinamento, si vuol dire che il d. è un insieme di norme esso stesso ordinato: un sistema, cioè una totalità logicamente coerente, assiologicamente coesa, e forse anche completa. 1. La coesione assiologica esige che tutte le norme appartenenti all’ordinamento siano riconducibili dal punto di vista assiologico, ad un principio o ad un’unica armoniosa costellazione di principi tra loro coerenti. (tesi insostenibile). 2. La coerenza logica esige qualcosa di meno della coesione: consiste semplicemente nella mancanza di antinomie, conflitti logici, incompatibilità, tra norme. Ma anche la tesi che gli ordinamenti siano coerenti è insostenibile. Le norme esistenti in un ordinamento sono emanate in tempi diversi, in diverse circostanze. Tali norme non sono coerenti, ne potrebbero esserlo. In virtù di tali criteri l’ordinamento può, entro certi limiti, essere reso coerente, coerentizzato o sistematizzato. Ma assenza di antinomie e pox di risolverle sono cose del tutto diverse. GERARCHIE NORMATIVE Teoria delle gerarchie normativa: In tutti gli ordinamenti giuridici evoluti le norme sono legate tra di loro da molteplici vincoli di gerarchia. Se ne possono distinguere non meno di 4 tipi: 1. Gerarchie strutturali o formali = attinenti cioè non al contenuto delle norme, ma alla struttura dell’ordinamento: sono quelle che intercorrono tra le norme sulla produzione giuridica e le norme la cui produzione è da quelle disciplinata. Si tratta di un gerarchia “formale” nel senso che non influisce in alcun modo sul contenuto della norma inferiore. 2. Gerarchie materiali o sostanziali = attinenti cioè al contenuto delle norme: sono quelle che intercorrono tra due norme allorchè una terza norma statuisce che una delle prime due è invalida qualora confligga con l’altra = gerarchia delle fonti. La gerarchia sussite in virtù di una terza norma. La gerarchia in questione ha carattere “materiale”, ossia “contenutistico”, dal momento che influisce sul contenuto della norma inferiore. Anzi, essa consiste precisamente in questo, che la norma inferiore non può assumere un contenuto confliggente con quello della norma superiore. Spesso una gerarchia materiale riflette una gerarchia formale, ma non ogni gerarchia formale si risolve in una gerarchia materiale. 3. Gerarchie logiche o linguistiche = attinenti cioè al linguaggio, sono quelle che intercorrono tra 2 norme allorchè l’una verte sull’altra (metanorma). 4. Gerarchie assiologiche = attinenti cioè ai valori: sono quelle che intercorrono tra 2 norme allorchè l’interprete attribuisce ad una di esse un valore superiore a quello dell’altra. La relazione non dipende in alcun modo dal contenuto delle norme coinvolte: sussiste solo in virtù di un giudizio di valore dell’interprete. Un modo tipico di instaurare una gerarchia assiologica tra 2 norme consiste nell’attribuire ad una di esse il valore di “principio”. L’instaurazione di una gerarchia assiologica tra 2 norme produce, secondo le circostanze, l’uno o l’altro degli effetti seguenti. • Qualora le 2 norme in questione siano tra loro compatibili, instaurare tra di esse una gerarchia assiologica: a. In primo luogo, equivale ad “affermare che tra tali norme si da un rapporto di giustificazione: la norma più importante sarà considerata il fondamento, la giustificazione, la ratio della norma meno importante. b. In secondo luogo, la disposizione che esprime la norma subordinata sarà modellata, con opportune tecniche argomentative, in modo da risultare il più pox adeguata rispetto a quella sovraordinata. La norma sovraordinata guiderà e influenzerà l’applicazione delle norme subordinate. • Qualora, per contro, le 2 norme in questione siano in conflitto, instaurare tra di esse una gerarchia assiologica prelude: a. Talvolta alla decisione di disapplicare la norma inferiore (senza ritenerla abrogata o adeguata), b. Altre volte alla decisione di considerare senz’altro invalida la norma inferiore. Gerarchie normative e validità: Le gerarchie formali e le gerarchie materiali sono direttamente connesse alla validità: nel senso che è invalida ogni norma la quale non sia stata prodotta in conformità alle norme ad essa formalmente sovraordinate e/o sia in contrasto con norme materialmente sovraordinate. Ancora sul concetto di metanorma: Una metanorma è una norma che verte, a livello di metalinguaggio, su di un’altra norma. Tuttavia, spesso, si dice metanorma ogni norma che disciplini la creazione del d., ossia la produzione di altre norme. Le norme che disciplinano la produzione del d. non vertono su altre norne: hanno per oggetto atti normativi. Tra queste norme e le leggi sussiste una gerarchia strutturale o formale. Il concetto di metanorma dovrebbe essere usato esclusivamente per riferirsi alle norme che menzionano altre norme. Occorre distinguere tra le disposizioni giuridiche (frammenti di testi normativi) e le norme che tali disposizioni esprimono (il contenuto di senso delle disposizioni). La maggior parte delle metanorme vertono non su altre norme, in senso stretto, ma su disposizioni. Applicazioni (I): la supremazia della C: Si usa dire che la C. sia la fonte suprema dell’ordinamento. Ma in che senso? 1. In primo luogo, la C. è fonte suprema dell’ordinamento nel senso banale che, per definizione, non vi sono nell’ordinamento norme ad essa sovraordinate, vuoi dal punto di vista formale, vuoi dal punto di vista materiale. Per questa ragione, la C. non può dirsi ne valida ne invalida. Sia essa rigida o flessibile. 2. In secondo luogo, la C. è fonte suprema dell’ordinamento nel senso che disciplina, direttamente o indirettamente, la produzione di tutte le rimanenti fonti dell’ordinamento stesso, sicchè risulta ad essa strutturalmente sovraordinata. Sia essa rigida o flessibile. 3. In terzo luogo, la C. può dirsi fonte suprema dell’ordinamento per intendere che non vi è fonte nell’ordinamento che possa validamente contraddirla. La C. è fonte materialmente sovraordinata a tutte le altre. Vale solo per la C. rigide. Applicazione (II): autovincoli del legislatore? In un ordinamento a C. flessibile può accadere che il procedimento legislativo sia disciplinato da una comune legge. Ebbene una legge siffatta può vincolare il legislatore futura? In primo luogo, occorre distinguere l’abrogazione e la deroga di una norma dalla sua violazione. Certo, tra 2 leggi non sussiste alcuna relazione gerarchica, sicchè il legislatore ha il d. di abrogare o derogare ad una legge precedente. Ma la questione è sapere se abbia anche il d. di violare una legge precedente a lui rivolta. Una legge sorta in violazione delle norme che stabiliscono come debbano farsi le leggi non può che essere una legge invalida, anche in ordinamenti a C. flessibile. In secondo luogo, l’abrogazione e la deroga tacite sono fenomeni che si producono allorchè 2 norme regolano una stessa fattispecie in 2 modi incompatibili. In terzo luogo, è falso che non sussista alcuna relazione gerarchica. Certo, non vi è, tra esse, gerarchia materiale. Ma L1 è strutturalmente o formalmente superiore a L2. Per conseguenza, L2 deve essere considerata formalmente invalida. Mediante L1 il legislatore ha vincolato il legislatore Esistenza: esistenza = designa la relazione di appartenenza di una norma ad un ordinamento; si dice “esistente” in un dato ordinamento ogni norma che appartiene ad esso. Non tutte le norme appartenenti ad un ordinamento sono valide. 1. In primo luogo, ci sono norme esistenti e tuttavia né valide né invalide. Perché una norma possa dirsi valida o invalida occorre che vi siano norme ad essa formalmente superiori e norme ad essa materialmente superiore. Il concetto di validità è inapplicabile alla C. Le norme C. sono “originarie”. Il criterio di esistenza di tali norme è il principio di effettività. 2. In secondo luogo, è del tutto pox che in ordinamento vi sono norme invalide. Le norme espresse da leggi incostituzionali e da regolamenti “contra legem”. E’ sufficiente che essa venga alla luce, che sia creta. L’esistenza coincide con la validità formale. In altri termini, una norma, una disposizione, o fonte si dice “esistente” allorchè è stata creata in conformità ad alcune delle norme che ne disciplinano la creazione. Efficacia: In due sensi: a. Capacità di produrre effetti giuridici (es: acquisto, perdita di un d., efficacia retroattiva). b. Applicabilità = si dice efficace una norma che può o deve essere applicata. Perché una norma sia produttiva di effetti giuridici ed applicabile in sede giurisdizionale e amministrativa, non è necessario che sia pienamente valida, è sufficiente che “esista”. L’efficacia delle norme nel tempo: Due ordini di problemi intrecciati: a. Il momento a partire dal quale le norme devono essere applicate e il momento dal quale non devono essere applicate. b. Il contenuto stesso delle norme, ossia le fattispecie alle quali esse devono essere applicate. *L’intervallo temporale è determinato da 2 serie di regole: le prime definiscono il momento in cui una norma acquista vigore; le seconde, definiscono il momento in cui una norma perde vigore. Ciascuna legge entra in vigore, nel momento che essa medesima stabilisce. Le leggi però che nulla stabiliscono a riguardo entrano in vigore il 15 gg successivo alla loro pubblicazione. Quanto ai regolamenti, essi entrano in vigore il 15 gg successivo alla loro pubblicazione. Il periodo che intercorre tra pubblicazione ed entrata in vigore si dice “vacatio”. Le norme possono perdere applicabilità in 2 modi: per annullamento o per abrogazione. Quando una norma è invalida per contrasto con una norma superiore nella gerarchia formale o materiale dell’ordinamento. L’annullamento è un atto giurisdizionale: deve essere pronunciato dal giudice. L’annullamento retroagisce (come se non fosse mai venuta alla luce). L’abrogazione è frutto di una decisione politica del legislatore. Può essere espressa o tacita. L’abrogazione espressa può avvenire in 2 modi: a) mediante referendum popolare b) per dichiarazione espressa del legislatore. L’abrogazione tacita si produce quando il legislatore a) adotta una norma nuova incompatibile con la vecchia b) detta una nuova disciplina per un intera materia. L’abrogazione non retroagisce, salvo in cui sia espressamente stabilito dal legislatore. *In nessun una norma può essere applicata che sia stata pubblicata. In particolare, occorre domandarsi se per caso una norma possa essere applicata, dopo la sua entrata in vigore, anche a fattispecie o controverse nate prima della sua entrata in vigore. La risposta a questa domanda è no. Le leggi e i regolamenti non hanno effetto retroattivo. Occorre distinguere tra leggi e regolamenti Legge = non può essere derogata o contradetta dai regolamenti. Può essere derogata da leggi o atti aventi forza di legge: tra fonti para-ordinate vale il principio che la norma successiva prevale su quella antecedente, ossia la deroga o l’abroga. Occorre distinguere tra le leggi penali e tutte le altre. Il principio di irretroattività, nel d. penale, è inderogabile. Vizio: si dice “viziata” ogni norma o fonte che non sia conforme alle norme sulla produzione giuridica che ne disciplinano la creazione (vizio formale) e/o alle norme sovraordinate che ne circoscrivono il pox contenuto (vizio materiale o sotanziale. Un vizio si presenta come effetto o causa. Invalidità: 2 distinzione. Invalidità formale e materiale. Invalidità originaria e sopravvenuta. 1. Invalidità formale e materiale = formalmente invalida ogni norma, disposizione, o fonte che sia affetta da un vizio formale; materialmente invalida ogni norma o fonte che sia affetta da un vizio materiale o sostanziale. 2. Invalidità originaria e sopravvenuta = originaria l’invalidità che colpisce una norma fin dal momento della sua nascita. Sopravvenuta l’invalidità che colpisce in un momento successivo. Quest’ultima accade ad una norma già esistente e valida quando mutino le norme ad essa strutturalmente o materialmente sovraordinate. • Il mutamento delle norme strutturalmente sovraordinate non incide sulla validità, formale, della norma: essa conserva la sua validità. • Il mutamento delle norme materialmente sovraordinate provoca l’invalidità materiale della norma, la quale diviene invalida. L’invalidità sopravvenuto o successiva può solo essere materiale. Inesistenza: una norma inesistente è una norma che non appartiene all’ordinamento. a. Una norma invalida è annullabile = cioè suscettibile di annullamento ad opera dell’organo a ciò competente. b. Una norma inesistente = nulla, senza che occorra un espresso atto di annullamento da parte di un organo a ciò autorizzato. Quando non risponde neppure ai requisiti minimi. Validità e invalidità di atti, disposizioni e norme: Validità e invalidità sono proprietà di norme. a. Una disposizione è un frammento di testo. Un enunciato normativo emanato da un’autorità normativa. b. Una norma è il significato, il contenuto di senso, di una disposizione, e dunque il prodotto dell’interpretazione di un testo. c. Una atto normativo è un atto, un comportamento che consiste nel creare delle disposizioni. La validità formale è un attributo che conviene in primo luogo agli atti normativi. La validità materiale riguarda precisamente le norme. I COMPONENTI DEGLI ORDINAMENTI I componenti dell’ordinamento: I componenti di un ordinamento giuridico sono norme. 4 distinzioni: a. Norme originarie e norme derivate b. Norme formulate e norme inespresse c. Norme valide e invalide d. Norme che sono regole e norme che sono principi. Norme originarie e norme derivate: Originarie = indipendenti, supreme, sovrane, ma la cui appartenenza all’ordinamento non dipende dalla esistenza di altre norme. Derivate = tutte le norme rimanenti: tutte quelle la cui esistenza riposa sulla previa esistenza di altre norme o perché: a. Sono state emanate da un sogg. investito di autorità normativa da una norma preesistente (derivazione dinamica). b. Sono conseguenza logica di norme preesistenti (derivazione statica). • Gerarchia logica = tra norme e meta-norme • Gerarchia assiologica = es: tra principi e norme di dettaglio. Complessità: • Possiamo dire “semplice” un ordinamento caratterizzato da un’unica autorità normativa (il sovrano) e da un’unica fonte normativa (la legge). • Possiamo dire “relativamente complesso” un ordinamento caratterizzato da una pluralità di autorità normative gerarchicamente ordinate, ciascuna delle quali abbia il potere di emanare fonti di tipo diverso egualmente gerarchizzate. • “altamente complesso” un ordinamento caratterizzato non solo da una pluralità di autorità normative gerarchizzate, ma da una pluralità normative pari ordinate, collocate cioè all’interno di un medesimo grado gerarchico, ciascuna delle quali abbia la competenza esclusiva ad emanare norme su materie diverse. In un ordinamento altamente complesso, il regime giuridico di ogni singola fonte del d. si caratterizza per i 2 tratti: a. A ciascuna fonte è assegnati un ambito di competenza definito, sicchè quella fonte è competente a disciplinare certe materie e non altre. b. A ciascuna fonte è assegnata una determinata “forza”, ossia una peculiare collocazione nella gerarchia materiale dell’ordinamento, sicchè quella fonte non può contenere norme incompatibili con quelle espresse da fonti materialmente sovraordinate. Dimensione sincronica e dimensione diacronica: Ogni ordinamento giuridico è un insieme di norme mutevole nel tempo. Un insieme mutevole è un susseguirsi di insiemi diversi. Un ordinamento giuridico può essere osservato da 2 distinti angoli visuali: il punto di vista sincronico (statico) e il punto di vista diacronico (dinamico). Il primo è il punto di vista di chi osserva un ordinamento in un istante determinato della sua esistenza storica, facendo astrazione del suo mutare nel tempo. Diacronico è chi osserva un ordinamento nella sua evoluzione storica. • Sotto il profilo sincronico, un ordinamento si presenta come un insieme statico di norme. Ma destinato a mutare nel tempo: esso muta ogniqualvolta a) una norma preesistente venga “espulsa” dall’ordinamento b) una norma nuova venga in esso introdotta c) una norma esistente venga in esso sostituita. • Sotto il profilo diacronico, un ordinamento si presenta non come un insieme di norme, ma come una sequenza dinamica di insiemi di norme. Dimensione statica e dimensione dinamica: Gli ordinamenti giuridici moderni abbiano carattere dinamico = sono il frutto di un processo ininterrotto di produzione normativa. Ma sarebbe sbagliato pensare che essi siano puramente dinamici: la verità è che tutti gli ordinamenti giuridici moderni sono misti. • In primo luogo, tutti gli ordinamenti giuridici moderni includono un criterio di “invalidità” che fa riferimento al contenuto delle norme. Sono norme invalide non solo quelle prodotte in modo difforme dalle norme che disciplinano i procedimenti di produzione di altre norme (invalidità formale), sono incompatibili con norme materialmente sovraordinate (invalidità materiale). • In secondo luogo, tutti gli ordinamenti giuridici moderni includono un criterio di validità che fa riferimento l contenuto delle norme. Sono norme valide le norme “esplicite”, ma anche quelle “implicite”. Accentramento e decentramento: Occorre distinguere 2 tipi fondamentali di ordinamenti: ordinamenti accentarti e ordinamenti decentrati. • E’ accentrato ogni il quale istituisca organi specializzati. • E’ decentrato un ordinamento il quale affidi interamente la produzione e l’applicazione delle sue norme ai destinatari delle norme stesse. E’ innegabile che l’esistenza di un ordinamento giuridico accentrato sia condizione necessaria per l’esistenza di uno S. Due possibili relazioni tra ordinamenti: Due ordinamenti possono intrattenere fra di loro 2 tipi di relazioni: una relazione reciproca indipendenza, oppure una relazione di sovraordinazione-subordinazione. a. Un ordinamento OG1 è subordinato ad un altro ordinamento OG2, allorché la “sua” norma suprema è, al contempo, una norma appartenente a OG2. In altri termini, un ordinamento subordinato non è propriamente un ordinamento (indipendente): è parte di un altro ordinamento, ossia un ordinamento “parziale”. Un ordinamento sovraordinato è l’ordinamento “totale” che ingloba in se l’ordinamento subordinato. b. Due ordinamenti sono reciprocamente indipendenti allorchè non intrattengono un rapporto di sovraordinazione-subordinazione. CONFLITTI TRA NORME Nozioni di antinomia: Può accadere che 2 norme statuiscono per un medesima fattispecie singolare e concreta conseguenze giuridiche tra loro incompatibili. Situazione di conflitto, contrasto, o incompatibilità tra norme si dicono “antinomie”. Tipi di antinomie: 2 tipi fondamentali di antinomie: in astrato e in concreto. 1. Antinomie in astratto = ogni volta in cui 2 norme connettano conseguenze giuridiche incompatibili a fattispecie astratte che si sovrappongono concettualmente. 2. Antinomie in concreto = in sede di applicazione ci si avvede che 2 norme, pure non confliggenti in astratto, connettono però conseguenze giuridiche incompatibili ad una medesima fattispecie concreta ricada simultaneamente in 2 classi di fattispecie concettualmente indipendenti per le quali il d. statuisce conseguenze giuridiche incompatibili. La classe di fattispecie disciplinate dalle 2 norme antinomiche possono sovrapporsi completamente o parzialmente: • Antinomie totali = si ha sovrapposizione totale allorchè le 2 norme connettono conseguenze incompatibili alla medesima classe di fattispecie. • Antinomie parziali = la sovrapposizione parziale può essere di 2 tipi: a. Antinomie parziali unilaterali = può accedere che la classe di fattispecie disciplinata da una norma sia interamente inclusa nella classe di fattispecie disciplinate dall’altra. b. Antinomie parziali bilaterali = può accadere 2 classi di fattispecie si intersechino, sichhè alcune, ma solo alcune, delle fattispecie discplinate da una rapporto di regola ed eccezione: un antinomia del tipo parziale unilaterale. Si ritiene che una di esse, la norma più generale, sia semplicemente derogata ad opera dell’altra. 2. Seconda variante: il criterio di specialità è una tecnica di composizione delle antinomie che si applica in presenza di un’antinomia tra 2 norme: un antinomia del tipo parziale bilaterale. Abbiamo a che fare con norme egualmente generali. In queste circostanza, il criterio di specialità non può essere impiegato se non dopo avere istituito una relazione gerarchica e precisamente una gerarchia assiologica. Il TEMPO DELLE NORME La dimensione temporale delle norme: Ogni norma ha non meno di 5 “dimensioni temporali”: a. Il tempo dell’appartenenza = il tempo di appartenenza di una norma ad un ordinamento ha inizio nel momento in cui la norma acquista “esistenza giuridica”. b. Il tempo della vigenza = una norma esistente nell’ordinamento e non abrogata. Il tempo di vigenza di una norma ha inizio nel momento in cui la norma acquista esistenza giuridica nell’ordinamento. Ma la fine del tempo di vigenza non coincide con la fine del tempo di appartenenza: la vigenza di una norma cessa nel momento in cui essa viene abrogata. c. Il tempo della validità = Una norma è valida se: • È stata prodotta conformemente alle norme che ne regolano la produzione • E’ compatibile con le norme che ne limitano il pox contenuto. In costanza delle norme ad essa strutturalmente e materialmente sovraordinate, ogni norma è invalida o valida. Tuttavia anche se è a-temporale la relazione da cui dipende la validità, possono cambiare nel tempo le norme di riferimento. Ciò può però far perdere validità ad una norma originariamente valida. Occorre ricordare che: a. Il mutamento delle norme strutturalmente sovraordinate non incide sulla validità formale della norma di cui si tratta. b. Per contro, il mutamento delle norme materialmente sovraordinate provoca l’invalidità materiale della norma di cui si tratta = invalidità successiva o sopravvenuta. c. Il tempo dell’applicabilità = Per applicabilità si intende l’obbligo di applicarla da parte degli organi giurisdizionali e amministrativi. Il tempo di applicabilità di una norma ha inizio nel momento in cui sorge, in capo agli organi giurisdizionali e amministrativi, l’obbligo di applicare la norma in questione cessa nel momento in cui tale obbligo viene meno e/o sorge l’obbligo opposto. Possiamo distinguere: • Le meta-norme che si riferiscono al tempo di applicabilità di tutte le norme da un certo tipo di fonte. • Le meta-norme che circoscrivono nel tempo dell’applicabilità di uno specifico testo normativo o cmq di singole norme determinate. Il tempo di applicabilità non coincide necessariamente con quello di appartenenza. Il tempo di applicabilità normalmente coincide con il tempo di vigenza. Infine, non coincide con il tempo di validità. Cio per la banale ragione che la validità è condizione né necessaria, né sufficiente, di applicabilità. d. Il tempo dell’efficacia = l’insieme delle fattispecie alle quali essa connette conseguenze giuridiche o l’insieme di fattispecie in presenza delle quali essa produce effetti giuridici. Parlando di efficacia ci si riferisce all’arco ti tempo in cui deve verificarsi la fattispecie prevista perché ne seguano quei dati effetti specifici. Norme retroattive, ultrattive, transitorie: 1. Retroattiva = una norma connette conseguenze giuridiche a fatti antecedenti la sua entrata in vigore. 2. Ultrattiva = una norma che connetta conseguenze giuridiche a fatti successivi alla sua abrogazione. 3. Transitorie = si può parlare in senso funzionale o in senso strutturale. Funzionale = si dicono transitorie quelle norme dette espressamente alla scopo di regolare il passaggio da una disciplina ad un’altra. Spesso sono meta-norme il cui contenuto consiste nel conferire ultrattività alle norme della vecchia disciplina e/o conferire retroattività alle norme della disciplina nuova. In senso strutturale = quelle norme che hanno una efficacia circoscritta nel tempo, essendo per esso previsto, ad origine, un termine finale di efficacia. Due tipi di norme retroattive: 1. Retroattiva in senso debole = ogni norma che determini la soluzione di controversie nate antecedentemente alla sua entrata in vigore, ma non ancora decise in sede giurisdizionale. 2. Retroattività in senso forte = ogni norma che determini una diversa soluzione di controversie nate antecedentemente alla sua entrata in vigore e ormai decise. Tre enunciazioni del principio di irretroattività: 1. Cod. civ.: “ la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. 2. Cod. pen: “ nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui è commesso, non costituiva reato”. 3. C: “ nessuno può essere punito se non in forza di legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Cenni alla successione nel tempo di norme penali: Sono norme penali quelle che abrogano o derogano a norme penali antecedenti. Ora, in seno alle norme penali latamente intese occorre distinguere le norme “sfavorevoli” da quelle “di favore”. 1. Sono norme penali sfavorevoli, quelle che introducono una norma nuova, per una condotta che in passato era penalmente irrilevante, come pure quelle che inaspriscono una pena precedente. 2. Sono favorevoli, tutte quelle che riducono od eliminano senz’altro una pena preesistente. 4 principi: 1. Principio di irretroattività delle norme sfavorevoli. 2. Principio di ultrattività delle norme penali di favore. 3. Principio di retroattività delle norme penali di favore. 4. Principio di non ultrattività delle norme penali sfavorevoli.
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